Quarant’anni di «pubblicità a Dio» -...

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Quarant’anni di «pubblicità a Dio» Renza Guglielmetti L’Associazione culturale InformaCri- sto nasce ufficialmente il 18 luglio 1974 per iniziativa di un dinamico e intraprendente cappuccino, il Padre Giuseppe Maria Borgia (1913-1990). Che cosa aveva in mente questo frate appassionato di Dio, tormentato dal desiderio assillante di portare Dio agli uomini, soprattutto a quelli con- siderati i più lontani dalla fede? Un’idea originale La gente non va più in chiesa per- ché si sta allontanando dal vissuto tradizionale cristiano. Non cerca più l’incontro con Dio nel luogo sacro a ciò tradizionalmente deputato come la chiesa o l’oratorio. E questo è un dato di fatto che il Padre Giuseppe registra già a partire dagli anni ses- santa. Come parlare di Dio, di Gesù Cristo, del senso della vita a questo mon- do di antica tradizione cristiana che appare sempre più estraneo e disin- teressato alla fede? Se la gente non va più in chiesa, occorre uscire dalle chiese e andare nei luoghi del vivere quotidiano e lì comunicare i fonda- menti della fede: Dio, Gesù Cristo, il destino dell’uomo. Siamo negli anni del boom econo- mico in Italia. E P. Giuseppe trova nella comunicazione pubblicitaria,

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Quarant’anni di «pubblicità a Dio»

Renza Guglielmetti

L’Associazione culturale InformaCri-sto nasce ufficialmente il 18 luglio 1974 per iniziativa di un dinamico e intraprendente cappuccino, il Padre Giuseppe Maria Borgia (1913-1990).Che cosa aveva in mente questo frate appassionato di Dio, tormentato dal desiderio assillante di portare Dio agli uomini, soprattutto a quelli con-siderati i più lontani dalla fede?

Un’idea originaleLa gente non va più in chiesa per-ché si sta allontanando dal vissuto tradizionale cristiano. Non cerca più l’incontro con Dio nel luogo sacro a ciò tradizionalmente deputato come la chiesa o l’oratorio. E questo è un dato di fatto che il Padre Giuseppe registra già a partire dagli anni ses-santa. Come parlare di Dio, di Gesù Cristo, del senso della vita a questo mon-do di antica tradizione cristiana che appare sempre più estraneo e disin-

teressato alla fede? Se la gente non va più in chiesa, occorre uscire dalle chiese e andare nei luoghi del vivere quotidiano e lì comunicare i fonda-menti della fede: Dio, Gesù Cristo, il destino dell’uomo.Siamo negli anni del boom econo-mico in Italia. E P. Giuseppe trova nella comunicazione pubblicitaria,

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una realtà in piena espansione in quegli anni, una nuova ed originale modalità di evangelizzazione dove il passante frettoloso può trovarsi a tu per tu con Dio incrociandolo di-strattamente attraverso un manifesto pubblicitario esposto per strada o alla fermata dell’autobus.Negli anni settanta una conferma in-diretta della bontà dell’iniziativa gli viene dalla nascita della cosiddet-ta “Pubblicità Progresso”. Poiché la pubblicità commerciale viene rimpro-verata di creare nei consumatori dei bisogni indotti, sono gli stessi pubbli-citari che iniziano a creare campagne pubblicitarie non solo più su oggetti

di consumo ma su idee e valori, a beneficio della società.Pubblicità a Dio? Non è poi così stra-no. Quando hanno chiesto al famo-so pubblicitario Oliviero Toscani se c’era ancora qualcosa a cui avrebbe voluto fare pubblicità, ha risposto: «Ah sì! Sarebbe una fantastica sfida. Fare pubblicità a qualcosa che non sei sicuro che esista: il Padreterno» (La Repubblica, 7 marzo 2004).

A tutte le attività di InformaCristo P. Giuseppe dà tutto se stesso: tempo, salute, impegno intellettuale, dedizio-ne del cuore.Crea slogan da imprimere su manife-sti, compone pieghevoli e opuscolet-ti da diffondere ovunque possibile e, soprattutto, gratuitamente perche «il pane della fede non si fa pagare».L’idea di parlare di Dio per le strade entusiasma subito soci e collaborato-ri. Ma, il P. Giuseppe mette subito in guardia: si tratta di una missione difficile e poco gratificante. Quanti verranno a esprimere riconoscenza per aver incontrato il Signore grazie a un manifesto? Forse nessuno. Sarà più facile invece trovarvi scaraboc-chi, insulti o peggio, bestemmie! Ma, secondo il Padre, anche questa rabbia ha il suo aspetto positivo. È segno che il messaggio ha comunque raggiunto la persona, ha toccato nel profondo, non l’ha lasciata indifferente!E anche questo è un segno che nella nostra società la più essenziale tra le forme di carità è spezzare il pane della fede. Diceva nel 1979: «Che

bellissimo lavoro avere la fortuna di pubblicare i manifesti più inte-ressanti, più esistenziali, più neces-sari, seguendo il tormento di Paolo che faceva moltiplicare le sue lettere e, in tempi molto più vicini, di san Francesco di Sales che faceva appic-cicare i manifesti»*. Dopo alcuni anni di esperienza con manifesti esposti nelle vetrine di ne-gozi, il Padre pensa alla strada. Le vetrinette pubblicitarie delle gran-di arterie cittadine sono lì, sotto lo sguardo di migliaia di passanti, piene di luci, di colori e di réclame stuz-zicanti. Perché non inserirsi anche lì per fare pubblicità a Dio? Siamo nel 1978. La prima vetrina viene allesti-ta nel sottopasso che conduce alla stazione ferroviaria di Porta Nuova a Torino. Ne seguiranno molte altre qui e in altre città.Emerge a questo punto l’esigenza di creare spazi con possibilità di dia-logo e di incontro per chi desidera parlare di problemi religiosi, porre domande, esporre dubbi, approfondi-re argomenti o, più semplicemente, ritirare le pubblicazioni per sé o per distribuire ad altri.Nascono così i centri di ascolto. Prima a Torino, poi, via via, Genova e Cuneo: luoghi dove ormai una lunga fila di persone ha trovato orecchi at-tenti e cuore aperto all’accoglienza.P. Giuseppe muore nel 1990 lascian-do ai membri di InformaCristo un progetto e uno stile nell’ambito del-l’evangelizzazione.

EDitorialE pag. 1Quarant’anni di «pubblicità a Dio»

DoMaNDE & (qualche) riSPoSta L’inquietudine della fede pag. 7

flaSh Dai cENtri pag. 10• Incontri Cafè• Camus: il grido di chi non crede• Mostra «Grafie dell’Anima»• Incontri «Parliamone»

l’Eco DEl Dio NaScoSto Bellezza, epifania di Dio pag. 14

DiciaMolo coN l’artE pag. 18L’urlo di Munch

rEligioNi culti MagìaI professionisti dell’occulto pag. 23

L’oggi e il domaniMa la storia corre sempre più veloce. La tecnica pubblicitaria muta, si evol-ve, si adatta per mantenersi efficace negli alti e bassi dell’economia e con-tinuare a persuadere il consumatore. Le modalità artigianali e la creativi-tà con cui vennero elaborati i primi manifesti, frutto certamente di tanta buona volontà e di grande impegno, risultano ormai inadeguati. Ed ecco che, agli albori del terzo millennio, provvidenzialmente, un gruppo di esperti della comunica-zione, attratti dall’originalità di que-sto modo di evangelizzare, mette a disposizione le proprie competenze

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per creare una nuova serie di mani-festi che, pur nella profonda diversità dei messaggi rispetto alla pubblicità corrente, vengono realizzati su base professionale. Se vogliamo ricordare il primo e il più “chiacchierato” prodotto del nuo-vo corso, dobbiamo menzionare il famoso DIO con su un segno rosso di cancellazione e la domanda: sei proprio sicuro? Di questo messaggio piuttosto provocatorio ne parlarono quotidiani e riviste, con senso di stu-pore e di benevola approvazione.Con l’evolversi dei media, Informa-Cristo inizia ad utilizzare il web per riproporre in modo adatto al com-plesso mondo virtuale quanto elabo-rato con il mezzo cartaceo, mante-nendo comunque un certo stile fatto di proposte aperte, di aggancio con la vita reale e con le problematiche più profonde che agitano la persona umana. Con il sito www.informacristo.org e il blog http://parliamone.informacri-sto.org/wp/ le possibilità di relazioni e di contatti si sono moltiplicate.Un filone nato di recente è costituito dalla mostra itinerante «Grafie del-l’anima», dove attraverso immagini, pitture catacombali, epigrafi viene narrata la testimonianze di fede delle prime comunità cristiane. C’è un target non ancora preso in considerazione in modo specifico dai messaggi di InformaCristo: i giova-ni, oggi considerati da recenti studi come la prima generazione incredula.

Eppure le grandi domande sul senso del vivere, dell’amare, del soffrire e del morire e la stessa domanda su Dio non sono affatto estranee ai loro pensieri ma ben vive e presenti. Le possiamo trovare frammischiate al chiacchiericcio dei social-network o in ambiti in cui possano emergere e diventare oggetto non di imposizione ma di dialogo e di discernimento.È questo il mondo che oggi sta occu-pando l’attenzione dei soci più attenti e che richiede una propria progettua-lità. Sarà questo il compito emergen-te nell’immediato futuro.

Spiritualità, testimonianza e mis-sione: un intreccio fecondoInformaCristo è una associazione di laici che vivono la missione evange-lizzatrice della Chiesa nelle condizio-ni ordinarie della vita come ogni altro laico cristiano. Oltre a ciò hanno scel-to di condividere la forma specifica missionaria di InformaCristo che ha come obiettivo quello di sensibilizza-re alla domanda religiosa e accom-pagnare chi si trova già in ricerca di fede o comunque di una dimensione spirituale della vita. Sono persone che hanno incontrato in momenti diversi della loro vita il carisma di P. Giuseppe Maria, ne sono rimaste attratte e l’hanno fatto proprio. Un carisma che si può sin-tetizzare in tre elementi egualmente sostanziali: cura del proprio cammi-no spirituale, testimonianza cristiana

nel quotidiano, azione missionaria volta a spezzare il “pane della fede”. Secondo il Padre, la fecondità di questa missione particolare può svi-lupparsi solo a partire da una espe-rienza di intima comunione con Dio, in una vita radicata nelle profondità della preghiera, vissuta ogni giorno in semplicità e fiducia, resa autentica dalla carità fattiva. Soleva infatti ripetere con assoluta convinzione riguardo all’efficacia dei manifesti che «il 5% è tecnica ma il 95% è grazia» e che «i lontani si salvano con le ginocchia». Una con-vinzione di cui egli è sempre stato consapevole e che ha trasmesso a chi oggi continua la sua opera è che, comunque, la fede è sempre e solo

frutto di quel misterioso dialogo tra il dono di Dio e la libertà dell’uomo e non potrà certo diventare l’esito di un manifesto pubblicitario visto per stra-da. Tuttavia, offrire l’opportunità di un messaggio che invita a riflettere, può aprire strade nuove, può stimo-lare introspezioni che spingono alla ricerca di un cammino spirituale.

* Nel periodo in cui predicò nella regione del Chablais, dominata dal Calvinismo, per incontrare coloro che non avrebbe potuto raggiungere con la sua parola, escogitò il sistema di distribuire nelle case e affiggere ai muri dei “manifesti”, meritandosi per questa originale attivi-tà pubblicitaria il titolo di patrono dei giornalisti.

Marc Chagall, La crocifissione bianca

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DOMANDE & (qualche) RISPOSTA

l’inquietudine della fedea cura di Fiorella Danella

Scrive il teologo Bruno Forte: «Il credente non è che un povero ateo, che ogni giorno si sforza di comin-ciare a credere». La fede è grazia, ma non è visione, è un continuo convertirsi a Dio. Anche il credente deve sopportare il tempo dell’attesa. Per questo egli fa – può fare – l’esperienza dell’assenza di Dio, dell’assurdo, del non senso. E qui scopriamo come ci sia affinità tra la non fede e la “notte oscura” dei mistici, anche se «le due cose sono contrapposte in modo contradditto-rio» (card. Martini).Le riflessioni del noto teologo napo-letano, arcivescovo di Chieti-Vasto, affrontano con vivacità e profondità quella che si presenta come una an-tinomia della fede.

la luce e il buio della fede «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20,29): queste paro-le di Gesù all’Apostolo Tommaso – il quale non aveva voluto credere alla testimonianza degli altri discepoli, che avevano visto il Signore – descrivono una beatitudine di grande significato per l’uomo della condizione post-mo-derna. Si tratta della beatitudine della fede oscura, di quel credere senza ve-dere, che il razionalismo moderno ave-va bollato come ingenuo e insostenibi-le, e che invece la crisi dell’ideologia moderna e delle sue pretese ha portato a riscoprire come una fonte tutt’altro

che inadeguata di conoscenza e di sa-pienza. Come afferma il teologo russo Pavel Evdokimov, «non è la conoscen-za che illumina il mistero, è il mistero che illumina la conoscenza. Noi pos-siamo conoscere solo grazie alle cose che non conosceremo mai» (La donna e la salvezza del mondo, Jaca Book, Milano 1980, 13). La tenebra lumino-sa del mistero abita ogni conoscenza vera, anche quella della fede. Perciò, l’ateo, il solo ateo che sia possibile concepire con radicale serietà, abita nel credente, perché solo chi crede in Dio e ha fatto esperienza del Suo amore può anche sapere che cosa sia la Sua eccedenza, quale stupore comporti la Sua conoscenza e quale dolore la Sua assenza. Il non credente, allora, non è fuori dal cuore di chi crede, ma in un certo senso è in lui, con lui, come fu nell’apostolo Tommaso. Il credente si riconosce come il “prigioniero” del-l’Altro: la verità della fede è inscindi-bile da questo lasciarsi far prigionieri dell’invisibile, non immediatamente disponibile e certo.Il credente perciò non ha un pensiero totalizzante, luminoso su tutto, ma vive in una sorta di pensiero aurorale, carico di attesa, sospeso tra il primo e l’ulti-mo avvento, già confortato dalla luce che è venuta a splendere nelle tenebre e tuttavia ancora assetato dell’approdo al giorno pieno di Dio. Come aurora è il pensiero della fede. Non ancora pie-namente illuminato dal giorno che ap-partiene ad un altro tempo e ad un’al-tra patria e tuttavia sufficientemente

1a vetrina - libreria di Verzuolo - 1965

Torino - Sottopassaggio di Porta Nuova - 1974

Torino - vetrina in c.so San Martino - 1974

Torino - copisteria in via dei Mille - 1968

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DOMANDE & (qualche) RISPOSTA

rischiarato per sopportare la fatica di conservare la fede.

Anche per un altro motivo, però, l’ateo è l’altra parte di chi crede: il cosiddetto non credente, il cosiddetto ateo, quan-do è veramente e fino in fondo tale, quando lo è cioè non per una semplice qualificazione esteriore, ma per le sof-ferenze di una vita che lotta con Dio senza riuscire a credere in Lui, vive in una medesima condizione di ricerca e di passione. La non credenza non è la facile avventura di un rifiuto, che lasci ciascuno come lo ha trovato. La non credenza è passione, militanza di una vita che paga di persona l’amaro coraggio di non credere. […]

La fede è scandaloCredere è cor-dare, dicevano i Medie-vali, un dare il cuore che implica la continua lotta con una alterità che non viene “risolta”, non viene “fermata”. Dio è l’altro da te. Ecco perché il dub-bio abiterà sempre la fede. La fede è consegnarsi ciecamente al-l’Altro: «Tu mi hai sedotto, o Signore, ed io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso... Mi dicevo: “Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!” Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,7.9). Nelle «Confessioni» di Geremia troviamo forse la più alta testimonianza di questa resa della fede: egli è un uomo che ha vissuto la lotta con Dio, ma che lottan-do ha saputo conoscere la capitolazio-ne dell’amore al punto da essere pronto a consegnarsi perdutamente a Lui.

[…] La fede è scandalo. Infinite sono le testimonianze di questo scandalo. Con parola netta Kierkegaard dice: «Non si giunge mai alla fede senza passare per la via dello scandalo». Dio non si trova nella facilità del pos-sesso di questo mondo, ma nella pover-tà della Croce, nella morte a se stessi, della notte dei sensi e dello spirito. Santa Teresa del Bambino Gesù non ha paura di descrivere lo scandalo: «Gesù mi ha fatto sentire che esistono davve-ro anime senza fede. Ha permesso che l’anima mia fosse invasa dalle tenebre più fitte, che il pensiero del cielo, dol-cissimo per me, non fosse più se non lotta e tormento... Bisogna aver viag-giato in questa tenebra per capire che cosa essa è…».La tenebra, la notte è il luogo del-l’amore, della pace. È in essa che la fede è scandalo: la fede non è la ri-sposta tranquilla alle nostre domande, come non lo è Cristo. Cristo è anzi la sovversione di ogni nostra domanda, e solo dopo averci portato nel fuoco della desolazione, egli diviene il Dio delle consolazioni e della pace.

Se tutto questo è vero, allora non do-vremo cercare segni volgari che di-mostrino la verità di Colui in cui cre-diamo. Noi crederemo in Dio anche quando la risposta alle vere domande del nostro dolore resterà custodita nel Suo silenzio […].

fatica e gioia della fedeDiversamente da ogni ideologia, la fede è un continuo convertirsi a Dio, un continuo consegnargli il cuore, co-minciando ogni giorno, in modo nuovo,

DOMANDE & (qualche) RISPOSTA

a vivere la fatica di credere, di sperare, di amare. Ma se il credente è un ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere, non sarà forse l’ateo, il non credente, un credente che ogni giorno vive la lotta inversa, e cioè la lotta di cominciare a non credere? Non certo l’ateo banale, volgare – lo “stolto” di cui parla il Salmo –, ma chi vive la lotta con coscienza retta, chi, avendo cercato e non avendo trovato, patisce il dolore dell’assenza di Dio, non sarà veramente l’altra parte di chi crede? Non è la più alta forma di eticità que-sto riconoscere nell’altro, nel diverso, non un pericolo, ma un dono, un incon-tro? E questo non ci farà amare l’altro come è, per quello che è, cercando in lui la verità di noi stessi e offrendogli umilmente, ma al tempo stesso fiducio-samente, la verità di noi stessi? Non viene da tutto questo un no, il no alla negligenza della fede, il no ad una fede indolente, statica ed abitudi-naria, fatta di intolleranza comoda, che si difende condannando perché non sa vivere la sofferenza dell’amore? E non ne viene il sì ad una fede interrogante, anche dubbiosa, ma capace ogni gior-no di cominciare a consegnarsi per-dutamente all’altro, a vivere l’esodo senza ritorno verso il Silenzio di Dio, dischiuso e celato nella Sua Parola?

Se c’è una differenza da marcare, al-lora, non sarà quella tra credenti e non credenti, ma l’altra tra pensanti e non pensanti, tra quanti hanno il coraggio di continuare a cercare per credere, sperare e amare, e quanti hanno ri-nunciato alla lotta e sembrano accon-tentarsi dell’orizzonte penultimo e non

sanno più accendersi di desiderio e di nostalgia al pensiero dell’ultimo oriz-zonte e dell’ultima patria. Qualunque atto, anche il più costoso, sarebbe de-gno di essere vissuto per riaccendere in noi il desiderio della patria vera, e il coraggio di tendere ad essa, fino alla fine, oltre la fine. È alla luce di questi presupposti, che credenti e non credenti potranno ascol-tarsi e veramente dialogare: perché il non credente pensoso, non negligente e prigioniero di poveri ideologici, av-vertendo il dolore dell’assenza, non potrà non mettersi in ascolto di chi fa esperienza dell’invisibile Presenza e se ne lascia totalmente segnare. Ciò di cui c’è veramente bisogno per un dialogo vero e fecondo è, allora, che il credente responsabile e pensoso si incontri col non credente, che non sia chi a buon mercato voglia vivere “etsi Deus non daretur”, (anche se Dio non esistesse) ma chi sia pronto a rischiare “veluti si Deus daretur” (come se Dio esistesse).

Concludere con una invocazione è forse la forma meno inadatta alla ri-flessione qui presentata: sulla soglia del dubbio, la fede cresce nella libertà dell’affidamento e della preghiera, rag-giunta dal dono dall’alto che immensa-mente la eccede: Signore, io credo: aumenta la mia fede!

Mons. Bruno Forte, LA FEDE E LE RAGIONI DELLA NON CREDENZA (Ortona, 21 Settembre 2007)

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Torino

incontri cafèSiamo giunti al terzo «incontro cafè» della serie programmata a To-rino presso il Caffè del Progresso in corso San Maurizio, 69.Nel caratteristico quanto originale ambiente di questo luogo, mercoledì 15 gennaio si è tenuta la visualizza-zione e presentazione delle opere di V. Van Gogh e E. Munch.Inutile sottolineare l’eccellenza di questi due notissimi pittori, dalla personalità profonda e complessa, nonché la bellezza ed espressività dei loro dipinti.Lo scopo, però, non era solo quello di “descrivere” la loro arte e farne l’elogio, quanto di mettere soprattut-

to in luce quanto ambedue abbiano vissuto un percorso spirituale vigo-rosamente ed intensamente tradotto nei loro dipinti.Riuscire ad esprimerlo attraverso la descrizione delle loro opere è stata impresa non facile che Mirella Lo-visolo ha sviluppato sicuramente in modo appassionato e coinvolgente.La serata ha attirato molto interesse, tant’è che un gruppo di giovani ne ha richiesto la replica in un altro bar di Torino.

Mercoledì 19 febbraio, invece, l’incontro è stato… tutta un’altra musica…La serata è stata animata dal Coro Gospel «I George’s Planets», sotto

FLASH DAI CENTRI

«I George’s Planets» all’incontro cafè

FLASH DAI CENTRI

la magistrale direzione di Alessan-dra Bugnano.Se parlare di Dio è difficile a parole, la musica è certamente un veicolo migliore in quanto coinvolge non solo la mente, ma sentimenti, fanta-sia, immaginazione... in una parola: il cuore.Le numerose esibizioni sono state tut-te precedute da una sintetica, ma mol-to efficace spiegazione sull’origine, significato, contesto sociale dei brani. Ciò si è reso necessario anche per il fatto che il genere gospel si esprime rigorosamente in inglese ed ha una tradizione tutta particolare che nasce e si sviluppa a partire dagli antichi canti degli schiavi afroamericani.La sala si è riempita (pur non regi-strando il “pienone” data la conco-mitanza con Sanremo) e i presenti si sono dimostrati particolarmente at-tenti e interessati all’esecuzione dei vari brani, puntualmente sottolinea-ti da applausi scroscianti soprattutto da parte del pubblico più giovane.

filomena cannavacciuolo

Camus: il grido di chi non crede

Mercoledì 19 marzo: quinto ap-puntamento della serie L’urlo di chi non crede.

La relazione, tenuta magistralmente dal prof. Fabio Rondano, ha attirato uditori attenti e interessati all’opera di Albert Camus, intellettuale fran-cese, premio Nobel per la letteratura nel 1957, di cui si è celebrato l’an-no scorso il centenario della nascita. Camus fa parte di quella generazio-ne di atei che assume dal Vangelo solo la parte della solidarietà socia-le. Davanti all’assurdità della vita, l’unica salvezza per l’uomo sta nel soccorrere chi è nella sofferenza e nel bisogno. La lettura di brani scelti da Lo straniero e da La peste sono stati una esplicita testimonianza del-la sua rivolta contro un Dio che la-scia morire gli innocenti.Il passaggio finale della conferenza ha affrontato il mistero del male che trova nella Croce di Cristo il luogo della grande risposta. Dove, però, la risposta di Dio non è teorica, fi-losofica ma è data da una presen-za potente che abita là dove ogni uomo soffre: «Se non c’è persona al mondo che ci possa accompa-gnare di sicuro in ogni momento, anche nel momento della massima sofferenza, Dio può però accompa-gnarci comunque e sempre, in ogni momento. Ecco la Sua Onnipoten-za! Dio non è mai escluso da nessun ambito di prova o di dolore» (Fabio Rondano).

r.g.

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FLASH DAI CENTRI

Mostra «Grafie dell’Anima»

Dal 22 dicembre 2013 al 7 gennaio 2014 la mostra è stata esposta in un pittoresco centro, a Trevi nel Lazio, in provincia di Frosinone, nella sala comunale S. Pietro che si affaccia su di una stupenda piazza medioevale. Era stata richiesta dalla locale «Confraternita della Miseri-

cordia», un’Associazione giovanile che svolge una quantità di attività di volontariato: assistenziale (am-bulanza, assistenza poveri e malati, ecc.), attività missionarie, attività culturali. In quest’ottica Fulvio Pia-centi, animatore culturale, entusiasta delle nostre attività di informazione cristiana, ha richiesto la mostra a InformaCristo.

CuneoMirella Lovisolo

Il prof. Carlo Aimar presso la sede di InformaCristo

FLASH DAI CENTRI

La cosa, molto interessante, ha fat-to dimenticare fatica e difficoltà: la gente, accogliente e solare, aperta, generosa e partecipe. E poi l’impe-gno dei giovani che hanno offerto una bella testimonianza di disponi-bilità e di concreta collaborazione proponendosi con grande generosi-tà in aiuto alla sottoscritta, nell’al-lestimento della mostra e al ritiro della stessa, ma, soprattutto come guide ai visitatori nei giorni dopo la mia partenza. Questa è stata un po’ un’esperienza davvero unica, conclusasi con una bella notte di Natale in San Pietro a Roma e din-torni. Desidero ringraziare del loro aiuto tutti coloro, specialmente soci e amici, diventati davvero Provvi-denza per l’iniziativa.

incontri «Parliamone»

Abbiamo concluso in questi giorni il programma degli incontri «Par-liamone». Costituito da sette con-ferenze dal titolo un po’... sibillino: ?!PAROLA DI DIO!? Espressione efficace della tematica: conoscere la Bibbia, gli apocrifi e... dintorni. Per i primi quattro incontri, esplicitamen-te biblici, era relatore il dott. Carlo

Miglietta, ormai amico dell’Asso-ciazione InformaCristo a Cuneo e biblista molto apprezzato a Torino e dagli amici di Cuneo. Un incon-tro è stato svolto dal prof. Carlo Aimar sugli equivoci ed errori di interpretazioni della Bibbia di certi movimenti sedicenti cristiani (pur senza esserlo). Infine, due incontri a carattere ar-tistico sono stati tenuti dalla sotto-scritta: uno riguardante la malintesa proibizione biblica delle immagini e l’altro, la presentazione del racconto solare e innamorato del Pentateuco e del Cantico dei Cantici, realizzato dal pittore moderno Marc Chagall ed esposto al Museo di Nizza.Il corso, realizzato con l’aiuto del Signore e dei volontari della sede, è stato pienamente positivo: la sala (purtroppo piccola) era sempre pie-na. I partecipanti, persone di cultura e anche rappresentanti di altre re-ligioni, si sono dimostrati interes-sati, attentissimi, capaci di dialogo. Molto ben accolta l’offerta della registrazione e dei testi inviati per e-mail. Un vivo ringraziamento al Signore e a chi ci ha aiutato. È già arrivata la richiesta di un prossimo corso… Beh, non subito, speriamo!

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L’ECO DEL DIO NASCOSTO

Bellezza, epifania di DioTeresa Testa

«Bisogna entrare nella notte per gustare tutta la bellezza del giorno» (Carlo M. Martini).«I fiori del male», opera simbolo di Baudelaire, sono l’espressione ango-sciosamente sofferta di questa “notte” profonda del male, morale, spirituale e fisico e della dolorosa ricerca di un raggio di luce che rischiari le tenebre.Nato a Parigi nel 1821, annoverato tra i “poeti maledetti”, Baudelaire condu-ce una vita ribelle, “irregolare”, perdendosi nei “Paradisi artificiali” dell’eros e della droga, come rimedio alla “noia”, al “disgusto” (spleen) di un mondo troppo ordinario e volgare. Benché cosciente della falsa salvezza che ne de-riva, egli preferisce questa “rivolta” alla mediocrità e alla noia, vivendo per tutta l’esistenza il dramma della scelta tra bene e male, Dio e Satana, rifiuto e invocazione, passando dalla esplicita invocazione a Satana nelle Litanie: «Satana, abbi pietà del mio lungo penare!», all’invocazione a Dio ambiguamente nascosta nel De Profundis: «Pietà, t’imploro, o Tu, l’unica che amo, dall’abisso oscuro in cui è caduto il mio cuore».Avvinghiato da questa continua incertezza, scrive:

«Nulla può soddisfare un cuore come il mio… un cuore profondo come un abisso!» (Ideal).

Proprio l’insoddisfazione costituisce la condizione necessaria perché la “dan-

L’ECO DEL DIO NASCOSTO

nazione” che lo perseguita possa mutarsi in salvezza. «Fintanto che l’insoddi-sfazione fa sanguinare il cuore c’è speranza di salvezza – commenta Giovanni Macchia – la noia, invece, il disgusto, è il demone peggiore, la morte del-l’anima e dell’intelligenza». Per uscire da questo pantano, Baudelaire invoca un soccorso potente: la Bellezza. Egli non sceglie né Dio né Satana, sceglie la Poesia.Attraverso il male, al di là del male, egli affronta un “difficile compito: estrar-re la Bellezza dal male”, i “fiori” del male, appunto. «L’uomo per riscattarsi ha due campi di terra ricca e profonda che deve smuovere e dissodare: un campo è l’Arte, l’altro l’Amore» (Il riscatto).La sofferenza del poeta apre così una finestra alla speranza: «Sereno il poeta alza le braccia al cielo, dove il suo occhio vede un trono splendido… Lo so che al poeta tu conservi un posto tra le schiere delle legioni sante… una mistica corona… un diadema chiaro e sfolgorante fatto di sola luce pura»… poiché «il dolore è la sola nobiltà che mai terra o inferno morderanno…» (Benedizione).Attraverso la Poesia il cuore del poeta, «un cuore tenero che odia il nulla immenso e nero», aspira fiduciosamente ad elevarsi verso un cielo limpido e puro: «Felice chi con ali vigorose, le spalle alla noia e a vasti affanni si eleva verso campi sereni e luminosi! e intende il linguaggio dei fiori e delle cose mute» (Elevazione).Ma né la bellezza della natura, né l’amore, né l’arte possono esaurire la sua sete di felicità: esse non sono che un’eco, un richiamo, una indicazione e non possono varcare quella soglia di cui si intuisce l’esistenza. Tuttavia esse sono «… è certo, Dio, l’indice migliore che possiamo offrirti della nostra dignità, singhiozzo ardente che scorre d’evo in evo e muore sulla riva dell’Eterno!» (I fari).

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di questa teofania di Dio: “Il Signore gli disse: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore». Il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l’udì Elia si coprì il volto e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco sentì una voce…” (1Re 19,11-13).Dio si allontana e il profeta lo vede così, solo alle spalle.

Scrive Simone Weil: «Finché un essere umano non è stato conquistato da Dio, non può avere fede, ma solo una semplice credenza; e che egli abbia o no una simile credenza, non ha nessuna importanza: infatti arriverà alla fede anche attraverso l’incredulità. La sola scelta che si pone all’uomo è quella di legare o meno il proprio amore alle cose di quaggiù».S. Agostino esclama: «Tardi ti ho amato, o bellezza sempre antica e sempre nuova, tardi ti ho amato! Tu eri dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo!»Il desiderio bruciante che è all’ini-zio di ogni percorso spirituale atten-de un oggetto adeguato che lo ap-paghi. Nulla di finito può quietare l’anima. «Questo desiderio di asso-luto costituisce il fondo del mio es-sere… Ma io ne sono separato. Non posso raggiungerlo. Posso soltanto sapere che è e attendere, anche per anni» (Simone Weil).

Per questo articolo si è fatto riferimento all’opera di C. BAUDELAIRE, I fiori del male, a cura di Massimo Colesanti, trad. di Claudio Rendina, ed. Newton Compton, 2006.

L’ECO DEL DIO NASCOSTO

La bellezza che il poeta insegue e invoca si mostra un tiranno capriccioso, “un mostro” di spavento e ingenuità, ma ha un compito rivelativo simile a quello della Grazia. «Cosa importa, in fondo, che tu venga dal cielo o dall’inferno? Il tuo occhio, il tuo sorriso, il tuo piede aprono la porta d’un infinito che amo e non ho mai conosciuto» (Inno alla Bellezza).

Se nessun luogo della terra corrisponde ai luoghi della felicità, tanto bramata ma sfuggita non appena intravista, non resta allora che il desiderio della mor-te, unica via che porta fuori della vita, in altri luoghi, nuovi e sognati. Non a caso gli ultimi temi dell’opera poetica “I fiori del male” sono i temi della sera, della notte, della distruzione e della morte, quasi un anelito religioso di liberazione e di redenzione. La morte è ora invocata, ora temuta, «lo scopo della vita e la sola speranza che come un elisir ci rafforza e c’inebria e ci infonde il coraggio di camminare fino a sera» (La morte dei poveri).

Dunque «corriamo all’orizzonte, presto, corriamo, è tardi, che non ci sfugga l’ultimo obliquo ardore! Ma io inseguo invano il Dio che s’allontana!» (Il tramonto del sole romantico).

Seppure nel dubbio, nell’incertezza, si coglie qui la sola luce, la sola spe-ranza, il balenare della ricompensa dopo il lungo travaglio della vita, qui «i frutti si vendemmiano che brama il nostro cuore», «qui si coglie l’ebbrezza di questo strano dolce pomeriggio infinito!» (Il viaggio).

Il dramma espresso in questi versi è il dramma esistenziale, che è alla radi-ce stessa della condizione umana, per la coesistenza e la pari forza dei due termini, il Bene e il Male, il ricatto reale, immediato del Male e l’impulso spirituale verso il Bene, l’Assoluto, Dio.«C’è una specie di incarnazione di Dio nel mondo, di cui la Bellezza è il segno» (Simone Weil). La Bellezza è la velata Epifania di Dio. Come al profeta Elia sul monte Oreb, a noi non è dato su questa terra, di vedere il suo volto. L’inquietante con-clusione di Baudelaire, “il Dio che s’allontana”, richiama il racconto biblico

L’ECO DEL DIO NASCOSTO

Abbiamo il dovere di conoscere tutto ciò che non abbiamo il diritto di rifiutare.Simone Weil

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l’urlo di MunchMirella Lovisolo

«Estate del 1893. Il sole stava calan-do sul fiordo, le nuvole erano color rosso sangue. Improvvisamente, ho sentito un urlo che attraversava la natura. Un grido forte, terribile, acu-to, che mi è entrato in testa, come una frustata. D’improvvi-so l’atmosfera serena si è fatta angosciante, simile a una stretta soffocante: tutti i colori del cielo mi sono sembrati stravolti, irreali, violentissimi. [...] Anch’io mi sono messo a gridare, tappandomi le orecchie, e mi sono sentito un pu-pazzo, fatto solo di occhi e di bocca, senza corpo, senza peso, senza volontà, se non quella di urlare, ur-lare, urlare... Ma nessuno mi stava ascoltando. Ho capito che dovevo gridare attraverso la pittura, e al-lora ho dipinto le nuvole come se fossero cariche di sangue, ho fatto urlare i colori. Non mi riconosce-te, ma quell’uomo sono io. [...]»

L’Urlo di Edvard Munch, un’opera che rappresenta la ricca, quanto esi-stenzialmente tormentata figura del pittore di cui quest’anno si celebra il centocinquantesimo anniversario della nascita. L’arte di Munch espri-

DICIAMOLO CON L’ARTE

l’urlo

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me il dolore più profondo dell’uomo, come un grido d’angoscia che sale dall’inconscio. L’uomo che urla è Munch stesso, urla perché ha paura della morte, urla perché è già mor-to, la testa è un teschio, il corpo è molle e filamentoso, non è un cor-po ma uno spirito, il centro pittorico del quadro è la bocca spalancata, da quella bocca escono le onde sonore dell’urlo che deformano ondularmen-te il paesaggio, come fanno in uno stagno le onde concentriche prodotte dal tonfo di una pietra. L’Urlo è da ritenersi il manifesto dell’angoscia, della solitudine e dell’incomunica-bilità degli interrogativi dell’uomo contemporaneo: «La mia arte affon-da le sue radici nella mia ricerca di una spiegazione alle incoerenze della vita: Perché non ero come gli altri? Perché ero nato quando non mi era stato chiesto?». Un grido che sale dall’anima, un’invocazione. Nell’arte di Edvard Munch troviamo anticipa-ti tutti i grandi temi dell’espressio-nismo: dall’angoscia esistenziale alla crisi dei valori etici e religiosi, dalla solitudine umana, l’incomunicabilità, all’incombere della morte; dall’incer-tezza del futuro alla disumanizzazio-ne di una società borghese e morali-sta. «Io avverto un profondo senso di malessere, che non saprei descrivere a parole, ma che invece so benissimo dipingere».

Edvard Munch nasce il 12 dicembre del 1863 a Loten (Norvegia), città si-tuata a pochi chilometri da Christia-nia (Oslo). Sin dall’infanzia si trova a dover convivere con le immagini del-la malattia, del dolore, della morte. «La malattia, la follia e la morte era-no gli angeli neri che si affacciavano sulla mia culla e mi seguirono per tutta la vita». La madre del pittore muore di tubercolosi quando Edvard aveva cinque anni; pochi anni dopo anche la sorella Sophie che si era occupata di lui in assenza della ma-dre, muore allo stesso modo all’età di sedici anni. Un’altra sorella impaz-zisce; nel 1889 muore suo padre e poi suo fratello. Anche la sua salute è molto precaria, ricoveri e malattie punteggiano la sua vita. Il disegno e la pittura si rivelano da subito per il giovane Edvard strumenti molto ef-ficaci per ricordare, per far rivivere quei morti che hanno riempito la sua vita e per permettergli di convivere con essi, con l’angoscia e il dolore, esorcizzando la stessa morte. «L’arte è un mezzo con cui si possono espri-mere le proprie emozioni ed espiare i propri dolori».Nel dipinto La madre morta e la bambina (1899-1900) Munch rap-presenta ciò che vide all’età di cinque anni, il letto di morte della madre, la sorella di sei anni con gli occhi sbarrati dal terrore, muta, «le mani

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sulle orecchie per allontanare l’ur-lo silenzioso della morte» (Bishoff, 1994). Nel capolavoro Bambina ma-lata (1886), replicato per ben cinque volte, egli «scava» letteralmente il quadro con infiniti colpi di pennello, lo raschia, lo espone alle intemperie, lo riprende e lo rinnova; sarà uno dei temi ossessivi della sua pittura. Di quest’opera disse: «Credo che nes-sun pittore abbia vissuto il suo tema fino all’ultimo grido di dolore come me quando ho dipinto La bambina malata [...]. Non ero solo su quella sedia mentre dipingevo, erano seduti con me tutti i miei cari, che su quella sedia, a cominciare da mia madre, inverno dopo inverno, si struggevano nel desiderio del sole, finché la morte venne a prenderli… Nella casa del-

la mia infanzia abitavano malattia e morte. Non ho mai superato l’infeli-cità di allora, io vivo con i morti; mia madre, mia sorella, mio nonno, mio padre – lui soprattutto». Ovviamen-te incompreso, le sue opere esposte a Oslo e a Berlino vennero defini-te dalla critica come “la produzione pseudopittorica di un nevrastenico”. L’arte era allora ancora sinonimo di bellezza, di armonia, non di deforma-zione e di dolore. I quadri di Munch dagli accostamenti cromatici insoliti, dalle forme incomplete, accennate, deformate, furono per lungo tempo derisi, giudicati come delle ridicole bozze non finite.Per comprendere la produzione ar-tistica di Munch, è necessario con-siderare il periodo storico in cui si

la madre morta e la bambina

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realizza quel processo di modernizza-zione che ha coinvolto l’Europa so-prattutto dal secolo XVIII e che ha posto lentamente in crisi quel mondo “governato da Dio” che da sempre dava senso e sicurezza. Ora, invece, sembra soffocarlo, nascondendogli quella verità “oggettiva” che il pro-gresso scientifico gli offre pur senza dare le risposte alle domande fonda-mentali: chi siamo? perché viviamo? cosa c’é dopo la morte? «La presenza umana nel mondo di-viene spesso incubo... un essere get-tato violentemente nel mondo… alla libertà... gratuita e inutile».La sua vita trascorre senza amore, rifiuta il matrimonio propostogli più volte da Tulla. «La donna che ammi-nistra la vita – scrive Munch – am-ministra anche la morte... un potere distruttivo». Nel quadro “Madonna”, ad esempio, l’estasi amorosa è simile a un abbandono doloroso, in cui l’al-tro, l’uomo, vittima o carnefice che sia, è assente. Così nell’opera Vam-piro è espresso un abbraccio, sotto i lunghi capelli rossi, il sangue che uccide.Tuttavia nonostante l’incomunicabili-tà e l’angoscia, Munch non fu un di-sperato, partecipò alla vita intellettua-le di Christiania, fu amico di scrittori e poeti e fu acclamato come il più grande artista, principalmente in Ger-mania. Conobbe la filosofia di Nietz-

sche e più tardi s’imbatté in quella di Kierkegaard. «La sofferenza più profonda rende l’animo nobile. Solo il dolore immenso, quel dolore lento e prolungato che brucia in noi come legna al fuoco ci obbliga a spingerci dentro noi stessi in profondità [...] ci spinge a farci domande più profonde, rigorose [...]. Senza paura e malattia – aggiunge Munch – la mia vita sa-rebbe una barca senza remi».Quale fu la fede di Munch? Edvard nacque in una famiglia protestante e praticante. Ma il contatto con la vita anticonformista, bohèmien, lo allon-tanò dalla fede paterna. Nel 1929 scrisse: «Si potrebbe dire che sono stato uno scettico, ma che non ha mai negato né preso in giro la religione. Il mio dubbio era più un attacco al superpietismo che ha dominato la mia educazione». A quel Dio ancora visibile scrive: «Tu sei una cosa in-concepibile che si trova in profondità all’interno del protoplasma…, Dio, l’inconcepibile, oltre il pensiero, il grande segreto, la giustizia. Se ho peccato sarò tormentato per sempre. Non l’ho chiesto io, questo mondo […] e ho sentito una voce dentro di me: Uomo, nessuno è cattivo, goditi il sole come le piante, che girano le foglie verso la luce, amatevi gli uni gli altri, siate tolleranti gli uni con gli altri. E quando verrà il tempo di morire, quando raggiungerai il

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sospirato traguardo, allora lascia te stesso volentieri all’aria e alla terra, e gioisci». Golgotha (1900) è il dipinto più esplicitamente religioso di Munch e fa da manifesto al suo confuso crede-re: un povero uomo nudo, crocifisso, vede scorrere intorno una folla irri-verente e beffarda. Il cielo è colore della terra, attraversato da una oppri-mente nube rossastra all’orizzonte... E l’uomo, in primo piamo, col suo sguardo fisso... È un’opera che antici-pa la domanda scandalosa del XX se-colo: «Dove era Dio ad Auschwitz?» Domanda cui hanno risposto Dietrich

Bonhoeffer e Pavel Florenskj con un cammino di fede sino al martirio nei lager. Nel 1934 Munch scrive: «La mia dichiarazione di fede: Mi inchino di fronte a qualcosa che, se si vuole, si potrebbe chiamare Dio; l’insegna-mento di Cristo mi sembra il più bel-lo che c’è».

L’autrice ha qui sintetizzato la sua confe-renza, la terza della serie l’urlo di chi non crede, incontri cafè, tenuta il 15 gennaio u.s. a Torino presso il Caffè del Progresso, corso San Maurizio 69.

golgotha

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I professionisti dell’occulto Laura Rossi

Più avanza la secolarizzazione e più aumentano le pratiche magiche, occul-te ed esoteriche. È un dato di fatto: nei nostri Paesi di antica cristianità, se perde robustezza l’adesione alla fede a causa dell’indifferentismo religioso, entrano in campo e ricevono buona accoglienza culti d’ogni genere, magi-ci e occultistici, esoterici e spiritistici. Si evocano gli spiriti dei trapassati per sapere da loro come è la vita dopo la morte, anziché affidarsi al Dio della misericordia e raccomandargli le per-sone che ci stanno a cuore.

I cosiddetti professionisti dell’occulto, con l’illusione di esserlo o con l’ingan-no, vantano poteri che i comuni morta-li non hanno, classica è la “conoscenza delle cose nascoste” di tutto ciò che in certo qual modo rientra nella sfera del sacro. Per definizione, sacro è tutto ciò che è connesso, più o meno intimamen-te, con la divinità, con la religione e con i suoi misteri, e perciò richiede un particolare atteggiamento di rispetto, di venerazione e di culto a un Dio creatore a cui l’essere umano è totalmente di-pendente. Al contrario, per costoro non c’è alcun mistero impenetrabile poiché tramite le loro arti, possono anche, a dir loro, agire sulla natura e controllarne le leggi. In fondo si ripete quell’aspirazio-ne ad essere come Dio di cui parla la

Bibbia. Ma la creatura che vuol essere come Dio, dato che per sua natura è un essere dipendente e non è in grado di gestire poteri che non ha, quando lo fa o crede di farlo, crea danni a sé ed agli altri, danni psicologici che sono a vol-te irreparabili, soprattutto nelle persone più fragili. Ciò che spinge una persona a recarsi dal mago è analogo a quello che spinge un individuo ad entrare in un gruppo settario. Generalmente sono casi di persone che stanno attraversando fasi particolarmente dolorose e buie della vita, da cui pare che non riescano a venirne fuori da soli. Allora pongono la loro vita nelle mani di chi dice di poter risolvere tutto con filtri o amuleti fidu-ciosi di uscirne soddisfatti, ma vera-mente soddisfatto sarà solo l’operatore che, per le sue arti magiche, intascherà un bel gruzzolo di denaro.

Magia è tutto ciò che riguarda il presun-to potere dell’essere umano sul mondo divino o spirituale. Quest’ultimo, abita-to da innumerevoli creature diaboliche, angeliche, spiriti della natura, spiriti dei trapassati, si piegherebbe al volere uma-no per mezzo di preghiere, scongiuri e riti occulti.Ci sono vari tipi di magia. La magia nera è volta ad arrecare un male o un danno a qualcuno: malattie, sventure

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economiche, dolore, sofferenze senti-mentali, morte, prevede l’invocazione diretta degli spiriti maligni al fine di raggiungere i propri scopi.Di solito il male che si vuole procurare viene arrecato mediante malefici, fattu-re, malocchi, maledizioni, legature, riti woodoo.Il maleficio si compie per mezzo di riti e cerimoniali con la finalità di nuocere alle persone. Si chiama anche fattura perché si agisce con particolari oggetti opportunamente preparati per nuocere.Altro tipo di magia che si pratica è la magia bianca. Essa si propone di ri-solvere in modo benefico alcune situa-zioni, ad esempio far sì che qualcuno si innamori di una tale persona, guarire da una malattia, raggiungere il successo economico e professionale.La magia bianca, a differenza di quella nera, ha la presunzione di operare in armonia con la natura e le forze spi-rituali.La magia fa parte del mondo dell’oc-culto, termine che deriva dal latino occultus (nascosto) e si riferisce alla conoscenza di ciò che è nascosto, non visibile, e anche alla conoscenza del so-prannaturale, in antitesi alla conoscenza di ciò che è visibile o sperimentabile attraverso la scienza.

Nei circoli occultistici si intende un “sa-pere nascosto e conoscenza riservata a pochi” (agli iniziati) o “sapere che deve rimanere nascosto”.

Il mondo dell’occulto si fonda sulle dinamiche inconsce dell’essere umano, cioè nella parte della psiche che è al di fuori della coscienza. Nell’inconscio prende forma la creatività che può espri-mersi con la magia e lo spiritismo.Una pratica occultistica, precisamente lo spiritismo, è molto diffusa anche da noi. Si pratica nei circoli privati tra per-sone “bene” e il numero dei partecipanti alle sedute spiritiche è molto aumentato. Lo spiritismo nacque come pratica eso-terica, cioè riservata agli iniziati, ma di-venne poi essoterica, cioè rivolta a tutti. Si evocano personaggi della storia, ami-ci e parenti defunti, persone scomparse per interrogarle sulla loro situazione di vita, oltre la vita. Fanno parte dell’occultismo i gruppi e le sette iniziatiche esoteriche, dalla Massoneria ai Rosacroce fino alle più recenti sette di autorealizzazione dette anche del potenziale umano. Estreme espressioni della magia e dell’occulti-smo sono i gruppi satanici.

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