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236 CAPITOLO 4 QUALITÀ DELLE ACQUE INTERNE Introduzione La Direttiva Quadro sulle Acque 2000/60/CE ( Water Framework Directive, WFD), recepita con il D.Lgs. 152/2006, ha determinato una radicale trasformazione nelle modalità di controllo e classificazione dei corpi idrici. La sua applicazione si esplica attraverso l’analisi e definizione di quattro aspetti principali: 1. Tipologia: gli Stati membri devono identificare dei tratti distinti e significativi di corpi idrici, sulla base delle caratteristiche idromorfologiche e fisico-chimiche degli stessi. 2. Condizioni di riferimento: per ciascuna tipologia, gli Stati membri devono stabilire un insieme di condizioni di riferimento che riflettano, quanto più possibile, condizioni naturali indisturbate, ovvero di impatto antropico nullo o trascurabile riferite a degli Elementi di Qualità Biologica (EQB), idromorfologica, chimica e chimico-fisica. 3. Reti di monitoraggio: ciascuno Stato membro dovrà mettere a punto delle reti di monitoraggio al fine di: classificare i corpi idrici in una delle 5 classi di stato ecologico, ossia “elevato”, “buono”, “sufficiente”, “scadente”, “pessimo”; evidenziare eventuali cambiamenti nello stato ecologico di bacini idrici definiti “a rischio”. I programmi di monitoraggio dovranno rispondere all’esigenza di evidenziare la risposta dell’EQB agli eventuali impatti cui esso è sottoposto, distinguendo la variabilità spaziale/temporale, relativa ai valori di fondo naturale, dalla variabilità legata agli effetti delle pressioni antropiche sul sistema. 4. Sistema di classificazione: le condizioni riportate per ciascun EQB devono essere confrontate con le condizioni di riferimento. Dal grado di deviazione dalle condizioni di riferimento (Ecological Quality Ratio, EQR) dipenderà l’appartenenza a una delle 5 categorie di stato ecologico. Al fine di fornire indicazioni specifiche per la trattazione di ciascuno dei suddetti aspetti attuativi della WFD, sono stati pertanto emanati tre decreti ministeriali attuativi del D.Lgs. 152/06: il DM 131/2008 recante i criteri tecnici per la caratterizzazione e tipizzazione dei corpi idrici; il DM 56/2009 relativo alle procedure per il monitoraggio e l’identificazione delle condizioni di riferimento per i corpi idrici ; il DM 260/2010 riguardante le modalità di classificazione dello stato dei corpi idrici superficiali. Il DM 260/2010 ha, di fatto, introdotto un approccio innovativo nella valutazione dello stato di qualità dei corpi idrici, integrando sia aspetti chimici sia biologici. Lo stato ecologico viene valutato attraverso lo studio degli elementi biologici (composizione e abbondanza), supportati da quelli idromorfologici, chimici e chimico fisici.

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CAPITOLO 4

QUALITÀ DELLE ACQUE INTERNE

Introduzione La Direttiva Quadro sulle Acque 2000/60/CE (Water Framework

Directive, WFD), recepita con il D.Lgs. 152/2006, ha determinato

una radicale trasformazione nelle modalità di controllo e

classificazione dei corpi idrici. La sua applicazione si esplica

attraverso l’analisi e definizione di quattro aspetti principali:

1. Tipologia: gli Stati membri devono identificare dei tratti distinti

e significativi di corpi idrici, sulla base delle caratteristiche

idromorfologiche e fisico-chimiche degli stessi.

2. Condizioni di riferimento: per ciascuna tipologia, gli Stati

membri devono stabilire un insieme di condizioni di riferimento

che riflettano, quanto più possibile, condizioni naturali

indisturbate, ovvero di impatto antropico nullo o trascurabile

riferite a degli Elementi di Qualità Biologica (EQB),

idromorfologica, chimica e chimico-fisica.

3. Reti di monitoraggio: ciascuno Stato membro dovrà mettere a

punto delle reti di monitoraggio al fine di: classificare i corpi

idrici in una delle 5 classi di stato ecologico, ossia “elevato”,

“buono”, “sufficiente”, “scadente”, “pessimo”; evidenziare

eventuali cambiamenti nello stato ecologico di bacini idrici

definiti “a rischio”. I programmi di monitoraggio dovranno

rispondere all’esigenza di evidenziare la risposta dell’EQB agli

eventuali impatti cui esso è sottoposto, distinguendo la

variabilità spaziale/temporale, relativa ai valori di fondo

naturale, dalla variabilità legata agli effetti delle pressioni

antropiche sul sistema.

4. Sistema di classificazione: le condizioni riportate per ciascun

EQB devono essere confrontate con le condizioni di riferimento.

Dal grado di deviazione dalle condizioni di riferimento

(Ecological Quality Ratio, EQR) dipenderà l’appartenenza a una

delle 5 categorie di stato ecologico.

Al fine di fornire indicazioni specifiche per la trattazione di

ciascuno dei suddetti aspetti attuativi della WFD, sono stati

pertanto emanati tre decreti ministeriali attuativi del D.Lgs. 152/06:

il DM 131/2008 recante i criteri tecnici per la caratterizzazione e

tipizzazione dei corpi idrici;

il DM 56/2009 relativo alle procedure per il monitoraggio e

l’identificazione delle condizioni di riferimento per i corpi idrici;

il DM 260/2010 riguardante le modalità di classificazione dello stato

dei corpi idrici superficiali.

Il DM 260/2010 ha, di fatto, introdotto un approccio innovativo

nella valutazione dello stato di qualità dei corpi idrici, integrando

sia aspetti chimici sia biologici. Lo stato ecologico viene valutato

attraverso lo studio degli elementi biologici (composizione e

abbondanza), supportati da quelli idromorfologici, chimici e

chimico fisici.

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Altra modifica introdotta riguarda le modalità di progettazione del

monitoraggio. Sono previste, infatti, tre diverse tipologie di

monitoraggio: sorveglianza, operativo, indagine, definite in

funzione dello stato di “rischio”, basato sulla valutazione della

capacità di un corpo idrico di raggiungere o meno gli obiettivi di

qualità ambientale previsti per il 2015, cioè il

raggiungimento/mantenimento dello stato ambientale “buono” o il

mantenimento, laddove già esistente, dello stato “elevato”.

A questa direttiva, pietra miliare per le politiche europee sul tema

“acqua”, si sono affiancate nel corso degli anni altre direttive

(spesso riferite come “Direttive figlie”) e comunicazioni della

Commissione Europea per affrontare e fornire disposizioni

dettagliate su alcune specifiche tematiche collegate:

la Direttiva sulle acque sotterranee 2006/118/CE (Groudwater

Directive), recepita con il D.Lgs. 30/2009, che ha fissato i criteri

per l'identificazione e la caratterizzazione dei corpi idrici

sotterranei, ha stabilito gli standard e i criteri per valutare il

buono stato chimico delle acque sotterranee e per individuare e

invertire le tendenze significative e durature all'aumento

dell'inquinamento;

la Direttiva Alluvioni 2007/60/CE (Floods Directive), recepita

con il D.Lgs. 49/2010, che ha come obiettivo la riduzione degli

effetti distruttivi delle inondazioni attraverso la valutazione e la

gestione dei rischi associati a tali eventi, rispettando alcune

scadenze fissate dalla direttiva stessa: la valutazione preliminare

del rischio di alluvioni entro il 2011; la mappatura della

pericolosità e del rischio di alluvioni entro il 2013; la stesura di

piani di gestione del rischio di alluvioni per i distretti idrografici

entro il 2015;

la Comunicazione su siccità e carenza idrica COM(207)414

(Communication on Drought and Water Scarcity) e i successivi

report annuali predisposti dalla Commissione Europea, che

definiscono i settori strategici in cui è necessario intervenire per

migliorare l’uso efficiente delle risorse idriche, ivi compreso una

strategia comune per la definizione di indicatori da adottare per

il monitoraggio della siccità e della scarsità idrica.

Lo stato della qualità delle acque interne Lo stato ecologico del corpo idrico superficiale è classificato in

base alla classe più bassa, risultante dai dati di monitoraggio,

relativa agli elementi biologici, elementi fisico-chimici a sostegno,

elementi chimici a sostegno (altre sostanze non appartenenti

all’elenco di priorità). In caso di monitoraggio operativo, per la

classificazione del triennio, si utilizza il valore peggiore della

media calcolata per ciascun anno; nel caso del monitoraggio di

sorveglianza si fa riferimento al valor medio di un singolo anno.

Qualora lo stato complessivo risulti “elevato”, è necessario

provvedere a una conferma mediante l’esame degli elementi

idromorfologici. Se tale conferma risultasse negativa, il corpo

idrico sarà declassato allo stato “buono”.

Lo stato ecologico

del corpo idrico

superficiale è

classificato in base

agli elementi

biologici, elementi fisico-chimici a

sostegno, elementi

chimici a sostegno.

Per la classificazione dello stato chimico, il corpo idrico che

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soddisfa, per le sostanze dell’elenco di priorità, tutti gli standard di

qualità ambientale (punto 2, lettera A.2.6 tabella 1/A, o 2/A

dell’allegato al DM 260/2010) è classificato in “buono stato

chimico”. In caso negativo, il corpo idrico è classificato come

corpo idrico cui non è riconosciuto il buono stato chimico.

A dicembre del 2011 sono stati pubblicati da ISPRA i risultati

dell’indagine “Stato di implementazione della Direttiva

2000/60/CE in Italia - Risultati della rilevazione effettuata presso le

ARPA/APPA”1. I dati raccolti hanno permesso di tracciare un

quadro complessivo sullo stato di attuazione degli obblighi previsti

dalla WFD, così come trasposti nei decreti suddetti, per le diverse

categorie di acque considerate (fiumi, laghi, acque sotterranee,

acque di transizione, marino-costiere) e per le singole fasi operative

(tipizzazione, individuazione dei corpi idrici, analisi di rischio,

definizione delle reti di monitoraggio, predisposizione dei

programmi di monitoraggio, calcolo delle metriche previste per la

classificazione dello stato di qualità, reporting). È stato inoltre

possibile evidenziare il grado di coinvolgimento delle

ARPA/APPA, autonomamente o congiuntamente ad altri soggetti

istituzionali, nell’intero processo di attuazione.

I dati raccolti attraverso specifici questionari, riguardano le

ARPA/APPA, fatta esclusione di ARPA Molise, Lazio, Basilicata e

Sardegna che non hanno inviato dati.

Di seguito gli elementi significativi emersi dall’analisi delle diverse

fasi.

Stato di

implementazione

della Direttiva 2000/60/CE.

La tipizzazione è stata conclusa nella quasi totalità delle

ARPA/Regioni. Il numero di tipologie fluviali definito nelle singole

regioni appare non correlato al numero di Idroecoregioni presenti

sul territorio, con evidenti anomalie relative a Campania, Veneto,

Friuli-Venezia Giulia e Trento. Questo dato può derivare da

caratteristiche territoriali peculiari, ma anche da una possibile

interpretazione non omogenea della metodologia prevista dal DM

131/2008 per la tipizzazione.

La tipizzazione si è conclusa nella quasi

totalità delle

ARPA/Regioni.

L’attività di definizione dei corpi idrici è stata conclusa nella quasi

totalità delle ARPA/Regioni. Il numero di corpi idrici definito nelle

singole regioni non appare correlato all’estensione del territorio

regionale e/o alla densità del reticolo idrografico, come appare

evidente, ad esempio, dal numero di corpi idrici individuati dalle

province autonome di Trento e Bolzano (412 la prima e 270 la

seconda). Anche in questo caso è probabile un diverso approccio

seguito per la definizione dei corpi idrici. Dai dati risulta anche

evidente un certo grado di disomogeneità nell’individuazione dei

corpi idrici temporanei, probabilmente legato ai diversi metodi e/o

informazioni utilizzati. Il reticolo artificiale (canali e rogge) è stato

diversamente considerato, anche ad esempio all’interno del

Distretto idrografico Padano, come si evince dal numero di corpi

idrici artificiali individuati dalle regioni Piemonte (17), Lombardia

(149), Emilia-Romagna (231), Veneto (126). I dati relativi ai corpi

idrici fortemente modificati risentono del fatto che alcune regioni

L’attività di definizione dei corpi

idrici si è conclusa

nella quasi totalità

delle ARPA/Regioni.

1 ISPRA, Rapporti, n. 150/2011

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non hanno dichiarato alcun numero (Piemonte), in quanto non sono

stati ufficialmente designati dalla regione, altri hanno dichiarato il

numero di quelli designati dalla regione (Liguria), altri ancora il

numero di quelli proposti.

L’analisi di rischio è stata conclusa o avviata nel 76% dei casi.

L’approccio utilizzato è stato omogeneo e ha previsto un’analisi

quali-quantitativa delle pressioni. Per contro, l’attribuzione del

numero di corpi idrici alle tre categorie di rischio previste (a

rischio, non a rischio, probabilmente a rischio) non ha seguito un

approccio omogeneo, come si evidenzia, ad esempio, dal numero di

corpi idrici a rischio definiti dal Veneto (10%) e dalla Toscana

(50%).

L’analisi di rischio è

stata conclusa, o

avviata, nel 76% dei

casi.

La definizione della rete di monitoraggio e la predisposizione del

programma di attività sono state concluse in circa il 50% delle

regioni. Le attività di monitoraggio sono state avviate con

tempistiche differenziate nelle diverse realtà, ma in più del 50% dei

casi sono partite nel 2010. Sia il monitoraggio chimico sia quello

biologico sono stati avviati in quasi il 100% dei casi, mentre quello

morfologico-idrologico nel 50%. La scelta dei parametri chimici e

delle componenti biologiche da monitorare è stata effettuata, nella

quasi totalità dei casi, sulla base dei criteri previsti dal DM

260/2010. Tuttavia, appare evidente una disomogenea distribuzione

nel numero di corpi idrici sottoposti al monitoraggio biologico (1 o

più componenti) rispetto a quelli sottoposti al monitoraggio degli

inquinanti. La pianificazione delle attività di monitoraggio

evidenzia come permanga una certa disomogeneità

nell’interpretazione del significato delle varie tipologie di

monitoraggio previste dalla WFD, anche in relazione a diversi

livelli di dettaglio raggiunti nelle fasi di individuazione delle

categorie di rischio.

La definizione della

rete di monitoraggio

e la predisposizione

del programma di

attività sono state

concluse in circa il

50% delle regioni.

Per fiumi e laghi, tenendo presente i risultati emersi dal citato

Rapporto, relativamente alle attività di monitoraggio svolte nel

corso del 2010, si riportano i dati trasmessi in tempo utile e

limitatamente a tre indicatori biologici, del Piemonte, Friuli-

Venezia Giulia, Toscana e delle due provincie autonome di Trento

e Bolzano (Tabella 4.1-4.2).

Tabella 4.1: Stazioni di monitoraggio2

Regione/Provincia

autonoma

Stazioni fiumi Stazioni laghi

macroinvertebrati diatomee fitoplancton

n.

Piemonte 178 92 26

Bolzano/Bozen 24 24 2

Trento 21 26 8

Friuli-Venezia

Giulia

155 261

Toscana 146 119

TOTALE 524 522 36

2 Fonte: ISPRA, Rapporti, n. 150/2011

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Tabella 4.2: Monitoraggio biologico, suddivisione in classi di

qualità (2010)3

Fitoplancton laghi

Regione/Provincia autonoma Classe

Elevato Buono Sufficiente Scarso Cattivo TOTALE

Piemonte 8 12 6 26

Bolzano/Bozen 2 2

Trento 1 6 1 8

TOTALE 10 13 12 1 36

Diatomee fiumi

Regione/Provincia autonoma Classe

Elevato Buono Sufficiente Scarso Cattivo TOTALE

Piemonte 43 32 9 8 92

Bolzano/Bozen 17 5 22

Trento 24 1 1 26

Friuli-Venezia Giulia 134 41 27 15 3 220

Toscana 44 59 14 2 119

TOTALE 262 138 50 26 3 479

Macroinvertebrati fiumi

Regione/Provincia autonoma Classe

Elevato Buono Sufficiente Scarso Cattivo TOTALE

Piemonte 18 64 68 20 8 178

Bolzano/Bozen 12 4 16

Trento 7 2 5 1 6 21

Friuli-Venezia Giulia 7 58 54 10 1 130

Toscana 16 78 36 15 1 146

TOTALE 60 206 163 46 16 491

La parziale copertura dei dati riportati rende poco significativa una

loro interpretazione ai fini dello stato dei corpi idrici a livello

nazionale. Peraltro, a causa del monitoraggio stratificato, i dati

riferiti al monitoraggio biologico non sono ancora integrabili con

quelli del chimico o dell’idromorfologico talvolta differiti nel

tempo e nello spazio e, quindi, non è possibile fornire la

valutazione dello stato complessivo (ecologico e ambientale).

Una copertura territoriale più significativa e un numero maggiore di

dati si avranno al completamento del primo ciclo sessennale di

monitoraggio (2010-2015).

La qualità delle acque sotterranee viene rappresentata dall’indice

SCAS (Stato Chimico delle Acque Sotterranee) che evidenzia le

zone sulle quali insistono criticità ambientali rappresentate dagli

impatti di tipo chimico delle attività antropiche sui corpi idrici

sotterranei. È importante definire lo stato chimico di ciascun corpo

idrico sotterraneo, perché, insieme allo stato quantitativo,

determinato dal regime dei prelievi di acque sotterranee e dal

ravvenamento naturale di queste ultime che dipende dal regime

climatico, permette la definizione dello stato complessivo del corpo

idrico. Gli impatti sullo stato chimico delle acque sotterranee

vengono quantificati periodicamente attraverso l’analisi chimica

delle acque, finalizzata all’individuazione di sostanze inquinanti e

Lo Stato Chimico

delle Acque

Sotterranee definisce

la qualità della

risorsa idrica.

Si ottiene

analizzando la

presenza sia degli

inquinanti derivanti

dalle attività antropiche, sia dei

parametri chimici di

origine naturale

presenti negli

acquiferi.

3 Fonte: ISPRA, Rapporti, n. 150/2011

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all’eventuale aumento di concentrazione nel tempo. Diverse sono le

sostanze indesiderate o inquinanti presenti nelle acque sotterranee

che possono compromettere gli usi pregiati della risorsa idrica,

come ad esempio quello potabile, ma non per questo tutte le

sostanze indesiderate sono sempre di origine antropica. Esistono,

infatti, molte sostanze ed elementi chimici che si trovano

naturalmente negli acquiferi la cui origine geologica non può essere

considerata causa di impatti antropici sulla risorsa idrica

sotterranea. Ad esempio, in acquiferi profondi e confinati di

pianura si possono naturalmente riscontrare metalli come ferro,

manganese, arsenico, oppure sostanze quali ione ammonio, anche

in concentrazioni molto elevate, per effetto della degradazione

anaerobica della sostanza organica sepolta (torbe). In questi

contesti, anche la presenza di cloruri (salinizzazione delle acque)

può essere riconducibile alla presenza di acque “fossili” di origine

marina. Nei contesti geologici caratterizzati, invece, da formazioni

di origine vulcanica (Toscana, Lazio, Campania) possono essere

naturalmente presenti sostanze riconducibili a composti di zolfo,

fluoruri, boro, arsenico, mercurio. Anche metalli come il cromo

esavalente possono essere di origine naturale in contesti geologici

di metamorfismo, sia nella zona alpina sia appenninica, come ad

esempio nelle zone a ofioliti (pietre verdi). Al contrario, è

indicativa di impatto antropico di tipo chimico sui corpi idrici

sotterranei la presenza di fitofarmaci, microinquinanti organici,

nitrati con concentrazioni medio-alte, intrusione salina. Lo stato

chimico delle acque sotterranee, pertanto, è quello influenzato dalla

sola componente antropica delle sostanze indesiderate trovate, una

volta discriminata la componente naturale attraverso la

quantificazione del suo valore di fondo naturale per ciascun corpo

idrico sotterraneo.

L’indice SCAS viene rappresentato, per ciascuna stazione di

monitoraggio dei corpi idrici sotterranei, in due classi, "buono" e

"scarso". Fino al 2009 lo SCAS era invece rappresentato da 5 classi

di stato (D.Lgs. 152/99), di cui una, la classe 0, rappresentava le

acque aventi stato chimico non pregiato per cause di tipo naturale,

mentre le altre 4 rappresentavano un impatto antropico crescente

passando dalla classe 1 alla 4. L’attuale classe di stato chimico

"buono" identifica, quindi, le acque in cui le sostanze inquinanti o

indesiderate hanno una concentrazione inferiore agli standard di

qualità fissati dalle direttive europee, o ai valori soglia fissati a

livello nazionale. Questi ultimi possono essere modificati dalle

regioni, sia per le diverse sostanze sia per ciascun corpo idrico,

qualora la concentrazione di fondo naturale dovesse risultare

superiore al valore di soglia fissato. In altre parole, nella classe

"buono" rientrano tutte le acque sotterranee che non presentano

evidenze di impatto antropico e anche quelle in cui sono presenti

sostanze indesiderate o contaminanti, ma riconducibili a un’origine

naturale. Al contrario, nella classe "scarso" rientrano tutte le acque

sotterranee che non possono essere classificate nello stato "buono"

e nelle quali risulta evidente un impatto antropico.

La classificazione

dello stato chimico

delle acque

sotterranee prevede,

secondo il D.Lgs.

30/2009, due classi,

ovvero stato “buono” e stato “scarso”.

Il monitoraggio chimico delle acque sotterranee viene effettuato

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con campagne di misura ogni anno sempre più organizzate,

derivanti da programmi e reti di monitoraggio (sorveglianza e

operativo) che sono in continuo miglioramento, al fine di

adempiere correttamente agli indirizzi previsti dalla normativa per

il calcolo dello SCAS e per il monitoraggio degli impatti antropici.

La completa attuazione delle Direttive europee 2000/60/CE e

2006/118/CE, per le quali è stato emanato il D.Lgs. 30/2009, inizia

con il monitoraggio 2010 e, pertanto, si attende in pochi anni il

superamento delle problematiche connesse al consolidamento delle

reti di monitoraggio. In Figura 4.1 sono evidenziate le ripartizioni

percentuali delle tipologie di programma di monitoraggio, per

quelle regioni/province autonome che hanno inviato i dati: le

province autonome di Trento e Bolzano e il Lazio non hanno

stazioni con programma operativo, contrariamente alla Lombardia

in cui al momento risultano tutte nel solo programma operativo.

Campania e Liguria hanno previsto per tutte le stazioni un

programma di sorveglianza e operativo, mentre le rimanenti regioni

presentano situazioni differenziate. Nel 2010 tutte le regioni hanno

avviato il nuovo monitoraggio chimico che prevede, rispetto al

passato, frequenze pluriannuali di campionamento e anche

raggruppamenti di corpi idrici. Ciò ha determinato per il 2010 una

visione parziale del contesto nazionale, che si completerà nel corso

del periodo di gestione pari a 6 anni (Figura 4.2).

Figura 4.1: Tipologia e consistenza del monitoraggio chimico

delle acque sotterranee per ambito territoriale (D.Lgs. 30/09)4

Le province

autonome di Trento e

Bolzano e il Lazio

non hanno stazioni

con programma

operativo.

La Lombardia presenta tutte

stazioni nel solo

programma

operativo.

Campania e Liguria

hanno previsto per

tutte le stazioni un

programma di

sorveglianza e

operativo.

4 Fonte: Elaborazione ISPRA su dati forniti da regioni, province autonome e ARPA/APPA

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Note:

Giudizio di qualità attribuito alle classi (D.Lgs. 30/2009)

Buono - La composizione chimica del corpo idrico sotterraneo è tale che le concentrazioni di

inquinanti non presentano effetti di intrusione salina, non superano gli standard di qualità

ambientale e i valori soglia stabiliti e, infine, non sono tali da impedire il conseguimento degli

obiettivi ambientali stabiliti per le acque superficiali connesse né da comportare un

deterioramento significativo della qualità ecologica o chimica di tali corpi né da recare danni

significativi agli ecosistemi terrestri direttamente dipendenti dal corpo idrico sotterraneo.

Scarso - Quando non sono verificate le condizioni di buono stato chimico del corpo idrico

sotterraneo.

Figura 4.2: Stato chimico delle acque sotterranee (2010)5

Il 2010 presenta una

visione parziale dello

SCAS, che si

completerà nel corso

del periodo di

gestione pari a 6

anni.

La misura sistematica e l’analisi delle variabili idro-meteorologiche

quali: temperatura, precipitazione e portata, ricoprono un ruolo

fondamentale per l’azione conoscitiva del territorio, per

l’elaborazione del bilancio idrologico, per lo studio e la

prevenzione di eventi estremi e di fenomeni indotti (inondazioni,

siccità, frane, ecc.), e più in generale per valutare l’andamento della

situazione climatica. Il monitoraggio risponde anche a precisi

adempimenti previsti da legge in materia ambientale. Ne è un

esempio il monitoraggio delle portate dei corsi d’acqua, che

permette di fornire una valutazione sulla capacità di risposta di un

bacino a un evento meteorico, indispensabile ai fini di difesa del

suolo e all’adempimento agli obblighi previsti nel D.Lgs. 49/2010,

attuativo della Direttiva “Alluvioni”, nonché necessaria alla

valutazione del bilancio idrologico e dello stato ecologico dei corpi

idrici, così come indicato nel D.Lgs. 152/2006 e nella Direttiva

Quadro sulle Acque.

La misura e l’analisi

delle variabili idro-

meteorologiche

hanno un ruolo

chiave per la

conoscenza del territorio,

l’elaborazione del

bilancio idrologico e

per la prevenzione

degli eventi estremi.

Tali misure sono generalmente eseguite dalle strutture regionali

subentrate agli Uffici periferici del Servizio Idrografico e

Mareografico Nazionale (SIMN), nonché dall’Aeronautica Militare,

dai servizi meteorologici regionali e dai gestori delle reti

agrometeorologiche. Il monitoraggio quantitativo viene effettuato

5 Fonte: Elaborazione ISPRA/ARPA Emilia-Romagna su dati forniti da regioni, province

autonome e ARPA/APPA

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secondo standard, protocolli e procedure stabilite, come quelle

pubblicate dal SIMN nel quaderno “Norme tecniche per la raccolta

e l’elaborazione dei dati idrometeorologici – parte I e parte II”, e

conformemente alle norme del World Meteorological Organization

(WMO).

Per quanto riguarda le portate del 2010, i relativi volumi annui

registrati per le tre sezioni di chiusura del Tevere a Ripetta, Adige a

Boara Pisani e Po a Pontelagoscuro sono superiori sia a quelli

dell’anno precedente sia a quelli medi calcolati nel decennio di

confronto 2001-2010 (Figura 4.3). Questo rappresenta

un’inversione di tendenza per la sezione del Tevere a Ripetta, dove

nel 2009 i volumi defluiti si sono mantenuti leggermente al di sotto

di quelli relativi al decennio precedente. Tuttavia, per disporre di

dati di portata confrontabili con il passato, occorrerebbe tener conto

delle azioni antropiche esercitate nel corso degli anni sul regime

delle acque, quali ad esempio prelievi, derivazioni, opere di invaso.

Nel 2010, le portate

registrate nelle tre

sezioni di chiusura del Tevere a Ripetta,

dell’Adige a Boara

Pisani e del Po a

Pontelagoscuro sono

superiori a quelle

registrate l’anno

precedente.

Per caratterizzare le variazioni dei deflussi di un corso d’acqua

rispetto al periodo di riferimento, è necessario analizzare il valore

normalizzato della portata media mensile, ottenuto dal rapporto tra

le portate medie mensili registrate nel 2010 e quelle ricavate

mediando i valori del decennio precedente (2001-2010). In questo

caso si osserva come, per la stazione di misura dell’Adige a Boara

Pisani, nei primi mesi dell’anno (ad eccezione di gennaio) e nel

mese di luglio, i valori di portata media mensili siano stati inferiori

alla media del decennio, pur non scendendo mai al di sotto del 25%

della portata di confronto (Figura 4.4).

Figura 4.3: Confronto tra volumi annui defluiti nel 2010 a

chiusura di alcuni bacini nazionali/interregionali e quelli

defluiti rispettivamente nell'anno e nel decennio precedente6

6 Fonte: ISPRA, ARPA/APPA, Regioni e Province autonome

43.920

5.217

5.866

55.878

4.701

6.665

7.790

7.271

60.468

0

5.0

00

10

.00

0

15

.00

0

20

.00

0

25

.00

0

30

.00

0

35

.00

0

40

.00

0

45

.00

0

50

.00

0

55

.00

0

60

.00

0

65

.00

0

PO A

PONTELAGOSCURO

TEVERE A RIPETTA

ADIGE A BOARA

PISANI

Volumi (Mm3)

Volume annuo 2010

Volume annuo 2009

Volume medio annuo 2001-2010

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245

Figura 4.4: Rapporto tra la portata media mensile del 2010 per le

sezioni di chiusura di Tevere a Ripetta, Adige a Boara Pisani e Po

a Pontelagoscuro (linee continue) e la portata media mensile

calcolata sul decennio 2001-2010 (linea tratteggiata)7

La stazione di

misura dell’Adige

a Boara Pisani,

nei primi mesi

dell’anno (eccetto

gennaio) e nel

mese di luglio,

presenta dei

valori di portata media mensili

inferiori alla

media del

decennio, pur non

scendendo mai al

di sotto del 25%

della portata di

confronto.

Per quanto riguarda le precipitazioni del 2010, la carta tematica dei

totali annui (Figura 4.5), ottenuta attraverso il ragguaglio spaziale

delle piogge misurate, fornisce un’informazione a scala nazionale sui

volumi d’acqua affluiti nei bacini italiani.

La carta è stata realizzata attraverso l’interpolazione spaziale (metodo

del kriging su griglia a 1 km) dei valori rilevati da 1.505 stazioni

pluviometriche disponibili sul territorio nazionale.

Il rapporto tra il quantitativo di precipitazione totale occorsa nel 2010

e la precipitazione annua media relativa al trentennio di riferimento

1961-1990 fornisce una chiara indicazione del surplus di

precipitazione che ha caratterizzato, nel 2010, gran parte del territorio

italiano (Figura 4.6).

Il 2010 è stato particolarmente piovoso per il versante orientale della

Sicilia, per la dorsale appenninica centro-settentrionale e per l’area

della pianura padano-veneta.

Sono state, invece, registrate precipitazioni inferiori alla media lungo

l’arco alpino, specie sul versante occidentale, su parte della costa del

basso Adriatico e lungo il versante orientale della Sardegna.

Nel 2010, gran parte del

territorio italiano

è stata

caratterizzata da

intense piogge.

In particolare, il

versante orientale

della Sicilia, la

dorsale

appenninica

centro-settentrionale, la

pianura padano-

veneta.

7 Fonte: ISPRA, ARPA/APPA, Regioni e Province autonome

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246

Figura 4.5: Precipitazioni totali annue con indicazione delle

stazioni pluviometriche utilizzate (2010)8

Figura 4.6: Rapporto tra le precipitazioni totali annue del 2010 e

la media delle precipitazioni totali annue sul trentennio 1961-

19909

Il 2010 è stato particolarmente

piovoso per il

versante orientale

della Sicilia, per la

dorsale

appenninica

centro-

settentrionale e per

l’area della

pianura padano-

veneta. Per contro,

precipitazioni inferiori alla media

si rilevano lungo

l’arco alpino e

nella Sardegna

orientale.

In questa edizione è stata introdotta la valutazione della siccità

idrologica. La siccità è una condizione temporanea e relativa di

scarsità idrica, definita come uno scostamento rispetto a condizioni

climatiche medie di un determinato luogo di interesse. L’impatto

Siccità idrologica.

8 Fonte: ISPRA, ARPA/APPA, Regioni e Province autonome 9 Fonte: Ibidem

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247

sull’ambiente è legato al perdurare di tali condizioni siccitose. Una

carenza di piogge prolungata per molti mesi (6-12 mesi) tende ad

avere effetti sulla portata dei fiumi; il perdurare di tale carenza per

un periodo maggiore (uno o due anni) non farà altro che aggravare

la disponibilità di acqua nelle falde.

Alla luce della Comunicazione COM(2007)414 sulle problematiche

di siccità e carenza idrica, la Commissione europea (attraverso il

Joint Research Centre), in collaborazione con gli Stati membri, ha

sviluppato un Osservatorio europeo della siccità (EDO – European

Drought Observatory10

) e definito una serie di indici e strumenti

per la valutazione, il monitoraggio e la previsione della siccità a

scala europea.

Uno degli indici utilizzati dal bollettino EDO per il monitoraggio

della siccità è lo Standardized Precipitation Index (SPI). Questo

indice è comunemente usato, sia a livello internazionale sia

nazionale, per quantificare statisticamente, su una data scala

temporale e spaziale, il deficit o il surplus di precipitazioni rispetto

alla corrispondente media climatologica. Il monitoraggio fornito da

EDO, basato su un sotto-campione a scala europea di stazioni

pluviometriche, non prescinde però dall’effettuare un monitoraggio

a scala nazionale e regionale, tale da fornire maggiori dettagli sulle

situazioni di siccità. Alcune ARPA (come ad es. l’ARPA Emilia-

Romagna, l’ARPA Piemonte e l’ARPA Sardegna) hanno già, da

diverso tempo, inserito nei propri bollettini idrologici il

monitoraggio della siccità attraverso l’impiego dello SPI. A livello

nazionale, l’ISPRA fornisce un monitoraggio mensile della siccità

sul territorio nazionale (e anche su alcune particolari aree del

continente e del bacino del Mediterraneo) attraverso il calcolo di

mappe di SPI a 3, 6, 12 e 24 mesi, utilizzando come dati di

precipitazione le rianalisi su grigliati a 2.5° del National Centers for

Environmental Prediction/Department of Energy (NCEP/DOE

reanalysis).

Per il monitoraggio

della siccità si

utilizza lo

Standardized

Precipitation Index

(SPI), che quantifica

il deficit o surplus di

precipitazioni rispetto alla

corrispondente media

climatologica.

Su un tempo di cumulata di 12 mesi, utile cioè al fine del

monitoraggio della siccità idrologica, le mappe di SPI – calcolate

prendendo come riferimento climatologico il periodo 1948-2009 –

non evidenziano per il 2010 fenomeni di siccità (SPI < 0) tali da

avere effetti sulle portate dei fiumi o sulla disponibilità di acqua

nelle falde. Nel 2010 si rileva, invece, specie a novembre e a

dicembre, un surplus di precipitazione (1,5 < SPI < 2,5) rispetto alla

media climatologica su alcune aree italiane centro-settentrionali

(Figura 4.7).

Nel 2010 si riscontra

un surplus di

precipitazione su

alcune aree centro –

settentrionali

dell’Italia.

10 http://edo.jrc.ec.europa.eu/

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248

Legenda:

>2 estremamente umido; da 1,5 a 1,99 molto umido; da 1,0 a 1,49 moderatamente umido; da -

0,99 a 0,99 vicino alla norma; da -1 a 1,49 siccità moderata; da -1,5 a 1,99 siccità severa; <-2

siccità estrema

Figura 4.7: Standardized Precipitation Index a 12 mesi

(novembre e dicembre 2010)11

Si evidenzia, nel

2010, un surplus di

precipitazione

(1,5<SPI<2,5)

rispetto alla media

climatologica su

alcune aree centro –

settentrionali

dell’Italia.

Le principali cause di alterazione L’acqua usata in ambito domestico, agricolo, zootecnico e

industriale spesso contiene sostanze che alterano l’ecosistema, per

cui non può essere scaricata direttamente nei corsi d’acqua e nel

suolo. Gli agenti inquinanti delle acque più comuni sono gli

inquinanti fecali, le sostanze inorganiche tossiche e nocive, le

sostanze organiche non naturali, oli ed emulsionanti, solidi sospesi,

calore, ecc.

La massiccia antropizzazione e industrializzazione delle aree urbane

determina spesso scarichi di fognature civili non depurati, scarichi

L’inquinamento

delle acque deriva

11 Fonte: Elaborazione ISPRA su dati NCEP/DOE Reanalysis data, Bollettino ISPRA di siccità

(http://www.isprambiente.gov.it/pre_meteo/siccitas/index.html)

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249

dei residui di materie prime e dei prodotti intermedi e finali

dell’industria, il dilavamento di rifiuti e inquinanti delle aree

cementificate adibite ad attività di servizi. I sistemi di collettamento

e di depurazione, in alcuni casi, risultano inadeguati e non idonei

(potenzialità, livelli di trattamento, assenza di vasche di prima

pioggia) ad abbattere il carico inquinante dei volumi di acque reflue

e industriali prodotti da vasti agglomerati. A ciò si aggiungono,

inoltre, la difficoltà del controllo degli scarichi puntuali nel settore

industriale e la scarsa sensibilità verso tali problematiche da parte di

alcuni operatori dei vari settori produttivi.

principalmente

dall’attività

dell’uomo.

La grande industria determina oltre che l’inquinamento da sostanze

inorganiche tossiche e nocive (ioni di metalli pesanti quali Cr6+

,

Hg2+

, Cd2+

, Cu2+

, CN-, fosfati e polifosfati) e da sostanze organiche

non naturali (acetone, trielina, benzene, toluene, ecc.), anche

l’inquinamento termico che, con la modifica della temperatura

dell’acqua, va ad alterare gli equilibri chimici e biochimici dei corpi

idrici diminuendo la solubilità dell’ossigeno disciolto, provocando

così alterazioni patologiche o la scomparsa di alcune specie viventi o

lo sviluppo di altre normalmente assenti.

Dall’industria

deriva

l’inquinamento

chimico e termico.

Il fenomeno dell’industrializzazione è responsabile anche delle

piogge acide, determinate dalla contaminazione dell’acqua piovana

da parte dei gas presenti nell’atmosfera (anidride carbonica, anidride

solforosa, biossido di azoto, ecc.), che hanno effetti dannosi sugli

ecosistemi acquatici. Le conseguenze sugli organismi acquatici

possono essere sia dirette, dovute alla tossicità delle acque, sia

indirette, dovute alla scomparsa di vegetali o delle prede più sensibili

all’acidificazione e che costituiscono parte della catena alimentare.

I gas inquinanti

dell’aria determinano le

“piogge acide”,

con conseguenze

dirette e indirette

sugli organismi

acquatici, oltre a

causare danni per

la salute umana.

Infatti, l’acidità dei fiumi e dei laghi può modificare le popolazioni

di diatomee e di alghe brune e può alterare anche la distribuzione e la

varietà della fauna ittica. Inoltre, può indirettamente causare danni

alla salute umana, qualora siano consumati alimenti provenienti da

acque acide, per esempio pesci che abbiano accumulato nel loro

corpo grandi quantità di metalli tossici (alluminio, manganese, zinco,

mercurio, cadmio).

Anche il prelievo eccessivo di acqua può alterare la qualità della

risorsa idrica. Le aree fortemente antropizzate costituiscono un nodo

critico per l’elevata domanda di acqua per usi civili, industriali,

agricoli, ricreativi. Infine, un eccessivo prelievo di acque di falda in

zone costiere può determinare un’intrusione di acqua di origine

marina nella falda stessa, salinizzandola e rendendola non più idonea

agli usi legittimi cui può essere destinata.

La presenza di allevamenti zootecnici intensivi genera forti pressioni

dovute ai liquami prodotti e al dilavamento delle deiezioni. L’uso

massiccio in agricoltura di fertilizzanti e di prodotti fitosanitari, può

causare impatti sulla vita acquatica e modificazioni delle acque per

uso potabile sia superficiali sia sotterranee.

Le aree fortemente

antropizzate

costituiscono un

nodo critico per

l’elevata domanda

di acqua.

I residui della

zootecnia e l’uso massiccio di

fitosanitari e

fertilizzanti in

agricoltura possono

causare impatti

sulla vita acquatica.

Un problema emergente nei bacini di acqua dolce è quello delle

fioriture algali potenzialmente tossiche.

I bacini d’acqua dolce rappresentano una delle risorse più importanti

per la vita dell’uomo, non solo per tutte le attività che ruotano

Fioriture algali.

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250

intorno a essi, ma anche perché sono fonti idriche di riserva

utilizzabili direttamente. Per il costante aumento del processo di

industrializzazione e per l’incremento delle attività agricole in Italia

(e nel resto del mondo), questi bacini sono andati generalmente

incontro a un processo di “eutrofizzazione”, ovvero un aumento di

sostanze inorganiche caratterizzate da azoto e fosforo sotto forma di

nitrati, nitriti, ammonio e fosfati inorganici.

Questa eccessiva “fertilizzazione” ha portato negli ultimi anni

all’aumento della presenza di organismi come le alghe, che quando

si moltiplicano oltre certi livelli danno luogo al fenomeno definito

fioritura (o “bloom”) algale.

Nei bacini idrici maggiormente eutrofizzati, dove l’ambiente

acquatico è più degradato, prendono spesso il sopravvento specie “di

frontiera”, capaci di produrre sostanze altamente tossiche.

L’eccessiva

fertilizzazione comporta l’aumento

della presenza di

alghe.

La presenza di cianobatteri, o alghe verde-azzurre, nelle acque dolci

rappresenta un problema sanitario rilevante a causa della loro

capacità di produrre sostanze tossiche (cianotossine) alle quali

l’uomo può essere esposto attraverso varie vie.

Le fioriture di specie come Microcystis aeruginosa, Planktothrix

rubescens, Anabaena flosaquae e altri cianobatteri, produttori di

tossine, sono segnalate da decenni in tutto il mondo con frequenze

alte negli USA, Australia, Giappone e Sud Africa. In Italia, fioriture

algali riconducibili a specie tossiche di cianobatteri stanno causando

problemi sia dal punto di vista ecologico sia sanitario.

A oggi, in letteratura si riportano episodi dovuti alla loro presenza e

fioritura che hanno interessato in totale 61 laghi e invasi artificiali12

.

Le tossine più frequentemente riscontrate, le microcistine, sono a

tutti gli effetti nuove sostanze di rischio oncogeno da seguire nel loro

“destino” ambientale e in tutti i passaggi della catena alimentare.

La presenza dei cianobatteri nelle acque superficiali ha origine

naturale. Tuttavia, l’aumento dell’eutrofizzazione ha favorito la loro

crescita anche a livelli elevati, con la conseguente formazione di

fioriture visibili anche a occhio nudo.

La presenza di

cianobatteri

rappresenta un

rilevante problema

sanitario, a causa

della loro capacità

di produrre

sostanze tossiche per l’uomo.

Le fioriture di cianobatteri nelle acque dolci destinate al consumo

umano stanno diventando un problema molto sentito in tutto il

mondo, anche a causa del riscaldamento globale che contribuisce

alla concentrazione dei nutrienti negli invasi sfruttati e non ricaricati

dalle diminuite precipitazioni.

La presenza di una specie tossica nel fitoplancton lacustre non è di

per sé indicativa di rischio ecologico, tuttavia, l’aumento della

concentrazione dei nutrienti, insieme ad altri fattori come

temperatura, profondità del lago, bruschi abbassamenti di livello

dovuti ai prelievi necessari, ad esempio, per la produzione di energia

elettrica, innesca fenomeni eutrofici.

Inoltre, i laghi che ospitano fioriture di specie tossiche danno origine

anche a un nuovo e pericoloso fattore di rischio, la cui incidenza non

è ancora del tutto valutabile.

Le tossine prodotte sono in grado di percolare attraverso gli strati

Altro fattore di

rischio è il

percolamento delle

tossine, prodotte

dalle fioriture, nei

terreni e falde

12 Rapporti ISTISAN 11/35 pt 1 e 2, 2011, Cianobatteri in acque destinate al consumo umano.

Stato della conoscenza per la valutazione del rischio

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251

geologici, e da questi raggiungere i terreni e le falde idriche

circostanti che concorrono alla creazione dei laghi stessi.

Dalle falde le tossine possono arrivare alle riserve e ai pozzi artesiani

creati per usi potabili, e successivamente, alle reti idriche cittadine.

idriche, che

raggiungono le

riserve create per

usi potabili e, poi,

le reti idriche

cittadine.

Gli strumenti per la tutela quali-quantitativa delle acque:

evoluzione e stato dell’arte

L’evoluzione degli strumenti per la tutela quali-quantitativa delle

acque in Italia va letta nel quadro del processo di adeguamento

complessivo della legislazione nazionale alle prescrizioni normative

comunitarie in materia di acqua, in particolar modo della WFD.

L’elemento portante della WFD è la gestione integrata delle acque a

livello di bacino idrografico, attraverso un approccio teso a superare

la logica dei confini amministrativi, in una visione di sistema

particolarmente attenta agli aspetti biologici.

L’obiettivo della direttiva di proteggere, migliorare e ripristinare lo

stato di tutti i corpi idrici superficiali si esplica nel raggiungimento

del “buono stato” entro il termine temporale del 2015.

Il buono stato è la condizione in cui i valori degli elementi di qualità

biologica associati a un certo tipo corpo idrico superficiale,

presentano livelli poco elevati di distorsione dovuti all’attività

antropica e, di conseguenza, differiscono solo lievemente da quelli

generalmente associati a quella tipologia di corpo idrico in

condizioni inalterate13

. Ciò implica che, per il raggiungimento degli

obiettivi fissati, la direttiva richiede l’attuazione di un approccio

integrato volto alla tutela e al ripristino di tutti i fattori che

concorrono alla definizione stessa dello stato del corpo idrico.

In definitiva, l’obiettivo generale della Direttiva WFD è di mantenere

o di riportare il corpo idrico in uno stato qualitativo che si discosti

“poco” dalle condizioni prive di impatto antropico.

In questo contesto, la direttiva definisce un rigoroso processo per fasi

che culmina nell’adozione di un particolare strumento di governo dei

bacini idrografici, da sottoporre a verifica e aggiornamento

periodico: il Piano di gestione distrettuale.

Esso rappresenta lo strumento operativo attraverso il quale si devono

pianificare, attuare e monitorare le misure per la protezione, il

risanamento e il miglioramento dei corpi idrici superficiali e

sotterranei e agevolare un utilizzo sostenibile delle risorse idriche14

.

Il Piano di gestione distrettuale è lo

strumento

attraverso il quale

si devono

pianificare, attuare

e monitorare le

misure per la

protezione,

risanamento e

miglioramento dei

corpi idrici.

13

In corrispondenza del buono stato i parametri idromorfologici e quelli fisici e fisico-chimici

devono presentare, di conseguenza, condizioni coerenti con il raggiungimento dei valori fissati

per gli elementi biologici 14 Dal un punto di vista delle azioni di tutela, il cuore del Piano di gestione è rappresentato dal

programma di misure che deve essere disegnato in modo da integrare tutti gli aspetti inerenti la

tutela delle acque, tenendo conto delle caratteristiche del distretto idrografico, dell'impatto delle

attività umane sullo stato delle acque superficiali e sotterranee e dell'analisi economica

dell'utilizzo idrico. Le misure sono articolate in "misure di base" (attuative della normativa

comunitaria e finalizzate anche al recupero dei costi del servizio idrico e a garantire un impiego

efficiente e sostenibile dell'acqua) e "misure supplementari", ossia provvedimenti studiati e messi

in atto a complemento delle misure di base al fine di perseguire gli obiettivi di qualità ambientale

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252

Gli aspetti più innovativi del Piano di gestione, rispetto ad approcci

più tradizionali, consistono essenzialmente nel fatto che esso:

racchiude e armonizza in un unico strumento azioni richieste da

altre direttive in altri campi e altri settori (agricoltura, difesa del

suolo, aree protette, ecc.);

richiede la puntuale valutazione della sostenibilità tecnica e,

soprattutto, economica delle scelte effettuate attraverso il ricorso a

specifici strumenti come l’analisi economica, l’analisi costi-

benefici e l’analisi costi-efficacia;

è elaborato attraverso l’attivazione di meccanismi di

partecipazione pubblica.

Aspetti innovativi

del Piano di

gestione.

In Italia, il processo di recepimento della WFD nel sistema

legislativo nazionale ha registrato un sostanziale avanzamento con

l’emanazione del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i., che ha modificato e

integrato l’assetto normativo previgente – basato sostanzialmente

sulle Leggi n. 183/1989 e n. 36/1994 e sul D.Lgs. n. 152/1999 – che

nel complesso già anticipava alcune delle innovazioni introdotte

dalla Direttiva 2000/60/CE.

La L 183/1989, infatti, con 11 anni di anticipo rispetto alla WFD,

aveva introdotto il concetto di pianificazione di bacino, avviando la

costituzione di un sistema integrato di tutela e gestione del territorio

su scala di bacino idrografico.

In tale quadro, il Piano di Tutela regionale delle Acque (PTA -

introdotto attraverso il D.Lgs. 152/99), che anticipava alcuni dei

contenuti della WFD15

, era stato concepito come uno stralcio

funzionale del Piano di bacino idrografico attraverso cui definire il

complesso delle azioni tese per un verso a garantire il conseguimento

o il mantenimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici, per l’altro

a perseguire la tutela quali–quantitativa del sistema idrico nel suo

complesso.

Il recepimento della

direttiva si è

innestato in un

quadro normativo

che già aveva anticipato alcuni

dei contenuti più

innovativi.

In attuazione del principio di sussidiarietà, e nel rispetto degli

obiettivi e delle priorità individuati dalle Autorità di bacino, le

attività di elaborazione, adozione, approvazione e attuazione del PTA

erano affidate alle regioni.

Nella gerarchia delle pianificazioni territoriali i PTA, data la loro

natura di piani stralcio dei piani di bacino, erano stati concepiti come

strumenti sovraordinati, cui dovevano coordinarsi e conformarsi i

piani e i programmi nazionali, regionali e degli enti locali in materia

di sviluppo economico, uso del suolo e tutela ambientale.

Il recepimento della WFD e la conseguente riconfigurazione degli

strumenti e dei livelli di governo del territorio ha comportato una

parziale ridefinizione del ruolo dei PTA.

Il D.Lgs. 152/06 e s.m.i, che ha recepito la direttiva, ha ripartito il

territorio nazionale in 8 distretti idrografici e previsto per ciascuno di

essi la redazione del Piano di gestione.

15

Il D.Lgs. 152/1999, nell’introdurre una riforma della tutela delle risorse idriche improntata alla

riqualificazione, preservazione e sostenibilità ambientale, si è ispirato alla proposta di WFD, a

quell’epoca già in avanzata fase di elaborazione, pur contenendo alcune significative differenze

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253

I distretti idrografici sono i seguenti: Alpi Orientali, Padano,

Appennino Settentrionale, fiume Serchio, Appennino Centrale,

Appennino Meridionale, Sardegna, Sicilia (Figura 4.8).

Figura 4.8: Distretti idrografici italiani

16

Suddivisione

dell’Italia in 8

distretti idrografici:

Alpi Orientali, Padano, Appennino

Settentrionale,

fiume Serchio,

Appennino

Centrale,

Appennino

Meridionale,

Sardegna, Sicilia.

In tale nuovo contesto, il ruolo dei Piani di tutela si è andato

progressivamente ridefinendo, tant’è che nell’attuale assetto

normativo non sono più piani stralcio di bacino, bensì piani

territoriali di settore mediante i quali le regioni, sulla base degli

obiettivi fissati a scala di distretto idrografico dalle Autorità di bacino

distrettuale, definiscono gli interventi volti a garantire il

raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità dei corpi

idrici e le misure necessarie alla tutela qualitativa e quantitativa del

sistema idrico regionale.

Difatti il Piano di tutela commuta la propria natura da piano di

governo sovraordinato a piano attuativo della pianificazione di

distretto (Figura 4.9).

16 Fonte: ISPRA

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254

Figura 4.9: Schematizzazione della pianificazione distrettuale in

Italia17

Il piano di bacino

distrettuale assume

un ruolo

sovraordinato

rispetto agli altri

livelli della

pianificazione,

attivabili alle

differenti scale territoriali.

Le norme transitorie, finalizzate a governare la delicata fase di

transizione tra il D.Lgs. 152/1999 e il D.Lgs. 152/2006, assumono

una grande rilevanza in quanto stabiliscono che, fino all'emanazione

di corrispondenti atti adottati in riferimento alla parte terza del

decreto (quella relativa alle acque), restano validi ed efficaci i

provvedimenti e gli atti emanati in attuazione delle disposizioni di

legge abrogate, inclusi i piani di tutela. Il processo di predisposizione

dei Piani di gestione è avvenuto ex lege18

sotto il coordinamento delle

Autorità di bacino nazionali per i distretti idrografici peninsulari e

delle regioni Sicilia e Sardegna per gli omonimi distretti.

Tenuto conto dell'importanza, riconosciuta a livello comunitario,

della partecipazione, informazione e consultazione del pubblico, i

piani di gestione sono stati elaborati coinvolgendo gli stakeholder

territoriali nel processo di formazione. In particolare, per promuovere

la conoscenza dei documenti di piano al “pubblico” interessato, è

stato attivato un processo di consultazione e comunicazione integrata,

basato sia sul web sia sulla promozione di una serie di incontri

pubblici, nel cui ambito sono state raccolte le proposte dei portatori

17

Fonte: http://www.direttivaacque.minambiente.it/ 18

Decreto legge n. 208 del 30 dicembre 2008, convertito con modificazioni in legge 27 febbraio

2009, n. 13

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255

d’interesse e dei soggetti socio-economici. Alcuni piani di gestione

(distretto idrografico Padano e dell’Appennino Settentrionale), al fine

di favorire un maggiore allargamento della platea partecipativa al

processo decisionale (soprattutto in vista del primo aggiornamento

che avverrà nel 2015), tra le misure supplementari hanno previsto la

promozione e l’avvio di strumenti attuativi di tipo pattizio quali, ad

esempio, i “contratti di fiume” (vedi Box).

La base per la redazione dei Piani di gestione distrettuali sono stati i

PTA regionali, i Piani d’ambito territoriale ottimali, nonché la

pianificazione di bacino di cui alla Legge 183/89. A oggi, tutti i Piani

di gestione distrettuali sono stati adottati, mentre, per quanto

concerne i PTA, la situazione complessiva è la seguente: a livello

nazionale ne sono stati approvati quattordici (Veneto, Provincia

autonoma di Trento, Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-

Romagna, Toscana, Valle d’Aosta, Marche, Lazio, Umbria, Puglia,

Sicilia, Sardegna); adottati quattro (Basilicata, Calabria, Campania e

Molise), uno adottato per stralci (Provincia autonoma di Bolzano),

uno in fase di redazione (Friuli-Venezia Giulia).

Nel 2010, tutti i

Piani di gestione distrettuali sono

stati adottati.

14 Piani di Tutela

delle acque (PTA)

sono stati

approvati, 4

adottati, 1 adottato

per stralci, 1 in

fase di redazione.

La riforma dell’assetto istituzionale e organizzativo del Servizio

Idrico Integrato (SII), iniziata con la Legge quadro 36/1994 (Legge

“Galli”) e oggi contenuta nel D.Lgs. 152/06, prevede una serie di

adempimenti in capo alle regioni tra cui la delimitazione dei confini

di ciascun Ambito Territoriale Ottimale (ATO), la definizione delle

forme istituzionali di collaborazione fra gli enti ricadenti nel

medesimo ATO (convenzione o consorzio, D.Lgs. 267/2000) e la

definizione dei rapporti fra ATO e soggetti gestori affidatari del SII.

A oggi tutte le regioni hanno legiferato a tal riguardo, tranne il

Trentino-Alto Adige per l’autonomia speciale delle province di

Bolzano e Trento. Per la delimitazione degli ATO, il riferimento

territoriale e amministrativo adottato risulta prevalentemente quello

provinciale. Infatti, Valle d’Aosta, Puglia, Basilicata, Molise e

Sardegna hanno identificato un unico ATO regionale; Liguria,

Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Calabria, Sicilia

hanno delimitato gli ATO sulla base dei confini provinciali, mentre

Piemonte, Veneto, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo su confini molto

simili a quelli provinciali; Toscana e Campania, invece, hanno scelto

criteri di aggregazione diversi da quelli amministrativi.

L’art. 149 del D.Lgs. 152/06 prevede la redazione, da parte

dell’Autorità d’Ambito, del “Piano d’Ambito” (PdA) che deve

contenere la ricognizione delle opere di acquedotto, fognatura e

depurazione (analisi dello stato delle infrastrutture) e un’attività di

pianificazione di medio-lungo periodo relativa al SII, attraverso un

dettagliato programma degli interventi e un piano economico

finanziario mediante un ben determinato modello gestionale e

organizzativo. La normativa di settore (D.Lgs. 152/06 e DMLLPP

01/08/1996, noto quest’ultimo come “Metodo normalizzato”),

prevede la revisione ordinaria delle tariffe ogni 3 anni e, quindi, del

PdA (art. 8 DMLLPP 01.08.1996)19

.

19 In merito alle revisioni, risulta che 30 ATO, su un totale di 84 Piani approvati, hanno effettuato

uno o più aggiornamenti del PdA

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256

A luglio 2009, in totale, risultano approvati 84 Piani e 1 redatto20

. Le

regioni che non hanno completato l’iter procedurale sono la Valle

d’Aosta, la Lombardia e il Friuli-Venezia Giulia. In termini

percentuali, i Piani approvati coprono il 95% della popolazione (con

55,2 milioni di abitanti) e quelli completati l’1,5%. In sintesi, la

pianificazione ormai giunta a termine copre circa il 96,5% della

popolazione.

GLOSSARIO Condizioni di riferimento:

Condizioni che riflettono un impatto antropico nullo o trascurabile

rispetto alle caratteristiche naturali fisico-chimiche e

idromorfologiche, per ogni tipologia e per ogni elemento di qualità

biologica (EQB).

Contratti di fiume:

Sottoscrizione volontaria di accordi tra gli attori istituzionali, sociali

ed economici di un territorio fluviale o di un bacino idrografico.

EQB – Elementi di Qualità Biologica:

Gli elementi di qualità biologica (fitoplancton, macroinvertebrati

bentonici, macroalghe, angiosperme) giocano un ruolo chiave nella

valutazione dello stato ecologico.

EQR – Ecological Quality Ratio:

La valutazione degli indicatori biologici (EQB) viene espressa

attraverso una scala numerica fra uno e zero, il Rapporto di Qualità

Ecologica. Il valore uno dell’EQR rappresenta le condizioni di

riferimento tipo-specifiche mentre i valori prossimi allo zero

individuano un cattivo stato ecologico.

Eutrofizzazione:

Processo degenerativo dell’ecosistema acquatico dovuto

all’eccessivo arricchimento in nutrienti (fosforo e azoto), tale da

provocarne un’alterazione dell’equilibrio.

Piano di gestione distrettuale:

Strumento tecnico di governo dei distretti idrografici introdotto dalla

Direttiva Quadro sulle acque.

Piogge acide:

Contaminazione dell’acqua piovana da parte di gas presenti

nell’atmosfera.

Portata:

Volume d’acqua (metri cubi) che attraversa una data sezione di un

corso d’acqua nell’unità di tempo (secondo).

Tipizzazione:

Identificare tratti distinti e significativi di corpi idrici sulla base delle

caratteristiche idrologiche e geomorfologiche.

20 COVIRI, Rapporto sullo stato dei servizi idrici, 2009

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BOX DI APPROFONDIMENTO

I contratti di fiume I contratti di fiume (o di lago) rappresentano uno strumento

relativamente nuovo e in corso di progressiva diffusione, sia in

Europa sia in Italia, per affrontare in maniera integrata e su base

pattizia i molteplici problemi che interessano gli ambiti fluviali. I

contratti di fiume si basano sostanzialmente sulla sottoscrizione

volontaria di accordi tra gli attori istituzionali, sociali ed economici di

un territorio fluviale o di un bacino idrografico. Tali accordi sono

finalizzati ad affrontare le problematiche ambientali dell’area

secondo una logica d’integrazione e multidisciplinarietà.

In una logica di governance multilivello i contratti di fiume mirano a

coinvolgere gli attori di un determinato territorio fluviale nella

costruzione di un percorso di condivisione di scelte, sia strategiche

sia operative, da cui far discendere precise assunzioni di

responsabilità da parte degli stessi attori che prendono parte al

processo. In tal modo è possibile evitare che le misure e le azioni

possano essere percepite come vincoli imposti dall’alto, diventando

di conseguenza scarsamente efficaci21

.

I contratti di fiume s’inseriscono perfettamente nel quadro normativo,

nazionale ed europeo, che assegna all’accesso alle informazioni e alla

partecipazione alla definizione delle politiche ambientali ruoli sempre

più centrali22

. In virtù di ciò, i contratti di fiume potranno diventare

un importante snodo strategico, tra il livello distrettuale e quello

locale, per il raggiungimento degli obiettivi di tutela posti dalla WFD.

A livello europeo, i primi contratti si sono sviluppati in Francia nei

primi anni ‘80 e nell’arco di poco tempo si sono diffusi in molte altre

nazioni come il Belgio, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, la Spagna e

l’Italia. Le esperienze più avanzate sono quelle registrate in Francia23

e in Belgio (nella Vallonia)24

, dove i contratti di fiume sono

legittimati da una base legale costituita da circolari ministeriali.

Anche in Italia lo strumento dei contratti di fiume si sta diffondendo

con una certa rapidità. Allo stato attuale, i contratti di fiume avviati o

in una fase preliminare sono 38, più un contratto di lago. Le regioni

che fanno da capofila in questo percorso virtuoso sono la Lombardia

e il Piemonte, che tra l’altro sono le uniche ad aver dato ai contratti di

fiume una solida base normativa. La Lombardia attraverso

21 Per approfondimenti: Massimo Bastiani, Contratti di fiume – Pianificazione strategica e

partecipata dei bacini idrografici, 2011, Dario Flaccovio Editore 22 Da menzionare: Direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE; Convenzione europea sul paesaggio

(2000); Direttiva 2003/4/CE; Direttiva 2005/35/CE; Direttiva 2001/42/CE 23 I Contract de Rivière (CR) sono accordi volontari di natura non vincolante che si basano su

una concertazione molto forte tra enti e tra livelli di pianificazione/programmazione e sul

coinvolgimento delle comunità locali, relegate per lo più alle fasi informativa e consultiva. A

oggi sono avviati, conclusi, o in corso di elaborazione circa 232 Contract de Riviere

(www.gesteau.fr) 24 Il coinvolgimento degli attori non istituzionali è stato affrontato attraverso il sostanziale

bilanciamento tra gli attori istituzionali e quelli socio-economici che prendono parte al processo

partecipativo. La Regione della Vallonia si è mostrata molto sensibile alle forme pattizie che

nascono dal territorio e, sin dal 1993, ha deciso di sostenerle attraverso l’emanazione di una

circolare ministeriale che definisce i criteri di accettabilità e le modalità di esecuzione dei

contratti di fiume. Il contratto di fiume viene introdotto come un “protocollo d’intesa tra tutti i

soggetti pubblici e privati che miri a conciliare le molteplici funzioni e l’uso dei corsi d’acqua e

dei loro bacini” evidenziandone il ruolo concertativo

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l’emanazione della Legge regionale 26/03, che al titolo V - capo II

individua i contratti di fiume quali processi di sviluppo del

partenariato, funzionali all’avvio della riqualificazione fluviale. Il

Piemonte, invece, richiama espressamente i contratti di fiume e di

lago nelle norme tecniche d’attuazione del Piano di tutela regionale

(art. 10) nonché nelle norme attuative del Piano territoriale regionale

(adottato a dicembre 2008).

Un importante passo in avanti nella direzione del pieno

riconoscimento dei contratti di fiume quale strumento attuativo di

politiche territoriali a scala di corpo idrico è stato mosso nell’ambito

dei Piani di gestione dei distretti Padano e dell’Appennino

Settentrionale. Infatti, sono individuati i contratti di fiume tra le

misure supplementari per il raggiungimento degli obiettivi dei piani

medesimi e, in ultima istanza, della Direttiva quadro sulle acque.

Tabella 1: Contratti di fiume in Italia25

Regione/Provincia

autonoma

Contratti avviati o in stato preliminare o

in fase di progettazione

n. Piemonte 8

Valle d’Aosta -

Lombardia 6

Bolzano-Bozen -

Trento 1

Veneto 3

Friuli-Venezia Giulia -

Liguria -

Emilia-Romagna 4

Toscana 2

Umbria 3

Marche -

Lazio* 1+1

Abruzzo 1

Molise -

Campania 2

Puglia 1

Basilicata 1

Calabria -

Sicilia 1

Sardegna 2

TOTALE 36 + 1 Note:

* Un contratto di fiume e uno di lago

25 Fonte: Coordinamento tavolo nazionale sui contratti di fiume (2011)