Qualcosa "di destra" sui migranti

1
Fare un “discorso di destra” significa valorizzare il fatto che l’Italia dispone complessivamente di una “buona immigrazione” che contribuisce alla nostra economia nazionale Benedetto Della Vedova er anni, la politica italiana ha lucrato sull’illusione che “lavorare meno” avrebbe significato “lavorare tutti” e che i prepensionamenti dei padri avrebbero automaticamente favorito le assunzioni dei figli. Il “socialismo a spese degli altri”, che ha costruito sotto i nostri piedi una voragi- ne di debito pubblico e ha aggravato lo sbi- lancio generazionale di un paese in rapidis- simo invecchiamento, riecheggia oggi, oltre che nell’enfasi egualitaria del sindacalismo di lotta, nella retorica anti-immigratoria del leghismo di governo, secondo cui i posti di lavoro “rubati” dagli stranieri agli italiani minacciano la coesione sociale e esigono il ritorno a un’immigrazione a “saldo zero”. Le dinamiche dell’immigrazione, alla pari di quelle del mercato del lavoro, a cui sono indissolubilmente intrecciate, consentono di mettere al voto “verità” che contrastano con la realtà dei fatti. Per anni, mentre il merca- to del lavoro continuava ad essere caratte- rizzato da bassa occupazione, bassa produt- tività e bassi salari, era divenuto politica- mente “vero” che al suo interno vi fosse troppa precarietà – e ve n’era, nel senso dei contratti a termine, meno che negli altri pae- si europei. Allo stesso modo, oggi pare di- ventato “vero” che in Italia ci siano troppi immigrati e all’immagine realistica di un’im- migrazione che, molto relativamente, rime- dia alle fragilità demografiche e socio-occu- pazionali di un paese invecchiato, è sovrap- posta la percezione distorta di un paese as- sediato da manovalanza “predona” del lavo- ro “italiano”. Un giudizio generalizzato sul- l’immigrazione impedisce per altro di di- scernere e di distinguere i diversi aspetti di un fenomeno complesso, che non può essere interpretato secondo una chiave unitaria. Si pensi come, ad esempio, nell’ultimo decen- nio dall’immigrazione sia venuta, attraver- so meccanismi di mercato, l’unica forma concretamente accessibile di welfare fami- liare, e insieme la più pericolosa sfida al mo- dello familiare paritario. Quello imposto in Italia, non più tardi di 35 anni fa, col nuovo diritto di famiglia. Sia le badanti, che hanno consentito una riorganizzazione efficiente della vita familiare, sia il maschilismo di cer- te abitudini etniche di soggetti di religione musulmana sono “immigrazione”, ma han- no evidentemente un segno diverso. La stes- sa differenza tra regolari e clandestini com- porta una lettura più storica e meno buro- cratica, perché clandestini sono stati anche il milione e 300mila irregolari sanati dal 1990 ad oggi, in quanto stabilmente impiegati nel- le famiglie e nel tessuto produttivo del paese. Per questa ragione, sui temi dell’immigra- zione è forse disagevole, ma assolutamente necessario dare prova di moralità politica e preservare un rapporto corretto tra le paro- le e le cose, tra la realtà dell’esperienza e la P rappresentazione che è possibile darne, per aderirvi con una misura, se non perfetta- mente realistica, almeno intellettualmente onesta. A maggior titolo, questa specifica ca- pacità è richiesta quando il discorso sull’im- migrazione incrocia quello sulla cittadinan- za degli immigrati. Infatti, su questo tema vengono al pettine i nodi allo scoperto i ner- vi più sensibili: come direbbe un leghista “di lotta”, diventando cittadino l’invasore si fa usurpatore della sovranità politica. Nel discutere della riforma delle norme che regolano il riconoscimento della cittadi- nanza, ragioniamo però più di “noi” che de- gli immigrati. Ragioniamo delle paure che formano il materiale incandescente della lot- ta politica, della fragilità di un ideale civile, arrangiato con l’improvvisato copia-e- incolla di “pezzi” di tradizione culturale e re- ligiosa, della debolezza sociale di un paese che ha disimparato a vivere la competizione (anche all’interno del mercato del lavoro) come un fattore di dinamismo e di crescita. Fare un discorso “di destra” su questa ma- teria significa parlare in termini di libertà e di responsabilità, di merito e di intrapren- denza, di moralità e di dignità civile. Signifi- ca parlare in spirito di verità, non contrap- ponendo a un terzomondismo anti-capitali- sta un “nativismo” prepotente e altrettanto vittimistico. Per anni abbiamo sentito de- scrivere l’immigrazione straniera come una punizione che la storia (e la geografia) avreb- be inflitto ai paesi sviluppati, per le loro col- pe vetero e neo-coloniali. Oggi bisogna guar- darsi dalla menzogna uguale e contraria, se- condo cui l’immigrazione sarebbe parte di un disegno “globalista” interessato a disar- mare le resistenze culturali e religiose delle patrie europee. Fare un “discorso di destra” il concorso fattivo alla vita e alla prosperità del paese. E soprattutto, fare un “discorso di destra” significa ripartire dal “no taxation without representation”, dal fatto cioè che a decidere delle tasse prodotte siano i rappre- sentanti di quanti hanno contribuito a pro- durle e che non possono quindi essere, in mi- sura eccessiva, dei “non cittadini”. Fare un “discorso di destra”, infine, signi- fica saper reagire politicamente e con in- transigenza alla sfida dell’integralismo etni- cista e religioso, comprendendo che, anche per arginare una deriva pericolosamente multiculturalista, quando non separatista, è opportuno riconoscere agli stranieri la pos- sibilità di far valere istanze che, nella nor- male dialettica civile, passano attraverso la rappresentanza politica, i suoi giochi demo- cratici e i suoi inevitabili compromessi. Non è credibile che per milioni di persone l’Italia rimanga semplicemente un “posto di lavoro” o una “terra di soggiorno”; che un paese tra i più dipendenti dall’immigrazione fissi termini per il riconoscimento della cit- tadinanza doppi rispetto a quelli statuniten- si, francesi e inglesi, trattando gli stranieri da vera e propria “controparte politica”. Che per i prossimi decenni gli italiani siano una cosa, e l’Italia un’altra, con i cittadini a rap- presentare solo un pezzo della fotografia del Paese. Tutto questo non è neppure “di de- stra”. È semplicemente sbagliato. Se a decidere delle tasse debbono essere i rappresentanti di chi ha contribuito a produrle, questi non possono essere “non cittadini” significa valorizzare il fatto che l’Italia di- spone complessivamente di una buona im- migrazione – visto che il tasso di attività è di 11 punti superiore a quello dei nativi (fonte: Ministero dell’Interno 2009) – e ammettere che l’immigrazione regolare e irregolare è stata comunque trainata dalla fragilità de- mografica e dalla scarsa intraprendenza oc- cupazionale degli italiani, poiché le regola- rizzazioni dirette e indirette (attraverso le assunzioni di stranieri, in teoria residenti al- l’estero, autorizzate all’interno dei cosiddet- ti decreti-flussi) hanno solo in parte bonifi- cato la situazione, che vede la clandestinità annidata più nell’economia illegale che nel- l’attività criminale. Fare un “discorso di de- stra” significa anche imporre il principio per cui, in una società aperta, la cittadinanza non può costituire una rendita, né un van- taggio competitivo spettante per “diritto ac- quisito”, ma un potere guadagnato merita- tamente, anche sul piano morale, attraverso Occorre riconoscere agli stranieri la possibilità di far valere istanze attraverso la politica QUALCOSA “DI DESTRA” SUI MIGRANTI Non è più possibile che l’Italia per far ottenere la cittadinanza fissi termini doppi rispetto al resto dei paesi occidentali SECOLO D’ITALIA MERCOLEDÌ 23 DICEMBRE 2009 16 Noi libert ari

description

Benedetto Della Vedova, deputato del Popolo della libertà, sul Secolo d’Italia di oggi, 23 dicembre 2009: «Sui temi dell’immigrazione è forse disagevole, ma assolutamente necessario dare prova di moralità politica e preservare un rapporto corretto fra le parole e le cose, tra la realtà dell’esperienza e la rappresentazione che è possibile darne, per aderirvi con una misura, se non perfettamente realistica, almeno intellettualmente onesta».

Transcript of Qualcosa "di destra" sui migranti

Fare un “discorso di destra” significa valorizzare il fatto che l’Italia dispone complessivamente di una “buona immigrazione” che contribuisce alla nostra economia nazionale

◆ Benedetto Della Vedova

er anni, la politica italiana ha lucratosull’illusione che “lavorare meno”avrebbe significato “lavorare tutti” e

che i prepensionamenti dei padri avrebberoautomaticamente favorito le assunzioni deifigli. Il “socialismo a spese degli altri”, cheha costruito sotto i nostri piedi una voragi-ne di debito pubblico e ha aggravato lo sbi-lancio generazionale di un paese in rapidis-simo invecchiamento, riecheggia oggi, oltreche nell’enfasi egualitaria del sindacalismodi lotta, nella retorica anti-immigratoria delleghismo di governo, secondo cui i posti dilavoro “rubati” dagli stranieri agli italianiminacciano la coesione sociale e esigono ilritorno a un’immigrazione a “saldo zero”.

Le dinamiche dell’immigrazione, alla paridi quelle del mercato del lavoro, a cui sonoindissolubilmente intrecciate, consentono dimettere al voto “verità” che contrastano conla realtà dei fatti. Per anni, mentre il merca-to del lavoro continuava ad essere caratte-rizzato da bassa occupazione, bassa produt-tività e bassi salari, era divenuto politica-mente “vero” che al suo interno vi fossetroppa precarietà – e ve n’era, nel senso deicontratti a termine, meno che negli altri pae-si europei. Allo stesso modo, oggi pare di-ventato “vero” che in Italia ci siano troppiimmigrati e all’immagine realistica di un’im-migrazione che, molto relativamente, rime-dia alle fragilità demografiche e socio-occu-pazionali di un paese invecchiato, è sovrap-posta la percezione distorta di un paese as-sediato da manovalanza “predona” del lavo-ro “italiano”. Un giudizio generalizzato sul-l’immigrazione impedisce per altro di di-scernere e di distinguere i diversi aspetti diun fenomeno complesso, che non può essereinterpretato secondo una chiave unitaria. Sipensi come, ad esempio, nell’ultimo decen-nio dall’immigrazione sia venuta, attraver-so meccanismi di mercato, l’unica formaconcretamente accessibile di welfare fami-liare, e insieme la più pericolosa sfida al mo-dello familiare paritario. Quello imposto inItalia, non più tardi di 35 anni fa, col nuovodiritto di famiglia. Sia le badanti, che hannoconsentito una riorganizzazione efficientedella vita familiare, sia il maschilismo di cer-te abitudini etniche di soggetti di religionemusulmana sono “immigrazione”, ma han-no evidentemente un segno diverso. La stes-sa differenza tra regolari e clandestini com-porta una lettura più storica e meno buro-cratica, perché clandestini sono stati ancheil milione e 300mila irregolari sanati dal 1990ad oggi, in quanto stabilmente impiegati nel-le famiglie e nel tessuto produttivo del paese.Per questa ragione, sui temi dell’immigra-zione è forse disagevole, ma assolutamentenecessario dare prova di moralità politica epreservare un rapporto corretto tra le paro-le e le cose, tra la realtà dell’esperienza e la

P

rappresentazione che è possibile darne, peraderirvi con una misura, se non perfetta-mente realistica, almeno intellettualmenteonesta. A maggior titolo, questa specifica ca-pacità è richiesta quando il discorso sull’im-migrazione incrocia quello sulla cittadinan-za degli immigrati. Infatti, su questo temavengono al pettine i nodi allo scoperto i ner-vi più sensibili: come direbbe un leghista “dilotta”, diventando cittadino l’invasore si fausurpatore della sovranità politica.

Nel discutere della riforma delle normeche regolano il riconoscimento della cittadi-nanza, ragioniamo però più di “noi” che de-gli immigrati. Ragioniamo delle paure cheformano il materiale incandescente della lot-ta politica, della fragilità di un ideale civile,arrangiato con l’improvvisato copia-e-incolla di “pezzi” di tradizione culturale e re-ligiosa, della debolezza sociale di un paese

che ha disimparato a vivere la competizione(anche all’interno del mercato del lavoro)

come un fattore di dinamismo e di crescita. Fare un discorso “di destra” su questa ma-

teria significa parlare in termini di libertà edi responsabilità, di merito e di intrapren-denza, di moralità e di dignità civile. Signifi-ca parlare in spirito di verità, non contrap-ponendo a un terzomondismo anti-capitali-sta un “nativismo” prepotente e altrettantovittimistico. Per anni abbiamo sentito de-scrivere l’immigrazione straniera come unapunizione che la storia (e la geografia) avreb-be inflitto ai paesi sviluppati, per le loro col-pe vetero e neo-coloniali. Oggi bisogna guar-darsi dalla menzogna uguale e contraria, se-condo cui l’immigrazione sarebbe parte diun disegno “globalista” interessato a disar-mare le resistenze culturali e religiose dellepatrie europee. Fare un “discorso di destra”

il concorso fattivo alla vita e alla prosperitàdel paese. E soprattutto, fare un “discorso didestra” significa ripartire dal “no taxationwithout representation”, dal fatto cioè che adecidere delle tasse prodotte siano i rappre-sentanti di quanti hanno contribuito a pro-durle e che non possono quindi essere, in mi-sura eccessiva, dei “non cittadini”.

Fare un “discorso di destra”, infine, signi-fica saper reagire politicamente e con in-transigenza alla sfida dell’integralismo etni-cista e religioso, comprendendo che, ancheper arginare una deriva pericolosamentemulticulturalista, quando non separatista, èopportuno riconoscere agli stranieri la pos-sibilità di far valere istanze che, nella nor-male dialettica civile, passano attraverso larappresentanza politica, i suoi giochi demo-cratici e i suoi inevitabili compromessi.

Non è credibile che per milioni di personel’Italia rimanga semplicemente un “posto dilavoro” o una “terra di soggiorno”; che unpaese tra i più dipendenti dall’immigrazionefissi termini per il riconoscimento della cit-tadinanza doppi rispetto a quelli statuniten-si, francesi e inglesi, trattando gli stranierida vera e propria “controparte politica”. Cheper i prossimi decenni gli italiani siano unacosa, e l’Italia un’altra, con i cittadini a rap-presentare solo un pezzo della fotografia delPaese. Tutto questo non è neppure “di de-stra”. È semplicemente sbagliato.

Se a decidere delle tassedebbono essere

i rappresentanti di chi hacontribuito a produrle,

questi non possonoessere “non cittadini”

significa valorizzare il fatto che l’Italia di-spone complessivamente di una buona im-migrazione – visto che il tasso di attività è di11 punti superiore a quello dei nativi (fonte:Ministero dell’Interno 2009) – e ammettereche l’immigrazione regolare e irregolare èstata comunque trainata dalla fragilità de-mografica e dalla scarsa intraprendenza oc-cupazionale degli italiani, poiché le regola-rizzazioni dirette e indirette (attraverso leassunzioni di stranieri, in teoria residenti al-l’estero, autorizzate all’interno dei cosiddet-ti decreti-flussi) hanno solo in parte bonifi-cato la situazione, che vede la clandestinitàannidata più nell’economia illegale che nel-l’attività criminale. Fare un “discorso di de-stra” significa anche imporre il principio percui, in una società aperta, la cittadinanzanon può costituire una rendita, né un van-taggio competitivo spettante per “diritto ac-quisito”, ma un potere guadagnato merita-tamente, anche sul piano morale, attraverso

Occorre riconoscere agli stranieri la possibilità di far valere istanze attraverso la politica

QUALCOSA“DI DESTRA”

SUI MIGRANTINon è più possibile che l’Italiaper far ottenere la cittadinanza

fissi termini doppi rispettoal resto dei paesi occidentali

SECOLO D’ITALIA MERCOLEDÌ 23 DICEMBRE 200916 Noi libertari