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“Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro

limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in

quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito.

Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto,

confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimé. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne

ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più

permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di

partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo

subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono

pericolosissime... Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però

formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e

trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa

fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato

hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata.

Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole

pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole

private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure

di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori

si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che

saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli

esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito

dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato

per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere.

Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho

già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni.

Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino

insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private

denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico...”

Piero Calamandrei

discorso al 3° Congresso in difesa della Scuola nazionale

Roma 11 febbraio 1950

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Indice 1. Dati per attività di laboratorio......................................................................................................................................... 5

1.1. Scheda generale per l’analisi tecnica ....................................................................................................................... 5 1.2. Fattori analitici......................................................................................................................................................... 6 1.3. Tavola periodica ...................................................................................................................................................... 7 1.4. Potenziali standard e potenziali formali ................................................................................................................... 8 1.5. Composti suggeriti per la preparazione delle soluzioni standard........................................................................... 10 1.6. Riassunto condizioni analitiche AAS e ETAAS.................................................................................................... 11 1.7. Schema raccolta dati indispensabili ....................................................................................................................... 13

1.7.1. Titolazione ...................................................................................................................................................... 13 1.7.2. Analisi strumentale ......................................................................................................................................... 14

2. Introduzione all’analisi chimica.................................................................................................................................... 15 2.1. Campionamento ..................................................................................................................................................... 15

2.1.1. Cenni di statistica............................................................................................................................................ 16 2.1.2. Tecniche di campionamento ........................................................................................................................... 17

2.2. Scelta del metodo d’analisi .................................................................................................................................... 18 2.3. Solubilizzazione e disgregazione del campione..................................................................................................... 19

2.3.1. Generalità sulla solubilizzazione delle matrici organiche............................................................................... 20 2.3.2. Generalità sulla solubilizzazione delle sostanze inorganiche ......................................................................... 21 2.3.3. Solubilizzazione con acidi .............................................................................................................................. 22 2.3.4. Attacco con fondenti ....................................................................................................................................... 24 2.3.5. Decomposizione con microonde..................................................................................................................... 26

3. Analisi delle leghe di rame ........................................................................................................................................... 31 3.0. Scheda raccolta dati sperimentali........................................................................................................................... 31 3.1. Principi teorici........................................................................................................................................................ 32

3.1.1. Metodo classico .............................................................................................................................................. 32 3.1.2. Metodo che sfrutta tecniche strumentali ......................................................................................................... 32

3.2. Trattamento preliminare......................................................................................................................................... 33 3.3. Attacco e determinazione dello Stagno come biossido: SnO2 ............................................................................... 33 3.4. Determinazione del Piombo................................................................................................................................... 34 3.5. Determinazione del Ferro ...................................................................................................................................... 34

3.5.1. Metodo spettrofotometrico ............................................................................................................................. 34 3.5.2. Metodo volumetrico........................................................................................................................................ 35

3.6. Determinazione del Rame...................................................................................................................................... 35 3.6.1. Metodo spettrofotometrico ............................................................................................................................. 36 3.6.2. Metodo elettrogravimetrico simultaneo per Pb e Cu ...................................................................................... 36 3.6.3. Metodo iodometrico ........................................................................................................................................ 37

3.7. Determinazione di Nichel e Manganese ................................................................................................................ 38 3.8. Determinazione dello Zinco................................................................................................................................... 38 3.9. Diagramma riassuntivo analisi Bronzi e Ottoni ..................................................................................................... 39 4. Analisi delle leghe ferrose ........................................................................................................................................ 40 4.0. Scheda raccolta dati sperimentali........................................................................................................................... 40 4.1. Stadi dell’analisi delle leghe ferrose ...................................................................................................................... 41 4.2. Trattamento preliminare......................................................................................................................................... 41 4.3. Attacco................................................................................................................................................................... 41

4.3.1. Attacco non ossidante ..................................................................................................................................... 42 4.3.2. Attacco in disgregatore a microonde .............................................................................................................. 42

4.4. Determinazione del carbonio totale ....................................................................................................................... 43 4.4.1. Metodo gas-volumetrico ................................................................................................................................. 43 4.4.2. Metodo volumetrico........................................................................................................................................ 43

4.5. Determinazione del silicio ..................................................................................................................................... 43 4.5.1. Metodo gravimetrico....................................................................................................................................... 44 4.5.2. Metodo spettrofotometrico ............................................................................................................................. 44

4.6. Determinazione del fosforo.................................................................................................................................... 45 4.6.1. Metodo volumetrico........................................................................................................................................ 45 4.6.2. Metodo spettrofotometrico. ............................................................................................................................ 46

4.7. Determinazione del nichel ..................................................................................................................................... 46 4.7.1. Metodo gravimetrico....................................................................................................................................... 47 4.7.2. Analisi in Assorbimento atomico.................................................................................................................... 47 4.7.3. Metodo spettrofotometrico ............................................................................................................................. 47

4.8. Determinazione del cromo..................................................................................................................................... 48

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4.8.1. Assorbimento atomico .................................................................................................................................... 48 4.8.2. Metodo volumetrico........................................................................................................................................ 48 4.8.3. Metodo spettrofotometrico alla difenilcarbazide (in assenza di manganese).................................................. 49 4.8.4. Metodo spettrofotometrico in presenza di manganese.................................................................................... 50

4.9. Determinazione del manganese ............................................................................................................................. 50 4.9.1. Determinazione spettrofotometrica................................................................................................................. 50 4.9.2. Assorbimento atomico .................................................................................................................................... 51 4.9.3. Metodo volumetrico........................................................................................................................................ 51

5. I prodotti ceramici e i loro cicli di produzione.............................................................................................................. 53 5.1. Definizione di prodotto ceramico .......................................................................................................................... 53 5.2. Classificazione dei prodotti ceramici ..................................................................................................................... 53 5.3. Ceramiche silicatiche a base argillosa ................................................................................................................... 53 5.4. Materiali ceramici speciali ..................................................................................................................................... 54 5.5. La classificazione delle piastrelle .......................................................................................................................... 55

5.5.1. Classificazione tecnico-commerciale.............................................................................................................. 55 5.5.2. Classificazione secondo le norme UNI EN 14411.......................................................................................... 56

5.6. I cicli tecnologici di fabbricazione......................................................................................................................... 57 5.6.1. Le materie prime per la preparazione degli impasti........................................................................................ 59 5.6.2. La preparazione delle materie prime per il supporto ...................................................................................... 60 5.6.3. La formatura ................................................................................................................................................... 61 5.6.4. L'essiccamento................................................................................................................................................ 61 5.6.5. La preparazione e l'applicazione degli smalti ................................................................................................. 61 5.6.6. La cottura ........................................................................................................................................................ 61

6. Il laboratorio nell’industria ceramica............................................................................................................................ 63 6.0. Scheda raccolta dati sperimentali........................................................................................................................... 63 6.1. Il laboratorio analisi materie prime e controllo qualità .......................................................................................... 64 6.2. Analisi granulometrica........................................................................................................................................... 64 6.3. Analisi meccanica e fisica...................................................................................................................................... 64 6.4. Analisi termica....................................................................................................................................................... 65 6.5. Analisi mineralogica .............................................................................................................................................. 66 6.6. Analisi chimica ...................................................................................................................................................... 66

6.6.1. Analisi chimica in fluorescenza RX ............................................................................................................... 66 6.7. Analisi chimica per via umida ............................................................................................................................... 67

6.7.1. Metodi d’attacco per la disgregazione del campione ...................................................................................... 67 6.7.2. Silice ............................................................................................................................................................... 70 6.7.3. Alluminio........................................................................................................................................................ 71 6.7.4. Titanio............................................................................................................................................................. 72 6.7.5. Ferro................................................................................................................................................................ 73 6.7.6. Calcio e magnesio.......................................................................................................................................... 73 6.7.7. Sodio, potassio e litio...................................................................................................................................... 74 6.7.8. Zirconio .......................................................................................................................................................... 74

6.8. Umidità .................................................................................................................................................................. 75 6.9. Perdita al fuoco ...................................................................................................................................................... 75 6.10. Calcare ................................................................................................................................................................. 75 6.11. Carbonio e zolfo totali ......................................................................................................................................... 76 6.12. Ritiro e/o espansione............................................................................................................................................ 76 6.13. Assorbimento d’acqua ......................................................................................................................................... 76 6.14. Plasticità............................................................................................................................................................... 77 6.15. Densità ................................................................................................................................................................. 77 6.16. Viscosità dinamica ............................................................................................................................................... 77 6.17. Residuo ................................................................................................................................................................ 77 6.18. Tempo di scorrimento .......................................................................................................................................... 77 6.19. Il laboratorio ricerca e sviluppo ........................................................................................................................... 78

6.19.1. La formulazione dell’impasto ....................................................................................................................... 78 6.19.2. Il diagramma di greificazione ....................................................................................................................... 79 6.19.3. La pulizia nel laboratorio ceramico .............................................................................................................. 80 6.19.4. Campionamento e cernita ............................................................................................................................. 80 6.19.5. Determinazione dell’umidità ........................................................................................................................ 80 6.19.6. Macinazione a umido in mulino rapido ........................................................................................................ 80 6.19.7. Essiccamento della barbottina....................................................................................................................... 81 6.19.8. Reidratazione ................................................................................................................................................ 81 6.19.9. Pressatura...................................................................................................................................................... 82

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6.19.10. Acquisizione dei dati .................................................................................................................................. 82 6.19.11. Cottura ........................................................................................................................................................ 82 6.19.12. Prove finali e relazione ............................................................................................................................... 83 6.19.13. Formule di calcolo ...................................................................................................................................... 83 6.19.14. Dati finali .................................................................................................................................................... 84 6.19.15. Relazione per i provini ceramici ................................................................................................................. 84

7. I Fertilizzanti................................................................................................................................................................. 85 7.0. Scheda raccolta dati sperimentali........................................................................................................................... 85 7.1 Classificazione dei Fertilizzanti .............................................................................................................................. 86

7.1.1. Fertilizzanti azotati ......................................................................................................................................... 86 7.1.2. Fertilizzanti fosfatici ....................................................................................................................................... 86 7.1.3. Fertilizzanti Potassici ...................................................................................................................................... 86

7.2 Analisi dei fertilizzanti............................................................................................................................................ 87 7.2.1. Trattamento preliminare ................................................................................................................................. 87 7.2.2. Determinazioni dell’umidità ........................................................................................................................... 87 7.2.3. Determinazione del fosforo ............................................................................................................................ 87 7.2.4. Determinazione dell’azoto .............................................................................................................................. 88 7.2.5. Determinazione del potassio ........................................................................................................................... 89

8. Analisi dei grassi alimentari ......................................................................................................................................... 91 8.0. Scheda raccolta dati sperimentali........................................................................................................................... 91 8.1. Aspetti generali ...................................................................................................................................................... 92 8.2. Determinazione spettrofotometrica del ∆K per gli oli d’oliva ............................................................................... 92

8.2.1. Produzione dell’olio di oliva........................................................................................................................... 92 8.2.2. Determinazione del ∆k.................................................................................................................................... 93

8.3. Saggio di Kreiss per la rancidità ............................................................................................................................ 95 8.4. Determinazione Gas-cromatografica degli esteri metilici...................................................................................... 95

8.4.1. Preparazione esteri metilici (metodo rapido CEE).......................................................................................... 95 8.4.2. Regolazione dello strumento ed esecuzione dell’analisi................................................................................. 95

8.5. Composizione media grassi vegetali e animali ...................................................................................................... 96 8.7. La bilancia idrostatica .......................................................................................................................................... 101

8.7.1. Descrizione della bilancia ............................................................................................................................. 101 8.7.2. Accensione della bilancia ............................................................................................................................. 101 8.7.3. Determinazione della densità relativa d20/20 di un liquido............................................................................. 101 8.7.4. Determinazione della massa volumica di liquido a 20°C ............................................................................. 102 8.7.5. Correzione del pescante in uso ..................................................................................................................... 102

9. Determinazione Gas-cromatografica alcoli ................................................................................................................ 103 9.1. Preparazione degli standard e del campione ........................................................................................................ 103 9.2. Esecuzione dell’analisi......................................................................................................................................... 103

9.2.1. Parametri strumentali da impostare: ............................................................................................................. 103 9.2.2. Software di acquisizione dati: ....................................................................................................................... 104

9.3. Elaborazione dei dati ........................................................................................................................................... 106 9.3.1. Standardizzazione esterna............................................................................................................................. 106 9.3.2. Standardizzazione interna ............................................................................................................................. 106

10. Analisi delle acque.................................................................................................................................................... 107 10.1. Aspetti generali .................................................................................................................................................. 107

10.1.1. Il ciclo dell’acqua e le alterazioni provocate dalle attività antropiche ........................................................ 107 10.2. Parametri acque di scarico ................................................................................................................................. 109

10.2.1 B.O.D.5 ........................................................................................................................................................ 109 10.3. Parametri acque potabili .................................................................................................................................... 111

10.3.1. Determinazione degli anioni per via cromatografica .................................................................................. 111 11. Determinazione del rame nei vini ............................................................................................................................. 112

11.1. Regolazioni strumentali ..................................................................................................................................... 112 12. Analisi prodotti alimentari ........................................................................................................................................ 113

12.1. Il Vino e il mosto ............................................................................................................................................... 113 12.1.1. L’uva........................................................................................................................................................... 113 12.1.2. La vinificazione .......................................................................................................................................... 113 12.1.3. L’anidride solforosa.................................................................................................................................... 115

12.2. Gli Aceti............................................................................................................................................................. 115 12.2.1. Fasi generali della produzione dell’aceto.................................................................................................... 117 12.2.2. Fasi generali della produzione dell’aceto balsamico di Modena ................................................................ 118

12.3. Determinazioni analitiche .................................................................................................................................. 119

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12.3.1. Densità ........................................................................................................................................................ 119 12.3.2. Determinazione acidità ............................................................................................................................... 120 12.3.3. Titolo alcolometrico volumico.................................................................................................................... 121 12.3.4. Anidride solforosa totale e libera................................................................................................................ 121 12.3.5. pH dei vini .................................................................................................................................................. 122 12.3.5. Estratto secco totale .................................................................................................................................... 122 12.3.6. Zuccheri riduttori ........................................................................................................................................ 122

13. Determinazione della caffeina in HPLC ................................................................................................................... 124

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1. Dati per attività di laboratorio

1.1. Scheda generale per l’analisi tecnica a) Prima di iniziare l’analisi di un campione reale bisogna conoscere le caratteristiche generali di quella matrice per raccogliere una serie di informazioni utili al buon esito delle analisi stesse. In particolare:

a.1) Utilizzi della matrice a.2) Eventuali classificazioni a.3) Costituenti principali e proprietà ad essi correlate a.4) Saggi aspecifici caratterizzanti a.5) Saggi specifici caratterizzanti a.6) Come puoi ottenere un campione rappresentativo a.7) Eventuale legislatura di riferimento

b) Dopo la prima fase generale si può passare a quella specifica del nostro campione, in base agli analiti da determinare. In particolare:

b.1) Individua gli analiti da determinare ed il loro range b.2) Per ogni analita individua tutti i metodi analitici utilizzabili b.3) Per ogni metodo analitico individua le seguenti informazioni:

b.3.1) Tipo di analisi b.3.2) range applicabile b.3.3) interferenze b.3.4) attrezzatura richiesta b.3.5) attacco o estrazione selettiva richiesta

c) Per individuare la migliore procedura analitica occorre incrociare le informazioni ottenute. In particolare:

c.1) In base alle informazioni raccolte ai punti [a] e [b] scarta tutti i metodi analitici non utilizzabili a causa del range non adatto, delle interferenze presenti o dell’attrezzatura non disponibile. c.2) In base ai metodi analitici utilizzabili ed ai possibili attacchi (o estrazioni) scegli ora il metodo e l’attacco più adatti per ogni analita, cercando, se possibile, di eseguire il minor numero di attacchi per ogni matrice

d) Buon lavoro!

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1.2. Fattori analitici

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Ca2+ 40.08 CaCl2

CaCO3 110.98 100.09

0.3611 0.4004

(A) (B)

C2O42- 88.0194 H2C2O4

Na2C2O4 90.035

133.999 0.9776 0.6569

(B) (B)

Cr6+ 51.996 K2Cr2O7 294.184 0.3535 (B)

Cu2+ 63.546 CuSO4•5H2O 249.68 0.2545 (A)

Fe2+ Fe(NH4)2(SO4)2•6H2O 392.14 0.1424 (A)

Fe3+ 55.847

Fe(NH4)(SO4)2•12H2O 482.18 0.1158 (A)

K+ Cl-

39.0983 35.4527 KCl 74.551 0.52445

0.4755 (B)

Mg2+ 24.305 MgSO4•7H2O 246.47 0.0986 (A)

Mn2+ 54.938 MnSO4•H2O KMnO4

169.01 158.038

0.3251 0.3476

(B) (A)

N 14.007

[NO2-]

[NO3-]

NaNO3

KNO3 NH4Cl

46.006 62.005 84.995

101.103 53.491

0.3045 0.2259 0.1648

0.13854 0.26186

(B) (B) (B)

NO2- 46.006 KNO2

NaNO2 85.104 68.995

0.5406 0.6668 (A)

NO3- 62.005 KNO3

NaNO3 101.103 84.995

0.6133 0.7295 (B)

NH4+ 18.038 NH4Cl 53.491 0.3372 (B)

Na+ Cl-

22.9898 35.4527 NaCl 58.442 0.3934

0.6066 (B)

Ni2+ 58.69 Ni(NH4)2(SO4)2•6H2O 394.98 0.1486 (A)

Pb2+ 207.2 Pb(NO3)2 331.20 0.6256 (B)

PO43- 94.971

NaH2PO4•2H2O KH2PO4

P2O5

156.007 136.0867

141.94

0.6088 0.6979 1.3382

(A) (B)

SO42- 96.058 K2SO4 174.25 0.5513 (B)

Zn2+ 65.39 Zn(CH3COO)2•2H2O 219.50 0.2978 (A)

Note: (A) la soluzione preparata con questo sale deve essere standardizzata tramite titolazione. (B) ha caratteristiche di standard primario o paragonabili.

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1.3. Tavola periodica

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1.4. Potenziali standard e potenziali formali

Semireazione E° (V) Ef (V) Ambiente F2 + 2e¯

�2 F¯ 2,87 IO4

¯ + 2H3O+ + 2e¯

� IO3¯ + H2O 2,36

S2O82- + 2e¯

�2 SO42 2,01

Co3+ + e¯� Co2+ 1,84 1,85 HNO3 4M

H2O2 + 2H3O+ + 2e¯

�4 H2O 1,77 MnO4

¯ + 4H3O+ + 3e¯

� MnO2 + 6H2O 1,69 1,7 HClO4 1M

1,60 HNO3 1M 1,28 HCl 1M

Ce4+ + 1e¯� Ce3+ 1,44

1,44 H2SO4 1M Au3+ + 3e¯

� Au° 1,42 MnO4

¯ + 8H3O+ + 5e¯

� Mn2+ + 12H2O 1,51 1,45 HClO4 1M Mn3+ + 1e¯

� Mn2+ 1,51 1,51 H2SO4 8M PbO2 + 4H3O

+ + 2e¯� Pb2+ + 6H2O 1,45

Cl2 + 2e¯�2 Cl¯ 1,359

Cr2O72- + 14H3O

+ + 6e¯�2Cr3++ 21H2O 1,33 1,00 HCl 1M

MnO2 + 4H3O+ + 2e¯

� Mn2+ + 6 H2O 1,23 1,24 HClO4 1M O2 + 4H3O

+ + 4e¯�6H2O 1,229

IO3¯ + 6H3O

+ + 5e¯�½I2 + 9 H2O 1,19

Br2 + 2e¯�2Br¯ 1,08 1,05 HCl 4M

HNO2 + H3O+ + 1e¯

� NO + 2 H2O 1,00 NO3

¯ + 4H3O+ + 3e¯

� NO + 6 H2O 0,96 NO3

¯ + 4H3O+ + 2e¯

� HNO2 + 4 H2O 0,94 0,92 HNO3 1M 2 Hg2+ + 2e¯

� Hg22+ 0,920 0,907 HClO4 1M

Cu2+ + I¯ + 1e¯� CuI(s) 0,860

Hg2+ + 2e¯� Hg° 0,854

Ag+ + 1e¯� Ag° 0,799 0,77

1,93 H2SO4 1M HNO3 1M

Hg22+ + 2e¯

�2 Hg° 0,788 0,274 0,776

HF 1M HClO4 1M

Fe3+ + 1e¯� Fe2+ 0,771

0,71 0,46 0,68 0,73

HCl 5M H3PO4 2M H2SO4 1M HClO4 1M

O2 + 2H3O+ + 2e¯

� H2O2 + 2 H2O 0,682 MnO4

¯ + 1e¯� MnO4

2- 0,560 I3

¯ + 2e¯�3 I¯ 0,536 0,545 HCl 1M

I2 + 2e¯�2 I¯ 0,535

Cu+ + 1e¯� Cu° 0,521

O2 + 2H3O+ + 4e¯

�4 OH¯ 0,401 Cu2+ + 2e¯

� Cu° 0,34

Hg2Cl2 + 2e¯� 2 Hg° + 2 Cl¯ 0,268 0,244

0,334 KCl saturo KCl 0,1M

AgCl + 1e¯� Ag° + Cl¯ 0,222 0,228 KCl 1M

Sn4+ + 2e¯� Sn2+ 0,154 0,14 HCl 1M

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Semireazione E° (V) Ef (V) Ambiente Cu2+ + 1e¯

� Cu+ 0,153 S4O6

2- + 2e¯� 2 S2O3

2 0,08 AgBr + 1e¯

� Ag° + Br¯ 0,073 NO3

¯ + H3O+ + 1e¯

� NO2¯ + 2 OH¯ 0,01

2 H3O+ + 2e¯���� H2 + 2H2O 0,000 -0,05 HCl 1M

Fe3+ + 3e¯� Fe° -0,04

-0,14 HClO4 1M Pb2+ + 2e¯� Pb° -0,126

-0,29 H2SO4 1M Sn2+ + 2e¯

� Sn° -0,136 -0,16 HClO4 1M AgI + 1e¯

� Ag° + I¯ -0,151 Ni2+ + 2e¯

� Ni° -0,250 Co2+ + 2e¯

� Co° -0,277 Cd2+ + 2e¯

� Cd° -0,403 Cr3+ + 1e¯

� Cr° -0,408 -0,40 HCl 5M Fe2+ + 2e¯

� Fe° -0,440 Cr3+ + 3e¯

� Cr° -0,744 Zn2+ + 2e¯

� Zn° -0,76 2 H2O + 2e¯

� H2 + 2OH¯ -0,83 Mn2+ + 2e¯

� Mn° -1,18 Al3+ + 3e¯

� Al° -1,66 [Al(OH)4]

¯ + 3e¯� Al° + 4 OH¯ -2,35

Mg2+ + 2e¯� Mg° -2,36

Na+ + 1e¯� Na° -2,71

Ca2+ + 2e¯� Ca° -2,866

Ba2+ + 2e¯� Ba° -2,90

K+ + 1e¯� K° -2,92

Li+ + 1e¯� Li° -3,045

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1.5. Composti suggeriti per la preparazione delle soluzioni standard

Elemento Composto PF Solvente Note Al Al metallo 26.98 HCl dil. a caldo (a) Sb KSbOC4H4O6•½H2O 333.93 H2O (c) Ag AgNO3 169.87 H2O (a) As As2O3 197.84 HCl diluito (i) (b) (d) Ba BaCO3 197.35 HCl diluito Bi Bi2O3 465.96 HNO3 B H3BO3 61.83 H2O (d) (e) Br KBr 119.01 H2O (a) Cd CdO 128.40 HNO3 Ca CaCO3 100.09 HCl diluito (i) Ce (NH4)2Ce(NO3)6 548.23 H2SO4 Co Co metallo 58.93 HNO3 (a) Cr K2Cr2O7 294.19 H2O (i) (d) Fe Fe metallo 55.85 HCl a caldo (a) F NaF 41.99 H2O (b) P KH2PO4 136.09 H2O I KIO3 214.00 H2O (i)

La La2O3 325.82 HCl a caldo (f) Li Li2CO3 73.89 HCl (a)

Mg MgO 40.31 HCl Mn MnSO4•H2O 169.01 H2O (g) Hg HgCl2 271.50 H2O (b) Mo MoO3 143.94 NaOH 1 M Ni Ni metallo 58.70 HNO3 a caldo (a) Pb Pb(NO3)2 331.20 H2O (a)

K KCl

KHC8H4O4 K2Cr2O7

74.56 204.23 294.19

H2O (a)

(i) (d) (i) (d)

Cu Cu metallo 63.55 HNO3 diluito (a)

Si Si metallo SiO2

28.09 60.08

NaOH concentrata HF

(j)

Na NaCl Na2C2O4

58.44 134.00

H2O H2O

(i) (i) (d)

Sn Sn metallo 118.69 HCl Sr SrCO3 147.63 HCl (a) Ti Ti metallo 47.90 H2SO4 1:1 (a) W Na2WO4•2H2O 329.86 H2O (h) U U3O8 842.09 HNO3 (d) V V2O5 181.88 HCl a caldo Zn ZnO 81.37 HCl (a) S K2SO4 174.27 H2O

(a) ha caratteristiche simili a quelle di uno standard primario; (b) molto tossico; (c) perde ½H2O a 110°C. Dopo essere stato essiccato, il composto ha pf 324.92. Tolto dall’essiccatore deve essere pesato rapidamente; (d) disponibile come standard primario presso il National Istitute of Standards and Tecnology; (e) H3BO3 deve essere pesato direttamente dalla bottiglia. Infatti perde 1 H2O a 100 °C ed è difficile essiccarlo sino a peso costante; (f) assorbe CO2 e H2O. Deve essere calcinato prima dell’uso; (g) Può essere essiccato a 110 °C senza che perda acqua; (h) perde entrambe le molecole di H2O a 110 °C, pf = 293.82. Deve essere conservato in essiccatore; (i) standard primario; (j) HF è molto tossico e scioglie il vetro;

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1.6. Riassunto condizioni analitiche AAS e ETAAS

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ETAAS Metal Wavelength

(nm) Conc. (µµµµg/ml) for 0.2 Abs Max ash Temp. Atomiz. Temp. Signal

Ca 422.7 239.9

3 600 1200° 2600° 10 µl at 3 ppb � 0.2 Abs

Cd 228.8 326.1

1.1 400 300° 1800° 10 µl at 1.1 ppb � 0.2 Abs

Cr

357.9 428.9 520.8 520.4

7.5 53

1500 3750

1100° 2600° 10 µl at 7.5 ppb � 0.2 Abs

Cu

324.7 327.4 217.9 218.2 222.6

15 30

120 150 600

900° 2300° 10 µl at 30 ppb � 0.2 Abs

Fe 248.3 372.0 386.0

6 60 90

800° 2300° 10 µl at 6 ppb � 0.2 Abs

K 766.5 769.4 404.4

2 4

800 800° 2100°

Mg 285.2 202.6

1 30 900° 2200°

Mn 279.5 403.1 321.7

3 36

9000 800° 2400°

Na 589.0 589.6

330.2/3

0.25 0.5 123

800° 2000°

Ni

232.0 352.4 351.5 362.5

24 120 240

12000

900° 2400°

Pb 217.0 283.3 261.4

14 27

1120 600° 2100°

Zn 213.9 307.6

0.75 5680 400° 1900°

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1.7. Schema raccolta dati indispensabili 1.7.1. Titolazione Tipo Titolazione Indicatore

Titolante Concentrazione

Standardizzazione No

Si

Calcoli

Campione

Tipo Solido

Liquido

Concentrazione presunta Espressione Risultato

Dati titolazione

Volume totale Prelievo

Note Volume equivalente

Calcoli

Risultato finale

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1.7.2. Analisi strumentale Tipo analisi Strumento

Retta di taratura

Analita Punti retta

Standard utilizzato Purezza

Soluzione madre

Pesata Volume

Concentrazione

Soluzione figlia

Prelievo madre

Volume

Concentrazione

Calcoli

Campione

Tipo Solido

Liquido

Concentrazione presunta Espressione Risultato

Volume iniziale Diluizioni e calcoli

Risultati retta

Concentrazione

Assorbanza

Equazione retta

Risultati campione

Assorbanza Concentrazione

Calcoli finali Risultato finale

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2. Introduzione all’analisi chimica

Le difficoltà riscontrabili nell’analisi di prodotti merceologici derivano dalla variabilità e dalla complessità della loro composizione chimica. Raramente nell’eseguire l’analisi di un materiale complesso il campione è pronto a tale scopo, perché molto spesso i materiali tecnici non sono solubili, o lo sono poco in acqua o in acidi diluiti, o perché si devono preventivamente separare i componenti analiticamente interferenti con la specie chimica da analizzare. Non si possono applicare semplicemente i metodi di determinazione che la chimica analitica quantitativa suggerisce, ma sono necessarie operazioni preventive ed una applicazione ben ponderata delle metodiche suggerite.

Per essere in grado di delineare i passaggi che un procedimento di analisi tecnica comporta, è necessario aggiungere la nozione di « rappresentatività » dei campioni da analizzare.

La quantità di sostanza analizzata (il campione) è sempre, necessariamente, solo una piccola porzione del materiale disponibile. Ora, perché sia lecito estendere i risultati ottenuti analizzando il campione all'intera massa di materiale, è necessario che i due abbiano l'identica composizione chimica. Se questa condizione è soddisfatta, si dice che il campione analizzato è « rappresentativo ».

La tecnica con la quale si perviene al prelievo di campioni rappresentativi si dice campionamento ed il possederne la facoltà di praticarla esattamente è un fatto importante quanto quello di saper effettuare bene l'analisi vera e propria. Con campioni non rappresentativi, l'analisi più accurata ha solo valore di ottima esercitazione di laboratorio, i cui risultati non hanno alcun valore pratico, perché non rappresentano l'effettiva composizione del materiale analizzato.

Figura 2.1: Stadi dell’analisi tecnica

In generale un’analisi comporta i seguenti stadi operativi:

• Campionamento, ovvero l'insieme di operazioni che permettono di prelevare una piccola quantità di sostanza avente esattamente la composizione chimica della massa di materiale disponibile;

• Solubilizzazione, necessaria tutte le volte che si devono eseguire

separazioni o determinazioni in soluzione; • Separazione degli elementi o dei composti interferenti, per rendere

possibile la determinazione analitica del componente che interessa; • Determinazione vera e propria, da eseguire con un metodo chimico

o strumentale, scelto in base ai criteri che saranno esposti in seguito;

• Calcolo e interpretazione dei risultati, cioè valutazione critica dei

risultati ottenuti e loro presentazione nella forma più utile e comprensibile per chi deve utilizzarli.

2.1. Campionamento Se il campione è prelevato in modo errato, il lavoro fatto per

determinarne la composizione chimica è inutile, in quanto non dà la composizione del materiale di partenza, o addirittura porta a conclusioni errate.

Per chiarire in modo elementare questo concetto si può ricorrere ad un esempio molto semplice: si supponga di prelevare una sola pallina da un recipiente che contiene lo stesso numero di palline bianche e nere, le prime costituite da BaSO4 (palline bianche) e le seconde da PbS (palline nere) da analizzare. Se la pallina estratta è bianca, l'analisi farà credere che nel recipiente è contenuto solo solfato di bario, mentre, se è nera, se ne dedurrà che il recipiente contiene solo solfuro di piombo. Questo esempio limite dimostra chiaramente che l'errata

campionatura porta a conclusioni inattendibili anche se l'analisi chimica (cioè il riconoscimento dell'uno o dell'altro composto) è stata eseguita correttamente.

Obiettivo di questo primo stadio è quello quindi di ottenere un “campione rappresentativo”, ovvero una piccola frazione di campione, al massimo 1-2 chilogrammi, che abbia la stessa composizione chimica del campione e dalla quale eseguire poi i prelievi per le varie determinazioni. Ovviamente più il campione iniziale è omogeneo più è facile ottenere un campione rappresentativo, viceversa se il campione è eterogeneo risulterà più complesso ottenere un

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Xm X

σ1

σ2

campione rappresentativo. Anche le dimensioni del campione da analizzare sono importanti: per piccole quantità di campione è relativamente

semplice omogeneizzarlo tutto ed ottenere il campione rappresentativo, mentre per quantità maggiori, anche dell’ordine delle tonnellate, si devono utilizzare metodi di tipo statistico perché risulta impossibile omogeneizzare completamente il campione.

Per chiarire questi concetti esaminiamo un altro esempio: si devono analizzare delle barbabietole da zucchero che vengono pagate al contadino in base al loro contenuto di zucchero (grado zuccherino) presente. Il grado zuccherino può variare a seconda del grado di maturazione della singola barbabietola da un 10% fino anche al 24% e, dato che il prezzo è espresso in euro per grado zuccherino per quintale, questo può significare oscillazioni notevoli nel pagamento di una specifica partita.

Supponiamo di avere una partita di 10000 quintali di barbabietole e preleviamo come campione rappresentativo una barbabietola “acerba” con grado zuccherino ipotetico del 14% e il pagamento è di 0,50 euro per grado zuccherino e quintale, l’incasso del contadino sarà di:

euroincasso 000.70141000050,0 =••=

Se viceversa preleviamo una barbabietola “matura” che abbia grado zuccherino del 21%, il valore della partita sarà nettamente superiore:

euroincasso 000.105211000050,0 =••=

Come si può notare da questo esempio l’influenza del campionamento può essere notevole. Per progettare il campionamento più adatto al nostro caso si possono seguire due percorsi diversi: il primo sfrutta

l’esperienza e la capacità del tecnico prelevatore, mentre il secondo si basa su criteri statistici. Il primo caso si basa su informazioni soggettive e non generalizzabili, di conseguenza qui tratteremo solo il secondo. In particolare, per capire come la statistica può aiutarci nella corretta progettazione di un campionamento dobbiamo esaminare velocemente quali sono i parametri in grado di descrivere una serie di misure sperimentali.

2.1.1. Cenni di statistica Figura 2.2: Distribuzione Gaussiana

Quando si eseguono una serie di misure ripetute sullo stesso campione utilizzando delle metodiche sufficientemente sensibili non si ottengono mai risultati coincidenti ma si osserva una dispersione delle misure ottenute attorno ad un valore centrale. La più nota è la distribuzione Gaussiana illustrata in figura 2.2 nella quale è riportata sulle ascisse i valori misurati mentre in ordinata la frequenza con la quale si ottiene quel valore (n° di misure con quel valore). Si definisce media (Xm) il valore medio della serie di misure, mentre con la deviazione standard � si indica l’ampiezza della distribuzione delle misure ovvero la dispersione delle misure ottenute. Più piccola è � più stretta è la dispersione e quindi più ravvicinati sono i valori ottenuti e quindi maggior “precisione” delle misure. Ricordiamo però che la deviazione standard non fornisce nessuna indicazione riguardo la “accuratezza” della serie di misure, ovvero la loro vicinanza al valore vero. Di seguito riportiamo le formule per il calcolo della media aritmetica e della deviazione standard:

n

xx i i

m�= media aritmetica

( )1

2

−−

= �n

xxi miσ deviazione standard

La deviazione standard è particolarmente importante per descrivere la dispersione di una serie di misure perchè ci permette di ricavare quante misure sono contenute in un certo intervallo centrato sul valore medio di ampiezza definita come un certo numero di volte la deviazione standard, come indicato nella seguente formula:

σzxm ±

al variare di z varia la probabilità che una certa misura sia compresa nell’intervallo detto intervallo di fiducia. Nella seguente tabella sono riportati alcuni valori di z con i rispettivi intervalli di fiducia:

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Tabella 2.1: Percentuali di osservazione in una distribuzione gaussiana Intervallo Z Misure comprese nell’intervallo Xm ± 1 � 1 68,3 % Xm ± 2 � 2 95,5 % Xm ± 3 � 3 99,7 %

Xm ± 1,645 � 1,645 90 % Xm ± 1,96 � 1,96 95 % Xm ± 2,33 � 2,33 98 % Xm ± 2,58 � 2,58 99 %

Per questo motivo la deviazione standard è anche usata per valutare la probabilità che una misura sia compresa in un certo intervallo e quindi anche per valutare l’errore da associare ad una serie di misure.

2.1.2. Tecniche di campionamento Per progettare il campionamento più adatto al nostro caso è necessario conoscere la deviazione standard della

popolazione in esame, ovvero quanto varia il valore della grandezza che dobbiamo misurare all’interno del nostro campione da analizzare. Maggiore è la variabilità della grandezza in esame più complesso sarà ottenere un campione rappresentativo, viceversa se la variabilità della grandezza è trascurabile o minima, questa avrà lo stesso valore in ogni punto del campione e sarà quindi semplicissimo ottenere un campione rappresentativo.

La deviazione standard la si può di solito ricavare dalla letteratura, o dall’esperienza personale. Oltre alla deviazione standard bisogna fissare l’intervallo di fiducia nel quale vogliamo che cada la nostra misura e

l’errore tollerabile del campionamento. Questi dati sono legati tra di loro dalla seguente formula:

nzerrore etollerabil

σ= dove: z ampiezza dell’intervallo di fiducia

� deviazione standard della misura n numero di misure

Per capire meglio come usare questi dati applichiamoli all’esempio visto prima:

Supponiamo di dover determinare il grado zuccherino delle barbabietole con un intervallo di fiducia del 95% e un

errore non superiore a 0,1 di grado zuccherino e vogliamo calcolare quante barbabietole campionare.

Dalla letteratura si ricava una � = 1,146 per il grado zuccherino delle barbabietole coltivate in Italia, mentre dalla tabella 2.1 con un intervallo di fiducia del 95% si ricava uno z = di 1,96.

Applicando quindi la formula si ricava n ovvero il numero di barbabietole da analizzare per soddisfare le condizioni di fiducia e di errore impostate:

5,504146,1

96,11,0 === nnn

zerroreσ

Devo quindi prelevare almeno 505 barbabietole se voglio essere sicuro al 95% che il valore medio di questo campione si scosti non più di 0,1 sul valore di grado zuccherino dell’intera partita.

Facciamo un altro esempio considerando un campione non sfuso ma in cartoni:

Si deve determinare il grasso presente in una partita di cartoni di latte da 1 litro. Sulla confezione è riportato il valore

del 1,8 % di grassi. Si vuole avere un errore finale al massimo dell’2 % sul valore di grasso e si devono calcolare quanti cartoni aprire per avere un intervallo di fiducia del 95% e del 99%.

Si deve innanzitutto calcolare l’errore assoluto tollerabile:

036,0100

28,1 =⋅=assolutoerrore

Dalla tabella 2.1 ricaviamo z per i corrispondenti intervalli di fiducia, in particolare 95% z = 1,96 e 99% z = 2,58. Applichiamo ora la formula per il calcolo del numero di cartoni da analizzare:

87,32036,0

08,058,2%99

97,18036,0

08,096,1%95

2

2

=��

���

� ⋅=

=��

���

� ⋅=

nFiducia

nFiducia

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Quindi se vogliamo avere un intervallo di fiducia del 95% dobbiamo aprire e prelevare aliquote da almeno 19 cartoni, se viceversa vogliamo avere un intervallo di fiducia del 99% dobbiamo aprire almeno 33 cartoni di latte.

In ognuno di questi esempi noi abbiamo calcolato l’ampiezza del campione da prelevare ma non come scegliere le

barbabietole o i cartoni da analizzare all’interno dell’intero lotto. Per fare questo si deve procedere in maniera casuale in modo da non farsi influenzare da parametri esterni. Qui di seguito riportiamo alcune tecniche per eseguire il campionamento in maniera casuale e si devono scegliere a seconda di come si adattano al nostro specifico campione.

2.1.2.1 Campionamento semplice

Questo metodo si adatta a oggetti uniformi non inscatolati come bottiglie, uova, panini, ecc. Consiste nello scegliere

i miei n campioni calcolati dalle formule viste sopra in maniera casuale, ad esempio se dobbiamo prelevare delle bottiglie che passano su un nastro trasportatore ne scelgo una ogni tanto fino a raggiungere il numero stabilito.

2.1.2.2 Campionamento per strati

Questo metodo si adatta a insiemi di oggetti molto disomogenei, con conseguente variazione della grandezza da

esaminare che varia in un intervallo molto ampio quindi con grande deviazione standard. Questo ci costringerebbe a prelevare un gran numero di campioni per avere bassi errori. Per ovviare a questo inconveniente si divide la popolazione da analizzare in sottoinsiemi più omogenei, detti strati, in modo che in ciascun strato la grandezza esaminata vari in un intervallo più piccolo. Da ogni intervallo prelevo poi i campioni necessari con il metodo del campionamento semplice.

2.1.2.3 Campionamento a grappoli

Questo metodo si adatta a oggetti già racchiusi in sottoinsiemi, ad esempio casse di frutta. Se abbiamo una partita di

500 cassette di mele o pomodori, dai calcoli devo prelevare 8 cassette che scelgo in maniera casuale e poi sul contenuto di ogni singola cassa eseguo le analisi e i risultati li riferisco all’intera popolazione.

2.1.2.4 Campionamento a stadi

Questo metodo si adatta a oggetti già racchiusi in sottoinsiemi multipli, ad esempio scatoloni che contengono tanti

tubetti di dentifricio o flaconi. Anche in questo caso, come nel precedente, seleziono dalla mia popolazione alcune scatole dalle quali eseguo poi dei prelievi di alcuni flaconi che analizzerò. Ad esempio abbiamo 1000 scatole che contengono ognuna 20 tubetti di dentifricio. Si scelgono casualmente 10 scatole che si aprono per prelevare 2 tubetti da ognuno da sottoporre all’analisi.

2.2. Scelta del metodo d’analisi Nell'analisi tecnica, accanto ai metodi chimici tradizionali, trovano largo impiego i metodi strumentali grazie ai

quali analisi complicate in passato sono entrate oggi nella routine di laboratorio. Inoltre, molti processi tecnologici di avanguardia, nel campo dell'elettronica e della metallurgia, sono divenuti

possibili solo quando l'analisi chimica strumentale ha fornito i mezzi per identificare, e determinare, quantità sempre più piccole di composti presenti come impurezze nei materiali che sono alla base di quelle avanzate tecniche.

D'altra parte, contrariamente a quello che si pensa comunemente, anche i metodi chimici sono tuttora largamente impiegati.

Poiché le sostanze da analizzare sono le più svariate, il metodo di analisi, sia esso chimico o strumentale, va scelto (ed eventualmente adattato caso per caso) dopo un'attenta considerazione dei seguenti fattori:

• Concentrazione della sostanza da determinare. Nel materiale da analizzare l'elemento, o il composto, ricercato può essere il costituente principale o può essere presente solo in piccole o piccolissime quantità (tracce). È evidente che un metodo gravimetrico, adatto per il primo caso, si addice meno dei metodi polarografico o spettrofotometrico alla determinazione di tracce.

• Errore tollerabile nei risultati. Può sorprendere lo studente il sentir parlare di “errore tollerabile”. Si deve però tenere presente che mentre nei laboratori scolastici il risultato è il fine, nell'analisi tecnica esso è un mezzo. Nell'ambito delle analisi tecniche è controproducente impiegare tempo e fatica per avere risultati migliori di quelli richiesti. L'intelligente applicazione di questo principio (della massima efficienza secondo alcuni, del minimo sforzo secondo altri) permette di effettuare con la massima rapidità possibile ogni analisi. Per chiarire il concetto ora espresso, si consideri la determinazione di uno dei componenti d'un acciaio (ad esempio, del nichel) che si suppone possa essere eseguita spettrograficamente, spettrofotometricamente e gravimetricamente. I tre metodi comportino diversa

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accuratezza; ad esempio: del 20% la determinazione spettrografica, del 5% la determinazione spettrofotometrica e dell'1 % la determinazione gravimetrica. Col primo metodo la determinazione richiede 30 minuti, accorrono circa 3 ore col secondo e, più o meno, 8 ore col terzo. Note l’accuratezza e il tempo richiesto da ciascun metodo, la scelta del metodo più conveniente è dettata dal tipo di risultato richiesto. Qualora interessi sapere se il contenuto del componente ricercato è compreso fra 0,5 e 1 % (in peso), cioè quando si può tollerare nei risultati una precisione del 50%, il primo metodo è il più adatto; dovendo stabilire se il suddetto componente è compreso fra 0,8 e 0,9%, è più adatto il secondo metodo; per determinare se è compreso fra 0,85 e 0,88%, l'unico metodo possibile è il terzo. Sarebbe controproducente usare il metodo gravimetrico, lungo e delicato, anche se assai preciso, per stabilire se il contenuto di nichel o di manganese nell'acciaio è compreso fra 0,5 e 1% in peso.

• Numero di campioni da analizzare. I metodi strumentali sono più rapidi dei metodi chimici, ma i secondi richiedono un'attrezzatura meno complicata e meno lavoro preliminare. Per una singola determinazione non c'è grande differenza fra il tempo impiegato con un metodo chimico e quello necessario con un metodo strumentale, perché un metodo strumentale comporta operazioni di taratura che richiedono un certo tempo e comprende un'analisi vera e propria assai rapida, mentre i metodi chimici sono quasi estranei alle operazioni di taratura ma implicano lunghi procedimenti di analisi vera e propria. Il numero di analisi da eseguire gioca un'influenza decisiva sulla scelta del metodo. Per una sola determinazione, o per molte determinazioni diverse fra loro, i metodi chimici sono i più praticati, ma per un certo numero di determinazioni simili (ad esempio, nel controllo della composizione di campioni provenienti da un unico ciclo di produzione) il tempo impiegato per la taratura e la messa a punto degli strumenti (operazione unica) è largamente compensato dalla maggior rapidità con cui si arriva al risultato finale nell'analisi vera e propria di ciascun campione trattato.

• Tempo disponibile per l'analisi. Il fattore tempo è stato considerato solo dal punto di vista della convenienza per l'operatore; spesso però la scelta va subordinata alla necessità di ottenere rapidamente i risultati. Ad esempio, nelle acciaierie è prassi comune controllare la composizione dell'acciaio prima della colata e per tutta la durata dell’analisi la massa da colare è mantenuta allo stato fuso, con un notevole consumo di energia, è necessario quindi fornire un risultato in tempi rapidi.

Dopo attenta considerazione dei fattori puntualizzati il problema analitico risulta inquadrato chiaramente e bisogna

passare all'esecuzione pratica dell’analisi. In alcuni casi il procedimento è ovvio, mentre in altri può richiedere molte prove preliminari.

Nei casi in cui i metodi trovati in bibliografia non sono direttamente adattabili al problema considerato, è necessario modificarli per tentativi e o controllando ogni volta sperimentalmente il nuovo procedimento o applicandolo a sostanze complesse di composizione nota, quando queste sono disponibili, o confrontando i risultati ottenuti applicando il metodo studiato con quelli ottenuti attraverso altro metodo già sperimentato e sicuro.

2.3. Solubilizzazione e disgregazione del campione Raramente nell’eseguire l’analisi di un materiale complesso il campione è pronto a tale scopo, perché molto spesso i

materiali tecnici non sono solubili, o lo sono poco in acqua o in acidi diluiti, o perché si devono preventivamente separare i componenti analiticamente interferenti con la specie chimica da analizzare.

In molti casi il primo passo dell'analisi consiste nel portare in soluzione il materiale da analizzare. Data la complessità di certi materiali da analizzare, la solubilizzazione può richiedere l'uso di trattamenti piuttosto energici.

In alcuni casi fortunati, quando le interferenze presenti nella matrice lo consentono e quando è possibile estrarre selettivamente il nostro analista dalla matrice in maniera quantitativa, non è necessario portare in soluzione tutto il nostro campione. In questo caso si può procedere direttamente ad estrarre l’analita ricercato, con acqua o con solventi specifici, con un notevole risparmio di tempo.

Nella figura 2.3 sono riassunte queste possibilità.

Figura 2.3: Influenza della matrice nell’esecuzione dell’attacco.

Campione

Matrice Organica Matrice Inorganica

Disgregazione completa (es leghe)

Estrazione selettiva (es fertilizzanti)

Estrazione selettiva Per determinare organici

Mineralizzazione completa Per determinare inorganici

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2.3.1. Generalità sulla solubilizzazione delle matrici organiche

Se il campione è costituito da una matrice prevalentemente organica le informazioni ricercate dall’analista possono

riguardare o la frazione inorganica o quella organica. Nel caso si sia interessati ai componenti inorganici del campione, quasi sempre l’attacco deve passare attraverso un processo di “mineralizzazione” della matrice, ovvero la trasformazione di tutte le sostanze organiche in CO2 e H2O e l’ottenimento di una soluzione acquosa dei componenti inorganici. Questo passaggio è necessario dato che molte sostanze organiche funzionano da interferenze nelle determinazioni dei componenti inorganici, ad esempio molti metalli vengono complessati da leganti organici e la loro atomizzazione in un assorbimento atomico ne risulta fortemente influenzata.

Per ottenere la mineralizzazione completa delle matrici organiche si utilizzano spesso acidi ossidanti concentrati, da soli od in miscela, eventualmente associati a catalizzatori o all’acqua ossigenata. Le proprietà dei singoli acidi saranno trattate diffusamente nei paragrafi successivi.

La mineralizzazione che utilizza acidi ossidanti è associata allo sviluppo di una notevole quantità di gas (in genere CO2 associata ad altri ossidi) e questo rappresenta un notevole inconveniente nel caso si conduca l’attacco in un contenitore chiuso (bomba tradizionale o a microonde).

Una alternativa alla mineralizzazione con acidi è quella che prevede un incenerimento del campione in capsula o crogiolo per allontanare la frazione organica come CO2 e H2O. Le ceneri ottenute, costituite prevalentemente dai componenti inorganici, sono poi disgregate con acidi per ottenere una soluzione acquosa degli analiti.

Questo secondo procedimento presenta però l’inconveniente delle alte temperature raggiunte durante la fase di incenerimento, che possono causare una perdita degli analiti più volatili (ad esempio metalli come il piombo).

Se si è interessati all’analisi della frazione organica del nostro campione, non si può certo procedere con la

mineralizzazione, perché questa comporta la loro completa eliminazione. In questo caso si procederà ad una estrazione della frazione organica (più o meno selettiva) e successiva

determinazione sfruttando quelle tecniche analitiche che consentono il riconoscimento quali-quantitativo delle sostanze organiche (ad esempio tecniche cromatografiche, massa o altre simili).

L’estrazione dei componenti organici può avvenire o con metodiche classiche (imbuto separatore e opportuni solventi) oppure sfruttando l’estrazione in fase solida.

Le possibili variabili dell’attacco di matrici organiche sono riassunte nella figura 2.5.

2.3.1.1. Estrazione in fase solida Nelle estrazioni classiche con imbuto separatore vi sono diversi limiti quali la

immiscibilità dei solventi utilizzati con il campione, la formazione di emulsioni e la necessità di utilizzare grandi volumi di solventi, con conseguenti problemi di smaltimento. Inoltre queste tecniche sono essenzialmente manuali e questo le rende lente e laboriose.

Con l’estrazione in fase solida si superano molti di questi problemi. Le tecniche di estrazione in fase solida (SPE) sfruttano membrane o piccole

colonne-siringhe usa e getta o cartuccie e sono mutuate dalle tecniche cromatografiche. Un composto organico idrofobo ricopre o è legato chimicamente a silice in polvere e costituisce la fase solida estraente. Si possono usare composti non polari, moderatamente polari o polari. Per esempio, un octadecil (C18) legato a della silice (ODS) costituisce un comune materiale di impaccamento. I gruppi funzionali legati al materiale di impiccamento attraggono i composti idrofobi presenti nel campione mediante interazioni di Van der Waals e li estraggono dalla soluzione acquosa.

In figura 2.4 è mostrato un tipico sistema a cartuccia per SPE. Il campione viene posto nella cartuccia e si applica una pressione mediante una siringa o una linea d’aria o di azoto. In alternativa si può collegare all’uscita della cartuccia una pompa da vuoto. Le molecole organiche vengono quindi estratte dal campione e concentrate nella fase solida.

Successivamente esse possono essere rimosse dalla fase solida usando un solvente come il metanolo. Una volta che i componenti desiderati sono stati estratti da un grande volume di acqua possono essere concentrati eluentoli con un piccolo volume di solvente creando un effetto di pre-concentrazione. Questi metodi di pre-concentrazione sono spesso necessari per l’analisi di composti in tracce. Per esempio, le SPE vengono usate per determinare i costituenti organici presenti nelle acque potabili mediante i metodi ufficiali approvati dall’EPA

Figura 2.4: Sistema per SPE.

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(Agenzia di protezione ambientale americana). In alcune procedure di estrazione in fase solida, le impurità vengono estratte dalla fase solida, mentre i composti di interesse non vengono trattenuti.

Oltre che con cartucce impaccate, l’estrazione in fase solida può essere eseguita usando piccole membrane o dischi di estrazione. Questi hanno il vantaggio di ridurre la durata dell’estrazione e il volume di solvente da utilizzare. L’SPE può essere eseguita in sistemi a flusso continuo che automatizzano il processo di pre-concentrazione.

Una tecnica correlata, chiamata microestrazione in fase solida (SPME), utilizza una fibra di silice fusa ricoperta da un polimero non volatile che consente di estrarre gli analiti organici direttamente dalla fase acquosa o dallo spazio di testa del campione. L’analita si distribuisce tra la fibra e la fase liquida. Gli analiti vengono quindi desorbiti termicamente nell’iniettore riscaldato di un gas cromatografo. La fibra estraente è sistemata in un contenitore che è molto simile ad una comune siringa. Questa tecnica unisce, in un unico stadio, il campionamento e la pre-concentrazione del campione.

Figura 2.5: Possibili attacchi su matrici organiche.

2.3.2. Generalità sulla solubilizzazione delle sostanze inorganiche

La solubilizzazione trasforma i composti inorganici in una forma più adatta per determinarne o separarne i

componenti, ma distrugge l'identità chimica del composto di partenza. Di questo infatti, dopo solubilizzazione, è possibile stabilire solo la composizione elementare.

Solventi comuni dei composti inorganici sono le soluzioni acquose degli acidi forti; se la sostanza non è attaccata dagli acidi, o lo è solo lentamente, va trasformata in un composto più facilmente solubile mediante fusione in presenza di adatti reagenti (fondenti).

Il solvente più adatto va scelto considerando che: • La solubilizzazione deve essere completa, perché un residuo indisciolto può trattenere parte dei componenti da

determinare. Solo eccezionalmente si ricorre ad una solubilizzazione selettiva, da eseguire con grande cura e attenzione. • Il solvente non deve interferire nelle successive operazioni specie se si ricercano componenti in piccola

quantità (tracce). Proprio per evitare interferenze successive sono particolarmente indicati come solventi quei reattivi (come HCl) che possono essere facilmente allontanati per evaporazione.

• La velocità di dissoluzione dev'essere la più grande possibile. Tale velocità aumenta all’aumentare della superficie di contatto fra solido e solvente e al crescere della temperatura. Perciò il solido dovrà essere ridotto in polvere finissima e si dovrà preferire il solvente che consenta di raggiungere la temperatura più elevata. In tal caso però, possono manifestarsi anche effetti secondari indesiderati, quali la perdita di alcuni elementi sotto forma di composti volatili e l'attacco del recipiente in cui si compie la solubilizzazione. A temperatura elevata sono facilmente volatili molti cloruri e, in particolare quelli di arsenico e antimonio. Le perdite per volatilizzazione sono più comuni di quanto si creda. Ad esempio, trattando con acidi si può avere lo sviluppo di anidride carbonica, anidride solforosa e idrogeno solforato. Con reagenti basici è comune la perdita di ammoniaca. Trattando con ossidanti si può avere la perdita di iodio

Campione organico

Estrazione selettiva Per componenti organici

Mineralizzazione completa Per componenti inorganici

SPE Estrazione in fase solida

Metodo classico Vaso aperto

Microonde Contenitore chiuso

A umido con acidi ossidanti H2SO4 – HNO3 – H2O2 – cat.

Incenerimento

solubilizzazione ceneri con acidi

Via classica Imbuto separatore

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e bromo, mentre con forti riducenti si possono liberare AsH3,, PH3 ed SbH3. Trattando con acido fluoridrico il silicio ed il boro volatilizzano sotto forma di fluoruri. Anche durante l'attacco per fusione si può avere la perdita per volatilizzazione di vari metalli (principalmente: mercurio, piombo, zinco e, in misura minore, manganese e ferro), sotto forma di ossidi o di cloruri.

Figura 2.6: Possibili attacchi su matrici inorganiche.

2.3.3. Solubilizzazione con acidi I reagenti più comuni per la decomposizione in recipienti aperti di campioni analitici inorganici sono gli acidi

minerali. Nel caso di metalli la reazione di solubilizzazione consiste, generalmente, in una ossidazione ad opera dell’acido che si riduce. Di conseguenza un parametro molto importante nella scelta dell’acido da utilizzare è il suo potenziale red-ox che deve risultare maggiore di quello del metallo da solubilizzare. Qui di seguito riportiamo alcune semireazioni dei principali acidi.

Semireazione E° (V) Semireazione E° (V)

ClO4¯ + 8H+ + 8e¯

� Cl¯ + 4H2O 1,39 2NO3¯ + 4H+ + 2e¯

� N2O4 + 2H2O 0,803 ClO4

¯ + 8H+ + 7e¯� ½Cl2 + 4H2O 1,39 SO4

2¯ + 8H+ + 6e¯� S + 4H2O 0,357

ClO4¯ + 2H+ + 2e¯

� ClO3¯ + H2O 1,20 SO4

2¯ + 4H+ + 2e¯� H2SO3 + H2O 0,170

NO3¯ + 4H+ + 3e¯

� NO + 2H2O 0,96 2H+ + 2e¯� H2 0,000

2.3.3.1. Acido cloridrico L'acido cloridrico concentrato è un solvente eccellente per i campioni inorganici ma trova limitata applicazione

nella decomposizione dei materiali organici. Esso viene ampiamente usato per disciogliere molti ossidi metallici ed anche metalli più facilmente ossidabili dell'idrogeno; spesso, è un solvente migliore per gli ossidi di quanto non lo siano gli acidi ossidanti. L'acido cloridrico concentrato è circa 12 M, ma in seguito a riscaldamento, viene perso acido cloridrico fino a che resta una soluzione 6 M con punto di ebollizione costante (punto di ebollizione circa 110°C).

2.3.3.2. Acido nitrico L'acido nitrico bollente concentrato è un forte ossidante che scioglie tutti i comuni metalli, ad eccezione

dell'alluminio e del cromo, che diventano inerti rispetto al reagente in conseguenza della formazione di un ossido in superficie. Quando leghe contenenti stagno, tungsteno o antimonio vengono trattate con il reagente bollente, si formano ossidi idrati debolmente solubili, come SnO2•4H2O. Dopo la coagulazione, questi materiali colloidali possono essere separati dalle altre specie metalliche mediante filtrazione.

L'acido nitrico bollente da solo o combinato con altri acidi ed agenti ossidanti, quali il perossido d'idrogeno ed il bromo, viene ampiamente usato per decomporre campioni organici prima di determinare il loro contenuto in tracce di metalli. Questo processo di decomposizione, chiamato mineralizzazione, converte il campione organico in biossido di carbonio ed acqua. A meno che esso non venga eseguito in un recipiente chiuso, gli elementi non metallici, come gli alogeni, lo zolfo e l'azoto vengono completamente o in parte perduti per volatilizzazione.

2.3.3.3. Acido solforico Molti materiali vengono decomposti e disciolti dall'acido solforico bollente concentrato, il quale deve parte della sua

efficacia come solvente al suo elevato punto di ebollizione (circa 340°C). La maggior parte dei composti organici a questa temperatura viene disidratata ed ossidata ed è perciò eliminata dai campioni sotto forma di biossido di carbonio ed acqua da questo trattamento di mineralizzazione. La maggior parte dei metalli e molte leghe vengono attaccate dall'acido bollente.

Campione inorganico

Estrazione selettiva Disgregazione completa

acque ecc.

Con fondenti Crogiolo

Microonde Contenitore chiuso

Con acidi Vaso aperto

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2.3.3.4. Acido perclorico L'acido perclorico bollente concentrato, un potente agente ossidante, attacca un gran numero di leghe di ferro e

acciai inossidabili che sono intrattabili con altri acidi minerali. Bisogna comunque fare attenzione nell'uso del reagente, a causa della sua natura potenzialmente esplosiva. L'acido concentrato freddo non è esplosivo, e neppure le soluzioni diluite riscaldate. Violente esplosioni si verificano, comunque, quando l'acido perclorico concentrato bollente entra in contatto con materiali organici o sostanze inorganiche facilmente ossidabili. A motivo di questa proprietà, il reagente concentrato andrebbe riscaldato solo sotto speciali cappe, delimitate da vetro o acciaio inossidabile, senza giunture, ed aventi un sistema a nebbia per dilavare con acqua le pareti. Una cappa per acido perclorico dovrebbe sempre essere fornita di un proprio sistema di ventilazione, che sia indipendente da tutti gli altri sistemi.

L'acido perclorico si trova sul mercato come acido al 60% e fino al 72%. Una miscela ad ebollizione costante (72,4% di HC1O4) si ottiene a 203°.

2.3.3.5. Miscele ossidanti Una più rapida mineralizzazione può a volte essere ottenuta con l'uso di miscele di acidi o per aggiunta di agenti

ossidanti ad un acido minerale. L'acqua regia, una miscela contenente tre volumi di acido cloridrico concentrato ed una di acido nitrico, è ben nota. L'aggiunta di bromo o di perossido d'idrogeno ad acidi minerali spesso accresce la loro azione solvente e affretta l'ossidazione dei materiali organici nel campione. Sono anche utili a questo scopo le miscele di acido nitrico e perclorico e sono meno pericolose rispetto all'acido perclorico da solo. Con questa miscela, comunque, bisogna fare attenzione ad evitare l'evaporazione di tutto l'acido nitrico prima che sia completa l'ossidazione del materiale organico. Gravi esplosioni e danni si sono verificati in seguito alla mancata osservazione di questa precauzione.

2.3.3.6. Acido fluoridrico L'acido fluoridrico trova applicazione soprattutto per la decomposizione di rocce e minerali silicati quando si

vogliono determinare le specie presenti oltre alla silice. In questo trattamento il silicio si sviluppa come tetrafluoruro. Dopo che la decomposizione è completa, l'acido fluoridrico in eccesso viene eliminato per evaporazione con acido solforico o perclorico. La rimozione completa spesso è indispensabile per il successo dell'analisi, poiché lo ione fluoruro reagisce con vari cationi per formare complessi di altissima stabilità, che poi interferiscono con la determinazione di questi cationi. Per esempio, la precipitazione dell'alluminio (come A12O3•×H2O) con ammoniaca è abbastanza incompleta se è presente fluoruro anche in piccole quantità. Molto spesso, la rimozione delle ultime tracce di ione fluoruro da un campione è così difficile e lunga da annullare gli aspetti positivi dell'acido di partenza come solvente per i silicati.

L'acido fluoridrico viene occasionalmente impiegato in combinazione con altri acidi per attaccare gli acciai che si sciolgono con difficoltà in altri solventi.

Dal momento che l'acido fluoridrico è estremamente tossico, il discioglimento dei campioni e l'evaporazione per rimuovere il reagente in eccesso andrebbero eseguiti sempre sotto una cappa ben ventilata. L'acido fluoridrico provoca seri danni e ferite dolorose se portato a contatto della pelle. I suoi effetti possono non risultare evidenti che dopo ore dall'esposizione. Nel caso che l'acido venga a contatto con la pelle, la zona interessata va immediatamente sciacquata con abbondanti quantità di acqua. Può anche essere d'aiuto il trattamento con una soluzione diluita di ione calcio, che precipita lo ione fluoruro.

Con acidi si possono sciogliere: metalli e leghe, ossidi, carbonati, solfati e fosfati, solfuri, silicati. Metalli e leghe. L'azione solvente degli acidi sui metalli e le loro leghe si esplica tramite una ossidazione. Con i

metalli che precedono l'idrogeno nella serie dei potenziali normali di riduzione, ad esempio con lo zinco, l'agente ossidante è lo ione idrogeno:

2 H+ + Zn � H2 + Zn2+

È proprio in questo modo che si esplica l'azione solvente degli acidi alogenidrici (cloridrico, bromidrico, iodidrico) e degli acidi perclorico e solforico diluiti e impiegati a temperatura ambiente.

I metalli che seguono l'idrogeno nella suddetta serie (ad esempio, il rame), vengono invece ossidati dall’anione dell'acido:

3 Cu + 2 NO3¯ + 8 H+ � 3 Cu2+ + 2 NO + 4 H2O

Oltre all’acido nitrico, anche gli acidi perclorico e solforico concentrati, se vengono usati a caldo, esercitano azione ossidante nei confronti di molti metalli « più nobili » dell'idrogeno.

Nei casi in cui un solo acido non è sufficiente a solubilizzare, si usano miscele di più acidi. Per sciogliere acciai e altre leghe metalliche particolarmente resistenti, normalmente si usano miscele di acido solforico ed acido fosforico o di acido solforico, acido nitrico ed acido fosforico.

Probabilmente la miscela di acidi solubilizzante più nota è costituita dall'acqua regia (3 volumi di HCl + 1 volume di HNO3), usata particolarmente per sciogliere l’oro ed in generale quando sia richiesta un'azione solvente più completa o più rapida, grazie al fatto che esplica contemporaneamente azione acida, azione ossidante e, in misura minore, azione

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complessante (da parte dello ione cloruro). È opportuno evitare di aggiungere acidi troppo concentrati, si avrebbero, infatti, fenomeni di passivazione della lega

con conseguente insolubilizzazione del campione Per ridurre la violenza dell'attacco è consigliabile aggiungere l'ossidante gradualmente, a piccole porzioni, dopo l’aggiunta dell'acido.

2.3.3.7. Procedimento per la solubilizzazione con acidi Alla sostanza da solubilizzare, accuratamente pesata in un bicchiere da 100-250 ml, si aggiunge cautamente l'acido,

quindi si copre il bicchiere con un vetro da orologio disposto con la parte concava in alto. In alternativa si può utilizzare come contenitore una beuta con un imbuto di vetro infilato sul collo, in questo modo il gambo dell’imbuto permette la fuoriuscita dei gas minimizzando i rischi di perdere della soluzione a causa degli schizzi dell’ebollizione.

Cessato lo sviluppo del gas, se la sostanza è completamente disciolta (se non lo fosse, si dovrebbe scaldare ed, eventualmente, aggiungere nuovo reattivo solubilizzante) si lava accuratamente la parte inferiore del vetro d'orologio e le pareti del bicchiere, raccogliendo le acque di lavaggio nella soluzione principale.

Dovendo riscaldare, al posto del bicchiere è preferibile adoperare una beuta, chiusa da un imbuto che impedisce la fuoruscita del liquido ma non quella di vapori o di gas.

A solubilizzazione avvenuta, anche in questo caso si devono lavare accuratamente le pareti del recipiente e dell'imbuto, raccogliendo le acque di lavaggio nella soluzione principale.

Ossidi. L'acido cloridrico e l'acido bromidrico sono i solventi più comuni degli ossidi. Con l'acido solforico si

potrebbe raggiungere una temperatura di solubilizzazione più elevata, ma molti metalli pesanti (ad esempio, il piombo) danno, con esso, solfati poco solubili. Un eccellente solvente degli ossidi è l'acido fosforico che, per riscaldamento, si trasforma prima in acido pirofosforico e poi in acido metafosforico stabile ad alta temperatura, capace di solubilizzare anche gli ossidi refrattari (Al2O3, SnO2 e Cr2O3).

Carbonati, solfati e fosfati. Tutti i carbonati sono più o meno rapidamente solubili negli acidi forti. Poco solubili

risultano invece i solfati di molti metalli pesanti. I fosfati dei metalli comuni, in genere, sono solubili negli acidi cloridrico, perclorico e solforico; solo alcuni si sciolgono con difficoltà se sono stati calcinati ad alta temperatura.

Solfuri. I solfuri di Pb, Bi, Sn, Fe, Cd, Zn e Mn sono solubili in acido cloridrico concentrato (~12 M). Poco solubili

sono i solfuri di Ni e Co e non solubile la pirite (FeS2) che, peraltro, non è un vero solfuro. Silicati. L'acido cloridrico e gli altri acidi forti decompongono i silicati contenenti grandi quantità di calcio e zinco,

ma non attaccano sensibilmente quelli contenenti alluminio e ferro. Tutti i silicati vengono decomposti dall'acido fluoridrico. Nel metodo di Berzelius, il silicato finemente polverizzato viene attaccato con una miscela di acido solforico e acido fluoridrico: il silicio volatilizza (sotto forma di SiF4) e i metalli vengono trasformati in solfati.

2.3.4. Attacco con fondenti A temperatura elevata i fondenti trasformano molte sostanze in composti facilmente solubili in acidi o in alcali,

rendendo cosi possibili solubilizzazioni altrimenti impossibili. Ad esempio, nella fusione di un silicato con carbonato di sodio il processo può essere così schematizzato:

MeSiO3 + Na2CO3 � Na2SiO3 + MeCO3

Na2SiO3 + MeCO3 + 4 H+ � H4SiO4 + Me2+ + CO2� + 2 Na+

L'elevato potere disgregante dei fondenti è dovuto sia alla grande concentrazione del reagente (che è un reagente puro, non disperso in alcun solvente) sia all’elevata temperatura raggiunta nella fusione che favorisce un attacco veloce.

I fondenti possono avere caratteristiche acide (KHSO4 e H3BO3) o basiche (NaOH, KOH, Na2CO3 LiBO2 e Li2B4O7), ossidanti (Na2O2 e KNO3) o no (Na2CO3). Si sceglie l'uno o l'altro tipo di fondente secondo la natura della sostanza da disgregare.

La distinzione fra fondenti acidi e basici è evidente, come pure si capisce facilmente per ché si usa un fondente basico per disgregare una sostanza acida e viceversa. Meno immediato risulta giudicare quando una sostanza solida si può considerare acida piuttosto che basica. Per stabilirlo, conviene esprimere la composizione della sostanza in forma dualistica: così, CaCO3 diventa CaO.CO2 e CaSiO3 diventa CaO.SiO2. Schematizzando in generale MeO.XO (dove M è il metallo e X il non metallo) la formula dualistica delle sostanze, il loro carattere globale, acido o basico, dipende da due fattori: dalla forza relativa dell'acido XO e della base MO e dal rapporto molare fra i due. Il componente di forza maggiore, o che è presente in quantità maggiore, determina le caratteristiche, globalmente acide o basiche, della sostanza. Basi del tipo MeO sono Na2O, CaO, MgO e BeO; acidi del tipo XO sono SiO2, CO2 e P2O5.

Nonostante l'elevato potere disgregante che presentano, i fondenti sono usati solo quando non esistono altri reagenti per attaccare i materiali da solubilizzare; ciò per le seguenti ragioni:

• La potente azione solvente dei fondenti si esplica anche sul recipiente (ciò introduce nel campione sostanze estranee che lo contaminano);

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• Il fondente è impiegato in grande eccesso e perciò la soluzione finale include una elevata carica salina che può disturbare nelle successive operazioni;

• Impiegando forti (relativamente) quantità di fondente, cresce il pericolo dell'introduzione di sostanze estranee, presenti come impurezze nel fondente stesso.

In generale, quando è possibile l’attacco con acidi è preferibile a quello con fondenti; sia perché si può facilmente allontanare l’eccesso di reagente per evaporazione e sia perché il recipiente è meno attaccato. La solubilizzazione con fondenti è riservata ai campioni da analizzare che non sono attaccati dagli acidi o ai “residui” degli attacchi con acidi, assolutamente resistenti all'azione di questi.

I fondenti più comuni sono:

Pirosolfato di potassio. Si può preparare riscaldando il solfato acido di potassio:

2 KHSO4 � K2S2O7 + H2O

Cessato lo sviluppo del vapore d’acqua, la massa fusa, raffreddata su un disco di porcellana, viene sminuzzata in piccoli pezzi immediatamente dopo la solidificazione e poi viene conservata in un recipiente chiuso al riparo dall’umidità. A temperatura superiore ai 400°C, il pirosolfato di potassio funziona come se fosse acido solforico concentrato sviluppando anidride solforica:

K2S2O7 � K2SO4 + SO3.

Così trasforma in solfati solubili anche i composti più resistenti, come gli ossidi di alluminio, di ferro, di cromo e di titanio calcinati.

La fusione deve avvenire alla temperatura più bassa possibile, in modo che la SO3 si liberi lentamente ed abbia il tempo di attaccare il solido. Il riscaldamento diviene superfluo quando la decomposizione del pirosolfato è completa, cioè quando cessa lo sviluppo di SO3. Il miglior recipiente per fare le fusioni con pirosolfato è il crogiolo di quarzo; infatti, perfino il platino viene attaccato leggermente. Per il lavoro routinario vanno benissimo i crogioli di porcellana.

Anidride borica. È usata per decomporre i silicati e gli ossidi. Con essa nella soluzione acquosa finale si forma

l'acido borico, che può essere facilmente eliminato volatilizzandolo sotto forma di borato di metile. Carbonato di sodio. Serve a trasformare i silicati, i fosfati e i tungstati dei metalli pesanti, non solubili, nei

corrispondenti sali alcalini, facilmente decomponibili con acidi. Nella fusione si usano da 4 a 10 parti di Na2CO3 per 1 parte di materiale da disgregare. Ciò comporta una elevata concentrazione di ioni sodio nella soluzione acquosa finale, che può disturbare nelle successive operazioni.

Idrossido di sodio. È usato principalmente per la dissoluzione del carburo di silicio (carborundo). L'idrossido fuso è

estremamente pericoloso per gli occhi ed è indispensabile usare sempre occhiali protettivi. L’idrossido alcalino, che è igroscopico, richiede una fusione preliminare al fine di eliminare l'acqua: quando cessano ebollizione e spruzzi, si può aggiungere il materiale da disgregare, se è noto che non avviene una reazione violenta. Altrimenti si lascia solidificare la massa fusa, si pone il materiale sulla sua superficie e si scalda di nuovo.

Carbonato di sodio + nitrato (o clorato) di potassio. Questa miscela costituisce un fondente alcalino e ossidante

adatto per disgregare solfuri naturali e minerali di arsenico o di antimonio. La fusione si esegue in crogiolo di porcellana.

Perossido di sodio. E il fondente alcalino e ossidante più efficiente per disgregare leghe di ferro contenenti nichel,

cromo, molibdeno e silicio, inattaccabili dagli acidi. Generalmente, durante l'attacco l'azione violenta del perossido viene attenuata mescolandolo con carbonato di sodio. Poiché nessun materiale resiste all'attacco di un perossido alcalino, usualmente la fusione si esegue in crogioli di ferro, che sono i più economici. Se l'ossido ferrico, ceduto in tal caso dal recipiente, interferisce nelle operazioni successive, si usano crogioli di porcellana o di nichel.

2.3.4.1. Disgregazione di un silicato per fusione con carbonato sodico-potassico in miscela.

Si pesano circa 5 g di carbonato di sodio e potassio e se ne trasferisce metà in un crogiolo di platino. Si aggiungono 0,3-0,6 g di silicato finemente polverizzato e pesato esattamente, si mescola bene con una bacchetta di vetro, si aggiunge il restante carbonato, si ricopre il crogiolo e si inizia il riscaldamento tenendo il crogiolo verticale. Si aumenta poi gradualmente la fiamma finché il fondo del crogiolo non si mostra rosso scuro, si alza il coperchio e si controlla se la massa è tutta fusa. Se non lo è, si aumenta con cautela la temperatura finché si raggiunge la completa fusione. Si mantiene il sistema in queste condizioni almeno 30 minuti. Completato l'attacco, si allontana la fiamma e, mentre la massa si raffredda, si ruota il crogiolo con le pinze, in modo che il fuso solidifichi lungo le pareti.

Completato il raffreddamento, si riempie il crogiolo con acqua distillata e dopo almeno 12 ore si trasferisce il crogiolo in una capsula di porcellana contenente acido cloridrico diluito, si copre con un vetro d'orologio e si riscalda su bagnomaria fino a completa solubilizzazione. Si toglie infine il crogiolo e si lava accuratamente all'esterno e all'interno, raccogliendo le acque di lavaggio nella soluzione principale.

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(Le operazioni descritte in questo procedimento sono comuni a tutti i metodi di disgregazione per fusione, qualunque sia il materiale attaccato o il fondente usato.)

Tabella 2.2: Fondenti utilizzati per analisi quantitative

Fondente Punto di fusione Crogiolo utilizzabile

Sostanza decomposta

Na2CO3 851 °C Pt

Silicati e campioni con silice o allumina

Na2CO3 + agente ossidante (KNO3 o KClO3 o Na2O2)

-- Pt (non con Na2O2), Ni

Campioni contenenti S, As, Sb, Cr, ecc. dove serve un ambiente ossidante

LiBO2 849 °C Pt, Au, carbonio vetroso

Silicati in generale (minerali, scorie o ceramiche)

NaOH KOH

318 °C 380 °C Au, Ag, Ni

Silicati, carburo di silicio e minerali particolari

Na2O2 Si decompone Fe, Ni

Fondente basico e ossidante, adatto per solfuri, leghe di Fe, Ni, Cr, Mo, W e Li insolubili in acidi; leghe di platino; minerali di Cr, Sn e Zr

K2S2O7 300 °C Pt, porcellana

Silicati e ossidi poco solubili

B2O3 577 °C Pt

Silicati e ossidi sui quali si devono determinare i metalli alcalini

CaCO3 + NH4Cl -- Ni

Durante il riscaldamento produce CaO e CaCl2; Utilizzato per silicati dove si devono determinare i metalli alcalini

2.3.5. Decomposizione con microonde

L'uso dei forni a microonde per la decomposizione di campioni sia organici che inorganici è stato proposto per la

prima volta nella metà degli anni ‘70 e da allora è diventato un metodo importante per la preparazione di un campione. Le digestioni con microonde possono essere eseguite in

recipienti sia chiusi che aperti, ma sono preferibili i primi a causa delle pressioni più alte, e perciò delle temperature più alte, che si realizzano. La maggior parte della nostra trattazione verterà sulle decomposizioni con microonde in recipienti chiusi.

Uno dei principali vantaggi delle decomposizione con microonde rispetto ai metodi convenzionali che si servono di una fiamma o di una piastra bollente, è la velocità. Di solito, decomposizioni con microonde di campioni anche complessi possono essere realizzate in un tempo di 5-10 minuti. Al contrario, gli stessi risultati richiedono diverse ore se raggiunti per riscaldamento su fiamma o su una piastra bollente. La differenza e dovuta al diverso meccanismo con cui l'energia, nei due metodi, è trasferita alle molecole di soluzione. Il trasferimento del calore avviene mediante conduzione nei metodi tradizionali. Poiché i recipienti usati nel riscaldamento conduttivo sono in genere deboli conduttori, ci vuole tempo perché il recipiente si riscaldi e trasferisca poi il calore alla soluzione per conduzione. Inoltre, a causa della convezione all'interno della soluzione, solo una piccola parte del liquido viene mantenuta alla temperatura del recipiente e quindi al suo punto di ebollizione. Invece, l'energia delle microonde viene trasferita direttamente a tutte le molecole della soluzione quasi simultaneamente senza che il recipiente si riscaldi.

Pertanto, in tutta la soluzione le temperature di ebollizione Figura 2.7: Disgregatore a microonde vengono raggiunte molto velocemente Come sottolineato precedentemente, un vantaggio dell’impiego dei recipienti

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chiusi per le decomposizioni con microonde sono le temperature più alte che si sviluppano m conseguenza delle più elevate pressioni. Inoltre, poiché sono evitate le perdite per evaporazione, si richiedono quantità molto minori di reagente, riducendo perciò l'interferenza da parte dei contaminanti del reagente. Un ulteriore vantaggio delle decomposizioni di questo tipo è che la perdita dei componenti volatili del campione è teoricamente eliminata. Infine, le decomposizioni con microonde in recipienti chiusi sono facili da automatizzare, riducendo cosi il tempo operativo richiesto per preparare i campioni per l'analisi.

2.3.5.1. Recipienti per digestioni a pressione moderata I recipienti per digestione con microonde sono costruiti con materiali a bassa perdita trasparenti alle microonde

Questi materiali devono anche essere termicamente stabili e resistenti all'attacco chimico da parte dei vari acidi usati per le decomposizioni. Il Teflon e un materiale quasi ideale per molti degli acidi comunemente usati per le dissoluzioni. Esso è trasparente alle microonde, ha un punto di fusione di circa 300°C, e non e attaccato da nessun acido comune. Gli acidi solforico e fosforico, comunque, hanno punti di ebollizione superiori al punto di fusione del Teflon, il che vuoi dire che bisogna aver cura di controllare la temperatura durante le decomposizioni. Per questi acidi, al posto dei contenitori in teflon si usano a volte recipienti di quarzo o di vetro borosilicato. I recipienti silicati, comunque, hanno lo svantaggio di essere attaccati dall'acido fluoridrico, un reagente che spesso viene usato per decomporre i silicati e le leghe refrattarie.

La Figura 2.8 è una rappresentazione schematica di un recipiente per digestione chiuso, disponibile in commercio, progettato per essere usato in un forno a microonde, esso è formato da un corpo di Teflon, da una calotta e da una valvola di sicurezza fatta per operare a 120±10 psi. A questa pressione la valvola di sicurezza si apre e poi si richiude. 2.3.5.2. Recipienti per microonde ad alta pressione

La Figura 2.9 è una rappresentazione schematica di una bomba per microonde commerciale fatta per operare a 80

atm, cioè circa 10 volte la pressione che può essere tollerata dai recipienti a pressione moderata descritti nella precedente sezione La temperatura massima raccomandata e 250°C. Il corpo a pareti spesse della bomba è costruito con un materiale polimerico trasparente alle microonde. La decomposizione viene eseguita in un contenitore di Teflon alloggiato nel corpo della bomba. La bomba per microonde è dotata di una guarnizione di Teflon nel coperchio del contenitore che va ad insediarsi contro uno stretto bordo sulla parte esterna del contenitore stesso quando il rivestimento esterno di tenuta viene saldamente avvitato. Se si verifica una sovrapressione, la guarnizione si distorce, e l'eccesso di pressione comprime quindi il disco sigillante permettendo al gas di espandersi nei dintorni. Quando ciò avviene, il campione e compromesso. La pressione interna della bomba può essere valutata grosso modo dalla distanza con cui la vite di pressione sporge dalla calotta. Questa bomba per microonde risulta particolarmente utile per sciogliere materiali altamente refrattari che vengono decomposti in modo incompleto nei recipienti a pressione moderata descritti nel precedente paragrafo.

Figura 2.8 Figura 2.9 Figura 2.10

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2.3.5.3. Schede per la dissoluzione in microonde di vari campioni

Matrice: acciaio Matrice: materie prime ceramiche Metodo n°: 138 Metodo n°: Programma n°: 7 (6 cont) o 9 (4 cont) Programma n°: 7 (6 cont) o 9 (4 cont) Massa campione: circa 0,5 grammi Massa campione: circa 0,25 grammi Reattivi: 2ml HNO3 + 6ml HCl + 1ml HF + 1ml H2O Reattivi: 4ml HNO3 + 2ml HCl + 4ml HF + 2ml H2O

Matrice: acciaio senza cloridrico Matrice: Aceto balsamico Metodo n°: Metodo n°: Programma n°: 7 (6 cont) o 9 (4 cont) Programma n°: 8 (6/8 cont) Massa campione: circa 0,25 grammi Massa campione: circa 0,4 grammi Reattivi: 6ml HNO3 + 2ml H3PO4 + 2ml H2O Reattivi: 8ml HNO3 + 2ml H2O2

Matrice: Matrice: Metodo n°: Metodo n°: Programma n°: Programma n°: Massa campione: Massa campione: Reattivi: Reattivi:

Programma: 1 Contenitori: 6/8 Step Time Power Press. Temp.1 Temp.2 Rotor-ctrl: OFF Twist: ON 1 10’ 400 W b 180 °C -- Vent: 01.00.00 Note: 2 15’ 500 W b 180 °C --

Programma: 2 Contenitori: 6/8 Step Time Power Press. Temp.1 Temp.2 Rotor-ctrl: OFF Twist: ON 1 2’ 250 W b 120 °C -- Vent: 01.00.00 2 2’ 0 b 180 °C --

3 5’ 250 W b 180 °C -- 4 5’ 400 W b 210 °C --

Note:

5 3’ 600 W b 210 °C --

Programma: 3 Contenitori: 4/6 Step Time Power Press. Temp.1 Temp.2 Rotor-ctrl: OFF Twist: ON 1 5’ 300 W b 150 °C -- Vent: 01.00.00 2 5’ 400 W b 150 °C -- Note: 3 15’ 400 W b 210 °C --

Programma: 4 Contenitori: 6/8 Step Time Power Press. Temp.1 Temp.2 Rotor-ctrl: OFF Twist: ON 1 5’ 250 W b 180 °C -- Vent: 01.00.00 2 5’ 400 W b 180 °C --

3 5’ 550 W b 210 °C -- Note: 4 5’ 250 W b 180 °C --

Programma: 5 Contenitori: 4 Step Time Power Press. Temp.1 Temp.2 Rotor-ctrl: OFF Twist: ON 1 4’ 250 W b 180 °C -- Vent: 01.00.00 2 3’ 550 W b 200 °C -- Note: 3 3’ 250 W b 180 °C --

Programma: 6 Contenitori: 5/6 Step Time Power Press. Temp.1 Temp.2 Rotor-ctrl: OFF Twist: ON 1 5’ 250 W b 180 °C -- Vent: 01.00.00 2 5’ 400 W b 210 °C -- Note: 3 10’ 500 W b 210 °C --

Programma: 7 Contenitori: 6/8 Step Time Power Press. Temp.1 Temp.2 Rotor-ctrl: OFF Twist: ON 1 5’ 250 W b 180 °C -- Vent: 01.00.00 2 1’ 0 W b 180 °C --

3 5’ 250 W b 200 °C -- 4 5’ 400 W b 210 °C --

Note: come il programma 9 ma per più contenitori

5 5’ 550 W b 210 °C --

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Programma: 8 Contenitori: 6/8 Step Time Power Press. Temp.1 Temp.2 Rotor-ctrl: OFF Twist: ON 1 5’ 250 W b 120 °C -- Vent: 01.00.00 2 5’ 400 W b 160 °C --

3 5’ 650 W b 200 °C -- Note: 4 5’ 300 W b 200 °C --

Programma: 9 Contenitori: 4/5 Step Time Power Press. Temp.1 Temp.2 Rotor-ctrl: OFF Twist: ON 1 1’ 200 W b 180 °C -- Vent: 01.00.00 2 1’ 0 W b 180 °C --

3 5’ 200 W b 200 °C -- 4 5’ 300 W b 210 °C --

Note: come il programma 7 ma per meno contenitori

5 5’ 400 W b 210 °C --

Programma: 11 Contenitori: 6/8 Step Time Power Press. Temp.1 Temp.2 Rotor-ctrl: OFF Twist: ON 1 1’ 250 W b 200 °C -- Vent: 01.00.00 2 1’ 0 W b 200 °C -- 3 5’ 250 W b 200 °C --

4 4’ 400 W b 200 °C -- 5 4’ 550 W b 200 °C --

Note: come il programma 7 ma con uno step in più

6 5’ 300 W b 200 °C --

Programma: 12 Contenitori: 3/4 Step Time Power Press. Temp.1 Temp.2 Rotor-ctrl: OFF Twist: ON 1 1’ 150 W b 180 °C -- Vent: 01.00.00 2 1’ 0 W b 180 °C --

3 5’ 150 W b 200 °C -- 4 5’ 200 W b 210 °C --

Note: come il programma 7 ma per meno contenitori

5 5’ 250 W b 210 °C --

Programma: 14 Contenitori: 3/4 Step Time Power Press. Temp.1 Temp.2 Rotor-ctrl: OFF Twist: ON 1 5’ 100 W b 180 °C -- Vent: 01.00.00 2 5’ 200 W b 180 °C --

3 5’ 280 W b 180 °C -- Note: come programma 8 ma per meno contenitori 4 5’ 130 W b 180 °C --

Programma: Contenitori: Step Time Power Press. Temp.1 Temp.2 Rotor-ctrl: OFF Twist: ON 1 b -- Vent: 01.00.00 2 b --

3 b -- 4 b -- 5 b --

Note:

6 b --

Programma: Contenitori: Step Time Power Press. Temp.1 Temp.2 Rotor-ctrl: OFF Twist: ON 1 b -- Vent: 01.00.00 2 b --

3 b -- 4 b -- 5 b --

Note:

6 b --

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3. Analisi delle leghe di rame

3.0. Scheda raccolta dati sperimentali

Matrice:

Pesata campione: Volume pallone:

Analita % Presunta Metodo d’analisi scelto Conc. presunta nel pallone Cu Sn Pb Fe Al Ni Zn

Determinazioni volumetriche Analita Prelievo Titolante – Normalità 1° V eq. 2° V eq. 3° V eq.

Determinazioni gravimetriche Analita Prelievo Peso crogiolo vuoto Peso crogiolo pieno

Determinazioni strumentali (allegare i calcoli per madre e figlia e grafico retta) Analita Range retta Diluizione eseguita: prelievo � pallone (conc. presunta)

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Sono leghe non ferrose che si possono dividere in due categorie principali: bronzi e ottoni, secondo quanto riportato nel seguente diagramma:

Figura 3.1: Classificazione leghe di Rame.

3.1. Principi teorici La lega viene attaccata con acido nitrico che solubilizza tutti i metalli ad eccezione dello stagno che si separa come acido metastannico e si determina gravimetricamente. Se è presente antimonio, si ha acido metaantimonioso che viene pesato con lo stagno1. Sul filtrato si può procedere in vari modi: 3.1.1. Metodo classico Prevede la determinazione di tutti i restanti analiti sfruttando metodi volumetrici o gravimetrici. Si precipita per primo il piombo come solfato e lo si determina gravimetricamente2. La soluzione filtrata si tratta con eccesso di ammoniaca che complessa il rame e precipita il ferro come idrato. L’alluminio eventualmente presente si separa con il ferro3. Il precipitato viene sciolto in acido cloridrico e nella soluzione ottenuta si può determinare il ferro titolando secondo Zimmermann o procedere con uno dei metodi spettrofotometrici. Nella soluzione ammoniacale ottenuta dalla filtrazione del ferro4, se è presente il nichel si può a questo punto precipitarlo con dimetilgliossima e dosarlo gravimetricamente e si può anche procedere direttamente al dosaggio spettrofotometrico del rame. In alternativa si riacidifica, ed il rame si determina per via elettrolitica o si titola iodometricamente nel qual caso, però, il bismuto, se presente, interferisce5. Se si procede all'elettrodeposizione si può determinare in contemporanea anche Pb e, separatamente, Ni. Questo si può dosare anche colorimetricamente, sempre con DMG, su un'aliquota della soluzione in cui è stato separato il rame. Anche l'eventuale manganese può dosarsi, separato Cu, col classico metodo al persolfato. Infine lo zinco può essere precipitato come zinco ammonio fosfato (ZnNH4PO4) e pesato come tale o, dopo calcinazione, come pirofosfato (Zn2P2O7) oppure può essere determinato mediante titolazione complessometrica con EDTA (se si è certi di avere separato tutti gli altri metalli). 3.1.2. Metodo che sfrutta tecniche strumentali Quali l'AA e la spettrofotometria UV-Visibile. La soluzione proveniente dalla filtrazione dello stagno viene sottoposta alla determinazione dei vari analiti, tenendo conto delle interferenze caratteristiche di ogni metodo strumentale.

1 Saggi qualitativi di riconoscimento dell'ANTIMONIO: Su piastra di porcellana una goccia di rodamina B (0,01 % in H2O) a cui s'aggiunge una goccia di soluzione di Sb5+ ottenuta per ossidazione in soluzione acida per HCl con poco NaNO2 solido il cui eccesso si elimina immergendo un filo di Ni/Cr rovente nella soluzione, assume colorazione rosso-violetta. Sensibilità 0,5 µg, conc. limite 1 ppm. Interferenze Hg, Au, Tl, MoO4

2-, VO43-, WO4

2-. L'acido fosfomolibdico H3PMo12O40 in alcol amilico (2metil 2butanolo) dà colorazione blu con Sb3+: agitare 1-4 ml di soluzione in provetta con qualche goccia di reattivo al 5% e 2 gocce d'alcol. 2 Il PIOMBO può essere dosato anche elettrogravimetricamente come biossido all’anodo quando si deposita il rame al catodo. 3 L'ALLUMINIO si può determinare gravimetricamente come Al2O3 ottenuta calcinando Al(OH)3 che precipita assieme a Fe(OH)3. In tal caso è indispensabile un altro attacco condotto in modo identico al precedente per separare Sn e Pb (senza dosarli) ed un dosaggio gravimetrico di Fe2O3+Al2O3 a cui si sottrarrà il Fe determinato in altro modo. 4 A questo punto è consigliabile portare a volume e fare poi prelievi su cui operare varie singole ricerche e determinazioni. 5 Saggi qualitativi di riconoscimento del BISMUTO: La cinconina C19H22ON2 (1 g in 100 ml d'H2O calda con qualche goccia di HNO3 a cui, dopo raffreddamento, si aggiungono 2 g di KI) in slz debolmente acida, dà ppt o colorazione rosso-arancio con Bi3+. È preferibile fare il saggio su carta anziché in provetta. Sensibilità 0,15 µg, conc. limite 2,8 ppm. Interferiscono Pb, Cu, Hg che reagiscono con KI; però versando una goccia di slz su carta imbevuta del reattivo si osservano 4 zone: anello bianco centrale (Hg), anello arancio (Bi), anello giallo (PbI2), anello bruno (I2 liberato da Cu). La tiourea al 10 % in H2O con soluzioni debolmente acide per HNO3 di Bi3+, dà colorazione gialla intensa. Fare su carta. Sensibilità 6µg, conc. limite 33 ppm. Devono essere assenti Hg+, Ag, Sb, Fe3+, CrO4

2-.

Leghe di Rame

Bronzi (Cu/Sn) Ottoni (Cu/Zn)

Cu 60÷97 % Sn 1÷35 % Pb 0÷3 % Fe 0÷2 %

P, Zn, Sb, tracce

Cu 50÷90 % Zn 20÷40 % Sn 0÷6 % Pb 0÷3 % Fe 0÷1 %

Ni, Mn tracce

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3.2. Trattamento preliminare Il campione deve essere sotto forma di trucioli o di limatura, se non si presenta pulito e asciutto lo si può lavare con un po’ di etere e asciugarlo con aria calda. Il lavaggio và condotto in un becher pulito e asciutto nel quale si introduce il campione e pochi millilitri di etere, si agita per alcuni minuti e si elimina il liquido per decantazione. Si può ripetere l’operazione due o tre volte ma sempre con piccoli volumi di solvente. Si lascia poi evaporare all’aria o in stufa l’etere residuo. Una volta pulito e asciutto si procede alla pesata del campione da sottoporre all’analisi. Questo valore di pesata è importantissimo e và annotato con cura sul quaderno di laboratorio, perché ci permetterà di eseguire i calcoli finali dell’analisi e riportare i risultati in % di metallo nella lega.

3.3. Attacco e determinazione dello Stagno come biossido: SnO2 Riportiamo di seguito la procedura di attacco nel caso si usi un becher o una beuta:

Becher: Si pesano accuratamente circa 1 grammo di lega sgrassata in un becher da 150 ml e lo si copre con un vetro da orologio. Si aggiungono 25 ml di una miscela contenente 15 ml di HNO3 conc. e 10 ml di H2O, mantenendo sempre il becher coperto. Si innesca così una reazione molto energica, con sviluppo di gas e di calore. Una volta terminato lo sviluppo di gas si riscalda lentamente la soluzione, per almeno 1 ora, su piastra riscaldante o bagnomaria e la si porta fino al volume di 5-10 ml (non a secco). In questa fase è bene controllare periodicamente il riscaldamento del becher che non deve bollire per non perdere schizzi della soluzione e causare errori nelle successive determinazioni, inoltre non si deve far andare a secco la soluzione per non far precipitare i cationi metallici sotto forma di sali poco solubili che poi non andranno più in soluzione.

Beuta: Si pesano accuratamente circa 1 grammo di lega sgrassata in una beuta da 100 ml e lo si copre con un imbuto da buretta di vetro. Si aggiungono 25 ml di una miscela contenente 15 ml di HNO3 conc. e 10 ml di H2O, mantenendo sempre l’imbuto sulla beuta. Si innesca così una reazione molto energica, con sviluppo di gas e di calore. Una volta terminato lo sviluppo di gas si toglie l’imbuto, lo si lava con poca acqua distillata e si riscalda lentamente la soluzione, per almeno 1 ora, su piastra riscaldante o bagnomaria e la si porta fino al volume di 5-10 ml (non a secco). In questa fase è bene controllare periodicamente il riscaldamento della beuta che non deve bollire per non perdere schizzi della soluzione e causare errori nelle successive determinazioni, inoltre non si deve far andare a secco la soluzione per non far precipitare i cationi dei metalli sotto forma di sali poco solubili che poi non ritornano più in soluzione.

Con questa digestione si assicura la precipitazione quantitativa dell’acido metastannico, una digestione più lunga può rivelarsi dannosa.

3 Sn + H2O + 4 HNO3 ���� 3 H2SnO3 + 4 NO

Occorre tenere presente che il precipitato di acido metastannico ha carattere colloidale e può adsorbire alcuni ioni, quali Fe, Pb, Cu, Ni e Zn. Sarebbe perciò necessario determinare la quantità effettiva di stagno presente nel precipitato impuro. Se dopo la digestione non si forma precipitato, la quantità di Sn presente non è apprezzabile. Si diluisce ora fino a 50 ml e si scalda, sempre a bagnomaria per 10-20 minuti, per sciogliere gli eventuali sali solubili precipitati. Si agita la sospensione calda per 5 minuti. Si filtra su filtro a fascia bianca o azzurra (n° 542) direttamente in un pallone tarato da 250 ml, se il filtrato della prima filtrazione non è limpido si deve rifiltrare sullo stesso filtro. Si lava il precipitato almeno 10 volte con piccole quantità di HNO3 caldo all'1% che evita la peptizzazione. Il filtrato, comprensivo delle acque di lavaggio, viene conservato per le successive determinazioni (soluzione A). Il filtro, asciugato in stufa, viene poi piegato e posto in un crogiolo di porcellana precedentemente portato a peso costante. Si incenerisce il filtro alla più bassa temperatura possibile, si brucia il carbone a calore rosso molto basso per evitare la riduzione di Sn e infine lo si calcina per 30’ al calore massimo, mantenendo il crogiolo in posizione verticale. (Se avviene la riduzione, il precipitato deve essere umidificato con 1-2 gocce di HNO3 e ricalcinato). In muffola, ad elevata temperatura, si completa la calcinazione a SnO2:

H2SnO3 ���� SnO2 + H2O

Si raffredda in essiccatore e si pesa, fino a peso costante. Fattore analitico Sn / SnO2 = 0,7877.

Il precipitato di SnO2 deve risultare bianco; nella maggior parte dei casi però non lo è a causa delle impurezze adsorbite, bisognerebbe quindi aggiungere all'ossido impuro pesato, una quantità di NH4I pari a 15 volte il suo peso e scaldare in forno a 425-475°C per 15 minuti o comunque finché non si svolgono più fumi. Lo stagno è volatilizzato quantitativamente come SnI4 e anche l'antimonio e il fosforo, se presenti, volatilizzano come ioduri:

SnO2 + 4 NH4I ���� SnI4���� + 4 NH3

���� + 2 H2O

Il residuo viene trattato con 2-3 ml di HNO3 conc, evaporato con precauzione, calcinato e pesato. La perdita in peso dà la quantità di ossido stannico presente nel precipitato (ed eventualmente di Sb e P). Il trattamento con HNO3 è

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necessario per ritrasformare in ossidi gli altri metalli trasformati in ioduri e/o ossiioduri. Effettuata la determinazione dello stagno, il residuo della calcinazione viene sciolto e aggiunto alla soluzione A proveniente dalla filtrazione dell'acido metastannico che viene sottoposta alle successive determinazioni degli altri componenti la lega.

3.4. Determinazione del Piombo Tre sono i metodi che si possono seguire per procedere all'analisi della soluzione proveniente dalla precedente determinazione dello stagno (soluzione A): 3.4.1. Metodo in AAS Su un’aliquota del filtrato si esegue un'analisi in assorbimento atomico. Con la fiamma aria-acetilene, il range della retta di taratura è 0,1÷ 30 ppm. Non sono riportate interferenze da parte di cationi mentre diversi anioni abbassano il segnale del piombo, in particolare fosfati, carbonati, ioduri e floruri lo diminuiscono in maniera significativa a concentrazioni di 10 volte superiori a quelle del piombo. Queste interferenze possono essere eliminate aggiungendo EDTA alla soluzione fino ad ottenere una soluzione circa 0,1 M in EDTA. 3.4.2. Metodo elettrogravimetrico simultaneo per Pb e Cu Determinazione simultanea di piombo e rame per elettrodeposizione (vedi determinazione di Cu). 3.4.3. Metodo gravimetrico Al filtrato si aggiunge H2SO4 concentrato (5 ml) e si concentra fino a sviluppo dei fumi bianchi di SO3 che assicurano l'eliminazione completa di HNO3 che aumenterebbe la solubilità di PbSO4. Si aggiungono ~50 ml d'acqua e si riscalda quasi all'ebollizione agitando per qualche minuto per solubilizzare i sali solubili eventualmente precipitati. Per diminuire la solubilità di PbSO4 si può aggiungere, dopo raffreddamento, etanolo (20 ml) e lasciare in riposo per un’ora. Se si usa C2H5OH si deve essere certi d’avere eliminato tutto l’HNO3 e comunque l’alcol va poi eliminato per ebollizione se la soluzione si vuole utilizzare per altre determinazioni. È preferibile, potendo, lasciare riposare il tutto per una notte e la precipitazione completa del sale è assicurata. Si filtra su crogiolo filtrante G4 precedentemente tarato lavando con miscela acqua-alcool contenente il 2% di H2SO4; le acque di lavaggio si uniscono al filtrato e costituiscono la soluzione B. Il gooch si porta a peso costante in stufa a 105°C. Si può anche filtrare su filtro a fascia azzurra, lavare con H2SO4 1:50 freddo, seccare il filtro ed incenerirlo in crogiolo che si porta poi a peso costante a 500°C. Fattore analitico Pb/PbSO4=0,6833.

3.5. Determinazione del Ferro Se il ferro si determina dopo aver separato il rame per elettrodeposizione (v.) la soluzione proveniente dall’elettrolisi si porta all’ebollizione, si aggiungono 3-4 ml di acqua di bromo satura o 1 ml di HNO3 conc, o qualche goccia di H2O2 e si fa bollire per 2-3’ per ossidare Fe a 3+. Se invece si opera sulla soluzione B, si fa bollire per scacciare l'etanolo. In ogni caso si aggiunge poi NH3 conc fino a netto colore blu dovuto al complesso cuproammoniacale e precipitazione dell’idrossido ferrico che si filtra per filtro rapido e si lava tre volte sul filtro con NH3 1:100. Filtrato le acque di lavaggio costituiscono la soluzione C. Se c’è molto ferro, poiché Fe(OH)3 gelatinoso ingloba molti dei metalli che si vanno poi a dosare, è necessario operare la doppia precipitazione sciogliendo il precipitato sul filtro con HCl 1:3 caldo e raccogliendo il filtrato nel becher dove è avvenuta la prima precipitazione; si lava il filtro con HCl 1:100 e poi con acqua per eliminare l’acido. Si riprecipita Fe(OH)3 come in precedenza, usando 5 ml in eccesso di soluzione di NH4OH conc, si filtra per il filtro usato in precedenza e si lava il precipitato con acqua calda contenente un po’ di NH4NO3 ed 1 o 2 gocce d’ammoniaca conc. Filtrato e acque di lavaggio dopo concentrazione si uniscono alla soluzione C nelle quale, volendo, si può procedere direttamente alla precipitazione con DMG del nichel, sua filtrazione su gooch e determinazione ponderale. Il ferro si può determinare gravimetricamente pesando, dopo calcinazione, Fe2O3, ma è preferibile scioglierlo con HCl e sulla soluzione determinare il ferro in uno dei seguenti modi: 3.5.1. Metodo spettrofotometrico� Per via spettrofotometrica misurando l’estinzione del complesso del Fe3+ con CNS¯ : [Fe(CNS)]2+ rosso sangue. Ci si assicura che il ferro sia tutto presente come Fe3+ (si aggiunge qualche ml di HNO3 conc.) e si misura l'assorbimento a 480 nm. La curva di taratura viene preparata con standard contenenti da 2 a 7 ppm e utilizzando per la loro preparazione un sale ferrico puro. Si possono utilizzare altri metodi spettrofotometrici, controllando sempre la presenza di eventuali

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interferenti. 3.5.2. Metodo volumetrico Titolazione secondo Zimmermann con KMnO4 in ambiente acido per acido solforico. Poiché nella soluzione il ferro è presente come Fe3+ è necessario procedere alla riduzione a Fe2+. Come riducente si utilizza SnCl2 che viene aggiunto in leggero eccesso:

2 Fe3+ + Sn2+ ���� 2 Fe2+ + Sn4+

Ovviamente l'eccesso di SnCl2 deve essere distrutto altrimenti ridurrebbe il permanganato alterando i risultati dell’analisi. Per distruggerlo si aggiunge cloruro mercurico (HgCl2) che si riduce a cloruro mercuroso che precipita e che, quindi, non reagisce con il permanganato:

Sn2+ + 2Hg2+ ���� Sn4+ + Hg22+ Sn4+ + 2 e- � Sn2+

2Hg2+ + 2 e- � Hg2

2+ E° = 0,151 V E° = 0,920 V

Poi: Hg2

2+ + 2Cl¯ ���� Hg2Cl2 insolubile

L'eccesso di SnCl2 deve essere minimo per evitare che il calomelano si riduca ulteriormente fino a Hg metallico nero; il colore nero di Hg metallico impedirebbe di cogliere il punto equivalente della titolazione con il permanganato e inoltre il mercurio metallico ridurrebbe il permanganato:

Hg22+ + Sn2+ ���� 2 Hg + Sn4+ Sn4+ + 2 e- � Sn2+

Hg22+ + 2 e � 2 Hg

E° = 0,151 V E° = 0,797 V

Se quindi la soluzione si colora in grigio scuro per la formazione di Hg metallico il campione deve essere scartato; il campione va scartato anche se non si forma il precipitato bianco di calomelano perché, in tal caso, si è aggiunto cloruro stannoso in quantità insufficiente a ridurre completamente Fe3+ a Fe2+. La titolazione non può essere effettuata immediatamente per la presenza di ioni Cl- che, in condizioni normali, ridurrebbero il permanganato. I potenziali infatti sono:

MnO4- / Mn2+ E° = 1,51 V Fe3+ / Fe2+ E° = 0,77 V Cl2/Cl- E° = 1,36 V

Per evitare che lo ione cloro riduca il permanganato è necessario abbassare il potenziale attuale del permanganato al disotto di quello del cloro; è necessario, altresì abbassare anche il potenziale attuale del ferro per far sì che la reazione possa completarsi. Alla soluzione viene quindi aggiunto il reattivo di Zimmermann-Reinhardt che contiene MnSO4, H3PO4 e H2SO4; l'acido solforico stabilisce l'ambiente acido necessario per condurre la reazione mentre gli altri due reattivi influiscono sui potenziali attuali delle coppie redox presenti. Infatti il solfato di manganese libera in soluzione una notevole concentrazione di ioni Mn2+ che abbassano il potere ossidante del permanganato riducendone il potenziale:

[ ] [ ][ ]+

+− ⋅+=

2

8

4log5059,0

51,1Mn

HMnOE

per l'alta concentrazione dello ione manganoso il termine logaritmico diventa notevolmente negativo abbassando il potenziale attuale al disotto di quello relativo alla coppia Cl2/Cl-. L'acido fosforico serve per complessare il ferro trivalente (giallo) e permette di cogliere il punto finale della titolazione nelle condizioni ottimali dato che il complesso formatosi è assolutamente incolore; il complesso che si forma sottrae poi dalla soluzione gli ioni Fe3+ abbassando il potenziale della coppia redox Fe3+/Fe2+ e consentendo così il completamento della reazione:

[ ][ ]+

+

+=2

3

log1059,0

77,0FeFe

E

il potenziale si mantiene basso e quindi sufficientemente lontano da quello del permanganato.

N.B. Per evitare che lo ione cloruro reagisca anche in presenza del reattivo di Zimmermann la titolazione deve essere condotta a freddo.

3.6. Determinazione del Rame La soluzione C contenente il rame, proveniente dalla filtrazione dell'idrossido ferrico, viene scaldata per eliminare l'ammoniaca in eccesso e per ridurre a piccolo volume dopo di che si porta a volume (250 ml) con H2SO4

N/20. Volendo anche Cu si può dosare gravimetricamente (come solfocianuro rameoso), ma si procede in genere con uno dei

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seguenti metodi. 3.6.1. Metodo spettrofotometrico La soluzione C in questo caso non viene fatta bollire e anzi si aggiungono alcuni ml di NH3 conc per stabilizzare il colore azzurro del complesso. Si prepara la curva di taratura utilizzando soluzioni standard preparate con un sale rameico puro leggendo l'assorbanza a 600 nm. Data la sensibilità del metodo (range retta da 50 a 200 ppm) si dovrà procedere a una diluizione del campione in esame. 3.6.2. Metodo elettrogravimetrico simultaneo per Pb e Cu Su un’aliquota della soluzione C si procede alla determinazione del rame per elettrodeposizione. (Si può anche operare sulla soluzione B dopo evaporazione dell’etanolo). La soluzione contiene Cu2+, H+ e inoltre “impurezze” come ioni di Al3+, Mn2+, Ni2+. Applicando il giusto potenziale al catodo è possibile far scaricare il solo ione rameico evitando la scarica degli altri ioni. In alternativa si può partire dalla soluzione B (quella ottenuta dopo aver eliminato il piombo). Se non si deve determinare il piombo si può aggiungere al filtrato principale (soluzione A) proveniente dalla separazione dell’acido metastannico o, se lo stagno non è presente, alla soluzione nitrica dell’ottone 3-4 ml di acido solforico conc ed evaporare la soluzione con prudenza (es su piastra calda a bassa temperatura) finché si svolgono fumi bianchi. Lasciare raffreddare la soluzione, lavare le pareti del recipiente con 10÷20 ml di acqua distillata ed evaporare di nuovo fino a sviluppo di fumi bianchi, per assicurare tutta la eliminazione dell’acido nitrico residuo. Raffreddare e aggiungere 25 ml di acqua con precauzione, quindi riscaldare quasi all'ebollizione ed agitare per qualche minuto fino a che tutti i sali solubili siano passati in soluzione. Aggiungere 50 ml di acqua, agitare e lasciare riposare almeno per un'ora. Filtrare il precipitato e lavare con H2SO4 1:50 freddo. Concentrare il filtrato e le acque di lavaggio (soluzione B') a circa 75 ml, aggiungere 4 ml di soluzione di ammoniaca conc per ridurre l'acidità e successivamente 2 ml di HNO3 esente da HNO2, poi procedere alla determinazione elettrolitica di Cu. Il rame può essere depositato da una soluzione acida sia per acido solforico che per acido nitrico, normalmente viene usata una miscela dei due acidi nel caso in cui Pb sia stato determinato per via ponderale, altrimenti si usa solo nitrico. Le reazioni che avvengono si possono così riassumere:

Catodo Cu2+ + 2 e- ���� Cuo Eo = + 0,342 V

Anodo PbO2 + 4H+ + 2e ���� Pb2+ + 2H2O E° = +1,45 V

4 OH- ���� O2 + 2 H2O + 4 e- Eo = + 0,401 V

Ovviamente la seconda reazione è quella che avviene se il piombo è stato già eliminato. La soluzione deve essere abbastanza acida, specie se si deposita PbO2 all'anodo perché l’eventuale scarica catodica di H2 impedisce la scarica dell'eventuale Pb2+ che, nella serie elettrochimica, si trova appena sopra l'idrogeno; la concentrazione acida della soluzione non deve essere tuttavia troppo elevata poiché la deposizione del rame potrebbe essere incompleta ed il deposito non aderire bene al catodo. Lo ione nitrato ha un effetto positivo dovuto alla sua azione depolarizzante al catodo:

NO3−−−− + 10 H+ + 8 e- ���� NH4

+ + 3 H2O

Il potenziale di riduzione dello ione nitrato è più alto del potenziale di scarica dell'idrogeno e perciò questo non si sviluppa allo stato libero. L'acido nitrico, come è stato prima accennato, deve essere esente da acido nitroso, poiché lo ione nitroso impedisce una completa deposizione e presenta nuove complicazioni. L'acido nitroso può essere eliminato facendo bollire l'acido nitrico prima dell'aggiunta o addizionando urea alla soluzione:

2 H+ + 2 NO2−−−− + CO(NH2)2 ���� 2 N2 + CO2 + 3 H2O

L'HNO2 è più efficacemente eliminato per aggiunta di un po' di acido sulfammico:

NO2−−−− + HO-SO2-NH2 ���� 2 N2 + HSO4

−−−− + H2O

L'errore dovuto all'acido nitroso è aumentato dalla presenza di una grande quantità di ferro che è infatti è ridotto dalla corrente a Fe2+, dopo di che l'acido nitrico si riduce. Questo errore può essere minimizzato ottimizzando il pH o con l'aggiunta di ammonio nitrato invece che acido nitrico o meglio eliminando il ferro prima dell'elettrolisi o complessandolo con fosfato o fluoruro. Interferiscono nell'elettrodeposizione del rame: • cationi quali Ag, Hg, Bi, Se, Te, As, Sb, Sn, Mo, Au e Pt; • anioni quali CNS-, Cl-; • agenti ossidanti come ossidi di azoto o quantità eccessive di nitrato ferrico o di acido nitrico. Lo ione cloruro deve essere eliminato per due motivi: a) se il cloro si libera all'anodo, può attaccare il platino e un po' di questo può depositarsi al catodo (i sali di idrazinio o

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idrossilammonio prevengono questo inconveniente). Inoltre, se si deposita all'anodo PbO2, questo si riduce ossidando Cl- a Cl2. b) il Cu+ è stabilizzato come cloro-complesso e resta in soluzione per essere riossidato all'anodo.

Prima dell'elettrolisi gli elettrodi devono essere lavati dapprima in una soluzione calda di HNO3 1:1, poi con acqua distillata e infine con acetone, asciugato a 100-110 oC per 3-4 minuti, raffreddato all'aria per 5' e pesato. Toccare gli elettrodi solo per il gambo poiché tracce di grasso possono compromettere l'aderenza dei depositi. Il recipiente di elettrolisi è sistemato su un agitatore e gli elettrodi vicini al fondo del becher immersi nella soluzione per l'80 % circa. Si agita energicamente la soluzione evitando fuoriuscite di liquido e si inizia l'elettrolisi usando un voltaggio di ~ 3-4 V e una corrente di ~ 2 A. Si continua finché il colore blu della soluzione è interamente scomparso (normalmente ~1 ora); si riduce la corrente e si prova se la deposizione è stata completa innalzando il livello del liquido con acqua distillata di circa 4-5 millimetri e continuando l'elettrolisi per 15-20 minuti. Se non si deposita più rame sulla superficie pulita del catodo (ed eventualmente PbO2 sull'anodo), l'elettrolisi si può ritenere completa. Il deposito catodico deve essere di colore rosa salmone, lucente ed aderente alla superficie dell'elettrodo. Una colorazione bruna indica la presenza di elementi estranei o di una ossidazione. Depositi spugnosi o di cristalli grossolani causano errori per eccesso nella massa di Cuo e derivano da una densità di corrente troppo alta, da acidità non adatta o da assenza di ione nitrato. A questo punto si abbassa molto lentamente il becher finché gli elettrodi pescano solo con l'orlo inferiore (il circuito non deve essere interrotto durante l'operazione) e contemporaneamente li si lava con un getto continuo di acqua distillata (circa 15 ml). Si interrompe ora il circuito e si staccano dall'elettrolizzatore gli elettrodi tenendoli per il gambo poiché tracce di grasso possono compromettere l'aderenza dei depositi; si lavano immediatamente il catodo con un piccolo volume di alcool o acetone, l'anodo invece solo con acqua. Si essicca a 100-110 oC per 3-4' il catodo, per 10-15' l'anodo e si pesa dopo aver raffreddato in essiccatore. Dall'aumento di peso degli elettrodi si ricavano le percentuali di rame e di biossido di piombo sul campione iniziale. È un po' difficile eliminare completamente l'acqua dal PbO2 per cui si usa un fattore analitico sperimentale per Pb/PbO2 = 0,8640 anziché il teorico 0,8662. 3.6.3. Metodo iodometrico

In ambiente acido controllato gli ioni rameici reagiscono con gli ioni ioduro per dare il ioduro rameoso insolubile e iodio molecolare:

2 Cu2+ + 2 I¯ ���� 2Cu+ + I2 Cu2+ + e- � Cu+

I2 + 2 e- � 2 I¯ E° = 0,167 V E° = 0,534 V

Poi: 2Cu+ + 2I¯ ���� Cu2I2

per cui la reazione totale risulta essere: 2 Cu2+ + 4 I¯ ���� Cu2I2 + I2

In base ai valori di potenziale il rame non dovrebbe riuscire ad ossidare I– a I2, invece la reazione è addirittura completa perché il Cu+ precipitando come CuI si sottrae alla soluzione. La sua concentrazione estremamente bassa in soluzione comporta un notevole aumento del potenziale attuale della coppia redox Cu2+/Cu+:

[ ][ ]+

+

+=CuCu

E2

log1059,0

167,0

ed il valore viene ad essere superiore al potenziale attuale della coppia redox I2/I-.

L'ambiente deve essere moderatamente solforico perché, se è vero che in ambiente troppo poco acido la reazione è molto lenta, in ambiente troppo acido anche l'ossigeno dell'aria ossida lo ione ioduro a iodio molecolare. Lo iodio molecolare prodotto viene poi titolato con tiosolfato sodico a titolo noto:

2S2O32- + I2 ���� S4O6

2- +2I¯ S4O62- + e- � 2 S4O6

2-

I2 + 2 e- � 2 I¯ E° = 0,08 V E° = 0,534 V

Procedimento: la soluzione deve contenere 0,2-0,25 g di Cu e se contiene per qualche motivo acido nitrico è necessario eliminarlo per ebollizione prima di procedere alla determinazione iodometrica. Poi la soluzione viene posta in beuta e addizionata con NH3 finché la colorazione azzurra diventa blu, si aggiunge H2SO4 goccia a goccia finché torna azzurra e poi altri 10 ml di acido solforico al 10%. Il pH di questa soluzione è compatibile con la titolazione iodometrica. Si aggiungono 3÷4 grammi di KI, si diluisce a ~300 ml. Si agita, si lascia riposare al buio, tappando la beuta, per alcuni minuti e poi si titola con una soluzione di tiosolfato sodico a titolo noto. L'approssimarsi della fine della titolazione viene segnalata dall'attenuarsi del colore giallo dello iodio molecolare; solo verso la fine della titolazione si aggiunge qualche goccia di salda d'amido che con lo iodio dà un colore scuro. A decolorazione avvenuta e che persista per qualche minuto si considera conclusa la titolazione.

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3.7. Determinazione di Nichel e Manganese A meno che si tratti di alpacca (la vecchia lega delle posate d'ottone) il nichel può anche non essere presente. La presenza di Mn è invece sempre abbastanza rara. È evidente che entrambi possono essere dosati all'AA. Ni può dosarsi subito dopo Fe (v.) gravimetricamente. In alternativa il nichel si può dosare colorimetricamente sempre con DMG dopo ossidazione di Ni2+ a Ni4+ con acqua di bromo in ammoniaca. Questa determinazione si può fare anche in presenza di rame se non è stato elettrodeposto. In tal caso nulla impedisce di portare a volume la soluzione dopo aver separato il ferro e farne aliquote su una delle quali si dosa il nichel, su un'altra il rame (ad es. iodometricamente) ed eventualmente su una terza il manganese colorimetricamente dopo ossidazione con persolfato.

3.8. Determinazione dello Zinco Poiché il contenuto di zinco in un ottone oscilla tra il 20 e il 40 %, è opportuno diluire la soluzione proveniente dalla filtrazione del ferro (per es diluizione a 500 ml e prelievo di 25 ml per la determinazione). Lo zinco si può determinare complessometricamente con EDTA, ma si deve essere certi di avere eliminato tutti gli altri metalli prima di aggiungere l'indicatore, controllare il pH e tamponare a pH 10 (circa 2 ml di soluzione tampone) e titolare con la soluzione di EDTA. Dai ml utilizzati risalire alla % di Zn nel campione iniziale. Se la determinazione dello Zn per qualche motivo fosse da ripetere è opportuno evitare la perdita di tempo dovuta alla separazione degli altri elementi. Il seguente metodo si applica in presenza di grandi quantità di Cu e di piccole quantità di Sn e Pb e si basa sull'uso dello ione tartrato per impedire la precipitazione di questi metalli come fosfati. Metodica: Sciogliere 1 gr di lega, accuratamente pesato, in 30 ml di HNO3 1:1, neutralizzare esattamente la soluzione con NH4OH 1:5, usando come indicatore la cartina al tornasole. Scaldare la soluzione a circa 90 °C, aggiungere 25 gr di tartrato di ammonio sciolto in 75 ml di H2O, scaldare di nuovo a 90 °C, aggiungere lentamente e con agitazione costante una soluzione di 7 gr di (NH4)2HPO4 in 35 ml di acqua. Mantenere la soluzione a 80-90 oC per circa 1 ora, decantare il liquido attraverso un filtro da quantitativa, portare il precipitato sul filtro e lavare con una soluzione di tartrato all'1 %. Sciogliere il precipitato in HCl 1:3 e lavare il filtro prima con HCl all'1 % e poi con acqua. Neutralizzare il filtrato e le acque di lavaggio molto accuratamente con una soluzione di ammoniaca 1:5 usando come indicatore carta al tornasole, aggiungere 15 gr di ammonio tartrato sciolti in 50 ml di acqua e riprecipitare lo Zn con (NH4)2HPO4 (per risultati più precisi è consigliabile sciogliere il precipitato e riprecipitarlo di nuovo). Filtrare il precipitato e lavare con acqua fredda. Asciugare a 100-105 oC e pesare come ZnNH4PO4.

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3.9. Diagramma riassuntivo analisi Bronzi e Ottoni

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4. Analisi delle leghe ferrose

4.0. Scheda raccolta dati sperimentali

Matrice:

Pesata campione: Volume pallone:

Analita % Presunta Metodo d’analisi scelto Conc. presunta nel pallone Cr Mn Ni Al Cu P Si

Determinazioni volumetriche Analita Prelievo Titolante – Normalità 1° V eq. 2° V eq. 3° V eq.

Determinazioni gravimetriche Analita Prelievo Peso crogiolo vuoto Peso crogiolo pieno

Determinazioni strumentali (allegare i calcoli per madre e figlia e grafico retta) Analita Range retta Diluizione eseguita: prelievo � pallone (conc. presunta)

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Le leghe ferrose sono costituite principalmente da Ferro, carbonio ed altri metalli. Pur essendo il ferro l’elemento maggioritario, è il carbonio quello che influenza maggiormente le proprietà della lega, per questo motivo si classificano

in base al tenore di carbonio presente e si possono dividere in tre categorie principali: ferro dolce, acciai e ghise, ordinate per tenore crescente di carbonio. Il ferro dolce è costituito fondamentalmente da ferro, con piccolissime percentuali di altri metalli. Le ghise sono costituite principalmente da ferro e carbonio con piccole percentuali di altri metalli quali Si (1÷3%), Mn (0,2÷0,8%), P (0,05÷0,5%) e S (0,05÷0,5%). Queste si differenziano essenzialmente in base alla quantità di carbonio libero e alla sua disposizione nella lega. Gli acciai possono contenere altre a ferro e carbonio anche altri elementi, quali Mn, Cr, Ni, Si, P, ed altri ancora, in percentuali che possono raggiungere anche il 20 %, come negli acciai

INOX. In questo caso le loro proprietà non dipendono principalmente dal tenore di C ma anche dal tipo e dalla quantità degli altri metalli presenti.

4.1. Stadi dell’analisi delle leghe ferrose In base alla classificazione delle leghe ferrose, per la loro caratterizzazione chimica si deve quindi determinare il tenore di carbonio e di altri metalli presenti nella lega, mentre non si analizza la quantità di ferro. Per questo si deve procedere secondo due filoni paralleli: una prima aliquota di campione si solubilizza tramite attacco acido per determinare i metalli presenti, mentre su una seconda si determinano i tenori di carbonio e zolfo che non sono determinabili tramite attacco acido perché trasformati in composti volatili. Una volta ottenuta la soluzione dall’attacco acido, i metalli presenti possono essere determinati sia con metodi strumentali che classici.

4.2. Trattamento preliminare Il campione deve essere sotto forma di trucioli o di limatura, se non si presenta pulito e asciutto lo si può lavare con un po’ di etere e asciugarlo con aria calda. Il lavaggio và condotto in un becher pulito e asciutto nel quale si introduce il campione e pochi millilitri di etere, si agita per alcuni minuti e si elimina il liquido per decantazione. Si può ripetere l’operazione due o tre volte ma sempre con piccoli volumi di solvente. Si lascia poi evaporare all’aria o in stufa l’etere residuo. Una volta pulito e asciutto si procede alla pesata del campione da sottoporre all’analisi. Questo valore di pesata è importantissimo e và annotato con cura sul quaderno di laboratorio, perché ci permetterà di eseguire i calcoli finali dell’analisi e riportare i risultati in % di metallo nella lega.

4.3. Attacco L'attacco degli acciai può essere fatto con vari acidi: solforico, cloridrico, nitrico e con loro miscele binarie e anche ternarie. A volte si usa anche il fosforico. Quando si vuole non solo solubilizzare l'acciaio, ma anche ottenere l'elemento da determinare in uno stato d'ossidazione elevato, l'attacco acido deve essere ossidante e si ricorre ad H2SO4 conc o a HNO3 conc aggiungendo eventualmente anche HClO4 conc. Da notare che HClO4 perde le sue proprietà ossidanti in soluzione diluita, ma quando è presente in buona concentrazione, è un potente

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ossidante e presenta il notevole vantaggio di dare perclorati che sono tutti molto solubili. L’HClO4 è comunque un reattivo da usare con estrema cautela data la sua pericolosità; infatti in soluzione concentrata e calda può provocare esplosioni quando venga in contatto con sostanze organiche. Quando si utilizza una soluzione concentrata di acido perclorico è necessario operare su banchi piastrellati e non in legno e bisogna evitare di usare stracci o spugne. Il campione deve essere sgrassato accuratamente perché non deve presentare tracce residue di oli e si deve evitare il contatto con tappi di sughero o gomma e con parti in legno del banco di lavoro e della cappa di aspirazione; questa dovrà, poi, assicurare una aspirazione efficace per evitare la formazione di vapori di HClO4. La scelta dell’acido per l’attacco deve tenere conto anche del tipo di campione: per ghise, acciai comuni o a bassa lega si possono utilizzare sia acidi riducenti che ossidanti, mentre per portare in soluzione acciai INOX si devono evitare assolutamente gli acidi ossidanti per non passivare il campione. In questi casi si deve aver cura di solubilizzare il campione con acido cloridrico o solforico o fosforico e poi successivamente aggiungere acido nitrico per ossidare gli elementi presenti. Nel caso si esegua un attacco non ossidante si può formare sul fondo del becher un deposito di carbonio grafitico nero. Per eliminarlo è sufficiente, una volta terminato la dissoluzione, aggiungere poche gocce di acido nitrico e far bollire per trasformare il carbonio granitico in CO2 e volatilizzarla. Per gli aspetti teorici dell’attacco delle leghe metalliche si rimanda al paragrafo 2.3.2. 4.3.1. Attacco non ossidante Un esempio di attacco non ossidante per disgregare un acciaio INOX è il seguente:

Reattivi: - Miscela fosfo-solforica: mescolare 18 ml di H2SO4 con 6 ml di H3PO4 e portare a 100 ml con acqua distillata; - Acido nitrico concentrato;

Procedimento: Si pesano tra 0,5 e 1 g di campione accuratamente sgrassato e asciugato e si introduce in una beuta da 100 o 250 ml. Si aggiungono 40 ml di miscela fosfo-solforica per ogni grammo di campione e si scalda lentamente per favorire il riscaldamento. L’attacco può risultare anche molto lento, in funzione del tenore di leganti presenti (soprattutto Cr). In questo caso si deve evitare di far bollire il campione per non concentrare troppo la soluzione e rallentare ulteriormente il processo di dissoluzione. Infatti aumentando la concentrazione degli acido non si ottiene un aumento della velocità di dissoluzione, ma l’effetto contrario. Per questo motivo si deve aver cura di riprendere la soluzione con piccole quantità di acqua distillata per mantenerne costante il volume. Una volta portato in soluzione tutto l’acciaio, si aggiungono poche gocce di acido nitrico e si fa bollire per ossidare il carbonio depositatosi sul fondo ed eliminare gli ossidi d’azoto. Si raffredda e si porta a volume in un pallone tarato da 250 ml dal quale si eseguiranno i prelievi per le successive determinazioni.

4.3.2. Attacco in disgregatore a microonde Una ottima alternativa all’attacco classico condotto in becher o beuta è quello in microonde che risulta più veloce e con minor rischi di perdita di campione. Se infatti per una lega di rame l’attacco per via classica risulta molto veloce (circa un ora) e paragonabile a quello in microonde (circa un ora), per un acciaio i tempi possono risultare molto più lunghi (anche 2÷4 ore) rendendo preferibile l’attacco a microonde. In questo caso si deve prestare attenzione alla pesata di campione che non deve eccedere le quantità previste dalla metodica per non portare a un eccessivo sviluppo di gas con conseguente rischio di rottura delle membrane di tenuta della bomba. Inoltre, se il campione contiene quantità non trascurabili di Si, si deve aggiungere alla miscela di acidi dell’HF che lo elimina come SiF4 volatile. In questo caso si deve prestare attenzione all’apertura dei contenitori al termine dell’attacco che deve essere fatta con particolare cautela per non perdere del campione a causa della fuoriuscita di SiF4 volatile. Utilizzando HF si deve ricordare che questo è in grado di attaccare il vetro e và eliminato prima di travasare la soluzione nel matraccio tarato. Per eliminarlo si può portare a secco sotto cappa su piastra riscaldante e riprendere con acido solforico o cloridrico per alcune volte oppure, più velocemente, travasare il contenuto della bomba in un becher di plastica contenente acido borico solido (0,5 grammi ogni ml di HF utilizzato) e solubilizzare a freddo agitando con un ancoretta magnetica. L’acido borico complessa l’HF residuo e gli impedisce di danneggiare la vetreria.

4 HF + H3BO3 � H[BF4] + 3 H2O

Una volta solubilizzato si trasferisce nel matraccio tarato e si porta a volume. Nel paragrafo 2.3.4.3. sono riportate alcune metodiche per la dissoluzione di leghe in un disgregatore a microonde.

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4.4. Determinazione del carbonio totale Il carbonio presente in un acciaio può essere determinato in due metodi: per via gas-volumetrica quando il suo tenore nell'acciaio è < 4% e con un metodo volumetrico quando il suo tenore è > 4 %. 4.4.1. Metodo gas-volumetrico È basato sulla combustione di un campione d’acciaio in corrente d'ossigeno e sulla successiva determinazione del volume di CO2 prodotta. Poiché la combustione avviene in eccesso d’ossigeno, in un primo momento, si determina il volume della CO2 e di O2 in eccesso. Si provvede, poi, ad assorbire la CO2 con una soluzione concentrata di KOH misurando quindi di nuovo il volume del solo ossigeno: per differenza si ottiene il volume di CO2. Con calcoli semplici si risale poi alla % di C nell'acciaio. Il metodo è particolarmente adatto per acciai a basso contenuto di C; per campioni troppo ricchi di C potrebbe aversi una combustione incompleta nei tempi consentiti dall'analisi. Naturalmente l'ossigeno, prelevato da una bombola, non deve contenere tracce di CO2 e di H2O: viene quindi fatto passare attraverso una soluzione di KOH e di H2SO4 conc che fissano rispettivamente le tracce di CO2 e di acqua. La combustione si fa avvenire in un fornetto elettrico preriscaldato a 1200°C; con precauzione si introduce una navicella in quarzo o ceramica previamente calcinata a 800-900°C contenente una quantità nota d'acciaio e piccole quantità di fondenti quali ossidi di cromo o PbCrO4. Si porta quindi a 1250°C e si raccolgono i gas prodotti. I gas vengono filtrati attraverso ovatta per trattenere minuscole particelle solide eventualmente trascinate dai gas e fatti passare in una bottiglia dove K2Cr2O7 in soluzione solforica provvede a ossidare ad SO3 la SO2 eventualmente formatasi per la presenza di zolfo nell'acciaio; l'anidride solforica formatosi si scioglie nella stessa soluzione. Si procede, quindi, alla misura del volume di CO2 e di O2. (Ricordiamo che la misura viene eseguita riportando, strumentalmente, la pressione a 1 atmosfera). Il gas viene poi fatto passare attraverso una soluzione di KOH conc. che provvede a fissare la CO2; si misura il volume di gas residuo (ossigeno) e, per differenza, si determina il volume di CO2 prodotto dal campione in esame. Poiché la pressione alla quale è stata effettuata la misura di volume è di 1 atmosfera, per riportare il volume a 0°C si applica l'equazione di Charles-Gay Lussac:

1

010

1

1

0

0

TTV

VricavasicuidaTV

TV ⋅==

con V0 e T0 = volume (in millilitri) e temperatura a 0°C (in gradi Kelvin) e V1 e T1= volume e temperatura dell'esperienza. Applicando la legge di Avogadro si calcolano le moli di CO2 e quindi di C presenti nel campione:

224140

2V

COmoli =

Da queste e dalla pesata di campione si risale alla % di C nell'acciaio. 4.4.2. Metodo volumetrico Quando il tenore di carbonio nell'acciaio è >4% è possibile che non si abbia una combustione completa nei tempi permessi dall'analisi gas-volumetrica. Si ricorre allora ad una determinazione volumetrica della CO2 prodotta per combustione del campione di acciaio che viene bruciato in modo completo in un fornetto a 1250°C; i gas vengono fatti passare per una soluzione di K2Cr2O7 in ambiente solforico per ossidare la SO2 eventualmente formatasi e la CO2 viene fatta assorbire da una soluzione di acqua di barite 0,1 N contenente un eccesso noto di Ba(OH)2 che viene retrotitolato con una soluzione di HCl 0,1N in presenza di fenolftaleina. Si ricorda che la soluzione di Ba(OH)2 deve essere protetta dalla CO2 atmosferica; si utilizza pertanto un contenitore di plastica collegato con una buretta a riempimento automatico.

CO2 + Ba(OH)2 ���� BaCO3 ↓ + H2O

4.5. Determinazione del silicio È presente negli acciai soprattutto come siliciuro di ferro o di altri elementi in percentuali variabili tra lo 0,1 e il 3 %. La sua presenza diminuisce la malleabilità dell'acciaio ma aumenta la sua resistenza e l'elasticità. Dopo avere eseguito l'attacco del campione si può procedere all’analisi secondo 2 metodi: gravimetrico e spettrofotometrico. Il metodo gravimetrico, più lungo e laborioso, si utilizza quando la % di Si è superiore allo 0,2-0,3 o quando il metodo spettrofotometrico risulta inutilizzabile per la forte presenza di "elementi" interferenti. Il metodo spettrofotometrico, più rapido, viene utilizzato quando il Si è presente in % che non superano lo 0,2-0,3. Sono molti gli elementi che interferiscono nella lettura dell'assorbimento e tra questi l'As, il V e soprattutto il fosforo che, comunque, non deve essere presente con una % superiore a 5 volte quella del Si. Il reattivo utilizzato per questo metodo

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è il molibdato di ammonio che, però, non è specifico del Si ma dà lo stesso complesso colorato con molti altri elementi. 4.5.1. Metodo gravimetrico Il campione di acciaio viene solubilizzato utilizzando una delle seguenti soluzioni:

• l’attacco del paragrafo 4.3.1. Poi si ossida con HClO4 o H2SO4 conc. • HNO3 3:5. Poi si ossida con HClO4 o con H2SO4 conc. • HCl:HNO3 = 1:1. Poi si ossida con HClO4 o con H2SO4 conc.

In ogni caso si effettua un attacco acido e ossidante procedendo, all'inizio, ad un cauto riscaldamento e poi a fiamma spinta fino a comparsa dei primi fumi bianchi; in questa fase si forma acido ortosilicico:

SiFe + 4 H2O + 2 H+ ���� H4SiO4 ↓ + Fe2+ + 3 H2

quando l'ossidante è l'acido nitrico:

3 SiFe + 7 NO3- + 16 H+ ���� 3 H4SiO4 ↓ + 3 Fe3+ + 7NO

La soluzione viene, ora, concentrata fino quasi a secchezza e ripresa con acqua acidulata con HCl: l'acido ortosilicico passa a acido metasilicico meno solubile.

H4SiO4 ���� H2O + H2SiO3

Si riscalda ancora per qualche minuto per solubilizzare tutti i sali presenti e quindi si filtra lavando il precipitato di H2SiO3 con soluzione di HCl diluita per eliminare dal precipitato tutto il giallo del Fe3+ e quindi con acqua calda per eliminare l'HCl. Il filtro si secca in stufa, si porta in crogiolo dove si provvede a bruciare il filtro; si calcina in muffola a 1000-1100 °C fino a peso costante.

H2SiO3 ���� H2O + SiO2

Poiché la SiO2 contiene sempre piccole quantità di ossidi metallici, se si desidera fare una misura più accurata si può procedere nel seguente modo: si aggiungono al residuo della calcinazione alcune gocce di acqua, poi alcune gocce di H2SO4 conc. e infine 5 ml di soluzione acquosa di HF scaldando dolcemente su bagno di sabbia.

SiO2 + 6 HF ���� H2SiF6 ↑ + 2 H2O H2SiF6 ���� SiF4 ↑ + 2 HF

Si aumenta il riscaldamento per allontanare tutto l'acido solforico (fino alla fine dei fumi bianchi), si calcina a 1000-1100°C per alcuni minuti e quindi si pesa. Si opera in crogiolo di platino. 1a pesata - 2a pesata = peso massa di SiO2 4.5.2. Metodo spettrofotometrico Il metodo si basa sulla formazione di un eteropoliacido silicomolibdico (NH4)3HSiO4•12MoO3 che viene ridotto ad azzurro di molibdeno di formula imprecisata che assorbe notevolmente nell'intervallo compreso tra 650 e 820 nm; il massimo dell'assorbimento si ha a 820 nm. Possono interferire P, As e V che formano anch'essi eteropoliacidi con lo stesso reattivo; il fosforo interferisce notevolmente soprattutto se è presente nell'acciaio in forte quantità. Il metodo spettrofotometrico non è utilizzabile quando la % di P nell’acciaio è 5 volte o più della % di Si. Per eliminare l'interferenza del P si aggiunge acido ossalico che ha il compito di ridurre l'eccesso di ossidante aggiunto dopo l'attacco e di fissare il pH della soluzione a un valore di 1,1-1,3 che rappresenta il valore ottimale per la lettura allo spettrofotometro. È necessario eliminare l'eccesso di ossidante dalla soluzione perchè, poi, si deve aggiungere a questa un riducente per sviluppare il colore blu. Il sale di molibdeno che viene aggiunto ha formula (NH4)6Mo7O24

.24H2O-eptamolibdato di ammonio (in alternativa si può utilizzare il molibdato di ammonio (NH4)2MoO4). Il complesso che si forma nel rapporto Si/Mo=1/12 viene ridotto con benzidina o con acido ascorbico e si forma un complesso, di formula non definita, di colore azzurro detto blu di molibdeno. Se il riducente usato è la benzidina, la sua ossidazione dà un composto anch'esso azzurro e la sensibilità del processo viene esaltata: H2N–C6H4–C6H4–NH2 ���� HN=C6H4–C6H4=NH (blu di benzidina)

Reattivi: - Acido solforico 2 N; - Miscela solfonitrica (H2SO4 1,5 N e HNO3 0,5 N); - NaNO2 a 50 g/L; - H2C2O4 40 g di acido anidro per litro; - (NH4)6Mo7O24

. 24 H2O a 50 g/L; - Soluzione di Fe3+ per preparare gli standard a 4 g/L;

- Acido ascorbico: 20 gr/litro. Riducente e complessante del Fe3+; - Soluzione a titolo noto in Si. Per prepararla si usa un silicato puro oppure si fonde in alcali SiO2 pura; - Benzidina allo 0,05% preparata sciogliendo 0,125 g di benzidina in 25 ml di acido acetico glaciale portando poi a 250 ml e filtrando;

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Procedimento: Gli standard devono contenere Si in concentrazioni variabili tra 0 e 1,5 ppm in matracci da 100 ml; a 20 ml di slz di Fe3+ si aggiungono 10 ml di soluzione di molibdato e, dopo 5 minuti, 5 ml di acido solforico 2N, 5 ml di soluzione di acido ossalico, 5 ml di acido ascorbico e 5 ml di benzidina. Si porta a volume e si aspettano 30 minuti prima di leggere a 820 nm. Si costruisce quindi la curva di taratura.Il campione viene, intanto, attaccato con miscela solfonitrica o con acido solforico 2N. Se si usa H2SO4 bisogna aggiungere NaNO2 come ossidante (per ossidare Fe2+ a Fe3+) facendo bollire cautamente per 10 minuti per scacciare i vapori nitrosi. A un'aliquota di campione vengono aggiunti nello stesso ordine gli stessi reattivi degli standard e quindi si porta a volume di 100 ml. Il bianco si prepara mettendo nel matraccio da 100 ml tutti i reattivi e sostituendo il campione con acqua distillata. Le letture si fanno a 820 nm.

4.6. Determinazione del fosforo La presenza di fosforo negli acciai determina un peggioramento delle caratteristiche meccaniche: viene ridotta la duttilità e aumentata la fragilità. Un acciaio di buona qualità ne contiene meno dello 0,0035 %; alcune ghise contengono fino all'1 % di fosforo. La determinazione del P si effettua principalmente in due metodi: per via volumetrica o per via spettrofotometrica. 4.6.1. Metodo volumetrico E' un metodo rapido anche se meno sensibile di quello spettrofotometrico; se la % del P non è inferiore allo 0,02 dà risultati accurati. Il campione è sciolto o con l’attacco del paragrafo 4.3.1 o con attacco acido ossidante; in ogni caso si completa l'ossidazione con KMnO4 e si precipita il fosforo con molibdato d’ammonio. Si scioglie poi il precipitato con un eccesso di NaOH a titolo noto e si titola con HNO3 o H2SO4 l'eccesso di NaOH.

3 Fe3P+12 NO3-+33 H+ ���� 9 Fe3++3 HPO3

2-+12NO+15 H2O NO3

- + 4 H+ + 3 e- � NO + 2 H2O E° = 0,957 V P + 3 H2O � H3PO3 + 3 H+ + 3 e- E° = -0,454 V

In ambiente acido si forma acido fosforico che è acido abbastanza forte nella prima dissociazione; è quindi lecito rappresentare l'acido con il suo "ione più presente" H2PO4

-.

2 MnO4-+ 3 HPO3

2- + H2O + 5H+ ���� 3 H2PO4-+ 2 H2MnO3

MnO4- + 4 H+ + 3 e- � H2MnO3 + H2O

HPO32- + H2O � H2PO4

- + H+ + 2 e-

L’H2MnO3 che si forma è un precipitato che deve essere eliminato aggiungendo acido ossalico:

H2MnO3 + C2O42-+ 4 H+ ���� Mn2+ + 2 CO2+ 3 H2O

H2MnO3 + 4 H+ + 2 e- � Mn2+ + 3 H2O

C2O42- � 2 CO2 + 2 e-

Aggiungendo poi l'eptamolibdato di ammonio ammoniacale si forma fosfomolibdato di ammonio che può precipitare se i fosfati sono in apprezzabile quantità:

H2PO4- + 12 MoO4

- + 3 NH4++ 22 H+ ���� (NH4)3PO4••••12MoO3↓ + 12 H2O

Il precipitato viene poi sciolto in eccesso di NaOH a titolo noto e l'eccesso di NaOH viene retrotitolato con acido nitrico (o solforico) esattamente normalizzato con indicatore fenolfataleina.

(NH4)3PO4••••12MoO3 + 23 OH- ���� HPO4- + 12 MoO4

= + 3 NH4+ + 11 H2O

Poiché per sciogliere una mole di precipitato, e quindi un grammo atomo di P, sono necessarie 23 moli (o equivalenti) di NaOH, il peso equivalente del fosforo è: PE = PM / 23 = 30,975 / 23 = 1,347

Reattivi: - Molibdato d’ammonio ammoniacale: si sciolgono in 800 ml di acqua 65 grammi di eptamolibdato esammonico tetraidrato, 225 grammi di ammonio nitrato e 15 ml di ammoniaca. Si porta a 1 litro. - Acido nitrico esattamente 0,1 N: se ne determina il titolo esatto utilizzando la soluzione di NaOH preparata. - Permanganato di potassio: soluzione al 2,5 % - NaOH 0,1 N esattamente normalizzata. - Acido ossalico: soluzione satura.

- Nitrato di potassio: soluzione all'1 % - Acido nitrico conc. (per l'attacco del campione) - Fenolftaleina: soluzione alcolica al 2 %.

Procedimento: Il campione di lega viene attaccato o seguendo le indicazioni del paragrafo 4.3.1 o con HNO3 1:3 a freddo o con blando riscaldamento. Si porta a consistenza sciropposa e si riprende con qualche ml di acido nitrico e con 50 ml di acqua; se si è formato un precipitato (silice o C grafitico) si filtra. Si aggiungono 15 ml della soluzione di KMnO4 e si fa bollire per 3-5 minuti: tende a formarsi un precipitato di H2MnO3.

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La soluzione deve rimanere di colore rosa; a questo punto si aggiunge, goccia a goccia, l’acido ossalico per distruggere l'eccesso di permanganato e l'H2MnO3 e si fa bollire per qualche minuto. Si concentra fino ad ottenere un volume di circa 50-60 ml e a 50°C si aggiungono 50 ml di soluzione di molibdato; dopo avere agitato si lascia per 1-2 ore a temperatura ambiente. Si procede quindi alla filtrazione del precipitato su filtro a fascia azzurra avendo cura di portare la minor quantità possibile del precipitato sul filtro lavando poi accuratamente per decantazione prima con HNO3 diluitissimo e poi con soluzione di KNO3 all'1% fino ad eliminare ogni traccia d’acidità dalla beuta e dal filtro oltre che dal precipitato. Si porta quindi in beuta il filtro che contiene parte del precipitato, si aggiunge un eccesso calcolato di NaOH e si agita fino a dissoluzione completa. Si diluisce con acqua fino ad un volume di 100 ml e si titola con HNO3 a titolo noto con fenolftaleina come indicatore. Si eseguono quindi i calcoli ricordando che per il fosforo è PE=PM / 23=1,347 u 4.6.2. Metodo spettrofotometrico. Il fosforo viene determinato mediante formazione di un eteropoliacido fosfomolibdico (NH4)3PO4•12MoO3 che viene successivamente ridotto ad un complesso blu di composizione non nota (azzurro di molibdeno) che assorbe in un vasto intervallo di lunghezze d'onda tra 650 e 820 nm. La λ viene scelta in questo intervallo tenendo conto, di volta in volta, della necessità di eliminare possibili interferenze. L'interferenza dovuta allo ione Fe3+ si elimina riducendolo a Fe2+ con Na2S2O5 (metabisolfito sodico) che in soluzione acquosa si trasforma in bisolfito:

Na2S2O5 + H2O ���� 2 NaHSO3

L'interferenza possibile del Si viene eliminata per precipitazione della silice; le possibili interferenze di As, Cr, W, Ni vengono eliminate scegliendo, volta per volta, la lunghezza d'onda adatta. Se il tenore di As è notevole si può, terminato l'attacco del campione, aggiungere HBr e qualche ml di H2SO4 conc. scaldando poi fino a fumi bianchi per allontanare l'AsBr3 volatile. Se si prevede che le interferenze siano notevoli e si dispone di un acciaio a titolo noto di fosforo è conveniente eseguire una doppia determinazione, sul campione incognito e sul campione "noto": il rapporto tra gli assorbimenti, letti allo strumento, è uguale al rapporto tra le concentrazioni dei due campioni: Ax = a b Cx Ac = a b Cc

Ax / Ac = Cx / Cc Operando così si evita di costruire la curva di taratura, ma si tratta in pratica di un'analisi comparativa con tutti i possibili errori che ciò comporta.

Reattivi: -Eptamolibdato di ammonio (NH4)6Mo7O24•24 H2O: 10 g sciolti in acqua acidulata con H2SO4 e portati a 500 ml; (in alternativa si può utilizzare il molibdato di ammonio (NH4)2MoO4) -Acido ascorbico: soluzione all'1% preparata di fresco, o, in alternativa, una soluzione di benzidina in acido acetico (la stessa vista nella determinazione del silicio); -Soluzione standard di P: si sciolgono in acqua 4,583 g di NaH2PO4, si aggiungono 20 ml di H2SO4 conc. e si porta a 1 litro. La soluzione contiene 1 g/L di fosforo; -Acqua regia: 3:1 in volumi tra HCl e HNO3; -H2SO4 1:4 in acqua;

-Sodio metabisolfito-Na2S2O5: soluzione satura preparata di fresco;

Procedimento: La legge di Lambert-Beer è seguita linearmente per concentrazioni comprese tra 0 e 0,5 ppm. Dalla soluzione madre si fanno gli opportuni prelievi utilizzando 4 becker piccoli; si aggiungono 10 ml di metabisolfito sodico e si riscalda all'ebollizione per 5 minuti. Si aggiungono, subito dopo,10 ml di soluzione di molibdato e 5 ml di acido ascorbico o di soluzione acetica di benzidina. Si agita e si fa raffreddare. Si porta quindi il contenuto dei becker in altrettanti matracci da 100 ml e si porta a volume lavando accuratamente i becker. Nel frattempo ca.1 g di campione viene attaccato con acqua regia; cessato lo sviluppo di gas, si aggiungono 50 ml di H2SO4 1:4 e si svapora a fumi bianchi. Si lascia raffreddare e si aggiunge acqua per sciogliere i sali precipitati, si filtra per eliminare la SiO2 e si lava il precipitato con acqua calda. Il filtrato e le acque di lavaggio si portano a volume. Si fa un prelievo di 10 ml in becker piccolo, si aggiunge metabisolfito sodico, si bolle per 5 minuti e si procede come per gli standard. Preparato il bianco aggiungendo tutti i reattivi ad acqua distillata, si legge l'assorbanza alla λ prescelta.

4.7. Determinazione del nichel

La presenza del nichel negli acciai migliora la resistenza meccanica, l’elasticità e l’inerzia chimica. Si trova soprattutto in forma libera o sotto forma di carburi; per attacco acido passa in soluzione come Ni2+. Per la determinazione del Ni si possono utilizzare tre metodi differenti: gravimetrico, in AAS e spettrofotometrico.

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4.7.1. Metodo gravimetrico È particolarmente adatto per l'analisi di acciai il cui tenore di Ni supera lo 0,5%. Si basa sulla formazione di un complesso chelato insolubile (Ni-Dimetilgliossima) che viene fatto precipitare in ambiente ammoniacale (pH = 9-10). Poiché la precipitazione del complesso del Ni si effettua a pH=9, è necessario complessare il Fe3+ con acido tartarico per evitarne la precipitazione come idrossido. Il pH ottimale per la precipitazione del complesso è 9, ma per evitare la formazione istantanea di una grande quantità di precipitato, che ingloberebbe notevoli quantità di impurezze, si inizia la precipitazione a pH leggermente acido aumentando, poi, il pH con piccole aggiunte di NH3 fino ad arrivare a pH=9.

H3CC = N–OH + Ni++ + 2 NH3 ���� (C4H7N2O2)2Ni + 2 NH4

+ H3CC = N–OH

In sostituzione della dimetilgliossima solubile in alcol, si può utilizzare la dietilgliossima che è solubile in acqua. Il campione d'acciaio pesato dovrebbe contenere circa 20 mg di Ni; se si pesa una quantità maggiore, dopo avere effettuato la dissoluzione, si procede con l'analisi su un'aliquota della soluzione portata a volume. L’attacco si compie in beuta seguendo le indicazioni del paragrafo 4.3.1. e successivamente si aggiunge qualche millilitro di HNO3 conc per ossidare il Fe2+a Fe3+ e si eliminano per ebollizione gli ossidi di azoto. Si aggiunge acqua fino ad ottenere un volume di circa 200 ml e si complessa il Fe3+ con acido tartarico cristallino aggiunto in ragione di circa 4 grammi per ogni grammo di campione pesato. Si porta il pH a 9 con ammoniaca 1:3 e, se la soluzione non è perfettamente limpida, si filtra e si lava il precipitato con acqua acidulata. Il filtrato e le acque di lavaggio vengono acidificati con HCl e portati a 70°C; si aggiungono 20 ml di soluzione alcolica 1% di DMG e si aggiusta il pH con aggiunte progressive di NH3 fino a sentirne l'odore nella soluzione (pH=9-10). Il precipitato formatosi viene fatto digerire per 30 minuti a caldo su bagnomaria. Si filtra su setto poroso tarato operando sotto vuoto e lavando a lungo il precipitato con acqua calda fino ad eliminazione dello ione Cl- particolarmente trattenuto dal complesso Ni-DMG. Si essicca in stufa a 110 °C e si pesa fino a peso costante. Il fattore di trasformazione Ni/Ni-DMG è 0,2032. 4.7.2. Analisi in Assorbimento atomico Il metodo può applicarsi sia per leghe a basso tenore di Ni che per quella ad alto tenore, potendosi disporre di varie righe analitiche. Per basse concentrazioni si effettua la misura a 232 nm utilizzando una fiamma aria-acetilene. Il campo di applicazione varia da 1 a 50 ppm. Si scioglie il campione come nel metodo precedente, compresa l’aggiunta di poco HNO3; si scalda per eliminare i vapori nitrosi e si riprende con acqua calda e pochi ml di HCl. Si filtra e si lava; il filtrato e le acque di lavaggio vengono portati a volume dopo di che si effettua la lettura allo strumento. La curva di taratura si può fare con un sale di Ni puro o, meglio, un acciaio a tenore noto di Ni. 4.7.3. Metodo spettrofotometrico È un metodo di grande sensibilità però ci sono molti elementi che possono interferire. Si attacca il campione e si ottiene una soluzione che contiene lo ione Ni2+ che viene ossidato con acqua di bromo a Ni3+ e Ni4+. Alla soluzione si aggiunge quindi dimetilgliossima (o altra diossima) che forma con Ni4+ in ambiente alcalino un complesso solubile di colore bruno che assorbe intensamente tra 350 e 600 nm. Il colore si sviluppa in meno di un minuto e rimane stabile per circa 30 minuti.

Ni(OH)2 + H2O ���� Ni(OH)3 + H+ + 1 e- E° = + 0,5 V Ni(OH)2 + 2 H2O ���� Ni(OH)4 + 2 H+ + 2 e- E° = + 0,6 V Possibili semi reazioni del nichel

Br2 + 2 e- ���� 2 Br-

Br2 + 2 OH- ���� BrO- + Br- + H2O BrO- + H2O + 2 e- ���� Br- + 2 OH-

Possibili semi reazioni e reazioni del bromo

Fe3+ può interferire e viene quindi complessato con acido citrico formando un citrato che non interferisce se la lettura dell'assorbimento viene effettuata a 540 nm. Altri elementi che possono interferire sono Cu, Co e Mn; se sono presenti conviene procedere alla loro eliminazione per esempio con una resina a scambio ionico. Infatti gli ioni ferrici, cobaltosi, manganosi e rameici formano con HCl 10 N dei complessi anionici che vengono trattenuti da una resina anionica forte (previamente eluita con HCl 10N) mentre Ni2+ non viene trattenuto. Per rigenerare la resina è sufficiente eluire con acqua distillata perché la conc degli ioni Cl- diminuisce, i complessi vengono demoliti e gli ioni, di nuovo in forma cationica, vengono rilasciati. Dopo avere eseguito l’attacco come nel metodo precedente, e dopo aver scacciato i vapori nitrosi, si riduce a piccolo volume e si riprende con soluzione diluita di HCl portando a volume. Si preleva un'aliquota (ad es 50 ml) e si pone in un matraccio da 100 ml. Si aggiungono 5 ml di acqua di bromo (slz satura), si attende qualche minuto e poi 10 ml di NH3 conc e 10 ml di soluzione alcolica di DMG allo 0,1%. Si porta a

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volume e contemporaneamente si prepara il bianco prelevando un'altra aliquota e aggiungendo tutto meno la soluzione di DMG. Si fanno le letture delle assorbanze a λ=540 nm. Il range di linearità è 0,2 e 6,0 ppm di Ni. La curva di taratura si costruisce utilizzando un sale puro di nichel e, naturalmente, gli standard si preparano osservando le stesse modalità seguite per la preparazione del campione e del bianco.

4.8. Determinazione del cromo Il cromo, quando è presente in piccola quantità, migliora le qualità meccaniche degli acciai; insieme al Nichel conferisce grande resistenza alla corrosione (acciai inox). La determinazione del Cr può effettuarsi in quattro modi: per AAS, metodo volumetrico, metodo spettrofotometrico alla difenilcarbazide a 540 nm e metodo spettrofotometrico allo ione Cr2O7

= a 440 nm. 4.8.1. Assorbimento atomico È un metodo non molto utilizzato per le notevoli interferenze del Fe e del Ni che vengono praticamente eliminate solo utilizzando una fiamma acetilene - protossido d'azoto o in alternativa con il metodo delle aggiunte e fiamma aria - acetilene. Il campione viene attaccato in beuta con il metodo del paragrafo 4.3.1. e successivamente ossidato con qualche ml di acido nitrico conc. Si porta poi a volume in un matraccio da 100 o 250 ml. Si eseguono poi le diluizioni per rientrare nella retta di taratura (la concentrazione finale di Cr non deve superare i 20 ppm) e si misura l'assorbanza a λ = 358 nm. La curva di taratura viene costruita utilizzando un sale di Cr puro o un acciaio a titolo noto di Cr. 4.8.2. Metodo volumetrico Dopo aver effettuato la dissoluzione del campione secondo il metodo del paragrafo 4.3.1 (non si fa un attacco acido ossidante per evitare la passivazione del Cr con conseguente impossibile dissoluzione) si addiziona alla soluzione K2S2O8 con Ag+ come catalizzatore. Durante la fase di attacco si verifica la reazione:

2 Cr + 6 H+ ���� 2 Cr3+ + 3 H2 e, se è presente Mn:

Mn + 2 H+ ���� Mn2+ + H2

Cr3+ + 3 e-

� Cr° E° = - 0,744 V Mn2+

+ 2 e- � Mn° E° = - 1,185 V

2 H+ + 2 e- � H2 E° = 0,000 V

Quando alla soluzione si aggiunge il persolfato, si ha:

2 Cr3+ + 3 S2O82- + 7 H2O ���� Cr2O7

2- + 6 SO42- + 14 H+ Cr2O7

2-+14H++6e- � 2Cr3++7H2O E° = 1,33 V S2O8

2- + 2 e- � 2 SO42- E° = 2,05 V

e, se è presente Mn:

2 Mn2+ + 5 S2O82- + 8 H2O ���� 2MnO4

- + 10 SO42- + 16 H+ MnO4

-+8H++5e- � Mn2++4 H2O E°= 1,51V S2O8

2- + 2 e- � 2 SO42- E° = 2,05 V

verrà quindi ossidato prima il Cr3+ e poi il Mn2+

Il persolfato è ossidante forte, ma lento e perciò è richiesta la presenza di Ag+ come trasportatore di elettroni in quanto viene ossidato velocemente dal persolfato ad Ag2+, il quale si riduce altrettanto velocemente:

Ag+ ���� Ag2+ + e-

Poiché il Mn si ossida solo dopo che si è ossidato il Cr, la comparsa del colore violetto del permanganato segnala che tutto il Cr3+è stato ossidato; finche è presente Cr non può comparire il colore violetto del permanganato. Poiché la determinazione del Cr verrà effettuata per aggiunta di sale di Mohr in eccesso calcolato e per retrotitolazione dell'eccesso del sale con KMnO4 a titolo noto, è necessario eliminare dalla soluzione l'eccesso di persolfato e di permanganato. A tale scopo viene aggiunta una piccola quantità di NaCl che provoca la precipitazione di AgCl e arricchisce la soluzione di Cl-. Il precipitato di AgCl sottrae alla soluzione l'Ag+, riducendo così l'azione ossidante dello ione persolfato; d'altra parte la notevole concentrazione di Cl- della soluzione provvede a ridurre gli ioni MnO4

- e S2O8=

presenti in soluzione:

2 MnO4- + 10 Cl- + 16 H+ ���� 2 Mn2+ + 5 Cl2 + 8 H2O MnO4

-+8H++5e- � Mn2++4 H2O E°= 1,51 V Cl2 + 2 e- � 2 Cl- E° = 1,36 V

S2O82- + 2 Cl - ���� 2 SO4

2- + Cl2 Cl2 + 2 e- � 2 Cl- E° = 1,36 V S2O8

2- + 2 e- � 2 SO42- E° = 2,05 V

Quest'ultima reazione sarà però molto lenta per l'assenza del catalizzatore. Poiché, dopo l'aggiunta di NaCl si porta all'ebollizione per 30 minuti circa, avvengono anche le seguenti reazioni che

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distruggono gli eccessi di persolfato e di permanganato:

2 S2O82- + 2 H2O ���� 4 SO4

2- + O2 + 4 H+ O2 + 4 H+ + 4 e- � 2 H2O E° = 1,23 V S2O8

2- + 2 e- � 2 SO42- E° = 2,05 V

4 MnO4- + 12 H+ ���� 4 Mn2+ + 6 H2O + 5 O2

MnO4-+8H++5e- � Mn2++4 H2O E°= 1,51 V

O2 + 4 H+ + 4 e- � 2 H2O E° = 1,23 V

Volendo scrivere un'unica reazione:

5 S2O82- + 2 MnO4

- + 2 H2O ���� 10 SO42- + 2 Mn2+ + 5 O2 + 4 H+

Dopo avere distrutto l'eccesso di persolfato e permanganato si aggiunge un eccesso calcolato di sale di Mohr che riduce Cr2O7

2- a Cr3+ (la soluzione cambia il proprio colore da giallo a verde); si titola poi l'eccesso di sale di Mohr con KMnO4 a titolo noto.

MnO4- + 5 Fe2+ + 8 H+ ���� Mn2+ + 5 Fe3+ + 4 H2O MnO4

-+8H++5e- � Mn2++4 H2O E°= 1,51 V Fe3+ + e- � Fe2+ E° = 0,77 V

Reattivi: - Miscela solfofosforica: si sciolgono con cautela 16 ml di acido solforico conc. e 8 ml di acido fosforico conc. in acqua e si porta a 100 ml. - AgNO3: soluzione all'1% - HNO3 :soluzione 1:1 - NaCl cristalli puri

- Sale di Mohr (NH4)2Fe(SO4)2 6 H2O: 40 g/L (Circa 0,1 M); - KMnO4: soluzione circa 0,1 N a titolo noto - K2S2O8: soluzione al 25% preparata di fresco

Procedimento: L’attacco viene compiuto secondo le modalità viste nei paragrafi 4.3.1 o 4.3.2. Si esegue un opportuno prelievo di soluzione dell’attacco, in base alla % di Cr presunta in becher da 600 ml. Si riprende con acqua fino a circa 300 ml, si aggiungono 5 ml di AgNO3 e 15 ml di persolfato di potassio. Nel caso si sia utilizzato un attacco a microonde con un metodo che prevede l’utilizzo di HCl, aggiungere la soluzione di argento fino a che non si nota più la comparsa del precipitato di AgCl per assicurare la presenza di ioni Ag+ in soluzione. Si porta all’ebollizione per qualche minuto fino a sviluppare il colore violetto del permanganato. (Se l’acciaio non contiene Mn si aggiunge qualche cristallino di MnSO4). Si aggiunge una punta di spatola di NaCl e si fa bollire fino a scomparsa del colore violetto del permanganato; se necessario si aggiunge ancora un pò di NaCl e si protrae l’ebollizione per altri 15 minuti facendo attenzione che il volume non si riduca a meno di 300 ml. Si raffredda sotto acqua corrente e si aggiunge sale di Mohr in eccesso calcolato (la soluzione diventa verde). Si titola, poi, con la soluzione di KMnO4 fino a rosa persistente e si esegue una prova in bianco introducendo in una beuta 200 ml di acqua, 60 ml di miscela solfofosforica e aggiungendo lo stesso volume di sale di Mohr. Si titola quindi con la stessa soluzione di permanganato e nelle stesse condizioni del campione. In questo modo non è necessario conoscere l’esatto titolo del sale di Mohr. È ovvio che se ciò è noto, non si fa la prova in bianco. 4.8.3. Metodo spettrofotometrico alla difenilcarbazide (in assenza di manganese) In ambiente solforico tra Cr2O7

2- e difenilcarbazide si forma un complesso stabile di colore rosso - violetto (λ=540 nm, intervallo linearità 0÷1 mg/l Cr6+). L'attacco del campione deve essere, quindi, eseguito in ambiente acido e successivamente ossidante perché occorre ottenere il Cr6+ nello stato di massima valenza; l'acidità minerale da acido solforico assicura che lo ione presente sia Cr2O7

2-. Le interferenze sono praticamente inesistenti perché, data la grande sensibilità della reazione, specifica per il solo Cr, (0,1÷0,2 ppm) si fanno diluizioni tanto spinte da rendere non più apprezzabile la presenza degli elementi che potrebbero interferire (Fe, Co, ecc). L'attacco può effettuarsi con HClO4 che è acido forte ed energico ossidante; se si vuole evitare l'uso di questo acido che richiede molte precauzioni per la sua pericolosità, si può fare l'attacco con H2SO4 aggiungendo poi persolfato e Ag+ come catalizzatore. In ogni caso, per ebollizione si deve distruggere l'eccesso d’ossidante che rende meno stabile il complesso colorato. La curva di taratura si costruisce con uno standard primario o un acciaio a contenuto noto di Cr.

Reattivi: - Difenilcarbazide: soluzione allo 0,2% in alcool etilico al 95%; - Soluzione solforica 12% v/v: 12 ml di H2SO4 conc diluiti a 100 ml; - Acido perclorico: soluzione al 70%; in alternativa all'acido perclorico: - Persolfato di potassio solido; - Argento nitrato: soluzione 0,1 N; - H2SO4 conc;

Procedimento: Si pesano circa 0,5 grammi di campione e si attaccano in becker secondo le modalità viste nei paragrafi 4.3.1 o 4.3.2. Si esegue un opportuno prelievo di soluzione dell’attacco, in base alla % di Cr presunta e si aggiunge poi persolfato di potassio e argento nitrato per ossidare il Cr a bicromato; l’ossidazione viene iniziata a freddo e proseguito all'ebollizione

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��

••+••=

••+••=

CrCrMnMn

CrCrMnMn

cbacbaA

cbacbaA525525

525

440440440

��

��

•−••−•

=

•−=

440525440525

525440

440525

440

440440

crMnMnCr

MnMnCr

Mn

CrCrMn

aaaaaAaA

C

aCaA

C

fino ad ottenere un piccolo volume ed eliminazione completa dell'eccesso di ossidante (per solfato). Si raffredda, si diluisce con acqua fino a circa 50 ml, si aggiungono 10 ml di soluzione solforica e 2 ml di soluzione di difenilcarbazide. Si porta a volume e si lascia riposare per 10 minuti. Si effettua la lettura allo strumento e si risale, mediante la curva di taratura, al contenuto di Cr nell'acciaio. Essendo assenti le interferenze, il bianco si prepara con acqua distillata. 4.8.4. Metodo spettrofotometrico in presenza di manganese Con l'attacco acido e ossidante il Cr e il Mn vengono trasformati rispettivamente in Cr2O7

2- e MnO4-. Il bicromato e il

permanganato presentano il massimo di assorbimento in zone dello spettro sufficientemente lontane per cui possono essere determinati contemporaneamente; è necessario però risolvere un sistema di due equazioni. Il campione, esattamente pesato, viene attaccato secondo le modalità viste nei paragrafi 4.3.1 o 4.3.2.; si aggiungono 5 ml di HNO3 conc, si fa bollire fino ad eliminazione completa dei vapori nitrosi e, dopo raffreddamento, si porta a volume in un matraccio da 100 o 250 ml. Da questa soluzione si prelevano due aliquote identiche, in base alle concentrazioni presunte, e ad una di esse si aggiungono 5 ml di acido solforico conc, 2 ml di soluzione di AgNO3 0,1 N e 5 grammi di persolfato potassico, si scalda all'ebollizione per 10 minuti ed eventualmente si aggiungono 0,5 grammi di KIO4 per completare l'ossidazione bollendo per altri 5 minuti. L’altra aliquota viene sottoposta allo stesso trattamento ma non viene addizionata degli ossidanti e costituisce il bianco. Ambedue le soluzioni si portano a volume in matracci da 100 ml con H2SO4 2 N e di esse vengono misurate le estinzioni. A 440 nm si ha assorbanza massima per Cr2O7

= con un contributo da parte di MnO4- mentre a 550 nm si ha assorbanza

massima di MnO4- con un contributo da parte di Cr2O7

=. Le equazioni coinvolte sono: dove: A440 e A525 sono le assorbanze della miscela a 440 e 525 nm;

aMn440 e aMn

525 sono i coefficienti di estinzione del MnO4- a 440 e 525 nm;

aCr440 e aCr

525 sono i coefficienti di estinzione del Cr2O72- a 440 e 525 nm;

b spessore della cuvetta.

I coefficienti d'estinzione molare a 440 nm e 550 nm si determinano con 4 letture dirette (mettendo quindi in conto un potenziale errore) utilizzando soluzioni diluite di CrO4

2- e di MnO4- a concentrazione nota. Tali soluzioni sono

a comprese tra 20e 200 ppm di Cr e 2 e 10 ppm di Mn, entrambe in H2SO4 2N che si usa anche come bianco quando si fanno le 2 letture di assorbenza (A440 ed A525) alle 2 λ per Cr e Mn. Risolvendo il sistema a due equazioni in due incognite si ricavano le due concentrazioni cCr e cMn e si eseguono poi i calcoli per risalire alle % di Cr e Mn nell'acciaio.

4.9. Determinazione del manganese Il Mn è contenuto negli acciai comuni in tenori variabili tra 0,1 e 1%, mentre negli acciai speciali la sua percentuale può anche essere superiore al 10%. La sua presenza negli acciai conferisce a questi durezza e resistenza agli urti. La determinazione analitica si può fare secondo tre metodi distinti: spettrofotometrico, in AAS e per via chimico-volumetrica. 4.9.1. Determinazione spettrofotometrica 4.9.1.1. In presenza di cromo. Il metodo è già stato descritto a proposito della determinazione del cromo. 4.9.1.2. In assenza di cromo. È un metodo molto rapido e accurato. Consiste nello sciogliere il campione, nell'ossidare il Mn2+ a MnO4

- con potassio periodato e nel leggere l'assorbimento della soluzione ottenuta alla λ = 550 nm. Il campione (0,5-1 grammi) viene attaccato in beuta secondo le modalità viste nei paragrafi 4.3.1 o 4.3.2. e si fa bollire fino a consistenza sciropposa:

Mn + 2 H+ ���� Mn2+ + H2 Mn2+

+ 2 e- � Mn° E° = - 1,185 V

2 H+ + 2 e- � H2 E° = 0,000 V

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Si riprende con 60 ml di acqua e si fa bollire ancora per 5’, poi si filtra la silice e l'eventuale C grafitico raccogliendo il filtrato e le acque di lavaggio in un matraccio da 100 ml che si porta a volume. Si prelevano poi 2 aliquote (da 5 a 20 ml a seconda del tenore di Mn nell'acciaio). La prima aliquota viene posta in una beuta, vi si aggiungono 5 ml di H2SO4 concentrato e, dopo aver portato all'ebollizione, 0,5 grammi di KIO4 cristallino, continuando a bollire per altri 5’. Completata l'ossidazione di Mn2+ a MnO4

- si raffredda e si porta a volume in un matraccio da 100 ml. La seconda aliquota viene posta direttamente in un matraccio da 100 ml e addizionata di 5 ml di H2SO4 prima di essere portata a volume [bianco].

5 IO4- + 2 Mn2+ + 3 H2O ���� 5 IO3

- + 2 MnO4- + 6 H+

MnO4-+8H++5e- � Mn2++4 H2O E°= 1,51 V

IO4- + 2 H+ + 2 e- � IO3

- + H2O E° = 2,36 V O2 + 4 H+ + 4 e- � 2 H2O E° = 1,23 V

Le letture di assorbanza del campione e del bianco vengono eseguite alla λ = 550 nm. La curva di taratura viene preparata utilizzando un acciaio a titolo noto e prossimo a quello del campione in esame. Risultati altrettanto soddisfacenti si ottengono quando si prepara la curva di taratura utilizzando una soluzione di KMnO4 esattamente 0,1 N. 4.9.2. Assorbimento atomico È un metodo sensibile che permette determinazioni abbastanza accurate. L'unico elemento che può dare interferenza è Si quando è presente in percentuale doppia o tripla rispetto a Mn. La misura viene fatta a λ= 279,5 nm.

Procedimento: Il campione (0,5÷1 g) viene attaccato secondo le modalità viste nei paragrafi 4.3.1 o 4.3.2. concentrando poi fino a consistenza sciropposa. Si riprende con 5 ml di HCl e 50 ml di acqua e si porta all'ebollizione per sciogliere i sali solubili. Si filtra, per eliminare l'eventuale SiO2 e il C grafitico e si lava il precipitato con HCl 1:100; il filtrato e le acque di lavaggio si raccolgono e si portano a volume in un matraccio la cui capacità viene scelta in funzione del tenore di Mn nell'acciaio. La soluzione da analizzare deve contenere da 0 a 10 ppm di Mn. La curva di taratura può essere preparata usando un acciaio di composizione nota e simile a quella del campione analizzato. In alternativa si può preparare la curva di taratura utilizzando MnSO4•1H2O (2,03 grammi di sale in 500 ml corrispondono a 1000 ppm di Mn) e aggiungendo ad ogni standard una quantità di Fe3+ che, come ordine di grandezza, realizzi una concentrazione pari a quella del campione da analizzare. 4.9.3. Metodo volumetrico Si porta in soluzione il Mn con un attacco acido. Si aggiungono, poi, persolfato d'ammonio e AgNO3 per ossidare Mn2+a MnO4

-

2 Mn2+ + 5 S2O82- + 8 H2O ���� 2MnO4

- + 10 SO42- + 16 H+ MnO4

-+8H++5e- � Mn2++4 H2O E°= 1,51V S2O8

2- + 2 e- � 2 SO42- E° = 2,05 V

Dopo avere neutralizzato l'azione ossidante del persolfato, si titola lo ione MnO4- con arsenito sodico:

2 MnO4- + 5 HAsO2 + 6 H+ + 2 H2O ���� 2 Mn2+ + 5 H3AsO4

MnO4-+8H++5e- � Mn2++4 H2O E°= 1,51V

H3AsO4+2H++2e- � HAsO2+2H2O E° = 0,56 V

È necessario “titolare” la soluzione di arsenito con un acciaio a titolo noto o, in alternativa, con una soluzione di KMnO4 a titolo noto, perché la reazione tra arsenito e ione MnO4

- non è quantitativa. È necessario quindi, per potere poi eseguire i calcoli, sapere quanti mg di Mn corrispondono a 1 ml della soluzione di arsenito che si è preparata. Quando nel campione è presente Cr è necessario procedere alla sua separazione. In tal caso si attacca il campione con la minor quantità possibile di H2SO4 1:9. Ad attacco ultimato si riprende con acqua fino a 100 ml e si aggiunge, mediante buretta, una soluzione di NaHCO3 al 10 % fino alla formazione di un precipitato di Cr(OH)3; si aggiunge ancora un eccesso di bicarbonato e si bolle per qualche minuto. Si filtra per decantazione e si lava con acqua calda. Al filtrato e alle acque di lavaggio, raccolte in un becker, si aggiungono 30 ml di miscela acida, si fa bollire per riportare il volume a 130 ml e si procede alla ossidazione con persolfato in presenza di AgNO3, all'aggiunta di NaCl e alla titolazione con arsenito secondo le modalità descritte prima.

Reattivi: - Miscela acida nitrosolfofosforica: 10 ml di H2SO4 conc., 12,5 ml di H3PO4 conc e 25 ml di HNO3 conc portati a 100 ml; - Arsenito di sodio: si prepara una soluzione circa 0,1 N di NaAsO2 e se ne determina il titolo con un acciaio a titolo noto e di composizione analoga a quella dell'acciaio in esame; - Nitrato di argento: soluzione all'1%; - Persolfato di ammonio:soluzione al 25% preparata di fresco;

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- NaCl: soluzione 0,1 N;

Procedimento: Il campione (0,5÷1g) viene attaccato in beuta con 30 ml di miscela acida; quindi si fa bollire per scacciare i vapori nitrosi. Si riprende con acqua fino a 100 ml e, se la soluzione è torbida per la presenza si SiO2 o di grafite, si filtra raccogliendo in un becker il filtrato e le acque di lavaggio. Si aggiungono 10 ml di AgNO3 0,1 N e 10 ml di persolfato. Si fa bollire per un paio di minuti e, dopo aver aggiunto 10 ml di soluzione di NaCl 0,1 N e aver raffreddato sotto acqua corrente a 20°C o meno, si titola con la soluzione di arsenito normalizzata come visto sopra. La soluzione di NaCl viene aggiunta per precipitare lo ione argento ed eliminare quindi il catalizzatore che permette allo ione S2O8

= di ossidare con velocità apprezzabile; bisogna cioè evitare che lo ione persolfato reagisca con l'arsenito e bisogna evitare, altresì, che possa riossidare lo ione Mn++ a ione MnO4

-. Il NaCl viene aggiunto nella quantità stechiometricamente equivalente all'AgNO3 per ottenere la precipitazione completa dello ione Ag+ e nello stesso tempo per evitare che in soluzione rimangano ioni Cl- che potrebbero ridurre MnO4

- insieme all'arsenito.

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5. I prodotti ceramici e i loro cicli di produzione

5.1. Definizione di prodotto ceramico La tecnologia ceramica è l'insieme delle conoscenze riguardanti i materiali, i mezzi e le tecniche utilizzate per produrre oggetti di ceramica. Fino a qualche tempo fa si definiva ceramica un prodotto a base di materia plastico-terrosa che avesse subito un conveniente trattamento termico; tale trattamento procurava, oltre alla perdita della plasticità, coesione, durezza e resistenza meccanica, per cui il manufatto poteva così conservare la forma data nella modellatura. Per far fronte a nuove esigenze tecniche sorte nell'attività industriale e nella ricerca di materiali con speciali caratteristiche, si sono messi a punto nuovi prodotti a base di polveri inorganiche non metalliche senza utilizzare materiali plastico-terrosi. La coesione e il consolidamento di tali prodotti sono dovuti ad un opportuno trattamento termico dopo una foggiatura più o meno definitiva. Poiché per tutte queste specie di prodotti, sia per quelli tradizionali a base argillosa, sia per quelli moderni, esiste un ciclo di lavorazione comune basato sulla foggiatura a crudo e sul successivo consolidamento termico, si può ritenere valida la definizione di prodotto ceramico data da Korach:

“Si intende per ceramica qualsiasi oggetto, prodotto artificialmente dall'uomo, composto con materie inorganiche, non metalliche, foggiate a temperatura ambiente e consolidate a caldo”.

Il trattamento termico (cottura) è la fase che modifica in modo sostanziale la struttura del materiale crudo, ed impartisce alla ceramica le tipiche caratteristiche di durezza, resistenza meccanica, inerzia chimica e fisica. In base a questa definizione non sono da considerarsi ceramiche oggetti a base di vetro (formatura a caldo e consolidamento a freddo), anche se in alcuni casi la ceramica ha un aspetto simile al vetro, a base di cemento (foggiatura e consolidamento a temperatura ambiente), a base di polveri metalliche.

5.2. Classificazione dei prodotti ceramici I criteri fino ad ora adottati per la classificazione dei prodotti ceramici hanno fatto riferimento: a) alla natura della materia prima costituente il prodotto (ceramiche a base argillosa e ceramiche a base non argillosa); b) alla dimensione dei granuli costituenti la struttura del corpo ceramico (ceramica grossolana o fine, a seconda che i

granuli fossero o no visibili); c) alla percentuale di acqua assorbita dal cotto (la ceramica fine è densa o porosa a seconda che l'assorbimento sia o

no minore del 2%; per la ceramica grossolana questo limite è portato al 6%); d) la temperatura di cottura; e) il colore dell'impasto una volta cotto (bianco o colorato); f) la presenza o meno di un rivestimento (smalto) con successiva diversificazione a seconda del tipo di rivestimento. Questo tipo di classificazione male si adatta ai nuovi materiali ceramici e spesso distribuisce in gruppi differenti (per esempio a causa del colore dell’impasto) materiali che invece hanno proprietà comuni. L'unica normativa esistente a livello internazionale riguarda la qualità dei prodotti sulla base di specifiche proprietà (normalizzazioni), ma è limitata per ora solo al campo delle ceramiche refrattarie (ISO 836, ISO 1109, ISO 1927), delle ceramiche da impiegare come piastrelle (UNI-EN 14411) e dei sanitari (UNI 4543) e verrà illustrata nei successivi paragrafi.

5.3. Ceramiche silicatiche a base argillosa Appartiene a questo gruppo la quasi totalità delle ceramiche definite “tradizionali”. Esse riguardano i settori dell'edilizia, della stoviglieria, dell'oggettistica artistica e ornamentale, dei sanitari e della costruzione di apparecchiatura tecniche. Tutte hanno in comune, dopo la cottura, un corpo solido costituito sia da materia “cristallina” che “non cristallina”, con un certo grado di “porosità”.

La porosità del corpo ceramico, parametro molto importante per la classificazione UNI EN (vedi par. 5.5), è distinguibile in porosità aperta e chiusa. La porosità aperta è costituita da spazi vuoti comunicanti tra loro e con la superficie esterna ed è espressa come: % in peso di acqua assorbita % in volume del liquido necessario a riempire tutti i pori.

Una elevata porosità aperta è favorita dalle basse temperature di cottura e dall'uso di granulometrie grossolane delle materie prime; è determinante per la smaltatura degli oggetti (i pori superficiali assorbono l'acqua di una sospensione che si deposita sulla superficie e che in cottura si trasforma in un vetro); riduce la resistenza agli attacchi chimici, alle sollecitazioni meccaniche o climatiche; favorisce la resistenza agli sbalzi termici e all'isolamento termico e acustico.

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La porosità chiusa è costituita da vuoti che non comunicano con la superficie esterna; essa si misura tramite la densità del materiale ed è presente soprattutto in ceramiche con struttura molto vetrificata. E' dovuta al fuso che, ad alta temperatura, riempie parzialmente la porosità aperta, o alla volatilizzazione di alcuni componenti o alla presenza di gas rimasti inglobati nelle masse fuse a causa della avvenuta vetrificazione superficiale della ceramica.

Tabella 5.1. Porosità di alcuni prodotti. PIASTRELLE ALTRE

Terracotta 19-24 % Terrecotte laterizi 20-25 % Terraglia 15-20 % Terraglia tenera 18-25 %

Grès < 3 % Terraglia forte 12-15 % Grès porcellanato < 0,5 % Porcellana < 0,5 %

Grès rosso 3-6 %

Tra i principali prodotti ceramici ad alta porosità ricordiamo le terrecotte, le faenze, i refrattari e le terraglie.

Le TERRECOTTE sono ceramiche con colorazione variabile dal giallo al rosso mattone, con alta porosità; sono ottenute per cottura in ambiente ossidante ad una temperatura compresa tra 880 e 980 °C. In base all'uso cui sono destinate hanno una tessitura variabile da grossolana eterogenea a fine quasi omogenea. Queste ceramiche sono sprovviste di rivestimento e sono impiegate come ceramiche strutturali nell'edilizia o ad uso ornamentale.

Le FAENZE sono ceramiche con colorazione variabile dal giallo al bruno nocciola, porosità di tipo aperto (intorno al 18% di acqua assorbita), struttura prevalentemente cristallina. Sia per la cottura cui sono sottoposte (900-950 °C), sia per la composizione mineralogica dell'impasto, somigliano alle terrecotte da cui si distinguono per la granulometria molto più fine.

I REFRATTARI hanno l'impasto a struttura cristallina e grossolana; la porosità è variabile e dipende dall'uso cui sono destinati. Si preparano a partire da materie prime che rammolliscono e fondono solo a temperature superiori a 1500 °C.

Le TERRAGLIE sono ceramiche a pasta quasi bianca ottenuta per scelta accurata delle materie prime con cui si compone l'impasto (contenuto di Fe2O3 inferiore all 1%). La loro porosità è variabile (dal 18-20% al 8-12%) a seconda della formulazione dell'impasto e della temperatura di cottura.

Le più comuni ceramiche poco porose sono: i grés, la porcellana ed il vitreous. Tutte queste ceramiche hanno in comune una massa vetrificata molto compatta, densa, quari priva di porosità. La presenza di vetro deriva da una modificazione di stato durante la cottura (greificazione), per la quale alcuni componenti rammolliscono gradualmente e il liquido altamente viscoso che si forma riempie i pori e salda, in fase di raffreddamento, tutto il corpo ceramico. Presentano un'alta resistenza alla flessione, all’abrasione, all'attacco chimico. Si possono distinguere tra loro per la struttura, la natura mineralogica dei cristalli che le costituiscono, il grado di traslucidità.

I GRÉS derivano da alcune mescolanze argillose naturali che producono ceramiche greificate a temperature tra i 1050-1100 °C o, più spesso, tra i 1200-1250 °C. Tali ceramiche risultano più o meno colorate per la presenza di composti ferrosi. Per ottenere grès bianchi si utilizzano impasti artificiali a base d’argille cuocenti bianco e rocce quarzoso-feldspatiche che provocano la greificazione della massa. La porosità di tipo aperto è molto bassa, mentre è significativa la presenza di porosità chiusa. A fini decorativi possono essere rivestiti da smalti o essere colorati già nell'impasto.

I VITREOUS e le PORCELLANE costituiscono le ceramiche più vetrificate, quindi con porosità aperta inferiore allo 0,5%. Questa vetrificazione può essere conseguita cuocendo impasti simili a quelli di grès bianco con un più alto tenore di rocce feldspatiche o con un fondente più energico (impasti per vitreous), oppure cuocendo miscele di caolino, quarzo e feldspato a temperature comprese tra 1350 e 1400 °C (impasti per porcellane dure).

5.4. Materiali ceramici speciali I restanti gruppi comprendono la quasi totalità dei ceramici speciali prodotti a partire dalla metà del ‘900. Queste ceramiche sono definite “speciali” in quanto le loro prestazioni vanno ben oltre le applicazioni delle ceramiche tradizionali; si tratta di materiali che, pur essendo ottenuti da materie comuni, diffuse, di scarso valore strategico, hanno eccezionali qualità di resistenza meccanica, di durezza, di resistenza all'abrasione e al calore, che li rendono idonei ai più svariati campi di impiego. Tali ceramici sono preparati a partire da materie prime molto pure, prodotte dall’industria chimica, e generalmente sono costituiti da un unico composto cristallino in forma di granuli che si saldano tra loro durante la cottura (sinterizzazione). Una rappresentazione schematica di queste ceramiche in funzione delle loro proprietà e delle loro applicazioni è riportata in Tabella 1.3.

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Tabella 5.2. Classificazione dei materiali ceramici speciali. Settori di applicazione

Applicazioni Proprietà Materiali ceramici

Rivestimenti forni Refrattarietà Isolamento termico

Al2O3, ZrO2, SiC, TiC, BaS, CeS

Materiali per elettrodi Conducibilità termica BeO

Scambiatori per parti elettroniche Capacità termica Conducibilità termica Al2O3

TERMICO

Parti di turbine e motori Resistenza shock Resistenza scorrimento Si3N4, ZrB2, TiB2

Combustibile nucleare Sorgente di radiazioni UO2, UC, US, ThS

Materiale per rivestimento Refrattarietà Resistenza alle radiazioni BeO, Al2O3 NUCLEARE

Materiale per schermatura Resistenza meccanica ad alta temperatura C, SiC, B4C

Elementi riscaldanti per alte temperature Conducibilità elettrica SiC, TiC, B4C

Memorie magnetiche Proprietà magnetiche Ferriti Supporti per semiconduttori Isolamento elettrico Al2O3 Semiconduttori, sensori di gas Semiconduttività SnO2, ZnO

ELETTRICO

Trasduttori e oscillatori Piezoelettricità Dielettricità BaTiO3, CaTiO3, SrTiO3

Assorbanti Assorbimento SiO2, zeoliti Catalizzatori Catalisi Fe2O3, Al2O3 Reattori ad alta temp. Sensori di gas e vapori Resistenza alla corrosione BaS, CeS

ZnO, SnO2, ZrO2

CHIMICO BIOLOGICO

Protesi e implantologia ossea Compatibiltà biologica Apatite

Parti di motori e turbine resistenza shock termici resistenza scorrimento Si3N4, TiB2, ZrB2

Parti di strumenti di precisione Durezza SiC, ZrO2 Utensili Resistenza meccanica TiN, B4C, TiC Abrasivi Resist. all’abrasione Al2O3, SiC

MECCANICO

Lubrificanti solidi Lubrificazione C, BN Lenti per alte temperature Trasparenza Al2O3, MgO Fibre ottiche e rivelatori ottici Trasmissione ottica SiO2, ZrO2 OTTICO Diodi laser, diodi luminescenti, fosfori Fluorescenza Y2O3-ThO2, ZnS, CdS

5.5. La classificazione delle piastrelle Le piastrelle ceramiche, pur relativamente omogenee per quanto concerne la destinazione, che è quella di rivestire pavimenti e pareti, sono piuttosto eterogenee come tipologie disponibili sul mercato. Nel seguito vengono forniti gli elementi fondamentali di conoscenza ed identificazione dei diversi tipi di piastrelle, con particolare riferimento alla situazione produttiva italiana. 5.5.1. Classificazione tecnico-commerciale In Italia esiste, ed è correntemente impiegata sia dai produttori che dagli utilizzatori di piastrelle ceramiche, una classificazione di tipo tecnico-commerciale, basata su svariate caratteristiche tecniche e tecnologiche. Questa classificazione è riportata in tabella 1.3, nella quale i diversi tipi vengono caratterizzati in funzione dello stato della superficie (smaltata o non smaltata), dell'assorbimento d'acqua (che, come noto, fornisce una misura della porosità aperta), del metodo di formatura (pressatura o estrusione), della destinazione prevalente (pavimento o rivestimento a parete, interno o esterno), del peso per unità di superficie (kg/m2). Nell'ultima colonna è riportata la classificazione di ciascun tipo di prodotto secondo le norme europee UNI EN, che verranno considerate nel prossimo paragrafo. Questa classificazione tecnico-commerciale è quella più comunemente utilizzata, ed anche la più significativa per molti aspetti. Va però notato che, a seguito soprattutto dell'evoluzione tecnologica ed impiantistica che ha caratterizzato il settore delle piastrelle ceramiche negli ultimi anni, la classificazione in esame può apparire oggi un po' generica, soprattutto per quanto concerne le monocotture, cui vengono ricondotti alcuni prodotti particolari, frutto di tecnologie relativamente nuove che verranno richiamate nel paragrafo successivo.

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Tabella 5.3. Classificazione tecnico commerciale delle piastrelle ceramiche.

Tipo Superficie Struttura AA (%) Metodo formatura

Destinazione prevalente

Peso (Kg/m2)

Gruppo UNI EN 14411

Maiolica smaltata porosa 15÷25 Pressatura riv/int 10-12 BIII

Cottoforte smaltata porosa 7÷15 Pressatura pav/int 14-16 BIIb÷BIII

Terraglia pasta bianca smaltata porosa 10÷20 Pressatura riv/int 10-12 BIII

Monocottura rossa - chiara smaltata greificata 2÷7 Pressatura pav/int

est(BIb) 18-20 BIb÷BII

Monoporosa rossa - chiara smaltata porosa > 10 Pressatura riv/int 16-23 BIII

Clinker smaltata non smalt. greificata 0÷6 Estrusione pav/int-est

riv/int 20-25 AI÷AIIa

Cotto non smalt. (smaltata) porosa 3÷15 Estrusione pav/int-est 20-25 AII÷AIII

Grès rosso non smalt. greificata 1÷3 Pressatura pav/int-est 18-22 BIb

Grès porcellanato smaltata non smalt. greificata 0÷0,5 Pressatura pav/int-est

riv/int-est 18-22 BIa

Fra questi tipi di prodotto, la cui denominazione tecnico-commerciale fa espressamente riferimento alla tecnologia di fabbricazione, conviene ricordare particolarmente la monocottura porosa: (detta anche monoporosa): è una tecnologia di fabbricazione di piastrelle ceramiche smaltate con una sola cottura (una monocottura, quindi), con assorbimento d'acqua in genere superiore al 10%, prevalentemente in pasta rossa, anche se vi sono significative esperienze in pasta chiara o bianca. Per questi prodotti, dopo la formatura si procede all’essiccamento ed all’applicazione dello smalto sul supporto crudo che viene successivamente cotto in forno. 5.5.2. Classificazione secondo le norme UNI EN 14411 Accanto alla classificazione tecnico-commerciale fin qui discussa, vi è un’ulteriore classificazione, prevista dalle Norme Europee sulle piastrelle ceramiche, pubblicate in Italia con la sigla UNI EN. La norma UNI EN 14411 è la norma di base, quella che riporta appunto la classificazione, le definizioni, le caratteristiche e le prescrizioni per l'etichettatura delle piastrelle ceramiche. La classificazione prevista da questa norma è riportata in Tab. 5.5.

É una classificazione molto semplice e schematica, nella quale non compaiono le denominazioni tecnico-commerciali prima citate: essa si basa infatti su due soli parametri, e cioè l’assorbimento d'acqua ed il metodo di formatura. Questa classificazione trova la propria giustificazione da un lato nella semplicità e generalità; dall’altro, nella significatività dei parametri prescelti, per definire la specifica tecnico-prestazionale dei diversi prodotti.

Tabella 5.4. Classificazione delle piastrelle ceramiche secondo le norme UNI EN 14411. Assorbimento di acqua AA (%)

Metodo di formatura AA ≤ 3 % 3 < AA ≤ 6% 6< AA ≤ 10 % AA > 10 %

A Estrusione AI AIIa AIIb AIII

B pressatura BIa AA≤0,5%

BIb 0,5≤AA≤3% BIIa BIIb BIII

Si noti che, come emerge chiaramente dalla Tab. 5.3, ad uno stesso gruppo della classificazione EN possono appartenere piastrelle di diverso tipo (ad esempio, una monocottura rossa con assorbimento d'acqua del 4% ed una monocottura chiara con assorbimento d'acqua del 3,5% appartengono entrambe al gruppo BIIa), e che ad uno stesso tipo di piastrelle, secondo la denominazione tecnico-commerciale, possono essere ricondotte piastrelle appartenenti a gruppi diversi della classificazione EN (ad esempio, la tipologia "monocottura rossa" può comprendere prodotti dei gruppi BIb, BIIa, BIIb o BIII, a seconda del rispettivo assorbimento d'acqua). Per quanto concerne le caratteristiche delle piastrelle ceramiche e le norme che riportano i metodi di prova di ciascuna caratteristica ed i corrispondenti requisiti stabiliti per ognuno dei gruppi della classificazione EN, si rimanda alla

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bibliografia specifica in merito, riassunta brevemente nella tabella sottostante.

Tabella 5.5. Specifiche tecniche di valutazione dei vari prodotti. Classificazione UNI EN 14411

Prodotto Colore supporto Ciclo tecnologico Gruppo Specifica tecnica

per la valutazione

Maiolica cottoforte Giallo rosa Bicottura con processo a secco di

preparazione impasto BIII appendice L

Terraglia pasta bianca Bianco Bicottura con processo a umido di

preparazione impasto BIII appendice L

Monocottura Chiaro o colorato Monocottura con processo a umido di preparazione impasto BIb-BIIa-BIIb appendice H-J-K

Monoporosa Chiaro o colorato Monocottura con processo a umido di preparazione impasto BIII appendice L

Grès porcellanato Vario Monocottura con processo a umido

di preparazione impasto BIa Appendice G

Grès rosso Rosso bruno Monocottura con processo a secco o umido di preparazione impasto BIb Appendice H

Cotto Rosso Monocottura con processo a secco di preparazione impasto AIIa-AIIb-AIII appendice C-E-F

Clinker Vario Monocottura con processo a umido di preparazione impasto appendice A-B-D

5.6. I cicli tecnologici di fabbricazione Le piastrelle ceramiche sono il risultato di un processo produttivo che, nelle sue linee generali, ricalca fedelmente quello tipico della maggior parte dei prodotti ceramici. La composizione del ciclo tecnologico, e quindi le fasi produttive di volta in volta presenti, variano in funzione del tipo di prodotto che si vuole ottenere. Nella piastrella si devono bilanciare due tipi di caratteristiche: quelle tecniche (porosità, pulibilità, resistenza all’abrasione, ecc.) e quelle estetiche (brillantezza e varietà di colori, decori, capacità di imitare prodotti naturali, ecc.); per questo motivo si eseguono trattamenti superficiali diversi per esaltare di volta in volta le caratteristiche desiderate in base agli impieghi ed alle richieste di mercato. Di conseguenza possiamo dividere le piastrelle ceramiche in tre categorie:

a. Piastrelle non smaltate; b. Piastrelle smaltate; c. Piastrelle levigate;

In prima approssimazione possiamo individuare tre cicli fondamentali (figura 5.1), cui è sostanzialmente riconducibile tutta la gamma di tipologie produttive di piastrelle ceramiche, quali sono state identificate e classificate nel paragrafo precedente. a. Piastrelle non smaltate

Il primo ciclo si riferisce alle piastrelle non smaltate (cotto, grès rosso, grès porcellanato, clinker). In questo caso sulla superficie del pezzo ceramico non è aggiunto nessuno strato ulteriore di materiale e quindi questa ha le stesse caratteristiche del supporto, sia dal punto di vista tecnico che estetico. Di conseguenza se vogliamo ottenere prodotti colorati si deve procedere alla colorazione di tutto l’impasto oppure, in fase di pressatura, al caricamento di atomizzati diversi per ottenere gli effetti estetici desiderati. Fino ad alcuni anni fa questo rappresentava un grosso fattore limitante all’ottenimento di disegni e decori particolari, attualmente con l’affinamento delle tecniche di pressatura si riescono ad ottenere anche per questi prodotti effetti estetici molto raffinati. Analogamente, per variare la porosità superficiale dei prodotti (e di conseguenza la pulibilità e la resistenza all’abrasione) si deve influire sulla porosità di tutto il pezzo, migliorandone la sinterizzazione. Per questo motivo il grès porcellanato si sottopone ad un ciclo tecnologico particolare (pressioni di formatura elevate, macinazione spinta, materie prime specifiche nell’impasto) allo scopo di aumentare sia la compattazione del materiale in formatura e la formazione di fase vetrosa in cottura, diminuendo di conseguenza la porosità aperta nel prodotto finale.

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Materie prime supporto

� � � Preparazione materie

prime supporto Preparazione materie

prime supporto Preparazione materie

prime supporto

� � � Formatura Formatura Formatura

� � � Essiccamento Essiccamento Essiccamento

� � Cottura Cottura biscotto �

Mat

erie

pri

me

smal

ti

� � Preparazione smalti e

smaltatura Preparazione smalti e smaltatura

� � Cottura vetrato Monocottura

� � Cotto

Grès rosso Grès porcellanato

Clinker

Maiolica

Cottoforte Terraglia

Monocottura rossa Monocottura chiara

Clinker

� � � Piastrelle non smaltate Bicottura Monocottura

� � Piastrelle smaltate

Figura 5.1. Cicli tecnologici di fabbricazione delle piastrelle ceramiche per le differenti tipologie produttive. b. Piastrelle smaltate Gli altri due cicli sono invece impiegati per la produzione di piastrelle smaltate. In questo caso si ricopre la superficie della piastrella con uno o più strati di rivestimento (smalto) allo scopo di realizzare, durante la fase di cottura, una superficie vetrosa. Questo strato vetroso ha lo scopo di migliorare sia le caratteristiche tecniche, creando uno strato impermeabile sulla superficie del pezzo che assorbirà meno lo sporco, che quelle estetiche, permettendo la creazione di effetti cromatici e decori estremamente vari. Gli smalti rappresentano in senso figurato gli abiti con i quali vestire i supporti ceramici (piastrelle, vasellame, stoviglie, ecc.) e permettono, partendo dallo stesso supporto, di ottenere piastrelle esteticamente differenti. Inoltre in questo modo le proprietà superficiali della piastrella diventano quelle dello strato smaltato e non più quelle del supporto. Lo strato vetroso può essere trasparente, per far vedere il supporto, oppure opaco per mascherarlo completamente. Le tecniche di preparazione ed applicazione degli smalti sono varie e saranno esaminate in capitoli successivi. I cicli tecnologici di fabbricazione di queste tipologie sono illustrati in figura 5.1, suddivisi nelle due principali categorie (bicottura e monocottura). Il primo ciclo si sviluppa secondo la tecnologia di bicottura, così denominata in quanto prevede due distinti trattamenti termici, rispettivamente per consolidare il supporto e per stabilizzare gli smalti ed i decori, i quali, come emerge chiaramente dallo schema, vengono applicati sul supporto cotto. Il secondo ciclo fa invece riferimento alla tecnologia di monocottura, nella quale gli smalti ed i decori vengono applicati sul supporto solo essiccato, per cui è previsto, al termine, un solo trattamento termico, una “monocottura” appunto, nel corso del quale il consolidamento del supporto e la stabilizzazione degli smalti si verificano contemporaneamente. Al ciclo tecnologico di bicottura sono riconducibili tipi di prodotti quali la maiolica, il cottoforte e la terraglia-pasta bianca, mentre al ciclo di monocottura fanno riferimento appunto le monocotture (chiara e rossa) ed il clinker smaltato. La cottura rappresenta l’ultima e fondamentale fase produttiva propriamente detta, dalla quale si ottiene il prodotto finito. In realtà tale prodotto, prima della collocazione a magazzino, viene sottoposto ad operazioni di scelta allo scopo di eliminare i pezzi difettosi e di selezionare le piastrelle in lotti omogenei per tonalità cromatica (il cosiddetto “tono”) e per dimensioni di fabbricazione (il cosiddetto “calibro”) e di confezionamento. Per alcuni materiali possono essere previsti ulteriori trattamenti sul prodotto finito: ad esempio, operazioni di taglio e smussatura, per ottenere particolari pezzi di raccordo, oppure di levigatura, come nel caso del grès porcellanato. Per quanto concerne comunque i cicli fondamentali va rilevato che all'interno di ciascuno di essi, ed anche di ciascuna fase produttiva, sono poi possibili ulteriori differenziazioni tecnologiche.

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c. Piastrelle levigate Questo trattamento, che si applica sia alle piastrelle non smaltate che a quelle smaltate (ma con scopi ed obiettivi diversi), consiste nell’abrasione della superficie eseguita con dischi e tamponi abrasivi. Sulle piastrelle non smaltate (analogamente a quello che si esegue sulle pietre naturali) viene eseguito dopo la cottura ed ha lo scopo di migliorarne la lucentezza superficiale e la pulibilità, in qualche caso per creare figure e disegni in rilievo. Sulle piastrelle smaltate, viene eseguito prima della cottura in fase di smaltatura, allo scopo di produrre particolari effetti estetici. In ogni caso questo è un trattamento puramente meccanico che influisce solo sulle proprietà superficiali di riflessione della luce ma non su quelle meccaniche e chimiche dei prodotti ceramici. In figura 5.2 è diagrammato il ciclo tecnologico di fabbricazione di fritte e smalti6, quale viene applicato nelle corrispondenti aziende (colorifici).

Materie prime per fritte Materie prime

per coloranti Altri costituenti

� � Preparazione e dosaggio � Preparazione e dosaggio Calcinazione

� � Macinazione ossidi � Fusione in forno fusorio Essiccamento a spruzzo (atomizzazione)

� � Fritte Coloranti � �

Dosaggio, miscelazione, macinazione, granulazione/atomizzazione

� Smalti pronti per l’applicazione

Figura 5.2. Cicli tecnologici di produzione di fritte e prodotti per smalti. 5.6.1. Le materie prime per la preparazione degli impasti Come già detto nel capitolo precedente, la quasi totalità delle ceramiche tradizionali vedono come materia prima di base l’argilla. Questo termine definisce in realtà una miscela di vari minerali argillosi (caolinite, illite, montmorillonite, clorite ecc.) accompagnati da altri composti quali: feldspato, quarzo, carbonati, ossidi ecc. L’attitudine che ha un’argilla a lasciarsi modellare viene definita plasticità. La plasticità è una conseguenza dello scorrimento delle particelle tra loro quando vengono sottoposte ad una forza, tale scorrimento è reso possibile dalla riduzione delle forze di attrito tra le particelle stesse che, nel caso dell’argilla, è dovuta alla presenza di film d’acqua che si trovano all’interno della sua struttura. In relazione a questa sua proprietà l’argilla può essere definita “grassa” quando tende ad afflosciarsi durante l’operazione di foggiatura oppure “magra” quando invece l’impasto tende a sfaldarsi e a rompersi. Per conferire diverse proprietà al prodotto, l’argilla viene addizionata con materie complementari che a seconda delle loro caratteristiche si suddividono in: materie sgrassanti, fondenti e refrattarie. Resta fuori da questa classificazione il quarzo (SiO2), materia prima complementare tra le più importanti, perché può avere diversi comportamenti.

• Materie sgrassanti: tra le materie sgrassanti si possono nominare la chamotte ed il quarzo. Dimagriscono l’argilla e contribuiscono a formare uno scheletro rigido che contrasta deformazioni e ritiro.

• Materie fondenti: suscitano in cottura la formazione di fasi vetrose con formazione di corpi compatti. Sono: feldspati, calcare, dolomite, wollastonite, talco.

• Materie refrattarie: conferiscono resistenza a più elevati livelli termici aumentando il tenore di allumina.Sono ad esempio sillimanite e bauxite.

6 Per fritte e smalti si intendono tutti quei prodotti che si applicano sulla superficie della piastrella allo scopo di conferirle particolari caratteristiche estetiche o di resistenza (vedi cap. 12).

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Le argille destinate alla produzione di prodotti ceramici, prima di essere trasferite allo stabilimento per essere impiegate nel ciclo produttivo, subiscono trattamenti preliminari di frantumazione, omogeneizzazione e stagionatura in cumuli e in taluni casi anche di essiccamento. Tali trattamenti hanno lo scopo di conferire ad esse caratteristiche chimiche e fisiche il più possibile costanti. La stagionatura consiste nell’esposizione dell’argilla estratta ed accumulata, all’azione degli agenti atmosferici. La pioggia, il gelo e disgelo, disgregano le zolle del materiale aumentandone la plasticità e producendo anche su di esso una depurazione chimica (es. si decompone la pirite FeS2 che altrimenti in cottura svilupperebbe SO2, responsabile di difetti interni e superficiali, ed Fe2O3 con effetti fondenti). I trattamenti delle argille per i prodotti ordinari (terrecotte, faenze, gres, refrattari) vengono eseguiti, a livello industriale, immediatamente prima della preparazione dell’impasto, presso la stessa azienda che produce il manufatto ceramico. Invece la argille bianche , i caolini, le materie non plastiche che servono alla composizione degli impasti per ceramiche fini, sono generalmente sottoposti a trattamenti di purificazione, di frantumazione-macinazione e di omogeneizzazione presso la cava, ad opera della stessa ditta che provvede all’estrazione e poi venduti alle aziende ceramiche allo stato di masse secche raffinate, di graniglie o di polveri ventilate. 5.6.2. La preparazione delle materie prime per il supporto La preparazione dell'impasto consiste in una serie di operazioni finalizzate all'ottenimento di un materiale di composizione omogenea, con una distribuzione granulometrica appropriata e comunque relativamente fine, e con un contenuto d'acqua adatto alla successiva formatura. All'uscita da questa fase produttiva l'impasto può consistere:

− in una polvere con un contenuto d'acqua del 4-7%, nel caso di formatura per pressatura; − in una pasta con un contenuto d'acqua del 15-20%, nel caso di formatura per estrusione.

In entrambi i casi, le operazioni fondamentali che compongono questa fase produttiva sono tre: la macinazione, la miscelazione-omogeneizzazione e la regolazione del contenuto d'acqua. Val la pena di richiamare il ruolo importante svolto dall'acqua negli impasti ceramici, per cui essa deve essere riguardata come una fondamentale materia prima per l'industria ceramica. Alcune precisazioni si impongono a proposito della preparazione di polveri per pressatura, che riguarda una parte consistente della produzione italiana di piastrelle. Due sono le tecnologie utilizzabili: il processo a secco, che consiste nella macinazione a secco delle materie prime e nella successiva regolazione dell'umidità mediante apposite bagnatrici, ed il processo ad umido, consistente nella macinazione in acqua delle materie prime, e nel successivo essiccamento a spruzzo (atomizzazione) della barbottina così ottenuta. Dal punto di vista energetico il processo a secco è più economico, ma è anche caratterizzato da minori prestazioni in termini di finezza granulometrica, di efficacia di purificazione ed omogeneizzazione dell'impasto, di capacità delle polveri di assicurare un riempimento compatto ed uniforme degli stampi delle presse. Il processo ad umido è assai più dispendioso (il contributo più importante ai consumi energetici è fornito dall'essiccatoio a spruzzo, nel quale viene evaporata l'acqua di macinazione), ma presenta interessanti e spesso irrinunciabili vantaggi. In particolare:

• la macinazione ad umido consente di raggiungere una maggiore finezza granulometrica del macinato, e questo è importante ai fini dello sviluppo di una struttura omogenea e compatta in fase di cottura;

• la macinazione ad umido, con il 35÷40% di acqua, permette di ottenere una omogeneizzazione ottimale delle diverse materie prime costituenti l'impasto;

• il successivo essiccamento a spruzzo porta all'ottenimento di un granulato con caratteristiche (morfologiche e granulometriche) ottimali in relazione al successivo processo di pressatura.

Il processo a secco trova i principali campi di applicazione nella preparazione delle materie prime per prodotti a pasta colorata, quali maiolica, cottoforte, grès rosso, e nella monocottura rossa. Il processo ad umido con essiccamento a spruzzo costituisce praticamente una scelta obbligata nel caso della preparazione di impasti realizzati in stabilimento (ad esempio, per monocottura chiara, terraglia-pasta bianca, grès porcellanato) e per le monocotture di qualunque tipo a più basso assorbimento d'acqua. Si segnala un terzo processo, che prevede la macinazione a secco delle materie prime e la successiva granulazione in speciali apparati, con formazione di agglomerati tondeggianti di particelle fini, non molto dissimili, quanto a morfologia e distribuzione granulometrica, rispetto ai granuli ottenuti per essiccamento a spruzzo. La granulazione permette quindi di ottenere polveri di qualità decisamente migliore di quelle ottenibili con il convenzionale processo a secco (anche se ancora un po' inferiori rispetto al processo ad umido), con costi energetici decisamente contenuti, se confrontati ancora con quelli del processo ad umido. L'obiettivo di ridurre i notevoli consumi energetici che caratterizzano il processo a umido è stato perseguito, con successo, attraverso due strade: una è la macinazione ad umido in continuo, in cui il vantaggio energetico è riconducibile alla possibilità di ridurre il contenuto d'acqua della barbottina7; l'altro è quello di ottimizzare la macinazione discontinua in mulini a tamburo, mediante il ricorso a sistemi a velocità variabile. Ulteriori vantaggi, sempre sotto il profilo energetico, sono stati ottenuti mediante l'applicazione di impianti di cogenerazione. Gli essiccatoi a spruzzo, per il regime di funzionamento e per la temperatura richiesta per l'aria calda, appaiono particolarmente adatti al funzionamento con un impianto di cogenerazione, consistente in un motore (in

7 Sospensione di argilla ad altre materie prime costituenti il supporto ceramico in acqua che si ottiene dalla macinazione a umido

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generale, una turbina a gas), che produce energia elettrica, coprendo parte del fabbisogno dello stabilimento, ed i cui gas di scarico vengono utilizzati come aria di essiccamento nell'atomizzatore. 5.6.3. La formatura Cotto e clinker vengono formati prevalentemente per estrusione, a partire da una pasta con un contenuto di umidità che può variare, a seconda del tipo di prodotto, fra il 15 ed il 20%. Dall’estrusore, nel quale è prevista una camera sotto vuoto, per facilitare la disaerazione della massa, esce un nastro continuo, che viene poi opportunamente tagliato. Tutti gli altri prodotti vengono formati per pressatura. La pressatura consiste nella compattazione di polveri, aventi umidità del 4÷7% a seconda del tipo di impasto e di prodotto. La pressione applicata, normalmente variabile 20÷50 MPa (200÷500 kg/cm2), deforma, riassetta e pone in intimo contatto i granuli di impasto, con il risultato di ottenere un prodotto compattato crudo dotato di caratteristiche meccaniche sufficienti a resistere alle sollecitazioni che il pezzo dovrà subire nella successiva lavorazione, fino alla cottura (movimentazioni, applicazione dello smalto, etc.). Le presse oggi maggiormente diffuse sono di tipo oleodinamico (presse idrauliche). Le caratteristiche della polvere (in particolare la granulometria, la distribuzione granulometrica, la morfologia e l'umidità) esercitano, a parità delle altre condizioni, una notevole influenza sulla qualità e sulle caratteristiche del prodotto pressato, nonché sul suo comportamento nelle fasi tecnologiche successive. Si è già detto in precedenza come le polveri atomizzate abbiano il miglior comportamento in pressatura. 5.6.4. L'essiccamento La fase di essiccamento ha l'importante funzione di eliminare dal prodotto formato l'acqua necessaria per la formatura. Le condizioni di allontanamento di questa acqua di impasto sono in generale relativamente critiche, nei confronti dell'integrità del prodotto, e debbono pertanto essere rigorosamente controllate, per prevenire distorsioni, fessurazioni o altri fenomeni ugualmente dannosi. Gli essiccatoi oggi più diffusamente impiegati nel settore delle piastrelle ceramiche sono essiccatoi rapidi ad aria calda. Questa viene utilizzata in modo da realizzare sia il riscaldamento del materiale, così da favorire la diffusione dell'acqua dall'interno all'esterno, sia l'evaporazione ed il trasporto dell'acqua stessa dalla superficie dei pezzi. La rapidità del processo è da mettere in relazione con le buone condizioni di scambio termico, con l'efficace ventilazione e con la relativamente elevata temperatura dell'aria di essiccamento. La durata del ciclo di essiccamento oscilla mediamente fra 30÷70’, in funzione del tipo di prodotto e del formato. Si segnalano comunque nuove tecnologie basate sull'impiego dei raggi infrarossi, che consentono di ridurre i cicli a meno di 10’. 5.6.5. La preparazione e l'applicazione degli smalti Gli smalti sono miscele di diversi minerali e composti (fritte, cioè vetri preconfezionati, caolino, sabbia silicea, ossidi diversi, pigmenti colorati), che vengono applicati sulla superficie della piastrella e quindi portati a fusione. Nel successivo raffreddamento lo strato fuso solidifica, formando un vetro, che conferisce alla superficie della piastrella particolari caratteristiche estetiche (colore, brillantezza, decorazione, etc..) e tecniche (durezza, impermeabilità, pulibilità). La tecnica convenzionale di applicazione degli smalti è la tecnica ad umido: lo smalto viene preparato mediante macinazione ad umido dei diversi costituenti (fritte, caolino, sabbia, etc.), dosati secondo la specifica ricetta, in mulini a tamburo a funzionamento discontinuo. L'applicazione sul supporto di questo smalto così ottenuto viene effettuata con diverse tecniche, in funzione del tipo di prodotto, dello spessore o peso di applicazione, del tipo di tessitura superficiale o degli effetti estetici che si intendono ottenere (vedi dispensa ceramica). La decorazione viene effettuata con diverse tecniche, fra le quali va segnalata in particolare la serigrafia. Le diverse macchine, a funzionamento automatico, sono opportunamente disposte lungo una linea, percorsa dalle piastrelle in un processo continuo. Va sottolineato, per questa fase produttiva, il ruolo fondamentale dell'acqua, che funge da materia prima, per il confezionamento dello smalto pronto per l'applicazione, e da fluido di processo, per il lavaggio degli apparati, delle linee e del reparto nella sua globalità. Sono state sviluppate, e vengono praticate da diverse aziende anche tecniche alternative di smaltatura (smaltatura a secco, presso-smaltatura, smaltatura su supporto incandescente). 5.6.6. La cottura Mediante la cottura le piastrelle, così come tutti i materiali ceramici, acquistano caratteristiche meccaniche adeguate alle diverse specifiche utilizzazioni e corrispondenti proprietà di inerzia chimica. Il conseguimento di queste caratteristiche è il risultato di reazioni chimiche e trasformazioni fisiche relative sia al supporto, sia, nel caso dei prodotti smaltati, allo smalto. Ancora per quanto concerne le piastrelle smaltate, come più sopra ricordato, si può far ricorso a due tecnologie, la bicottura (che comporta due diversi trattamenti termici in due forni distinti, e diversi quanto a sistema di caricamento del materiale, condizioni operative, etc.) e la monocottura (che prevede un unico trattamento termico e, di conseguenza, un unico forno). É stata mostrata in precedenza l'importanza che la monocottura è venuta acquistando negli ultimi anni:

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un'importanza che trae origine dalle caratteristiche tecniche del prodotto e dalla sensibile riduzione dei costi di produzione. La qualità sia tecnica che estetica dei prodotti è anzi venuta incrementandosi nel tempo, e ciò ha spinto la ricerca e la sperimentazione nella direzione di un'ulteriore espansione della monocottura anche nel campo dei prodotti ad alta porosità (la cosiddetta "monoporosa"). La cottura viene realizzata in forni continui, consistenti in una galleria, che le piastrelle percorrono, in controcorrente rispetto ai prodotti della combustione, su appositi sistemi di trasporto, venendo dapprima preriscaldate (a spese del calore sensibile appunto dei prodotti della combustione), quindi portate alla temperatura di cottura (che varia a seconda del tipo di prodotto, fra circa 950°C ed oltre 1200°C. I prodotti porosi si collocano in generale verso l'estremo inferiore di questo intervallo, mentre i prodotti a struttura compatta, quali i grès, richiedono temperature di cottura decisamente più elevate, comunque variabili in funzione della composizione dell'impasto). Dopo un certo tempo di permanenza alla temperatura di cottura, le piastrelle, sempre nel loro percorso all'interno del forno, vengono progressivamente raffreddate, fino ad una temperatura che ne consente l'estrazione dal forno in condizioni di sicurezza. Nel corso della cottura si verificano diverse reazioni e trasformazioni, dal cui decorso dipendono, in definitiva, le caratteristiche del prodotto.

In sintesi, a seconda del tipo di materie prime utilizzate e della temperatura di cottura si giunge alla formazione di una fase fusa più o meno abbondante, la quale ingloba e salda tenacemente insieme tutte le particelle, portando alla creazione, dopo raffreddamento, di una struttura meccanicamente resistente. Queste trasformazioni strutturali, importanti in relazione alla microstruttura ed alle caratteristiche prestazionali delle piastrelle, sono accompagnate anche da un riassetto delle particelle, con ritiri dimensionali in generale tanto più sensibili quanto più bassa è la porosità del prodotto che si vuole ottenere. Nella seguente tabella è riporta una selezione di analisi chimiche di materie prime ceramiche (da “Materie prime ceramiche” Soc. Cer. It., 1999).

Tabella 5.6. Analisi di alcune materie prime ceramiche in commercio. SiO2 Al2O3 TiO2 Fe2O3 CaO MgO K2O Na2O P.F.

Caolino K1 49.1 35.2 0.33 0.36 0.07 0.16 1.45 0.13 12.1 Caolino Eurec 47.3 35.4 0.8 1.10 0.46 0.36 0.98 0.29 12.8 Caolino C1641 48.6 35.5 1.06 0.97 0.11 0.04 0.31 0.01 13 Caolino AKW 52.5 33.8 0.15 0.38 0.17 0.18 0.20 0.03 12.5

Caolini

Caolino WBB 62.2 35.2 0.3 0.8 0.2 0.3 0.9 0.1 11.8 Lavio 100 57.14 21.41 0.28 3.53 1.84 4.73 0.21 3.35 7.40

Lavioplast K 70.08 15.17 0.12 1.28 1.70 2.48 0.20 2.22 6.73 bentoniti

Lavioplast R 72.63 12.62 0.24 1.90 1.11 2.45 0.27 2.64 6.10 Beston 1405 69.08 24.13 1.39 1.69 0.42 0.48 2.59 0.22 6.44 Panciera A93 57 28 1.37 1.1 0.35 0.67 2.5 0.82 8.3

Hy White 50 32 0.9 1.3 0.2 0.3 1.3 0.2 - SSKG 0747 70 23 1.5 1.2 0.2 0.2 2.5 0.3 6.6

Illiti

Donbas DBM3 56 29 1.4 1.5 0.4 0.6 2.9 0.5 7.6 Argille S.Leo 55.40 19.06 0.81 7.54 1.01 6.54 2.09 1.49 7.5 Cloriti IGMA Coacer 58 27 1.0 1.4 0.2 0.7 3.0 0.2 7.5

Ortoclasio 64.7 18.4 - - - - 16.9 - - Albite 68.8 19.4 - - - - - 11.8 -

Anortite 43.3 36.6 - - 20.1 - - - - Nefelina 41.5 35.2 - - - - 5.8 17.5 - US 101 68.36 19.62 0.04 0.02 0.32 0.01 0.22 11.20 0.2

Kalemaden 635 73.27 16.30 0.12 0.06 0.79 0.34 0.32 8.25 0.55 Rio Piron 70.7 15.8 tr. 0.13 0.51 0.05 9.60 2.21 0.64

Feldspati e feldspatoidi

North Cape 57.0 23.8 0.1 0.1 1.3 0.1 9.0 7.9 1.2

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6. Il laboratorio nell’industria ceramica

6.0. Scheda raccolta dati sperimentali

Matrice:

Fusione alcalina pesata campione: Volume pallone: Attacco multiacido pesata campione: Volume pallone:

Analita % Presunta Metodo d’analisi scelto Conc. presunta nel pallone SiO2

Al2O3 Fe2O3 TiO2 CaO MgO Na2O K2O

Determinazioni volumetriche Analita Prelievo Titolante – Normalità 1° V eq. 2° V eq. 3° V eq.

Determinazioni gravimetriche Analita Prelievo Peso crogiolo vuoto Peso crogiolo pieno

Determinazioni strumentali (allegare i calcoli per madre e figlia e grafico retta) Analita Range retta Diluizione eseguita: prelievo � pallone (conc. presunta)

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All’interno dell’industria ceramica l’attività di laboratorio si può suddividere in due distinti filoni:

(a) analisi materie prime e controllo qualità; (b) laboratorio ricerca e sviluppo.

Nel primo si eseguono le analisi di caratterizzazione e controllo delle materie in entrata per verificarne le corrispondenze alle specifiche dei fornitori. Inoltre si eseguono tutte quelle prove, chimiche e tecnologiche, sui prodotti intermedi per controllare l’andamento d’ogni lavorazione. L’attrezzatura e le tecniche utilizzate sono quelle di un comune laboratorio d’analisi chimica se non per quelle prove specialistiche del settore ceramico. Il laboratorio ricerca e sviluppo viceversa è quello più specifico e creativo perché al suo interno si mettono a punto i nuovi prodotti, a partire dalla formulazione dell’impasto, all’individuazione dei parametri tecnologici ottimali fino allo studio degli aspetti estetici. In questo reparto il chimico deve riunire in sé le conoscenze mineralogiche per la formulazione dell’impasto, tecnologiche per la messa a punto delle lavorazioni e artistiche per quanto riguarda l’estetica del prodotto finito. L’attrezzatura qui utilizzata è specifica ed in molti casi si riproduce in laboratorio l’intero ciclo di lavorazione, allo scopo di produrre provini in scala ridotta per individuare le variabili tecnologiche ottimali in vista della produzione industriale vera e propria. Questa seconda attività sembrerebbe più importante del laboratorio analisi materie prime, mentre in realtà solo un costante controllo dei materiali in entrata ed un attento monitoraggio delle variabili di processo consente l’ottenimento di prodotti con un elevato standard di qualità e riproducibilità. Nel seguente capitolo tratteremo quindi in maniera separata i due aspetti anche se in molti casi gli stessi tecnici possono operare in entrambi i settori.

6.1. Il laboratorio analisi materie prime e controllo qualità Come già accennato, in questo laboratorio si eseguono prove di controllo sia sulle materie prime che su semilavorati; ed in particolare si possono analizzare argille, sabbie e feldspati, quali principali componenti dell’impasto, ma anche pigmenti coloranti, fritte vetrose ed ogni altro componente degli smalti. Inoltre vengono studiati anche i semilavorati realizzati con questi componenti quali barbottine, atomizzati fino ai prodotti finiti. È evidente che le analisi effettuabili su tali materiali sono di tipo quanto mai vario e lo spettro analitico richiesto è necessariamente ampio. Tuttavia, la maggior parte delle analisi chimiche interessano unicamente le materie prime ed intermedie, ed in particolare i materiali argillosi. I parametri da valutare permangono gli stessi e assolutamente analoghe sono le procedure di attacco e dissoluzione delle varie sostanze. L’analisi dell’agglomerato argilloso può avvenire con mezzi meccanici (o fisici), termici o chimici, mentre l’analisi dei minerali argillosi può avvenire unicamente attraverso diffrattometria delle polveri; più raramente possono essere date indicazioni mineralogiche effettuando analisi al microscopio ottico e/o elettronico (T.E.M.). In tabella 18.1 è riportato l’elenco dei principali controlli effettuati sulle varie matrici ed inoltre il riferimento al paragrafo, per quanto riguarda gli aspetti teorici.

6.2. Analisi granulometrica L’analisi granulometrica ha lo scopo di stabilire il rapporto granulometrico tra i vari componenti “granulari”, ed in particolare tra frazione argillosa (< 4 µm) e frazione limoso-sabbiosa (2000÷4 µm) . Tale rapporto ha grande importanza, in particolare per la fabbricazione di cementi, ma anche per l’industria ceramica. Questa analisi viene effettuata utilizzando dei setacci a numero di maglie crescenti (maggiore è il n° di maglie di un setaccio, minore è la grandezza della singola maglia). Il risultato è una espressione ponderale (%) di una aliquota granulometrica del campione. Tuttavia, per valutare appieno il carico ponderale del componente argilloso, sui prodotti più fini vengono utilizzati dei levigatori. Il levigatore di Appiani, in particolare, consente di separare pienamente le particelle limose più fini da quelle argillose, sfruttando la diversa velocità di caduta delle particelle sospese in acqua.

6.3. Analisi meccanica e fisica Le prove meccaniche vengono solitamente effettuate su provini preparati appositamente del materiale macinato, essiccato e riumidificato ad umidità standard. a) Espansione dopo pressatura, misurabile con un calibro esprime la espansione percentuale dopo una pressione standard. b) Modulo di rottura (M.O.R.) che consiste nella prova di resistenza meccanica alla flessione dopo pressatura di provini verdi (cioè non cotti), essiccati ed, infine, cotti. c) Ritiro, valutabile come una misura dimensionale del provino dopo essiccamento e/o dopo cottura. Anche in questo caso si può utilizzare un semplice calibro per la misura. d) Assorbimento di acqua, effettuata su provini cotti e pesati, immergendoli in acqua bollente per circa 2 ore, asciugati

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e ripesati per valutarne la % di assorbimento dell’acqua. e) Densità apparente, in genere viene valutata su barbottine attraverso la pesata di un volume costante di campione (picnometro da 100 cm3).

Tabella 6.1. Controlli eseguiti sulle materie prime e semilavorati. Controllo Materiale Strumentazione specifica Paragrafo

Analisi chimica Materie prime Atomizzato Fritte e smalti

Via classica o fluorescenza 6.6 6.7

Analisi mineralogica Materie prime Atomizzato Difrattometro RX 6.5

Umidità Materie prime Atomizzato Bilancia termica 6.8

Perdita al fuoco Materie prime Atomizzato Muffola 6.9

Calcare (%CaCO3) Materie prime argillose Atomizzato

Calcimetro gasvolumetrico 6.10

Tenore di C e S totale Materie prime Atomizzato Analizzatore a infrarossi 6.11

Ritiro e/o espansione Materie prime Atomizzato Calibro 6.12

Assorbimento d’acqua Materie prime Atomizzato Deprimometro 6.13

Plasticità Argille Atomizzato App. di Pfefferkorn 6.14

Densità apparente Barbottina Smalti Picnometro 6.15

Viscosità dinamica Barbottina Smalti Viscosimetro rotazionale 6.16

Residuo Barbottina Smalti Setacci a luce prefissata 6.17

Tempo di scorrimento (viscosità cinetica) Barbottina Smalti Coppa Ford 6.18

Granulometria Materie prime Atomizzato Vibrosetaccio a colonna 6.2

Analisi meccaniche e fisiche Provini essiccati e cotti

Modulo di rottura Colorimetro Abrasimetro

6.3

Analisi termica Materie prime Fritte e smalti

Bilancia termogravimetrica Analisi termica differenziale Dilatometro

6.4

6.4. Analisi termica L’analisi termica consente di determinare le variazioni delle caratteristiche fisiche delle materie prime argillose durante il riscaldamento di un provino. Tale pratica può essere limitata a funzione di test, per quel che riguarda la greificazione, il calcolo del coefficiente di ritiro e/o di espansione termica, il calore specifico e la conducibilità termica. Oppure può essere utilizzata come vero e proprio strumento diagnostico dei minerali argillosi (e non), valutando, attraverso un processo di riscaldamento lento e costante (da circa 300°÷1200°C) le variazioni di peso assoluto (termogravimetria) di un campione. L’analisi termica differenziale (DTA) consente di studiare analoghe variazioni, ma la termocoppia che registra le variazioni termiche è a contatto sia con il campione, che con una sostanza di riferimento, termicamente “inerte”, per esempio allumina calcinata: alla fine vengono riconosciute non le differenze ponderali ma gli effetti eso- od endotermici delle reazioni chimiche e/o fisiche che si verificano con il progredire della temperatura. L’analisi dilatometrica, infine, consente di registrare le variazioni del coefficiente di dilatazione di un materiale ed è una misura costante che fornisce una curva continua (dilatometrica, appunto). La registrazione della variazione lineare di un campione può anche essere fatta registrandone i parametri lineari (ad es.: diametro per un provino circolare, od un lato per un provino quadrato o rettangolare), prima della cottura e dopo la cottura. In questo caso si parla di ritiro.

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6.5. Analisi mineralogica L’analisi mineralogica dei materiali argillosi viene di norma effettuata con una tecnica leggermente diversa, ma sempre collegata alla interazione di un fascio di raggi X con un campione solido: la diffrattometria. L’incidenza di un fascio monocromatico di raggi X su un cristallo od un aggregato di polveri cristalline consente di studiare, raccogliendo i raggi X diffratti, le distanze tra i piani reticolari del cristallo, riconoscendone la struttura cristallina. In particolare, la diffrattometria di polveri policristalline permette di studiare la composizione mineralogica della polvere stessa. Perció, nel caso di campioni argillosi, é possibile definirne una composizione mineralogica, cosa altrimenti piuttosto ardua. La composizione quantitativa di aggregati argillosi è stata resa possibile ultimamente attraverso la disamina statistica e matematica di un’analisi diffrattometrica del campione (analisi Rietveld). Un’ultima tecnica analitica è quella della microscopia ottica ed elettronica. In genere, la microscopia permette di osservare direttamente le fasi mineralogiche presenti in un campione roccioso debitamente trattato. Tuttavia, mentre questa tecnica (microscopia ottica a luce trasmessa e/o riflessa) consente di fare valutazioni mineralogiche e petrografiche su rocce consolidate, molto più complicato è fare osservazioni su rocce sciolte come sono in genere le argille aventi costituenti mineralogici finissimi. In qualche caso, per stabilire la tessitura dei minerali argillosi di un’argilla si fa riferimento a tecniche di microscopia elettronica ad elevatissimo potere di ingrandimento come il TEM (Transmission Electron Microscopy), o addirittura, ma raramente, si effettuano analisi con l’ausilio del SEM (Scanning Electron Microscopy).

6.6. Analisi chimica Consiste nella determinazione quantitativa dei principali ossidi costituenti le materie prime ceramiche, ed in particolare: SiO2, Al2O3, Fe2O3, TiO2, CaO, MgO, Na2O, K2O, P2O5, MnO (come si evince dalla tabella 5.6 a pag. 63). I risultati si esprimono in % di ossidi riferiti alla sostanza secca, per questo motivo o si essicca la sostanza in stufa o si esegue preliminarmente la determinazione dell’umidità. L’analisi si può eseguire in due modi distinti: metodo classico che sfrutta l’attacco chimico e la successiva determinazione degli ossidi per via umida (analisi chimica distruttiva), o metodo strumentale attraverso la fluorescenza RX su di un provino solido (analisi chimica non distruttiva). In entrambi i casi l’analisi chimica delle materie prime va preceduta dall’analisi del contenuto in acqua e, più in generale, delle sostanze volatili (CO2, SO2,…). L’umidità si determina su 10 g di sostanza, per essiccamento a 105°C, fino a peso costante. Il valore cercato si trova per differenza tra valore iniziale e finale. La determinazione delle sostanze volatili (perdita al fuoco) viene effettuata su 1 g di sostanza a 1050°C, posta in crogiolo di Pt, fino a peso costante. Durante questa operazione si perdono tutte le sostanze gassificabili, come acqua molecolare, CO2, SO2, eccetera. Dalla differenza in peso del crogiolo, si ha il valore cercato. In qualche caso la perdita al fuoco può essere associata ad un analizzatore qualitativo dei gas che si sviluppano dalla cottura di un provino pressato. L’analisi chimica tradizionale prevede la solubilizzazione del campione attraverso un attacco di vari acidi (in genere HF ed HCl) oppure previa fusione con miscela fondente alcalina (es.: NaKCO3) e successiva solubilizzazione con acqua calda oppure con HCl. La successiva soluzione consente abbastanza agevolmente di analizzare gran parte degli elementi maggiori (SiO2, FeO ed Fe2O3, TiO2, Al2O3, MgO, CaO e K2O), con i metodi tradizionali gravimetrici oppure colorimetrici/spettrometrici. L’analisi chimica tradizionale è abbastanza precisa, ma prevede tempi relativamente lunghi (3÷4 giorni) e costi abbastanza alti. Il contenuto in materia calcarea delle materie prime argillose viene effettuato utilizzando il calcimetro (ne esistono in commercio vari modelli): il campione solido viene fatto reagire in un ambiente chiuso con HCl diluito e la CO2 che si sviluppa da tale reazione viene misurata per spostamento di un liquido colorato dentro ad una specie di buretta. Il contenuto in S e C viene sempre più spesso determinato con l’ausilio di un fornetto ad induzione che brucia a circa 1500÷1600°C il campione solido e ne analizza i gas che si sviluppano dalla combustione con un sistema a raggi IR. 6.6.1. Analisi chimica in fluorescenza RX Come abbiamo detto, l’analisi per fluorescenza di raggi X (XRF) non è distruttiva, cioè il campione analizzato (o una sua aliquota) può essere riutilizzato per la stessa analisi più e più volte, e consente analisi sia qualitative che quantitative. Essa consiste nell’esame dello spettro di fluorescenza dei raggi X che sono stati eccitati in un materiale solido o liquido da una sorgente di raggi X di alta intensità. Il fascio principale dei raggi X incidendo sul campione, attiva un fenomeno di fluorescenza, che produce raggi X secondari aventi una λ caratteristica in funzione dell’elemento eccitato. Ogni elemento della tavola periodica possiede uno spettro di raggi X caratteristico, e da questo, come per altre tecniche spettroscopiche, viene scelta per l’analisi quantitativa la lunghezza d’onda con intensità maggiore. Va da sé che, attraverso una procedura di calibrazione non dissimile ad altre tecniche è possibile valutare la concentrazione di un certo elemento in un campione. La grande convenienza di questa tecnica rispetto alle metodologie distruttive risiede nel fatto che consente, in poco tempo, di conoscere le concentrazioni degli elementi maggiori (>1%) e molti minori (>10 ppm), avendo uno standard di cui si conoscano con precisione i contenuti degli stessi elementi. Una volta preparato per l’analisi, lo stesso campione (analogamente anche lo standard) può essere analizzato innumerevoli volte, garantendo accuratezze elevate dei risultati.

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In genere, infatti, gli standard utilizzati per questa metodologia sono altri materiali terrigeni (argille, sabbie, rocce a composizione varia), che vengono analizzati assieme al campione: la correlazione incrociata dei dati standard, consente la costruzione di una retta di calibrazione assai accurata. Affinché vi siano risultati riproducibili tra campione e campione, debbono essere rispettati criteri di omogeneità delle superfici interessate dall’incisione dei raggi X; per cui il campione deve essere necessariamente macinato (nel caso dei solidi) fino a dimensioni “argillose (< 4µm).

6.7. Analisi chimica per via umida La fluorescenza RX, trattata nel paragrafo precedente, una volta messa a punto, permette certamente di analizzare un maggior numero di campioni ma non ha soppiantato l’analisi classica a causa degli alti costi della strumentazione. Per questo motivo nel seguente paragrafo tratteremo in maniera estesa i metodi d’attacco e le determinazioni dei vari ossidi con la metodologia classica. 6.7.1. Metodi d’attacco per la disgregazione del campione Le materie prime che vengono utilizzate sono in gran parte solide, mentre i metodi di analisi chimica tradizionale vengono applicati in gran parte su soluzioni acquose. È perciò necessario fare in modo che il campione da analizzare venga disgregato più o meno completamente e posto in soluzione. I metodi di attacco per tale disgregazione possono essere diversi a seconda del tipo di matrice e dei parametri da analizzare. Nel caso in cui si voglia portare in soluzione la maggior parte dell’analita si possono utilizzare due tipi di attacchi differenti: fusione alcalina (a base di carbonati o borati alcalini) o attacco multiacido (a base di HF con altri acidi forti). 6.7.1.1. Fusione alcalina Principi teorici: In genere l’attacco disgregante più completo per la maggior parte dei materiali a base silicatica viene condotto attraverso fusione del campione e successiva dissoluzione della loppa formatasi. Si intende per “loppa” la fase solidificata dopo la fusione. Il trattamento comporta la trasformazione dei silicati ed alluminati di metalli bi/trivalenti in alluminati e silicati alcalini con carbonati ed ossidi metallici che hanno maggiore solubilità in HCl diluito. La fusione viene generalmente condotta in un crogiolo di Pt in presenza di una miscela fondente a base di carbonati alcalini (Li, Na e K) o, talora, in presenza di materie prime più refrattarie, con borati alcalini di varia classe (LiBO2 metaborato di litio oppure Na2B4O7 tetraborato disodico anidro). La ragione per cui si usano queste miscele è dovuta alle dimensioni diverse degli ioni alcalini, che entrano in reticoli più o meno ampi, generando, attraverso un meccanismo di sostituzione, una maggiore solubilità. Inoltre formano dei fusi che, a temperatura ambiente solidificano in prodotti altamente solubili. Talvolta può essere necessaria l’aggiunta di un sale ossidante (Na2O2 oppure KNO3) che ossida i solfuri, altrimenti pericolosi per l’incolumità del crogiolo di Pt. Da ricordare anche che il platino con alcuni metalli, tipo Hg o Pb, forma amalgame bassofondenti per cui (è più il caso degli smalti che non delle argille) se si suppone la presenza di discrete quantità di Pb nel campione, si deve operare con altro metodo. Dopo il raffreddamento, la massa fusa viene trattata con varie aliquote di HCl più o meno concentrato per liberare l’acido ortosilicico H4SiO4 e la soluzione acida si porta quasi a secchezza su bagnomaria fino a separazione dell’acido silicico come silice gelatinosa (SiO2�yH2O). Il residuo viene scaldato a 110°÷120°C per disidratare parzialmente la silice e renderla, così, maggiormente insolubile. Si tratta infine il tutto con acido cloridrico diluito (6 N) bollente, al fine di rimuovere i sali di Fe, Al e di altri metalli presenti. La maggior parte della silice rimane indisciolta (con ZrO2 e ZrSiO4 se presenti) e può essere separata per filtrazione. È molto importante infine ricordare che l’efficacia della disgregazione per fusione dipende anche dal grado di suddivisione del campione. Maggiore è la finezza, maggiore sarà anche la superficie specifica che consentirà una più elevata reattività. Perciò è necessario prendere in considerazione la possibilità di macinare finemente il campione, qualora la sua pezzatura sia equivalente o superiore ai 200 µm. Questo discorso è altrettanto valido per i campioni che debbono subire un attacco multiacido (vedi sotto). Di seguito sono riportate le reazioni sfruttate sia nella versione generale che applicate a due materie prime:

MeSiO3 + Na2CO3 → MeCO3 + Na2SiO3 fusione con fondente MeCO3 + Na2SiO3 + 4 HCl → MeCl2 + CO2 + 2 NaCl + H4SiO4 dissoluzione con acido H4SiO4 → H2SiO3 + H2O disidratazione acido orto silicico

Attacco su felspato 2 KAlSi3O8 + 5 K2CO3 → Al2(CO3)3 + 6 K2SiO3 + 2 CO2 fusione con fondente Al2(CO3)3 + K2SiO3 + 8 HCl → 2 AlCl3 + 3 CO2 + 2 H2O + 2 KCl + H4SiO4 dissoluzione con acido

Attacco su caolino Al2(Si2O5)(OH)4+ 3 K2CO3 → Al2(CO3)3 + 2 K2SiO3 + 2 KOH + H2O fusione con fondente Al2(CO3)3 + K2SiO3 + 8 HCl → 2 AlCl3 + 3 CO2 + 2 KCl + H4SiO4 + 2 H2O dissoluzione con acido

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Interferenze: Utilizzando sodio e potassio carbonato come miscela fondente non si può determinare, sulla soluzione ottenuta, il tenore di sodio e potassio. Alcuni materiali quali zircone (ZrSiO4),e titanite (CaTiSiO5), minerali in tracce, ma comuni in tutte le materie prime possono presentare particolare difficoltà alla dissoluzione. Reattivi occorrenti: Materiali occorrenti: • Miscela fondente: miscela solida di Na2CO3 e K2CO3 in rapporto 1:1; • Acido cloridrico concentrato 36 %; • Acido cloridrico diluito 1:1;

• Crogiolo di platino; • Soffieria • Bagnomaria

Procedura manuale: 0,1÷0,2 g di campione sono pesati direttamente in crogiolo di Pt pulito. Se si suppongono elevati tenori di materia organica e solfuri nel campione è bene precedere la fusione con una calcinazione del campione a 700-800°C per alcuni minuti. S’aggiunge 1 g della miscela fondente (Na2CO3 e K2CO3) e si esegue la fusione, per mezzo di un becco Meker (soffieria). La fusione dovrebbe durare una trentina di minuti, almeno fino a che la massa fusa non si presenta limpida (a caldo). Se questo non si verificasse, può essere utile aggiungere altra miscela fondente nel crogiolo. Per rendere il riscaldamento del crogiolo più omogeneo, dopo i primi 20 minuti sulla soffieria lo si può trasferire in mufola a 900°C per circa 10 minuti. Prima di spegnere la fiamma, girare il crogiolo in modo da riportare la massa fusa in strato sottile su tutta la superficie interna: questo ne faciliterà il successivo distacco. Quando la miscela è solidificata, ma ancora calda, immergere il crogiolo in circa 10 ml di acqua distillata, contenuti in una capsula di porcellana; coprire con un vetro da orologio e, lungo il becco della capsula, versare lentamente circa 10 ml di HCl 1:1, facendo in modo che l’acido entri nel crogiolo per staccarne completamente la massa fusa. Quando è cessato lo sviluppo di CO2, si inserisce un’ancoretta magnetica nel crogiolo e si agita per almeno 10 minuti, su agitatore riscaldante tiepido fino a disgregazione completa della miscela. Togliere il crogiolo e l’ancoretta e lavarle più volte, con piccole quantità d’acqua distillata. Si evapora fino a secchezza il contenuto della capsula, su bagnomaria e si insiste fino a completa eliminazione dell’acido cloridrico; si bagna il residuo con 4 ml di HCl concentrato e si tira a secco. Si riprende infine con 10 ml di HCl 1:1, poco alla volta, e si filtra attraverso un filtro a fascia nera, raccogliendo il filtrato in un palloncino tarato da 100 ml. Si lava la capsula con acqua distillata calda, cercando di staccare la silice il più possibile, sino a portare il filtrato a 100 ml di volume. Quest’ultimo costituisce la soluzione dei cloruri che va trasferita in un recipiente di politene ed in cui s’andranno a dosare i vari metalli. 6.7.1.2. Attacco multiacido tradizionale con HF-H2SO4 o HF-HCl Principi teorici: Si basa sulla capacità dell’HF di sciogliere la silice e i silicati. Il campione viene posto in una capsula di Pt o di teflon assieme ad una miscela di HF e H2SO4 (o HCl) concentrati: la silice viene eliminata come tetrafluoruro SiF4 volatile, mentre quasi tutti gli altri elementi vengono resi solubili sotto forma di solfati. L’elevata concentrazione dell’acido solforico consente anche la ossidazione di gran parte della sostanza organica eventualmente presente. La soluzione viene tirata a secco su bagnomaria, quindi ripresa con H2SO4 1:4 (o HCl conc). Si lascia raffreddare, si diluisce, si filtra se necessario e si porta a volume in palloncino da 100 ml con acqua distillata. Si ha la cosiddetta soluzione dei solfati. Questo tipo di attacco è vantaggioso rispetto a quello fluo-cloridrico quando si vogliono determinare elementi che formano cloruri volatili (es. metalli alcalini), o che formano composti più stabili in una matrice solfatica (ferro, titanio, fosforo ed in parte anche zirconio). In alternativa all’acido fluoridrico può essere utilizzato NH4F che, in presenza di un acido forte (come è il caso di quelli solforico e cloridrico) si dissocia liberando ammoniaca ed acido fluoridrico, svolgendo quindi la medesima funzione vista sopra. Il vantaggio è quello legato alla sicurezza di manipolare un sale solido (NH4F) piuttosto che un liquido volatile (i fluoruri sono comunque classificati come nocivi per inalazione). La variante che usa HCl è sicuramente più rapida del metodo con acido solforico (se non altro perché è molto più veloce tirare a secco HCl che H2SO4). In alcuni tipi di fritte ricche in boro è conveniente aggiungere un po’ di CH3OH per eliminarlo come borato di metile. Una valida alternativa al cacciare l’eccesso di acido fluoridrico con un altro acido forte (operazione che richiede molto tempo) è la sua complessazione con acido borico che lo rende incapace di attaccare il vetro e danneggiare la vetreria e la strumentazione di laboratorio. In questo caso basta trattare la soluzione con acido borico solido sotto agitazione fino a completa dissoluzione. Per 1 ml di HF aggiunto servono 0,5 g di H3BO3 solido. Qui di seguito riportiamo le reazioni utilizzate in questo attacco nelle due varianti, applicate a due matrici differenti:

su feldspato KAlSi3O8 + 22 HF→ 3 H2[SiF6] + KF + 8 H2O + AlF3 attacco con HF H2[SiF6] → 2 HF + SiF4

� eliminazione silice HF + [H2SO4] → HF� o in alternativa HF + [HCl] → HF� eliminazione acido fluoridrico 2KF + 2AlF3 + 4 H2SO4 → K2SO4 + Al2(SO4)3 + 8 HF trasformazione fluoruri-solfati

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KF + AlF3 + 4 HCl → KCl + AlCl3 + 4 HF trasformazione fluoruri-cloruri

Su caolino Al2(Si2O5)(OH)4 + 18 HF→ 2 H2[SiF6] + 9 H2O + 2 AlF3 attacco con HF H2[SiF6] → 2 HF + SiF4

� eliminazione silice HF + [H2SO4] → HF� o in alternativa HF + [HCl] → HF� eliminazione acido fluoridrico 2AlF3 + 3 H2SO4 → Al2(SO4)3 + 6 HF trasformazione fluoruri-solfati AlF3 + 3 HCl → AlCl3 + 3 HF trasformazione fluoruri-cloruri

4 HF + H3BO3 → H[BF4] + 3 H2O complessazione con acido borico Interferenze: Il campione deve essere macinato finemente per ottenere la massima rapidità di dissoluzione. In genere i minerali che hanno maggiori difficoltà nella dissoluzione con queste due miscele acide sono zircone, cianite e tormalina, che però, in genere, sono presenti in quantità minime nei campioni d’interesse ceramico. Dato che questo attacco è utilizzato per la determinazione del sodio e del potassio e che i loro due ioni sono sempre presenti nell’acqua deionizzata, occorre lavorare con acqua bidistillata al fine di non inficiare la loro determinazione. Reattivi occorrenti: Materiali occorrenti: • Acido fluoridrico HF al 50 % circa; • Acido solforico concentrato al 96 % circa; • Acido cloridrico concentrato al 36 % circa; • Acqua bidistillata;

• Crogiolo di platino o teflon; • Piastra riscaldante

Procedura manuale per attacco HF/H2SO4: Si pongono circa 0.1 g di campione in una capsula di Pt o di teflon� assieme ad una miscela di circa 10 ml di HF 50 % e 5 ml di H2SO4 concentrato: la silice viene eliminata come tetrafluoruro SiF4 volatile, mentre quasi tutti gli altri elementi vengono resi solubili sotto forma di solfati. La soluzione viene tirata a secco su bagnomaria, quindi si riprende con H2SO4 1:4. Si porta a volume con H2O bidistillata. Procedura manuale per attacco HF/HCl: È una variante più spiccia del metodo precedente (è molto più veloce tirare a secco HCl che H2SO4). L’acido cloridrico concentrato sostituisce l’acido solforico. Servono: a) 0.1 g di campione; b) 5 ml di HCl concentrato; c) 8 ml di HF al 50 %. Anche in questo caso, si eseguono diverse tirate a secco per eliminare totalmente i fluoruri presenti, riprendendo ogni volta con qualche mL di HCl concentrato. 6.7.1.3. Attacco multiacido con disgregatore a microonde Principi teorici: Si sfruttano le stesse reazioni del metodo tradizionale, realizzandole però in un sistema costituito da una bomba in teflon ed un forno a microonde per il riscaldamento. In questo modo si aumenta la velocità di disgregazione sfruttando sia la rapidità di riscaldamento delle microonde, che l’aumento della temperatura dovuto al sistema chiuso (bomba). Interferenze: Lavorando in un sistema chiuso non è possibile eliminare direttamente l’eccesso di HF, come nel metodo precedente. Quindi si può procedere in due modi: (a) terminato l’attacco si apre la bomba e si elimina l’HF come nel metodo precedente, (b) terminato l’attacco si tratta la soluzione ottenuta con H3BO3 che complessa l’HF e gli impedisce di attaccare il vetro dei recipienti che utilizziamo. Questo trattamento si esegue in becher di plastica. Dato che questo attacco è utilizzato per la determinazione del sodio e del potassio e che i loro due ioni sono sempre presenti nell’acqua deionizzata, occorre lavorare con acqua bidistillata al fine di non inficiare la loro determinazione.

Reattivi occorrenti: Materiali occorrenti: • Acido fluoridrico HF al 50 % circa; • Acido nitrico concentrato al 60 % circa; • Acido cloridrico concentrato al 36 % circa; • Acido borico solido; • Acqua bidistillata;

• Bomba per disgregatore; • Disgregatore a microonde; • Becher di plastica;

Procedura manuale: Si pesano circa 0,2÷0,4 g di campione nel liner di teflon� della bomba, si aggiunge la miscela di acidi: 2 ml di HCl concentrato, 4 ml di HNO3 concentrato, 4 ml di HF 50 % e 2 ml di acqua bidistillata. Si chiude la bomba con l’apposita chiave dinamometrica e s’introduce nel disgregatore. La temperatura raggiunta durante il riscaldamento è funzione della potenza d’emissione delle MW ma anche del numero di campioni contenuti nel carosello. Per un numero di campioni

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diverso da quello previsto dalla metodica si deve procedere ad una modifica della stessa. S’imposta la rampa di riscaldamento e si procede alla disgregazione. Terminato il ciclo, si estraggono le bombe e si fanno raffreddare, fino a temperatura ambiente, all’aria o immergendole in acqua fredda. Si procede poi alla loro apertura sotto cappa, svitando lentamente il tappo di tenuta, per evitare perdite di campione dovute a sfiati violenti. Si trasferisce il contenuto in un becher di plastica lavando il tappo ed il liner con acqua bidistillata. Si aggiungono circa 2 grammi d’acido borico (0,5 g ogni ml di HF) e si agita con ancoretta magnetica fino a completa dissoluzione. Si porta a volume con H2O bidistillata. Programma di riscaldamento:

Matrice: materie prime ceramiche Programma Metodo n°: Step Tempo Potenza T (°C) N° contenitori: 6 1 5’ 250 w 180 Massa campione: circa 0,25 grammi 2 5’ 400 w 180 Miscela solvente: 4ml HNO3 + 2ml HCl + 4ml HF + 2ml H2O 3 5’ 550 w 210 Note: programma n° 4 4 5’ 250 w 180 5 5’ VENT Note: Se non si vuole utilizzare l’acido borico per complessare l’HF, lo si puo scacciare portando a secco e riprendendo con acido solforico, come nel metodo tradizionale. 6.7.2. Silice 6.7.2.1. Metodo gravimetrico Principi teorici: La silice può essere separata nel modo descritto nel paragrafo 6.7.1.1. Dopo la sua filtrazione essa viene calcinata e pesata come SiO2. Il residuo calcinato non è solitamente puro, ma contiene piccole quantità di ossidi di Fe, Al, Ti, ecc. L’ammontare delle impurità può essere determinata mediante trattamento del residuo già pesato nel crogiolo di platino con un eccesso di HF e poco H2SO4 concentrati. La SiO2 viene trasformata in acido fluosilicico ed in silicio tetrafluoruro volatili:

SiO2 + 6 HF � H2[SiF6] + 2 H2O H2[SiF6] � SiF4

� + 2 HF

Le impurità vengono prima trasformate in fluoruri, poi in solfati ed infine, per calcinazione a 1050÷1100°C, in ossidi: Al2O3 + 6 HF � 2 AlF3 + 3 H2O

2 AlF3 + 3 H2SO4 � Al2(SO4)3 + 6 HF� Al2(SO4)3 � Al2O3 + 3 SO3

La perdita in peso rappresenta perciò la quantità di silice pura presente. In genere, la % di ossidi rimasti come impurità nella silice è molto bassa, perché i metalli vengono sciolti in grandissima quantità da HCl e quindi determinati sulla soluzione dei cloruri. Nulla impedisce comunque di scioglierli ed aggiungerli alla soluzione dei cloruri. Di questa percentuale di ossidi se ne può comunque tenere conto nella somma finale delle percentuali dei vari elementi, per far quadrare la somma al 100 %. Reattivi occorrenti: Materiali occorrenti: • Acido fluoridrico HF al 50 % circa; • Acido solforico concentrato al 96 % circa;

• Crogiolo di platino; • Piastra riscaldante

Procedura manuale: Il filtro rimasto dopo la separazione della soluzione dei cloruri viene dapprima essiccato per circa 15 minuti in stufa a 110°C, per eliminare la maggior parte dell’acqua, quindi viene piegato e posto in un crogiolo di Pt, in precedenza portato a peso costante. Il filtro, viene incenerito sulla fiamma del bunsen facendo attenzione a che non s’incendi, quindi viene calcinato in muffola a 1050°C, fino a peso costante. In genere, la percentuale di ossidi rimasti come impurità nella silice è molto bassa, perché i metalli vengono sciolti in grandissima quantità da HCl e quindi vengono determinati sulla soluzione dei cloruri. Di questa percentuale di ossidi se ne può comunque tener conto nella somma finale delle percentuali dei vari elementi, per far quadrare la somma al 100 %. Operando sotto cappa, si versa nel crogiolo freddo un po’ di miscela fluo-solforica, lo si scalda a bagnomaria, poi su piccola fiamma fino ad evaporazione completa di HF, evitando però che il liquido vada in ebollizione. Si aumenta quindi la temperatura, regolando la fiamma per volatilizzare l’H2SO4, quindi portare il crogiolo in muffola a 1050÷1100°C e pesare fino a peso costante. Dalla differenza di peso si risale alla percentuale di silice pura.

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6.7.2.2. Metodo colorimetrico Principi teorici: Durante la preparazione della soluzione dei cloruri, la maggior parte dell’acido silicico (H4SiO4) viene trasformato in SiO2 insolubile e determinato, come visto sopra, per via ponderale. Una piccola parte dell’acido silicico passa, tuttavia, nella soluzione dei cloruri ed è rilevata colorimetricamente facendola reagire con una soluzione d’ammonio molibdato, in ambiente mediamente acido, secondo il seguente probabile schema:

12 (NH4)2MoO4 + H4SiO4 + 24 HCl � H4[SiMo12O40] + 24 NH4Cl + 12 H2O

L’acido complesso silicico - molibdico, che si può scrivere anche sotto forma di ossidi SiO2�12MoO3�2H2O, ha un’intensa colorazione gialla, suscettibile di misurazione colorimetrica a λ = 380÷400 nm. Solitamente, peró, si usa ridurre con un riducente adatto l’acido complesso, a blu di molibdeno, la cui composizione è incerta,; si ottiene appunto, un composto colorato in blu, la cui intensità di colore viene misurata a λ = 650 nm. Interferenze: Fe e Ti danno interferenze, per cui occorre eliminarli sotto forma di complessi con la N-benzoil fenil idrossil ammina, solubili in cloroformio. Anche i fosfati interferiscono in quanto producono medesime colorazioni, ma possono essere resi innocui mediante addizione con ammonio citrato perché i fosfati vanno ad esterificare la funzione alcoolica terziaria presente nell’acido citrico. Reattivi occorrenti: • Soluzione acquosa di ammonio citrato 10 %; • Soluzione di ammonio molibdato (sciogliere 8 g di ammonio molibdato in acqua distillata, addizionare 9 ml di acido

solforico conc. e diluire a 100 ml); • Soluzione acquosa di acido ossalico 5 %; • Soluzione riducente (0,15 g di acido 1-ammino 2-naftolo 4-solfonico, 9 g di sodio metabisolfito anidro e 0.7 g di

sodio solfito anidro, sciolti in acqua e portati a 100 ml); • Soluzione alcolica di N-benzoil fenil idrossil ammina 5 %; • Cloroformio. • Soluzione standard madre di Si4+ a circa ______ ppm (in base alla pesata effettiva) ottenuta sciogliendo

un’opportuna quantità di _________________Da questa preparare una soluzione figlia esattamente a ______ ppm. Procedura manuale:

Range curva di taratura

ppm ml Soluz. Si4+ Figlia 0.75 5 1.5 10 2.25 15 3.0 20

Ad ogni prelievo, compreso il bianco, si addizionano 5 ml di soluzione di ammonio citrato e 2 ml di soluzione di ammonio molibdato; dopo 10 minuti s’aggiungono 1 ml di soluzione riducente e 5 ml di soluzione di acido ossalico. Si porta a volume, si trasferisce ogni soluzione in recipienti di politene e s’esegue la lettura del campione dopo 20 minuti a λ = 650 nm. Per il campione si preleva un opportuno volume, in base alla sua concentrazione presunta, e si tratta come i punti della retta di taratura. In presenza di Fe o Ti, si tratta il prelievo del campione in imbuto separatore con 2 ml di soluzione di N-benzoil fenil idrossil

ammina e di 10 ml di cloroformio. Si agita e s’elimina lo strato inferiore di cloroformio. Si ripete l’aggiunta di 0,1 ml di reattivo e s’estrae di nuovo con 10 ml di cloroformio. S’esegue infine, un’ultima estrazione con solo 10 ml di cloroformio. La soluzione rimasta nell’imbuto separatore, dopo l’eliminazione dello strato di cloroformio è trasferita in pallone tarato da 100 ml ed addizionato della stessa quantità di reattivi usati per le soluzioni standard. 6.7.3. Alluminio Vi sono vari metodi (gravimetrici, volumetrici e strumentali) per dosare l’alluminio: nessuno è veramente soddisfacente. Viene proposto un metodo per ogni tipo di determinazione. Una valida alternativa è la determinazione in assorbimento atomico che si può eseguire in fiamma N2O/C2H2 con range da 50 a 200 ppm, o con microforno di grafite per il quale è però necessario lavorare su basse concentrazioni (decine di ppb). 6.7.3.1. Metodo volumetrico L’alluminio viene determinato su una aliquota della soluzione dei cloruri (dopo separazione degli interferenti Fe e Ti, mediante estrazione con cloroformio dei complessi di questi metalli con la N-benzoil fenil idrossilammina) aggiungendo un eccesso noto di soluzione standard di EDTA e retrotitolando l’eccesso con una soluzione standard di Zn in presenza di ditizone come indicatore.

C N

O OH

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Reattivi occorrenti: • soluzione alcolica al 5 % di N-benzoil fenil idrossilammina; • cloroformio; • soluzione di ditizone in CHCl3 (25 mg di ditizone in 100 ml di CHCl3); • alcool etilico • soluzione di EDTA 0,01 N a f.c. noto; • soluzione tampone pH 4,5; • soluzione di Zn 0,01 N a f.c. noto; Procedura manuale: Si preleva esattamente un’aliquota della soluzione dei cloruri, in base alla % presunta di Al2O3 e si trasferisce in imbuto separatore. In esso vengono aggiunti 2 ml di soluzione alcolica di N-benzoil fenil idrossilammina e si esegue l’estrazione a pH 1÷1,5 con 10 ml di cloroformio. Si operano, quindi, altre estrazioni per ulteriori aggiunte di reattivo e di cloroformio, finché quest’ultimo non risulta incolore. Infine, s’esegue un’ultima estrazione utilizzando la soluzione cloroformica di ditizone; questo per eliminare eventuali tracce di Cu o Zn presenti. Si trasferisce la fase acquosa superiore in matraccio tarato da 50 ml, portando a volume con acqua distillata: si dispone cosí d’una soluzione esente da Fe e Ti. La determinazione dell’alluminio si esegue su 10 ml di tale soluzione, ai quali si addizionano (con pipetta tarata) 5 ml di EDTA 0,01 N e 5 ml di tampone a pH 4,5, riscaldando poi all’ebollizione per 2 minuti. Si raffredda energicamente e, dopo aver aggiunto circa 0,2 ml di soluzione di ditizone come indicatore, si addiziona etanolo in quantitá sufficienti da sciogliere il cloroformio presente. Si titola, infine, per ritorno con ZnO 0,01 N, fino a viraggio del viola-verdastro al rosso netto stabile. Il risultato finale viene espresso come % di Al2O3. 6.7.3.2. Metodo colorimetrico Il reattivo è la Solocromocianina R. Le interferenze di Zn, Ni, Mn e Cd sono minime (a pH 5,9÷6,1); Fe e Cu danno interferenze sensibili se il contenuto di allumina è inferiore a 0,35%. In genere la lettura avviene su soluzioni stabilizzate ad un pH di circa 5,8 e vengono lette dopo 10' ad una λ = 520 nm. Dovendo eliminare gli interferenti, un passaggio attraverso colonna di cellulosa fluita con HCl/MEK (metil etil chetone) distillato di fresco (miscela 80:192 v/v) toglie Fe ed altri elementi, mentre eluendo con HCl (1:5) si separano Al e Ni. 6.7.3.3. Metodo gravimetrico Si prelevano tutti i 100 ml della soluzione dei cloruri, si aggiungono 3 g d’ammonio nitrato (che fa sì che Al(OH)3 non precipiti colloidale), alcune gocce di fenolftaleina (necessaria per evidenziare un dannoso eccesso di NH3 che ridiscioglierebbe Al(OH)3 ad alluminato), si porta all’ebollizione e si neutralizza con ammoniaca diluita 1:1, aggiungendone un lieve eccesso. Si lascia a riposo, a caldo, per 30 minuti e si filtra su filtro a fascia nera lavando con apposita soluzione di lavaggio (g 16,5 d’ammonio nitrato in 100 ml di acqua), fino a scomparsa della reazione dei cloruri. Si secca in stufa, si incenerisce su bunsen e si calcina fino a peso costante. 6.7.4. Titanio Principi teorici: La determinazione del Ti si esegue colorimetricamente su un’aliquota della soluzione dei cloruri (proveniente dalla fusione) oppure dalla soluzione dei solfati, sfruttando la colorazione gialla che il Ti4+ assume complessandosi con H2O2. La lettura allo spettrofotometro viene effettuata a 410 - 420 nm. Quando il Ti è presente in piccole quantità (0,5 mg/ml di TiO2), l’intensità del colore è proporzionale alla quantità dell’elemento in esame. Alla specie colorata che si forma non è attribuibile una formula chiara: si pensa sia lo ione perossidico [TiO2(SO4)2]

2- o [Ti(H2O2)]4+. La soluzione di H2O2 deve essere al 3 % (10 volumi) e le soluzioni finali

devono contenere H2SO4 o HCl in modo da prevenire l’idrolisi a solfato basico e la precipitazione dell’acido metatitanico. Se il ferro è presente in apprezzabili quantità nella soluzione da analizzare, occorre complessarlo con H3PO4. L’intensità della colorazione aumenta leggermente con l’aumentare della temperatura, per questo motivo gli standard ed il campione devono possibilmente avere la stessa temperatura (20÷25°C). La retta è lineare da 1,5 a 30 ppm di Ti4+. Interferenze: Il titanio tende ad idrolizzare in ambiente basico o neutro e a precipitare come acido metatitanico, per questo motivo le soluzioni finali devono contenere H2SO4 in modo da prevenire tale inconveniente. Per acidificare l’ambiente si può utilizzare indifferentemente anche HCl. Se il Fe è presente in apprezzabili quantità nella soluzione da analizzare, occorre addizionare H3PO4 per complessarlo. In tal caso, ovviamente, la stessa quantità d’acido aggiunta deve essere addizionata anche alle soluzioni standard. Reattivi occorrenti: • Acido ortofosforico diluito: H3PO4 in miscela 1:1; • Acido solforico diluito 1:1 o acido cloridrico concentrato;

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• Acqua ossigenata: H2O2 al 3 % (10 volumi); • Soluzione standard madre di Ti4+ a circa _____ ppm (in base alla pesata effettiva) ottenuta sciogliendo un’opportuna

quantità di TiO2 in ___ ml di H2SO4 concentrato caldo miscelato a ___ grammi di (NH4)2SO4 senza l’aggiunta di acqua. (La corretta proporzione tra reattivi corrisponde a 20 ml di H2SO4 e 8 g di (NH4)2SO4 ogni 0,5 g di TiO2). Una volta ottenuta una soluzione limpida si diluisce cautamente con acqua e si travasa in matraccio tarato. In alternativa si può sciogliere del Ti metallico in H2SO4 diluito 1:1. Da questa si prepara una soluzione figlia esattamente a _____ ppm di Ti4+.

Procedura manuale: Range curva di taratura ppm ml Soluz. Ti4+ Figlia 5 5 10 10 15 15

Si preleva un opportuno volume della soluzione del campione, in base alla % presunta di TiO2, e si tratta direttamente in pallone tarato da 100 ml con: 5 ml di H3PO4 1:1, 5 ml di H2SO4 1:1 (o in alternativa 1 ml di HCl conc.), 10 ml di H2O2 al 3 %. Si porta a volume con acqua distillata e si legge allo spettrofotometro dopo 60 minuti a 410 nm. La curva di taratura si prepara con soluzioni standard la cui concentrazione è riportata in tabella, ottenute prelevando opportuni volumi della soluzione figlia di Ti4+ a ___ ppm. Ad ognuno ed al bianco si aggiungono gli stessi reattivi utilizzati per il campione.

20 20

6.7.5. Ferro Il ferro si può determinare colorimetricamente in diversi modi: con tiocianato, con o-fenantrolina, con α-α‘ dipiridile. Le metodiche analitiche sono le stesse riportate sulla dispensa di laboratorio di quarta e per questo motivo non le riportiamo qui in maniera estesa. In alternativa si può utilizzare anche l’assorbimento atomico in fiamma aria/acetilene. Si ricorda però che tali metodi colorimetrici si intendono per campioni �, �’ dipiridile contenenti meno dell' 1% di FeO; nel caso in cui sia presente una quantità maggiore si può procedere con una titolazione diretta (ad esempio con permanganato), su una aliquota della soluzione acida. Qui a fianco sono riportati i reattivi che si usano per complessare il ferro nei due metodi colorimetrici utilizzabili. ortofenantrolina 6.7.6. Calcio e magnesio Ca e Mg vengono dosati insieme su un’aliquota della soluzione dei cloruri con EDTA, in presenza di NET (nero eriocromo T) come indicatore in ambiente tamponato a pH 10. Fe, Al e Ti interferiscono, in quanto vengono anch’essi titolati dall’EDTA in presenza di NET ed è quindi necessario eliminarli dall’ambiente di reazione facendoli precipitare con una soluzione di 8-idrossichinolina in ambiente tamponato a pH 4,5. Il precipitato che si è formato si separa sciogliendolo in cloroformio. Mg darebbe legami con l’idrossichinolina solo a pH = 12,5. Sulla soluzione dalla quale sono stati eliminati Fe, Al e Ti, è poi possibile determinare il solo calcio tramite titolazione con EDTA e Acido Calconcarbonico (o Calcone) come indicatore a pH 12÷14. Il magnesio si può determinare quindi per differenza dalle due titolazioni. Il Mg può essere facilmente dosato sulla soluzione dei cloruri, facendo una analisi per assorbimento atomico. Il Ca dà qualche problema perché viene atomizzato convenientemente solo con una fiamma protossido-acetilene. L'alternativa per il Ca, ma anche per il Mg, può essere il microforno di grafite, la cui sensibilità, tuttavia, comporta che non debbano essere usati solventi ed altri prodotti contenenti anche piccole quantità di questi due alcalino-terrosi. La sensibilità di quest’ultimo metodo si aggira sulle decine di ppb. Interferenze: Fe, Al e Ti interferiscono, in quanto vengono anch’essi titolati dall’EDTA in presenza di N.E.T. ed è quindi necessario eliminarli dall’ambiente di reazione facendoli precipitare con 8-idrossichinolina in ambiente tamponato a pH 4,5. Il precipitato che si è formato si separa sciogliendolo in cloroformio, che è insolubile in soluzione acquosa. Il Mg non dà legami con l’idrossichinolina, perché la seguente reazione avviene solamente a pH = 12.5:

2 + Mg2+ � + 2 H+

N N

N

N

OH N

Mg 2

O N

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Reattivi occorrenti: • Soluzione tampone pH 4,5 (34 g d’ammonio acetato + 30 g di acido acetico glaciale + acqua dist. fino a 500 ml); • Soluzione tampone pH 10 (versare 175 ml di ammoniaca concentrata in un pallone tarato da 500 ml e diluire con circa

100 ml di acqua distillata. A parte, sciogliere 27 g di NH4Cl con 100 ml di H2O. Versare quindi quest’ultima soluzione nel pallone da 500 ml, poi portare a volume con acqua distillata);

• Soluzione di 8-ossichinolina (10 g in 50 ml di acetone); • Soluzione di Mg 0,01 M, a f.c. noto; • EDTA 0,01 M a f.c. noto; • Indicatore nero eriocromo T, in polvere; • Acido Calconcarbonico (o calcone); • Soluzione di KOH circa 8 M; • Cloroformio; Trattamento preliminare: Un’aliquota della soluzione dei cloruri, in base alle concentrazioni presunte, viene trasferita in imbuto separatore, aggiungendovi poi 2 ml di soluzione di 8-ossichinolina, quindi si porta il tutto a pH 4,5 con la soluzione tampone (almeno 15 ml). Si estrae ripetutamente con 10 ml cloroformio, finché le due fasi non si presentano incolori (la colorazione è chiaramente dovuta ai sali degli elementi interferenti). La soluzione acquosa contenuta nell’imbuto separatore, esente da Fe, Ti e Al, viene trasferita in palloncino tarato da 100 ml e si porta a volume. Procedura manuale per la determinazione simultanea Ca e Mg: Ad un prelievo di 20 ml della soluzione preparata al punto precedente, si aggiungono 10 ml di Mg 0,01 M. La ragione per cui è necessario addizionare una quantitá nota di Mg è strettamente tecnica: infatti, se è presente poco Mg e molto Ca, il viraggio non si coglie bene, dato che il NET è un buon indicatore per il Mg ma non tanto per il Ca. Perció, aumentando la % del Mg si ha un viraggio netto. Si diluisce con un poco di acqua e si aggiungono 10÷15 ml di tampone a pH 10 (l’ambiente deve essere basico, per cui si deve sentire odore di ammoniaca). Si mette poi l’indicatore nell’ambiente di reazione e la soluzione si deve colorare leggermente di rosa. Si titola infine con EDTA 0,01 M, fino a viraggio dal rosa all’azzurro netto: non si devono vedere tracce di colore viola. Vengono cosí determinati Ca e Mg assieme. Procedura per determinazione del solo Ca: Prelevare, con una buretta, 20 ml della soluzione trattata con 8-ossichinolina, versarli in un becher, diluire leggermente con acqua distillata ed aggiungere circa 5 ml di KOH 8 M (o 2,5 grammi di KOH solida) fino a raggiungere pH 12,5. Aggiungere alcuni granelli di indicatore acido calconcarbonico, si scalda sui 50 °C e si titola infine con EDTA 0,01 M fino a viraggio da rosso-vino ad azzurro. Il risultato finale va espresso come % di CaO. Procedura per determinazione del solo Mg: Dalla titolazione con NET si determinano gli equivalenti totali di Ca+Mg nei grammi di campione pesati, mentre dalla titolazione con acido calconcarbonico si ricavano solo gli equivalenti di Ca, quindi:

(Mg + Ca)eq - (Ca)eq = (Mg)eq nel campione,

da cui si risale per ottenere la % di MgO nel campione medesimo. 6.7.7. Sodio, potassio e litio Si determinano mediante fotometria in emissione di fiamma (EFF: emission flame fotometry) o in assorbimento atomico (AAS) su un’aliquota della soluzione dei solfati, in presenza di un’alta concentrazione di uno ione a basso potenziale di ionizzazione per sopprimere la ionizzazione del metallo in esame nella fiamma. Si tratta di una soluzione contenente 20000 ppm di K per la determinazione di Li, a 20000 ppm di K per la determinazione del Na e una soluzione a 10000 ppm di Cs per la determinazione di K (si può usare anche una soluzione a 20000 ppm di Sr o di Na). È importante ricordare che l’acqua da utilizzare come matrice per gli standard ed il campione deve essere il più possibile priva di alcali, ed in genere si usa acqua distillata più volte o desalinizzata con apparecchi che funzionano con il principio della osmosi inversa. 6.7.8. Zirconio La quasi totalità dei composti di Zr è insolubile e, a seguito della fusione con carbonati alcalini e successiva disgregazione cloridrica, rimane assieme alla silice come ZrO2 o ZrSiO4. Fortunatamente lo zirconio è difficilmente presente nelle materie prime naturali e comunque in piccole quantità; più facile è trovarne quantità cospicue in semilavorati come le fritte. Se lo si vuole dosare, dopo il trattamento della silice impura con HF, il residuo contenente anche piccole quantità di ossidi di Al, Fe e Ti, viene fuso con pirosolfato (Na2S2O7) in crogiolo di platino, sciolto ed unito alla soluzione dei cloruri. Qualora si fosse già provveduto a portare questa a volume, si potrà analizzare a parte questa soluzione e sommare i risultati.

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6.7.8.1. Metodo gravimetrico Il metodo gravimetrico che si effettua più comunemente per lo Zr è quello che porta alla precipitazione dello stesso come fosfato. La procedura prevede la disgregazione del campione con pirosolfato sodico e successiva dissoluzione della loppa con acqua e HCl concentrato. La soluzione, od una sua aliquota, viene trattata con acido solforico e idrogeno perossido (acqua ossigenata, al fine di complessare il Ti che coprecipita e disturba il risultato finale). Il reattivo precipitante è ammonio fosfato. Dopo congruo periodo di digestione il precipitato viene filtrato, ed il filtro viene bruciato, calcinato e pesato in crogiolo portato precedentemente a peso costante. La calcinazione del precipitato (a 1000-1100°C) porta alla formazione di zirconio pirofosfato ZrP2O7). 6.7.8.2. Metodo spettrofotometrico Si sfrutta la formazione di un complesso colorato giallo dello zirconio con la quercitina in ambiente di etanolo e acido cloridrico. La colorazione è letta a 440 nm, previa costruzione della curva di taratura. Si effettua un prelievo dalla soluzione dei cloruri, al quale vanno aggiunti HCl 1 N, etanolo 95° e quercitina. La soluzione assume una colorazione gialla, che può essere letta allo spettrofotometro dopo 15 minuti. La retta di taratura deve essere costruita entro un range compreso fra 0,5 e 5 ppm, partendo da una soluzione standard di Zr fatta sciogliendo ZrOCl2 in HCl 0,5N.

6.8. Umidità Questo parametro indica il contenuto d’acqua libera presente nel campione. Data la loro particolare struttura mineralogica, le argille sono in grado di assorbire ingenti quantità d’acqua e per questo motivo è indispensabile conoscere sempre l’umidità delle materie prime ceramiche. Si può determinare in vari modi: Metodo classico: 1÷10 g di campione vengono pesati poi fatti asciugare all’aria, poi inseriti entro una capsula di porcellana (o di platino), preventivamente portata a massa costante a 105°-110°C. Il tutto viene portato a 105°-110°C per circa due ore, trasferito in un essiccatore per il raffreddamento e, dopo circa 30’, si fa la pesata. La perdita di peso diviso il peso del materiale umido moltiplicata per 100 esprime il valore di umidità percentuale del campione. Termobilancia: si utilizza una bilancia (solitamente a sensibilità 0,01 g) che ha il piattello di pesata inserito in un fornetto riscaldante la cui temperatura può essere impostata. Si pesano sul piattello 10 g di argilla umida e si accende il riscaldamento a circa 110°C. sul display si legge direttamente il calo di peso del campione e si interrompe il riscaldamento quando la temperatura non varia più. Normalmente queste bilance sono già dotate di una scala che in base al calo di peso fornisce direttamente il % di umidità Metodo speedy (o monometrico): si sfrutta la reazione tra l’acqua e il carburo di calcio che produce acetilene gassosa.

CaC2(s) + H2O(l) � C2H2(g) + CaO(s)

Questa reazione si fa avvenire in un contenitore sigillato dotato di manometro già tarato in umidità % e fornisce un risultato certamente approssimato ma può essere applicato direttamente in cava e in maniera molto rapida..

6.9. Perdita al fuoco Può esprimere genericamente la somma ponderale di tutte le sostanze volatili ad una certa temperatura (800÷1000°C). Perciò, rileva acqua di cristallizzazione, anidride carbonica, sostanze organiche e via dicendo. Per l'analisi si può utilizzare un crogiolo di porcellana o di platino; la quantità di campione (preventivamente seccato in stufa a 110°C) da pesare è attorno ai 0,5 g. La determinazione procede analogamente a quella della umidità, tranne che la temperatura, come abbiamo visto è in questo caso più elevata. C'è da dire che questa analisi, pur essendo piuttosto diffusa, dà risultati spesso molto ambigui, a causa della scarsa conoscenza riguardo la distribuzione ponderale delle varie sostanze volatili durante la perdita a fuoco. Inoltre, la ossidazione del Fe da bivalente a trivalente (molto meno influente è il passaggio da Mn2+ a Mn4+):

2 FeO + ½ O2 � Fe2O3

comporta un piccolo aumento di peso che falsa il risultato finale (a meno che non si conosca la quantità di Fe2+ presente originariamente nel campione).

6.10. Calcare Viene valutata la quantità di carbonati presenti nella materia prima argillosa , misurando il volume di CO2 liberata dal campione (previamente essiccato a 105°C) mettendolo a contatto con HCl diluito 1:2.

CaCO3 + 2 HCl � CO2� + CaCl2 + H2O

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Dal volume di CO2 si risale alla % di carbonato presente come CaCO3. Si usa il calcimetro (apparecchio gasvolumetrico di cui in commercio si trovano diversi modelli, quello qui spiegato è il DIETRICH-FRÜLING), costituito da una beuta [C] contenente l'argilla seccata e pesata (0.2÷2 g) e l’acido diluito in una provetta; il vaso è collegato con un tubo graduato [S] pieno di liquido colorato (in genere si usa acqua deionizzata colorata con blu di metilene). Questo tubo è collegato dal basso con un tubo ad un vaso aperto [A], parimenti riempito di liquido colorato, il quale può essere spostato verticalmente. Quando tutto è collegato ed il liquido è posto in concomitanza dello zero nella scala del tubo graduato, la beuta, contenente il terreno e la provetta, viene agitata in modo che, dalla provetta, possa fuoriuscire l’acido e porsi a contatto con il campione. Il gas sviluppato spingerà il liquido colorato dal tubo graduato a quello non graduato e spostando quest’ultimo verticalmente si farà in modo da ripristinare lo stesso livello nei due tubi. Questa operazione viene effettuata al fine di eguagliare la pressione interna dello strumento con quella esterna. Alla fine della prova vengono letti i ml di CO2 svolti sul tubo graduato ed i dati di T e P ambientali. Se V è il volume di CO2 svolto durante l’analisi, il numero di moli di CO2 è dato da:

1

1

TRVP

n⋅⋅

=

dove T1 è la temperatura assoluta in Kelvin alla quale si effettua l’analisi e P1 è la pressione atmosferica sottratta della tensione di vapore dell’acqua alla temperatura T1. Il valore finale di CO2 presente viene espresso come % di CaCO3. È da tener presente che questo tipo d’analisi funziona solo se nel campione v’è calcite pura (CaCO3), mentre se sono presenti tracce di Mg l’attacco dell’acido è più difficile, essendo la dolomite [CaMg(CO3)2] meno reattiva in presenza di HCl diluito.

6.11. Carbonio e zolfo totali Consiste nella determinazione del contenuto di carbonio e zolfo totali tramite combustione del campione in apposito forno. L'analisi dei gas sviluppati (CO2 e SO2) avviene con un sistema di lettura spettrofotometrico nel campo dell’IR. Questa determinazione è particolarmente importante perché la presenza di C e S nell’impasto può causare problemi in fase di cottura del pezzo (per esempio “cuore nero”).

6.12. Ritiro e/o espansione Queste misure, come l’assorbimento d’acqua ed il modulo di rottura, vengono eseguite su provini di laboratorio preparati macinando la singola materia prima o la miscela, ad umido o a secco, setacciando la polvere ottenuta, riumidificandola ad un valore prefissato ed infine pressandola. Il provino così ottenuto (denominato “verde”) può essere già sottoposto ad alcune misure o essiccato in stufa (denominato “crudo”) e poi cotto in forno. L’espansione post pressatura (percentuale) consiste nella misura delle dimensioni del provino pressato (L2) e dello stampo (L1) con un calibro e si esprime come:

100%1

12 •−=L

LLE

Il ritiro si può determinare sia dopo essiccamento che dopo cottura. Se si misurano le dimensioni dello stampo (L1), del provino appena pressato (L2), del pezzo essiccato (L3) e del pezzo cotto (L4) con un calibro, si definisce ritiro percentuale in essiccamento il valore dato dalla formula:

100%2

32 •−

=L

LLRe

Mentre il ritiro dopo cottura si calcola con la formula:

100%1

41 •−=L

LLR

6.13. Assorbimento d’acqua Consiste nella determinazione dell’acqua che può essere assorbita dal pezzo cotto dopo immersione in acqua distillata bollente. Questa misura è una valida indicazione della porosità aperta presente nel pezzo. Si pesano i provini cotti (P1), si immergono in acqua distillata bollente per due ore, si fanno raffreddare sempre immersi per altre 4 ore, infine si asciugano con una pelle daino e si ripesano (P2). L’assorbimento d’acqua percentuale si calcola con la formula:

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100%1

12 •−=P

PPW a

6.14. Plasticità La plasticità di una argilla può essere constatata direttamente osservando la irreversibilità di una deformazione su un impasto acquoso. Può essere misurata come un limite (in sostanza, la % di acqua massima e/o minima con la quale un corpo argilloso può essere definito plastico) oppure con un indice derivato dalla misurazione della sopportabilità di un corpo argilloso ad uno sforzo a diversi contenuti di acqua. Esistono diversi modi di misurare la plasticità. Uno dei più usati in ceramica è la misurazione dell’indice di plasticità con l’apparecchio di Pfefferkorn. Esso consiste di un piano di battuta sul quale vengono messi diversi cilindretti di argilla plasmati con quantità differenti di acqua e di dimensioni standard. Vengono stabilite le deformazioni lineari dovute alla caduta su di ognuno di loro di un peso standard da un’altezza costante di alcuni cm. Si ottengono delle rette decrescenti in funzione del contenuto di acqua crescente,la cui inclinazione dipende dalla plasticità dell’argilla stessa: una maggiore inclinazione è indice di una minore plasticità (o meglio, di un minor intervallo plastico).

6.15. Densità Questo parametro si determina su barbottine preparate con materie prime, fritte o su paste serigrafiche. Viene misurata pesando un recipiente a volume noto (V) e si esprime in grammi su litro. Si usano di solito picnometri in acciaio di capacità di 100 ml. Si pesa vuoto (P1) poi lo si riempie con la barbottina fino a tracimazione, per evitare la presenza di aria all’interno, e lo si ripesa (P2). La densità si calcola con la formula:

VPP

D 12 −=

6.16. Viscosità dinamica La viscosità dinamica si distingue da quella cinematica (misurabile con strumenti ad efflusso come la coppa Ford), perché misura la viscosità attraverso la rotazione a velocità angolare costante di un elemento generalmente cilindrico. Lo sforzo misurato è il momento torcente che è strettamente collegato alla viscosità. Esistono vari modelli di viscosimetri rotazionali tra i quali quelli a cilindri coassiali sono preferibili per la maggiore precisione e ricchezza sulle informazioni reologiche date. La misura avviene in genere immergendo il corpo rotante all’interno di una tazza e facendolo girare, come detto, a velocità angolare costante. Il collegamento dell’albero motore con un opportuno giunto elastico permette di misurare il momento torcente od una grandezza ad esso correlata. Varianti più evolute di questo modello coassiale prevedono la possibilità di variare la velocità angolare del rotore ad intervalli regolari, permettendo di ricostruire dei reogrammi estremamente raffinati dai quali si può evincere, ad esempio, il limite di scorrimento di una determinata sospensione argillosa.

6.17. Residuo In genere consiste nel determinare il grado di finezza granulometrica che si verifica al termine di una macinazione. L’analisi si effettua prelevando un volume od un peso noto del campione e pesando la frazione che rimane su un setaccio di luce adeguata (ad esempio 63 o 200 µm). In alternativa si potrebbe determinare la curva granulometrica misurando la distribuzione ponderale del solido in setacci di luce decrescente. Nonostante questo metodo richieda un’analisi più complessa è viceversa in grado di dare indicazioni più approfondite sul processo di macinazione.

6.18. Tempo di scorrimento Questo parametro è solitamente espresso in secondi e consiste nella misura del tempo di percolazione di un volume noto di barbottina attraverso un foro calibrato. Lo strumento che viene impiegato principalmente è la tazza Ford, in genere con foro di uscita del diametro di 4 mm e volume di 100 ml. In alternativa si può utilizzare, per liquidi poco viscosi, una semplice buretta. La misura effettuata con la tazza Ford è una valutazione approssimata della viscosità cinematica, ma sufficiente a dare indicazioni operative.

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6.19. Il laboratorio ricerca e sviluppo Si tratta di riprodurre in laboratorio il ciclo ceramico, con le necessarie approssimazioni, per arrivare a preparare provini il più possibile simili a quelli reali. In questo modo si possono eseguire ricerche ed ottimizzazioni riguardanti il supporto e/o lo smalto e ricavare informazioni sia sulle materie prime da utilizzare che sulle variabili operative del processo industriale. Nella tabella 5.1 sono riportate le fasi principali dei cicli tecnologici per la produzione di piastrelle ceramiche, che dovremo riprodurre in laboratorio. Data la grande varietà di esperimenti che si possono compiere in questo laboratorio prenderemo in considerazione solo il caso più semplice, ovvero la produzione di provini non smaltati. In particolare qui di seguito tratteremo il problema della formulazione dell’impasto, dato che questo ha un ruolo importantissimo nelle successive operazioni. Per quanto riguarda l’influenza delle singole operazioni tecnologiche (macinazione, atomizzazione, formatura, essiccamento e cottura) sul prodotto finale, sono già state trattate nei loro capitoli specifici. Per quanto riguarda gli aspetti pratici rimandiamo la trattazione al capitolo 19, contenente le schede di laboratorio. 6.19.1. La formulazione dell’impasto Noi abbiamo trattato, nel paragrafo precedente, l’analisi chimica delle materie prime ceramiche per arrivare ad esprimere la loro composizione in ossidi. In realtà anche l’analisi mineralogica ha un ruolo importante, dato che il comportamento della materia stessa all’interno del ciclo ceramico è maggiormente correlato al tipo di minerale presente che alla composizione in ossidi. Possiamo comunque esprimere a grandi linee il comportamento d’ogni singolo ossido all’interno delle materie prime anche allo scopo di ricavare regole generali per la formulazione degli impasti. Al2O3 determina la plasticità e la refrattarietà dell’impasto; SiO2 determina la magrezza dell’impasto e la struttura del prodotto finito (influisce quindi in maniera inversamente proporzionale sul ritiro); Fe2O3 e TiO2 determinano il colore dell’impasto, l’ossido di ferro aumenta anche la fusibilità dell’impasto; CaO e MgO reagiscono con l’Si a circa 1000°C e danno un comportamento dilatometrico inverso al normale, controllando il ritiro dei pezzi finiti; Na2O e K2O aumentano la fusibilità dell’impasto migliorandone la sinterizzazione, quindi diminuendo la porosità e l’assorbimento d’acqua;

Cercando di ricavare dalle informazioni appena viste indicazioni generali sul ruolo d’ogni materia prima nell’impasto, possiamo affermare che: Un’argilla costituita principalmente da Al2O3 e SiO2 servirà a realizzare la struttura fondamentale del prodotto finito ma avrà un’alta temperatura di cottura (alta refrattarietà) e di conseguenza bassa sinterizzazione e alta porosità finale. Materiali contenenti anche CaO e MgO permetteranno un maggior controllo del ritiro, quindi possibilità d’avere dimensioni finali più controllate. Per migliorare la foggiatura dei manufatti si dovrà aumentare la plasticità (possibilità di inglobare acqua nella struttura) che però aumenterà anche il ritiro in cottura (dato che l’acqua in cottura viene eliminata). Un’alternativa per diminuire il ritiro consiste nell’introdurre un “inerte”, costituito da materiale di scarto già cotto che è rimacinato e riintrodotto nell’impasto (chamotte) oppure da sabbia, costituita principalmente da silice, che è uno “smagrante” (opposto di plastificante). La presenza d’ossidi di Fe o Ti conferisce all’impasto, dopo cottura, una colorazione rosso bruno. Se si vuole quindi ottenere un prodotto “bianco” si dovranno usare materie prime con il minor contenuto possibile di questi ossidi. La porosità finale e l’assorbimento d’acqua, è collegata alla sinterizzazione del materiale e quindi alla presenza d’ossidi di Na e K in grado di aumentare la fusibilità dell’impasto. Le argille che già contengono alte percentuali di questi ossidi (2-5 %) sono in grado di dare prodotti poco porosi, quindi ben sinterizzati. In alternativa si possono introdurre tramite l’aggiunta di feldspati che contengono fino al 10-20 % di questi ossidi.

Nel formulare gli impasti si deve cercare di bilanciare gli effetti dei singoli costituenti: argilla (componente plastico), feldspati (componente fondente), sabbie e/o chamotte (componente inerte) in modo da ottenere il prodotto desiderato (in termini di ritiro, porosità, ecc.). In particolare si deve tenere conto del contenuto in ossidi alcalini sia dell’argilla che del feldspato. L’ossido di sodio è infatti in grado di abbassare la T di fusione dell’impasto e il suo contenuto non dovrebbe superare il 5 % (tenendo conto dell’apporto di ogni componente). Viceversa l’ossido di potassio è più “refrattario” e influenza meno la fusibilità dell’impasto. Un impasto tipo per gres porcellanato potrebbe essere il seguente: argilla 30-40 %, feldspato (Na e K) 35-40 %, sabbie 10-15 %, caolino 10-15 %. Se l’argilla che utilizziamo ha una buona tendenza alla greificazione (dare un prodotto ben sinterizzato) si può diminuire il contenuto di feldspato oppure aumentare quello di caolino, che solitamente ha un comportamento più refrattario. L’obiettivo più importante, dal punto di vista industriale, nella formulazione dell’impasto è quello della riduzione dei costi e dell’utilizzazione delle materie prime più economiche mantenendo però le caratteristiche desiderate nel prodotto finito.

Infine, nella scelta delle materie prime da utilizzare per produrre provini ceramici si possono eseguire due tipi diversi di

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prove: • Provino con un componente singolo: si utilizza quando si vuole studiare il comportamento tecnologico di una

materia prima per classificarla oppure per sostituirla in un impasto già preparato; • Provino con miscela di più componenti: permette di formulare impasti nuovi, individuare i comportamenti

tecnologici o provare sostituzioni di una materia prima con un'altra. Nel secondo caso si possono formulare impasti cercando di bilanciare gli effetti dei singoli costituenti secondo quanto già visto. In ogni caso, lavorando con prodotti naturali estratti in cave anche a cielo aperto, in grado di assorbire notevoli quantità d’acqua, per non introdurre errori nella formulazione dell’impasto, si fa sempre riferimento alla % dei componenti secchi. Per questo o si seccano completamente le materie prime in stufa prima di dosarle (procedura che si segue nelle prove di laboratorio) oppure si determina l’umidità di ogni singola materia prima e si calcola la quantità di materia secca introdotta. In entrambi i casi, una volta individuate le materie prime da utilizzare si devono calcolare le pesate da eseguire in base alle loro percentuali ed alla carica totale della giara. Se si vogliono produrre almeno sei provini la carica totale della giara deve essere di circa 300 grammi di sostanza secca. Dalla massa di sostanza secca totale e dalla % di ogni materia prima si calcola prima la massa di sostanza secca da pesare e poi, in base all’umidità effettiva, la massa di sostanza umida. I dati vanno raccolti nella tabella seguente.

% Carica giara Proprietà Materie prime Umidità % nell’impasto 300 ml 1000 ml

Plastico Fondente Inerte

Colorante

Defloculante Tripolifosfato -- 0,4 0.5 1,4 Totale sostanza secca (grammi) 120 350 Acqua (grammi) 80 235

6.19.2. Il diagramma di greificazione Questo diagramma è un valido aiuto per il tecnico ceramista perché consente di individuare la temperatura ottimale di cottura di un particolare provino ceramico. Riporta l’andamento dell’assorbimento d’acqua % (AA%) e del ritiro dopo cottura (ritiro%) in funzione della temperatura massima di cottura. Si utilizzano questi due parametri perché sono particolarmente importanti. In particolare l’assorbimento d’acqua, oltre che utilizzato per classificare i prodotti ceramici, è legato alla porosità aperta e quindi fornisce un’indicazione del grado di sinterizzazione che si raggiunge in fase di cottura. Il ritiro in cottura, oltre ad essere legato al grado di sinterizzazione, determina le dimensioni finali del provino e quindi influenza il “calibro” dei pezzi finiti, parametro particolarmente importante per la loro posa. Per realizzarlo si utilizza generalmente un forno a gradiente, ovvero un forno costituito generalmente da 6 camere che possono lavorare a temperature diverse. In questo modo possiamo cuocere contemporaneamente 6 provini a temperature diverse. Se non si dispone di un forno a gradiente si devono eseguire le 6 cotture in successione. Su ogni provino si determinano poi il ritiro dopo cottura e l’assorbimento d’acqua utilizzando le metodiche riportate nei paragrafi 18.12 e 18.13. I parametri ottenuti per ogni provino sono poi riportati in grafico in funzione della temperatura massima di cottura del provino stesso.

Per l’AA% l’andamento inizialmente diminuisce perché il pezzo inizia a sinterizzare e diminuisce la porosità aperta. Raggiunto il massimo grado di sinterizzazione si ha il minimo valore di AA%. Aumentando la temperatura di cottura si verificano due fenomeni diversi che però portano entrambi ad una espansione del pezzo e conseguente riaumento della porosità aperta. Il primo è dovuto alla sinterizzazione spinta tende a rammollire eccessivamente il pezzo che perde la sua forma (dalla sinterizzazione si passa alla fusione). Il secondo è dovuto allo sviluppo di gas dovuti alla decomposizione di alcuni ossidi che, facendo fatica ad uscire dal pezzo a causa della chiusura dei pori, rimangono all’interno del pezzo facendolo espandere (analogamente all’effetto del lievito nei prodotti da forno).

Per quanto riguarda il ritiro%, l’andamento inizialmente aumenta perché la sinterizzazione diminuisce gli spazi vuoti presenti nel pezzo e lo fa contrarre. Raggiunto il massimo grado di sinterizzazione si ha il massimo valore di ritiro. Aumentando ulteriormente la temperatura di cottura, i fenomeni responsabili dell’aumento dell’AA% causano anche una espansione del pezzo con conseguente diminuzione del ritiro.

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Temperatura di cottura

Ritiro% AA%

La temperatura ottimale di cottura risulta quindi quella corrispondente ai due tratti orizzontali delle due curve (zona tratteggiata del grafico) perché è quella che altre a fornire il minimo di AA% (prodotto con massima sinterizzazione), ha un valore di ritiro circa costante. Se il ritiro è costante, non risente delle piccole oscillazioni della temperatura di cottura dovute al funzionamento del forno ed avremo di conseguenza pezzi con lo stesso “calibro”, ovvero più facili da posare. 6.19.3. La pulizia nel laboratorio ceramico Il laboratorio tecnologico ceramico produce parecchia polvere, in particolar modo di dimensioni molto fini e quindi molto disperdibile. Questa, anche se non particolarmente pericolosa nel breve periodo, può arrecare un certo fastidio alle persone, con danni più consistenti nel lungo periodo ed inoltre interferire con altre operazioni che devono essere compiute in laboratorio. Inoltre, anche se il laboratorio tecnologico è molto meno preciso di quello analitico, ogni strumento deve essere ripulito dopo essere stato utilizzato, per evitare possibili inquinamenti. In genere, tuttavia, è sufficiente lavare con acqua corrente ed asciugare le strumentazioni utilizzate, o addirittura ripulirle a secco (per esempio la pressa, spazzolandola). In questo caso può essere d’ausilio un piccolo aspirapolvere. Nonostante sia abitudine abbastanza diffusa, sarebbe meglio evitare di soffiare gli strumenti con aria compressa, in quanto non si fa altro che sospendere in atmosfera le particelle più fini per tempi più lunghi, non evitando che esse ricadano, inesorabilmente, sugli strumenti, sulle macchine e sui posti di lavoro. 6.19.4. Campionamento e cernita Si tratta di prelevare una certa quantità di materia prima per la macinazione. Allo scopo, se si dispone di una gran quantità di materiale (esempio un autotreno), se ne deve ottenere una piccola quantità che sia rappresentativa dell’intero lotto. Si prelevano quindi piccole aliquote (0,5 kg circa) in punti diversi e si mescolano tra di loro disponendoli in strato sottile a forma di rettangolo, si tracciano poi le diagonali individuando quattro triangoli, di questi se ne scartano due e sui restanti due, opposti, si riesegue l’operazione fino ad ottenere un campione di circa 1 kg, che si sottoporrà ai successivi trattamenti. Questa procedura, detta quartatura, ha lo scopo di ottenere un campione da laboratorio che sia rappresentativo, superando le disomogeneità tipiche dei prodotti naturali. Dopo la quartatura, se la pezzatura del materiale non supera i 3 mm si può eseguire direttamente l’operazione successiva, altrimenti si esegue una prima setacciatura a 3-4 mm: la parte più minuta è pronta per essere utilizzata, la parte più grossolana si può sminuzzare in mortaio e poi risetacciare. Durante la setacciatura il solido passa attraverso il crivello per gravità e lo si può aiutare scuotendo il setaccio stesso oppure usando delicatamente un pennello (non costringere mai il passaggio delle particelle attraverso il setaccio spingendo con un oggetto duro o con le mani per non smagliarlo). A questo punto il materiale è pronto per essere sottoposto alla determinazione dell’umidità ed alla macinazione. 6.19.5. Determinazione dell’umidità Dal momento che le materie prime utilizzate sono di origine naturale, sono soggette ad una notevole variazione della umidità, anche in funzione delle condizioni climatiche. Allo scopo o si determina l’umidità iniziale e se ne tiene conto nel calcolo della carica del mulino, oppure si asciuga il materiale (pratica eseguibile solo per i campioni di laboratorio). Per asciugare il materiale si può utilizzare una stufa a 110 °C oppure un forno a microonde (anche se così non si controlla la temperatura). Il secondo metodo è sicuramente più veloce, ma bisogna fare attenzione alle piccole esplosioni del materiale. In genere si parte da una potenza di circa 200 W e la si innalza successivamente in funzione del comportamento del materiale: per le argille si deve procedere con più cautela dato che possono assorbire più acqua, i feldspati e le sabbie, viceversa, essendo meno igroscopici possono essere scaldati con più vigore. L’effettiva asciugatura del campione è facilmente valutabile usando un vetrino da orologio. Questo viene appoggiato capovolto per pochi secondi sul campione nel forno o nella stufa: la presenza di umidità residua viene rivelata dall’appannamento del vetrino. Se si pesa il campione prima e dopo il passaggio in forno si può anche calcolare l’umidità iniziale. 6.19.6. Macinazione a umido in mulino rapido A questo punto si può preparare la carica da inserire nelle giare da macinazione. Si introduce una quantità di campione secco uguale a circa la metà della carica complessiva, variabile a seconda del volume della giara. Si usa acqua dell’acquedotto perché i sali in soluzione influenzano le proprietà reologiche della barbottina e non sarebbero

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riproducibili industrialmente dati ottenuti con acqua deionizzata. Per migliorare la loro efficacia si usano come corpi macinanti biglie di diametro diverso, in proporzione una grande ogni due piccole. Per un funzionamento ottimale, il volume complessivo della carica non deve mai superare i 6/10 del volume della giara. Infine si completa la carica aggiungendo, in particolare per i materiali argillosi, lo 0,3 % di sospensivante (o deflocculante) che può essere tripolifosfato di sodio oppure silicato + carbonato di sodio, calcolato sul peso totale del solido secco. Se si deve macinare un feldspato o una materia non plastica, il sospensivante può non essere necessario. Il tempo di macinazione è variabile in funzione della materia prima e della sua pezzatura media. Per ottenere risultati riproducibili sarebbe importante lavorare con tempi di macinazione standardizzati, anche perché questi influenzano la granulometria della barbottina (sospensione di solidi ceramici in acqua) e questa è un parametro tecnologico molto importante all’interno del ciclo ceramico. ♦ Giara da 300 ml: 120 g di materiale secco, 80 g d'acqua (d'acquedotto), 200 g circa di biglie macinanti (12 grandi

[∅ 10 mm] e 24 piccole [∅ 3-5 mm]), 0.6 g di sospensivante o deflocculante; ♦ Giara da 1000 ml: 390 g di materiale secco, 260 g d'acqua (d'acquedotto), 400 g circa di biglie macinanti (24

grandi [∅ 10 mm] e 48 piccole [∅ 3-5 mm]), 1.6 g di sospensivante o deflocculante; Le giare, così preparate, vengono delicatamente agitate con moto rotatorio a mano, poi collocate nell’apposito alloggiamento del mulino, serrate energicamente. Il tempo di macinazione-tipo può essere considerato di 10 minuti per un materiale argilloso e di 15-20 minuti per un materiale “duro”. 6.19.7. Essiccamento della barbottina Al termine della macinazione la giara viene aperta ed il grado di macinazione può essere controllato in due modi: (a) Analizzando la quantità di residuo, setacciando la barbottina a 10000 maglie (deve essere < al 3% in secco del peso

secco iniziale); (b) Strofinando tra due polpastrelli un poco di barbottina: se la macinazione è stata efficace deve risultare impalpabile

come il borotalco. Ovviamente il secondo metodo è molto empirico, ma, con un po’ di esperienza le indicazioni possono essere veritiere. Se la macinazione non risulta ultimata la giara va rimessa nel giragiare per un ulteriore tempo. A macinazione conclusa, il contenuto della giara va versato nel contenitore che andrà poi nel forno a microonde. Per recuperare le biglie (nel microonde possono esplodere!) si può utilizzare un imbuto con reticella. Ciò che rimane nella giara può essere lavato con poca acqua ed unito al resto sul filtro. Il contenitore può essere inserito ora nel forno a microonde partendo da una potenza bassa, di circa 200 W e la si innalza successivamente fino a circa 350-450 W, facendo attenzione a non eccedere quando si notano le ebollizioni tumultuose della barbottina, che può schizzare in maniera anche notevole. Per evitare che un essiccamento superficiale porti alla formazione di una crosta che impedisca la fuoriuscita del vapore, può essere utile estrarre il contenitore e rimescolare il materiale o rompere la crosta superficiale con una spatola. Anche in questo caso l’effettiva asciugatura del campione è facilmente valutabile usando il vetrino da orologio. Il vano interno del forno a microonde deve essere accuratamente ripulito da eventuali schizzi di materiale ceramico, che assorbono parte delle radiazioni prodotte e causano sovrariscaldamenti localizzati. In alternativa, non disponendo di un forno a microonde o avendo più tempo a disposizione, si può mettere il contenitore con la barbottina in forno a 110°C per diverse ore, fino a che tutta l’acqua non si sia allontanata. 6.19.8. Reidratazione Il materiale essiccato che si presenta sotto forma di crostoni e frammenti di varia dimensione, deve essere macinato in mortaio e passato al setaccio (0,250÷0,500 mm), aiutando il passaggio dei frammenti più minuti con un pennello. Disponendo di un mulino a martelli da laboratorio l’operazione risulta più veloce perché basta ridurre il secco in mortaio fino a grana “riso” (dimensioni di chicchi di riso) e poi introdurlo nel mulino a martelli. In questo caso particolare attenzione va data alla pulizia del mulino per evitare contaminazioni con altri impasti. La riumidificazione va effettuata al fine di conferire al materiale una certa plasticità, responsabile della coesione del provino dopo pressatura. Tuttavia, mentre per le argille è sufficiente bagnarle con il 5÷6 % di acqua, i materiali non plastici (feldspati e sabbie) hanno bisogno di un collante vero e proprio (ad esempio Vinavil® diluito, amido o altre colle organiche, che durante la cottura vengono bruciate). La riumidificazione è un processo relativamente semplice, ma che nasconde l’insidia della formazione di grumi, che rendono il preparato disomogeneo e quindi di difficile pressatura. Per una omogenea miscelazione dell’acqua nel materiale da pressare si può agire in due modi: (a) inserendo la polvere secca setacciata in un sacchetto di plastica, aggiungendo, poi, a poco a poco l’acqua necessaria con un nebulizzatore e, di volta in volta, mescolando bene con le mani, dall’esterno, (scuotendo cioè il sacchetto); è buona norma, in questa procedura, avere pazienza e, talvolta , togliere l’aria dal sacchetto (in modo che l’argilla possa letteralmente “succhiare” l’acqua presente). (b) Inserendo solido ed acqua in un frullatore, non esagerando però con la miscelazione per non surriscaldare il materiale e non perdere l’acqua per surriscaldamento. Se è elevata la percentuale dei minerali argillosi presenti e quindi il potere adsorbente del materiale, bisognerebbe attendere un periodo di tempo di 12 ore per la maturazione, in modo da consentire a tutta l’acqua di penetrare nei reticoli di interstrato, laddove esplica meglio la capacità aggregante e plastificante, necessaria a tenere insieme le

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particelle dopo la pressatura. 6.19.9. Pressatura La pressatura del materiale macinato e reidratato consente di foggiare il materiale in una forma voluta. In questo caso vengono inseriti circa 25-40 g di materiale nella sede dello stampo, in funzione dell’altezza del provino che si vuole ottenere. Lo spessore del provino è programmabile in maniera indiretta, tramite lo spessore del soffice (il materiale non pressato) ed il rapporto è di circa 3:1 tra soffice e pressato. Se si vuole quindi produrre un provino di spessore 7÷8 mm, si devono caricare 21÷22 mm di polvere. Dato che il materiale si presenta composto da granuli di dimensioni estremamente fini, vi è una certa difficoltà ad espellere l’aria presente al suo interno. Perciò la pressatura va fatta in più stadi, inizialmente in maniera moderata pressando a circa 30-40 bar, poi, dopo aver risollevato il punzone pressatore, aumentando negli stadi successivi fino a raggiungere la pressione desiderata. Questa procedura è molto importante al fine di evitare il verificarsi del difetto di laminazione, denominato “scatolone”, dovuto alla presenza di bolle d’aria all’interno del provino pressato che una volta estratto dallo stampo tende a sfaldarsi sulla faccia opposta al punzone. La pressione di pressatura è funzione del prodotto che si vuole ottenere e rappresenta una variabile molto importante all’interno del ciclo ceramico, indicativamente si aggira intorno a 130 bar per le argille e 180 bar per i feldspati. Attenzione particolare va tenuta per la pulizia dello stampo e del punzone: dopo la pressatura possono verificarsi delle cementificazioni di materiale soprattutto sui bordi che possono inficiare la forma e la tenuta del provino stesso. Dopo la pressatura il provino può essere manipolato facilmente e si possono eseguire le prime misurazioni di peso e dimensioni (spessore e diametro) che serviranno per determinare i ritiri. Successivamente si deve essiccare il provino in stufa a 110 °C per fargli perdere la maggior parte d'acqua ed evitare che scoppi una volta introdotto nel forno. Dopo essiccamento si rieseguono le misurazioni per determinare un primo ritiro da “verde” a secco. In questo caso non è possibile utilizzare il forno a microonde perché il provino può scoppiare facilmente. 6.19.10. Acquisizione dei dati

Verde Secco Provino Massa

(g) ∅

(mm) Spessore

(mm) Massa

(g) ∅

(mm) Spessore

(mm) 1 2

3

4

5

6

Temperatura Cotto Dopo assorbimento d’acqua Provino cottura

(°C) Massa

(g) ∅

(mm) Spessore

(mm) Massa

(g) 1 2

3

4

5

6

6.19.11. Cottura La cottura dei prodotti ceramici avviene usualmente in forni riscaldati tramite bruciatori a metano che rendono l'atmosfera al suo interno ossidante. Nella cottura dei provini di laboratorio viceversa si utilizzano forni elettrici che producono al loro interno delle atmosfere riducenti, a causa dello scarso ricambio d'aria. Questo può influire sull'andamento delle reazioni d'ossidoriduzione che avvengono durante la cottura e causare discrepanze con i risultati ottenibili in un forno industriale. In generale, per la cottura di provini di laboratorio si utilizzano due tipi di forni elettrici: muffole o forni a gradiente. La differenza fondamentale sta nella possibilità di cuocere, con il forno a gradiente, sei provini contemporaneamente a sei temperature massime diverse, quindi poter acquisire in una volta sola i dati per realizzare il grafico T vs ritiro e porosità. In entrambi i tipi di forno è possibile impostare una curva di

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riscaldamento nella quale variare la velocità di riscaldamento in funzione delle trasformazioni che devono avvenire. In generale, per cercare di riprodurre i cicli industriali, la fase di riscaldamento fino alla massima temperatura deve durare circa 30-40 minuti, prestando attenzione a non impostare velocità di riscaldamento superiori ai 40°C/minuto per preservare le resistenze del forno. Una delle fasi più critiche della cottura è rappresentata dal raffreddamento che può essere veloce fino a 600-630 °C, poi più lento fino ai 350 °C per superare gradualmente il punto di trasformazione del quarzo dalla forma ββββ a quella αααα senza causare rotture. Normalmente nei forni da laboratorio il raffreddamento avviene per inerzia (quindi molto lentamente) e per non rompere i pezzi è sufficiente aspettare che questi raggiungano i 300 °C prima di estrarli. Una possibile curva di cottura può essere la seguente: da T ambiente a 850°C in 25 minuti, poi a 950°C in 5 minuti, infine a 1200°C in 8 minuti con permanenza di 5 minuti. Campo di temperature studiate da 1140 a 1200 °C. 6.19.12. Prove finali e relazione Per verificare la qualità del provino prodotto e per classificarlo si devono misurare il ritiro e la porosità finale. Altri parametri importanti sarebbero il carico di rottura ed il colore, per la cui determinazione servono però strumentazioni specifiche. Il ritiro dimensionale si determina semplicemente misurando il diametro e lo spessore del provino prima e dopo la cottura, esprimendolo in ritiro percentuale. Per misurare l’assorbimento d’acqua si pesano i provini asciutti poi si introducono in una pentola con acqua e si fanno bollire per 2 ore. Si lasciano raffreddare per 30 minuti, sempre coperti dall’acqua calda, poi si portano a T ambiente introducendo acqua fredda. Si estraggono, si asciugano esternamente con uno straccio umido e si pesano. Si esprime l’assorbimento in percentuale rispetto al peso del provino secco. Nella relazione si devono consegnare tutti i dati utilizzati per produrre i provini e le misurazioni eseguite sui semilavorati e sui prodotti finali. Inoltre si deve costruire il grafico T vs ritiro e assorbimento d’acqua dal quale mettere in evidenza la temperatura ottimale di cottura. 6.19.13. Formule di calcolo Grandezza Formula Dati

Pressione di formatura (kg/cm2)

0097,1••

=s

ppformatura A

APP

(Pp) pressione pistone (bar) (Ap) area pistone (50,27 cm2) (As) area stampo (19,63 cm2)

L’espansione post pressatura 100%1

12 •−=L

LLE

Ritiro dopo essiccamento 100%2

32 •−

=L

LLRe

Ritiro dopo cottura 100%1

41 •−=L

LLR

(L1) dimensioni stampo (L2) dimensioni provino pressato (L3) dimensioni provino essiccato (L4) dimensioni provino cotto

Assorbimento d’acqua 100%1

12 •−=P

PPW a

(P1) peso provini cotti asciutti (P2) peso provini cotti dopo ebollizione

Densità VPP

D 12 −= (P1) peso picnometro vuoto (P2) peso picnometro pieno (V) volume picnometro

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6.19.14. Dati finali

Provino Cottura °C

Pressione bar

L’espansione post pressatura

Ritiro dopo essiccamento

Ritiro dopo cottura

Assorbimento d’acqua

1

2

3

4

5

6

6.19.15. Relazione per i provini ceramici Nella relazione si devono riportare: I dati sulle materie prime utilizzate e/o sull’impasto (composizione ed espressione in ossidi dell’impasto finale); Tutte le variabili tecnologiche utilizzate: tempo di macinazione, umidità di atomizzazione, pressione di formatura espressa in Kg/cm2, temperature di cottura; I dati misurati sui provini: dimensioni in verde, crudi e cotti, ritiro e assorbimento d’acqua; Il diagramma di greificazione (Ritiro e AA% Vs Temperatura di cottura); Un giudizio sul provino preparato e indicazioni sulla sua temperatura ottimale di cottura; Eventuali problemi riscontrati; Dati delle materie prime ceramiche

Analisi chimica Materia Prima SiO2 Al2O3 Fe2O3 TiO2 CaO MgO Na2O K2O Calcare P.F.

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7. I Fertilizzanti

7.0. Scheda raccolta dati sperimentali

Matrice:

Analita % Presunta Pesata da eseguire Nammon. Nnitrico

Norganico Analita % Presunta Pesata da eseguire Pallone Conc. presunta nel pallone P2O5idro P2O5citro

K2O

Determinazioni volumetriche 1° titolazione 2° titolazione 3° titolazione

Titolante Analita pesata volume pesata volume pesata volume

% trovata

NNH3 NNO3 Norg

Determinazioni strumentali (allegare i calcoli per madre e figlia e grafico retta) Analita Range retta Diluizione eseguita: prelievo � pallone (conc. presunta)

P2O5idro

P2O5citro

K2O

Si definisce fertilizzante qualsiasi materiale, organico od inorganico naturale o di sintesi, che, in virtù del suo contenuto in elementi nutritivi o delle sue caratteristiche chimiche fisiche e biologiche è in grado di aumentare la fertilità, contribuendo al sostentamento delle culture o migliorando le proprietà chimico-fisiche o fisico-meccaniche di un terreno. Esistono definizioni più specifiche, atte a definire un fertilizzante in virtù della sua azione sul terreno cui viene somministrato. Una stessa matrice però, può assolvere molteplici funzioni rientrando quindi all'interno di più classi. La divisione dei fertilizzanti in sottoclassi prevede pertanto:

Ammendanti: materiali capaci di migliorare le proprietà chimico-fisiche di un terreno ( ad es. porosità e permeabilità ). Gli ammendanti risultano efficaci solo se applicati in quantità elevate. A questa categoria appartengono tutte le matrici organiche di origine biologica (tanto vegetale quanto animale).

Condizionatori: composti organici o di inorganici capaci di flocculare i colloidi argillosi migliorando lo stato di aggregazione dei componenti della fase solida del suolo. Si migliorano le proprietà fisiche del suolo quali porosità e permeabilità nei confronti dell'acqua, ottimizzando quindi l'andamento dei processi all'interfaccia tra le fasi solida e liquida.

Correttivi: materiali utilizzati per regolare le proprietà chimico-fisiche di un suolo, quali l'acidità,l'alcalinità e la salinità. Rientrano tra i correttivi sostanze come CaCO3, MgCO3, CaO, e MgO.

Concimi: materiali che contengono almeno uno degli elementi nutritivi principali in forma assimilabile per le piante ed in quantità nota. I concimi possono essere di origine naturale o essere frutto di processi di sintesi, e si distinguono in organici, minerali ed organo-minerali a seconda della natura dei loro costituenti. Determinante, sia sotto il profilo della correttezza merceologica che per effettiva resa sul campo è il titolo attribuito il concime, che rappresenta la percentuale

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in peso dei tre elementi nutritivi principali riferita al fertilizzante tal quale ed espressa come N, P2O5 e K2O. I concimi minerali vengono definiti semplici quando sono costituiti singolarmente da composti di azoto, fosforo o potassio, quando costituiti da più elementi sono detti composti. I concimi organici possono essere azotati e azoto-fosfatici. Esistono anche concimi organo-minerali.

Oggi si riconosce che gli elementi chimici necessari ad una crescita vegetale normale sono i seguenti: • macronutritivi (C, H, O ottenibili da aria e acqua); • principali (N, P, K); • secondari o mesoelementi (Ca, Mg, S e Na); • oligo o microelementi (B, Co, Cu, Fe, Mn, Mo, Zn).

Oltre a questi ne esistono altri, quali Si e Cl, che hanno dimostrato di essere utili per aumentare le rese o migliorare il valore dei prodotti.

7.1 Classificazione dei Fertilizzanti Una classificazione generale dei fertilizzanti si può basare sull’elemento predominante nel composto. Si hanno dunque concimi:

• azotati: (NH4)2SO4 - NH4NO3 - CO(NH2)2 (urea) - CaCN2 (calciocianammide) – NaNO3 – CaNO3 • fosfatici: CaHPO4 - Ca(H2PO4)2 - Ca3(PO4)2�CaO (scorie Thomas); • potassici: KCl - K2SO4; • composti: KNO3 - (NH4)2HPO4 - granulati complessi K-P-N; • organo-minerali: prodotti a base di concimi organici miscelati con uno o più concimi minerali (la frazione

organica è presente almeno per il 20 %); • organici: letame, cuoio torrefatto, pollina (escrementi avicoli), cornunghi(corna ed unghie di bovini ed ovini),

sangue secco, vinacce fresche.

Esistono poi altri tipi strutturalmente diversi di fertilizzanti: • concimi minerali liquidi che possono essere “chiari” o “in sospensione” secondo lo stato dei componenti attivi in

acqua (in questi ultimi la concentrazione è definita mediante la viscosità); • concimi fogliari, costituiti da soluzioni diluite di materiali fertilizzanti solubili, convenientemente impiegabili

assieme ai trattamenti antiparassitari. 7.1.1. Fertilizzanti azotati L'azoto è presente in tre forme fondamentali: ammoniacale, nitrica e organica e viene espresso in % come azoto nitrico, azoto organico, azoto ammoniacale e azoto totale. La forma organica si suddivide a sua volta in organica naturale, in cui l’azoto si intende costituente di composti organici esclusivamente di origine vegetale o animale o di origine organica sintetica (urea, composti cianoammidici). Le forme dell’azoto ammoniacale, nitrico e organico di sintesi sono facilmente solubili in acqua, mentre quella organica naturale lo è molto poco. La via analitica per la determinazione delle diverse forme d’azoto consiste nella loro trasformazione in ammonio mediante riduzione, distillazione in corrente di vapore come ammoniaca e sua titolazione. 7.1.2. Fertilizzanti fosfatici In questi fertilizzanti si determina il fosforo assimilabile esprimendolo come P2O5. In altri termini, il fosforo che si trova nei fertilizzanti sotto forma di composti quali acido ortofosforico H3PO4, fosfato di calcio Ca(H2PO4)2 o fosfato biammonico è solubile in acqua e costituisce la frazione idrosolubile (espressa come P2O5 idrosolubile); quello sotto forma di fosfato bicalcico CaHPO4 è solubile nelle sostanze organiche presenti nei terreni e costituisce la frazione citrosolubile (espressa come P2O5 citrosolubile). Convenzionalmente, infatti, si è scelto come solvente d’estrazione che simuli le sostanze organiche il citrato d’ammonio, che ha quindi dato il suo nome a questa frazione. Basterà quindi trattare il campione prima con acqua e poi con citrato di ammonio, cercando di avere il massimo contatto con la sostanza, per avere la completa estrazione della P2O5 assimilabile. 7.1.3. Fertilizzanti Potassici Il potassio, oltre che essere elemento fondamentale dei concimi potassici, contenuto sotto forma di Cloruro, Solfato, Carbonato, Sali potassici grezzi (Kainite, carnalite, silvina, polialite, ecc.) e Salino potassico, è contenuto anche in numerosi concimi composti e complessi binari e ternari, ed inoltre in alcuni materiali naturali che ancora si adoperano in agricoltura, come le ceneri vegetali, lo stallatico e il guano. In tutti questi prodotti la determinazione del contenuto di potassio, espresso come % di K2O, si può effettuare per via volumetrica, con fotometria di fiamma o con assorbimento atomico utilizzando il metodo delle aggiunte. Noi qui

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esamineremo nel dettaglio solo il metodo che sfrutta l'Assorbimento Atomico con il metodo delle aggiunte standard.

7.2 Analisi dei fertilizzanti Sui fertilizzanti si possono determinare sia i costituenti principali (ossia N, P e K) che i componenti secondari o i microcostituenti. In tutti i casi però, a differenza delle altre matrici studiate fino ad ora, non interessa determinare la loro quantità totale presente, ma solo quella frazione che può essere, in vari modi, assimilata dai vegetali. Per questo motivo non si procede ad una completa disgregazione del campione, come nel caso delle leghe metalliche, ma si opera o sul campione tal quale (per determinare l’azoto) o su estratti acquosi (per il fosforo ed il potassio). Se le concentrazioni presunte di P2O5 e K2O lo consentono è possibile operare una unica estrazione per entrambe le determinazioni, con conseguente risparmio di tempo. 7.2.1. Trattamento preliminare Il campione da sottoporre all’analisi deve essere finemente macinato. A questo scopo si può utilizzare un mortaio o un mulinetto da laboratorio. Dato che spesso i fertilizzanti sono disomogenei al fine di ottenere un campione rappresentativo si può procedere alla macinazione di alcuni grammi di campione e poi da questo ottenere l’aliquota da sottoporre all’analisi. 7.2.2. Determinazioni dell’umidità La determinazione dell’umidità va diversamente condotta a seconda del tipo di fertilizzanti in oggetto. Se questo non contiene sostanze volatili diverse dall’acqua, la determinazione va condotta a 100°C in stufa. In caso contrario invece (come per la gran parte dei complessi, fosfato d’ammonio e il calcio nitrato ammonico) la determinazione deve essere effettuata a temperatura moderata sotto vuoto. 7.2.3. Determinazione del fosforo 7.2.3.1. Estrazione frazione idrosolubile

Un’aliquota di fertilizzante (pesata esattamente in base alla percentuale presunta), polverizzata e omogeneizzata, viene spappolata in mortaio con poca acqua (20-30 ml). Si lascia depositare per alcuni minuti e poi si decanta su filtro raccogliendo il filtrato in pallone da 250 ml. Si ripete l'operazione d’estrazione con acqua per altre 3-4 volte (sempre sul solido che rimane nel mortaio), regolando il procedimento in modo che la digestione duri qualche minuto e la decantazione si faccia sul filtro vuoto. Infine si porta il contenuto del mortaio sul filtro e si continua il lavaggio fino a completare quasi il volume di 250 ml. Si toglie il filtro dall'imbuto e si conserva per le successive determinazioni. Se il filtrato è opalescente o torbido si aggiunge qualche ml di HNO3 diluito 1:1, onde solubilizzare la sospensione e si porta a volume con acqua. 7.2.3.2. Estrazione frazione citrosolubile

Il filtro con il residuo della preparazione dell'estratto acquoso, dopo non più di un ora, si introduce in un pallone (non tarato) da 250 ml contenente 100 ml della soluzione di citrato ammonico riscaldata a 65oC in bagnomaria e preparata nel seguente modo: sciogliere 400 grammi d’acido citrico cristallino in poca acqua e portare quasi a neutralizzazione, raffreddando continuamente, per aggiunta di ammoniaca (28-29 %). Portare il pH a 7 aggiungendo ammoniaca goccia a goccia, mantenendo la temperatura a 20oC. Diluire a 1 litro, mantenendo il pH a 7. Conservare in bottiglia chiusa e controllare il pH prima di usarla. Chiudere bene il pallone ed agitare vigorosamente fino a che il filtro non si sia spappolato, aprendolo ogni tanto per far sfiatare la pressione. Tappare di nuovo il pallone per evitare l'evaporazione della soluzione e rimetterlo sul bagnomaria, cercando di mantenere il contenuto del pallone quanto più possibile a 65oC, mantenendo il livello dell'acqua nel bagnomaria al di sopra della soluzione nel pallone. Agitare ogni 5 minuti e lasciare digerire per 1 ora. Filtrare infine sotto vuoto, lavando il filtrato con acqua a 65oC fino a un volume di circa 250 ml. Lasciare raffreddare e portare il volume a 250 ml. 7.2.3.3. Determinazione colorimetrica della P2O5 assimilabile

Questo metodo si basa sulla reazione che avviene fra gli ioni ortofosfato e molibdato in ambiente acido, che genera acido molibdofosforico, il quale dopo opportuna riduzione dà una colorazione blu intensa (blu di molibdeno). L'intensità della colorazione è proporzionale alla quantità di fosfato inizialmente incorporato nell'eteropoliacido. Se l'acidità al momento della riduzione è di circa 1 N in acido solforico o perclorico, e se viene usato un opportuno riducente, il complesso blu presenta un massimo di assorbanza a 820-830 nm; ad acidità più basse il composto presenta un massimo di assorbimento a 650-700 nm.

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Possono essere usati parecchi riducenti in varie condizioni; la riduzione deve avvenire con soluzioni aventi una acidità finale 1 N in acido solforico o perclorico e devono essere mantenute a circa 100oC per 10 minuti. Il sistema che si forma segue la Legge Lambert Beer a 650-830 nm, l'intervallo di concentrazione più indicato è tra 0,1 e 1,2 ppm di fosforo. Le reazioni sono le stesse del metodo usato per gli acciai (par. 4.6.2). I seguenti ioni non interferiscono: Al3+, NH4

+, Cd2+, Cr3+, Cu2+, Co2+, Ca2+, Fe2+, Mg2+, Mn2+, Ni2/4+, Zn2+, Cl-, Br-, CH3COO-, citrato, silicato, fluoruro, vanadato e borato. Devono essere assenti: Sn2+, NO3

-, arsenati; Il ferro ferrico non deve superare la concentrazione di 200 ppm. Solamente 10 ppm di tugstati possono essere tollerati. Il Pb2+, Bi3+, bario, Sb3+ interferiscono, poiché in presenza di acido solforico si formano precipitati o intorbidamenti. Preparazione delle soluzioni: • Soluzione molibdica acida: 7,2 grammi di molibdato ammonico solubile (NH4)2MoO4•4H2O vengono sciolti in circa 250 ml di acqua. A parte si aggiungono 107 ml di acido solforico conc. (esente da arsenico) a 250 ml di acqua. Si raffredda e si riuniscono le due soluzioni in un matraccio tarato da 1000 ml, portando a volume con acqua. Questa soluzione va conservata nello stesso matraccio o, meglio, in un altro recipiente munito di tappo a tenuta. • Soluzione riducente: al 2,5 % di acido ascorbico in acqua. La soluzione va usata fresca e preparata giornalmente. Costruzione della curva di taratura: adatta per campioni contenenti da 5 al 25 % di P2O5. Si sciolgono in acqua circa 0,24 grammi di KH2PO4 purissimi, essiccati in stufa a 110oC, pesati esattamente e portati a volume di 500 ml (soluzione madre: 1 ml contiene circa 0,25 mg di P2O5). Da questa si prepara una soluzione figlia esattamente a 5 mg/litro di P2O5, prelevando un volume opportuno di soluzione madre, in base alla pesata effettiva iniziale. Con una buretta si prelevano rispettivamente 5 - 10 - 15 - 20 ml di soluzione figlia e si introducono in altrettante beute da 250 ml. In questo modo i cinque prelievi contengono rispettivamente 0,025 - 0,05 - 0,075 - 0,10 mg di P2O5. In ogni beuta si aggiungono ora, agitando, circa 50 ml d’acqua (misurati con un cilindro), e sempre sotto agitazione, 10 ml di soluzione molibdica acida e 2 ml di soluzione riducente. Ambedue le aggiunte vanno effettuate con buretta o pipetta. Si pongono le beute su bagnomaria bollente per 30 minuti; si raffredda fino a temperatura ambiente e si trasferiscono quantitativamente le soluzioni in altrettanti matracci tarati da 100 ml, portando a volume con acqua. La lettura allo strumento (λ = 650 nm) va effettuata subito, per l'azzeramento e come riferimento s’impiega una soluzione contenente tutti i reattivi fuorché la soluzione fosforica, procedendo alle aggiunte e al riscaldamento come per i punti della curva di taratura. Analisi dei campioni: Se si deve determinare la frazione assimilabile (cioè sia citrosolubile che idrosolubile), si prelevano uguali volumi di estratto acquoso e di estratto citrico (in base alla % presunta di P2O5), si riuniscono e si portano a volume con acqua in un matraccio da 250 ml. Se interessa determinare la sola P2O5 acquosa o citrica si prelevano soltanto un volume ml di estratto corrispondente(sempre in base alla percentuale presunta). Dopo omogeneizzazione si prelevano 10 ml di soluzione e s’introducono in una beuta da 250 ml, procedendo alle aggiunte di acqua, soluzione molibdica e soluzione riducente e al riscaldamento esattamente come visto nella preparazione della curva di taratura. Si effettua quindi la lettura al colorimetro, utilizzando sempre per l’azzeramento la soluzione preparata in precedenza. Dai valori di assorbanza letti si ricavano i grammi di P2O5 presenti nel campione che si esprimono, tenendo conto della pesata di fertilizzante, in % di P2O5 sul campione iniziale. 7.2.4. Determinazione dell’azoto 7.2.4.1. Determinazione azoto ammoniacale

Si determina distillando direttamente nel Kjeldahl (figura 5.1) in presenza di NaOH senza alcun trattamento preliminare; infatti in queste condizioni l'ammoniaca si sviluppa e si raccoglie su un eccesso noto di H2SO4 a titolo noto; si titola poi l'eccesso rimasto con NaOH standard. In alternativa si può raccogliere il distillato su una soluzione di acido borico al 4%; si titola poi con acido cloridrico a titolo noto usando l’indicatore Tashiro (si sciolgono 0,6 g di rosso metile in 50 ml di alcool etilico al 96% e si mescolano con una soluzione di blu di metilene (0,1 g in 50 ml di acqua distillata)). Il viraggio va dal verde (in mezzo alcalino) al grigio –rosa (pH 4,9) al rosso in eccesso di acido.

NH4+ + NaOH � NH3

� + Na+ + H2O distillazione

2 NH3 + H2SO4 � (NH4)2SO4 raccolta su acido solforico H2SO4 eccesso + 2 NaOH � Na2SO4 + 2 H2O titolazione con base

NH3 + H3BO3 � (NH4)H2BO3 raccolta su acido borico (NH4)H2BO3 + HCl � NH4

++ H3BO3 + Cl¯ titolazione con acido

Figura 7.1

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Procedura: pesare un’aliquota di concime (in base alla percentuale presunta), ed introdurla nel provettone da distillazione. Si collega poi il pallone all’apparecchiatura e si distilla in presenza di NaOH con le modalità indicate in precedenza. Se a causa dell’elevata percentuale di azoto ammoniacale, la pesata iniziale risultasse troppo bassa, si può procedere all’estrazione su un quantitativo più grande di sostanza, portando a volume l’estratto in un pallone tarato da 250 ml e prelevando da questo un’aliquota da introdurre nel pallone da distillazione. Dal risultato della titolazione si risale al solo azoto ammoniacale. 7.2.4.2. Determinazione azoto nitrico

La determinazione è basata sulla riduzione dello ione nitrato ad ammoniaca in ambiente basico per opera della lega di Devarda (50%Cu, 45%Al, 5% Zn). Secondo le due seguenti reazioni:

3 NO3¯ + 8 Al + 5 OH¯ + 2 H2O � 8 AlO2

¯ + 3 NH3� reazione con alluminio

NO3¯ + 4 Zn + 7 OH¯ + 6 H2O � 4 [Zn(OH)4]

2− + NH3� reazione con zinco

in questo modo l'azoto nitrico si trasforma in azoto ammoniacale che, dato l'ambiente alcalino, distilla direttamente.

Procedura: pesare un’aliquota di concime (in base alla percentuale presunta), ed introdurla nel provettone da distillazione, aggiungere 50 ml di acqua distillata, 2-3 grammi di Lega di Devarda ed inserire il protettone nell’apparecchio di Kjeldahl. Aggiungere poi 50 ml di NaOH al 30 %: la riduzione ha immediatamente inizio per cui lasciare il refrigerante in funzione per evitare perdite. Lasciare reagire per 15-20 minuti, e poi procedere alla distillazione come per la determinazione dell’azoto ammoniacale. In questo modo è stato determinato sia l’azoto ammoniacale che l’azoto nitrico. Volendo il solo azoto nitrico, si dovrà naturalmente detrarre l'azoto ammoniacale; oppure questo può essere eliminato dal concime facendolo bollire con NaOH prima dell'analisi. 7.2.4.3. Determinazione azoto organico

Si determina col metodo di Kjeldahl-Ulsch che consiste nel trasformare l'azoto organico in azoto ammoniacale mediante ebollizione con acido solforico concentrato o acido fosfosolforico in presenza di catalizzatore. Il prodotto, contenente ora l'azoto sotto forma di solfato ammonico, viene distillato nell’apparecchio di Kjeldahl e determinato tramite titolazione. Dalla quantità di NH3 si risale all’N iniziale.

Procedura: In un provettone si introduce un’aliquota della sostanza in esame (in base al contenuto presunto di azoto), 7,5g di catalizzatore Missouri (9 parti in peso di K2SO4 e 1 di CuSO4

.5H2O), 7 ml di H2SO4 concentrato 5 mL di H2O2 al 35% (130 volumi) e 2-3 palline di vetro. Si riscalda a 420° per circa 30’ fino ad ottenere una soluzione limpida. Si lascia raffreddare fino a 50-60° e si aggiungono 50 mL di acqua. Si collega il provettone all’apparecchio di distillazione di Kjeldahl, si introducono circa 100 ml di NaOH al 30 % e si distillano 100 mL di soluzione raccogliendoli su 50 mL di acido borico al 4%. Se il concime, oltre all'azoto organico, contiene anche azoto ammoniacale, occorre tenerne conto sottraendo al valore trovato da questa determinazione il valore di azoto determinato col seguente metodo. 7.2.4.4. Determinazione azoto totale

Consiste nel trasformare tutto l'azoto in ammoniaca mediante trattamento con acido fenolsolforico, in presenza di polvere di zinco. Poi l'ammoniaca si distilla in presenza di NaOH e si determina al solito modo. (per le reazioni vedi Analisi Chimica Strumentale e Tecnica, Amandola Terreni, pag. 588).

Procedura: 0,5-1 grammi di prodotto si mescolano bene con 2-3 grammi di gesso calcinato in polvere; si introduce in provettone dove si aggiungono lentamente e raffreddando 20 ml di acido fenolsolforico (40 grammi di fenolo sciolti in H2SO4 concentrato e portare a volume a 1000 ml); si agita debolmente, si lascia in riposo 5 minuti, si raffredda ancora e si aggiungono 2-3 grammi di zinco in polvere previamente lavato e seccato. In questo modo l'acido nitrico reagisce col fenolo trasformandolo in nitrofenolo, il quale viene ridotto dall'idrogeno nascente dapprima ad amminofenolo, poi a solfato ammonico. Si aggiungono allora 10 ml di acido solforico e 0,2-0,5 grammi di ossido di rame, si agita e si riscalda prima debolmente, poi si riscalda a 420° finché il liquido sia limpido e quasi incolore. Si lascia raffreddare fino a 50-60° , e si aggiungono 50 mL di acqua. Si collega il provettone all’apparecchio di distillazione di Kjeldahl, si introducono circa 100 ml di NaOH al 30 % e si distillano 100 mL di soluzione raccogliendoli su 50 mL di acido borico al 4% dove si determina l'ammoniaca col solito metodo. 7.2.5. Determinazione del potassio 7.2.5.1. Preparazione dell’estratto

Essendo presente sotto forma di sali solubili, il contenuto di potassio si determina solitamente su un estratto acquoso, eventualmente leggermente acidificato con HCl per facilitare la solubilizzazione e prevenire eventuali fenomeni di

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idrolisi. Si può partire dall'estratto acquoso utilizzato per la determinazione della P2O5 idrosolubile, eventualmente diluito in base alla percentuale di K2O, oppure solubilizzando una nuova aliquota di campione. In questo caso 0,3 grammi circa (pesati in modo esatto) di fertilizzante polverizzato e omogeneizzato, vengono spappolati in mortaio con poca acqua (20-30 ml). Si lascia depositare per alcuni minuti e poi si decanta in pallone da 250 ml. Si ripete l'operazione di estrazione con acqua per altre 3-4 volte (sempre sul solido che rimane nel mortaio), regolando il procedimento in modo che la digestione duri qualche minuto e la decantazione si faccia sul filtro vuoto. Infine si travasa il tutto nel matraccio aggiungendo, se eventualmente la soluzione non risulta limpida, alcuni ml di HCl prima di portare a volume. 7.2.5.2. Metodo delle aggiunte standard

Preparazione delle soluzioni: • Soluzione Standard di Potassio: si deve preparare una soluzione figlia esattamente a 10 ppm di K, partendo da KCl essiccato in stufa o da una soluzione Standard per AAS a 1000 ppm. Nel primo caso si preparano, per pesata, 250 ml di soluzione madre a circa 500 ppm di K (in base alla pesata effettiva di KCl), poi da questa, per diluizione, si prepara la sol. figlia esattamente a 10 ppm di K. • Soluzione soppressore di ionizzazione: soluzione acquosa a circa 10000 ppm di CsCl (Per motivi di natura economica preparare solo il volume strettamente necessario). In alternativa si può aggiungere direttamente, in ogni pallone, i grammi necessari di CsCl solido e scioglierli prima di portare a volume. Sempre per ragioni economiche si può utilizzare una soluzione acquosa a circa 10000 ppm di NaCl. Procedura: Si prelevano dalla soluzione acquosa del fertilizzante aliquote di 5 ml (o un volume�diverso a seconda della percentuale di K2O nel campione) e si introducono in 4 palloncini tarati da 100 ml. Il volume prelevato deve contenere circa 0,1 mg di K, in modo da essere in linea con il valore delle aggiunte. A 3 di questi aggiungiamo rispettivamente 10 - 20 - 30 ml di soluzione standard di K a 10 ppm. In ogni palloncino si aggiungono inoltre 10 ml di soluzione di soppressore di ionizzazione e si porta a volume. Si prepara inoltre un palloncino con solo il soppressore di ionizzazione, da utilizzare come bianco. Si leggono ora all’A.A. seguendo il metodo delle aggiunte e dal grafico si ricava la concentrazione di K presente nel nostro campione. Il risultato, tenendo conto del peso iniziale e delle diluizioni, si esprime in % di K2O.

Palloni Reattivo Bianco Aggiunta 0 Aggiunta 1 Aggiunta 2 Aggiunta 3

Campione incognito (ml) 0 A(*) A(*) A(*) A(*) Standard K ( a 10 ppm) (ml) 0 0 10 20 30 Soppressore di ioniz. CsCl (ml) 10 10 10 10 10 A(*) quantità variabile a seconda della concentrazione di K2O del campione, che deve contenere circa 0,1 mg di K.

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8. Analisi dei grassi alimentari

8.0. Scheda raccolta dati sperimentali

Parametro Da eseguire Valore Densità Punto di fusione Indice di rifrazione Grado di acidità Numero di acidità Numero di saponificazione Numero di Iodio Numero di perossidi Numero di esteri Saggio di Kreiss Spettrofotometria UV (�K) Insaponificabile Gascromatografia Esteri Metilici Gascromatografia degli steroli

Parametro Pesata campione Conc. Titolante Punto eq. Valore Grado di acidità Numero di acidità Numero di Iodio Numero di perossidi Numero di esteri

Parametro Pesata campione Conc. Titolante Punto eq. Bianco Valore Numero di saponificazione

Parametro Pesata campione Pallone vuoto Pallone pieno Valore Insaponificabile

Parametro Acidi Grassi % Acidi Grassi % Acidi Grassi % Butirrico Palmitico Gadoleico

Capronico Palmitoleico Arachidonico Gascromatografia Esteri Metilici

Caprilico Stearico Behenico Caprico Oleico Erucico Laurico Linoleico Clupadonico

Miristico Linolenico Lignocerico

Tipo di grasso:

Miristoleico Arachidico Nisinico

Per quanto riguarda la composizione, la struttura e l’introduzione all’analisi delle sostanze grasse si rimanda al libro di testo (Analisi Chimica Strumentale e Tecnica, Amandola Terreni, pagine 616 e seguenti) e in alternativa al paragrafo 8.5 alla fine di questo capitolo; vogliamo qui trattare solo alcuni aspetti pratici di questo tipo di analisi e riportare i parametri strumentali da impostare in alcune analisi particolari.

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8.1. Aspetti generali Sui grassi vengono eseguite svariate analisi chimiche, la maggior parte delle quali porta alla determinazione di parametri aspecifici, mentre solo in alcuni casi si determinano parametri specifici (vedi analisi degli esteri metilici e degli steroli). Questo è probabilmente dovuto alla complessità della matrice ed alla difficoltà a determinare una singola specie chimica miscelata ad altre molto simili. Un aiuto in tal senso ci viene dalle tecniche cromatografiche che consentono di eseguire un analisi quali-quantitativa di miscele complesse e con componenti molto simili tra loro. Per quanto riguarda i parametri aspecifici, dato che il loro valore dipende dalla quantità di diverse specie chimiche, hanno un contenuto informativo relativamente basso e nella loro determinazione si possono accettare anche elevati margini di incertezza. Anche per questo motivo si devono determinare un gran numero di parametri aspecifici per avere un quadro chiaro del campione in esame.

Nell’analisi dei grassi particolare attenzione deve essere data alla loro manipolazione: per il prelievo dei campioni liquidi (oli) è fortemente sconsigliato l’uso di pipette tarate a causa della loro elevata viscosità che impedisce una corretta misura del prelievo. Risulta più comodo pesare il campione su bilancia tecnica direttamente nel becher nel quale si esegue la determinazione o in un piccolo contenitore (sotto tappo in plastica) che verrà introdotto nel becher o nella beuta. Per questo motivo molti parametri sono riferiti all’unità di massa di campione e non al volume di campione analizzato. Nel caso si debbano rapportare i risultati all’unità di volume si può procedere alla determinazione della densità dell’olio e poi con questa passare dal peso di campione al suo volume.

Di seguito riportiamo un elenco dei parametri più comuni determinati sui grassi alimentari:

Parametro Tipo Tipologia – apparecchiatura Densità Bilancia idrostatica Punto di fusione Termometro Indice di rifrazione Rifrattometro Grado di acidità Numero di acidità Numero di saponificazione

Titolazione acido – base

Numero di Iodio Numero di perossidi Titolazione red-ox

Numero di esteri Calcolo Saggio di Kreiss Reazione specifica Spettrofotometria UV (�K) Spettrofotometrica Insaponificabile

Aspecifico

Gravimetrica Gascromatografia Esteri Metilici Gascromatografia degli steroli

Specifico Analisi Gascromatografica

8.2. Determinazione spettrofotometrica del ∆∆∆∆K per gli oli d’oliva 8.2.1. Produzione dell’olio di oliva Tra i grassi alimentari l’olio di oliva merita un discorso a parte. L'olio d'oliva italiano contiene principalmente acido oleico ed ha una composizione media che è, all'incirca, la seguente:

Acido oleico (9 ottadecenoico) CH3(CH2)7CH=CH(CH2)7COOH 80 % Acido palmitico (esadecenoico) CH3(CH2)14COOH 9 % Acido linoleico (9,12 ottadecadienoico) CH3(CH2)4(CH=CH–CH2)2(CH2)6COOH 7 % Acido stearico (ottadecanoico) CH3(CH2)16COOH 2 % Acido linolenico (9,12,15 ottadecatrienoico) CH3CH2(CH=CH–CH2)3(CH2)6COOH 1 % Acido arachico (eicosanoico) CH3(CH2)18COOH 0,4 %

Esso si estrae per pressione (fino a 200-300 atm con una resa dell’85% circa, il restante si estrae con solventi (etere o cloroformio) che vengono separati per distillazione. Per ottimizzare la resa e la qualità le due tecniche vengono usate in successione. L'olio estratto per sola pressione può dare luogo, in alternativa, a due tipi di prodotti: l'olio vergine o l'olio lampante. Ciò in relazione alla caratteristiche del terreno, alle influenze climatiche, alle tecniche di coltivazione e di raccolta, ecc. [1] Olio vergine. L'olio vergine possiede quelle proprietà organolettiche che ne fanno un lipide alimentare tra i più pregiati. Dal punto di vista chimico queste proprietà gli derivano dalla presenza di oltre un centinaio di sostanze (esteri, eteri, aldeidi, chetoni, idrocarburi, ecc.) presenti in quantità anche inferiori al microgrammo per litro, ma con spiccata azione olfattiva e palatale. Un olio vergine non deve contenere sostanze che gli conferiscano sapori e odori sgradevoli e

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deve avere una bassa acidità (inferiore al 4% come ac. oleico). Sotto questo punto di vista gli oli vergini erano suddivisi ulteriormente in varie categorie (oli extravergini, sopraffini vergini, fini vergini e vergini) in base all'acidità. Questa classificazione è superata; l'importante è l'aggettivo vergine che indica oli estratti per semplice spremitura; resta l'olio

extravergine d’oliva che deve avere acidità minore dell’1%. [2] Olio lampante. Se l'olio di pressione non possiede i requisiti sopracitati, viene classificato come lampante e non può essere utilizzato tal quale per scopi alimentari, ma deve essere sottoposto ad un preventivo processo di rettifica, termine in genere sostituito dal falso sinonimo raffinazione sul quale la pubblicità ha buon gioco. [3] Olio d'oliva rettificato. Si ha dagli oli lampanti mediante processi di deacidificazione, decolorazione, deodorazione, ecc. che hanno la funzione di ridurre l'acidità sotto ai valori di legge e di eliminare quelle sostanze che conferiscono all'olio proprietà organolettiche sgradevoli. Purtroppo questi processi non sono selettivi e l'olio ottenuto viene privato anche di quelle piccole quantità di sostanze che ne rappresentavano il pregio dal punto vista organolettico e alimentare. Ne risulta un olio pressoché incolore, inodore e insapore. Per questo, è difficilmente immesso sul mercato come tale, ma viene opportunamente miscelato con olio vergine ottenendo così quello che è chiamato:

[4] Olio d’oliva, appunto costituito da una miscela di olio rettificato [3] con, in genere piccole quantità, di olio vergine [1], allo scopo di ripristinare parzialmente le caratteristiche organolettiche dell'olio d'oliva, perdute con la rettifica. [5] Olio di sansa. La sansa è ciò che resta delle olive dopo l'estrazione per pressione. Sottoponendo le sanse, parzialmente esauste ma ancora ricche in olio, ad un'estrazione con solventi che però, oltre all'olio residuo, estraggono anche altre sostanze che generalmente peggiorano le caratteristiche organolettiche, si ha l'olio di sansa che, così come il lampante, deve essere sottoposto a rettifica per poter essere destinato all'alimentazione. [6] Olio di sansa rettificato. È ottenuto dagli oli di sansa mediante processi di rettifica sostanzialmente analoghi a quelli usati per i lampanti. Anche questo olio, analogamente al rettificato, non può essere utilizzato direttamente, ma deve essere miscelato con olio vergine. [7] Olio di sansa e oliva. È costituito da una miscela di olio vergine [1] e di olio di sansa rettificato [6], allo scopo di ripristinare in quest'ultimo le caratteristiche organolettiche dell'olio d'oliva, perdute con la rettifica. 8.2.2. Determinazione del ∆∆∆∆k L'analisi spettrofotometrica permette di stabilire con certezza l'appartenenza di un olio ad uno dei gruppi merceologici ufficiali; permette inoltre di scoprire eventuali sofisticazioni, quali aggiunte a oli vergini di oli raffinati, di oli di semi ecc. Alla base c'è il fatto che negli oli di oliva vergini e ben conservati sono presenti solo doppi legami isolati relativi all'acido oleico (un doppio legame in posizione 9) e sistemi di due o tre doppi legami, comunque isolati, relativi agli acidi linoleico (2 doppi legami in posizione 9 e 12) e linolenico (3 doppi legami in posizione 9, 12 e 15). Questo insieme determina un largo massimo d'assorbimento nell’UV attorno a 210 nm. Negli oli lampanti ed in quelli rettificati i processi ossidativi ed i processi chimici subiti producono un’isomerizzazione che comporta lo spostamento dei doppi legami, con formazione di sistemi coniugati dienici e trienici contenenti rispettivamente 2 e 3 doppi legami coniugati. Nei sistemi coniugati si ha un notevole spostamento del massimo di assorbimento a lunghezze d’onda maggiori (effetto batocromo) per cui si hanno massimi d’assorbimento diversi:

• a λ=232 nm per i dieni (–CH=CH–CH=CH–) e • a λ=268 nm per i trieni (–CH=CH–CH=CH–CH=CH–)

È bene precisare che l'assorbimento a 232 nm ed a 268 nm non è dovuto soltanto ai sistemi dienici e trienici, ma anche ai prodotti di ossidazione, che si formano negli oli, ad esempio, in fase di irrancidimento. Ne segue che un olio di pressione mal conservato può mostrare assorbimenti elevati a queste λ e sembrare, allo spettrofotometro, un olio rettificato. Per questo motivo, prima dell'analisi, questi oli devono essere fatti passare su allumina, che trattiene i

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prodotti di ossidazione. L'esame spettrofotometrico UV per gli oli d'oliva consiste dunque nel costruire uno spettro d'assorbimento del campione in esame tra 210 e 300 nm, misurare i picchi in corrispondenza di 232 e 268 nm e da questi calcolare il valore del ∆K.

Si pesa 1 grammo di olio limpido (eventualmente si provvede a filtrarlo) e lo si scioglie in isoottano ppa. Si eseguono letture di estinzione a 232, 262, 268 e 274 nm; tutte le letture vanno eseguite "contro" un bianco costituito da isoottano puro. Si calcolano quindi i coefficienti di estinzione con la formula seguente:

dove: E = estinzione alle varie λ; c = conc. dell'olio in g/100 ml; b = spessore della cella in cm.

I valori K232 e K268 sono caratteristici dei vari tipi di olio; più sono elevati e più scadente è la qualità. Il ∆K si calcola utilizzando la seguente equazione:

2274262

268

KKKK

+−=∆

che si ricava da considerazioni effettuate sulla curva di estinzione costruita per l'olio in esame. Il valore di ∆K è legato alla quantità di "sistemi" trienici presenti nell’olio; infatti l'equazione utilizzata per il calcolo contiene coefficienti di estinzione ricavati nell'intorno del picco relativo all'assorbimento dei sistemi trienici.

Apparecchiatura: spettrofotometro doppio raggio; cuvette di quarzo da 1 cm o in plastica trasparente agli UV; matracci tarati da 50 mL;

Reattivi: isoottano per spettrofotometria

Procedimento: L’olio di oliva deve essere limpido e anidro; in caso contrario, filtrare con carta da filtro su Na2SO4 anidro. Pesare accuratamente circa 0,5 g di olio direttamente in un matraccio da 50 mL e portare a volume con isoottano. La soluzione ottenuta deve essere limpida; se risultasse opalescente, filtrare rapidamente su carta. Azzerare lo strumento in tutto il campo spettrale (da 300 a 200 nm) usando il solvente come bianco. Registrare lo spettro di assorbimento e individuare la posizione di eventuali picchi che compaiono intorno a 270 nm. Leggere l’assorbanza a 232 nm, in corrispondenza del punto di massimo intorno a 268 nm e anche 6 nm prima e dopo tale massimo. Tutti i valori di assorbanza devono presentare un’assorbanza compresa fra 0,1 e 0,8; se non è così, preparare soluzioni più concentrate o più diluite, secondo il caso. Limiti massimi delle costanti per OLI di OLIVA

OLIO K232 K268 ∆∆∆∆K Extra vergine di oliva 0,200 0,010 Sopraffino vergine d'oliva 0,250 0,010 Fino vergine d'oliva 0,250 0,010 Vergine d'oliva 0,300 0,010 Olio d'oliva rettificato 3,500 1,200 0,150 Olio di oliva 3,300 0,800 0,100 Olio di sansa rettificato 6,000 1,900 0,200

Come viene evidenziato dalla tabella, per gli oli vergini si determinano valori di ∆K almeno 10 volte inferiori a quelli relativi agli oli degli altri gruppi merceologici.

bcE

K⋅

=

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8.3. Saggio di Kreiss per la rancidità Gli oli od i grassi che si trovano in una fase iniziale dell’irrancidimento assumono di fronte alla fluoroglucina, una colorazione variabile dal rosa al rosso a seconda dello stato di alterazione.

Reattivi: - Acido cloridrico d = 1,19 g/ml - soluzione eterea di fluoroglucina 1% (preparata di fresco).

Procedimento: 10 ml di olio o 10 grammi di grasso vengono posti in cilindro di vetro a tappo smerigliato da 50 ml e addizionati con 10 ml di HCL. Si agita energicamente per 30" e dopo si aggiungono 10 ml di fluoroglucina, agitando il tutto per altri 20". Dopo riposo, lo strato acido inferiore, in presenza di grassi irranciditi si colora in rosa o in rosso.

8.4. Determinazione Gas-cromatografica degli esteri metilici Questa è una delle poche analisi specifiche che si conducono sui grassi. Consiste nel trasformare gli acidi grassi da esteri della glicerina ad esteri metilici, per renderli più volatili e poterli analizzare in gascromatografia. Vi sono diversi sistemi per transesterificare gli acidi grassi, in funzione della matrice da analizzare e della sua acidità, qui di seguito riporteremo il metodo più veloce, adatto ad oli con bassa acidità (inferiore al 2 %). 8.4.1. Preparazione esteri metilici (metodo rapido CEE) Questo metodo è applicabile ad oli con grado di acidità inferiore al 2%. Se il campione risulta troppo acido basta aumentare la quantità di KOH alcolica aggiunta.

Reattivi: - KOH alcolica: soluzione 2 N in metanolo anidro (112 g/L); - n-Eptano;

I reattivi devono essere anidri (trattati per una notte con sodio solfato anidro e conservati in essiccatore)

Procedimento: Il campione di olio deve essere precedentemente anidrificato per trattamento con sodio solfato anidro per una notte. In una provetta con tappo a vite si introduce 0,5 g di olio anidrificato con 5 ml di n-eptano e 0,5 ml di KOH alcolica. Si agita energicamente per 1 minuto e si attende che la provetta diventi limpida. 8.4.2. Regolazione dello strumento ed esecuzione dell’analisi Si prepara lo strumento [Gas-cromatografo FISONS GC 9000] impostando i parametri riportati nelle tabelle seguenti. Il rapporto di splittaggio è circa di 1:30 e si inietta 1 µl di campione metilato. Il calcolo delle concentrazioni dei vari acidi grassi si esegue con il metodo della normalizzazione interna e si esprime in % dei vari acidi grassi. Per quanto riguarda i fattori di risposta dei vari componenti la miscela analizzata, si possono determinare iniettando una miscela standard a composizione nota. Dato però che i vari acidi grassi metilati sono strutturalmente simili, i loro fattori di risposta si possono ragionevolmente approssimare all’unità.

Parametri strumentali da impostare: Pressione gas: Accensione Regime Azoto (KPa) 50 50 Idrogeno (KPa) 100 50 Aria (KPa) 100 100

All’accensione si attiva automaticamente la pagina 0 che presenta temperature molto basse per salvaguardare eventuali incidenti. Per eseguire le analisi utilizzare le altre pagine:

Pagina 5 Iniettore(Zone 2) 200 °C Step Temp/°C Time/min Rate(°C/min) Colonna (Oven) 180 °C 1 180 10 10,0 GRASSI Detector (Zone 1) 200 °C 2 200 4 20,0 PESANTI 3 220 1 0 STby Temp STby Time 4 220 0 Cooling rate 180 °C 1 min ∞

N.B.: Prima di partire controllare l’autozero del detector che deve essere tra 100 e 1000.

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Classe 5C 5D 5E

Operatore 5C 5D

Group 5°C_GRASSI 5D GRASSI

Directory C:\GC\5C\5C_GRASSI C:\GC\5D\5D_GRASSI

Per quanto riguarda le istruzioni per l’utilizzo del software, si rimanda al paragrafo 9.2.2. Tempi di ritenzione medi rilevati:

Atomi Acidi Grassi RT Atomi Acidi Grassi RT Atomi Acidi Grassi RT C4 Butirrico C16 Palmitico 4.78 C20:1 Gadoleico C6 Capronico C16:1 Palmitoleico 5.18 C20:2 Arachidonico C8 Caprilico C18 Stearico 8.17 C22 Behenico C10 Caprico C18:1 Oleico 8.93 C22:1 Erucico C12 Laurico C18:2 Linoleico 10.12 C22:2 Clupadonico C14 Miristico 3.32 C18:3 Linolenico 12.43 C24 Lignocerico

C14:1 Miristoleico C20 Arachidico 13.32 C24:1 Nisinico

8.5. Composizione media grassi vegetali e animali

olio di olio di olio di semi di olio di semi di olio di semi di olio di semi di olio di germe di Acidi grassi n° C OLIVA NOCCIOLO GIRASOLE ARACHIDE SOIA VINACCIOLI FRUMENTO

BUTIRRICO C4 CAPRONICO C6 CAPRILICO C8 CAPRINICO C10 LAURINICO C12 tr MIRISTICO C14 tr - 0,2 0 - 0,2 tr tr - 0,5 tr tr

MIRISTOLEICO C14:1 tr PALMITICO C16 7 - 17 0,5 - 3,2 5 - 11 6 - 13 7 - 14 6 - 9,5 7 - 8

PALMITOLEICO C16:1 0,3 - 5,5 0,1 - 0,3 tr - 2,4 0,2 - 0,4 0,2 - 0,6 STEARICO C18 0,5 - 3,2 0,8 - 1,7 2 - 6 2 - 6 2 - 7 3,5 - 8 3 - 6

OLEICO C18:1 65 - 86 56 - 88 22 - 55 40 - 70 19 - 34 15 - 44 46 - 48 LINOLEICO C18:2 4 - 15 3 - 17 40 -67 13 - 28 50 - 66 46 - 74 40 - 42

LINOLENICO C18:3 tr - 1,5 tr tr 2 - 10 tr - 2,4 6 - 15 RICINOLEICO C18:1

LICANICO C18:3 ARACHICO C20 0,1 - 1 0 - 3,5 0,3 - 0,8 1,3 - 3,5 tr - 0,9 0,1 - 0,2 0,4

GADOLEICO C20:1 0,1 - 0,2 0,1 - 0,2 1 - 1,5 0,1 - 0,3 0,1 - 0,2 ARACHIDONICO C20:2

BEHENICO C22 0,1 - 0,2 0,6 - 0,8 2 - 3,5 ERUCICO C22:1

CLUPANODONICO C22:2 LIGNOCERICO C24 0,4 1 - 3 0,1

Ac. Saturi 6-18 5-8 5-13 17-21 11-14 6-16 Ac. Insaturi 94-82 92-95 86-95 79-83 86-89 84-94

Peso specifico 15° 0,914-0,920 0,912-0,917 0,922 - 0,933 0,917-0,924 0,909 - 0,929 0,905 - 0,935 0,928 - 0,938 Punto fusione grassi -3/0 -16/-18 -2/0 -23/-20 -10

Punto fusione acidi grassi 18/32,5 19/20 18/20 26/36 17/29 16/18 Punto solidificazione grassi -6/10 -18 -16 -7/-3 0/7 -13/-17

IND. DI RIFRAZ. 15° 1,466-1,468 1,468 - 1,470 1,466-1,470 1,470 - 1,477 1,471 - 1,476 1,473 - 1,474 IND. DI RIFRAZ. 40° 1,456-1,463 N° DI SAPONIFICAZ. 187 - 196 187 - 197 188 - 194 185 - 197 189 - 195 176 - 206 179 - 192

N° DI IODIO 78,5 – 89,9 81 - 98 120 - 140 82 - 100 120 - 143 94 - 145 115 - 129 Acidi grassi liberi 0,1-1 0,5-5 0,4 1-3 tracce 6-20

INSAPONIFICABILE 0,5 - 1,8 0,3 - 0,6 0,5 - 2,5 0,4 - 0,9 0,5 - 1,5 1 - 2 2 - 6 N° D'ACIDITA' 0,3 - 1 11,2 0,8 0,3 - 1,8 0,75

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olio di germe di olio di pula di burro di burro di burro di olio di burro di n° C

MAIS RISO BABASSU' CACAO COCCO MANDORLA PALMA BUTIRRICO C4 CAPRONICO C6 0,2 - 0,5 0,3 - 0,8 CAPRILICO C8 4 - 7,5 4,5 - 9,5 tr CAPRINICO C10 4 - 8 4,5 - 9,7 tr LAURINICO C12 44 - 47 44 - 52 tr - 0,1 MIRISTICO C14 tr - 1,7 0,1 - 0,6 15 - 20 13 - 19 tr - 1,3 0,5 - 2,5

MIRISTOLEICO C14:1 PALMITICO C16 8 - 15 12 - 18 6 - 9 24 - 25 7,5 - 13,4 5,5 - 6,5 32 - 48

PALMITOLEICO C16:1 0,2 - 2 0,3 - 0,5 0,1 - 0,2 0,4 - 0,6 0 - 1,2 STEARICO C18 2 - 4,5 1 - 3 3 - 6 34 - 36 1 - 6 2 - 3 1 - 9

OLEICO C18:1 20 - 50 38 - 52 12 - 18 30 - 40 5 - 8 70 - 77 36 - 53 LINOLEICO C18:2 34 - 62 26 - 42 0,3 - 3 1,5 - 4 tr - 2,5 17 - 20 2 - 11

LINOLENICO C18:3 0 - 3 0 - 1,5 tr 0,2 - 0,3 RICINOLEICO C18:1

LICANICO C18:3 ARACHICO C20 0,3 - 0,5 0,4 - 1 0 - 0,4 tr 0,3 - 0,4

GADOLEICO C20:1 0,1 - 0,2 0,4 - 0,5 tr ARACHIDONICO C20:2

BEHENICO C22 tr 0,3 - 0,5 ERUCICO C22:1

CLUPANODONICO C22:2 LIGNOCERICO C24 0,2

AC. Saturi 12-18 16/22 85-87 40-63 90-94 4-5 45-50 Ac. Insaturi 84-88 74/84 13-15 60-37 6-10 95-96 50-55

Peso specifico 15° 0,916 - 0,926 0,918 - 0,928 0,990-0,998 0,912-0,921 Peso specifico 40° 0,907 - 0,909 0,907-0,912 0,897-0,905

Punto fusione grassi -18/-10 21/26 30/35 20/28 38/50 Punto fusione acidi grassi 14/23 27/29 22/24 48/59 20/24 9/14 40/50

Punto solidificazione grassi -10/-15 2 21,5/23 27/29,5 14/23,5 10/21,5 25/40 IND. DI RIFRAZ. 15° 1,469 - 1,474 1,469-1,470 IND. DI RIFRAZ. 40° 1,465 - 1,473 1,449 - 1,451 1,452-1,458 1,448-1,450 1,451-1,459 N° DI SAPONIFICAZ. 187 - 197 179 - 194 247 - 255 188 - 200 250 - 266 185 - 200 195 - 207

N° DI IODIO 103 - 133 92 - 109 10 - 18 35 - 40 6 - 10,5 93 - 108 35 - 88 Acidi grassi liberi 4 5-50 2-8 0,5-1,5 1-10 0,1-3 2-15

INSAPONIFICABILE 0,8 - 3 3 - 5 0,6 0,8 - 2 0,15 - 0,6 0,4 - 1 0,2 - 1 N° D'ACIDITA' 1,37 - 2,02 1,1 - 1,9 2,5 - 10 0,5 - 3,5 10

Parametri strumentali da impostare: Pressione gas: Accensione Regime Azoto (KPa) 50 50 Idrogeno (KPa) 100 50 Aria (KPa) 100 100

Pagina Iniettore(Zone 2) °C Step Temp/°C Time/min Rate(°C/min) Colonna (Oven) °C 1 Detector (Zone 1) °C 2 3 STby Temp STby Time 4 Cooling rate °C min ∞

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burro di olio di semi di olio di semi di olio di semi di olio di semi di olio di semi di Acidi grassi n° C PALMISTI COLZA COTONE RAVIZZONE SESAMO LINO

BUTIRRICO C4 CAPRONICO C6 CAPRILICO C8 tr - 0,4 CAPRINICO C10 3 - 7 tr LAURINICO C12 46 - 52 1,5 tr MIRISTICO C14 14 - 18 0,1 - 0,6 0,3 - 3,3 tr - 0,1 tr

MIRISTOLEICO C14:1 0,1 tr - 0,1 PALMITICO C16 6 - 9 1 - 4 20 - 26 2 - 4,8 7 - 14 6 - 7

PALMITOLEICO C16:1 tr 0,1 - 0,4 0 - 2,1 0,2 - 0,6 0,1 - 0,3 STEARICO C18 1 - 3 1 - 2 1 - 3 1,6 2 - 7 4,5 - 6,5

OLEICO C18:1 10 -19 11 - 31 18 - 35 17 - 20 36 - 50 17 - 26 LINOLEICO C18:2 0,5 - 2,5 11 - 24 44 - 55 13 - 25 35 - 47 13 - 16

LINOLENICO C18:3 1 - 13 0,1 2 - 11 0,2 - 9 45 - 58 RICINOLEICO C18:1

LICANICO C18:3 ARACHICO C20 0,5 - 0,7 tr - 1,3 8,8 0,5 - 0,8

GADOLEICO C20:1 7 - 11 0,1 - 0,2 tr ARACHIDONICO C20:2

BEHENICO C22 0,3 - 1,5 0,1 - 0,2 tr ERUCICO C22:1 25 - 55 48

CLUPANODONICO C22:2 LIGNOCERICO C24 0,1 - 1 tr - 0,3 tr

AC. Saturi 75-83 2-7 21-29 45 13-15 Ac. Insaturi 17-25 93-98 71-79 48 85-87

Peso specifico 15° 0,908-0,918 0,921-0,930 0,918 - 0,922 0,920 - 0,928 0,930 - 0,932 Peso specifico 40° 0,900-0,913

Punto fusione grassi 25/30 -9 -2/2 -4/0 Punto fusione acidi grassi 20/28,5 11/22 30/37 -8/30

Punto solidificazione grassi 24/26,5 -1/-10 -5/5 -8 -3/-4 IND. DI RIFRAZ. 15° 1,470-1,474 1,468-1,472 1,464 - 1,473 1,470 - 1,476 1,478 - 1,485 IND. DI RIFRAZ. 40° 1,449-1,452 N° DI SAPONIFICAZ. 242 - 255 167 - 180 192 - 200 175 - 181 187 - 195 188 - 196

N° DI IODIO 12 - 23 94 - 108 99 - 115 105 - 122 102 - 116 170 - 204 Acidi grassi liberi 0,5-10 2 1-5 5 1-3

INSAPONIFICABILE 0,2 - 1 1 - 2 0,8 - 1,8 1,5 - 1,75 1-2 1 - 2 N° D'ACIDITA' 0,33 - 0,55 0,36 - 1 0,6 - 0,9 2 9,8 1 - 3,5

Parametri strumentali da impostare: Pressione gas: Accensione Regime Azoto (KPa) 50 50 Idrogeno (KPa) 100 50 Aria (KPa) 100 100

Pagina Iniettore(Zone 2) °C Step Temp/°C Time/min Rate(°C/min) Colonna (Oven) °C 1 Detector (Zone 1) °C 2 3 STby Temp STby Time 4 Cooling rate °C min ∞

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olio di semi di olio di olio di olio di sevo di burro di Acidi grassi n° C RICINO ARINGHE SARDINE BALENA BUE LATTE

BUTIRRICO C4 3 - 4 CAPRONICO C6 1 - 1,5 CAPRILICO C8 1 - 1,5 CAPRINICO C10 2 - 3,5 LAURINICO C12 0,1 1,6 0,2 0,1 3,5 - 4,5 MIRISTICO C14 6 - 8 3,5 - 7 4 - 9,3 2,5 - 4,5 11 - 13

MIRISTOLEICO C14:1 0,5 - 0,8 2,3 - 1,9 1,4 - 3,7 1 - 2 1,5 - 2,5 PALMITICO C16 1,5 - 2 12 - 16 10 - 17 8 - 19,6 24 - 32 25 - 30

PALMITOLEICO C16:1 6 - 12 7 - 13 11,6 - 18,3 3 - 7 4 - 5 STEARICO C18 1 - 2 0,1 - 0,5 1,4 - 2 1,4 - 3,5 15 - 25 9 - 12

OLEICO C18:1 5 - 7 2-8 31 - 38 32 - 50 20 - 30 LINOLEICO C18:2 6 - 7 16 - 30 16 - 20 33 - 34 2 - 5 0,3 - 3,4

LINOLENICO C18:3 0,2 - 0,4 1,6 - 5 0,5 0,5 - 3,6 RICINOLEICO C18:1 82 - 88 (*) 0,4 - 0,6 tracce 0,8 0,5 - 1,5

LICANICO C18:3 22 - 30 26 - 27 12 - 19 tracce 1 ARACHICO C20 0,1 - 0,3 2 - 2,5 0,1

GADOLEICO C20:1 0,4 - 0,6 tracce ARACHIDONICO C20:2

BEHENICO C22 19 - 27 10 - 19 6 - 16 ERUCICO C22:1 tracce

CLUPANODONICO C22:2 0-1 4,1 - 7,5 LIGNOCERICO C24 18-24 20 - 27 16-26,5 39 - 47 33 - 37

AC. Saturi 76-82 80 - 83 49-83 Ac. Insaturi 0,920-0,939 0,926-0,934 0,917 - 0,924

Peso specifico 15° 0,958 - 0,970 0,943 - 0,952 0,916-0,922 Peso specifico 40° 15/54

Punto fusione grassi 23/27 27/28 22/27 40/50 20/43 Punto fusione acidi grassi -2 27/38 36/42

Punto solidificazione grassi IND. DI RIFRAZ. 15° 1,475 - 1,479 1,455-1,458 1,453-1,456 IND. DI RIFRAZ. 40° 179-194 190 - 195 160 - 202 190 - 200 210 - 240 N° DI SAPONIFICAZ. 176 - 187 105-155 160-183 80-144 33 - 55 25 - 45

N° DI IODIO 81 - 90 4-7 2-5 0,3 Acidi grassi liberi 1,4-2,3 <2 1,2-2,2 0,31 0,4 - 0,5

INSAPONIFICABILE 0,5 - 1 1,8 - 44 ca. 1,9 0,2 - 0,25 0,45 - 35,4 N° D'ACIDITA' 0,12 - 0,8

Parametri strumentali da impostare: Pressione gas: Accensione Regime Azoto (KPa) 50 50 Idrogeno (KPa) 100 50 Aria (KPa) 100 100

Pagina Iniettore(Zone 2) °C Step Temp/°C Time/min Rate(°C/min) Colonna (Oven) °C 1 Detector (Zone 1) °C 2 3 STby Temp STby Time 4 Cooling rate °C min ∞

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lardo di strutto di olio di fegato di Acidi grassi n° C MAIALE MAIALE MERLUZZO

BUTIRRICO C4 CAPRONICO C6 CAPRILICO C8 CAPRINICO C10 LAURINICO C12 tracce MIRISTICO C14 1 - 3 0,7 - 3 1,4

MIRISTOLEICO C14:1 tr - 0,4 0,2 - 1,7 PALMITICO C16 23 - 28 20 - 30 6,5 - 12

PALMITOLEICO C16:1 0,5 - 4 8 - 20 STEARICO C18 7 - 18 8 - 18,8 0,5 - 2

OLEICO C18:1 41 - 58 40 - 58 LINOLEICO C18:2 3 - 14 3 - 14 25 - 31

LINOLENICO C18:3 0,7 tr - 1 RICINOLEICO C18:1 tr - 0,5

LICANICO C18:3 tracce tracce 26 - 31 ARACHICO C20 0,1 - 2 tr - 0,4

GADOLEICO C20:1 ARACHIDONICO C20:2

BEHENICO C22 10 - 22 ERUCICO C22:1

CLUPANODONICO C22:2 LIGNOCERICO C24 28 - 35 10 - 22

AC. Saturi 78 - 88 Ac. Insaturi 0,923-0,930 0,922 - 0,931

Peso specifico 15° 0,931-0,938 Peso specifico 40° 33/48

Punto fusione grassi 32/47 Punto fusione acidi grassi 26/36

Punto solidificazione grassi 1,471-1,474 IND. DI RIFRAZ. 15° IND. DI RIFRAZ. 40° 195 - 203 190 - 194 205 - 212 N° DI SAPONIFICAZ. 32 - 77 111 - 146 155-175

N° DI IODIO 1 Acidi grassi liberi 0,9 2 - 5 0,54 - 2,68

INSAPONIFICABILE 0,5 - 0,8 5,6 N° D'ACIDITA'

Parametri strumentali da impostare: Pressione gas: Accensione Regime Azoto (KPa) 50 50 Idrogeno (KPa) 100 50 Aria (KPa) 100 100

Pagina Iniettore(Zone 2) °C Step Temp/°C Time/min Rate(°C/min) Colonna (Oven) °C 1 Detector (Zone 1) °C 2 3 STby Temp STby Time 4 Cooling rate °C min ∞

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8.7. La bilancia idrostatica Questa bilancia idrostatica ha una sensibilità alla quinta cifra decimale e consente di determinare direttamente: •••• la densità relativa d20/20 di un liquido; •••• la massa volumica di un liquido a 20°C mediante un semplice calcolo. Utilizzando apposite tabelle è inoltre possibile determinare: • il grado Baumé, il grado Babo, il grado Brix ed il grado Oechsle di un mosto; • il TAV (tilolo alcolometrico volumico) di un vino o di una bevanda spiritosa; • l’estratto secco totale di un mosto o di un vino. 8.7.1. Descrizione della bilancia 1 Pomello pescante 2 Cilindro e pescante 3 Tappetino in gomma 4 Tastiera 5 Alimentatore 6 Spina alimentatore 7 Pomello centra cilindro 8 Centra cilindro 9 Manopola di blocco per trasporto 10 Termosonda 11 Piedini regolazione bolla La tastiera dispone di due display e tre tasti. Sul display di sinistra compare la temperatura letta dalla termosonda, mentre quello di destra visualizza: (a) la densità con i parametri di funzionamento standard; (b) i messaggi per l’utente; (c) i parametri selezionati con i tasti: [+] [MODE] [-] 8.7.2. Accensione della bilancia Quando si collega la bilancia alla corrente compaiono sul display di destra i seguenti messaggi:

dx-xx con x-xx dei numeri che indicano la versione del software installata; �

HELLO dopo circa 2 secondi; �

rECAL lampeggiante indica la prima fase di calibrazione; �

LOAd e CALC in sequenza indicano la seconda fase di calibrazione; �

000 Indica la condizione di zero dello strumento; �

-000 o +000 Indica che si trova nei pressi dello zero ma và azzerato manualmente;

Dopo 10 minuti di riposo lo strumento avvia automaticamente la calibrazione, durante la quale non è possibile usarlo. Analogamente, nei primi 10 minuti dall’accensione lo strumento effettua una calibrazione ogni minuto e non è conveniente usarlo. Attenzione:

(a) Durante la calibrazione non attaccare il pescante al pomello (1). (b) effettuare le misure solo in condizioni di zero dello strumento.

8.7.3. Determinazione della densità relativa d20/20 di un liquido La determinazione và effettuata a 20°C esatti, per cui il liquido da esaminare và portato preventivamente a questa temperatura utilizzando un bagno termostatico. Si opera nel seguente modo:

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1. Degasare i campioni ricchi di CO2, mediante agitazione, filtrazione sotto vuoto o in bagno ad ultrasuoni; 2. Riempire il cilindro (2) con il liquido fino al livello indicato (70 ml); 3. Immergere la termosonda (10) nel liquido; 4. Immergere il pescante (pulito e asciutto) nel liquido; 5. agitare per qualche secondo il pescante nel liquido lentamente con

movimento circolare per uniformare la temperatura, prestando attenzione a non creare bolle d’aria che falserebbero la misura;

6. raggiunti i 20°C effettuare la misura nel seguente modo: a) spingere il cilindro contro l’apposito centra cilindri (8); b) attendere che lo strumento si porti sullo zero da solo (indicando 000 sul

display), se ciò non si verificasse effettuare l’operazione manualmente con il tasto [-];

c) appendere il pescante alla sospensione (1) e regolare i pomelli centra cilindri (7 e 8) in modo che non tocchi le pareti del cilindro o la termosonda;

d) leggere sul display la densità relativa del liquido in esame; 7. Al termine della misura riporre il pescante pulito e asciutto nell’apposito gancio (2); 8.7.4. Determinazione della massa volumica di liquido a 20°C Per ricavare la massa volumica di un liquido a 20°C basta moltiplicare la densità relativa letta sul display per la massa volumica dell’acqua a 20°C, ossia 0,998203 Kg/l. 8.7.5. Correzione del pescante in uso Con questa procedura si corregge la risposta del pescante in modo che tutti i pescanti diano la medesima risposta nelle medesime condizioni. Per questo di usa un liquido a densità nota come l’acqua distillata o soluzioni idroalcoliche a titolo noto. La correzione avviene da tastiera, controllando la corrispondenza tra valore letto e valore teorico. E’ consigliabile eseguire questa operazione di correzione con regolarità. Si opera nel seguente modo: 1. Riempire il cilindro (2) con il liquido a densità nota ed eseguire la misura; 2. Se il valore letto corrisponde al teorico allora siamo in condizioni ideali ed il pescante non richiede nessuna

correzione. Se il valore letto risulta diverso si deve eseguire la seguente correzione: a) Togliere il pescante dalla sospensione di misura; b) Premere il tasto [MODE] fino a comparsa sul display del messaggio “CorrP”; c) Confermare con il tasto [+] d) Sul display riappare “000”; e) Appendere il pescante alla sospensione e sul display riappare la densità misurata con un puntino alla sua destra

che indica che è attiva la modalità di correzione; f) Utilizzare i tasti [+] e [-] per modificare il valore di densità letto fino a farlo coincidere con il teorico; g) La correzione rimane memorizzata anche se si spegne lo strumento; h) Liberare la sospensione dal pescante e uscire dalla procedura di correzione premendo il tasto [MODE]; i) Sul display appare la scritta “CorrP” e premere il tasto [-];

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9. Determinazione Gas-cromatografica alcoli Questa esperienza consiste nell’analizzare una miscela di alcoli tramite gascromatografia ed eseguire la determinazione quantitativa dei componenti con due modalità diverse: secondo il metodo dello standard esterno e con quello dello standard interno. In questo modo sarà possibile confrontare fra loro i dati ottenuti nei due metodi. In particolare si analizzeranno metanolo ed etanolo e si utilizzerà il propanolo come standard interno. Per semplicità si preparano gli standard in modo che possano essere usati contemporaneamente per entrambi i metodi per risparmiare sul numero di iniezioni allo strumento.

9.1. Preparazione degli standard e del campione Si preparano due punti per la retta di taratura, lavorando in % massa/volume. Per questo si pesano direttamente su bilancia a 3 decimali in pallone tarati da 100 ml le quantità indicate nella seguente tabella e si porta a volume con acqua bidistillata. Anche il pallone deve essere preventivamente lavato con la stessa acqua.

Metanolo Etanolo Propanolo Pallone circa Pesata esatta circa Pesata esatta circa Pesata esatta Volume finale

1° standard 0,5 g g 0,5 g g 0,5 g g 100 ml 2° standard 1,0 g g 1,0 g g 0,6 g g 100 ml 3° standard 1,5 g g 1,5 g g 0,7 g g 100 ml Campione 0,5 g g 100 ml

Il campione si prepara in maniera simile: si pesano in un matraccio da 100 ml, in maniera esatta, circa 0,5 g di propanolo, si introduce il nostro campione e si porta a volume con acqua bidistillata. In questo modo il propanolo si utilizza come standard interno.

9.2. Esecuzione dell’analisi Si prepara lo strumento [Gas-cromatografo FISONS GC 9000] impostando i parametri riportati nelle tabelle seguenti. Il rapporto di splittaggio è circa di 1:30 e si iniettano, in successione, 0,5 µl dei due standard ed del campione e si ricavano le aree dei picchi dei vari componenti (in unità di misura arbitrarie). 9.2.1. Parametri strumentali da impostare: Pressione gas: Accensione Regime Azoto (KPa) 50 50 Idrogeno (KPa) 100 50 Aria (KPa) 100 100

All’accensione si attiva automaticamente la pagina 0 che presenta temperature molto basse per salvaguardare eventuali incidenti. Per eseguire le analisi utilizzare le altre pagine:

Pagina 2 Iniettore(Zone 2) 150°C Step Temp/°C Time/min Rate(°C/min) Colonna (Oven) 50°C 1 50 3 10 Alcooli Detector (Zone 1) 150°C 2 150 5 0 3 150 0 0 STby Temp STby Time 4 150 0 Cooling rate 50 °C 1 min ∞

N.B.: Prima di partire controllare l’autozero del detector che deve essere tra 100 e 1000. Classe 5C 5D 5E

Operatore 5C 5D

Group 5°C_ALCOOLI 5D ALCOLI

Directory C:\GC\5C\5C_ALCOOLI C:\GC\5D\5D_ALCOLI

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9.2.2. Software di acquisizione dati: (a) Aprire il programma “Hercule Supervisor” che comanda l’interfaccia di acquisizione del segnale;

(b) Aprire il programma “Jasco Borwin” che consente di acquisire il cromatogramma;

(c) Inserire operatore e group. Questo consente di salvare tutti i dati nella stessa directory;

(d) Si apre ora il programma con menu a tendine che consente di acquisire ed elaborare i cromatogrammi. In particolare si deve inizialmente controllare la “costanza” della linea di base prima di iniziare la nostra analisi. Si seleziona il menu: [Run]�[Monitor baseline]�[On system GC_9000] Compare ora la seguente tendina nella quale fissare solo la durata dell’osservazione della linea di base e far partire l’acquisizione con [RUN] (e) Per iniettare gli standard o i campioni si parte dallo stesso menu: [Run]�[Start single run… ]�[On system GC_9000] Compilare i riquadri e far partire l’analisi con [RUN] (f) Per impostare i parametri di integrazione dei picchi utilizzare il menu: [Peaks]�[Peaks Parameters…]

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Ae

Ce

Am

Cm

Ae/Ap

Ce/Cp

Am/Ap

Cm/Cp

9.3. Elaborazione dei dati

Dai dati ricavati dai cromatogrammi, da riportare nella seguente tabella, si possono costruire due differenti rette di taratura a seconda del tipo di metodo che si utilizza: standardizzazione esterna o standardizzazione interna.

Metanolo Etanolo Propanolo Soluzione Area Concentrazione Area Concentrazione Area Concentrazione 1° standard 2° standard 3° standard campione

9.3.1. Standardizzazione esterna

Questa è la classica retta di taratura utilizzata anche nell’analisi spettrofotometrica. Si riportano le aree dei picchi degli standard in funzione delle loro concentrazioni e si costruisce una retta per ogni componente. In questo caso i dati del propanolo sono superflui. Dai valori delle aree dei picchi del campione si ricavano poi, tramite le due rette, le concentrazioni del metanolo e dell’etanolo.

Metanolo Etanolo Soluzioni Area Conc. Area Conc. 1° standard Am

1 Cm1 Ae

1 Ce1

2° standard Am2 Cm

2 Ae2 Ce

2 3° standard Am

3 Cm3 Ae

3 Ce3

Campione Amx Cm

x Aex Ce

x 9.3.2. Standardizzazione interna

Si calcolano i rapporti tra le aree del componente (metanolo ed etanolo) e quella dello standard interno (propanolo) e si fa lo stesso con le concentrazioni. Con questi dati si costruiscono le due rette di taratura, una per ogni componente. Si calcolano ora i rapporti tra le aree per il campione e tramite le rette si risale al rapporto tra le concentrazioni. Conoscendo ora la quantità di propanolo aggiunto nel campione si calcolano le concentrazioni di metanolo ed etanolo nel campione.

Metanolo Etanolo Propanolo Soluzioni Area Conc. A/ASI C/CSI Area Conc. A/ASI C/CSI Area Conc. 1° standard Am

1 Cm1 Am

1/Ap

1 Cm1/C

p1 Ae

1 Ce1 Ae

1/Ap

1 Ce1/C

p1 Ap

1 Cp1

2° standard Am2 Cm

2 Am2/A

p2 Cm

2/Cp

2 Ae2 Ce

2 Ae2/A

p2 Ce

2/Cp

2 Ap2 Cp

2 3° standard Am

3 Cm3 Am

3/Ap

3 Cm3/C

p3 Ae

3 Ce3 Ae

3/Ap

3 Ce2/C

p3 Ap

3 Cp3

Campione Amx Cm

x Amx/A

pc Cm

x/Cp

c Aex Ce

x Aex/A

pc Ce

x/Cp

c Apc Cp

c

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10. Analisi delle acque Per quanto riguarda la classificazione e l’introduzione all’analisi delle acque si rimanda al libro di testo (Analisi Chimica Strumentale e Tecnica, Amandola Terreni, le pagine ve le cercate così fate qualcosa anche voi!); vogliamo qui trattare solo alcuni aspetti pratici di questo tipo di analisi e riportare i parametri da eseguire suggerendo le tecniche più adatte.

10.1. Aspetti generali Nella società moderna, l’acqua si è trasformata da risorsa naturale in un bene indispensabile per lo sviluppo dei settori economici e produttivi e per il mantenimento d’adeguati livelli di qualità della vita. Il crescente consumo d’acqua è conseguente allo sviluppo economico-sociale e la sua disomogenea distribuzione sul pianeta determina disparità di crescita e di benessere. Le frequenti crisi idriche, con conseguenze pesanti sull’approvvigionamento e sulle attività produttive, hanno posto fine all’illusione di una disponibilità illimitata del bene acqua. Il governo delle acque è diventato da tempo una delle preoccupazioni maggiori della comunità internazionale e per attuarlo occorrono politiche basate sul principio che l’acqua è una risorsa da impiegare con criteri economici nell’interesse di tutti. L’Italia ha recepito questa impostazione nell’89 (legge 183) che si prefigge lo scopo di coordinare le diverse politiche settoriali riguardanti il ciclo dell’acqua, la difesa del suolo, il risanamento e la tutela delle acque dall’inquinamento, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi necessari ad un razionale sviluppo economico-sociale. Il territorio italiano è stato così suddiviso in bacini, alcuni di valenza nazionale, ed altri di rilievo interregionale o regionale. Il bacino maggiore è quello del Po che contribuisce per il 40% alla formazione del prodotto interno lordo, serve una popolazione di circa 16 milioni d’abitanti ed allevamenti zootecnici per più di 4 milioni di bovini e più di 5 milioni di suini corrispondenti, rispettivamente, al 48% ed al 55% del totale nazionale. Il prelievo per il fabbisogno idropotabile avviene per l’82% da falde sotterranee, il 15% da sorgenti e solo il 3% da acque superficiali. Il volume medio delle precipitazioni in Italia (~1000 mm/anno) è nettamente superiore alla media europea (650 mm/anno) e mondiale (730 mm/anno); però, per effetto delle elevate variazioni delle precipitazioni stagionali e dei rilevanti deflussi conseguenti ad un territorio prevalentemente montuoso e collinare, c’è una perdita di circa il 50% per evapotraspirazione ed infiltrazione ed un ulteriore 15% inutilizzabile per motivi tecnici di varia natura. Non sono insignificanti anche le perdite di rete, cioè le dispersioni d’acqua negli acquedotti. Al fine di mantenere in equilibrio il bilancio tra domanda ed offerta è necessario tenere conto delle fluttuazioni tra i regimi pluviometrici, le stagioni e le regioni. Conseguentemente la domanda negli anni secchi può essere affrontata con il “trasferimento” d’acqua dagli anni umidi attraverso la rete d’invasi. Questi però costano, deturpano e possono creare problemi anche molto gravi. Occorre contenere la domanda riducendo i consumi agricoli, domestici ed industriali col recupero delle acque usate e con innovazioni tecnologiche dei cicli produttivi verso una minore idroesigenza. Al tempo stesso è necessario realizzare una più efficace tutela della qualità delle acque che si basi sullo studio delle trasformazioni che essa subisce sia naturalmente che per effetto dell’uomo. 10.1.1. Il ciclo dell’acqua e le alterazioni provocate dalle attività antropiche In natura possiamo trovare l’acqua nei mari, nei fiumi, nei laghi, nel sottosuolo, negli esseri viventi e nell’atmosfera sotto forma di umidità e nuvole. Queste varie forme sono fra loro interscambiabili ed in equilibrio grazie all’azione del sole. L’acqua degli oceani e dei mari evapora per effetto dell’energia termica fornita dal sole, passa nell’atmosfera e costituisce le nuvole che, trasportate dal vento si spostano sulla terraferma, dove possono cadere sotto forma di pioggia o neve. In questo processo l’acqua viene a contatto con vari gas e si satura di O2, N2 e CO2 e acquisisce carattere acido per la seguente reazione:

CO2 + H2O � H2CO3 � H+ + HCO3¯

Una parte dell’acqua resta in superficie (fiumi e laghi), mentre la restante penetra nel sottosuolo, dal quale può riemergere con le sorgenti. Sia le acque superficiali che quelle sotterranee tornano ai mari per ricominciare il ciclo.

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A contatto col terreno, l’acqua ne scioglie dei costituenti arricchendosi così di componenti che vengono invece persi durante l’evaporazione. L’analisi delle acque si divide in due filoni distinti, per tipologia di analiti cercati e obiettivi perseguiti: acque potabili e di scarico. Questa suddivisione è sostenuta anche dalla legislazione che prevede norme distinte per le due categorie. Data la grande importanza per la vita l’analisi delle acque è rigidamente vincolata dalla legislazione; l’analista, che debba quindi trattare un campione di acqua non può prescindere dalla conoscenza della normativa che prevede non solo i metodi di campionamento, i parametri da determinare e le metodiche da utilizzare, ma anche la frequenza delle determinazioni. Una raccolta dei metodi analitici previsti dalla norma, è curata dall’I.R.S.A. (Istituto di Ricerca sulle Acque). Particolare attenzione deve essere data al campionamento: dato che l’acqua è un sistema estremamente dinamico, nel quale gli “equilibri chimici” non sono bloccati come ad esempio nelle leghe, una scorretta conservazione del campione può provocare una sua significativa alterazione che ne cambia la composizione chimica. A questo proposito riportiamo una tabella ricavata dalle norme I.R.S.A. che riporta il contenitore da usare e il tempo massimo entro cui eseguire l’analisi per i parametri più comuni.

Parametro Contenitore consigliato Procedimento di stabilizzazione Intervallo massimo

tra prelievo e analisi Alcalinità e acidità Polietilene o vetro Refrigerazione a 4 °C 24 ore

Azoto ammoniacale Polietilene, polipropilene o vetro

40 mg di HgCl2 per litro di campione e refrigerazione a 4 °C 24 ore

Azoto nitroso e nitrico Polietilene, polipropilene o vetro

40 mg di HgCl2 per litro di campione e refrigerazione a 4 °C 24 ore

Azoto organico Vetro 40 mg di HgCl2 per litro di campione e refrigerazione a 4 °C 24 ore

BOD Vetro Refrigerazione a 4 °C 24 ore Boro Polietilene 5 ml di HNO3 1:1 per litro di campione 1 settimana

Calcio Polietilene o vetro Non necessario 1 settimana

Cianuri Polietilene Portare a pH 11 con NaOH 10 % e refrigerazione a 4 °C 24 ore

Cloro Vetro scuro Refrigerazione a 4 °C 12 ore

Cloruri Polietilene Portare a pH 11 con NaOH 10 % e refrigerazione a 4 °C 1 settimana

COD Vetro Refrigerazione a 4 °C, acidificare a pH 1-2 con H2SO4 conc.

6-24 ore (acidificare dopo le 6 ore)

Conducibilità Polietilene o vetro Non necessario 1 settimana Durezza Polietilene o vetro Non necessario 1 settimana Floruri Polietilene Portare a pH 11 con NaOH 10 % 1 settimana

Fosfati Vetro o polietilene Filtrare sul posto, portare a pH 1-2 con HCl conc e refrigerare 4 °C 24 ore

Mercurio Vetro pirex 5 ml di KMnO4 5% + 10 ml di HNO3

conc. per litro di campione e refrigerazione a 4 °C

1 settimana

Metalli totali Polietilene Addizionare 5 ml di HNO3 conc. per litro di campione 6 mesi

Ossigeno disciolto Vetro Fissare l’O2 sul posto e completare l’analisi in laboratorio 24 ore

pH Polietilene o vetro Refrigerazione a 4 °C 24 ore Potassio Polietilene Non necessario 1 settimana Sodio Polietilene Non necessario 1 settimana

Solfati Polietilene o vetro 5 ml di CH3COOH + 5 ml di formaldeide al 40 % per litro di campione 1 settimana

Tensioattivi Vetro 20 mg di HgCl2 per litro di campione 24 ore

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10.2. Parametri acque di scarico L’analisi delle acque di scarico ha come obiettivo la quantificazione del carico inquinante dell’acqua stessa e la valutazione del lavoro necessario per la sua “stabilizzazione” (da parte di un depuratore o di un corpo idrico che la riceverà). Per questo motivo vengono determinati alcuni parametri comuni a tutti i campioni ed altri specifici, scelti in base alla provenienza del campione: ad esempio sarà inutile cercare il cromo nelle acque di scarico di un macello mentre sarà obbligatorio cercarlo nello scarico di un industria galvanica. Risulta quindi difficile fare un elenco generale di parametri determinati sulle acque di scarico. Di seguito riportiamo un elenco dei parametri più comuni determinati su questi campioni:

Parametro Tipo Tipo di determinazione Da eseguire pH Potenziometrica Temperatura Termometro Conducibilità Conduttometrica BOD5 Titolazione red-ox o monometrico COD Titolazione red-ox Solidi Sedimentabili Cono Imhof Solidi Sospesi

Generali

Gravimetrica Azoto ammoniacale Colorimetrica (con distillazione) Azoto nitroso Colorimetrico Azoto organico Kjeldhal Cloruri Potenziometrica o argentometrica Fenoli Colorimetrica Metalli pesanti (da scegliere) Spettrofotometrica (AAS) Ossigeno disciolto Titolazione red-ox Sostanze organiche (da scegliere)

Specifici

Tecniche cromatografiche 10.2.1 B.O.D.5 La quantità di ossigeno richiesta dall’acqua per depurarsi attraverso un attacco biologico a carico delle materie organiche presenti è un metodo per stabilire il grado di inquinamento dell’acqua. La misura di questa quantità di ossigeno richiesta è il B.O.D. (Biochemical Oxygen Demand) e si registra su cinque giorni di ossidazione.

Esistono diversi metodi per determinare il B.O.D.5 riconducibili a due filoni principali:

1. determinazione estemporanea dell’ossigeno nella condizione iniziale e dopo cinque giorni di ossidazione biologica. La differenza fra i due valori corrisponde all’ossigeno consumato nel processo di depurazione. La quantità di ossigeno può essere determinata con il metodo di Winkler o misurata con elettrodi specifici. Gli aspetti teorici legati a questa determinazione sono illustrati sul libro di testo (Analisi Tecniche – Amandola Terreni) a pag XXX e seguenti.

Di seguito riportiamo solo la metodica della preparazione delle soluzioni necessarie, mentre rimandiamo al testo per le spiegazioni teoriche.

Soluzione di Mn2+ (A): 60 g di MnSO4*H2O in 100 ml di acqua distillata (attenzione, si decompone per riscaldamento, la dissoluzione è lenta). Soluzione alcalina (B): 33g di NaOH, 53 g di NaI e 0,5 g di NaN3 in 1 litro di soluzione (prepararne 500ml) Preparazione dell’acqua di diluizione per il BOD5: per preparare 1 litro di acqua di diluizione prendere 1 ml di ognuna delle seguenti soluzioni e portare ad 1 litro con acqua distillata. Soluzione tampone a pH 7,2: 8,5 g di KH2PO4, 21,7 g di K2HPO4, 33,4 g di Na2HPO4*7H2O, 1,7 g di NH4Cl per 1 litro di soluzione (prepararne 500ml) Soluzione di Mg2+: 22,5 g di MgSO4*5H2O per 1 litro di soluzione (prepararne 100 ml) Soluzione di Ca2+: 27,5 g di CaCl2 per 1 litro di soluzione (prepararne 100 ml) Soluzione di Fe3+: 0,25 g di FeCl3 per 1 litro di soluzione (prepararne 500 ml) 2. monitoraggio continuo con metodo manometrico e registrazione del valore finale dopo cinque giorni.

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10.2.1.1. Determinazione manometrica Quando, in una bottiglia, si introduce una certa aliquota di campione di acqua da analizzare con la propria carica batterica (o un apposito inoculo) si crea un sistema costituito da acqua, flora batterica ed aria in cui si innesca una reazione del tipo:

Sostanza organica + O2 Batteri oligoelementi

CO2 + H2O + energia

Inizia quindi il consumo dell’ossigeno disciolto nell’acqua con la sua contemporanea sostituzione a carico dell’ossigeno presente nell’aria sovrastante il campione. La diminuzione di pressione che ne deriva è rilevabile direttamente dal manometro a mercurio collegato alla bottiglia. L’anidride carbonica sviluppata viene sottratta al sistema grazie ad una piccola quantità di KOH introdotta nel contenitore posto nel tappo della bottiglia. Le cinetiche di reazione sono molto influenzate dalla temperatura che deve essere mantenuta a 20°C ± 1°C, tale condizione si ottiene ponendo il sistema all’interno di un frigo – termostato. Durante la reazione il sistema è tenuto in costante e blanda agitazione. A fianco del manometro differenziale si possono porre cinque scale diverse che corrispondono alle diverse aliquote di campione poste nei contenitori; le scale sono già tarate in unità di BOD (ppm di O2). La lettura può essere effettuata dopo cinque giorni, ma anche monitorata in continuo. Procedura 1. Regolare il termostato su 20°C 2. Dosare i campioni ed introdurli nelle bottiglie. I

dosaggi indicati dalle scale sono: 100 ml, 150 ml, 200 ml, 250 ml e 400 ml.

3. Mettere in ogni bottiglia un’ancoretta magnetica. 4. Preparare una soluzione satura di KOH (circa 2 M o 110g per 100 ml d’acqua). 5. Ingrassare con vaselina le guarnizioni dei tappi. 6. Inumidire con un po’ di soluzione di idrossido di potassio un piccolo batuffolo di cotone posto nel cestello del

tappo della bottiglia (NB. se parte della KOH cade nel campione la bottiglia deve essere vuotata, lavata e ripreparata).

7. Sistemare le bottiglie ancora aperte sulla base dello strumento. 8. Avvitare le scale corrispondenti ai prelievi di campione vicino ai manometri differenziali. 9. Azionare l’agitazione e porre la base all’interno del frigo – termostato. 10. Appoggiare i tappi sulle bottiglie, senza chiuderle. 11. Aspettare 30 minuti per il condizionamento del sistema. 12. Trascorso questo periodo chiudere le bottiglie con i tappi, collegare i tappi ai manometri e chiudere i tappi dei

manometri. 13. Posizionare lo zero delle scale in corrispondenza del livello del mercurio nei manometri. Dopo cinque giorni è possibile leggere il valore del BOD5; si può monitorare il procedere della reazione controllando il modificarsi del livello di mercurio nei manometri. L’analisi delle acque di scarico ha come obiettivo la quantificazione del carico inquinante dell’acqua stessa e la valutazione del lavoro necessario per la sua “stabilizzazione” (da parte di un depuratore o di un corpo idrico che la riceverà). Per questo motivo vengono determinati alcuni parametri comuni a tutti i campioni ed altri specifici, scelti in base alla provenienza del campione: ad esempio sarà inutile cercare il cromo nelle acque di scarico di un macello mentre sarà obbligatorio cercarlo nello scarico di un industria galvanica. Risulta quindi difficile fare un elenco generale di parametri determinati sulle acque di scarico.

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10.3. Parametri acque potabili L’analisi delle acque potabili ha come obiettivo principale la quantificazione della “qualità” dell’acqua destinata al consumo umano e l’eventuale ricerca di sostanze dannose per l’uomo. Questo comporterebbe la ricerca di un gran numero di sostanze che, nella maggior parte dei casi risulterebbero assenti (per quanto riguarda quelle dannose all’uomo). Quindi in realtà si ricercano usualmente i componenti più comuni e ogni tanto si controllano anche quelli più pericolosi che di solito sono assenti come arsenico, cianuri, mercurio, ecc. Di seguito riportiamo un elenco dei parametri più comuni determinati sulle acque potabili:

Parametro Tipo Tipo di determinazione Da eseguire Acidità e basicità Titolazione acido-base Alcalinità Titolazione acido-base pH Potenziometrica Temperatura Termometro Conducibilità Conduttometrica Durezza

Generali

Titolazione complessometrica Azoto ammoniacale Colorimetrico Azoto nitroso Colorimetrico Azoto nitrico Colorimetrico Calcio Titolazione complessometrica Cloruri Potenziometrica o argentometrica Fenoli Colorimetrica Ferro Colorimetrica o AAS Fosfati Colorimetrica Magnesio Titolazione complessometrica Metalli pesanti (da scegliere) Spettrofotometrica (AAS) Ossigeno disciolto Titolazione red-ox Anioni Cromatografo ionico Sodio AAS Solfati Turbidimetrici Tensioattivi Colorimetrico Sostanze organiche (da scegliere)

Specifici

Tecniche cromatografiche

10.3.1. Determinazione degli anioni per via cromatografica Questo è l’elenco sintetico delle operazioni necessarie per utilizzare eseguire l’analisi degli anioni nelle acque potabili con il cromatografo ionico DIONEX ICS-900. 10.3.1.1. Preparazione delle soluzioni necessarie Miscela eluente: soluzione di Na2CO3 8mM e NaHCO3 1mM. In becher da 250 ml pesare 8,500 g di Na2CO3 e 0,840 g di NaHCO3, portare a 100 ml con acqua distillata (90,66 g). Questa soluzione va diluita 100 volte prima dell’uso (20 ml direttamente nella bottiglia da 2 litri dello strumento) Soppressore: soluzione di H2SO4 72 mN. Preparare una soluzione di H2SO4 7,2 N in acqua distillata da diluire 100 volte prima dell’uso (20 ml direttamente nella bottiglia da 2 litri dello strumento) 10.3.1.2. Sequenza di operazioni da eseguire sullo strumento

Accendere lo strumento almeno 2 ore prima per stabilizzare la pressione, il flusso e la linea di base. Se lo strumento è fermi da alcuni giorni o sono state cambiate le soluzioni eseguire inizialmente un PURGE per eliminare le eventuali bolle d’aria. Preparare il metodo copiando da uno vecchio i due file per la regolazione dello strumento e l’elaborazione dei risultati e selezionando come visualizzazione dei risultati il file: ANION REPORT DEFAULT. Importante: ricordarsi di degasare in bagno ad ultrasuoni tutte le soluzioni (sia standard che campioni) prima di iniettarle nello strumento.

Comp T ritenz. Toll % standard 1 (ppm) standard 2 (ppm) standard 3 (ppm) Cl- 10 10 20 30

NO3- 10 15 30 45

SO42- 10 10 20 30

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11. Determinazione del rame nei vini Il rame può essere determinato in una matrice complessa quale quella dei vini tramite spettroscopia di assorbimento atomico con fornetto di grafite. Questo è necessario sia a causa della bassa concentrazione di rame nel campione che per la presenza di sostanze organiche presenti nella matrice in grado di influenzare l’atomizzazione e quindi l’assorbanza del campione. Per eseguire quindi l’analisi in maniera corretta o si procede con un attacco del campione per eliminare le sostanze organiche e lettura in AAS in fiamma, oppure sfruttando la possibilità offerta dal fornetto di grafite di modulare la fase di atomizzazione sempre allo scopo di eliminare le sostanze interferenti.

11.1. Regolazioni strumentali Rispetto agli step previsti dallo strumento per l’analisi del Cu si deve aggiungere un incenerimento a 800 °C per circa 10 secondi al fine di eliminare parte delle sostanze organiche in grado di alterare la lettura. A causa dell’elevata sensibilità dello strumento per questa analisi è indispensabile LAVARE molto bene la vetreria e utilizzare acqua bidistillata per la preparazione delle soluzioni e la diluizione del campione. Preparare una soluzione standard di rame a circa 40 ppb da utilizzare per la retta di taratura; Volume di iniezione da 20 a 30 �l; Calcolare 3 punti della retta con concentrazione max. 40 ppb, scelti in base ai prelievi dell’autocampionatore; Diluire il campione da una concentrazione presunta iniziale compresa fra 1 e 2 ppm a 20/30 ppb; Tipo / modo campionamento Automiscelazione Misura Peak height Repliche 2

Regolazione fornetto Step T/°C Time Flow Gas Misura

1 85 5 0,3 N 2 95 40 0,3 N 3 120 10 0,3 N 4 800 9 0,3 N 5 800 1 0,3 N 6 800 2 0 N S 7 2300 0,8 0 N R S 8 2300 2,0 0 N R S 9 2300 2,0 0,3 N S

Regolazione autocampionatore Concentrazione Standard: 10 / 20 / 40 ppb Volume iniezione 20 µl

Soluzione Concentrazione Blank Bulk Cal zero 0 20 0

Std 1 10 15 5 Std 2 20 10 10 Std 3 40 0 20

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12. Analisi prodotti alimentari L’analisi dei prodotti alimentari è certamente una delle più complesse che un chimico deve affrontare, sia per la complessità della matrice (contenente sia composti organici che inorganici in rapporti diversi a seconda dell’alimento) che per la grande varietà di componenti da determinare. Per questo motivo qui presenteremo solo una raccolta di metodiche semplici che permettano una carrellata su alcuni alimenti scelti. Per gli aspetti generali relativi all’attacco rimandiamo al capitolo 2 della seguente dispensa.

12.1. Il Vino e il mosto

Il vino è il prodotto di origine antichissima, tipico dell’area Tabella 12.1: Composizione media dei vini Componente Quantità Acqua 80-94 % Alcool etilico 9-18 % v/v Estratto secco (zuccheri esclusi) 15-45 g/l Acidità totale (in acido tartarico) 4-15 g/l Glicerina (in % su alcool) 6-14 % Metanolo (in % su alcool) 0,25 % Alcoli superiori 160-500 mg/l Acetaldeide 40-120 mg/l

del mediterraneo, che si ottiene dalla fermentazione alcolica totale o parziale dell’uva fresca, ammostata o del mosto d’uva. E’ classificabile quindi come bevanda alcolica con un tenore di alcool, espresso in gradi alcolici ossia % v/v, che varia solitamente tra i 10 e i 18°. Il mosto d’uva non è altro che il succo ottenuto dalla pigiatura dell’uva. Per fermentazione alcolica si intende una serie di reazioni chimiche, catalizzate da lieviti, che trasformano gli zuccheri in alcool etilico, CO2 e altre sostanze caratteristiche in grado di fornire al fermentato particolari aromi e sapori.

Acido acetico 400-1000 mg/l

12.1.1. L’uva La materia prima principale per la produzione del vino è l’uva, ovvero il frutto della Vite, i cui grappoli sono costituiti dagli acini legati al graspo (parte legnosa). Nell’acino possiamo individuare tre zone:

(a) pericarpo (buccia): la parte più esterna che contiene polifenoli (tannini e coloranti) e sostanze aromatiche (terpèni); è ricoperto da una sostanza cerosa, la pruìna, che contiene alcuni lieviti detti starter utili alla fermentazione;

(b) mesocarpo (polpa): la zona intermedia che è costituita da acqua zuccheri e acidi distribuiti in maniera non omogenea;

(c) endocarpo (semi): la zona interna che contiene i vinaccioli (semi) carichi di olio e tannini. Figura 12.1: Acino d’uva.

La composizione dell’acino (in particolare della polpa) varia durante il suo ciclo di vita ed in particolare durante la maturazione si ha un aumento degli zuccheri e una diminuzione degli acidi organici (responsabili del tipico sapore della frutta acerba). Il momento in cui procedere con la vendemmia (la raccolta dei grappoli) è determinato appunto in base al tenore di zuccheri e di acidi residui che si vuole ottenere nell’uva e che influenzerà notevolmente la successiva fermentazione. Maggiore sarà il tenore di zuccheri presenti nell’uva, e quindi nel mosto, maggiore sarà la possibilità di produrre durante la fermentazione alcool etilico, quindi aumentare il grado alcolico. Bisogna però evitare una eccessiva maturazione dei grappoli perché questo rende l’uva più soggetta all’attacco dei parassiti con conseguente scadimento delle sue caratteristiche qualitative.

Una volta raccolti i grappoli d’uva si procede direttamente alla vinificazione, ovvero a quella serie di operazioni che ci permettono di ottenere prima il mosto (il succo d’uva) e poi il vino vero e proprio. A seconda di come eseguo la vinificazione posso impartire al vino caratteristiche differenti, in particolare possiamo avere la vinificazione in rosso, in bianco, in rosato, per spumanti e per vini aromatici. Qui di seguito riportiamo solo le fasi principali della vinificazione in rosso ed in bianco che si differenziano principalmente per la durata del contatto tra le bucce (ricche di sostanze coloranti) ed il mosto. Maggiore sarà il loro contatto e maggiore sarà la colorazione del vino stesso. Figura 12.2: Andamento acidi e zuccheri nell’uva. 12.1.2. La vinificazione Nella vinificazione in bianco si separano immediatamente le vinacce e i raspi dal mosto ottenuto per pigiatura e pressatura delicata dei grappoli.

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Questa tecnica, applicata sia alle uve bianche che alle uve rosse per ottenere vini bianchi, evita ogni forma di macerazione e fermentazione del mosto con le vinacce, impedendo a queste di cedere, oltre al colore, anche altre sostanze che possono conferire al vino caratteristiche aromatiche poco gradite. Il mosto così ottenuto si lascia riposare per due o tre giorni alla temperatura di 10° C in contenitori adeguati, permettendogli così di depositare sul fondo le numerose particelle solide ancora presenti (fecce). E’ questa la fase di chiarificazione o illimpidimento del mosto . Separate le fecce dal mosto inizia la vera e propria fermentazione ovvero la trasformazione del succo d’uva in alcool e anidride carbonica per opera dei microrganismi chiamati lieviti. Nelle moderne aziende enologiche si utilizzano lieviti selezionati che “guidano” la fermentazione verso il risultato voluto, facendo in modo che si sviluppino maggiormente alcuni aromi graditi a discapito di altri meno desiderabili. A questo punto il vino è pronto per essere conservato per un tempo variabile dai quattro agli otto mesi sino a maturazione. Seguirà quindi la fase dell’imbottigliamento e del consumo.

Figura 12.3: Vinificazione in bianco.

Nella vinificazione in rosso le parti solide dell’acino, ovvero bucce e vinaccioli, restano in contatto con il mosto per un tempo variabile. Questa fase, detta di macerazione, permette alle bucce e ai vinaccioli di trasferire al mosto i pigmenti, i tannini e le sostanze aromatiche in loro presenti in quantità proporzionale al tempo stesso di macerazione che varia a seconda del tipo di vino che si vuole ottenere: dai sette ai quindici giorni se si desidera un vino corposo e colorato, da uno a quattro giorni se si desidera un vino più leggero. La fermentazione viene aiutata dall’aggiunta di lieviti selezionati. Inizialmente le parti solide presenti (vinacce), a causa della produzione di anidride carbonica, tendono a salire verso l’alto del tino, formando il cosiddetto cappello che dovrà essere disperso varie volte al giorno, per permettere alle parti solide di rientrare a contatto con il mosto.

Figura 12.4: Vinificazione in rosso.

Questa operazione chiamata follatura o rottura del cappello, viene eseguita o manualmente con uno strumento particolare, o con il metodo del rimontaggio che consiste nel disperdere le vinacce prelevando con pompe un terzo del mosto dal basso del contenitore facendolo ricadere a pioggia dall’alto sul cappello. I moderni recipienti di fermentazione sono invece dotati di agitatori meccanici. Oltre ai vantaggi già descritti, la follatura permette una dispersione rapida del calore originato dalla fermentazione che non deve mai superare i 30° C e un altrettanto rapido allontanamento dell’anidride carbonica con immissione di ossigeno che favorisce la moltiplicazione dei lieviti. Impedisce inoltre l’acetificazione del vino. Quando gli zuccheri sono stati già trasformati in alcool, la produzione di anidride carbonica cessa e il cappello scende nel fondo della vasca. A questo punto si procede al travaso del vino purificato dalle vinacce in altro contenitore, oppure si può prolungare di qualche giorno la macerazione se si vogliono ottenere vini più robusti. Dopo il travaso inizia la fermentazione malolattica che consiste nella trasformazione dell’acido malico, responsabile del gusto acido del vino, in acido lattico, che donerà al futuro vino un gusto meno aspro e più gradevole. Se il vino ottenuto con la vinificazione in rosso è ben strutturato e particolarmente importante può essere ulteriormente arricchito dalla sosta per diversi mesi all’interno delle barriques, piccole botti in rovere francese della capacità di 225 litri ciascuna, seguita dall’affinamento in bottiglia che può durare da un minimo di sei mesi fino a diversi anni.

UVA Pigiatura Diraspatura Raspi

Mosto Fermentazione tumultuosa Torchiatura Vinacce

Vino giovane o fiore Fermentazione/invecchiamento Vino maturo o invecchiato

Distilleria

UVA Pigiatura Sgrondatura Vinacce sgrondate Torchiatura

Mosto Solfitazione e defecazione Mosto torchiato

Vinacce

Mosto defecato Fermentazione tumultuosa Mosto vino

Fermentazione/invecchiamento Vino maturo o invecchiato Distilleria

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12.1.3. L’anidride solforosa Particolare importanza nella produzione dei vini riveste l’anidride solforosa che è certamente uno degli “strumenti” più utilizzati in enologia per controllare la fermentazione dato che è in grado di svolgere un’azione antisettica selettiva. A bassa concentrazione (5-30 g/hl) non elimina i saccaromiceti ma altri microrganismi indesiderati, quindi viene utilizzata come disinfettante. Ad alta concentrazione (130-180 g/hl) blocca la fermentazione e consente di produrre quello che viene chiamato mosto muto. In questo caso, per riprendere a fermentazione basta aggiungere i lieviti desiderati. Inoltre svolge un’azione solubilizzante nei confronti delle sostanze coloranti e dei polifenoli (stabilizza il colore), acidificante, defecante (chiarifica il vino) e antiossidante (ne facilita la conservazione). Risulta però tossica per l’uomo quindi vi sono, per i vini pronti al consumo, delle concentrazioni limiti da rispettare che sono maggiori per quelli bianchi rispetto ai rossi. L’anidride solforosa può essere presente nei vini sia in forma libera che legata, quella libera (la frazione attiva) è presente sotto diverse forme in equilibrio tra loro secondo le seguenti reazioni:

SO2(gas) � SO2(acq) libera SO2(acq) + H2O � HSO¯

3 + H+ Bisolfito 2 HSO¯

3 � S2O52- + H2O Metabisolfito o pirosolfito

HSO¯3 � H+ + SO3

2- Solfito

Quella legata è invece il frutto delle sue reazioni con composti organici presenti nei vini, di seguito, ad esempio, riportiamo le reazioni con aldeidi e chetoni:

RCHO + HSO¯3 � RCHOHSO¯

3 Aldeide bisolfito acido idrossisolfonico

R’COR” + HSO¯3 � R’R”COHSO¯

3 Chetone bisolfito acido idrossisolfonico

Al diminuire della concentrazione della frazione attiva (SO2(acq)) si ha un suo progressivo ripristino da parte della solforosa legata secondo il seguente schema:

SO2 combinata stabile � SO2 combinata instabile � HSO¯3 � SO2 attiva

(aldeidi e chetoni) (zuccheri e acidi) Bisolfito

12.2. Gli Aceti L’aceto è un prodotto la cui origine si perde nella notte dei tempi. Secondo alcuni autori l’uso dell’aceto come condimento, conservante e medicamento risale ad almeno 10.000 anni fa, mentre il processo di acetificazione, indotto volontariamente dall’uomo, ha le sue prime testimonianze storiche risalenti all’epoca babilonese (5000 a.C.).

In questi anni molte cose sono cambiate nelle tecniche di produzione ma le materie prime e, per alcuni aspetti, anche i processi produttivi dell’antichità sono simili a quelli odierni.

Le materie prime dalle quali si può partire per preparare l’aceto sono moltissime e rispecchiano le produzioni agricole delle zone geografiche d’origine. Una tale diversificazione delle materie prime di partenza si riscontra solamente in un'altra categoria di prodotti agroalimentari quali gli alcolici. In termini molto generali, l’abbondanza di cereali è alla base delle produzioni di aceto di riso nelle regioni asiatiche e degli aceti di distillato o di malto nelle zone temperate fredde. Nelle zone mediterranee il clima particolarmente mite e la pratica della viticoltura hanno favorito l’aceto di vino, mentre la produzione di aceti a base di frutta è particolarmente diffusa nelle zone tropicali.

Elencare tutti i tipi di aceto reperibili nel mondo è un’impresa difficile e si corre il rischio di trascurarne alcuni tipi. Nella Tabella 12.2 abbiamo raggruppato gli aceti più diffusi sulla base delle materie prime impiegate per la loro produzione e per i più noti ne è stata riportata una breve descrizione.

Aceto di siero

Il siero residuo delle trasformazioni lattiero-casearie è destinato a diversi usi, uno di questi è la produzione di aceto. Il prodotto ottenuto è gradevole e con una riconoscibile impronta della matrice originale. La tecnologia di produzione è molto semplice e prevede una fermentazione alcolica, seguita da un’ossidazione acetica. Il siero dolce viene prima filtrato e fermentato ad opera di lieviti lattosio-positivi, appartenenti al genere Kluyveromyces. Successivamente il fermentato alcolico viene nuovamente filtrato e quindi acidificato ad opera dei batteri acetici. Aceto di miele L’aceto di miele, pur essendo prodotto in piccole quantità è diffuso in diverse parti del mondo. È di color paglierino, trasparente, il sapore è dolce e con molti aromi del miele ancora percettibili. Il processo di produzione è semplice, in quanto prevede la diluizione del miele con acqua e la successiva fermentazione spontanea. Le produzioni industriali

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prevedono l’aggiunta iniziale di solfiti, per abbassare la carica microbica nativa, ed il successivo inoculo di lievito Saccharomyces cerevisiae. La fermentazione alcolica viene interrotta prima dell’esaurimento totale degli zuccheri. Infine, il liquido che si ottiene, ricco in alcool e zuccheri residui, viene inoculato con batteri acetici che convertono l’etanolo in acido acetico con rese superiori al 90%.

Tabella 12.2: Raccolta di aceti prodotti nel mondo Origine Materia prima Intermedio Prodotto finale

Siero Aceto di siero Animale Miele Aceto di miele

Riso Aceti di riso Orzo Malto / Birra Aceto di malto Frumento Aceti di frumento asiatici Miglio Aceti di miglio asiatici

Cereali

Sorgo Aceti di sorgo asiatici Mele Sidro Aceto di sidro / di mele

Vino Aceto di vino Sherry Aceto di Sherry Champagne Aceto di Champagne Uva passa Aceto di uva passa turco

Uva

Mosto Aceto Balsamico Estratti di noce di cocco Aceto di noce di cocco Noce di cocco Vino di palma Aceto di vino di palma

Cachi Aceto di cachi Kiwi Vino di kiwi Aceto di kiwi

Frutta

Agrumi Succo di arancia ed altri agrumi Aceto di agrumi Ortaggi Cipolla Aceto di cipolla

Vegetale

Altri Canna da zucchero Aceto di canna - Kibizu

Alcool distillato acido acetico in acqua Aceto bianco

Aceto di Erbe Aceti aromatici alle erbe Altri

Aceto di Frutta Aceti aromatici alla frutta Aceti di riso Non è un caso che questa categoria di aceti venga indicata al plurale, dal momento che ne esistono varie tipologie, differenti per grado di raffinazione della materia prima e per tecnologia di produzione. Altrettanto ampia è l’area di produzione che coinvolge numerosi paesi asiatici, dal Giappone all’India, dalla Cina all’Indonesia. Recentemente la classificazione degli aceti di riso è stata ulteriormente complicata dalla proliferazione di numerose sigle commerciali. Tradizionalmente se ne possono distinguere due tipi: un aceto di colore chiaro per usi culinari giornalieri ed uno di colore scuro usato come integratore alimentare o medicamento. Alla stessa categoria appartengono inoltre un numero consistente di tipologie diverse, ovvero prodotti intermedi a cui è stato attribuito il nome generico di aceto di riso. In Giappone gli aceti di riso prendono il nome di kurosu ed il komesu, la cui differenza principale è legata al riso di partenza: per il kurosu si utilizza riso pulito e sbiancato, mentre per il komesu è usato risone o chicchi con glumella. Il processo di produzione consiste di tre fasi principali: la saccarificazione del riso, la fermentazione alcolica e l’ossidazione acetica. Quest’ultima può essere effettuata secondo il metodo tradizionale, mediante l’uso di culture di superficie statiche, oppure mediante colture sommerse. L’aceto ottenuto, chiamato moromi, viene successivamente trasferito in cisterne o barili di legno, dove nel corso di un mese i batteri acetici completano l’ossidazione. Il kurosu, di un colore chiaro e con un’acidità contenuta, viene utilizzato come condimento abbinato a pesce e verdure, mentre il komesu, più scuro e molto più ricco di aminoacidi e vitamine, è apprezzato come bevanda diluito in acqua. Aceto di malto Questo aceto è diffuso nei paesi anglosassoni, dove viene preparato dall’orzo secondo una lavorazione che nelle sue prime fasi ricalca la produzione della birra. Il mosto di malto viene sottoposto a fermentazione alcolica e, dopo la rimozione dei lieviti, ossidato ad opera dei batteri acetici. Una volta distillato, l’aceto viene maturato in cisterne di metallo e poi affinato o stagionato all’interno di botti di legno. Aceto di mele o aceto di sidro Fino al secolo scorso, negli Stati Uniti ed anche in alcuni altri paesi, per aceto si intendeva quello di sidro o di mele, analogamente a quanto avviene ancora oggi nel nostro paese per l’aceto di vino. La tecnologia di produzione ha molti passaggi in comune con la produzione del sidro il quale, senza le opportune precauzioni, acetifica molto facilmente. Infatti, grazie all’alto contenuto zuccherino della polpa, la conversione degli zuccheri in etanolo e la successiva

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acetificazione sono estremamente rapide. Aceto di vino L’aceto di vino è quello più diffuso nei paesi europei. Secondo la legislazione italiana, il nome di “aceto” o “aceto di vino” è riservato unicamente al prodotto della fermentazione acetica dei vini. Tutti gli altri tipi di aceto devono essere seguiti dalla specificazione della materia prima impiegata (aceto di sidro, aceto di malto, aceto di birra ecc...), mentre un capitolo a parte è riservato agli aceti speciali. La materia prima più idonea alla produzione di aceti è costituita da vini sani o acescenti, esenti da odori o sapori anomali e non addizionati con anidride solforosa. Il vino viene generalmente diluito con acqua prima dell’utilizzo, in modo da abbassarne la quantità di alcool fino a valori tollerati dai batteri acetici. Attualmente la fermentazione sommersa è la più diffusa e viene condotta in speciali apparecchi acetificatori, di diverse dimensioni e capacità, che vanno da 2,2 a 4 metri di diametro, per 4,8–8,7 metri di altezza. Essi sono costituiti da un tino di acciaio inossidabile, dotato nella parte inferiore di una turbina per permettere l’aerazione forzata della massa. Inoltre sono muniti di impianti di raffreddamento, che consentono di mantenere la temperatura del prodotto intorno i 27-33 °C, anche quando le reazioni fortemente esoergoniche di ossidazione che avvengono al loro interno tenderebbero a farla aumentare notevolmente. L’inoculo di un fermentatore avviene impiegando una massa in piena acetificazione in quantità pari al 20 – 30% del volume totale. Si provvede poi ad aggiungere vino fino al 50% della capienza, sottoponendo il tutto ad aerazione. Una volta che il grado alcolico si è dimezzato, si aggiunge altro vino, mai in quantità superiore al 75 % della capienza totale. Il processo si ritiene completo quando l’aceto presenta una percentuale in alcool non superiore al 1,5%. Il prodotto viene poi scaricato mediante apposite tubazioni, avendo cura di lasciare il 40% del prodotto per l’acetificazione successiva. L’aceto così ottenuto si può poi filtrare o pastorizzare. Un commento a parte merita l’aceto di Sherry. Si tratta di una tipologia particolarmente pregiata, prodotta con il metodo tradizionale chiamato “criaderas y solera” a partire da Sherry, opportunamente maturato in barili di legno di quercia disposti a cascata secondo l’età, dai più giovani, criaderas, ai più vecchi, soleras. L’aceto viene prelevato dalle botti più vecchie, che vengono poi rabboccate con il contenuto delle più nuove. Mediante questo processo di invecchiamento, l’aceto sviluppa ricchi aromi, una grande complessità di gusto e un suo caratteristico colore scuro. Come l’aceto balsamico tradizionale, anche l’aceto di Sherry occupa una posizione particolare nella categoria degli aceti. Aceto di Palma L’aceto di palma viene ottenuto dal succo zuccherino che si libera dalle infiorescenze o dalle fruttificazioni, sia maschili che femminili, delle palme. Le specie di palma comunemente usate a questo scopo sono Elacis guineensis, Raphia vinifera, Cocos nucifera e Arenga pinnata in Africa, Sud America e in Estremo Oriente, mentre in Papua Nuova Guinea si estrae il succo da Nypa fruticans. La raccolta del succo avviene praticando un buco alla base del germoglio del fiore maschile, dal quale fluisce all’esterno. Un solo albero ne può produrre parecchi litri al giorno. Il liquido spillato è molto ricco in saccarosio e, in particolare, nella specie Nypa fruticans può superare il 16% in peso. Nelle prime 8-12 ore dopo la raccolta, il succo tende a fermentare spontaneamente ad opera di lieviti e di batteri appartenenti al genere Zymomonas, mentre l’attività dei batteri acetici è evidente dopo qualche giorno. In genere, una temperatura attorno ai 30° C consente un rapido sviluppo delle popolazioni di batteri acetici e una conseguente rapida acidificazione del mezzo. L’aceto di vino di palma è consumato come condimento in piccole quantità. Aceto di cachi È un aceto tradizionalmente diffuso in Giappone e Corea, ottenuto per fermentazione del frutto del cachi. Il processo di invecchiamento dura circa tre anni ed il prodotto presenta un’acidità del 3-4%. Oggi viene prodotto industrialmente ed il suo consumo è consigliato nella prevenzione dell’arteriosclerosi, dell'obesità e per scopi estetici. Aceto di cipolla L’aceto di cipolla è diffuso in Giappone, dove la coltivazione annua di questo ortaggio è di circa 1.200.000 tonnellate. La produzione di aceto è nata dall’esigenza di recuperare il prodotto scartato dal consumo della cipolla fresca, pari circa al 10% della produzione totale. 12.2.1. Fasi generali della produzione dell’aceto Con il termine aceto si indica il prodotto della fermentazione acetica del vino che per legge (DPR 162/65) deve contenere più del 6 % di acidità totale, espressa come acido acetico, e una quota residua di alcool non superiore all’1,5 %. In Italia la maggior parte di aceto è prodotto a partire dal vino ma si trovano in commercio anche aceti di origine diversa, ottenuti dalla fermentazione acetica di liquidi alcolici di origine agricola (L 527/82). Per la produzione si possono utilizzare vini bianchi, rosati o rossi, ma nella pratica il più diffuso in italia è quello

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prodotto dai primi due che prende il nome di aceto bianco. Oltre che come condimento, l’aceto risulta utilizzato anche in salse o conserve alimentari grazie alle proprietà antisettiche dell’acido acetico. La trasformazione in ceto del vino non è una vera e propeia fermentazione ma una ossidazione svolta dai batteri acetici tra cui segnaliamo l’Acetobacter aceti, pasteurianus, suboxydans ed altri. La reazione si può così schematizzare in due stadi successivi:

1° stadio: CH3CH2OH + ½ O2 � H2O + CH3CHO da alcool etilico a aldeide acetica 2° stadio CH3CHO + ½ O2 � CH3COOH da aldeide acetica a acido acetico

Assieme a tale ossidazione avvengono anche altre trasformazioni che concorrono a conferire all’aceto il sapore e l’aroma tipico, anche se molti componenti presenti nel vino si possono trovare inalterati nel prodotto finale. I metodi attualmente utilizzati per produrre industrialmente l’aceto sono due: in superfice su trucioli di legno o a fermentazione sommersa. Nel primo gli Acetobacter sono localizzati sulla superfice di trucioli di legno o raspi d’uva disposti nella parte centrale di un tino dalla cui sommità viene spruzzato il vino. Nel secondo la fermentazione avviene all’interno della massa del vino, che è continuamente arieggiato, e si compie in tempi ridotti (dell’ordine delle 24 ore). Questo secondo metodo risulta più rapido del precedente ma produce un aceto di caratteristiche organolettiche inferiori rispetto a quello ottenuto per acetificazione su trucioli. Una tecnica produttiva completamente diversa caratterizza invece l’aceto balsamico che verrà illustrata nel capitolo successivo. 12.2.2. Fasi generali della produzione dell’aceto balsamico di Modena Possiamo innanzitutto definire due tipologie diverse di prodotti: l’aceto balsamico di Modena IGP e l’aceto balsamico tradizionale di Modena DOP. Questi due prodotti si differenziano sia per quanto riguarda la tecnica produttiva, che per l’origine delle materie prime impiegate che per la durata dell’invecchiamento ed infine anche per il costo. La caratteristica che li accomuna è quella che li differenza della maggior parte degli aceti, ovvero la notevole quantità di zuccheri presenti nel prodotto finale.

L’aceto balsamico di Modena IGP è prodotto a partire da aceto di vino (che conferisce l’acidità) che viene poi miscelato con mosto d’uva concentrato (che conferisce la frazione zuccherina) e caramello (E150da - E150d, che conferisce il colore bruno). In alcuni prodotti più pregiati si aggiungono anche piccole percentuali di ABTM. Il tutto, per poter avere il riconoscimento IGP deve essere “Invecchiato” in contenitori di rovere per almeno 60 giorni. Questo prodotto è quello che solitamente troviamo sugli scaffali dei supermercati al costo di alcuni euro la bottiglia.

Figura 12.5: Composizione di una batteria per ABTM e operazioni di rincalzo.

L’aceto balsamico tradizionale di Modena DOP è prodotto a partire da mosto d’uva ottenuto da sette vitigni tipici (indicati dal disciplinare di produzione) che viene prima “cotto” a vaso aperto e fiamma diretta per 10÷20 ore circa. Durante la cottura si verifica un aumento della concentrazione degli zuccheri presenti ed una loro parziale degradazione (caramellizzazione) che porta alla formazione di sostanze coloranti e di aromi caratteristici. Il mosto cotto subisce poi una prima fermentazione alcolica per trasformare parte degli zuccheri in alcool e poi una successiva fermentazione acetica che trasforma l’alcol prodotto in acido acetico e forma la frazione acida del prodotto. Tutte queste trasformazioni avvengono prima di introdurre il mosto nella serie di botti, in quella viene spesso chiamata botte madre oppure in damigiane. Una volta preparato il mosto cotto “acetificato” si passa poi alla fase di invecchiamento che sfrutta la particolare tecnica dei rincalzi e si svolge nella “batteria”: una serie di botti (solitamente da 5 a 9 barili, di legni diversi e di volumi decrescenti) nella quale il prodotto deve rimanere almeno 12 anni. Ogni partita di ABTM, per poter essere commercializzata, deve raggiungere un determinato punteggio nell’esame organolettico eseguito da assaggiatori specializzati. In base al punteggio ottenuto (massimo 400 punti), l’ABTM viene classificato in extravecchio (punteggio compreso tra 255 e 400) e affinato (punteggio compreso tra 229 e 254). Nel caso

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non raggiunga il punteggio minimo non può essere venduto come ABTM DOP.

12.3. Determinazioni analitiche Le due matrici di cui abbiamo esaminato brevemente le tecniche produttive presentano diversi aspetti in comune, di conseguenza anche le analisi che permettono di caratterizzarle presentano alcune similitudini. Nella seguente tabella riportiamo alcune delle analisi che consentono di caratterizzare i vini e gli aceti che saranno poi descritte.

Tabella 12.3: Analisi principali dei mosti, vini e aceti Determinazioni vino Tecnica

(a) per distillazione Grado alcolico (b) ebulliometrico (a) riduttori (Fehling ) (b) non riduttori (c) totali

Zuccheri

(d) glucosio e fruttosio (a) volatile (b) fissa (c) totale

Acidità

(d) acidi specifici (a) totale Estratto secco (b) ridotto (a) libera Anidride solforosa (b) combinata

Densità Glicerina Sostanze azotate Metalli pesanti

12.3.1. Densità La determinazione della densità è un parametro molto importante perché fornisce indicazioni sul grado di concentrazione dell’aceto balsamico che è legato al processo di invecchiamento del prodotto stesso. Inoltre fornisce una indicazione di massima sul contenuto totale di zuccheri presenti, spesso espresso in gradi Brix (%m/m di saccarosio). Si può eseguire con tecniche diverse: tramite bilancia idrostatica (metodo molto preciso ma che richiede gran quantità di prodotto), tramite densimetro a capillare oscillante (metodo molto preciso ma che richiede apparecchiatura costosa) oppure molto semplicemente per via rifrattometrica. In prima approssimazione infatti la matrice in esame può essere assimilata ad una miscela ternaria acqua, zuccheri e acido acetico. Di questi tre componenti gli zuccheri sono quelli che influenzano maggiormente la densità ed anche l’indice di rifrazione. Misurando l’indice di rifrazione e tramite apposite tabelle è possibile quindi risalire alla densità dell’aceto. Questa metodica è applicabile anche ai mosti cotti e concentrati, mentre non si può utilizzare per i vini a causa della presenza di alcool che influenza notevolmente l’indice di rifrazione. Tecnica: Determinazione strumentale con rifrattometro.

Strumenti: Rifrattometro, Filtri usa e getta da 0,45 µ

Metodica: Si filtrano poche gocce di aceto direttamente nel rifrattometro. In alternativa si legge il campione tal quale. Si esprimono i risultati anche in °Brix che sono collegati al contenuto di zuccheri nel campione. Dalle tabelle (Compendium of international methods of wine and must analysis – OIV) o dalle seguenti formule si può ricavare la densità del campione o i suoi °Brix:

°Brix (%m/m) = -964,02 • IDR2 + 3219,8 • IDR − 2578,2

Densità (g/ml) = 2,713 • IDR − 2,6182

Densità (g/ml) = 2,0990 10−5 • °Brix2 + 3,62504710−3 • °Brix + 1,000891214

Note: I °Brix rappresentano la % m/m di saccarosio nel campione.

Eccezioni: Nel caso di mosti e aceti si può correlare l’idr al tenore zuccherino e alla densità perché questi sono certamente le sostanze che lo influenzano maggiormente, nel caso di vini la presenza di alcol influenza notevolmente l’idr (aumentandolo) e la densità (calandola) quindi si devono determinare gli zuccheri con Fehling e la densità con la bilancia idrostatica dopo distillazione.

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12.3.2. Determinazione acidità Nel vino l’acidità è data principalmente dall’acido tartarico, mentre nell’aceto la quasi totalità dell’acidità è data dall’acido acetico. Viceversa nell’ABTM, accanto all’acido acetico, troviamo la presenza di altri acidi organici che derivano in parte da fermentazioni ed in parte dal mosto di partenza. Risulta quindi importante sapere sia l’acidità totale, espressa come % m/m di acido acetico (tartarico per il vino) che andare a determinare i vari acidi organici presenti (acetico, tartarico, malico, citrico, succinico, glutarico, malonico, acido maleico, lattico, ecc.). Per l’acidità totale si può sfruttare una semplice titolazione acido base o con indicatore o potenziometrica (nel caso di campioni molto colorati), mentre per la speciazione dei vari acidi si deve operare tramite tecnica HPLC previa dagli zuccheri. 12.3.2.1. Determinazione acidità totale Tecnica: Titolazione classica: neutralizzazione mediante NaOH di un determinato peso di aceto in presenza di

fenolftaleina come indicatore. Reattivi: Sodio idrossido 0,1 N, Fenolftaleina 1 % in alcol

Strumenti: Buretta portata 50 ml e sensibilità ± 0,05 ml, Bilancia sensibilità ± 0,001 g o inferiore

Metodica classica:

Si pesa in maniera esatta circa 1 g di aceto (di più per i campioni con minor acidità) direttamente nel becher. Si diluisce fino a circa 200 ml con acqua e si titola con NaOH 0,1 N usando fenolftaleina come indicatore. Il risultato si esprime in grammi di acido acetico per 100 grammi di aceto, calcolati con la formula:

pNV

mmTotaleAc01,6

)/(%.⋅⋅=

pdNV

vmTotaleAc01,6

)/(%.⋅⋅⋅=

Dove: V ml di sodio idrossido utilizzati; N normalità sodio idrossido; p peso campione; d densità campione Strumenti: Titolatore automatico con buretta di portata 10 ml o potenziometro con elettrodo a vetro

Bilancia sensibilità ± 0,001 g o inferiore Metodica strumentale:

Si pesano in maniera esatta da 0,5 a 1 g di aceto (in funzione dell’acidità presunta) direttamente nel becher (quello piccolo di plastica per titolatore automatico). Si diluisce fino a circa 200 ml con acqua (metà per tit. autom.) e si titola con NaOH 0,1 N. Per il titolatore automatico si utilizza il programma ACETOPEC Il risultato si esprime in grammi di acido acetico per 100 grammi di aceto, calcolati con la formula:

pNV

mmTotaleAc01,6

)/(%.⋅⋅=

pdNV

vmTotaleAc01,6

)/(%.⋅⋅⋅=

Dove: V ml di sodio idrossido utilizzati; N normalità sodio idrossido; p peso campione; d densità campione

12.3.2.2. Determinazione acidi organici Tecnica: Separazione delle sostanze interferenti con SPE e determinazione HPLC con rivelatore UV

Reattivi: Acqua per HPLC Acido Solforico ultrapuro Standard per taratura acidi (Acido Acetico, Acido Citrico, Acido Tartarico, Acido Succinico Acido Glutarico, Acido formico, Acido malonico, Acido Malico, Acido fumarico, acido maleico, Acido Lattico, acido gluconico) Ammoniaca ultrapura al 1.5% come eluente per SPE Colonnine C18 e NH2 per SPE con 500 mg di fase attiva. Metanolo per HPLC.

Strumenti: Palloni tarati da 25 ml e da 10 ml HPLC con rivelatore UV Sistema per SPE

Metodica: Estrazione in fase solida: prelevare 6 g di campione e diluirlo in una provetta con tappo a 20 g con acqua bidistillata omogeneizzando con cura la soluzione ottenuta. Per i calcoli finali approssimare la densità di questa soluzione a quella dell’acqua. Prelevarne 5 ml con una pipetta e per eliminare le sostanze fenoliche passarli in colonna C18 precedentemente attivata con 2 mL of una miscela 9:1 acqua/metanolo (H2O/CH3OH), avendo cura di non far andare a secco la colonna. Lavare la colonna con 2 ml di acqua e portare l’eluato a 25 mL di volume finale. Questa soluzione sarebbe utilizzabile per la determinazione degli zuccheri. Volendoli separare dagli acidi prelevare 10 mL di questa soluzione e passarla in una colonnina (NH2) precedentemente attivata con 5 mL of CH3OH. La colonna va poi lavata con 2 ml di acqua per separare gli zuccheri mentre gli acidi si eluiscono con 2 ml di ammoniaca all’1,5% . L’eluato va portato a 25 mL ed è pronto per l’analisi all’HPLC.

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Ne caso si utilizzi una pompa per aspirare la fase mobile dalle cartucce SPE regolare la pressione al minimo per consentire il loro regolare funzionamento (Circa 1 goccia ogni 1-3 secondi).

Regolazioni strumentali acidi:

Si lavora in regime isocratico con fase mobile H2SO4 0,005 M preparato di fresco. Si iniettano 20µL di campione. Rivelatore UV-Vis e si lavora a 210 nm. La colonna è termostatata a 50 °C, e il flusso è a 1 ml min-1. (Per migliorare la separazione si può diminuire il flusso fino a 0,6 ml/min).

Regolazioni strumentali zuccheri:

Si lavora in regime isocratico con fase mobile H2SO4 0,005 M preparato di fresco. Si iniettano 20µL di campione. Rivelatore IR. La colonna è termostatata a 50 °C, e il flusso è a 1 ml min-1. (Per migliorare la separazione si può diminuire il flusso fino a 0,6 ml/min).

12.3.3. Titolo alcolometrico volumico Questa metodica è applicabile a vini e mosti fermentati.

Tecnica: L’alcool, separato dall’aceto per distillazione, viene determinato densimetricamente.

Reattivi: Sodio idrossido 4 N (160 g/L) Silicone antischiuma Acido solforico 1:4

Strumenti: Bilancia idrostatica Apparecchio per la distillazione

Metodica: Si prelevano 100 ml di campione con un matraccio tarato e si trasferiscono nel protettone da distillazione lavando il matraccio con piccole aliquote di acqua (2 volte con 5 ml). Si aggiungono 4 ml di NaOH per alcalinizzare nettamente il campione ed eventualmente 2 gocce di antischiuma. Si distillano in corrente di vapore raccogliendo almeno 50 ml di distillato nel pallone iniziale contenente 10 ml circa di acqua. Volendo eliminare anche i derivati ammonici eventualmente presenti nel campione si effettua una seconda distillazione dopo aver portato a reazione leggermente acida con acido solforico il campione, raccogliendo 50 ml nel matraccio da 100 ml contenente già un po’ di acqua e si porta a volume con acqua. Si determina la densità tramite bilancia idrostatica. Dal valore di densità, tramite le tabelle, si risale al valore del contenuto di alcool, espresso in % V/V.

12.3.4. Anidride solforosa totale e libera Tecnica: L’anidride solforosa è utilizzata in enologia per le sue proprietà antisettiche e antiossidanti per controllare

la fermentazione alcolica. Una parte rimane libera e la restante si combina con alcune componenti del vino. Per questo di determina, tramite titolazione iodometrica, la solforosa totale data dalla libera più la combinata. Particolarmente importante è la solforosa libera, determinata in fase di imbottigliamento del vino, perché questa frazione è quella efficace contro l’ossidazione quindi per la conservazione del prodotto finito. Si esprime in mg/l di SO2.

Reattivi: Sodio idrossido 4N: 160 g/L Acido solforico 1:4 Salda d’amido 1% Soluzione standard di I2 0,1 N (da standardizzare ogni giorno)

Strumenti: Buretta da 25 ml Pipetta tarata da 50 ml Beuta con tappo smeriglio da 250 ml Pipette graduate da 5 ml e 2 ml

20 g

25 ml

Campione 6 g 5 ml 2 ml H2O

Zuccheri + acidi Dil.: 16,67 volte

C18

10 ml 2 ml H2O

A

NH2

25 ml Zuccheri

Dil: 41,67 v.

Acidi Dil: 41,67 volte

NH2

25 ml

2 ml NH3 2 ml H2O

B

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Metodica Solforosa totale:

Nella beuta si versano 5 ml di NaOH 4 N e 2 ml di salda d’amido all’1%. Si introducono 50 ml di vino in esame avendo cura di immergere la punta della pipetta nella soluzione, tappare ed agitare. Dopo 5 minuti aggiungere 5 ml di acido solforico 1:4 e titolare con lo iodio fino a viraggio della salda a blu persistente. Dai ml di I2 si calcola il contenuto di solforosa totale.

Metodica Solforosa libera:

Nella beuta si versano 2 ml di salda d’amido all’1%, 50 ml di vino in esame prelevato da un abottiglia appena stappata e 5 ml di acido solforico 1:4. Si titola immediatamente con lo iodio fino a viraggio della salda a blu persistente. Dai ml di I2 si calcola il contenuto di solforosa libera.

Note: La legislazione comunitaria prevede i seguenti limiti per l’anidride solforosa nei vini Vini rossi 160 mg/L SO2 (se zuccheri > 5 g/L) 210 mg/L SO2 Vini bianchi 210 mg/L SO2 (se zuccheri > 5 g/L) 260 mg/L SO2

Reazioni: SO2 + NaOH � Na+ + HSO3− blocca la solforosa libera

HSO3− + NaOH � Na+ + SO3

2− trasforma la solforosa combinata SO3

2− + I2 + H2O � 2 I− + SO42− + 2 H+ titolazione

Calcoli: 1000

2641000

1000)/(2 ⋅⋅⋅

⋅=

p

eq

V

VNlmgSO

12.3.5. pH dei vini Tecnica: Potenziometrica con elettrodo a vetro.

Note: Il pH indica l’acidità totale del vino e ha una grande importanza per la stabilità del vino. Normalmente deve essere compreso tra 2,9 e 3,9 ma i valori auspicabili sono tra 3 e 3,3. Se il pH aumenta e supera i 3,5 il vino può deteriorarsi facilmente.

Reattivi: Tamponi a pH 4 e 7

Strumenti: Piaccametro e elettrodo a vetro Becher e ancoretta magnetica

Metodica: Tarare il piaccametro con i due tamponi (prima 7 e poi 4), poi prelevare 30/40 ml di vino decarbonicato in bagno ad ultrasuoni, mettere in becher con agitatore e leggere il pH fino a che non diventa stabile.

12.3.5. Estratto secco totale Significato: Rappresenta l’insieme di tutte le sostanze che, in condizioni fisiche determinate, non volatilizzano. Queste

condizioni fisiche devono essere fissate in modo tale che le sostanze componenti tale estratto subiscano il minimo di alterazione possibile

Tecnica: Calcolo indiretto in base al valore della densità del distillato dell’alcool e della densità del tal quale. Viene espresso come la quantità in grammi di saccarosio che disciolta in acqua e portata ad 1 litro, fornisce la stessa densità del residuo senza alcool.

Strumenti: Bilancia idrostatica Apparecchio per la distillazione

Metodica: Si determina la densità dell’aceto tal quale (P1), la densità del distillato ottenuto nella determinazione dell’alcool (P2) e il contenuto di acido acetico tramite l’acidità totale. Quindi si calcola P, densità dell’estratto secco totale:

P = (P1 + 2) – (P2 + P3)

Dove p3 è la densità di una soluzione acquosa, contenente una percentuale di acido acetico uguale a quella ricavata dall’acidità totale (si ricava da una tabella) Dal valore di densità dell’estratto, tramite le tabelle, si risale al valore dell’estratto secco totale.

12.3.6. Zuccheri riduttori Si parla di determinazione della quantità di zuccheri riducenti solo per quegli zuccheri che hanno un gruppo aldeidico (chetonico) libero in grado di ossidarsi ad acido carbossilico. L’analisi consiste in una titolazione iodometrica dopo defecazione.

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Tecnica: Titolazione iodometrica dopo defecazione

Reattivi: Piombo acetato neutro soluzione satura (20 g di acetato di piombo neutro sciolto in H2O molto calda e portato a 50 ml) soluzione cupro alcalina (25g di CuSO4•5H2O, 50g di acido citrico, 388g di Na2CO3 e acqua fino a 1000ml), Na2SO4 al 10 % KI al 30%, H2SO4 al 25%, sodio tiosolfato 0,1 N salda d’amido come indicatore

Strumenti: Beuta 300 ml con collo a smeriglio Refrigerante a bolle

Buretta Pipette tarate

Pallone tarato

Metodica: Prelievo: Si differenzia il prelievo iniziale in base al contenuto di zuccheri riduttori che deve essere compreso tra 0,5 e 1 % e per avere un idea della diluizione si usa il valore di zuccheri ricavato per via rifrattometrica. Indicativamente, immaginando di usare un pallone da 100 ml, per i vini si diluisce da 2,5 a 10 volte (prelievo da 10 a 40 ml) mentre per i mosti da 25 a 50 volte (prelievo da 4 a 2 ml). Defecazione: In un pallone da 100 ml si introducono 10-20 ml (a ml) di campione, si aggiungono poi 0,5 g di acetato di piombo ogni 10 ml di campione prelevato. Si agita e si lascia riposare per 10 minuti, agitando di tanto in tanto. Si aggiungono poi 1 ml di sodio solfato ogni 0,5 ml di piombo aggiunto poi si agita e si porta a volume e si filtra su vetreria asciutta almeno 25 ml di campione. 1 ml di filtrato corrisponde a a/100 ml di campione. Titolazione: in un pallone da distillazione da 250 ml si introducono 25 ml di soluzione cupro alcalina e 25 ml di soluzione di liquido defecato (questo volume di soluzione non deve contenere più di 60 mg di zucchero invertito). Si porta all’ebollizione, che va raggiunta in 2 minuti max. Si applica un refrigerante a ricadere e si mantiene all’ebollizione per 10 minuti esatti. Si raffredda rapidamente in acqua fredda , si aggiungono 10 ml di soluzione di KI, 25 ml di H2SO4 al 25% e 2 ml di salda d’amido. Si titola con tiosolfato 0,1 N e sia Vcamp il numero di ml utilizzati. Si effettua una prova in bianco con 25 ml di H2O al posto della soluzione defecata e siano Vb i ml di tiosolfato usati.

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Page 128: Quaderno laboratorio 5 2013 › download › ... · 2016-09-17 · “Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve

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13. Determinazione della caffeina in HPLC Principi teorici:

La caffeina è una sostanza stimolante presente naturalmente nel caffè ma anche in molti farmaci o integratori. Il presente metodo si può applicare alla determinazione sul caffè ma anche su altri prodotti previa opportuna purificazione dell’estratto. La caffeina estratta è determinata mediante HPLC in fase inversa e rivelatore UV.

Reattivi occorrenti: • Caffeina pura per analisi; • Metanolo;

• Etanolo;

• Ossido di magnesio

• Fase mobile: miscela acqua/metanolo (70/30) solventi per HPLC;

Apparecchiatura: � Bilancia analitica � HPLC � Macinino da laboratorio � Colonna per HPLC C18

� Piastra riscaldante con agitatore magnetico � Rivelatore UV

� Filtro a membrana da 0,45 �m � Sistema d’integrazione del segnale

� Bagno ad ultrasuoni

Procedura manuale: • Preparazione del campione ed estrazione: mantenere il caffe in grani nel congelatore per 1ora e 30 minuti prima di

effettuare la macinazione e setacciare il prodotto ottenuto su setaccio con luci maglie da 0,63 mm. Introdurre in una

beuta da 250 ml 1 g di campione, 4 g di ossido di magnesio pesante e 100 ml di acqua per HPLC; mantenere in

agitazione a 90°C per 1 ora. Registrare il peso della beuta prima e dopo l’estrazione per corregger le eventuali

perdite di acqua. Filtrare l’estratto attraverso una membrana da 0,45 �m. Il filtrato è pronto per l’analisi in HPLC; • Preparazione delle soluzioni standard: preparare una soluzione concentrata di caffeina (0,5 mg/ml) in acqua/etanolo

4:1. La soluzione conservata in frigorifero può essere utilizzata per un mese. Preparare per diluizione con acqua gli

standard relativi alla curva di calibrazione 5;10 e 15 �g/ml; • Determinazione cromatografica: predisporre la pompa dell’HPLC ad un flusso di 1,0 ml/minuto, usando la fase

mobile acqua/metanolo (70/30). Selezionare la lunghezza d’onda di 272 nm al rivelatore UV. Costruire la retta di

taratura con le soluzioni precedentemente preparate e successivamente iniettare una opportuna aliquota del

campione ottenuto;