Quaderni ta degnamente, fieramente, nella Socialisti buona e ......lia il ventennio perduto. Anzi....

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Quaderni Socialisti «Se voi volete vivere la vostra vi- ta degnamente, fieramente, nella buona e nella cattiva sorte, fate che la vostra vita sia illuminata dalla luce di una nobile idea». Sandro Pertini ai giovani A cura della COMUNITÀ SOCIALISTA di CURINGA (CZ) Stampato in proprio —– N. 0 - Aprile 2019 Congresso PSI: Maraio nuovo segretario - Gli interventi di Intini e del segretario della FGS, Enrico M. Pedrelli Un congresso Intini: stiamo perdendo unitario e di la democrazia e la libertà rinnovamento senza neppure reagire. A fine marzo si è Sconfiggere il disastroso svolto a Roma il Con- avventurismo giallo-verde gresso straordinario Questa volta farò due discorsi. Uno per del PSI, cui hanno quanti hanno esperienza politica. Ed è il discor- partecipato, oltre ai so per voi. Uno per gli analfabeti della politica. 600 delegati in rap- Perché decenni di diseducazione e di antipoliti- presentanza degli i- ca ci costringono a fare i conti anche con questo. scritti, anche, in qua- Cominciamo dal primo discorso. Ormai da anni lità di ospiti, il Segre- diciamo, isolati, le stesse cose. Adesso le dicono tario del Pd, Nicola molti altri. E citerò questi altri, perché quan- Zingaretti; il Segre- to diciamo soltanto noi, fuori di qui, non viene tario generale dell’In- creduto. ternazionale sociali- Stiamo perdendo la democrazia e la sta, il cileno Luis Aya- libertà senza neppure reagire. Il grande vecchio la; la vice segretaria della scienza giuridica italiana, Sabino Cassese, del PSE, Marije Laf- infatti scrive che il Parlamento in pratica non feber; il coordinatore c’è più. Svuotato di potere e di dignità. Non c’è segue a p. 16 più neppure il Consiglio dei ministri (dura

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«Se voi volete vivere la vostra vi-ta degnamente, fieramente, nellabuona e nella cattiva sorte, fateche la vostra vita sia illuminatadalla luce di una nobile idea».

Sandro Pertini ai giovaniA cura della COMUNITÀ SOCIALISTA di CURINGA (CZ)

Stampato in proprio —– N. 0 - Aprile 2019

Congresso PSI: Maraio nuovosegretario - Gli interventi diIntini e del segretario dellaFGS, Enrico M. Pedrelli

Un congresso Intini: stiamo perdendounitario e di la democrazia e la libertàrinnovamento senza neppure reagire.A fine marzo si è Sconfiggere il disastroso

svolto a Roma il Con- avventurismo giallo-verdegresso straordinario Questa volta farò due discorsi. Uno perdel PSI, cui hanno quanti hanno esperienza politica. Ed è il discor-partecipato, oltre ai so per voi. Uno per gli analfabeti della politica.600 delegati in rap- Perché decenni di diseducazione e di antipoliti-presentanza degli i- ca ci costringono a fare i conti anche con questo.scritti, anche, in qua- Cominciamo dal primo discorso. Ormai da annilità di ospiti, il Segre- diciamo, isolati, le stesse cose. Adesso le diconotario del Pd, Nicola molti altri. E citerò questi altri, perché quan-Zingaretti; il Segre- to diciamo soltanto noi, fuori di qui, non vienetario generale dell’In- creduto.ternazionale sociali- Stiamo perdendo la democrazia e lasta, il cileno Luis Aya- libertà senza neppure reagire. Il grande vecchiola; la vice segretaria della scienza giuridica italiana, Sabino Cassese,del PSE, Marije Laf- infatti scrive che il Parlamento in pratica nonfeber; il coordinatore c’è più. Svuotato di potere e di dignità. Non c’è

segue a p. 16 più neppure il Consiglio dei ministri (dura

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un’ora alla settimana). Decide tuttouna ristretta oligarchia. L’unico scu-do istituzionale è il presidente Matta-rella, che se ne va tra due anni. Dopo,se la melma giallo verde non si ritirerà,sarà la fine. Perché da questa melmaverrà fuori il nuovo capo dello Stato.E sarà un clone dell’avvocato Conte.O lui stesso. Un capo dello Stato me-tà Pinocchio e metà Arlecchino, ser-vitore di due padroni. Come siamoarrivati a questo punto? Perché - con-ferma Cassese - nel 1992/94 sonostati distrutti i partiti, ovveroi pilastri della democrazia.Il PD oggi piange, ma il disa-

stro viene da lontano. Sentiamo unaltro grande vecchio. Il fratello piùgrandicello di Napolitano, EmanueleMacaluso. Dall’alto dei suoi 95 an-ni, ci ha appena detto: l’anticipatoredel Movimento 5 Stelle è stato Renzi.Punto. E si potrebbe andare molto in-dietro nel tempo, sino a Mani Pulite,al nuovismo e ai frettolosi rottamatoridella prima Repubblica.Abbiamo ripetuto che la se-

conda Repubblica è stata per l’Ita-lia il ventennio perduto. Anzi. Que-sto lo dicevamo cinque anni fa. Or-mai siamo al quarto di secolo perdu-to. Questa volta, insieme a noi, lodicono non i grandi saggi, ma le ci-fre. Nel 1994, il nostro prodot-to interno lordo pro capite erail 92% di quello della Germa-nia: adesso è il 75. Era il 95%di quello della Francia: adesso

è l’81. Era il 137% di quellodella Spagna: adesso è il 107.E il sorpasso degli spagnoli èormai cosa fatta. Gli italianinon lo sanno, ma da queste ci-fre vengono la rabbia dispera-ta, l’invidia e il rancore che ciavvelenano.

Figura 1: Ugo Intini

La Legasguazza inquesta rab-bia, la caval-ca, la indi-rizza contronemici inesi-stenti e sene avvantag-gia. Questavolta, sentia-mo il Papa Francesco. “La paura èl’origine di ogni schiavitù e ogni dit-tatura. Sulla paura del popolo cre-sce la violenza dei dittatori. Noi ri-nunciamo all’incontro con l’altro e al-ziamo barriere: questo non è umano”.Con chi ce l’ha secondo voi il ponte-fice? Certo anche con Salvini e i suoimiti, da Trump a Bolsonaro. Spesso iladri si travestono da poliziotti per ru-bare. Salvini si traveste da poliziottoper rubare i voti. Ed è l’unico leaderdel mondo occidentale a indossare unadivisa. L’unico oggi, perché in passatone abbiamo visto altri.Sentiamo adesso Draghi, che

ha salvato da Bruxelles l’economia ita-liana (per il momento). Lui ha citatoil Papa Benedetto XVI. “Essere sobri,

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attuare ciò che è possibile e non re-clamare l’impossibile, è sempre statodifficile. La voce della ragione non èmai così forte come il grido irraziona-le. Ma la verità è che la morale po-litica consiste precisamente nella resi-stenza alla seduzione delle grandi pa-role. Non è morale il moralismo del-l’avventura. Non lo è l’assenza di ognicompromesso: il compromesso stessoè la vera morale dell’attività politi-ca”. Con chi ce l’hanno secondo voi eil pontefice Emerito Ratzinger e Ma-rio Draghi? Certo anche con l’antipolitica. Vedete. Di Pietro è spari-to nel nulla. Si è ritirato a coltiva-re mandorle in Molise. Ma un segnolo ha lasciato. Nel linguaggio politi-co. Perché oggi in Italia (e solo in Ita-lia) si chiama abitualmente “inciucio”il compromesso, ovvero quello che Ra-tzinger definisce la “morale della poli-tica”. È una morale della politica cheSalvini e Di Maio non conoscono per-ché, mentre stanno sull’orlo del preci-pizio, gridano agli alleati europei “nonarretreremo di un millimetro”. Han-no provocato la recessione reclaman-do, come dicono Ratzinger e Draghi,l’impossibile. E facendolo. Facendo-lo con i nuovi debiti che già stannostrozzando gli italiani.Le malattie della democrazia

oggi non generano più sangue e orroricome un tempo. Grazie a Dio. Mabisogna chiamarle con il loro nome.Cosa significa alleanza giallo verde? Iverdi leghisti si dichiarano sovranisti.

Ma diciamolo come si è sempre det-to. Il sovranismo altro non è se nonil vecchio, decrepito nazionalismo. Igialli si dichiarano popolo contro leélite. Assomigliano a certi vecchi mili-tanti comunisti di un secolo fa, ma inpeggio. Quelli erano soltanto contro iricchi. Questi sono contro gli impren-ditori, che chiamano prenditori. Sonoper lo statalismo, sempre come i vec-chi comunisti. Ma sono anche controchi non ha capitali. Contro quelli chehanno soltanto meriti e sapere. Quelliche i vecchi comunisti rispettavano eche loro condannano invece come éli-te. L’alleanza giallo verde è una al-leanza tra quelli che un tempo aveva-no il mito della Nazione e quelli cheavevano il mito del “socialismo reale”.I giallo verdi, nella Germania degli an-ni ’30, si sarebbero chiamati nazionalsocialisti.È giusto dire come fa Nencini (ci

sta scrivendo anche un libro) che sia-mo al diciannovismo. Come un secolofa, i ridicoli epigoni (fortunatamentenon violenti) dei vecchi militanti na-zionalisti e comunisti aggrediscono lasinistra riformista, i cristiani popolari,i liberali. Li aggrediscono come allorain nome del nuovo contro il vecchio.Famosa è l’invettiva di Mussolini con-tro le “vecchie barbe”. E questo ci in-segna che non sempre il nuovo è me-glio del vecchio. Ma adesso c’è un par-ticolare peggiore. Allora fascisti e co-munisti in Italia aggredivano insieme idemocratici, ma poi si ammazzavano

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tra di loro. Adesso ribellismo di estre-ma sinistra e ribellismo di estrema de-stra si sono alleati tra loro. Questo èil disastro italiano, unico al mondo enella storia. La Le Pen e Melenchonamano entrambi i gilet gialli, come DiMaio, ma non si sono alleati tra lo-ro. Leghisti e grillini si sono alleati.Sono ribelli di segno opposto, ma so-no ribelli con la poltrona. E non lamollano.

I sovranisti veri siamo noieuropeisti. Perché soltanto

l’Europa politicamenteunita ha la dimensione e laforza per difendere la sua

sovranità di fronte aicolossi del mondo

Cosa fare? Innanzitutto abbia-mo le elezioni europee. Come sempre,mi fido dei compagni per la difficilescelta delle alleanze. Facciano ciò chesi può.Nella campagna, dite cose

semplici e chiare. I giallo verdi han-no separato il potere dal sapere perchéè andata al potere l’ignoranza. Sonopeggio dei fascisti. Che avevano por-tato come ministri non i Danilo Toni-nelli, ma i Giovanni Gentile. I gialloverdi sono nemici del lavoro. Salvinipensa che l’ideale di tutti gli anzianisia smettere al più presto di lavora-re e getta 33 miliardi per le pensionianticipate. Di Maio pensa che lo sti-pendio o il salario spettino a chi nonlavora a spese di chi lavora. Se Di

Maio è entusiasta del cinese Xi, ascol-ti almeno il suo maestro Deng TsiaoPing, che diceva: “al povero non re-galare un pesce, ma insegnagli a pe-scare”. I sovranisti veri siamo noi eu-ropeisti. Perché soltanto l’Europa po-liticamente unita ha la dimensione ela forza per difendere la sua sovrani-tà di fronte ai colossi del mondo. Edi fronte al potere finanziario globa-le. Difendere la propria sovranità èovviamente nell’interesse degli euro-pei. Ma non solo. L’Europa difendemolto più dei suoi interessi. Dobbia-mo essere fieri del nostro passaportoeuropeo, che viene visto con rispettoin tutti i continenti dalle persone mi-gliori. Con rispetto. Perché l’Euro-pa è l’unica area al mondo dove si so-no imposti i diritti umani e i principidi solidarietà. Pensateci bene. È l’u-nica. I canadesi dicono con orgoglio:“ci sentiamo europei anche se siamoin America. Perché a differenza deinostri vicini degli Stati Uniti abbia-mo in tasca non la pistola ma la tes-sera sanitaria”. I canadesi sanno cosasignifica Europa. Gli europei lo han-no dimenticato. Parlando non più alcuore ma al portafoglio, ricordate aglielettori che senza l’euro l’Italia sareb-be da tempo finita in bancarotta co-me l’Argentina e i risparmi sarebberopolverizzati. Ricordate che con le lorovillanie contro l’Europa i giallo verdihanno provocato oltre cento punti inpiù di spread, con danni immensi aibilanci delle banche, con perdite futu-

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re sicuramente enormi (anche se nonquantificabili con certezza). Ma conuna perdita di 5 miliardi e 300 mi-lioni certissima, già avvenuta nel mo-mento in cui il Tesoro ha collocato ititoli di Stato a un tasso di interes-se maggiorato. 5 miliardi e 300 mi-lioni persi dalla nascita del governo aoggi. Ogni “non arretreremo”pronun-ciato dai due bulletti anti europei ci ècostato come un tratto di metropoli-tana o di autostrada. Milioni di euroa parola. Centinaia di milioni al mese.

Contro i professionistidella demagogia e dellapolitica come Salvini, Di

Maio e la MeloniParlando del futuro dell’Euro-

pa, ricordate agli elettori che dopo l’u-nità per il movimento delle cose, dopol’unità per il movimento delle personee dopo l’unità monetaria, si deve co-struire l’unità politica. Senza la qualecadranno in crisi tutte le altre. Comediceva Filippo Turati nel 1896, biso-gna costruire gli Stati Uniti d’Euro-pa. L’unità politica si costruisce congli amici e gli alleati europei di sem-pre. Che paradosso. E che vergo-gna. Le bestie nere del governo gial-lo verde sono diventati i nostri vicini:Macron, Juncker e la Merkel. I ca-valieri bianchi sono diventati il cineseXi, Putin e Trump. Che sono divisitra loro, ma sono uniti nello schiac-ciare la sovranità europea, la nostrasovranità.

E dopo le elezioni europee?Abbiamo davanti due scenari. Primo.Salvini e Di Maio rompono, si va avotare e vince il centro destra. Siamogiunti al punto (ed è tragico) di con-siderarlo lo scenario migliore. Si rico-struirà con il tempo la sinistra, ci rior-ganizzeremo, passerà la nottata. Se-condo. Il potere cementa l’alleanzagiallo verde tra il gatto e la volpe. Nonse ne vanno neppure dopo le europeee tentano di diventare regime.

Figura 2: I giovani della FGSprotagonisti del Congresso.

Perfron-teggia-re que-sto se-condoscenario,comin-cia l’al-tro di-scorso, quello per gli analfabeti. I gial-lo verdi hanno conquistato il consensodella maggioranza dicendo: “siamo ilnuovo contro il vecchio. Siamo glionesti contro i disonesti”. L’imbarba-rimento dell’Italia ci costringe a farecome loro. A peggiorare per non peri-re. È ormai inutile parlare di destra esinistra. Bisogna unire un fronte cheva dagli elettori della Boldrini a quellidi Berlusconi. Pochi slogan semplici-stici e poche randellate. Le personeper bene contro gli avventurieri. Icompetenti contro gli inetti. I giova-ni che studiano e lavorano contro inullafacenti. Gli anziani con l’espe-

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rienza contro i ragazzotti arroganti. Ilpartito del PIL, del lavoro e del sacri-ficio contro chi non ha mai studiatoo lavorato dai diciannove anni in su:contro i professionisti della demagogiae della politica come Salvini, Di Maioe la Meloni. Bisogna unire il nuovo(quello vero) contro il vecchio (quellovero). Contro il vecchio, certo, perchéSalvini guida un partito che governada un quarto di secolo. Dispiace dirlo,ma noi possiamo soltanto aiutare nelcostruire questo fronte di liberazionenazionale contro la melma giallo ver-de. Perché questo fronte deve essereguidato da persone oggi sconosciute,come le madamine della piazza di To-rino, oppure da personaggi noti sì, maesterni alla politica tradizionale. Gio-vani o vecchi non importa, ma fuoridallo schema destra e sinistra. Per-ché la sinistra oggi è strutturalmenteminoritaria. E perché al cinismo postpolitico e spregiudicato dei giallo ver-di bisogna contrapporre, per salvare ilsalvabile, lo stesso cinismo.Infine. Agli elettori dobbiamo

dare speranze. Però tra noi dobbiamodirci la verità. I giallo verdi hanno ag-gravato le cose. Ma l’Italia è un paesedi vecchi. I giovani sono pochi, e queipochi non solo emigrano. Sono tra imeno istruiti del mondo sviluppato.Abbiamo il 18,7% di laureati controil 33% della media tra i Paesi OCSE.Soltanto il Messico fa peggio. Punto.Cosa si deve dire di più per spiegare lastagnazione? I demagoghi al governo

distraggono gli italiani con falsi pro-blemi. Ma se anche fossero affrontatiquesti, e cioè i problemi veri, gli ef-fetti si vedrebbero dopo molto tempo.Perché i bambini, sempre che nasco-no, non crescono e non si laureano inun anno.

Figura 3: Marije Laffe-ber, vice segretaria del Parti-to Socialista Europeo, mentreinterviene al Congresso.

L’Italiaè sem-prestatail ven-tre molledelle de-mocrazieocciden-tali. Sia-mo or-mai vi-sti comeil Vene-zuela d’Europa. Ma la democrazia èin crisi dappertutto, persino a Londrae Washington. La mia generazioneè angosciata. La crisi nasce innanzi-tutto dal fatto che la democrazia nonconta più nulla perché è inchiodatanei confini nazionali in un mondo or-mai globalizzato e senza confini. Lesfide vecchie e nuove sono globali. Tu-rati aveva ragione quando chiedeva gliStati Uniti d’Europa, ma Turati vede-va ancora più in là. Chiedeva gli StatiUniti del mondo. Tra le sfide senzaconfini non ci sono soltanto quella del-la finanza internazionale fuori control-lo o del clima. Si è appena saputo chein Cina il professor He Jiankui, con un

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taglia e cuci del DNA, ha ottenuto deibambini che sembrano avere una in-telligenza potenziata. Chi decide cosaè giusto fare e cosa non lo è su que-sto terreno, dove le sfide si moltipli-cheranno presto? Pesiamo a Internete all’intelligenza artificiale. Imparia-mo dai nostri vecchi ad avere vision.Una democrazia per gli Stati Uniti delmondo è l’unico futuro alternativo aun incubo da fantascienza.

Siamo i soli che conservanole loro radici. In Italia

siamo un caso unico. Ma daBerlino a Madrid si fa

esattamente come facciamonoi. Nel mondo il caso unico

è l’Italia.

Concludo. Auguri al nostronuovo segretario che sta per essereeletto. Grazie a Riccardo. E a tut-ti voi che avete tenuto aperta una ca-sa. Siamo i soli che si sono semprechiamati socialisti e partito. I soli chehanno fatto un congresso dove votanogli iscritti (non chi passa per strada) edove ci si confronta sulle mozioni (nonsulle persone). Siamo i soli che conser-vano le loro radici. In Italia siamo uncaso unico. Ma da Berlino a Madridsi fa esattamente come facciamo noi.Nel mondo il caso unico è l’Italia. Nelmondo quelli che si chiamano partiti esocialisti hanno radici e futuro. Que-ste radici (e la nostra coerenza) sono ilnostro orgoglio e soprattutto il nostro

patrimonio. Lo mettiamo a disposi-zione dei tanti che non sono qui, macercano per la sinistra una storia, unasperanza, un futuro.Sì. Un futuro. Perché tutto ciò

non riguarda il passato. Vedete. Ie-ri Zingaretti mi è piaciuto. Ha dettoche la sinistra ha dimenticato la pove-ra gente. Ed è vero. Ma l’ha dimen-ticata anche perché aveva nell’arma-dio lo scheletro del comunismo. Perlegittimarsi, per farlo dimenticare (eper continuare cionondimeno a citareGramsci e Berlinguer) sono diventatipiù blairiani di Blair, più clintoniani diClinton e infine più liberisti dei liberi-sti. Mai socialdemocratici. I nomi deipadri legittimano i partiti e danno lo-ro credibilità. Come alle persone. Tu-rati, Matteotti, Nenni, Saragat, Perti-ni, Craxi hanno lasciato un’eredità digiustizia e di verità troppo grande etroppo pesante per un piccolo partitocome il nostro. Il PD ne faccia tesoroe la accetti (tutta insieme, perché i no-stri padri citati sono indivisibili). Sa-rà sempre troppo tardi. Darà un sen-so a quelle tre lettere (partito, socia-lista, europeo) che hanno finalmenteinserito nel loro simbolo.Perseguiamo questo obbiet-

tivo dalla caduta del muro di Berlino.Quando si sarà realizzato il nostro pic-colo partito avrà esaurito la sua fun-zione. Ci vorrà tempo. E per que-sto lo affidiamo a un gruppo di gio-vani. Ai quali facciamo gli auguri piùaffettuosi.

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Pedrelli: un mondo di esclusi attendeil sostegno attivo del movimento socialistaIl PSI è l’unico partito che può dare un nobile credo ad unagioventù sradicata che ha una grandissima sete di identità.

Figura 4: Enrico M.Pedrelli

Ognitanto sen-to questocoretto: setutti gli ita-liani fosserointelligenti erazionali, ilPartito So-cialista avrebbe il 100%. Però è unacosa che dicono tutti! Oggi ho l’im-pressione che ogni partito è come se siproclamasse il partito “dei più intelli-genti rispetto agli altri”. Dimentican-do invece che un partito è tale perchésceglie e rappresenta una parte: in-vece oggi tutti si rivolgono al popoloindistintamente. È questo il Populi-smo, compagni. Pensare che il popolosia un soggetto politico a sé stante, einvece il popolo è formato da parti!Da qui i partiti.Se si pensa che i mali dell’I-

talia derivino da cattivi governi ci sisbaglia di grosso. Questo senza nullatogliere al potere distruttivo dei go-verni passati e presenti, ma proprionoi che siamo socialisti questo errorenon possiamo commetterlo.Proprio noi, che siamo nati e

che traiamo la nostra ragion d’essereda una critica al sistema, ecco proprio

noi non possiamo credere – come tuttigli altri – che basti un buon ammini-stratore per mettere apposto le cose.La fila degli aspiranti tali si allungaogni giorno di più; ognuno promet-te di poter fare meglio: di poter farquadrare i conti meglio, di poter fareinvestimenti migliori, di essere più ca-pace di rassicurare i mercati e attrarrecapitali.I socialisti invece sono politici.

Ed essere politici significa avere unagerarchia di valori! Non è vero che perun problema esiste una sola soluzione:ne esistono diverse, e sceglierne unapiuttosto che un’altra, ecco questa è lapolitica. Questo concetto elementareoggi non è chiaro alla maggior partedel panorama politico che invece si èarreso alla tecnica, al tecnicismo chediviene priorità universale.Oggi le elezioni sono teatro,

una farsa dove ci si combatte per que-stioni misere: una gara di ricamo suuna base che assolutamente non è indiscussione. Si confrontino attenta-mente i programmi elettorali: se inmateria di politica economica – è quiche si prendono le grandi decisioni– le proposte più radicali sono quel-le di Casa Pound, che propone nien-te di meno di quella che era la nor-

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male politica della DC appena cin-quant’anni fa, allora capite come lospettro politico oggi sia illusorio, com-promesso e viziato. I programmi deigrandi partiti, quando si tratta di po-litica economica, o si equivalgono otacciono.Il riformismo socialista è un

termine nobile che vacompreso e contestualizzato

storicamente; non puòdiventare sinonimo di

moderatismo di sinistra.Compagni, noi dobbiamo an-

dare controtendenza! Non possiamoproporre la politica di un partito so-cialista al governo in un paese ricco,ma capire che i tempi sono cambia-ti. Primo. Il capitalismo è arrivatoa compimento: non riesce più a soste-nersi senza drenare le ultime risorse ri-maste del Terzo Mondo, senza svinco-larsi dai limiti e dalle beghe del lavoroumano realizzando così la piena auto-mazione, senza svincolarsi da qualsiasiregola e potere beneficiando della Glo-balizzazione. In questo meccanismonon c’è nessuno spazio per la dignitàdell’uomo, come priorità politica sulresto, ma c’è solo la tecnica: o così onon siamo in grado di produrre la ric-chezza, e dunque di redistribuirla (aduna cerchia sempre più ristretta, tral’altro).Noi non dobbiamo fare i buo-

ni amministratori delle briciole! Noidobbiamo rivendicare un socialismo

umanitario, che è politico, che è fa-zioso, che sceglie una parte e la di-fende e ne rivendica la priorità! C’èun mondo di esclusi dal cerchio delpotere economico che vuole entrarcie rivendicare la ricchezza che contri-buisce a produrre: oltre ai lavorato-ri classici che ormai devono persegui-re un orizzonte di forme di cogestio-ne nelle aziende dove lavorano, i nuoviprecari e i disoccupati che rivendica-no il loro posto nella società, i liberiprofessionisti, il movimento cooperati-vo vero. In un orizzonte sociale mise-ro dove regna l’individualismo, e dovepochi lavorano troppo, alcuni lavora-no poco, e troppi non lavorano; questecategorie aspettano solamente il soste-gno attivo e correttivo del movimentosocialista.In que-

sto conte-sto rivendi-chiamo delleparole. Nonsi può parla-re di riformi-smo, come diuna generi-ca volontà difare le rifor-me: c’è differenza tra essere riformistie riformatori. Il riformismo socialistaè un termine nobile che va compresoe contestualizzato storicamente; nonpuò diventare sinonimo di moderati-smo di sinistra. Filippo Turati era unmarxista che voleva l’abolizione della

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proprietà privata; eppure era un rifor-mista! Il riformismo socialista è unmetodo per raggiungere uno scopo –nel nostro caso, l’allargamento del po-tere e la libertà sociale; non uno scopoin sé – fare le riforme purché sia.D’altro canto è fuori luogo tac-

ciare tutte quelle forze alla sinistradel PSI come massimaliste: non so-no per la rivoluzione armata, non so-no per il tutto subito; concorrono algioco democratico esattamente comeil PSI, e più del PSI sono allo schemadel vecchio compromesso socialdemo-cratico. Certo, sono una retroguardiache frantuma il fronte di sinistra, soloin questo simili dunque ai massimali-sti del secolo scorso: ma per il resto,parlare di massimalismo è sbagliato eanacronistico.Bisogna richiamare al nostro

progetto ’unità di tutti i socialisti, manon di quelli vecchi – quello che si po-teva fare lo si è fatto –, ma di quelligiovani. I vecchi socialisti sono spes-so vittime di equivoci, in loro si sonoincancreniti rancori e convinzioni di-storte della realtà. Nel 2019 parlaredi socialisti riferendosi a tutti coloroche avevano la tessera del PSI un’e-ra politica fa è illusorio, sbagliato, edè uno sfregio alle nuove generazioni:

quelle che si avvicinano al socialismocon curiosità e sincero interesse.

Figura 5: Pedrelli adun convegno del PartitoSocialista.

È l’Eco-nomist –non un qual-che giorna-le di partito– a titolare“The rise ofMillennialsSocialism”(“L’ascesadel sociali-smo dei Mil-lennials”).Lo fa pole-micamente, perché “non è il sociali-smo a risolvere i problemi del capi-talismo”: si scopre perlomeno che ilcapitalismo ha dei problemi, e che igiovani sono in parte tornati ad esseresocialisti.Cito Carlo Rosselli: “I giovani

hanno bisogno di credere alla nobiltà,alla purezza, alla chiarezza degli idealiprofessati”: il PSI, unico partito dellaPrima Repubblica rimasto ancora invita, è anche l’unico partito a poterdare un nobile credo ad una gioventùsradicata che ha una grandissima setedi identità.

Leggi la stampa socialista

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Un lavoro da proseguiredi Giuliano Amato

Il 20 dicembre, a Roma, Giuliano Amato, Fabio Martini, Paolo Mielied Enrico Morando hanno presentato il numero speciale di Mondoperaiodedicato al settantesimo anniversario della sua fondazione. Il numerosi può scaricare gratuitamente dal sito www.mondoperaio.net. Il videodella presentazione è disponibile sul sito:https://www.mondoperaio.net/i-settantanni-di-mondoperaio/.

Di seguito il testo dell’intervento di Amato.

Figura 6: Giu-liano Amato.

Sento moltoquesto anniversa-rio, anche perché fi-no a qualche tempofa vivere settante-simi significava perme vivere cose mol-to più vecchie di me:ora c’è un sacco disettantesimi e sonotutti più giovani dime, il che mi fa una

certa impressione. Con mio granderammarico, le uniche mie coetaneesono le leggi razziali che si ricorda-no quest’anno, e io ho contribuito aricordarle con ferocia, primo perchélo meritano, secondo perché osanocoincidere col mio compleanno.Naturalmente quando è un an-

niversario così lungo, settant’anni, si èindotti a riflettere sulla storia, a pen-sare che cosa ha significato, che cos’al-tro avrebbe potuto essere. È giustofarlo (lo farò per qualche minuto an-ch’io): ma è più importante oggi par-lare di oggi e di domani, e non con-

siderare la permanenza di questa ri-vista uno sfizio che ci leviamo grazieall’intelligenza e alla dedizione di chiancora la fa uscire e che ancora trovapersone di qualità che sono disposte adarci queste pagine, che non consideroelzeviri a tempo perso.Ma un po’ di storia non posso

non farla, per due ragioni. La prima,perché mi ha colpito la rievocazionefatta qui da Fabio Martini del garbonella critica, che in anni di contrappo-sizioni che gli storici definiscono vio-lente tuttavia Mondoperaio manife-stava. C’è una ragione che si è persacompletamente oggi, e qui il fatto cheio sono al mio ottantesimo complean-no mi aiuta: per noi allora la distin-zione tra la battaglia delle idee e l’at-tacco alla persona era sul crinale trafascismo e antifascismo. Erano i fa-scisti che attaccavano le persone, erada fascisti attaccare qualcuno anzichéle sue idee. Quindi qualunque perso-na, anche la più sgradevole, era pernoi da criticare per ciò che diceva, la-sciando stare tutto il resto. Non c’è

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dubbio che si è perso di civiltà, aven-do perso il senso di quel crinale: ma siè perso anche di antifascismo, perchése i moduli comportamentali che danoi erano stati introdotti ed utilizzatidal fascismo si sono così diffusi diven-tando norma vuol dire che abbiamoperso il senso di ciò che è fascista, checiò che è fascista è entrato nella vitacorrente della politica e della culturapolitica italiana.Ciò che è fascista è entratonella vita corrente dellapolitica e della cultura

politica italianaRifletteteci: questa è una cosa

grave che non c’è neanche negli StatiUniti, che pure hanno inventato la na-sty politics contro le persone. Il mioamico Gary Hart, forse, è la prima vit-tima della nasty politics, con quellasignora seduta sulle sue gambe in bar-ca. Ma oggi negli Stati Uniti, da partedei colleghi di Martini, c’è un ripensa-mento sull’uso dell’arma giornalisticaa questi fini e con quegli intendimen-ti, tant’è che l’uso ormai connota chilo fa. La battaglia delle idee da noiè stata un frutto dell’antifascismo, labattaglia alle persone è un virus fasci-sta che è entrato nella corrente vitaitaliana.Seconda osservazione che per

me conta: devo dire che la mia sta-gione nel lavoro corrente della rivista,che coincide con la direzione di Federi-co Coen, è stata la più bella stagione

della mia vita. Non solo per l’impe-gno politico e intellettuale, ma così,come stagione. Io stavo tra l’univer-sità e Mondoperaio, avevo questi duepoli di riferimento. Abitavo a Romae stavo nel mezzo: quindi certi gior-ni da casa andavo a sinistra e anda-vo in università e facevo il mio lavoro;altri giorni giravo a destra, scendevoil Pincio, arrivavo a piedi in via To-macelli e ci incontravamo lì, non sem-pre per decidere articoli ma molto perdiscutere.È stato un vero cenacolo al quale

attraevamo quegli intellettuali semprevivacissimi in Italia che stavano allasinistra del Pci, e che, in una fase nel-la quale noi eravamo l’alternativa alcompromesso storico (che – ci fosse onon ci fosse – era comunque il protago-nista attraverso la solidarietà naziona-le), trovavano un ombrello nel Partitosocialista e inMondoperaio. Questo èun elemento importante di quella sto-ria: lo venivano a cercare l’ombrello,perché – sarà stata egemonia, sarà sta-ta dittatura non del proletariato ma dichissà chi – certo si è che la vita allasinistra del Pci senza ombrello era unavita sulla quale evidentemente piove-va molto, e queste persone si sentivanomeglio aggregandosi a noi.Così, fra l’altro, portammo ver-

so il Psi una serie di persone, il piùnoto dei quali poi fu Giampiero Mu-ghini, che ha saputo nella vita render-si celebre in mille modi, per molti deiquali lo ammiro, mentre ad alcuni non

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mi adatterei mai: primo è juventino,e secondo porta delle camicie che iotrovo disgustose (ma io sono un vec-chio conservatore, quindi non entro inquesto).Fu più facile in questo nuovo

partito unire i tronconi diprovenienza comunista e diprovenienza democristianache non quello che veniva

dalla parte nostraIn realtà fu anche questa dia-

lettica che determinò la messe di argo-mentazioni a favore del socialismo li-berale da parte nostra e a mettere sot-to critica l’egemonia, qualunque cosaessa fosse. E fu lì che praticamentecominciò la lunga carriera giornalisti-ca di Ernesto Galli della Loggia, cheha scritto cose fra le più belle dellasua vita con quelle Ceneri, prima diGramsci e poi di Togliatti.Quella stagione ha portato

diversi frutti. Non ha portato tuttaviaun frutto al quale peraltro noi crede-vamo, l’alternativa all’insegna del so-cialismo democratico e del socialismoliberale. Naturalmente qui la storia fai conti con le domande controfattuali.Per me la più importante è che cosasarebbe successo in Italia se la tota-le incompatibilità chimica fra Betti-no Craxi ed Enrico Berlinguer fossestata all’opposto capacità di empatiadell’uno nei confronti dell’altro.Già fisicamente era da esclu-

dere, figuriamoci poi aggiungendo

la diversità dei caratteri e dei paradig-mi culturali e politici. Certo si è chel’alternativa era tra gli sbocchi perse-guibili nell’Italia di allora. E la miaipotesi, ora controfattuale, era quel-la che sottostava, proprio in quellastagione di Mondoperaio, al Progettoper l’alternativa del quale gli esten-sori finali fummo Luciano Benadusied io (quindi fra l’altro un cattolicosocialista com’era Luciano).Sarebbe stata un’altra Italia

in effetti: invece partirono gli anni Ot-tanta e partirono da questo punto divista sul binario sbagliato, quello diuna governabilità sempre più fine a sestessa. Restò, anzi si accentuò, la divi-sione a sinistra che rese difficilissima lavita di chi, dall’altra parte, aveva con-diviso questo senso di sintonizzazionepossibile. La rese sempre più difficilee poi si arrivò al punto che alla finenacque il partito unico, che inesora-bilmente fu indotto a riflettere più chealtro il legame della solidarietà nazio-nale; e quindi paradossalmente fu piùfacile in questo nuovo partito unire itronconi di provenienza comunista edi provenienza democristiana che nonquello che veniva dalla parte nostra.Uno degli aspetti che sottoli-

neano nel modo più eclatante che que-sto è l’epilogo sbagliato di una storiasbagliata è appunto questo: e io restocon la mia domanda controfattualeche rimane senza una risposta.E senza una risposta rimane,

ma questo dipende anche da altri fat-

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tori, la trasformazione progressiva del-le nostre società, della nostra e dellealtre in cui c’erano e ancora ci sono deipartiti socialisti: con la sensazione chela cultura socialista abbia dato tuttoquello che poteva dare – che era utileche desse – nel secolo che è finito, percui ora teniamoci questo sfizio finchécampiamo. Con i tempi che corronomagari campiamo di più di quanto al-tri potrebbero sperare, ma è un tempoprossimo alla fine.Ecco, io ritengo che la cosa più

importante di cui ci dobbiamo con-vincere è che non è così e che avevaragione Tony Judt quando, prima dimorire nel 2010, scrivendo quel suo li-bro Guasto è il mondo diceva “nondisperdiamo, non buttiamo via del se-colo appena finito il patrimonio, a par-tire dal welfare, che la cultura politicasocialista ha prodotto”. E lui appar-teneva ad un’ala un po’ più radicaledi noi nel mondo della sinistra, macoglieva nel welfare e nelle politicheeconomiche fatte dai partiti socialistie socialdemocratici un patrimonio danon disperdere.Aveva sacrosanta ragione, se

oggi nei paesi dell’Europa occidentalesiamo costretti a dire che prende pie-de una politica rappresentativa dei ce-ti meno abbienti molto lontana dallapolitica socialista. Se questo accadeè perché negli anni che sono passati,questa è la convinzione che ho, nonè che sia finita l’elaborazione cultura-le della politica socialista, ma questa

elaborazione culturale ha perso i con-tatti con la politica e la politica hascelto altre strade, ignorandola e nonassorbendone più le indicazioni.Viviamo questo anniversario

come un fatto storico, maanche come l’inizio di unastoria possibile e miglioreDiciamo la verità: il giusto pas-

saggio che tutti noi facemmo al mer-cato, la Bad Godesberg che il Pci nonha mai voluto esplicitamente fare mache comunque abbiamo fatto tutti –il mercato ovunque possibile, lo Sta-to quando è necessario – l’abbiamosostituita negli anni col Washingtonconsensus di cui siamo rimasti tuttischiavi, tutti prigionieri. Abbiamo ri-nunciato a politiche pubbliche che ser-vivano a garantire una migliore desti-nazione delle risorse produttive e unapiù efficace redistribuzione dei redditi,affidando tutto al mercato.Noi avevamo politiche socia-

li, noi avevamo politiche industriali,noi avevamo politiche del territorio:ad un certo punto tutto questo si èessiccato e abbiamo lasciato in piedile politiche monetarie e le politiche fi-scali. Quando le uniche politiche chesi fanno verso l’economia sono la poli-tica fiscale e la politica monetaria vuoldire che il mercato fa tutto e che noi cimettiamo un po’ di cornice per evitaregli eccessivi sbandamenti. Non a casoquando questo è accaduto non c’era-no più i Franco Momigliano e i Gior-

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gio Fuà tra i consiglieri di governo, mac’erano solo i macro-economisti.Perché tante volte mi son tro-

vato così d’accordo con Alfredo Rei-chlin negli ultimi anni della sua vita(e un po’ anche della mia)? Perchéentrambi pensavamo che una volta inentrambi i nostri partiti c’erano dei di-battiti che cominciavano sotto il titolo“L’Italia nella divisione internaziona-le del lavoro”. Oggi queste sono paro-le prive di significato: viviamo in unpaese nel quale si investe di qua, si in-veste di là, senza porci la domanda diche cosa toccherà a noi produrre nelmondo di domani, che spazio avremo,che spazio avranno gli altri, come la-vorare per lo spazio che avremo, dallaformazione alle politiche industriali edel territorio.

Abbiamo lasciato tutta la distribu-zione del reddito in mano ad un mer-cato globale impazzito che ha creatodiseguaglianze così ampie, così forti,così corrosive anche dei ceti medi, por-tando la vulnerabilità sociale a livellia cui prima non era, e portando questielettori a votare per chi amplificava laloro rabbia e la loro protesta: e quindinoi ce li siamo persi tutti perché nonavevamo nulla da dire. Ciò che va re-cuperato è, per l’appunto, una politicacorrispondente ad una cultura politicasocialista del nostro tempo.Questo numero si apre con un

articolo di Nenni. Di quel tempo unadelle cose che mi sono dispiaciute dipiù in assoluto nella vita è quella che

scoprii più tardi in un suo successi-vo articolo diMondo operaio, quandoaveva appena preso o stava per pren-dere il Premio della pace a Mosca.Raccontava che era stato a Budapeste non aveva visto tracce di militari so-vietici, mentre c’erano solo dei pacificicittadini ungheresi festanti. Devo di-re che Togliatti non ha mai detto unacosa simile, se ne è ben guardato. DaNenni non me lo sarei aspettato. Na-to massimalista, fu massimalista an-che in questo suo appeasement coi so-vietici nel momento in cui lo visse. Ègiusto ricordarlo, ma certo preferiscoricordare questo suo primo articolo,nel quale sottolinea l’importanza cru-ciale della politica internazionale peri socialisti.Vi rendete conto che in una fase

storica nella quale tre quarti delle co-se che contano vengono decise a livel-li sovranazionali noi, che veniamo daun movimento internazionale, per unaserie di ragioni comprensibili ci siamotrovati chiusi nei confini nazionali, che– è vero – ci hanno permesso di darenel XX secolo le risposte che voleva-mo, ma sono oggi una autentica gab-bia che taglia fuori da quelle decisionichi ci rimane dentro?Quindi essersi avvalsi della di-

mensione statale non è stato un er-rore. Ma lo è aver perso totalmentela visione e quindi la dimensione in-ternazionale, al punto che non siamoneanche più capaci di misurare la for-za che ancora avrebbe il potere degli

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Stati non per fare ciò che vogliono isovranisti, e cioè chiuderci al mondo,ma per governare il mondo: perché,oltre ai fili di governo sovranaziona-le che dovrebbe essere nostro compitorafforzare, ci sono ancora fior di poteripubblici nazionali con i quali si posso-no mettere le brache a diversi fenome-

ni che accadono in sede internaziona-le. Chi, se non i socialisti o la culturasocialista, deve tirar fuori queste coseche fanno parte del suo dna? Insom-ma, ecco, questo vi volevo dire: vivia-mo questo anniversario come un fattostorico, ma anche come l’inizio di unastoria possibile e migliore.

Un congressosegue da p. 1

di Mdp, RobertoSperanza; il coor-dinatore del PartitoRadicale-Lista Pan-nella, Maurizio Tur-co e altri. In aper-tura è stato dif-fuso il messaggiodel Candidato delPse alla Commissio-ne Ue, Frans Tim-mermans.Il Congresso ha

eletto segretariocon voto unanime ilcompagno VincenzoMaraio, consiglie-re regionale dellaCampania. Maraiosuccede a Nencini,che ha retto il par-tito per dieci anni enon ha presentato lapropria candidaturaalla segreteria conl’intento di favorireil rinnovamento del

gruppo dirigente.Il nuovo gruppo

dirigente, infatti,appartiene ad unanuova generazioneed ha una età me-dia che si aggirasui quarant’anni. Ilnuovo segretario èun quarantenne.Il Congresso è

stato caratterizza-to da uno spiritocostruttivo e unita-rio e dalla presenzamassiccia e attiva digiovani guidati daldinamico segreta-rio della Federazio-ne Giovanile Socia-lista (FGS), EnricoMaria Pedrelli.Qui riportiamo gli

interventi di Pedrel-li e di Ugo Inti-ni: il primo illustrala concezione che laFGS ha del socia-

lismo e delinea ilruolo che il movi-mento socialista de-ve svolgere nell’at-tuale momento po-litico avendo comeobiettivo di costrui-re una società chefaccia propri i va-lori dell’umanesimosocialista; il secon-do fa un’analisi ma-gistrale dello sfa-scio socio-politico-istituzionale in cuil’Italia è stata tra-scinata in questi an-ni e sottolinea i pe-ricoli che corre ilsistema democrati-co se non si argi-na “la melma gial-lo verde”, stante ladistruzione dei pila-stri della democra-zia, cioè dei partiti,nel 1992-1994.

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Lano

stra

storia «Punto di riferimento di un meridionalismo

orgoglioso, mai piagnone»

Giacomo Mancinisocialista

meridionalista«Leader sempre con la schiena dritta

e mai col cappello in mano,meridionalista del fare, non delle chiacchiere»

Giacomo Mancini è una figura di primo piano delmovimento socialista italiano e calabrese, segretariodel PSI dal 1970 al 1972, ministro della Sanità esuccessivamente dei Lavori Pubblici e del Mezzogior-no. Lo vogliamo ricordare nel 17o anniversario dellasua morte, avvenuta l’8 aprile del 2002, riportandodue sue brevi dichiarazioni, nelle quali il leader so-cialista riassume il senso e il significato della suaazione politica, e due rievocazioni, l’una di FrancoGerardi, ex direttore dell’ Avanti! e stretto collabora-tore di Mancini, l’altra di Stefano De Luca, avvocatopalermitano, ex deputato del PLI.

Mancini mantenne sempre ottimi e proficui rapporti di collaborazionecon i compagni e la Sezione socialista di Curinga. Facciamo nostre leparole del figlio Pietro rivolte al padre nel centenario della nascita: «Tirivolgiamo un grato e affettuoso pensiero, caro e rimpianto GiacomoMancini, leader sempre con la schiena dritta e mai con il cappello inmano, meridionalista del fare, non delle chiacchiere e delle pesanti, esterili, narrazioni! Ci manchi tanto!».

Mancini manca tanto alla Calabria, al Mezzogiorno, al PartitoSocialista.

Mancini: «Non ho tradito la Calabria»A conclusione di una lunga intervista, raccolta nel volume Giacomo

Mancini. Un socialista inquieto, di cui sopra viene riprodotta la copertina,

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il giornalista Matteo Cosenza chiede al leader socialista: “Mi dice chi èGiacomo Mancini?”. E Mancini si definisce così:

«È un socialista meridionalista.Sento di definirmi in rapporto alla miaappartenenza territoriale e all’area delsocialismo. Nel Mezzogiorno che disolito esprime personaggi più portatiad inserirsi nel sistema che non a mo-dificarlo, io mi schiero con coloro cheprendono i voti nel Sud e intendonoutilizzarli in modo concreto da socia-listi e da meridionalisti. Preciso cheil mio dovere di deputato socialistaeletto dalla Calabria per concorrere alsuperamento della questione meridio-nale l’ho fatto in pieno. Guardan-do in giro e constatando che labattaglia nel Sud è difficile, miconvinco sempre più che oggiabbiamo bisogno di partiti po-litici e non soltanto di uomi-

ni. Gli uomini contano ma nonse vivono in solitudine. È ne-cessario uno sforzo collettivo econseguentemente il partito èessenziale (grassetto nostro, ndr.).Penso al Psi. Però se guardo indie-tro, a partire da quel 18 aprile 1948quando giovane deputato venni elet-to e mandato alla Camera, posso diredi essere stato leale e coerente nei con-fronti della mia regione e di quella suaparte di cui ho incarnato ideali e biso-gni. La mia idea del socialismo partesempre dalla considerazione del pro-blema delle regioni meridionali rispet-to al quale, tranne i capitoli della vi-ta e dell’opera di Rodolfo Morandi, viè stata storicamente un’azione inade-guata del Partito Socialista e dei suoimassimi dirigenti» (pp. 153-154).

Mancini: «Ho tentato di infrangereil cerchio di omertà...»

«Ho tentato di infrangere il cerchio di omertà, di far capire che i mali delSud andavano attribuiti anche alla classe dirigente meridionale. Prima, ilMezzogiorno era un cimitero di opere non ultimate. Io ho dato la prova chealcune cose si possono fare, nei tempi giusti. E che, con impegno e capaci-tà, la questione meridionale può uscire dai polverosi “libri dei sogni”. Sonostato un convinto assertore dell’autonomia del PSI dalla DC, dal PCI e dai“poteri forti”. E ho pagato la fermezza con l’addio alla mia scomoda e moltoavversata segreteria, con pesanti attacchi, con le intercettazioni abusive dellemie telefonate e con violente campagne diffamatorie. Da mio padre, PietroMancini, primo deputato socialista della Calabria, e da Pietro Nenni, avevoappreso la durezza della vita politica, combattuta anche a colpi di dossier. Miha amareggiato, tuttavia, che anche settori del PSI, per indebolirmi, abbiano

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utilizzato gli stessi argomenti e i metodi deteriori, usati dai miei tanti, agguer-riti avversari, dai capi di grandi gruppi economici e dei “corpi separati” delloStato, di cui parlai ampiamente, nel 1972, nella mia relazione al congresso diGenova».

Franco Gerardi: «Mancini, socialistafino al midollo»

Figura 7: De Martino,Nenni e Mancini.

«Non ho conosciuto altro socialista, socialista finoal midollo delle ossa, come Giacomo Mancini. Piùdello stesso Nenni, di Basso, di chiunque altro. Daicomunisti lo divideva tutto, tranne l’amicizia e il ri-spetto per la loro storia. Verso i socialdemocraticiaveva, invece, un’insofferenza, vi vedeva lo spettrodi un socialismo staccato dalla terra, dai contadini,dagli artigiani, dai maestri, dagli impiegati, di cui co-nosceva bene le sofferenze e la durezza della vita. Ful’unico socialista, credo, a non votare per Saragat al

Quirinale, rimanendo ostentatamente seduto sui divani del Transatlantico del-la Camera dei deputati, durante le votazioni» (dall’Avanti della domenica,14 aprile 2002).

Stefano de Luca: «Mancini, l’ultimorappresentante di un meridionalismo

orgoglioso, mai piagnone»«Ricordo, negli anni, le periodiche conversazioni con lui sui temi a noi cari

dello stato di diritto, del laicismo, del garantismo, della dannazione storica delnostro Mezzogiorno e le tante battaglie parlamentari condotte sempre dallastessa parte, in nome dei valori che accomunavano un socialista riformista eun liberale crociano. Con lui se n’è andato, forse, l’ultimo rappresentante diun meridionalismo orgoglioso, mai piagnone, piuttosto aspro e grintoso, comela sua amata e difficile terra di Calabria. Mi piace ricordarlo con quel suosguardo da miope, dolce e sicuro, rivolto verso l’orizzonte, come per sottoli-neare l’incrollabile certezza che, al di là delle nuvole, vi è sempre un nuovo solenascente, socialista, libertario, laico, caparbiamente meridionale» (da l’Opi-nione, 11 aprile 2002, in Pietro Mancini, Giacomo Mancini, mio padre,Rubbettino, Soveria Mannelli 2004, pp. 98-99).

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Massimo L. Salvadori e le causedella crisi dei partiti della sinistra

«I populisti non guidano il popolo, lo trasci-nano. E riescono ad alimentare il suo risentimento,scuotendo nel profondo le istituzioni e screditandole forze politiche. La sinistra italiana, se non vuolerimanere disarmata, deve risalire la china che è sottogli occhi di tutti. Ha bisogno di un partito autono-mo e strutturato: non già di un partito della pro-paganda; piuttosto di un partito della conoscenza,della cultura e della partecipazione. E l’attenzioneva rivolta soprattutto alle giovani generazioni».In questo piccolo libro «di battaglia», Massi-

mo L. Salvadori, uno degli storici italiani più autore-voli, traccia un efficace quadro d’insieme del percorsoche ha portato, lungo il secondo Novecento e in que-

sto primo scorcio del nuovo millennio, alla crisi sempre più violenta dellademocrazia dei partiti e al diffondersi, alle più diverse latitudini della politicamondiale, di una risposta modulata sulle corde dell’antipolitica. Sono proprioi partiti politici, tradizionale pilastro delle democrazie elettive, ad essere en-trati violentemente e simultaneamente in crisi negli ultimi decenni. È questacrisi – di rappresentanza, di spirito militante, di prospettiva politica – ad averaperto la strada ai populismi. Tutta una serie di errori e inefficienze che nonerano inevitabili e che meritano un’adeguata riflessione critica: in particolarequelli della sinistra, il cui affanno, le cui divisioni interne, la «quasi inerzia»rappresentano un motivo di forte preoccupazione e di allarme. Senza un ri-pristino, nell’idea e nella pratica, della funzione dei partiti, senza una vitanuova che sappia rianimarli, questa crisi della rappresentanza – ammonisceSalvadori – è destinata a perpetuarsi.

(Dalla scheda editoriale del libro)

Massimo L. Salvadori, Le ingannevoli sirene. La sinistra trapopulismi, sovranismi e partiti liquidi, Donzelli Editore, 2019,pp. 128, € 13,00.