Quaderni Di Guerra - Storia Militare Di Mussolini

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1 8 Quaderni di guerra Storia militare di Mussolini Antologia storica a cura di Anel Anivac

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Mussolini

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8 Quaderni di guerra

Storia militare

di Mussolini

Antologia storica a cura di Anel Anivac

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Collana “Quaderni di Guerra” a cura di Riccardo Affinati

Anel Anivac è nato a Kingas nel distretto di Cêsis in Lettonia nel 1927. Appassionato di scacchi, cucina e di storia militare. Attualmente vive a Malta. Ha pubblicato “Repubbliche e Città marinare” e “La guerra italo-turca e le rivolte senussite”. INDICE 1. LE ORIGINI 2. LA GUERRA IN LIBIA 3. LA GUERRA D’ETIOPIA 4. LA GUERRA DI SPAGNA 5. LA CONQUISTA DELL’ALBANIA 6. BATTAGLIA DELLE ALPI OCCIDENTALI 7. LA CAMPAGNA DI GRECIA 8. LA GUERRA NAVALE NEL MEDITERRANEO 9. LA GUERRA IN AFRICA ORIENTALE 10. LA GUERRA IN AFRICA SETTENTRIONALE 11. LA CAMPAGNA DI RUSSIA 12. LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA Immagini: 1. Mussolini bersagliere, 1915. 2. Mappa della Libia. 3. Mappa dell’Etiopia. 4. Mappa della Spagna. 5. Mappa dell’Albania, 1939-1944. 6. Mappa della Francia, 1940. 7. Mappa della Campagna di Grecia. 8. Mappa del Mediterraneo. 9. Mappa dell’attacco britannico. 10. Attacco alla Somalia britannica. 11. Fronte Orientale, 1942. 12. Mappa della Repubblica Sociale Italiana. BIBLIOGRAFIA AA.VV., Enciclopedia militare, Milano, 1933. AFFINATI R., Gli ordini religioso-militari, Roma, 2009. MAALOUF A., Le crociate viste dagli arabi, Torino, 2001. RUNCIMAN S., Storia delle crociate, Milano, 2005. WIKIPEDIA, l’enciclopedia libera, Crociata, 2013. Il testo è disponibile secondo la licenza Creative Commons Attribuzione.

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1 LE ORIGINI

Statista, capo del governo, nato a Predappio nel 1883, Mussolini1 partecipò al movimento socialista rivoluzionario e fu all’estero, nella Svizzera e Trento: di qui fu espulso dall’Austria mentre era redattore del “Popolo di Trento”, diretto da Battisti. Abbandonò il partito socialista nel 1914, durante le dure polemiche per l’intervento dell’Italia nel conflitto mondiale, e fondò e diresse il “Popolo d’Italia”, contribuendo fin da allora a risollevare le energie degli italiani. Partecipò alla guerra mondiale dove divenne caporal maggiore, e rimase al fronte sino al febbraio 1917, quando lo scoppio di un lanciabombe lo ferì gravemente. Nel marzo 1919, fondò i Fasci di combattimento e iniziò una polemica vigorosa contro alcuni elementi dissenzienti della Nazione, tanto politici che appartenenti alla classe dirigente. La polemica divenne battaglia vera e propria e falangi sempre più numerose si schierarono al suo fianco. Costituito il Partito fascista, di cui divenne il Duce, lo

1 Benito Amilcare Andrea Mussolini (Dovia di Predappio, 29 luglio 1883 – Giulino di Mezzegra, 28 aprile 1945) è stato un uomo politico, giornalista e dittatore italiano.

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condusse fino alla Marcia su Roma2 dell’ottobre 1922, la quale rappresentò l’inizio della trasformazione dello Stato liberale in Stato fascista. Divenuto Capo del Governo, iniziò un’opera di rinnovamento materiale e sociale dell’Italia. Nel campo militare, assunse direttamente (1925) i Ministeri della Guerra e della Marina, imprimendo grande impulso alla riorganizzazione delle Forze Armate, e risollevando l’Arma Aeronautica dal marasma in cui dopo la guerra l’avevano lasciata cadere i precedenti Governi. Mussolini opera la creazione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (1923), avventa mediante la trasformazione delle squadre fasciste d’azione, derivate dai Fasci di combattimento. Ed è opera sua l’ordinamento dell’esercito, che comprese la costituzione dell’Alto Comando, la Divisione ternaria, gli Ispettorati di Mobilitazione, nuove disposizioni per l’avanzamento degli ufficiali, e per i sottufficiali, la trasformazione dei reggimenti bersaglieri in ciclisti, la difesa contraerea del Paese, il ripristino degli “Uffici di fortificazione”, l’elevazione ad arma speciale dei “carri armati”, il riordinamento del Corpo di Stato Maggiore, dei Servizi, del Reclutamento, delle Scuole Militari, la creazione dei “Corpi celeri”, un nuovo “Codice tattico”, un vasto riordinamento della Marina e dell’Aeronautica, ecc.. Mussolini assunse la carica di Ministro della Guerra il 4 aprile 1925; di Ministro della Marina l’8 maggio 1925, di Commissario dell’Aeronautica il 24 gennaio 1923, di Ministro di quest’arma il 30 agosto 1925. E tenne questi ministeri fino al 1929, quando, compiuta la riorganizzazione delle Forze Armate dell’Italia secondo le sue direttive, li affidò rispettivamente al generale Gazzera, all’ammiraglio Sirianni, al generale Balbo.

2 Tra il 27 e il 31 ottobre 1922, la "rivoluzione fascista" ha il suo culmine con la "marcia su Roma", opera di gruppi di camicie nere provenienti da diverse zone d'Italia e guidate dai "quadrumviri" (Italo Balbo, Cesare Maria De Vecchi, Emilio De Bono e Michele Bianchi). Il loro numero non è mai stato stabilito con certezza; tuttavia, a seconda della fonte di riferimento, la cifra considerata oscilla tra le 30.000 e le 300.000 persone.

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2 LA GUERRA IN LIBIA

La Libia fu conquistata con la guerra italo-turca del 1911-1912; comprendeva la Tripolitania e la Cirenaica, con l’intermedia costa della Gran Sirte e tutto l’Hinterland fino al Fezzan, confinando a sud col Sahara e col Sudan, a ponente con la Tunisia, a levante con l’Egitto. La colonia occupava circa 200 chilometri di costa e una popolazione di circa 1.050.000 abitanti. La Libia fu provincia romana, poi invasa dai vandali, distrutti da Belisario nel 533, quindi conquistata dagli arabi, ai quali fu tolta dai turchi. Nel 1911 divenne colonia italiana, alla quale come erede della Turchia si sarebbe dovuto riconoscere il dominio, ma la Francia sollevò difficoltà al riconoscimento dei diritti italiani. Dopo la Grande Guerra, la resistenza interna si era fatta più forte e fino al 1921 il dominio italiano era stato precario, e limitato a un’esigua fascia costiera. La riconquista iniziò nel luglio 1921 con l'arrivo del nuovo governatore, il banchiere veneziano Giuseppe Volpi, che sostenuto dal ministro delle Colonie, il liberale Giovanni Amendola, in poco più di un anno, ottenne l’occupazione di tutta la Tripolitania.

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Nel 1923-1925 fu raggiunto il controllo della Tripolitania settentrionale, poi quello delle regioni semidesertiche centrali; tra il 1928 e il 1930 le truppe del generale Rodolfo Graziani occuparono le regioni meridionali, fino a riconquistare anche il Fezzan. Il governatore Pietro Badoglio, grazie al generale Rodolfo Graziani, operò una durissima repressione nei confronti del movimento di guerriglia, infatti, furono giustiziati 12.000 cirenaici e tutta la popolazione nomade della Cirenaica settentrionale fu deportata in enormi campi di concentramento lungo la costa desertica della Sirte, in condizioni disumane. La migrazione forzata e la deportazione dell'intera popolazione del Gebel al Akhdar, in Cirenaica, comportò l'espulsione di quasi 100.000 beduini attraverso una marcia forzata di oltre mille chilometri nel deserto, verso una serie di campi di concentramento nei pressi di Bengasi. Le persone furono falcidiate dallo sforzo e sono note fucilazioni3 dei ritardatari da parte delle truppe italiane. Per impedire i rifornimenti dall’Egitto, Graziani fece innalzare una lunga barriera di filo spinato lunga trecento chilometri, dal porto di Bardia all'oasi di Giarabub. La confraternita senussita, che appoggiava la guerriglia, fu piegata attraverso delle durissime deportazioni e confische. Il 16 settembre 1931, il settantatreenne capo della resistenza libica 'Omar al-Mukhtār fu impiccato pubblicamente a Soluch. La resistenza interna crollò, e nel gennaio del 1932 Badoglio annunciò la completa e definitiva pacificazione della Libia. Al principio degli anni trenta, Mussolini ordinò l'inizio di una vasta immigrazione di coloni italiani nelle aree coltivabili della colonia e cercò l'integrazione della locale popolazione araba e berbera, costituendo anche truppe coloniali.

3 Tale pratica disumana purtroppo era già stata adottata dai tedeschi in Africa orientale, dagli inglesi nelle loro varie colonie, dagli americani nelle Filippine, dalla Francia in Algeria e dalla maggior parte dei paesi europei (Spagna, Portogallo, Belgio, Russia, Turchia, ecc.) nei confronti delle popolazioni indigene.

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3 LA GUERRA D’ETIOPIA

Un trattato tra Italia ed Etiopia (1928) fissava la frontiera tra la Somalia italiana e l'Etiopia, ma nel 1930 gli italiani costruirono un forte nell'oasi di Ual-Ual (deserto di Ogaden). Nel novembre 1934 gli etiopi, in circostanze mai chiarite, iniziano un combattimento che costa la vita a 150 soldati etiopi e a 50 soldati italiani (somali). La Società delle nazioni si impegna in un arbitrato, temporeggiando, ma Mussolini il 2 ottobre 1935 annuncia la dichiarazione di guerra all'Etiopia dal balcone di Palazzo Venezia. Mussolini segue in prima persona sia la preparazione sia lo svolgimento delle operazioni militari che, in soli sette mesi, condurranno alla distruzione delle forze armate di uno degli ultimi Stati indipendenti d'Africa, erede dell'antico Impero etiopico. Per assicurarsi una rapida vittoria, Mussolini, esaminate le richieste dei vertici militari, arriva a triplicare l'entità di uomini e mezzi. Nel maggio del 1936 si troveranno così schierati sul teatro di guerra quasi mezzo milione di uomini (di cui 87.000 ascari), 492 carri armati, 18.932 automezzi, 350 aerei, comprese 60.000 granate all'arsina per artiglieria, 1.000 tonnellate

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di bombe all'iprite per aeronautica, e 270 tonnellate di aggressivi chimici per impiego tattico. Il 3 ottobre, Mussolini assume la direzione delle operazioni e invia frequenti ordini radiotelegrafati ai suoi generali impegnati sul campo (Rodolfo Graziani sul fronte Sud, Emilio De Bono e in seguito Pietro Badoglio su quello Nord), dettando loro linee e ordini operativi, fra cui quelli relativi all'uso delle armi chimiche.

Il 3 ottobre 1935 i soldati italiani e un considerevole numero di ascari, sotto il comando del maresciallo Emilio De Bono iniziarono ad avanzare dalle loro basi in Eritrea. Il 5 ottobre il genero del Negus, Hailè Sellasiè Gugsà, passò dalla parte degli italiani. Il 6 ottobre, tre corpi d'armata italiani occuparono Adua. Il 15 ottobre venne occupata Axum, la capitale religiosa dell'Etiopia. Dopo una lunga sosta, il 3 novembre, De Bono riprese la marcia verso Macallè con il 1º Corpo d'Armata del generale Ruggero Santini e il Corpo d'Armata Eritreo del generale Alessandro Pirzio Biroli, raggiungendo l'obiettivo sei giorni dopo. Il 28 novembre De Bono fu sostituito dal generale Pietro Badoglio, dato che Mussolini riteneva il vecchio quadrumviro troppo cauto nell'avanzata. Ecco le principali battaglie: Tembien (14 dicembre 1935), Passo Uarieu (21-24 gennaio 1936), Endertà (10-15 febbraio 1936), Tembien (27 febbraio 1936), Scirè (fine febbraio 1936) e Mai Ceu (31 marzo 1936). All'inizio della campagna nel nord, un contingente comandato dal generale Rodolfo Graziani avanzò dalla Somalia Italiana sul fronte sud e, in una ventina di giorni (conquista di Neghelli e occupazione di Harar e Dire Daua), occupò i presidi etiopi di Dolo, Ualaddaie, Bur Dodi e Dagnarei, incontrando deboli resistenze. Il 6 maggio Mussolini annuncia la fine della guerra d'Etiopia e proclama la rinascita dell'impero (il re d'Italia assume il titolo di imperatore d'Etiopia). In Etiopia, dove ancora si trovavano schiavi in gran numero, fu abolita ufficialmente la schiavitù. Le ostilità non cessarono con la fine delle operazioni di guerra,ma si prolungarono con la crescente attività della guerriglia etiope e con le dure misure repressive attuate dall'Italia.

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4 LA GUERRA DI SPAGNA

Nel luglio del 1936, al principio della guerra civile spagnola, la maggior parte delle migliori truppe nazionaliste erano isolate nel Marocco spagnolo o nelle Isole Canarie. Nel frattempo, nella Spagna continentale, formazioni più piccole composte da nazionalisti e dalla Guardia Civil ingaggiarono combattimenti con le milizie repubblicane, la Guardia de Asalto e quelle unità militari che rimasero fedeli al governo del Fronte Popolare. Il generale Francisco Franco chiese aiuto sia a Hitler sia a Mussolini, che inviarono aerei da trasporto ed equipaggi (quelli italiani comandati da Ettore Muti) in Marocco, per trasportare le forze nazionaliste dal Marocco spagnolo alla Spagna europea. I regulares marocchini e il Tercio, raggiunta la Spagna con l’aiuto italiano, permisero alle forze nazionaliste di assumere l'iniziativa nella penisola Iberica. Nel settembre 1936

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Mussolini, inviò l'allora capo del Servizio Informazioni Militari, il generale di brigata Mario Roatta in Spagna, col compito di creare la Missione Militare Italiana in Spagna, con sede a Siviglia. Il 3 settembre 1936 le forze Repubblicane della Catalogna, sotto il comando del capitano Alberto Bayo, eseguirono un atterraggio a Maiorca. Le sue unità furono il bersaglio delle forze aeree italiane che attaccarono il 24 ottobre. Nello stesso giorno, aerei da bombardamento e da caccia lanciarono il loro primo attacco su Madrid, allo scopo di dimostrare alle forze repubblicane la potenza degli alleati di Franco. Nei giorni seguenti, cominciò una serie d’incursioni e di bombardamenti sulla capitale spagnola. Il 2 novembre 1936 le forze aeree italo-tedesche furono attaccate dai velivoli sovietici. Gli attacchi causarono alcune perdite per l'Aviazione Legionaria. Il 12 dicembre, dopo il fallimento dell'offensiva di Franco su Madrid, Mussolini decise di inviare forze armate addestrate in Spagna. Il generale Roatta fu nominato comandante in capo della forza di spedizione italiana. La M.M.I.S. divenne operativa il 15 dicembre 1936 con il compito di inviare materiali, armi e istruttori, nonché di creare due brigate miste italo-spagnole. Il 23 dicembre la prima formazione di 3.000 soldati atterrò a Cadice. Entro il gennaio del 1937, circa 44.000 uomini, tra soldati del Regio Esercito e della MVSN erano in Spagna.

Il Corpo fu organizzato su quattro grandi unità di livello Divisionale, di cui tre della Milizia: I Divisione Camicie Nere (CC.NN.) Dio lo Vuole; IV Divisione Littorio (del Regio Esercito di fanteria integralmente motorizzata); II Divisione CC.NN. Fiamme Nere; III Divisione CC.NN. Penne Nere; Gruppo Fanteria CC.NN. XXIII marzo.

Le divisioni CC.NN. contenevano soldati regolari e volontari tratti dal Partito Nazionale Fascista ed erano semi-motorizzate. Il Corpo impiegava anche un Gruppo Celere (carri

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armati e blindati), un Corpo di Artiglieria su dieci Gruppi di artiglieria campale e quattro batterie di artiglieria anti-aerea.

Dal 3 febbraio all'8 febbraio, la I Divisione CC.NN. Dio lo Vuole, in appoggio delle forze nazionaliste, lanciò un'offensiva su Málaga. L'8 febbraio, gli italiani e i nazionalisti conquistarono la città. La battaglia di Malaga (74 soldati italiani morti, 221 feriti e 2 dispersi.) fu una vittoria fondamentale per i nazionalisti.

Il 17 febbraio 1937 la M.M.I.S. cambiò definizione e la massa operativa costituì il Corpo Truppe Volontarie" (C.T.V.); già a marzo il Corpo Truppe Volontarie ammontava a oltre 50.000 soldati.

Dall'8 marzo al 23 marzo, Mussolini accettò il piano di Franco che le forze fasciste italiane avrebbero dovuto partecipare a una quarta offensiva contro Madrid. L'offensiva italiana si tenne nel settore di Guadalajara. La battaglia con i difensori repubblicani si concluse con uno scacco dovuto soprattutto allo scarso coordinamento con gli spagnoli, che mancarono di realizzare gli attacchi negli altri settori, consentendo ai repubblicani di concentrare tutte le loro forze contro il CTV. Le forze corazzate italiane, consistenti soprattutto in carri leggeri L3/35, risultarono non essere all'altezza dei carri armati forniti ai repubblicani dall'Unione Sovietica. Le tre Divisioni CC.NN. furono sciolte e riorganizzate in due divisioni e in un gruppo armi speciali (corazzati e artiglieria).

Dalla battaglia di Guadalajara fino alla fine della guerra, i comandanti delle forze italiane non organizzarono attacchi esclusivamente riguardanti il Corpo ma agirono alle dipendenze dell'alto comando nazionalista. Similmente il comandante della Legione Condor, il generale Hugo Sperrle, comandò l'Aviazione Legionaria Italiana.

Da aprile ad agosto 1937, da quando le Divisioni CC.NN. furono ridotte, gli italiani cominciarono a operare in

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unità miste italo-spagnole dove gli italiani fornirono gli ufficiali e il personale tecnico, mentre gli spagnoli servirono nella truppa. La prima unità fu la Brigata Mista Frecce Azzurre e la Brigata Mista Frecce Nere, che combatterono rispettivamente nell'Extremadura e in Viscaya, dall'aprile all'agosto 1937. In Viscaya operarono anche il Gruppo XXIII marzo e undici gruppi d'Artiglieria, partecipando alla presa della roccaforte repubblicana di Guernica.

Tra l’agosto e il settembre 1937, il sostituto di Roatta, il generale Ettore Bastico, comandò le forze del C.T.V., compresa la Divisione XXIII marzo formata sulla base del Gruppo XXIII marzo. Il Corpo spezzò le linee repubblicane presso Soncillo, catturando una postazione chiave, il Puerto del Escudo, e penetrando profondamente nelle retrovie repubblicane durante la battaglia di Santader, ottenendo una vittoria di decisiva importanza per lo schieramento Nazionalista. Dopo l'offensiva di Santader il C.T.V. fu trasferito sul fronte aragonese. Alcuni reparti del C.T.V. potrebbero essere stati coinvolti nella battaglia di El Mazuco, ma i dettagli sono tuttora oggetto di discussione.

Nell’ottobre 1937, dopo le campagne al nord, la I e la II Divisione CC.NN. furono rinforzate dalla Divisione XXIII marzo e rinominate: Divisione XXIII marzo Lame Nere. A marzo del 1938, la Brigata Frecce Nere fu ampliata nella Divisione Frecce combattendo nell'offensiva aragonese e nella Corsa al Mare con il Corpo sotto il comando del generale Mario Berti. A novembre la Divisione Frecce fu rinforzata e rinominata Frecce Nere e la Brigata Frecce Azzurre fu ampliata in un'altra Divisione Frecce che prese parte all'offensiva di Catalogna, l'ultimo attacco della guerra, a fianco del resto del C.T.V., sotto il comando di Gastone Gambara.

Nel febbraio 1939, in seguito alla vittoria di Franco e dei nazionalisti sui repubblicani, il generale Bastico e i volontari italiani furono ritirati dal territorio spagnolo.

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5 LA CONQUISTA DELL’ALBANIA

Nel marzo 1939 Mussolini propose a Zog, già presidente dell’Albania e proclamatosi monarca nel 1928, un trattato di alleanza, ma il suo rifiuto ebbe come conseguenza l'attacco militare al paese balcanico e la successiva occupazione italiana. L'attacco avvenne una settimana dopo la conclusione della guerra di Spagna (1 aprile 1939). L'inizio dell’occupazione militare dell'Albania da parte del Regno d'Italia, avvenne il 7 aprile 1939.

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Il primo scaglione del Corpo di Spedizione Oltre-Mare Tirana (OMT) investì il territorio albanese suddiviso in quattro colonne, le quali sbarcarono a San Giovanni di Medua, Santi Quaranta, Valona e Durazzo, non incontrando particolari resistenze dell'esercito albanese. Le perdite italiane furono di lieve entità e tutti i problemi vennero esclusivamente dalla fretta con cui erano state pianificate le operazioni militari.

La resistenza armata albanese, organizzata ad esempio a Durazzo da Mujo Ulqinaku, si rivelò insufficiente contro le forze armate italiane. Il Re e il governo fuggirono in Grecia e furono obbligati all'esilio e l'Albania cessò de facto di esistere come Stato indipendente. In totale gli italiani che sbarcarono in Albania e occuparono il Paese furono circa 22.000.

Gli italiani instaurarono un governo albanese fantoccio con una nuova Costituzione, approvata il 12 aprile a Tirana, che trasformò l'Albania in Protettorato Italiano del Regno d'Albania. Il 16 aprile il trono albanese fu assunto dal Re d'Italia Vittorio Emanuele III.

Per governare l'Albania fu istituita la figura di un luogotenente generale albanese, nominato formalmente da Vittorio Emanuele III e posto sotto la diretta dipendenza del Ministero degli Esteri italiano tramite il sottosegretario di Stato per gli Affari albanesi. Gli affari esteri albanesi, come anche le risorse naturali, caddero sotto il diretto controllo dell'Italia.

I fascisti permisero ai cittadini italiani di insediarsi in Albania con l'obiettivo di insediare una comunità italiana.

Nel corso di tutta l'occupazione giunsero circa 11.000 coloni italiani (per lo più provenienti dal Veneto e dall'Italia meridionale) che si concentrarono principalmente nelle zone di Durazzo, Valona, Scutari, Porto Palermo, Elbasani e Santi Quaranta. A questi coloni si aggiunsero i 22.000 lavoratori italiani mandati temporaneamente in Albania nell'aprile 1940 per modernizzare il paese, costruendo strade, ferrovie e infrastrutture.

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6 BATTAGLIA DELLE ALPI OCCIDENTALI

La battaglia delle Alpi iniziò il 10 giugno 1940 con l'Italia, entrata in guerra al fianco della Germania, contro la Francia. Le prime operazioni belliche iniziarono con il bombardamento da parte italiana di alcune fortificazioni francesi. Nella notte fra l'11 e il 12 giugno una formazione di aerei britannici bombardò Torino, nella nottata successiva i bombardieri italiani si diressero su Francia meridionale, Tunisia e Corsica e colpirono Saint-Raphaël, Hyères, Biserta, Calvi, Bastia e la base navale di Tolone. Il 15 giugno una squadra navale francese composta di 4 incrociatori e 11 cacciatorpediniere si diresse contro la Liguria e aprì il fuoco contro i depositi di carburante di Vado e il porto di Genova; a rispondere al fuoco furono le artiglierie costiere e le varie unità sparse lungo la costa, ma senza grandi risultati, a parte la torpediniera Calatafimi che, impegnata a collocare mine presso Arenzano, riuscì a lanciare alcuni siluri contro le navi nemiche; mentre la batteria costiera Mameli di Genova riuscì a centrare un colpo sul caccia francese Albatros. Nel nord della Francia Hitler otteneva ottimi successi e

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Mussolini il 15 giugno decise di passare all’offensiva. L'azione doveva cominciare il 18 giugno ma fu poi posticipata al 21. L'Armée des Alpes del generale Olry aveva perduto gran parte dei suoi effettivi, avendo inviato truppe per contrastare l'offensiva tedesca: dai 550.000 uomini schierati a partire dall'apertura delle ostilità con la Germania (1939) si era scesi progressivamente a 85.000 uomini, 170.000 con i servizi. Lungo le Alpi erano schierate due armate italiane: la IV (generale Guzzoni) dislocata dal Dolent al Granero e la I (generale Pintor) fino al mare. Si trattava di 22 divisioni, 12.500 ufficiali, 300.000 uomini di truppa e 2.949 pezzi di artiglieria. Il Comando italiano sperava di riuscire a spezzare la linea difensiva francese e di conquistare il forte di Traversette, posto a controllo del colle del Piccolo San Bernardo, ma l'avanzata italiana si bloccò. Il 21 giugno tre treni armati italiani con cannoni da 152 mm uscirono da alcune gallerie ferroviarie (sotto i giardini di Hambury) per battere le postazioni nemiche di Cap San Martin, ma con scarsa efficacia. Dopo le battaglie del 22 giugno, gli ordini erano di continuare l'offensiva, nei tratti ritenuti più deboli della linea di difesa francese. Il 23 i combattimenti furono caratterizzati da un violento fuoco di artiglieria; i francesi dovettero sgomberare il forte di Trois Tetes mentre le truppe italiane conquistarono il forte dello Chenaillet. La battaglia, nonostante la pressione di Mussolini, non ottenne il risultato sperato e il tutto si ridusse alla conquista di una manciata di chilometri, arrivando a Mentone. Tra il 21 e il 24 giugno il contributo della Regia Aeronautica fu molto scarso: su 285 apparecchi da bombardamento che si alzarono sulle Alpi, più della metà ritornarono alla base senza aver individuato gli obiettivi. I bombardamenti sulla Francia meridionale ebbero risultati migliori secondo l'aeronautica italiana, ma nessuna incidenza sulla battaglia in corso. Le perdite francesi furono 49 morti, 80 feriti e 150 dispersi, mentre gli italiani subirono 631 morti, 2631 fra feriti e congelati e 616 dispersi. Le operazioni di guerra sulle Alpi cessarono il 25 giugno 1940.

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7 LA CAMPAGNA DI GRECIA

Gli italiani attaccarono la mattina del 28 ottobre 1940, respingendo le truppe greche a presidio della zona subito a ridosso del confine. Le divisioni Ferrara e Centauro, mossero verso Kalpaki, mentre il Raggruppamento Litorale avanzava alla loro destra lungo la costa, riuscendo poi ad assicurare una testa di ponte oltre il fiume Kalamas. L'avanzata italiana progrediva lentamente a causa delle pessime condizioni ambientali, con i carri leggeri L3 in difficoltà sulle colline e sulle piste fangose. L'apporto dell'aviazione veniva meno a causa del brutto tempo e le condizioni avverse del mare resero impossibile il previsto sbarco a Corfù. Entro l’1 novembre gli italiani avevano preso Konitsa e raggiunto la principale linea fortificata greca. Nonostante i ripetuti attacchi, gli italiani non riuscirono a spezzare le difese greche, tanto che il 9 novembre l'offensiva fu sospesa. Una minaccia grave per lo schieramento difensivo greco proveniva dall'avanzata dei circa 10.000 uomini della 3ª

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divisione Alpina Julia sulle montagne del Pindo in direzione del passo di Metsovo, posizione strategica la cui conquista avrebbe permesso di separare le forze greche dell'Epiro da quelle presenti in Macedonia. I greci inviarono, in rinforzo a quel settore, l'intero II Corpo d'Armata. Gli alpini della Julia, dopo aver percorso 40 chilometri di terreno montagnoso sotto un tempo inclemente, il 2 novembre riuscirono a catturare Vovousa, a pochi chilometri dell'obiettivo Metsovo, ma era ormai chiaro che non avevano abbastanza forze e rifornimenti per proseguire l'avanzata dopo l'arrivo delle riserve greche. A partire dal 2 novembre, i contrattacchi greci portarono alla riconquista di diversi villaggi, tra cui anche Vovousa. L'8 novembre, al generale Girotti, comandante della divisione Alpina, arrivò l'ordine di ritirata in direzione di Konitsa per un percorso che passava attraverso il monte Smólikas. Dopo aspri combattimenti, il 10 novembre gli alpini riuscirono a completare la ritirata, raggiungendo la cittadina di Konitsa e sottraendosi così definitivamente all'accerchiamento. A partire dal 13 novembre l’attacco italiano fu respinto, ponendo fine alla battaglia del Pindo.

Mussolini decise di spedire diverse divisioni in Albania, ma il numero degli uomini che potevano essere sbarcati era limitato dalla scarsa ricettività dei suoi porti e neanche l'aviotrasporto risultò agevole. Gli attacchi sussidiari alle isole greche vennero definitivamente cancellati. Il 9 novembre Mussolini, infuriato per la mancanza di progressi, sostituì il comandante del Gruppo di Armate d'Albania Prasca con il generale Ubaldo Soddu, che ordinò alle sue forze di attestarsi sulla difensiva. L'invasione italiana era fallita e il maresciallo Pietro Badoglio presentò le dimissioni dalla carica di capo di Stato Maggiore. Il 4 dicembre 1940 le dimissioni furono accettate da Mussolini, che nominò al suo posto il generale Ugo Cavallero. Le truppe impegnate nella campagna includevano diverse migliaia di soldati di etnia albanese che prestavano

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servizio in unità aggregate alle divisioni italiane oppure raggruppati nella Milizia Fascista Albanese. Il loro morale era pessimo e ci furono passaggi d’interi reparti al nemico e un altissimo numero di diserzioni. L'inattività alla frontiera bulgara permise al comando greco di trasferire la maggior parte delle proprie truppe verso il fronte albanese. Il 14 di novembre il generale Papagos, forte di una superiorità di 232.000 uomini contro circa 125.000 italiani, lanciò la sua controffensiva. L'attacco, portato in direzione di Coriza, sfondò le difese italiane il 17, la stessa Coriza cadde il 22. Il comando italiano ordinò alle proprie truppe di ripiegare, abbandonando anche quelle limitate porzioni di territorio greco che ancora si occupavano in Epiro, e di attestarsi lungo una nuova linea difensiva all'interno dell'Albania. La manovra aveva lo scopo di accorciare sensibilmente il fronte per permettere di raggruppare i pochi reparti disponibili nel tentativo di contenere l'offensiva ellenica. Il generale Cavallero fu mandato in Albania e dal 29 dicembre sostituì Soddu, come comandante in capo. L'avanzata ellenica continuava e dopo duri combattimenti veniva catturato il porto di Santi Quaranta, seguito dalle cittadine di Pogradec, Argirocastro e Himara alla vigilia di Natale, praticamente l'intera area meridionale dell'Albania risultava occupata, compreso il passo di Klisura di grande importanza strategica. I greci non riuscirono a sfondare verso Berat e neanche verso Valona. Alla fine di gennaio del 1941, avendo gli italiani ripreso, la superiorità numerica sul campo, la spinta offensiva greca ebbe termine. Il fronte si stabilizzò, infatti, entrambi gli avversari non erano abbastanza forti per modificare la situazione. Gli italiani volendo precedere l'intervento tedesco, ammassarono le loro forze per lanciare una nuova offensiva, denominata in codice Primavera. Sotto la supervisione personale di Mussolini venne portato un attacco in direzione della Val Desnizza con obiettivo il passo di Klisura. L'assalto, durato dal 9 al 16 marzo, non riuscì però nell'intento di sfondare

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la linea di difesa ellenica sul Mali Scindeli e ottenne solo piccoli successi: come la conquista dell'Himara, dell'area del Mali Harza e del monte Trebescini vicino a Berat. Una nuova offensiva era in preparazione da parte italiana, ma il 27 marzo il colpo di stato del generale Simović in Jugoslavia costrinse il comando italiano a ritirare varie divisioni dal fronte greco per guarnire la frontiera tra l'Albania e la Jugoslavia, i nuovi attacchi contro l'esercito ellenico furono rimandati a dopo l'intervento tedesco. Da quel momento fino al 6 aprile, quando ebbe inizio l'attacco tedesco, non vi furono più variazioni significative del fronte. I greci si trovavano così esposti all’attacco tedesco proveniente dalla linea fortificata posta a difesa del territorio a ridosso della Bulgaria, grazie al dissanguamento italiano, avendo dislocato 15 delle loro 21 divisioni sul fronte albanese. La mancata ritirata greca, di fronte alle truppe italiane, produsse il 6 aprile l’inizio dell’attacco tedesco contro la Jugoslavia e la Grecia. A partire dall'8 aprile i greci ripresero la loro offensiva contro gli italiani, contando sul concomitante appoggio delle forze armate iugoslave, ma senza risultati. Solo il 12 aprile il comando greco, impaurito per la rapida avanzata delle truppe tedesche, ordinò di ritirarsi dall'Albania. Il 14 i reparti italiani, impegnati in continui scontri con le retroguardie greche, ripresero Coriza, seguita da Ersekë tre giorni dopo. Il 19 aprile gli italiani raggiunsero le coste greche del lago di Prespa e il 22 aprile arrivarono al ponte di Perati. La Jugoslavia si arrese il 17 aprile, mentre il giorno dopo reparti tedeschi catturarono il Passo di Metsovo. Il 19 aprile i tedeschi presero anche Ioannina, completando così l'accerchiamento delle due armate greche schierate contro gli italiani. Il 23 aprile ci fu la resa ufficiale greca, mentre il 28 aprile gli italiani accettarono la resa del presidio di Corfù, mentre il 30 aprile paracadutisti italiani si lanciarono sull'isola di Cefalonia occupandola, poi presero possesso dell'isola di Zante. Il 3 maggio una parata italo-tedesca ad Atene celebrò la vittoria delle potenze dell'Asse.

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8 LA GUERRA NAVALE NEL MEDITERRANEO

La battaglia nel Mediterraneo si svolse principalmente

lungo le rotte che dall'Italia raggiungevano la Libia attraverso le quali i convogli italiani venivano spesso attaccati dalle forze aeronavali britanniche provenienti da Malta, e lungo la rotta Gibilterra-Malta-Alessandria d'Egitto che la intersecava, percorsa invece dai convogli alleati. Per tutto il conflitto Malta fu una costante minaccia che costò alle forze dell'Asse elevate perdite in uomini e mezzi trasportati ma anche in equipaggi e navi di scorta. Gli inglesi si avvalsero costantemente dei radar, che la Regia Marina non aveva adottato per miopia del proprio comando. Altri problemi per la Regia Marina furono la mancanza di portaerei, la mancanza di addestramento al tiro notturno e altre limitazioni tecniche.

La prima operazione di guerra fu la battaglia di Punta Stilo (9 luglio 1940), nella quale si scontrarono la squadra navale italiana che rientrava da una operazione di scorta a un convoglio verso la Libia, e quella britannica di ritorno da un'analoga operazione. Pochi giorni dopo, nella battaglia di Capo Spada (19 luglio 1940), l'incrociatore Bartolomeo Colleoni dopo essere stato immobilizzato dalle artiglierie dell'incrociatore australiano Sydney, venne affondato dai siluri delle cacciatorpediniere

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britanniche presenti in area. Nella notte tra l'11 e il 12 novembre 1940, l'attacco degli aerosiluranti britannici decollati dalla portaerei Illustrious contro la flotta italiana alla fonda nella base navale di Taranto danneggiò gravemente il naviglio della Marina causando solo lievi perdite agli attaccanti. Le corazzate Littorio e Caio Duilio richiesero mesi di riparazioni, mentre il Conte di Cavour non ritornò più in servizio attivo. Il 27 novembre la Regia Marina si scontrò con la flotta britannica nella battaglia di Capo Teulada, il cui esito fu un cacciatorpediniere italiano danneggiato e un incrociatore pesante inglese danneggiato.

Il 26 marzo 1941 avvenne l'attacco alla base britannica della Baia di Suda a Creta: vennero affondati l'incrociatore HMS York e una petroliera. Tra il 27 ed il 29 marzo 1941, nella battaglia di Capo Matapan, la Royal Navy affondò tre incrociatori pesanti (Pola, Zara e Fiume), due cacciatorpediniere e danneggiò l'ammiraglia italiana Vittorio Veneto, perdendo, per contro, un solo aerosilurante. Le unità Alleate erano molto attive nell'attaccare i convogli dell'Asse, che trasportavano truppe e rifornimenti verso il fronte libico, come nella battaglia del convoglio Tarigo del 16 aprile 1941, che vide quattro cacciatorpediniere britannici affondare tre cacciatorpediniere italiani e cinque trasporti, perdendo solo un’unità, e la battaglia di Capo Bon del 13 dicembre 1941, quando, durante un'operazione di trasporto di carburante verso la Libia, vennero affondati gli incrociatori Alberto da Giussano e Alberico da Barbiano, della classe Condottieri.

L'azione di maggior successo compiuta dalla Regia Marina nel corso del conflitto fu l'attacco con siluri a lenta corsa, conosciuti come maiali, alle due navi da battaglia britanniche Valiant e Queen Elizabeth, alla fonda nel porto di Alessandria d'Egitto il 19 dicembre 1941.

Altre operazioni di rilievo furono la prima battaglia della Sirte (1941) e la seconda battaglia della Sirte (22 marzo 1942), nella seconda delle quali una formazione navale britannica, in

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netta inferiorità, venne affrontata senza decisione dalla squadra da battaglia italiana, con un inconcludente scambio di colpi di artiglieria. Nel rientro la squadra italiana perse due cacciatorpediniere per le condizioni estreme del mare. In seguito venne combattuta la battaglia di mezzo giugno (1942). Nella battaglia di mezzo agosto (1942), le forze aeronavali dell'Asse danneggiarono o affondarono la maggioranza delle navi di due convogli destinati a Malta.

Nel periodo nel quale fu presente l'alleato tedesco con il X Fliegerkorps dislocato in Sicilia, prima per l'Operazione C3 e poi per dare supporto alle truppe di Rommel nel Nord Africa, e con nutrite flottiglie di U-boot a caccia nel Mediterraneo, vi furono momenti di difficoltà per la Royal Navy che si concretizzarono nella prima e seconda battaglia della Sirte e nella battaglia di mezzo giugno.

Lo sbarco alleato in Marocco ed Algeria, noto come operazione Torch portò nel Mediterraneo anche un cospicuo numero di mezzi navali ed aerei statunitensi, che fecero pendere definitivamente l'ago della bilancia a favore degli Alleati.

Il 25 agosto 1943 un gruppo di aerei tedeschi attaccò un convoglio alleato nel Golfo di Biscaglia affondando la nave HMS Egret e il cacciatorpediniere canadese HMCS Athabascan facendo per la prima volta al mondo l'uso di missili teleguidati. Lo stesso giorno gli Alleati effettuarono l'operazione Avalanche a Salerno e la Luftwaffe impiegò contro di loro alcune bombe plananti che danneggiarono seriamente la HMS Warspite e affondarono altre navi. La superiorità aerea alleata rese sempre più difficile l'alzarsi in volo dei bombardieri germanici e già nell'operazione Shingle, compiuta nel gennaio 1944, la Luftwaffe venne duramente contrastata, anche se riuscì ad affondare, con una bomba planante, la HMS Spartan (29 gennaio 1944). Alla firma dell'armistizio con le forze alleate del settembre del 1943, navi, uomini e mezzi della Regia Marina, si consegnarono nella quasi totalità dei casi alle forze anglo-americane. Diverse unità

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minori e alcune di rilievo, impossibilitate a muoversi furono catturate dai tedeschi durante l'operazione Achse. Le unità leggere furono riutilizzate come siluranti straniere con personale tedesco, poiché non ritennero opportuno affidare le navi catturate alla costituenda marina della Repubblica Sociale Italiana; in alcuni casi si ebbero anche scontri tra gli equipaggi italiani e le forze tedesche come nel caso del cantiere navale di Castellammare di Stabia, dove il personale della base e dell'incrociatore Giulio Germanico, si difese per tre giorni. Nel Dodecaneso italiano la Regia Marina ebbe un ruolo da protagonista nella resistenza offerta ai tedeschi, specialmente a Rodi con Inigo Campioni e a Lero con Luigi Mascherpa, che comunque non riuscì a impedire il successivo passaggio del Dodecaneso nelle mani dei tedeschi. L'unico attacco che gli anglo-italiani riuscirono a respingere fu quello portato all'isola di Simi, peraltro poi abbandonata dagli stessi difensori.

Il comando alleato dispose l'utilizzazione delle unità leggere italiane in operazioni di scorta ai convogli e degli incrociatori in missioni di bombardamento contro le coste dell'Italia occupata, oltre che di crociere di vigilanza nell'Atlantico. Attiva fu Mariassalto, effettuando varie azioni di sabotaggio, tra le quali gli affondamenti a Genova della portaerei Aquila (notte del 19 aprile 1945) e dell'incrociatore Bolzano a La Spezia (notte del 21 giugno 1944). A causa della scarsità di mezzi e dei contrasti con i vertici tedeschi, la neocostituita Marina Nazionale Repubblicana della Repubblica Sociale Italiana non riuscì mai a divenire del tutto operativa. Le attività navali della RSI vennero portate avanti dalla sola Xª Flottiglia MAS tramite l'impiego di MAS e MTM nel settore del mar Tirreno. Dalla fine del 1943, l'attività dei mezzi tedeschi si ridusse al trasporto di rifornimenti dai porti del nord a quelli del centro Italia, alla posa di mine e al pattugliamento delle coste, con solo qualche rapida puntata offensiva verso Napoli o la zona tra la Sardegna e la Corsica.

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9 LA GUERRA IN AFRICA ORIENTALE

I possedimenti italiani nel Corno d'Africa costituivano una minaccia grave per le vie di collegamento dell'Impero britannico, dal momento che le forze italiane potevano agilmente interrompere i collegamenti tra Il Cairo a nord e Città del Capo a sud, in particolare se le forze italiane fossero riuscite a occupare Khartum e a realizzare un collegamento con la Cirenaica, accerchiando l'Egitto e la nevralgica zona del Canale di Suez. Una situazione del genere era difficilmente attuabile, dato che nel 1940 l'Africa italiana era impossibilitata a ricevere rifornimenti diretti dall'Italia, e circondata completamente da colonie britanniche. Il Regio Esercito poteva contare in Africa Orientale su due divisioni, la 65ª Divisione fanteria Granatieri di Savoia (reggimenti 10º e 11º e la Divisione fanteria Cacciatori d'Africa (reggimenti di fanteria 210º Bisagno e 211º Pescara). A questi si aggiunsero venticinque battaglioni di Camicie Nere, svariati gruppi di artiglieria autonoma sia nazionale sia coloniale, 24 carri medi M11/39, 39 carri leggeri

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L3/33, sei squadriglie autoblindo Lancia 1ZM, una di autoblindo Fiat 611 e ventinove brigate coloniali. In totale si trattava di quasi seimila ufficiali, 68.000 uomini di truppa nazionale e 182.000 uomini di truppa locale. La Regia Marina schierava, per i territori coloniali, la Flotta del Mar Rosso, costituita dalla III squadriglia cacciatorpediniere (Battisti, Manin, Nullo, Sauro), dalla V squadriglia cacciatorpediniere (Leone, Pantera, Tigre), da due incrociatori ausiliari tipo RAMB e da una nave ospedale. L'aeronautica dell'Africa Orientale si costituiva innanzitutto di alcuni gruppi da bombardamento terrestri, il 44° di Addis Abeba (S. 79), il 29° di Sciasciamanna (SM. 81), il 4° di Dire Daua (SM. 81), e il 27° di Dessiè (Ca. 133). Inoltre, vi erano anche alcune squadriglie di caccia, ossia la 410ª di Giggiga (CR. 32), la 211ª di Dire Daua (CR. 32), la 412ª di Gura (CR. 42), e la 413ª di Assab (CR. 42), per un totale di 223 aerei di diversa tipologia ma, tranne per gli S.M.79, tutti obsoleti al tempo della dichiarazione di guerra. All'inizio del conflitto le forze italiane presenti ammontavano a circa 90.000 uomini tra esercito, marina, aeronautica, finanza, e circa 200.000 ascari. Le truppe italiane erano distribuite su diversi e sterminati scacchieri operativi, da ciascuno dei quali era impossibile intervenire in aiuto di altri settori in difficoltà a causa dell’assoluta inesistenza di collegamenti. Il 27 marzo 1941, dopo la caduta della piazzaforte di Cheren strenuamente difesa dal generale Lorenzini e dai suoi uomini, e in seguito alla resa di Massaua l'8 aprile dello stesso anno, l'Italia di fatto perse i territori eritrei. Il 19 maggio, dopo un tentativo di resistenza sull'Amba Alagi, il viceré Amedeo d'Aosta, si arrese con l'onore delle armi, anche se la guerra si sarebbe definitivamente conclusa soltanto il 28 novembre successivo, con la resa del generale Nasi al comando degli ultimi difensori di Gondar. Continuarono però operazioni di guerriglia sotto il comando di Amedeo Guillet, perlopiù nella regione costiera. La guerriglia italiana in Etiopia fu appoggiata anche da civili italiani dell'Etiopia italiana. Questa guerriglia si esaurì solo nel 1943 nelle montagne del Tigrè vicino all'Eritrea italiana.

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10 LA GUERRA IN AFRICA SETTENTRIONALE

All'inizio delle ostilità il comando superiore dell'Africa settentrionale era affidato al maresciallo dell'aria Italo Balbo. In Libia si trovavano due armate: la V del generale Italo Gariboldi, al confine con la Tunisia e composta da 8 divisioni, 500 pezzi d'artiglieria di medio calibro, 2.200 autocarri e 90 carri leggeri; al confine egiziano c'era invece la X Armata del generale Mario Berti, con 5 divisioni, 1.600 pezzi d'artiglieria, 1.000 autocarri e 184 carri leggeri; inoltre vi era la 5ª Squadra aerea della Regia Aeronautica, agli ordini del generale di squadra aerea Porro (315 aerei). Il 28 giugno 1940 Italo Balbo morì mentre era in volo, abbattuto, da un cannone antiaereo italiano a Tobruch. A sostituire Balbo fu inviato il maresciallo Rodolfo Graziani, capo di Stato maggiore dell'esercito. Il 13 settembre 1940 le forze italiane di stanza in Libia, comandate da Graziani, lanciarono un'offensiva entrando in territorio egiziano dopo un violento bombardamento dell'artiglieria. Gli inglesi si ritirarono senza combattere e si asserragliarono nel campo trincerato di Marsa Matruh. Il 16 settembre, le truppe italiane entrarono a Sidi el Barrani. Graziani ordinò di sospendere l'offensiva per riorganizzarsi. Sebbene le forze inglesi potessero contare solo su 30.000 soldati, queste erano meglio equipaggiate e,

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il 9 dicembre 1940, lanciarono una controffensiva (operazione Compass) che portò entro il mese di gennaio del 1941 all'occupazione della Cirenaica fino ad El Agheila, dopo la sconfitta italiana nella battaglia di Beda Fomm e la cattura di migliaia di prigionieri di guerra. Come rinforzo, Hitler inviò in Libia il Deutsches Afrikakorps al comando di Erwin Rommel. Gli ordini iniziali di Rommel erano quelli di mantenere la linea e di salvare Tripoli, ma lui colse l'occasione favorevole lanciando un'offensiva che costrinse gli inglesi ad abbandonare El Agheila e a perdere Bengasi. In aprile Rommel era in possesso di tutta la Cirenaica, e aveva respinto gli inglesi alle loro posizioni iniziali. Rinforzata con unità provenienti dall'Australia, dall'India, dal Sudafrica, dalla Nuova Zelanda e con le forze della Francia Libera, l'8ª Armata inglese al comando di Auchinleck attaccò nel novembre 1941 (Operazione Crusader) costringendo i tedeschi, privi di rifornimenti, a ritirarsi fino alla linea difensiva di Marsa El Brega. Dopo aver ricevuto i sospirati rifornimenti, Rommel attaccò nuovamente: sconfitti gli Alleati a Gazala e catturata Tobruch, oltrepassò la frontiera libico-egiziana ma venne fermato in quella che è ricordata come la prima battaglia di El Alamein. In una situazione ormai disperata fu nominato comandante generale delle forze in Nordafrica, Bernard Montgomery, il quale, dopo aver sconfitto le forze italo-tedesche ad Alam Halfa e nella seconda battaglia di El Alamein, iniziò a respingere le forze dell'Asse, fino a occupare l'intera Libia. Gli americani sbarcarono nel Nordafrica occupato dalle forze francesi di Vichy, dove ogni resistenza cessò tra il 10 e l'11 novembre 1943. La resistenza italo-tedesca si spostò così in Tunisia dove Rommel si impegnò in una serie di operazioni difensive (battaglia del Passo di Kasserine), che portarono la guerra ad una situazione di stallo, fino a quando gli alleati sfondarono le posizioni italo-tedesche sulla linea del Mareth con l'operazione Pugilist e la successiva operazione Vulcano, gli Alleati posero fine alla resistenza delle forze dell'Asse in Africa.

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11 LA CAMPAGNA DI RUSSIA

Il Corpo di Spedizione Italiano in Russia, spesso abbreviato come CSIR e l'VIII Armata Italiana in Russia, o ARMIR, furono le grandi unità del Regio Esercito impegnate, in successione, sul fronte orientale tra il luglio del 1941 e il febbraio del 1943.

Con l'Operazione Barbarossa, scatenata da Hitler il 22 giugno 1941, il conflitto registrò una svolta destinata ad avere conseguenze decisive sulla storia del mondo. L'attacco cominciò all'alba su tutta la linea del fronte, dal mare del Nord al Mar Nero; le forze tedesche comprendevano 3.200.000 uomini (suddivisi in 153 divisioni, di cui 19 corazzate e 15 motorizzate), 3.400 carri armati, 250 semoventi, 7.150 cannoni, 600.000 automezzi, 625.000 cavalli e 3.900 aerei. Alle forze tedesche si affiancavano circa

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690.000 soldati dei paesi alleati: finlandesi, romeni, ungheresi, slovacchi e "volontari" spagnoli e francesi.

Mussolini, impressionato dai primi clamorosi successi nazisti, si precipitò a offrire a Hitler l'aiuto di un consistente corpo di spedizione italiano, nonostante Hitler lo avesse tenuto all'oscuro fino all'ultimo dell'inizio dell'invasione e avesse inizialmente tentato di respingere l'offerta di aiuto.

L'invio nell'estate 1941 del CSIR (Corpo di spedizione italiano in Russia) agli ordini del generale Giovanni Messe (tre divisioni, 62.000 uomini, 5.500 automezzi, 4.600 quadrupedi, 220 pezzi di artiglieria, 83 aerei), ebbe un valore prettamente politico: non influì, se non minimamente, sui rapporti di forza nella campagna; rappresentò, invece, la volontà di Mussolini di difendere il suo ruolo di primo fra gli alleati di Hitler in quella che si prospettava come la trionfale e decisiva vittoria.

Le divisioni dello CSIR giunsero in ferrovia la frontiera russa, poi avanzarono in Ucraina parte a piedi e parte in autocarro. Furono inserite nel gruppo corazzato Von Kleist (poi I armata corazzata), e impiegate in autunno nella regione dei fiumi Dnepr e Donec per l'eliminazione delle sacche di resistenza che la progressione delle forze motocorazzate tedesche si era lasciate alle spalle.

Successivamente furono schierate sul fronte con compiti di difesa statica e a fine dicembre e poi in gennaio riuscirono a respingere alcuni attacchi della fanteria russa. I mesi successivi videro soltanto combattimenti minori. Le perdite fino al 30 luglio 1942 furono di 1.792 morti e dispersi e 7.878 tra feriti e congelati.

L'anno seguente, il corpo di spedizione italiano fu rafforzato da altre sei divisioni e trasformato nell'VIII armata, conosciuta come ARMIR (Armata italiana in Russia) e posta al comando del generale Gariboldi, che nell'autunno 1942 contava 230.000 uomini, 16.700 automezzi, 1.150 trattori di artiglieria, 4.500 motoveicoli, 25.000 quadrupedi, 940 cannoni e 64 aerei.

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Le nuove divisioni italiane giunsero nell'estate 1942 in ferrovia fino alla zona di Karkov per poi percorrere da 500 a 1.000 km fino alla linea del fronte con i propri mezzi: a piedi o in autocarro.

L'ARMIR prese parte all'offensiva estiva tedesca del 1942, denominata Operazione Blu. Schierata alle dipendenze del Gruppo di Armate B tedesco, venne destinata alla protezione del fianco sinistro delle truppe impegnate nella battaglia di Stalingrado. Venne perciò schierata lungo il bacino del Don, tra la 2ª Armata ungherese a nord e la 3ª Armata romena a sud. Il 20 agosto, truppe sovietiche attaccarono il settore difeso dal XXXV Corpo d'Armata, riuscendo a stabilire una testa di ponte oltre il Don.

Il contrattacco italiano lanciato il 23 (durante il quale si svolse il celebre episodio della carica di Isbuscenskij) riuscì in qualche modo a contenere l'azione dei sovietici, che tuttavia furono in grado di consolidare le posizioni conquistate.

Settembre e ottobre trascorsero tranquillamente, con le truppe italiane disposte a difesa di un tratto di fronte lungo 270 chilometri: l'ampiezza era tale che tutte le divisioni erano schierate in prima linea, con l'eccezione della Vicenza (impegnata a contrastare i partigiani nelle retrovie) e del Raggruppamento Barbò (giudicato inadatto al ruolo di difesa statica). Il 19 novembre, l’Armata Rossa lanciò una massiccia offensiva (Operazione Urano) volta ad accerchiare le truppe tedesche a Stalingrado. L'azione portò all'annientamento della 3ª Armata romena, schierata a sud dell'ARMIR.

Il 16 dicembre, l'offensiva sovietica (Operazione Piccolo Saturno) si scatenò anche contro le linee tenute dal II e XXXV Corpo dell'ARMIR. Il primo attacco sovietico fu contenuto, ma il 17 i sovietici lanciarono all'attacco le divisioni corazzate travolgendo le linee tenute dagli italiani e obbligandoli alla ritirata. Quasi prive di mezzi di trasporto, le divisioni di fanteria dell'ARMIR finirono in gran parte annientate.

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L'offensiva sovietica non coinvolse il Corpo d'Armata alpino, che continuò a tenere le sue posizioni sul Don. La Divisione Julia, sostituita sulla linea del fronte dalla Divisione Vicenza, fu riposizionata sul fianco destro del Corpo alpino insieme al XXIV Corpo d'Armata tedesco, riuscendo a contenere lo sfondamento nemico.

Il 13 gennaio 1943, i sovietici attaccarono e travolsero la 2ª Armata ungherese (Offensiva Ostrogorzk-Rossoš), completando l'accerchiamento del Corpo d'Armata alpino. L'ordine di ripiegare dal Don venne dato (con molto ritardo), solo il 17 gennaio.

In dieci giorni, le tre divisioni alpine, la Divisione Vicenza, alcune unità tedesche del XXIV Corpo e una gran massa di sbandati italiani, ungheresi e romeni, coprirono più di 120 km in ritirata, in condizioni climatiche proibitive (neve alta e temperature tra i -35º e i -42º), con pochi mezzi di trasporto e vestiario insufficiente, sottoposte ad incessanti attacchi da parte delle truppe regolari e dei partigiani sovietici.

Il 26 gennaio, la divisione Tridentina riuscì a rompere l'accerchiamento sovietico presso Nikolajewka, mentre le divisioni Julia, Cuneense e Vicenza finirono pressoché annientate.

Quando il 30 gennaio 1943 i sopravvissuti si raccolsero a Schebekino, dove poterono finalmente riposare dopo 350 chilometri di marce estenuanti e dopo tredici battaglie, la Campagna di Russia ebbe termine per le truppe italiane.

Gravissime furono le perdite, in particolare delle divisioni alpine: dei 57.000 alpini partiti per la Russia, ne ritornarono solo 11.000: tutti gli altri morirono nel corso delle battaglie, durante la ritirata attraverso la desolata steppa russa oppure nei campi di prigionia sovietici.

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12 LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA

La Repubblica Sociale Italiana fu fondata il 23 settembre

1943. L'Esercito Nazionale Repubblicano (con la Guardia Nazionale Repubblicana e le Brigate Nere) dipendeva, formalmente, dal governo della RSI, ma l'impiego operativo era subordinato ai comandi militari tedeschi. Le SS italiane dipendevano dal generale Wolff, mentre la Xª MAS del comandante Junio Valerio Borghese costituiva un vero e proprio esercito personale. Nel periodo 1943-1945 l'Esercito della Repubblica Sociale contò circa 558.000 effettivi.

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Ai vertici dell'organizzazione militare della RSI stava il Ministero della Difesa Nazionale che, dal 6 gennaio 1944 si chiamò Ministero delle Forze Armate. A capo di esso fu designato l'ex Maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani, che a sua volta nominò quale Capo di stato maggiore generale il generale Gastone Gambara. La maggior parte delle azioni compiute da queste unità furono dirette contro il movimento partigiano: i comandanti tedeschi, poco inclini a fidarsi dei militari italiani dopo i fatti dell'8 settembre, preferivano evitare di coinvolgerle nei combattimenti del fronte, e si convinsero ad usarle solo nei momenti e nei settori più tranquilli della Linea Gotica. Questo atteggiamento contribuì a deprimere ulteriormente il morale di quanti, soprattutto giovani coscritti, avevano risposto al bando Graziani mossi dal sincero desiderio di difendere il suolo patrio, vedendosi invece costretti in buona parte alle azioni della controguerriglia perpetrate contro villaggi e popolazioni italiane.

L'operazione Wintergewitter, una sorta di controffensiva delle Ardenne italiana, fu una battaglia di proporzioni limitate, sia per i risultati ottenuti (far ripiegare un gruppo di combattimento reggimentale statunitense) sia per le dimensioni dei reparti impegnati (tre battaglioni tedeschi e tre della RSI, più i supporti d'artiglieria). Entro il 31 dicembre il fronte si sarebbe nuovamente stabilizzato sulle posizioni di partenza, senza alcun mutamento strategico o tattico di rilievo. Vi erano, infine, reparti che combattevano fuori dai confini: in Francia, Germania, Unione Sovietica, Penisola balcanica, Dodecaneso. I caduti in Italia di questo esercito furono circa 13.000 militari e 2.500 civili. I prigionieri di guerra vennero inviati dagli alleati principalmente nel campo di concentramento di Hereford, nel Texas.

L'istituzione di un'aviazione per la nascente repubblica fascista si fa in genere risalire alla nomina del tenente colonnello Ernesto Botto a sottosegretario per l'aeronautica il 23 settembre 1943, durante la riunione del consiglio dei ministri della RSI.

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La costituzione dell'Aeronautica Repubblicana dovette attendere l'autorizzazione personale di Hitler in novembre, dopo le proteste ufficiali di Botto. Nel gennaio del 1944 s’iniziava così la formazione dei reparti: un gruppo per ogni specialità (i caccia su Macchi M.C.205 Veltro, gli aerosiluranti su Savoia-Marchetti S.M.79 e trasporto) con una squadriglia complementare. Il tutto, per le operazioni, dipendeva dai comandi tedeschi. In aprile fu formato un ulteriore gruppo di caccia, su Fiat G.55 Centauro. Nel giugno dello stesso anno iniziò il passaggio ai velivoli tedeschi Messerschmitt Bf-109G-6, che avrebbero dovuto armare anche il nuovo 3º Gruppo. Questa espansione della caccia fu dovuta sia al crescente disimpegno della Luftwaffe dal settore meridionale, sia dai buoni risultati conseguiti inizialmente, ma questi terminarono e il tasso di perdite cominciò a farsi superiore al numero di abbattimenti ottenuto. L'aeronautica della RSI, che comprese anche l'artiglieria contraerea e i paracadutisti, cercò di contrastare come meglio poté la superiorità dell'aviazione nemica. Le ultime missioni di volo furono svolte il 19 aprile 1945, quando i due gruppi di caccia intercettarono dei bombardieri e dei ricognitori alleati. Nei giorni successivi, impossibilitati a compiere decolli per mancanza di carburante e sottoposti a continui attacchi da parte dei partigiani, i reparti distrussero il materiale di volo e si arresero.

La Marina Nazionale Repubblicana era la marina militare della RSI (istituita nel settembre-ottobre del 1943), divenuta ufficialmente operativa nel gennaio del 1944 e si dedicò principalmente al pattugliamento delle coste e alla posa delle mine antinave. La grave penuria di mezzi e l'atteggiamento diffidente degli alleati tedeschi minarono le attività della neonata marina, che non divenne mai del tutto pienamente operativa e che svolse solo un numero limitatissimo di operazioni finché la nomina il 14 febbraio 1944 di Borghese

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stesso a sottocapo della Marina Nazionale Repubblicana comportò una ripresa nel settore operativo.

La Xª Flottiglia MAS (dall’1 maggio 1944, con l'unificazione di vari battaglioni, rinominata in Xª Divisione MAS) è stato un corpo militare indipendente, ufficialmente parte della Marina Nazionale Repubblicana della RSI attivo dal 1943 al 1945. La Xª Flottiglia MAS al nord, al comando del capitano di fregata Junio Valerio Borghese in seguito all'armistizio di Cassibile strinse accordi di alleanza con il capitano di vascello Berninghaus della Marina da guerra germanica. Durante i due anni che seguirono operò in coordinazione coi reparti tedeschi sia per contrastare l'avanzata alleata dopo lo sbarco di Anzio e sulla Linea Verde e nel Polesine, sia in operazioni contro la resistenza italiana, attività durante la quale l'unità impiegò metodi di repressione durissimi, compresi alcuni crimini di guerra. L’unità, nel tentativo di difendere i confini nordorientali dalla controffensiva iugoslava, cercò anche di affermare l'italianità di quelle regioni di fronte alle politiche annessionistiche dell'occupante tedesco sostenuto da elementi collaborazionisti serbi, croati e sloveni. Tutti questi tentativi non ottennero risultati sperati e i reparti inviati in Friuli furono presto fatti trasferire oltre il Piave, a Thiene. La Xª Divisione MAS si arrese il 26 aprile 1945 ai rappresentanti del Comitato di Liberazione Nazionale nella caserma di piazzale Fiume a Milano. In seguito alla definitiva sconfitta delle forze italo-tedesche, Mussolini abbandonò Milano la sera del 25 aprile 1945, dopo aver invano cercato di trattare la resa. Il tentativo di fuga si concluse il 27 aprile con la cattura da parte dei partigiani a Dongo, sul Lago di Como. Benito Mussolini fu fucilato il giorno seguente insieme alla sua amante Claretta Petacci.