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QUADERNO COLTURE ERBACEE Cereali, Foraggere industriali

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Quaderno

Colture erbaCeeCereali, Foraggere industriali

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QUADERNOQUADERNO COLTURE ERBACEE

ISBN 9788896578094

Coordinatore Luigi TedoneDipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali - Università di Bari

Testi e ricercheGianluca Brunetti1, Fedele Casulli2, Eugenio Cazzato1, Giuseppe De Mastro1, Grazia Disciglio3, Mariano Fracchiolla1, Nicola Grassano1, Francesco Pinto4, Emanuele Tarantino3, Luigi Tedone1, Leonardo Verdini1.1 Università degli Studi di Bari - Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Facoltà di Agraria2 Università degli Studi di Bari - Dipartimento di Protezione delle Piante e Microbiologia Ap-plicata, Facoltà di Agraria3 Università degli Studi di Foggia - Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Dife-sa Vegetale, Facoltà di Agraria 4 Università degli Studi di Bari - Dipartimento di Produzione Animale, Facoltà di Agraria

Progetto editorialeMaria Grazia Piepoli1, Antonio Cardone1, Matteo Antonicelli2, Pietro Suavo Bulzis3, Fabrizio De Castro4, Vito Nicola Savino5

1Centro di Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura “Basile Caramia” di Locorotondo 2 COGEA Srl di Roma3 Federazione Regionale Coldiretti Puglia4 Agriplan Srl di Bari5 Università degli Studi di Bari – Facoltà di Agraria

RedazioneSettore Biblioteca - Centro di Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura “Basile Caramia” di Locorotondo (Ba)

EditoreCentro di Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura “Basile Caramia” di Loco-rotondo (Ba)

Finito di stampare nel mese di aprile 2009 / Stampa GRAFICA MERIDIONALETutti i diritti sono riservati – È vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo

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INDICE

Presentazione 7

1. I cereali: importanza economica e specie coltivate nell’areale pugliese 91.1 Introduzione 91.2 Aree di coltivazione, superfici, produzioni e la PAC 91.3 Frumento duro: qualità, certificazione e rintracciabilità 111.4 Cereali minori 161.5 Cenni sulle tecniche di coltivazione dei cereali autunno-vernini 181.6 Cerealicoltura biologica 191.7 Conclusioni 22

2. Biologia dei cereali autunno-vernini 272.1 I cereali 272.2 Morfologia dei cereali autunno-vernini 272.3 Ciclo biologico 342.4 Esigenze ambientali 38

3. Tecnica colturale 433.1. Avvicendamento 433.2. Lavorazione del terreno 443.3 Semina 463.4 Scelta varietale 473.5 Concimazione 483.6 Irrigazione 53

4. Il controllo della flora infestante nei cereali 554.1 La flora infestante dei cereali 554.2. Caratteristiche della flora infestante e rapporti di competizione con le colture 574.3. Danni causati dalla flora infestante 584.4. Periodo critico della competizione 584.5. Gestione agronomica della flora infestante 594.6. Controllo meccanico delle malerbe in presenza della coltura 614.7. Il diserbo chimico 61

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4.8. Fenomeni di resistenza agli erbicidi 64

5. Aspetti fitopatologici dei cereali 675.1 Introduzione 675.2 Oidio o mal bianco 675.3 Ruggine 695.4 Septoriosi 715.5 Stagonosporiosi 725.6 Alternariosi 735.7 Mal del piede 745.8 Fusariosi della spiga 745.9 Carbone 755.10 Carie totale 765.11 Elmintosporiosi o striatura bruna dell’orzo 77

6. Raccolta, stoccaggio e destinazione del prodotto 816.1 Raccolta 816.2 Consegna e stoccaggio 826.3 Parassiti animali 846.4 Controllo delle infestazioni 866.5 Utilizzazione e aspetti qualitativi 88

7. Le colture foraggere in Puglia: diffusione e caratteristiche agronomiche delle specie coltivate 917.1 Importanza e diffusione delle foraggere in Puglia 917.2 Cenni sulle principali specie da foraggio 93

8. Problematiche agronomiche delle colture foraggere e del miglioramento dei pascoli in Puglia 1078.1 La coltivazione degli erbai 1078.2 Miglioramento dei pascoli 1118.3 La raccolta e conservazione del foraggio 1188.4 L’insilamento 119

9. Aspetti nutrizionali degli alimenti di origine vegetale ed esempio pratico di razionamento 1239.1 Introduzione 1239.2 La valutazione qualitativa delle materie prime per l’alimentazione animale 1249.3 I fabbisogni nutritivi degli animali 128

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9.4 La fibra 1319.5 Il flusso energetico degli alimenti durante la digestione 1349.6 Il calcolo della razione alimentare 136

10. Le colture industriali: importanza economica e speciecoltivate nell’areale pugliese 14310.1 Introduzione 14310.2 Colture da semi oleosi 14410.3 La barbabietola da zucchero 154

11. Girasole (Helianthus annus L.) 165

12. Colza (Brassica napus L. subsp. Oleifera DC) 179

Allegato Schede tecniche di coltivazione delle principalicolture cerealicole, foraggere e industriali 193

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PREsENTAzIONE

Nell’ambito delle superfici emerse (circa 13,5 miliardi di ha) circa 1,4 miliardi di ettari sono destinati alle coltivazioni erbacee, colture strategiche per l’alimenta-zione umana, sia in via diretta, attraverso l’utilizzo delle materie prime, sia per via indiretta, esempio come nel caso delle materie prime destinate alla zootecnia ed all’industria di trasformazione. Da considerare anche la rilevante presenza (circa 3 miliardi di ettari) di superfici destinate alla pastorizia (prati, pascoli e boschi) e le superfici, sempre più crescenti negli ultimi anni, per la produzione di energia.La Puglia possiede una superficie agraria e forestale di 1.350 mila ettari nei quali la destinazione a coltivazioni erbacee è consistente: 650 mila ettari a seminativi, 90 mila ettari a prati e pascoli 100 mila ettari a boschi. Da questa premessa si evince l’enorme importanza strategica che assumono queste colture nelle economie e nelle politiche internazionali.Il manuale è strutturato in tre parti, dimensionate in base all’importanza econo-mica che le colture rivestono a livello regionale:- le colture cerealicole da granella, con particolare attenzione al frumento, orzo, avena; - le colture foraggere, con particolare attenzione agli erbai autunno vernini e ai pascoli; - le colture industriali, con maggior attenzione a girasole, colza e cenni su colture quali barbabietola e pomodoro da industria. Di tutte le colture, si fa comunque una trattazione che tiene in conto che la ge-stione dell’azienda agricola si intreccia con una serie di problematiche:- produrre con metodi di coltivazione che siano sostenibili sia economicamente ma anche dal punto di vista ambientale, considerando che le risorse naturali non sono rinnovabili.- assicurare la continuità di approvvigionamento, possibilmente senza fluttuazio-ni negli anni.- garantire un prezzo dei beni di prima necessità che sia conveniente sia per gli imprenditori agricoli che per la popolazione.- garantire la sicurezza dei prodotti in termini salubrità qualitativi e sanitari.Il quaderno nasce quindi con l’intento di fornire agli imprenditori agricoli un sup-porto e un aggiornamento sulle tecniche di coltivazione, al fine di ottimizzare il reddito degli agricoltori nel rispetto del mandato più ampio oggi affidato agli agri-coltori che è quello assicurare il benessere alimentare e sociale delle comunità.

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1- I CEREALI: IMPORTANzA ECONOMICA E sPECIE COLTIVATE NELL’AREALE PUGLIEsE

Emanuele Tarantino, Grazia DisciglioDipartimento di Scienze Agro-Ambientali,

Chimica e Difesa vegetale della Facoltà di Agraria, Università degli Studi di Foggia

1.1 IntroduzioneI cereali comprendono diverse specie di piante erbacee annuali coltivate per i loro frutti o semi secchi (cariossidi) ricchi di amido, utilizzati nell’alimentazione umana o animale come sfarinati o come prodotti ottenuti dagli stessi (pane, pa-sta, biscotti ecc.).Oggi più della metà delle terre arabili nel mondo è coltivato a cereali. La loro importanza deriva da alcune positive caratteristiche, prima tra tutte, quella di dare un prodotto secco (10-12% di acqua) concentrato, facilmente trasportabi-le e conservabile ad alto potere calorico, con apprezzabile contenuto proteico, lipidico e di sali minerali. L’altra peculiare caratteristica è l’ampia adattabilità ad ambienti molto diversi. Infatti, alcune specie si sono adattate a climi tempera-ti (specie microterme a ciclo autunno-vernini: frumento, orzo, avena, segale, triticale), altre specie, originate nei climi caldo tropicali, sono caratterizzate da elevate esigenze termiche (specie macroterme: mais, sorgo, riso, miglio, panico ecc.).

1.2 Aree di coltivazione, superfici, produzioniI cinque Continenti sono interessati in misura diversa alla coltivazione dei cerea-li; in Asia i cereali più diffusi sono: il riso, il frumento, il mais, il miglio e il sorgo. Nel centro e nord America si coltivano maggiormente: frumento, mais, avena e sorgo. L’Europa è interessata maggiormente alla coltivazione dei cereali vernini, anche se una rilevante superficie è destinata alla coltivazione del mais (Basso, 2007). Anche nell’areale pugliese le specie più interessate sono quelle autunno-vernine, e in particolare, il frumento duro, il frumento tenero, l’orzo da granella e alcuni cereali minori come l’avena.Nel 2008, l’offerta cerealicola mondiale, in particolare in Europa si è abbondan-temente ripresa rispetto agli anni precedenti, in particolare, con un balzo di circa il 20% rispetto al 2007. Ciò è avvenuto sia per un aumento della superficie colti-vata (+ 6,6%), sia per la resa che è passata da 4,6 a 5,2 t ha-1 (Coceral, 2008). Molti Paesi hanno denunciato però una qualità inferiore alla norma per effetto delle cattive condizioni climatiche durante il ciclo vegetativo e delle piogge re-gistrate al momento della raccolta. La nota dolente è data anche dai prezzi di

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mercato. L’abbondanza ha influito negativamente e ha determinato la discesa dei prezzi. Ciò ha destato qualche preoccupazione tra le organizzazioni agricole europee, tanto da richiedere alla Commissione Europea di introdurre nuova-mente i dazi all’importazione in modo da proteggere il mercato comunitario.Anche in Italia, la superficie destinata a cereali negli ultimi anni ha subito no-tevoli variazioni. Dalla tabella 1 si nota, infatti, una fase di declino a partire dal 2004 (ultimo anno di regime “accoppiato” pre-riforma), quando la superficie in-vestita a cereali autunno-vernini ammontava a circa 2.8 milioni di ettari) fino al 2006, anno in cui si è toccato il minimo storico (circa 2.4 milioni di ettari). Tra i cereali il frumento duro, di cui l’Italia è leader mondiale, ha subito la maggiore flessione a causa della perdita della quota di superficie, ove la coltivazione era giustificata soprattutto per la presenza dell’incentivo comunitario. Successiva-mente nel 2007 e 2008 le superfici totali investite a cereali autunno-vernini sono aumentate fino a raggiungere circa 2.8 milioni di ettari nel 2008, grazie ad un aumento del loro valore di mercato.

Tabella 1 – Evoluzione delle superfici dei cereali autunno-vernini in ITALIA dal 2004 al 2008 (Fonte: ISTAT, 2008)

SUPERFICIE (.000 ha)

Colture 2004 2005 2006 2007 2008

Frumento duro 1.772,1 1.520,0 1.342,9 1.439,2 1.521,0

Frumento tenero 581,8 602,8 582,8 661,2 717,8

Orzo da granella 304,9 319,9 332,6 344,7 353,5

Avena da granella 146,6 174,8 160,9 154,5 160,9

Segale 2,9 2,6 2,8 3,1 1,6

Altri cereali minori 7,2 6,8 8,2 10,6 23,2

Totale Cereali 2.815,5 2.626,9 2.430,2 2.613,3 2.778,0

Lo stesso frumento duro nel 2008 ha fatto registrare una superficie di circa 1.5 milioni di ettari dai quali sono stati ottenuti circa 5.6 milioni di tonnellate di gra-

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nella, circa il 47% della produzione totale europea e il 14% di quella mondiale (Tabella 1 e Inform. Agr. 2008).Subito dopo, a partire dalla primavera del 2008, le quotazioni dei cereali, come già accennato precedentemente, hanno subito una nuova flessione. La riduzio-ne dei listini, in particolare del grano duro, l’aumento continuo dei costi e gli ef-fetti della crisi sul livello dei consumi hanno spostato l’interesse degli agricoltori verso colture ritenute più remuneranti.Infatti, gli ultimi dati ISTAT 2009 registrano un calo degli investimenti a livello na-zionale pari all’8,7%, per il frumento tenero e al 2,9% del frumento duro (Pizzo e Rossetto, 2009). Ciò viene giustificato oltre, che dai prezzi stagnanti anche dalle avverse condizioni climatiche che in alcune regioni italiane hanno ostacolato le semine.E’ noto, inoltre, che il mercato italiano dei cereali dipende fortemente dalle di-namiche che si realizzano a livello internazionale in conseguenza agli elevati quantitativi importati. Il ricorso alla sola produzione nazionale, infatti, non con-sentirebbe di soddisfare la domanda proveniente dall’industria di trasformazio-ne. Per coprire i consumi interni è comunque necessario ricorrere al prodotto di importazione nella misura del 60% per il frumento tenero, nel 30% del frumento duro e del 15% dell’ orzo (Montanaro, 2008).Anche le produzioni sementiere hanno subito oscillazioni negli anni, eviden-ziando un tracollo delle superfici portaseme nel 2005 e 2006 e una ripresa nel 2007 con 94.380 ha (+30%) per il frumento duro; 23.972 ha (+13%) per il fru-mento tenero e 12.849 (+6%) per l’orzo (ENSE, 2007).Nel 2008 in Puglia le superfici investite a cereali sono state in totale 398.559 ha, ripartite in 366.258 ha, 4.173 ha e 28.028 ha, rispettivamente per il frumento duro, frumento tenero e orzo da granella, le cui rese medie sono state di 3.4, 2.94 e 2.76 t ha-1 (Tabella 2, 3, 4).Le varietà più diffuse nelle aree meridionali sono riportate nella Tabella 5.

1.3 Frumento duro: qualità e certificazionePer il frumento duro, coltura più importante per la Puglia, è da considerare oltre che la quantità anche la qualità della granella.Le tipologie della qualità del frumento duro variano in relazione al segmento della filiera considerato e alla tipologia del prodotto trasformato. Come è noto esiste una qualità agronomica legata alla potenzialità, alla stabilità e alla qualità produttiva, una qualità molitoria legata alla resa della semola, al contenuto in ceneri, al grado di umidità della granella e alle impurezze, una qualità tecnolo-gica che varia in relazione alla tipologia del prodotto trasformato e che dipende essenzialmente dal contenuto proteico, dalla quantità e qualità del glutine e dal colore giallo e, infine, una qualità igienico-sanitaria, sensoriale e di salute per il

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consumatore (Troccoli, et al., 2000).Molti dei fattori che contribuiscono alla qualità ruotano intorno al contenuto pro-teico delle cariossidi (sia in termini quantitativi, sia qualitativi), che costituisce di fatto l’aspetto più delicato per la promozione dell’alta qualità nella filiera del frumento duro (Tabella 6).Da diverse indagini dell’Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura risulta che il 50% della produzione media nazionale ha un contenuto proteico oltre il 12,5%, valore capace di soddisfare le esigenze qualitative dell’industria di trasformazio-ne (De Vita et al., 2007).Tuttavia, essendo ancora carente in Italia la diffusione dello stoccaggio diffe-renziato, parte della qualità prodotta non viene di fatto utilizzata dall’industria di trasformazione che, conseguentemente si rivolge all’importazione di grano di alta qualità dei Paesi esteri più organizzati commercialmente (principalmente Canada, USA, Australia e Francia).

Tabella 2 – Superfici, produzioni e rese del frumento duro in PUGLIA nel-l’anno 2008 (Fonte AGRIT, 2008)

Frumento duro FrequenzaSuperf.

(%)

Superficie(ha)

Produzione(t)

Resa media(t ha-1)classe di resa

(t ha-1)

0 – 0,5 -- -- -- --

0,5 – 1,0 0,3 1.204 939,1 0,78

1,0 – 1,5 0,9 3.371 3804,0 1,13

1,5 – 2,0 5,0 18.301 30.895,1 1,69

2,0 – 3,0 35,1 128.588 323.806,1 2,52

3,0 – 4,0 46,0 168.319 559.955,3 3,33

4,0 – 5,0 11,4 41.659 170.705,6 4,10

5,0 – 6,0 1,2 4.575 23.236,0 5,08

>6,0 0,1 241 1.446,0 6,00

Totale 100,0 366.258 1.114.7870 3,04

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Tabella 3– Superfici, produzioni e rese del frumento tenero in PUGLIA nel-l’anno 2008 (Fonte AGRIT, 2008)

Frumento tenero Frequenzasuperf.

(%)

Superficie(ha)

Produzione(t)

Resa media(t ha-1)classe di resa

(t ha-1)

0 – 0, 5 -- -- -- --

0,5 – 1,0 -- -- -- --

1,0 – 1,5 5,9 245 244,0 1,0,

1,5 – 2,0 -- -- -- --

2,0 – 3,0 41,2 1.719 4.224,4 2,4,

3,0 – 4,0 41,2 1.718 5.350,1 3,11

4,0 – 5,0 -- -- -- --

5,0 – 6,0 11,8 491 2.455,0 5,0

> 6,0 -- -- -- --

Totale 100,0 4.173 12.273,5 2,94

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Tabella 4 – Superfici, produzioni e rese dell’orzo in PUGLIA nell’anno 2008. (Fonte AGRIT, 2008)

Orzo da granella FrequenzaSuperf.

(%)

Superficie(ha)

Produzione(t)

Resa media(t ha-1)classe di resa

(t ha-1)

0 - 5 0.8 228 91,5 0,4

5 - 10 2,4 683 568,0 0,83

10 - 15 6,5 1.823 2.369,9 1,3

15 - 20 7,3 2.051 3.190,7 1,56

20 - 30 30,9 8.659 21.123,2 2,44

30 - 40 45,5 12.761 41.815,1 3,28

40 - 50 5,7 1.595 6.767,1 4,24

50 - 80 -- -- -- --

80 0,8 228 1.368,0 6,0

Totale 100,0 28.028 77.293,5 2,76

TOTALE CEREALI -- 399.559 -- --

Tabella 5 – Varietà più diffuse nelle aree meridionali

Frumento duroArcangelo, Ciccio, Claudio, Colorado, Colosseo, Creso, Duilio, Norba, Ofanto, Pietrafitta, Platani, Quadrato, Ra-dioso, Rusticano, Simeto, Svevo, Torrebianca.

Frumento tenero Bolero, Palladio, Centauro, Palesio.

Orzo Otis, Scarlet, Arda, Pilastro.

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Tabella 6 – Qualità del frumento duro: annata agraria 2007-2008(www.cerealicoltura.it)

Provincia N.

rilieviProteine(% s.s.)

Glutine(% s.s.)

Min Max Media Min Max Media

Bari 112 9,24 14,45 11,60 6,15 11,00 8,53

Foggia 1805 8,78 18,74 13,27 5,43 15,54 10,34

La qualità della produzione del frumento duro è sempre più determinante per il valore commerciale del prodotto che, come è noto, può fluttuare da un anno all’altro in relazione sia alle variazioni dei fattori pedoclimatici e agronomici che alla componente genetica.Si fa rilevare, inoltre, che insieme alle suddette caratteristiche intrinseche del prodotto, per fornire una visione olistica della qualità occorrono altri elementi che non si riferiscono al prodotto stesso, ma al contesto di produzione che influenzano la percezione della qualità da parte del consumatore (Ruggiero e Maggio, 2004; Peri, 1998). In particolare sono importanti tre requisiti: l’origine territoriale e la cultura, l’ambiente e la sua protezione e la deontologia dei sistemi produttivi. Que-sti potremmo definirli requisiti psicologici che insieme a quelli di qualità del prodotto (sicurezza, merceologici, nutrizionali e sensoriali) sono importanti ai fini alimentari. Ci sono, infine, dei requisiti di garanzia che considerano il prodotto come oggetto di mercato e sono la certificazione e la rintracciabilità di azienda e di filiera (Tabella 7).Un altro aspetto di qualità dei cereali riguarda gli effetti salutistici attribuiti a composti biologicamente attivi (nutraceutici) presenti nelle diverse com-ponenti della cariosside (pericarpo, germe ed endosperma), che incidono sulla diminuzione di malattie cardiovascolari, diabete e cancro. Sembra che il principale effetto positivo della granella integrale di cereali sia la capacità antiossidante totale (Flagella, 2006).

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Tabella 7 – Caratteristiche qualitative di frumento duro e derivati in relazio-ne al prodotto, al contesto produttivo e ai requisiti di garanzia (Flagella, 2006)

Requisiti del prodottoSicurezza (assenza di residui, basso contenuto in metalli pesanti etc.)Nutrizionali (contenuto in macronutrienti, micronutrienti e composti bioattivi)Tecnologici (contenuto proteico, indice di glutine etc.)

Requisiti del contesto produttivoOrigine territoriale, tradizioneRispetto per l’ambiente (produzione integrata e biologica)

Requisiti di garanziaCertificazione (prodotti DOP, IGP e marchi collettivi)Rintracciabilità (Reg. UE n. 178-2002)

1.4 Cereali minoriL’introduzione del disaccoppiamento, se da un lato ha indubbiamente indebolito l’azione di indirizzo della PAC, spingendo gli agricoltori verso la ricerca di nuovi percorsi aziendali in un’ottica di orientamento al mercato, dall’altro ha favorito una maggiore attenzione all’impiego degli avvicendamenti colturali e di corrette tecniche agronomiche, nonché di una più efficace selezione dei terreni vocati per ciascuna coltura. Alla luce di questo nuovo contesto deve essere letto il trend positivo che negli ultimi anni ha interessato i cereali minori (avena, segale, farro e triticale), così definiti sia perché complessivamente occupano soltanto il 4% del totale delle superfici destinate a cereali, sia per il limitato interesse da parte del mercato. Tuttavia, essi possono apportare un contributo significativo ai conti economici delle aziende agricole, in quanto contraddistinti da bassi costi di produzione.Questi cereali trovano impiego nel settore zootecnico, in particolare l’avena ha un uso mirato e specifico per alcune specie animali, come gli equini, che hanno questo cereale come base della propria nutrizione, sia come granella che come paglia. Per il farro e la segale, invece, cresce l’interesse per l’alimentazione umana.

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All’attualità i cereali minori riscuotono notevole interesse in agricoltura biologica e rappresentano un’opportunità sia agronomica, per le loro caratteristiche di ru-sticità che ben si possono inserire negli avvicendamenti colturali, sia economica, soprattutto con la nuova apertura al mercato agro-alimentare.Le superfici investite a cereali minori in Italia si sono attestate nel 2007 a circa 154.000 ha (ISTAT, 2008). La loro diffusione cambia da regione a regione.L’avena è la specie coltivata maggiormente in Puglia (con 33.890 ha e 89.860 t di produzione) e in Sardegna (Figura 1); la segale in Calabria e Lombardia, mentre il triticale e il farro specialmente in Lombardia e Toscana (Belletti et al., 2008).

Figura 1 - Superficie di avena riportata per regioni (Fonte ISTAT, 2006)

E’ interessante la situazione del farro che, entrato nella dieta umana per una sorta di “moda” alimentare, si è progressivamente affermato sulla tavola degli italiani, sia come cereale integrale per consumo diretto, che macinato come ma-teria per prodotti da forno come pane, pasta, biscotti e dolci.Il crescente interesse del consumatore a favore di prodotti cosiddetti “naturali” a base di farro ha dato impulso a un rilancio produttivo ed economico di questa coltura nei sistemi agricoli biologici.Il futuro della produzione del farro rimane comunque molto legato all’andamento dei prezzi di altri cereali: pur trovando il forte interesse del mercato e degli agri-coltori, soprattutto nelle aree marginali, oggi risente della competitività di altri cereali come il frumento duro e tenero che, con il recente rialzo, mantengono ancora prezzi molto alti (Della Botta, 2007).Nella Tabella 8 sono indicate le varietà più diffuse nelle aree meridionali.

 

Avena

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Tabella 8 - Cereali minori: varietà consigliate nella aree meridionali

Avena Rogar 8, Argentina, Ombrone, Donata

Segale Fasto

Triticale Bienvenu, Catria, Oceania, Rigel, Wilfried, Trincat, Cuma

Farro Spelta: Ubel, Sertel, Oberkulmer, PietroDicocco: Farro del Molise

1.5 Cenni sulle tecniche di coltivazione dei cereali autunno-verniniLe tecniche di lavorazione del terreno variano in funzione della sua natura, della precessione colturale, del grado di infestazione delle malerbe. Tra i lavori principali, l’aratura è ancora oggi la modalità più diffusa nei terreni argillosi ed in quelli molto inerbiti, nonché in quelli con presenza di residui colturali. Negli ultimi anni il tema delle lavorazioni è stato profondamente modificato in relazione al contenimento dei costi di produzione, infatti, si parla oggi di minimum tillage ri-ferendosi a tecniche di lavorazione ridotte, realizzate con un unico passaggio di fresatrice al fine di predisporre il terreno per la semina; si parla anche di zero til-lage quando non si effettua nessuna lavorazione e la semina viene eseguita con apposite macchine su terreno sodo in presenza di residui colturali. Altri problemi della tecnica colturale dei cereali interessano l’epoca, la densità e la profondità di semina, nonché gli interventi agronomici riguardanti la concimazione, il diser-bo e la raccolta (Basso, 2007).Particolarmente nei riguardi della qualità della produzione del frumento duro, come già accennato precedentemente, essa è direttamente collegata al conte-nuto proteico della granella, la cui espressione dipende dalla base genetica e può variare in relazione all’ambiente di coltivazione, alla fertilità del suolo, alla concimazione, alla piovosità stagionale e alla temperatura; tutti fattori che pos-sono modificare l’azoto disponibile nel terreno. Pertanto la qualità del frumento duro non può prescindere da una buona tecnica di coltivazione (Tabella 9).

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Tabella 9 – Tecniche per esaltare le proteine nel grano duro (Troccoli et al.,2008)

L’azoto rappresenta il principale fattore limitante sia della produzione, sia del teno-re proteico del grano duro.

L’azoto disponibile per le piante deriva solo in parte dalla concimazione minerale: una fonte importantissima è quello già presente all’inizio della stagione colturale.

La rotazione migliora la risposta quali-quantitativa del frumento duro: ottimi risultati si ottengono dalla precessione annuale con il maggese nudo o maggese nudo biennale.

La semina su sodo non comporta alcun effetto negativo, a parità di concimazione, sulle caratteristiche quanti-qualitative del frumento duro.

L’azoto accumulato o dato dopo la fioritura ha poco effetto sulla resa, ma può au-mentare il contenuto proteico della granella. Questo però non è consigliabile per gli ambienti meridionali, perché normalmente durante la fase terminale del ciclo vegetativo la scarsità di acqua disponibile nel terreno non consente alle piante di sfruttare la maggiore disponibilità azotata.

Nel frumento il massimo assorbimento di azoto avviene dopo l’accestimento e prima della fioritura.

1.6 Cerealicoltura biologicaNella U.E. il 44% della produzione di colture biologiche è rappresentato da ce-reali biologici che a loro volta sono lo 0,8% del totale della produzione cerealico-la (Flagella, l.c. 2006).In Italia, primo paese produttore con metodo biologico a livello europeo, la superficie coltivata a cereali rappresenta il 20% della SAU biologica e in parti-colare quella coltivata a frumento duro rappresenta il 43% della SAU totale dei cereali. Nella tabella 8 è riportata la ripartizione tra le diverse specie (Andreotti, 2008).Le prime tre regioni a maggior sviluppo di cereali biologici sono la Puglia, la Si-cilia e la Toscana (Figura 2)

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Tabella 10 – Superfici a cereali biologici (2007)

Colture Ettari

Grano tenero e Farro 24.742

Grano duro 118.856

Orzo 32.025

Mais 10.135

Segale 974

Avena 21.349

Triticale 892

Riso 11.593

Altri cereali 19.817

Totale 240.383

Figura 2 – Le prime tre regioni cerealicole per SAU e produzione biologica, 2003 (Fonte ISMEA, 2005)

In Puglia il cereale più coltivato con il metodo biologico è il frumento (68%) (Figura 3), mentre tra le diverse province quella di Bari è la più diffusa per la cerealicoltura biologica (Figura 4).Nella Tabella 11 sono elencati i punti di forza e di debolezza insieme alle oppor-tunità, minacce e strategie di rilievo della cerealicoltura pugliese (De Blasi et al.,

 

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10.000

20.000

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Puglia sicilia Toscana

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2006). Particolarmente, per il frumento duro, sia la resa produttiva che gli stan-dard qualitativi rappresentano aspetti critici del sistema di produzione biologica. Ambedue gli aspetti, come già detto, sono fortemente influenzati dalla disponibi-lità di azoto nel terreno in alcune fasi fenologiche della coltura.

Figura 3 – Distribuzione in % delle colture cerealicole biologiche in Puglia (ha), 2003 (Fonte ISMEA, 2005)

Figura 4 – Cereali - Distribuzione in % delle superfici bio per provincia, 2004 (Fonte ISMEA, 2005)

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Tabella 11 - Puglia Bio: filiera cerealicola analisi Swot (De Blasi et al., 2006)

PUNTI DI FORzA PUNTI DI DEBOLEzzA

- Consistenza della produzione

- Disgregazione della filiera- Scarsa domanda locale- Problemi di qualità- Debole orientamento al mercato- Basso valore aggiunto (pastificazio-ne ecc.)- Dipendenza dal premio comunitario

OPPORTUNITA’ MINACCE

- Politiche comunitarie e regionali- Sviluppo tecnologico- Innovazione

- Concorrenza di altri prodotti

sTRATEGIE DI sVILUPPO

Politiche della domanda:- informazione al consumo- promozione

1.7 ConclusioniLa cerealicoltura, un settore strategico del nostro agro-alimentare, sta vivendo un momento determinante. Il MIPAAF sta per varare, dopo aver ascoltato le va-rie parti interessate delle filiere, il Piano Nazionale del settore, uno strumento in grado di finanziare azioni tese ad aumentare la competitività, che dopo la riforma Fischler vede le aziende agricole affrontare le conseguenze del disaccoppia-mento, a causa del tramonto degli aiuti diretti alle colture.A riguardo le azioni da intraprendere devono essere concrete con l’obiettivo di aumentare la competitività delle aziende (la maggior parte di ridotte dimensioni fisiche ed economiche), che si traduce nell’elevare i ricavi e abbassare i costi del sistema.In particolare, per aumentare i prezzi, occorre differenziare il prodotto (cioè la qualità) e concentrare l’offerta.Per questo è fondamentale: affinare le caratteristiche della granella attraverso

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il miglioramento genetico e l’azione di agrotecniche orientate alle esigenze del consumatore; adeguare le strutture di stoccaggio e logistica; sostenere gli ac-cordi interprofessionali, anche con la diffusione di contratti di filiera in grado di incentivare la fiducia reciproca tra operatori e di garantire una larga condivisione di benefici (introduzione di prezzi minimi garantiti, fissazione del prezzo al mo-mento del contratto, incentivazione alla qualità) (Zanni, 2009).Secondo le stesse indicazioni dell’Unione Europea, oggi un fattore strategico per la valorizzazione e lo sviluppo dell’agricoltura oltre a quello di assicurare produzioni di qualità, include anche altri obiettivi quali lo sviluppo di un’agricol-tura sostenibile, il raggiungimento di standard elevati di sicurezza alimentare, lo sviluppo di attività di valorizzazione del territorio (rispetto dell’equilibrio territoria-le, salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente) per contribuire al suo sviluppo socio-economico. A questo proposito al fine di consentire al settore di centrare l’obiettivo di una maggiore competitività, è auspicabile che il Piano Nazionale consideri come aspetti strategici la ricerca, la sperimentazione e il trasferimento tecnologico.

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2- BIOLOGIA DEI CEREALI AUTUNNO-VERNININicola Grassano

Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di AgrariaUniversità degli Studi di Bari

2.1 I Cereali I cereali comprendono un gruppo di specie, prevalentemente appartenenti alla famiglia delle Poaceae (o Graminaceae), la cui caratteristica principale è quella di produrre frutti o semi secchi, amidacei, dall’elevato potere calorico (da 10.000 a 15.000 kJ/kg, 10 - 20 volte superiore al contenuto calorico di frutta ed ortag-gi).Le più importanti colture cerealicole coltivate a livello mondiale includono frumento, riso, mais, orzo, sorgo, avena, miglio e segale.Una importante distinzione riguardante tali colture è fatta in base alle esigenze termi-che e all’adattamento ambientale delle diverse specie, classificabili in due gruppi:- cereali microtermi (frumento, orzo, avena, segale e triticale) che possono germina-re a temperature di poco sopra gli 0 °C; sono idonei a semine autunnali per cui nei no-stri ambienti a ciclo autunno-primaverile; noti anche come cereali vernini o a paglia; - cereali macrotermi (mais, riso, sorgo, miglio e panico), necessitano di una tem-peratura minima per la germinazione intorno ai 10 °C; negli areali dell’Italia meridio-nale sono idonei a semine primaverili con ciclo primaverile-estivo; noti come cereali estivi.Di seguito si riporta una descrizione degli aspetti morfologici e delle esigenze ambientali dei cereali maggiormente diffusi nei sistemi colturali dell’Italia meri-dionale: frumento duro (Triticum turgidum L. ssp. durum Desf.), frumento tenero (Triticum aestivum L. ssp. aestivum), orzo (Hordeum vulgare L.) e avena (Avena sativa L.).

2.2 Morfologia dei cereali autunno-verniniRadici L’apparato radicale è di tipo fascicolato con radici primarie (o seminali) che si

Figura 1 – Apparato radicale dei cereali: radici primarie (1) e secondarie (2-3).

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originano direttamente dal seme e radici secondarie (o avventizie) che prendono origine dalla base del fusto quando le giovani piante hanno 3-4 foglie e costitui-scono la maggior parte della massa radicale (Figura 1).

Fusto Il fusto è cilindrico e cavo ed è detto culmo (Figura 2). Presenta degli ingrossamenti, detti nodi; la por-zione di fusto tra due nodi successivi è chiamata internodo.L’altezza del culmo è in funzione della varietà, ma anche delle condizioni pedoclimatiche. Le vecchie cultivar di frumento raggiungevano 180-220 cm di altezza; le varietà attuali presentano taglia più ridotta, tra i 70 e i 130 cm. Il miglioramento gene-tico ha infatti ridotto l’altezza della pianta per indur-re una maggiore resistenza all’allettamento. Il culmo porta le foglie che prendono origine dai nodi e, nella parte apicale, l’infiorescenza.

FoglieLe foglie sono costituite dalla guaina che avvolge il culmo, dalla lamina, che è la parte espansa e, nel punto di congiunzione tra le due, dove la lamina si distacca dal fusto, dalla ligula e da due auricole; la ligula è la continuazione della guaina e come questa abbraccia il culmo, mentre le auricole sono formazioni falciformi poste alla base della lamina (Figura 3). Queste ultime nell’orzo sono molto svi-luppate e costituiscono un facile segno di riconoscimento di questa specie nei primi stadi vegetativi, rispetto al grano e all’avena.

Figura 3 – Parti che costituiscono la foglia (A=guaina; B=auricole; C=lamina; D=ligula) e differenza tra le ligule e le auricole

nelle tre specie (1=frumento; 2=orzo; 3=avena).

Figura 2 – Particolari del culmo: nodo (a) e internodo (b)

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Il numero delle foglie è variabile ed è legato a fattori genetici, ma anche ambien-tali e nutrizionali.L’ultima foglia apicale, situata immediatamente sotto la spiga (foglia a bandiera), svolge una funzione determinante nel produrre gli assimilati che si accumulano nella granella.

Infiorescenza Nel frumento e nell’orzo l’infiorescenza si chiama spiga. È costituita da un asse centrale (rachide) sul quale sono inserite le spighette, che portano al loro interno i fiori (Figura 4).

Figura 4 – La spighetta e le parti che la compongono: 1=gluma; 2=glumetta inferiore aristata (può essere mutica come indicato in 2a);

3=fiore; 4=glumetta superiore; 5=cariosside; 6=rachilla.

Ogni spighetta è racchiusa da due glume all’interno delle quali troviamo uno (orzo) o più fiori (frumento). Ogni fiore è costituito da 2 brattee dette glumette, una superiore (palea) e una inferiore (lemma), che ne rac-chiudono gli organi. La glumetta inferiore può portare all’apice un prolungamento det-to arista o resta (Figura 4). Il frumento tenero può presentare varietà con reste, dette aristate, e varietà sprovvi-ste di reste, dette mutiche. Tutte le varietà di grano duro, invece, hanno spighe ari-state (Figura 5).

Figura 5 – Spighe di frumento duro

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Nel frumento su ogni nodo del rachide è inserita una spighetta, che contiene più fiori. Il numero di spighette per spiga varia molto con la specie, la va-rietà e le condizioni di crescita: 20-25 può essere considerato il numero medio di spighette presenti sulla spiga delle attuali forme di frumento.La spiga dell’orzo è costituita da un rachide con 20-30 nodi su ognuno dei quali, in posizione al-terna, sono portate tre spighette uniflore, una me-diana e due laterali. Se solo la spighetta centrale di ogni nodo del rachide è fertile e le due laterali sono sterili, la spiga porta due sole file di cariossi-di e ha una forma fortemente appiattita: sono i co-siddetti orzi distici. Se le tre spighette presenti su ogni nodo del rachide sono tutte fertili, si hanno gli orzi polistici (o esastici), a sei file (Figura 6).

L’infiorescenza dell’avena è detta invece pan-nocchia (Figura7); consiste in un asse princi-pale (rachide) su cui si inseriscono assi secon-dari; sia l’asse principale che le ramificazioni portano spighette con 2-3 fiori, che sono ge-neralmente aristate e si trovano pendule su un peduncolo. Le cariossidi, nella maggior parte delle varietà coltivate, sono strettamente rac-chiuse tra la glumette e vi rimangono alla rac-colta (cariossidi vestite).

FruttoQuello che comunemente viene indicato come seme in realtà è un frutto denominato cariosside, ricco in amido. La forma, le dimensioni, il colore, la composizione variano con la specie e la va-rietà. Al momento della trebbiatura nel frumento le glumette si staccano dalle cariossidi (semi nudi), mentre aderiscono alle cariossidi nell’orzo e nell’avena (semi vestiti).La cariosside del frumento (Figura 8) è di forma ellittica, ovoidale con gra-dazioni di colore che vanno dal bianco avorio, crema, giallo fino al rosso o bruno; si può distinguere una parte dorsale convessa e una parte ventrale solcata da una infossatura più o meno profonda detta solco ventrale; le ca-

Figura 7 – Pannocchia di avena

Figura 6 – Spighe di orzo distico e polistico

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riossidi di frumento tenero hanno una sezione farinosa, quelle di frumento duro, sezionate, hanno consistenza cornea o dura. La forma è più arrotondata nel tenero, più spigolosa nel fru-mento duro, mentre il peso della cariosside è maggiore nel duro (peso di mille semi 30-55 g) rispetto al tenero (30-40 g). Nell’orzo, invece, le cariossidi (Figura 9) hanno un colore giallognolo, talvolta biancastro, con-

sistenza farinosa, con peso dei 1000 semi variabile tra 30 e 55 g. Nelle varietà distiche le dimensioni e l’uni-formità delle ca-riossidi sono ca-ratteri positivi per l’impiego maltario. Le cariossidi di ave-na sono oblunghe, affusolate, di colo-re dal bianco al giallastro al rosso, al nero; sono racchiuse tra le glumette ed hanno un peso dei mille semi che va da 20 a 45 g (Figura 9). Per quanto riguarda invece le componenti struttu-rali della cariosside dei cereali (Figura 10), essa risulta costituita da:- tegumenti (14 - 17%);- endosperma amilaceo (72 - 75%);- aleurone (8-9%)- germe o embrione (2 - 3 %).

I tegumenti sono costituiti dal pericarpo e dagli involucri seminali ricchi in fibra, vitamine e minerali e, durante la macinazione vengono separati dalla parte en-dospermatica andando a costituire i sottoprodotti (crusca e farinaccio). L’endosperma amilaceo costituisce la riserva energetica che l’embrione utilizza quando germina per produrre una nuova pianta, ed è costituito per gran parte da amido ma contiene anche un certo tenore di proteine, ed anche zuccheri. L’endosperma ha struttura farinosa nel frumento tenero, mentre in quello duro ha generalmente consistenza vitrea, poiché l’amido viene inglobato nella matri-

Figura 8 – Cariossidi di frumento tenero (in alto)

e frumento duro (in basso)

Figura 9 – Cariossidi di orzo (in alto) e avena (sotto).

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ce proteica a dare una sezione cornea. Nel-l’utilizzo industriale da tale frazione, in fase di macinazione, si ottiene il prodotto principale costituito dalle farine (frumento tenero) o dalla semola (frumen-to duro). Per quanto riguarda invece l’orzo

e l’avena, l’endosperma ha consistenza farinosa. L’aleurone è uno strato che circonda l’endosperma, formato da cellule ricche di proteine sotto forma di granuli, che durante la molitura va a finire nella crusca.Il germe o embrione, situato nella parte dorsale e basale della cariosside, contie-ne le parti della futura pianta (radichetta, piumetta e fusticino) ed è ricco di lipidi, vitamine liposolubili, sali minerali e proteine; nel frumento viene separato, in fase di molitura, dalle farine, ed entra a far parte della crusca.Sempre in relazione alla composizione tra le diverse specie variazioni si eviden-ziano nel contenuto in principi nutritivi della cariosside (Tabella 1).

Tabella 1 – Composizione chimica delle cariossidi nelle diverse specie (va-lori medi g /100g s.s.)

Cereali Proteine Carboidrati (amido) Lipidi Fibra Ceneri

Frumentoduro 13 70,0 1,9 2,5 1,5tenero 12 71,7 1,9 2,5 1,4

Orzovestito 11,0 71,0 2,1 6,0 3,1nudo 9,0 78,8 2,1 2,1 2,3

Avenavestita 14,0 62,0 5,5 11,8 3,7nuda 16,0 68,2 7,7 1,6 2,0

Figura 10 – Costituenti della cariosside

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In particolare il contenuto in amido è maggiore nei frumenti e nell’orzo, rispetto all’avena; mentre la quantità e la struttura delle proteine presenti nelle cariossidi di frumento sono i fattori principali che determinano l’attitudine delle farine o delle semole alla produzione di pane e pasta; in genere il contenuto proteico dei frumenti varia tra l’11 e il 14%, mediamente tale tenore nel grano duro è gene-ralmente superiore di un punto percentuale rispetto al tenero.Una migliore rapporto tra i nutrienti e la presenza di un buon contenuto in fibra rendono invece le cariossidi di orzo ed avena più adatte all’utilizzo zootecnico; in particolare l’orzo distico, ad elevato contenuto in amido e basso tenore proteico, è invece adatto per la produzione di malto.

Tabella 2 – Sintesi dei principali caratteri morfologici delle specie

Carattere Frumento duro

Frumento tenero Orzo Avena

Ultimo internodo pieno cavo cavo cavo

Altezza (cm) 80-130 70-120 70-150 100-150

Infiorescenza

Tipo spiga spiga spiga pannocchia

Presenza reste aristata aristata o mutica aristata aristata

o muticaCariosside

Presenza glumette nuda nuda nuda o vestita

nuda o vestita

Consistenza vitrea farinosa farinosa farinosa

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2.3 Ciclo biologicoI cereali autunno-vernini vengono così definiti poiché negli ambienti italiani la semina avviene di solito in autunno, tra la fine di ottobre e l’inizio di dicembre, mentre il ciclo si completa con la raccolta che va dalla prima metà di giugno (per l’orzo, ma anche per il frumento negli ambienti più caldi della Sicilia, Sardegna e Puglia) fino agli inizi di luglio (Italia settentrionale). Il ciclo biologico è molto simile per le diverse specie e si compone delle seguenti fasi vegetative e riproduttive.

Semina - emergenzaDopo la semina, la cariosside assorbe acqua dal terreno, rigonfiandosi e rag-giungendo una umidità del 35-40%. L’embrione, grazie alle sostanze di riserva contenute nell’endosperma, si accresce e si ha la germinazione (Figura 11), che si evidenzia con la fuoriuscita dell’apice radicale seguito dall’apice del germoglio rivestito dalla prima foglia embrionale (coleottile). Poi la plantula fuoriesce dalla superficie del terreno e si ha l’emergenza. Questa fase dura mediamente 10-15 giorni.

AccestimentoDopo l’emergenza la plantula continua ad emettere nuove foglie. Dopo l’emis-sione delle prime 3-4 foglie, dai nodi basali si originano nuovi germogli o culmi secondari; questa proprietà è chiamata accestimento e porta alla formazione di culmi secondari o di accestimento, ciascuno dei quali può portare una spiga,

per cui da una singola pianta si possono originare più spighe (Figura 12). Il primo culmo di accestimento si origina in gene-re dalla prima foglia in autunno, successivamente l’accestimento procede piuttosto lentamente du-rante l’inverno per poi riprendere all’innalzarsi delle temperature. Ogni culmo di accestimento produce apparato ra-dicale avventizio. L’indice di accesti-mento, rappresen-tato dal numero di

culmi prodotti da una singola pianta, può essere influenzato da fattori genetici, am-bientali o dalla tecnica colturale adottata.Le diverse specie infatti evidenziano una diversa attitudine ad accestire: l’avena e l’orzo normalmente producono più culmi

Figura 11 – Fase di germina-zione nel frumento

 

Figura 12 – Schema di accestimento (a sinistra) e frumento in fase di inizio

accestimento (a destra)

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secondari rispetto a frumento tenero e duro. Diversa è inoltre la capacità di accestimento delle varietà, per cui nell’ambito della stessa specie possono presentarsi notevoli differenze. Inoltre tale attitudine risulta essere influenza-ta dalla densità di semina, dall’epoca di semina e dalla fertilità del terreno: più bassa è la densità di semina, più precoce è la semina, più elevata è la fertilità e maggiore risulta l’accestimento. In presenza di fallanze, l’accesti-mento consente di compensare condizioni di insufficiente fittezza delle pian-te attraverso un maggior numero di culmi secondari. Un forte accestimento presenta però caratteri sfavorevoli per l’eccessiva disformità delle spighe, le quali presentano dimensioni ed epoca di maturazione differenti. La fase di accestimento termina quando l’apice non differenzia più foglie, ma dà origine agli abbozzi delle future spighette, segnando il passaggio dalla fase vegeta-tiva a quella riproduttiva, chiamata viraggio.Durante il viraggio l’apice del fusto è ancora vicino al suolo (nel frumento si parla di “stadio di spiga a 1 cm”); se le condizioni nutrizionali e ambientali sono ottimali si ottengono spighe ricche di fiori e quindi potenzialmente con un numero elevato di cariossidi.In certe varietà il viraggio avviene solamente se le piante sono state sottoposte a uno stimolo termico dovuto a basse temperature (vernalizzazione); queste va-rietà devono essere obbligatoriamente seminate in autunno e sono dette varietà autunnali o non alternative.Al contrario, le varietà che non hanno bisogno della vernalizzazione vengono definite primaverili o alternative perché, per queste, è possibile sia la semina primaverile sia quella autunnale (vedi Esigenze termiche).

Figura 13 – Frumento duro: botticella (sinistra) e spigatura (destra)

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Levata e spigaturaCon l’innalzarsi della temperatura si assiste all’allungamento rapido degli inter-nodi, fase definita di levata. Gli internodi raggiungono lunghezze via via cre-scenti dalla base all’apice, portando verso l’alto la spiga.Quando la spiga arriva all’altezza dell’ultima foglia (foglia a bandiera), vi rimane av-volta evidenziando un ingrossamento; tale stadio è definito di botticella (Figura 13). La spigatura avviene con l’evidenziarsi della spiga, spinta fuori dall’allungamen-to dell’ultimo internodo (Figura 13-14).

Fioritura ed impollinazioneQualche giorno dopo la spigatura, nei fiori della spiga avviene l’impollinazione, cioè le antere rilasciano il polline in esse contenuto. A impollinazione avvenuta, gli stami fuoriescono all’esterno e la pianta fiorisce (Figura 15). All’impollinazione se-gue poi la fecondazione.

Crescita e maturazione della cariossideDopo la fecondazione si forma l’embrio-ne che darà origine alla cariosside. La formazione delle cariossidi prevede una prima fase in cui si ha un aumento di dimensioni con l’accumulo di sostanze di riserva a cui segue la fase di matura-

Figura 14 – Campo di avena (sinistra) ed orzo (a destra) in fase di spigatura

Figura 15 – Spighe di frumento in fase di fio-ritura: gli stami fuoriescono dalle glumette.

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zione, con perdita progressiva di umidità fino a valori del 12-14%, fase in cui si procede alla raccolta.La fase di formazione e matura-zione della cariosside (Figura 16) si può suddividere nelle seguenti sottofasi:- maturazione lattea: le cariossi-di raggiungono il massimo volu-me e peso, sono di colore verde e ripiene di un liquido lattiginoso costituito da amido e proteine (65-70% umidità); l’embrione è completamente sviluppato (ma-turazione fisiologica).- maturazione cerosa: la carios-side perde il colore verde, la consistenza è cerosa (umidità 30%), le foglie sono secche, re-stano verdi i nodi;- maturazione piena o di rac-colta: la cariosside raggiunge un contenuto del 12-14% di umidità, condizione ideale per la conservazione senza essic-camento. Nelle condizioni climatiche del-

l’Italia meridionale è il momento ottimale per la raccolta.

 

Figura 16 - Fasi di maturazione lattea (frumento tenero) e cerosa (frumento duro)

Figura 17 – Spighe di frumento tenero (a sinistra) e duro (a destra) in fase di maturazione piena o di raccolta

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2.4 Esigenze ambientali

Esigenze termicheI cereali a paglia, come già sottolineato, sono rappresentati da specie microter-me, e ben si adattano, nei climi mediterranei, a compiere parte del proprio ciclo durante la stagione fredda.Nel frumento (Tabella 3) la resistenza alle basse temperature è una caratteristi-ca che dipende dalla varietà e dallo stadio vegetativo in cui si trova la pianta. La sensibilità al gelo è infatti elevata nelle fasi di germinazione ed emergenza, in cui temperature di pochi gradi sotto lo zero possono provocare danni considerevoli. Nelle fasi successive tra l’emergenza e la 4a foglia aumenta la resistenza al fred-do, che raggiunge il massimo in pieno accestimento; in questo stadio, gran parte delle varietà resistono senza gravi danni fino a 8 – 10 gradi sotto lo zero, anche se raggiunte in breve tempo; se invece la temperatura scende gradualmente sotto lo zero, la pianta subisce un processo di adattamento (indurimento) che le permette di resistere fino a -15, -20 °C.

Tabella 3- Esigenze termiche del frumento

Fasi Temperature ottimali

Germinazione e accestimento 2-5 °C

Vernalizzazione 0 °C

Levata 10 °C

Fioritura 15 °C

Maturazione 18-20 °C

La resistenza al freddo diminuisce drasticamente dall’inizio della levata e suc-cessivamente in spigatura e fioritura.L’orzo è meno resistente al freddo rispetto al frumento; la temperatura adatta per l’accrescimento si aggira intorno ai 15 °C, mentre l’optimum per la fioritura è di 17-18 °C. Eventuali gelate tardive possono danneggiare severamente le piante allo stadio di botticella-fioritura. Anche l’avena mostra minore resistenza alle basse temperature rispetto ai frumenti, tuttavia negli ambienti a clima medi-terraneo, come il Sud Italia, si adatta bene ad una semina autunnale.

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L’esposizione dei cereali vernini alle basse temperature (3 – 10°C), è importante per l’espletamento della “vernalizzazione” che consente il passaggio dallo sta-dio vegetativo a quello riproduttivo (viraggio), ed è quindi indispensabile per la produzione.A tal riguardo le varietà di frumento, orzo e avena vanno distinte in:- invernali o non alternative: necessitano di vernalizzazione; - primaverili: non necessitano di vernalizzazione, lo sviluppo procede in funzione delle temperature;- alternative: si ha la differenziazione riproduttiva anche in assenza di vernaliz-zazione, ma le basse temperature rendono più rapida la differenziazione ripro-duttiva.Nei riguardi delle alte temperature, invece, l’orzo è la specie che si adatta meglio, poiché tollera temperature fino a 38°C, anche in condizioni di limitate disponibi-lità idriche. L’avena non tollera bene le alte temperature, così come il frumento che, in condizioni di stress termici ed idrici in fase di maturazione, può subire perdite di produzione; difatti se il processo di maturazione viene accelerato da fattori climatici avversi (es. venti caldi) che causano il rapido essiccamento e la brusca interruzione della fase di riempimento della cariosside, questa risulterà striminzita; è il cosiddetto fenomeno della “stretta”.

Esigenze idricheI cereali vernini, negli ambienti a clima mediterraneo, non necessitano in genere di apporti irrigui, poiché beneficiano delle piogge del periodo autunno–primave-rile.Ad esempio per il frumento si stima un consumo idrico, per una coltura che pro-duce 10 t ha-1 di biomassa totale, pari a circa 400-500 mm di acqua, valori molto prossimi alla piovosità autunno-primaverile degli areali meridionali. La variabilità nella quantità e distribuzione delle precipitazioni nelle diverse annate può comunque condizionare fortemente i risultati produttivi. Eccessi di piovosità nel periodo invernale sono dannosi poiché determinano asfissia del terreno e condizioni favorevoli allo sviluppo di malattie fungine. Nella fase finale del ciclo, piogge battenti unite a vento forte possono determinare fenomeni di allettamento, specie in varietà di frumento a taglia elevata e nell’avena. In fase di pre-raccolta piovosità elevate possono determinare scadimento qualitativo delle cariossidi che nei frumenti duri può risultare slavata o bianconata. In casi estremi possono verificarsi fenomeni di pre-germinazione.Carenze idriche invece determinano riduzione di produzione a causa dell’incom-pleto riempimento della cariosside. Le fasi critiche per la disponibilità idrica sono l’impollinazione, la fecondazione e il riempimento della cariosside. Nelle fasi di impollinazione, fioritura e fecondazione, stress idrici causano riduzione di fertilità

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della spiga, con conseguente minore numero di cariossidi per spiga. Nella fase finale del ciclo, invece, condizioni di carenze idriche ed elevate temperature, de-terminano una brusca interruzione del trasferimento di sostanze nelle cariossidi, che risultano come detto striminzite (“stretta”).Tra i cereali vernini l’orzo è la specie più resistente alla siccità, per cui in tali condizioni supera in produttività l’avena e i frumenti; inoltre la precocità dell’or-zo, che ha un ciclo più breve rispetto alle altre due specie, consente un anticipo nella maturazione sfuggendo alle condizioni caldo-aride tipiche degli areali me-ridionali.Esigenze pedologicheI cereali vernini si adattano ad un’ampia gamma di condizioni pedologiche, ma forniscono i risultati migliori in terreni tendenzialmente argillosi, ben drenati e ben dotati di sostanza organica. I terreni troppo sciolti, sabbiosi non sono ideali a causa della bassa capacità di trattenuta idrica. Alcune differenze tra le specie si rilevano in relazione all’adattamento a condizioni particolari di terreno, come il pH o la salinità. A tal proposito vi è da rilevare la maggiore adattabilità a terre-ni con pH acido o sub-alcalino dell’avena, mentre frumento e orzo prediligono terreni con pH intorno alla neutralità; le specie mostrano in generale una buona tolleranza alla salinità, in particolare l’orzo produce normalmente fino a valori di ECe (conducibilità elettrolitica dell’estratto saturo) di 8-10 dS m-1.

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BIBLIOGRAFIA

AA.VV., 2007. Il grano. Collana coordinata da R. Angelini. Bayer CropScience, Milano.BALDONI R., GIARDINI L., 2000. Coltivazioni erbacee. Cereali e proteaginose. Pàtron Editore, Bologna.BORGHI B., 1985. Il frumento. Reda edizioni, Roma. AA.VV., 1995. Le tecniche di coltivazione delle principali colture agroindustriali. A cura di Agronomica s.r.l.

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3- TECNICA COLTURALELuigi Tedone

Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di AgrariaUniversità degli Studi di Bari

L’applicazione delle tecniche di coltivazione più opportune rappresenta una fase molto importante, fra le scelte azien-dali, al fine dell’ottenimento della massima redditività della coltura. In Figura 1 si riporta-no le componenti da tenere in considerazione nella tecnica colturale del frumento

3.1 AvvicendamentoNell’azienda agricola buona pratica agronomica è quella di non ripetere la stes-sa coltura per più anni di seguito, al fine di evitare i fenomeni di “stanchezza”, determinanti una più o meno sensibile diminuzione di produzione. Tale feno-meno era già noto nell’antichità: “La terra si riposa producendo cose diverse” è una massima dei georgici romani che già applicavano la pratica dell’alternanza delle colture. La pratica di pianificare la successione delle colture, turnando pe-riodicamente ed opportunamente il ritorno di una coltura, viene chiamato avvi-cendamento. Attraverso tale pratica è possibile sfruttare le azioni positive che l’alternanza delle colture esercitano sul terreno in cui sono coltivate (Figura 2), valutabili in azioni fisiche (miglioramento della struttura del terreno), chimiche (arricchimento in elementi nutritivi), biologiche (aumento di una flora microbica favorevole, riduzione della carica infestante, riduzione dei parassiti).Per avere una indicazione di massima che permetta una guida alla predisposi-zione di un’avvicendamento, è opportuno suddividere le colture in: - colture miglioratrici, che aumentano il livello di fertilità del suolo, tipo le legumi-nose che attraverso l’azotofissazione lasciano il terreno arricchito di azoto (prati ed erbai di leguminose, leguminose da sovescio, leguminose da granella);- colture da “rinnovo”, che lasciano il terreno in migliori condizioni di fertilità per le cure colturali praticate (lavorazioni profonde, sarchiature, etc) es. barbabieto-la, colza, girasole, pomodoro, patata;- colture depauperanti, che lasciano il terreno ad un livello di fertilità inferiore rispetto all’inizio della coltura (cereali vernini in genere) .

Figura 1 – Aspetti da considerare nella tecnica colturale dei cereali

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E’ necessario rilevare che le defini-zioni appena date non hanno valore assoluto. Per esempio, un prato di leguminose, coltura miglioratrice per l’arricchimento in sostanze nutritive, se si sussegue per più cicli di seguito potrebbe anche diventare depaupe-rante, a causa dell’eccessivo compat-tamento del terreno, della comparsa di infestanti specifiche, dell’insorgen-za di problematiche fitopatologiche che porterebbero alla riduzione della produttività della coltura. Gli indub-bi vantaggi dell’avvicendamento si scontrano frequentemente, special-mente nell’Italia meridionale, con le

esigenze economiche dell’azienda, per la difficoltà di trovare colture alternative al frumento di buona redditività nella categoria delle colture miglioratrici e da rinnovo, che inducono in molti casi alla pratica del “ringrano”. Gli avvicendamenti più diffusi sono quelli quadriennali (es. rinnovo-frumento-le-guminosa-frumento) o triennali (rinnovo-frumento-frumento) (Figura 3). Le attuali norme sulla condizionalità sconsigliano, oltre un determinato numero di anni, la monosuccessione cerealicola, imponendo l’avvicendamento o la pra-tica del maggese. L’avvicendamento, con la rotazione delle colture è una pratica prevista anche nei disciplinari di produzione integrata e biologica.

Figura 3 – Esempi di rotazione quadriennale (sinistra) o triennale (destra)

3.2 Lavorazione del terrenoLe lavorazioni del terreno sono necessarie per una ottima preparazione del letto di semina, premessa indispensabile per una perfetta emergenza delle plantule ed il buon sviluppo della coltura.

Figura 2 – Influenze di diverse successioni col-turali sulle rese di granella del frumento (Policoro (MT))

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Il tipo di lavorazione da eseguire deve tenere conto delle condizioni del terreno dopo la raccolta della coltura precedente e, contemporaneamente, deve con-siderare le esigenze della coltura che segue. Il risparmio energetico, abbinato a considerazioni sull’effetto a lungo termine delle lavorazioni profonde, stanno determinando la diffusione di tecniche finalizzate alla riduzione delle lavorazioni e la semina diretta, con conseguenti risparmi economici. Da ricordare, inoltre, che non tutti i cereali hanno uguali esigenze per quanto riguarda la preparazione del terreno. Per esempio, l’avena si adatta bene a terreni preparati in maniera molto grossolana.Per i cereali, le possibili soluzioni applicabili sono da ricondurre, quindi, a tre modelli:1. Lavorazione principale a 25-30 cm (Figu-ra 4) di profondità durante il periodo estivo seguita da lavori complementari di frangizol-latura ed erpicatura all’inizio dell’autunno. Tali interventi permettono la perfetta siste-mazione del terreno che risulta ben livellato e non zolloso. E’ la tecnica classica utilizzata su terreni mal strutturati e molto compatti.2. Minima lavorazione: viene eseguita a 10-15 cm di profondità utilizzando erpici a dischi (Figura 5), estirpatori, erpici e frese rotative. Generalmente, è sufficiente un secondo passaggio con un erpice per la preparazio-ne di un idoneo letto di semina. 3. Semina diretta: si attua con macchine se-minatrici appositamente predisposte (Figura 6), su terreni non compattati o danneggiati. Richiedono l’accortezza di un terreno libero da residui colturali, per evitare problemi di in-golfamento. Nel caso fossero presenti erbe infestanti, può essere eseguito un trattamento erbicida disseccante prima della semina.Come regola generale è indispensabile che il terreno venga preparato in maniera tale da otte-nere un letto di semina ben livellato, non zolloso, in cui la cariosside possa trovare le condizioni ottimali per germinare.

Figura 4 - Lavorazione principale con aratro a vomere

Figura 6 - Seminatrice per semina su sodo

Figura 5 - Lavorazione minima con aratro a dischi

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3.3 semina- Epoca di semina. La semina dei cereali autunno vernini in areale meridionale è di solito consigliata durante il periodo compreso tra la seconda metà di novem-bre e la prima di dicembre. Per quanto riguarda l’avena è possibile anticipare la semina ad ottobre, utilizzando varietà autunnali. Un forte anticipo dell’epoca di semina, soprattutto se si utilizzano varietà alternative o troppo precoci, potrebbe determinare un anticipo della levata durante l’inverno, specialmente se questo risulta essere piuttosto mite. Altresì sfavorevole risulta l’eccessivo ritardo, con marcata riduzione della produttività.L’epoca di semina va anche variata in base alle caratteristiche di precocità delle varietà. E’ importante che all’arrivo dei freddi la pianta sia allo stadio di 3a-4a foglia; in questo stadio infatti la resistenza al freddo è massima.Quando per l’andamento climatico non fosse possibile la semina autunnale, si può effettuare la semina a fine inverno (febbraio), utilizzando varietà alternative e aumentando opportunamente le dosi di semina in quanto l’indice di accesti-mento è minore.Modalità e densità di semina. La semina viene eseguita con seminatrici uni-versali a file distanti 14-20 cm e con una deposizione del seme a una profondità omogenea di 3-4 cm.La densità di semina ottimale è influenzata da molti fattori tra i quali citiamo:- il tipo di terreno: con terreni compatti è consigliabile aumentare la densità di semina del 10%;- condizioni pedoclimatiche: nelle zone aride e in terreni più poveri, le densità consigliate possono essere inferiori;- epoca di semina: le semine effettuate in epoca ottimale consentono una ridu-zione della dose di seme mentre, superato il periodo ottimale, è utile aumentare la dose del 5% per ogni settimana di ritardo.La densità di semina viene espressa come numero di piante/m2 e poi convertita in kg/ha, tenendo conto del peso di 1.000 semi della varietà e della loro germina-bilità. In generale, il quantitativo da utilizzare si aggira intorno a 400-500 semi germinabili/m2 per il frumento tenero, 400 semi germinabili/m2 per il frumento duro, 300 semi germinabili per l’orzo e l’avena, specie con maggiore capacità di accestimento. Dose di seme: è possibile calcolare la quantità di seme con la formula di seguito riportata:

Kg/ha =(Peso dei 1000 semi (g) x n° semi germinabili per m2)

Germinabilità (%)

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EsEMPIO DI CALCOLO

Tenendo conto del peso di 1.000 semi delle differenti varietà e delle diverse va-riabili che si riscontrano alla semina, le dosi più frequenti sono di 160-240 kg/ha per il frumento (le più basse per il tenero, le più alte per il duro), 130-150 kg/ha per l’orzo, 150-200 kg/ha nell’avena.

3.4 scelta varietale E’ un fattore determinante per la buo-na riuscita della coltura. Il contributo della ricerca genetica in tale campo è stato importante nel selezionare varietà più produttive ed adattabili all’innovazione delle tecni-che colturali, permettendo il forte au-mento nella produttività. Inoltre è stato possibile avere un ampio panorama di varietà in base alla destinazione d’uso, aspetto molto importante per il settore molitorio. Pur essendo pianta autogama, l’utilizzo di seme prodotto in azienda appare una soluzione da limita-re a un solo anno. La buona semente deve avere un’elevata purezza (maggiore del 98%), elevata germinabilità (minimo di legge 85%, meglio se 90-95%), deve essere indenne da malattie fungine, esente da semi di erbe infestanti. Il seme certificato dà maggiori garanzie in quanto possiede queste caratteristiche (Figu-ra 7). La scelta delle varietà va operata in funzione del clima, del terreno, della tecnica colturale più o meno intensa che si vuole impiegare e della destinazione com-merciale della granella. L’agricoltore può disporre di informazioni inerenti alle numerose varietà in com-mercio consultando le pubblicazioni periodiche che riportano i risultati delle prove condotte nelle diverse regioni italiane (vedi schede allegate). E’ possibile stabilire la varietà già prima della semina, con contratti stipulati con le industrie di trasformazione.

 

Peso 1000 semi: 52 g 52 X 400

Numero di semi germinabili per m2: 400

germinabilità: 96%

96=kg/ha= 217

Figura 7 - Da sinistra: cartellino del produttore, cartellini di seme certi-

ficato di I e II riproduzione

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3.5 ConcimazioneLa concimazione è fondamentale per il conseguimento di buone produzioni anche in relazione alla disponibilità di varietà ge-neticamente migliorate più produttive.La quantità di elementi nutritivi necessa-ri per la coltura è strettamente correlata alla fertilità potenziale dell’ambiente ed alle caratteristiche varietali. Gli elementi nutritivi fondamentali alla vita della pianta si distinguono in:- macroelementi quali azoto, fosforo, po-

tassio, calcio, magnesio, zolfo spesso non presenti in quantità sufficienti nel terreno, per cui è necessario il loro apporto con i fertilizzanti;- microelementi quali boro, manganese, molibdeno, zinco, etc. da apportare in caso di gravi carenze. In genere per il frumento, gli elementi da tenere in considerazione sono l’Azoto, il Fosforo e il Potassio, mentre la somministrazione degli altri elementi è prevista solo in casi di eccezionalità. Concimazione fosfatica e potassicaPer questi elementi, sarebbe consigliabile avere delle analisi del terreno, consi-derando che la loro disponibilità è influenzata da diverse variabili pedoclimatiche (Tabella1). Infatti, in terreni con buona dotazione, la sperimentazione non ha evidenziato effetti di particolare rilievo in caso di una ulteriore somministrazione di concimi a base fosfatica o potassica. Pur tuttavia, almeno per il fosforo, non è da trascurare l’apporto di dosi intorno a 70-100 kg ha-1 di P205, soprattutto sulle nuove varietà più produttive di frumento (Figura9). Per entrambi i fertilizzanti, l’epoca di distribuzione consigliabile è al momento della semina.

Tabella1 - Dotazioni normali orientative di fosforo e potassio dei terreni

 

Tipo di                        terreno

P (ppm) (metodo Olsen)

K (ppm) (metodo BaCl2)

Sabbioso 18-25 85-120Medio impasto 23-28 100-149Argilloso 30-39 120-179Fonte: disciplinari di produzione integrata Emilia Romagna 

Figura 8 - Campo sperimentale rete naziona-le frumento duro

Fonte: disciplinari di produzione integrata Emilia Romagna

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Concimazione azotataI più cospicui contributi della sperimen-tazione agronomica sul frumento hanno riguardato la concimazione e in modo particolare quella azotata, la cui azione è rivolta non solo a favorire l’aumento delle rese, ma anche a migliorare le caratteri-stiche qualitative delle cariossidi. L’azoto favorisce l’accestimento, un maggior ri-goglio vegetativo, l’aumento del numero

delle spighe per pianta e del numero di spighette per spiga, il peso delle carios-sidi ed il relativo contenuto proteico, ma allo stesso tempo può favorire l’allet-tamento, in particolar modo nelle varietà a taglia alta, e la stretta nelle annate siccitose. Pertanto, le risposte a dosi crescenti di fertilizzanti azotati sull’entità delle rese sono molto differenti a causa della sensibile influenza delle condizioni pedoclimatiche e per effetto della precessione colturale. Un andamento climatico ottimale nella fase di riempimento delle cariossidi può favorire sia l’accumulo di sostanze amidacee che di proteine, per cui la disponi-bilità di azoto nel terreno in questo periodo è fondamentale per il miglioramento qualitativo della granella. Nelle condizioni in cui si tende a ridurre le dosi di ferti-lizzante azotato, come negli ambienti caldo-aridi meridionali, può verificarsi una carenza di azoto nella fase di maturazione della coltura, per cui tutto l’azoto della granella deriva dalla mobilitazione di quello presente nelle foglie; se queste van-no incontro ad un rapido processo di senescenza, ne deriva un basso contenuto di azoto nella granella e di conseguenza, la presenza di granella bianconata. Pertanto, in situazioni di stress idrico, anche l’accumulo di amido è influenzato negativamente, si verifica il fenomeno della “stretta”, con la presenza di carios-sidi striminizite, che pur presentando un buon contenuto in proteine, presentano altresi valori aleatori di peso ettolitrico. Vanno inoltre evitati eccessi di apporto azotato, dannosi sia all’ambiente, per il facile dilavamento, sia per la pianta che risulta più suscettibile a fenomeni di allettamento e alle malattie. L’azoto determina l’accumulo di proteine nella granella, componente molto impor-tante sia per il frumento tenero, influenzante positivamente le proprietà reologiche della farina, sia per il frumento duro, per l’attitudine alla pastificazione. Discorso a parte va fatto per l’orzo, ove le proteine, utili in caso di destinazione alimentare della granella, determinano invece problemi per la produzione di malto; in tal caso, la dose di concime azotato va moderata.E’ evidente, quindi, la complessità della fisiologia della nutrizione azotata e la sensi-bile interazione con le condizioni ambientali e con le caratteristiche varietali.

Figura 9– Effetti della carenza di fosforo

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La buona programmazione della distribuzione di concimi azotati richiede la co-noscenza del ritmo di assorbimento dell’azoto nella pianta, al fine di mettere a disposizione della coltura tale elemento nei momenti critici della crescita, al fine del consegumento della massima produttività e del più elevato contenuto in granella (Figura 12).In genere è consigliabile distribuire la quasi totalità dell’azoto neces-sario durante il periodo compreso tra l’accestimento e la levata della coltura, fase di massima richiesta di azoto. Nei nostri areali non è opportuno intervenire con la con-cimazione troppo in ritardo, per l’elevato rischio di stress idrico in corrispondenza della tarda prima-vera.In commercio sono presenti diver-si gruppi di concimi azotati:- Ammoniacali: ad azione legger-mente più rallentata, da usare alla semina o durante le prime fasi di crescita (es. solfato ammonico, fosfato biammonico).- Nitrici: sono concimi prontamente utilizzabili, per cui da utilizzare durante le fasi di massimo assorbimento della pianta.- Nitrico-ammoniacali: hanno la caratteristica di presentare entrambe le moleco-le, con effetto intermedio.- A lento effetto o ritardanti: rilasciano l’azoto molto lentamente per la presenza di sistemi di protezione o di ritardo, per cui sono consigliabili negli areali a forte è il rischio di lisciviazione oppure se si vuole intervenire con tutto l’azoto in un solo intervento.

- =

resa prevista (t/ha) xrimanenza coltura precedente

0-60

35 F.duromineralizzazione sostanza organica

20-40

30 F.teneroeventuali rotture di prati precedenti

20-40

20 Orzoeventuali apporti di letame precedenti

UNITA' DI AZOTO DA APPORTARE :

30 110 kg/ha di azoto

 asportazioni  di N (kg):

FABBISOGNO FRUMENTO DOTAZIONE DEL TERRENO 

Esempio: frumento duro con produzione di 4 t/ha, senza 

letamazione e in rotazione con un erbaio misto

- =140 kg

 

Figura 10– Esempio di calcolo delle unità di azoto da apportare

Figura 11– Fenomeni di carenza di azoto per cattiva distribuzione del concime (Fonte: Porfiri)

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Figura 12 – Programmazione degli apporti di azoto nel frumento in base alle esigenze colturali

- Urea: concime organico di sintesi, avente azione mediamente rapida. Il loro differente impiego è naturalmente legato all’epoca di distribuzione, all’or-ganizzazione aziendale e soprattutto al costo dell’unità fertilizzante. In generale il concime a costo più basso è l’urea agricola, seguita dal nitrato ammonico.Ultimamente si stanno diffondendo strumenti che, con la lettura fogliare, sono in grado di dare indicazioni sullo stato nutrizionale azotato della pianta. Alcuni di questi si basano sulla misura della clorofilla (N-tester, SPAD) (Figura 13), che è un indice della disponibilità di azoto e possono essere utilizzati dalla levata in poi per decidere e modulare il quantitativo di azoto da apportare.

Altri si basano su sensori montati sul-la trattrice (N sensor) (Figura 14), in grado di fornire, attraverso opportu-ne misurazioni della luce riflessa dal-la coltura, informazioni sul suo stato nutrizionale e quindi contemporanea-mente modulare la distribuzione del concime.

Figura 13 - Utilizzo dello sPAD per rilevare lo stato nutrizionale delle piante

1a Foglia 2a-3a Foglia Accestimento Levata Botticella Spigatura

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Tabella 2 – Concimazione consigliata per i cereali

ELEMENTO sPECIE sEMINA ACCEsTIMENTO LEVATA

AZOTO (N)

FRUMENTO 0-30 50-70 20-30

AVENA 20-30 40-50

ORZO - 70-90

FOsFORO (P2O5)

FRUMENTO 0-70* - -

AVENA 0-70* - -

ORZO 0-70* - -

POTAssIO (K2O)

FRUMENTO 0** - -

AVENA 0** - -

ORZO 0** - -

Figura 14 - Sistema N sensor montato su trattrice per ottimizzare la distribuzione dell’Azoto

* Dose massima nei terreni carenti** In caso di specifiche carenze intervenire con 60 Kg/ha

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3.5 IrrigazioneIl frumento normalmente è una coltura in asciutto che si avvale delle piogge frequenti nel periodo autunno-primaverile. Una buona piovosità durante il ciclo colturale, è stimata intorno ai 400-500 mm, purchè ben distribuiti nei mesi, spe-cialmente nelle fasi di levata-allegagione e di inizio di maturazione. Nei climi caldo-aridi gli interventi irrigui possono essere utili, come anche nelle annate anomale e siccitose sono opportune irrigazioni di “soccorso”, ovviamente dove l’acqua è disponibile e il suo utilizzo trova una giustificazione economica.

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BIBLIOGRAFIA

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4- IL CONTROLLO DELLA FLORA INFEsTANTE NEI CEREALIMariano Fracchiolla

Dipartimento di Scienze delle Produzioni VegetaliUniversità degli Studi di Bari

4.1 La flora infestante dei cerealiLa flora infestante presente nelle colture cerealicole italiane è composta da circa 200 specie. Tra queste, in Puglia si registrano circa 70 specie, di cui si riportano le più diffuse nella tab 1.Dal punto di vista agronomico, le infestanti sono di solito divise in due grup-pi: graminacee e dicotiledoni. Le graminacee, appartenenti alla stessa famiglia del frumento, orzo, avena ecc., sono comunemente chiamate “malerbe a foglia stretta”. Il gruppo delle dicotiledoni, invece, è composto da numerose famiglie botaniche e tutte le specie che vi appartengono sono comunemente chiamate “malerbe a foglia larga”.Tra le specie “a foglia stretta”, quelle che in Puglia rivestono maggiore im-portanza sono l’Avena sterilis (avena maggiore o rossa), il Lolium multiflo-rum (loietto), il L. perenne (loglio comune), l’Alopecurus myosuroides (coda di volpe), la Phalaris paradoxa (scagliola sterile), la P. brachystachys (sca-gliola cangiante) e la P. minor (scagliola minore). In alcuni areali, sia pur ancora confinati, si comincia inoltre a registrare una presenza crescente del forasacco(Bromus spp.).Le specie “a foglia larga”, o dicotiledoni, sono invece assai più numerose, ben-ché le infestazioni più importanti e massicce siano rappresentate da Papaver rhoeas (rosolaccio), Veronica spp. (veronica), Galium aparine (caglio o attac-caveste), Polygonum aviculare (poligono degli uccellini), Fumaria officinalis (fumaria), Stellaria media (mordigallina), Sinapis arvensis (senape selvatica) e Cirsium arvense (stoppione).Tale elencazione senza dubbio non copre l’elevato numero di specie che può infestare i campi di cereali in Puglia come nel resto dell’Italia. La comunità flori-stica presente nei vari areali è assai variabile in base a fattori climatici e pedo-logici e soprattutto in dipendenza delle tecniche colturali adottate (rotazioni, tipo di aratura, diserbo, specie coltivata, ecc.). Queste ultime possono determinare, anche a parità di condizioni ambientali, un cambiamento della flora nel tempo. Un esempio di questo fenomeno sono gli incrementi di infestazione di Anthemis arvensis (camomilla bastarda), Calendula arvensis (fiorancio), Scandix pecten veneris (pettine di Venere) e Viola arvensis (viola), conseguenti all’utilizzo ripe-tuto di erbicidi scarsamente attivi verso queste malerbe.

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Tabella 1: Specie infestanti più diffuse nei cereali

Famiglia specie Nome comuneCaryophyllaceae Stellaria media (L.) Vill. centocchio comuneCompositae Anthemis arvensis L. camomilla bastardaCompositae Cirsium arvense (L.) Scop. stoppioneCompositae Lactuca spp. L. lattuga selvaticaCompositae Matricaria chamomilla L. camomilla comuneCompositae Senecio vulgaris L. senecione comuneCompositae Sonchus spp. grespino spinosoCompositae Silybum marianum Adans cardo marianoConvolvulaceae Convolvulus arvensis L. vilucchio comuneCruciferae Cardaria draba (L.) Desv. cocolaCruciferae Raphanus raphanistrum L. ravanello selvaticoCruciferae Sinapis arvensis L. senape selvaticaGraminaceae Alopecurus myosuroides Hudson coda di volpeGraminaceae Avena sterilis L. avena selvaticaGraminaceae Lolium spp. L. loglioGraminaceae Phalaris spp. L. scagliolaLabiatae Lamium amplexicaule L. erba ruotaLeguminosae Medicago spp. erba medica lupulinaLeguminosae Trifolium spp. L. trifoglioLeguminosae Vicia sativa L. veccia comuneLiliaceae Gagea pratensis (Pers.) Dum. cipollaccio dei pratiLiliaceae Leopoldia comosa (L.) Parl. lampagionePapaveraceae Fumaria officinalis L. fumaria comunePapaveraceae Papaver rhoeas L. papavero comunePolygonaceae Fallopia convolvulus (L.) Holub poligono convolvoloPolygonaceae Polygonum aviculare L. correggiolaRanunculaceae Ranunculus ficaria L. ranuncolo favagelloRubiaceae Galium aparine L. caglio-attaccavesteScrophulariaceae Veronica spp. veronicaUmbelliferae Bifora radians Bieb. coriandolo puzzolenteUmbelliferae Daucus carota L. carota selvaticaViolaceae Viola arvensis Murray viola dei campi

Un altro esempio è rappresentato da Eryngium campestre (eringio), Ferula com-munis (ferula), Ranunculus ficaria (ranuncolo) e Silybum marianum (cardo della Madonna). Tali specie stanno diventando sempre più presenti nei campi di cereali in virtù di un mancato utilizzo di diserbanti specifici, della riduzione della profondità

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delle lavorazioni, della pratica del ringrano e della messa a coltura di terreni ad alto contenuto di scheletro.

4.2 Caratteristiche della flora infestante e rapporti di competizione con le coltureLa competizione coltura-infestante si esercita soprattutto per l’acqua, le sostan-ze minerali e la luce, fattori fondamentali per la crescita delle piante (Figura 1).Tutte le infestanti sono in grado di utilizzare l’acqua presente nel terreno più veloce-mente rispetto alla pianta coltivata anche perché posseggono radici più sviluppate.

Per esempio, lo sviluppo dell’apparato radicale di un’avena selvatica può arri-vare fino a 400 m, mentre quello del frumento non raggiunge neanche la metà. Le malerbe hanno anche una maggiore efficienza di utilizzo dell’acqua; quindi, persino a parità di consumo di acqua rispetto alla coltura, esse sono in grado di produrre molta più biomassa e quindi di crescere più vigorose. Questo è uno dei motivi per i quali, in situazioni di siccità, la competizione con le infestanti provoca più danni alla coltura.La competizione per le sostanze nutritive riguarda soprattutto l’azoto. Per questo elemento vale quanto detto per l’acqua e cioè che le infestanti sono in grado di utilizzarlo in quantità maggiori e più efficientemente. In virtù di tale fenomeno, concimazioni azotate non accompagnate da un efficace controllo delle malerbe, possono addirittura deprimere la produzione di cereali, dal momento che vanno ad avvantaggiare molto di più le infestanti che la coltura. Infine, occorre evidenziare che la competizione per l’acqua e per l’azoto sono intimamente correlate fra loro: più bassa è la disponibilità di acqua, maggiore è la competizione che le infestanti esercitano per l’azoto.Un altro effetto competitivo si ha nei riguardi della luce. Infestanti che riescono

Figura 1 - Principali caratteristiche che rendono le malerbe più competitive rispetto alla pianta coltivata

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ad accrescersi molto più velocemente della coltura, tenderanno ad ombreggiarla e quindi a deprimere la sua attività fotosintetica.In aggiunta ai fenomeni di competizione sopra descritti, possono registrarsi ef-fetti negativi sulla coltura dovuti all’emissione di sostanze tossiche per il cereale (sostanze allelopatiche).

4.3 Danni causati dalla flora infestanteI fenomeni competitivi descritti nel paragrafo precedente sono i maggiori respon-sabili di cali di produzione. Nel frumento, una delle colture più studiate, si stima che il mancato controllo delle infestanti può determinare una perdita che può arrivare fino al 60% della resa potenziale. Oltre ai danni quantitativi, sono da considerare quelli qualitativi e che riguardano le caratteristiche della granella e il conseguente peggioramento delle attitudini merceologiche. Infine, spesso si riscontrano inconvenienti non trascurabili riguardanti l’inquina-mento della semente e il rallentamento delle operazioni di mietitura.L’entità dei danni riscontrabili è ovviamente variabile in base al livello di infestazione oltre che alle specie presenti. In linea del tutto generale e in base alla letteratura presente sull’argomento, le infestanti più dannose per i cereali sono, in ordine decre-scente, l’avena selvatica (Avena sterilis), i logli (Lolium spp.), le scagliole (Phalaris spp.), seguite da infestanti dicotiledoni quali la senape selvatica (Sinapis arvensis), il Galium aparine (caglio) o il papavero (Papaver rhoeas). Tuttavia, l’estrema varietà di situazioni non permette di fornire indicazioni generalizzabili a tutte le annate e a tutti i campi. Rimane tuttavia valida l’indicazione che il danno causato dalle malerbe è tanto più alto quanto maggiore è il grado di infestazione e quanto più lungo è il periodo nel quale queste rimangono nella coltura. Tale danno è inoltre aggravato qualora, a parità di intensità, l’infestazione sia composta solo da poche specie predominanti (es. forte infestazione di avena selvatica), piuttosto che da una comunità floristica nella quale nessuna specie è prevalente rispetto alle altre (es. presenza bilanciata di graminacee e dicoti-ledoni).

4.4 Il periodo critico della competizioneIl concetto di periodo critico della competizione è utile ai fini di razionalizzare gli interventi di diserbo. In generale, qualunque coltura presenta un periodo del ciclo produttivo nel quale essa è particolarmente sensibile alla presenza delle infestanti. Per esempio, il frumento e l’orzo tollerano bene la presenza di infe-stanti nelle prime fasi del ciclo di crescita, mentre subiscono danni consistenti nella fase di levata.Per individuare il periodo critico, vanno considerati due parametri: la Durata della Competizione Tollerata (DCT) e il Periodo di Richiesta di Assenza delle Malerbe

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(PRAM).La DCT viene definita come “il periodo massimo di per-manenza delle infestanti perché si abbiamo danni produttivi inferiori ad una so-glia critica fissata a priori”. Il PRAM viene definito come “il periodo minimo di tempo, a partire dall’emergenza, durante il quale la coltura deve rimanere priva di ma-lerbe affinché subisca danni produttivi inferiori alla stessa soglia limite”.Da questi due parametri si

può calcolare il periodo critico (PC), il quale è sempre compreso tra la fine della DCT e quella del PRAM. Per meglio comprendere i concetti, si guardi la figura 2 la quale illustra l’andamento della DCT e del PRAM nel caso del frumento. Si evince come, per questa coltura, il PC si colloca tra la fine dell’accestimento e il primo nodo. E’ sufficiente lasciare la coltura libera da malerbe in questo periodo per avere perdite produttive tollerabili.Anche in questo caso, pur salvando la validità dei concetti, è difficile dare delle leggi generalizzabili a tutte le situazioni pedoclimatiche, alle varietà, alle specie e alle singole situazioni aziendali. Pur facendo riferimento alla regola di interve-nire al momento opportuno, all’agricoltore e al tecnico è comunque affidata la razionale valutazione del caso specifico.

4.5 Gestione agronomica della flora infestanteTutti gli interventi agronomici sono in grado di influenzare lo sviluppo della flora infestante. Pertanto, non è possibile prescindere dalla corretta esecuzione delle operazioni colturali al fine di ridurre la presenza di malerbe e per aumentare l’ef-ficacia degli interventi di controllo diretti che verranno illustrati in seguito.Lavorazioni del terreno: Gli effetti delle lavorazioni sullo sviluppo delle malerbe dipendono essenzialmente dalla profondità, dal tipo di attrezzo utilizzato e dal-l’epoca nella quale queste vengono effettuate.La riduzione della profondità di lavorazione avvantaggia lo sviluppo delle ma-lerbe i cui i semi verrebbero invece devitalizzati dall’interramento. In partico-lare sono favorite le infestanti graminacee quali la coda di volpe, il loglio, le scagliole. Pertanto, sarebbe buona norma prevedere arature profonde ogni

Figura 2: Definizione del periodo critico della competizio-ne per il frumento duro

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qualvolta, nella stagione precedente, ci sia stata una forte infestazione di queste specie.In caso di infestazione composta da specie perenni, l’aratura estiva è in grado di portare in superficie gli organi riproduttivi vegetativi (bulbi e rizomi) e quindi di facilitare la loro devitalizzazione.Inoltre, soprattutto quando non è previsto l’intervento chimico, sarebbe buona nor-ma effettuare la “falsa semina”. Consiste nel preparare il terreno mettendo in condizioni le erbe infestanti di germi-nare, allorché le pioggie autunnali sopraggiungono. La successiva lavorazione di affinamento consente l’eliminazione di una buona parte della carica infestante prima di seminare.Avvicendamento colturale: L’avvicendamento colturale è una delle pratiche agronomiche più efficaci per prevenire problemi malerbologici particolarmente gravi. Le colture di cereali posizionate in una corretta rotazione presentano una flora infestante equilibrata, cioè composta da un numero di specie elevato, ma ciascuna composta da pochi individui. Il controllo di questo tipo di infestazioni, oltre ad essere più agevole, è anche meno costoso. La rotazione ideale è quel-la nella quale il cereale è preceduto da una coltura primaverile-estiva (in aree irrigue), da maggese, da foraggio o da una leguminosa. Trovandosi comunque nella necessità di coltivare un cereale per più anni di seguito, si potrebbero se-minare l’orzo o l’avena prima del frumento. Tali specie, infatti, hanno un potere competitivo maggiore nei confronti delle malerbe e, quindi, lasciano il terreno meno infestato.Inoltre, non è da trascurare il ruolo che l’avvicendamento esercita nel prevenire l’in-sorgenza di fisiopatie e nel favorire un buono sviluppo vegeto-produttivo della coltu-ra che quindi risulta più competitiva nei confronti della flora infestante.Concimazione azotata: E’ bene tener presente che l’apporto di concimi azotati, se da una parte innalza la produttività della coltura, dall’altra favorisce lo sviluppo delle piante infestanti; pertanto, è sempre buona norma non eccedere. La localizzazione lungo la fila del concime dato al momento della semina conferisce alla coltura maggior potere competitivo rispetto alle malerbe. Le nitrature di febbraio-marzo favoriscono le infestanti emerse in autunno (gramina-cee, papavero, senape, ecc.); le infestazioni primaverili, invece, vengono ridotte in quanto trovano la coltura più vigorosa e competitiva. In ogni caso, è sempre consi-gliabile effettuare le concimazioni di copertura dopo le operazioni di diserbo.Densità di seme: Semine più fitte possono avere effetti positivi sul contenimento dello sviluppo delle infestanti.Scelta varietale: L’utilizzo di varietà a taglia bassa e con basso potere di accestimen-to favorisce, ovviamente, le infestanti rispetto alla coltura.

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4.6 Controllo meccanico delle malerbe in presenza della colturaIl controllo meccanico delle malerbe con la coltura in atto, comunemente definita “strigliatura”, viene eseguita con erpici strigliatori a denti flessibili o snodati. Tali at-trezzi sono caratterizzati dall’avere denti articolati tra loro in grado di smuovere gli strati superficiali di terreno e quindi di sradicare le malerbe. L’efficienza di tale siste-ma dipende prima di tutto dalle specie infestanti presenti e dal loro stadio fenologico al momento dell’intervento. In secondo luogo, anche il tipo di attrezzo utilizzato e le caratteristiche del terreno possono avere una discreta influenza.Riguardo alle specie infestanti, senza dubbio bisogna segnalare la scarsa efficacia della strigliatura nei confronti delle graminacee. Un controllo soddisfacente è invece da registrasi su specie dicotiledoni facilmente estirpabili quali la senape selvatica o il papavero. Per quanto concerne, invece, lo stadio fenologico, il diserbo meccanico ha maggiore successo su piante ai primi stadi di sviluppo, le quali presentano appa-rati radicali meno sviluppati.L’epoca ottimale per il diserbo meccanico dei cereali è quello compreso tra l’ini-zio dell’accestimento e l’inizio della levata, fermo restando la necessità di inter-venire su malerbe non molto sviluppate.Il controllo meccanico rappresenta l’unica alternativa in sistemi di coltivazione nei quali non è previsto il ricorso al diserbo chimico. Tuttavia, in ragione della sua non completa efficacia, deve essere assolutamente abbinato ad un’attenta e razionale gestione agronomica e preventiva delle malerbe; in questo senso, assumono particolare importanza la falsa semina, le rotazioni e la razionale ese-cuzione delle concimazioni azotate.

4.7 Il diserbo chimicoIl diserbo chimico rappresenta la strategia più diffusa di controllo diretto delle malerbe, soprattutto nei comprensori cerealicoli specializzati. L’epoca di esecu-zione degli interventi può essere prevista sia in “pre-emergenza” che in “post-emergenza” della coltura.Diserbo di pre-emergenzaPuò essere eseguito subito dopo la semina, o pochi giorni dopo, utilizzando erbicidi che vengono assorbiti dalle plantule delle malerbe nei primissimi stadi di sviluppo (assorbimento radicale) o impediscono completamente la germina-zione dei semi (antigerminello). Tali erbicidi hanno anche azione “residuale”, cioè permangono attivi nel terreno per alcuni mesi. Nel caso in cui si intenda diserbare in pre-emergenza, è importante prevedere un buon interramento della cariosside del cereale al fine di evitare possibili effetti fitotossici sui semi in via di germinazione. Il diserbo effettuato in quest’epoca ha il vantaggio di eliminare la competizione con le malerbe sin dalla nascita della coltura. Inoltre, esso assicu-ra l’intervento di diserbo anche nel caso in cui, una stagione troppo piovosa, non

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consenta di entrare in campo per effettuare il diserbo di post-emergenza.Ciò nonostante, gli interventi di pre-emergenza presentano numerose limitazioni:- l’azione residua difficilmente perdura fino al periodo di febbraio-marzo, fase critica sia per la nascita di nuove malerbe che per la sensibilità della coltura alla competizione;- una ridotta piovosità potrebbe diminuire notevolmente l’azione degli erbicidi;- la scelta delle sostanze attive non può essere eseguita in funzione del reale tipo di infestazione, ma solo in funzione di previsioni;- l’efficacia erbicida è scarsa nei confronti di specie particolarmente temibili quali l’avena selvatica.Per tutti questi motivi, aggiunti all’aumentata disponibilità di sostanze attive di post-emergenza ad elevata performance, l’esecuzione del diserbo in pre-emer-genza è una pratica non più molto diffusa.Diserbo di post-emergenza.Il diserbo di post-emergenza, eseguito con erbicidi ad azione fogliare selettivi per la coltura, presenta notevoli vantaggi:- può essere evitato in caso si riscontri un’infestazione bassa;- permette una valutazione dell’infestazione reale e quindi una scelta razionale delle sostanze attive (Figura 3);- i prodotti utilizzati hanno poca persistenza nel terreno;- ha un’azione soddisfacente nei confronti degli organi vegetativi (bulbi e rizomi) delle specie perenni;- può essere effettuato anche su terreni non perfettamente livellati e ricchi di scheletro.

Figura 3: Schematizzazione del periodo ottimale del diserbo di post-emergenza in base alle cur-ve di emergenza delle principali infestanti.

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Tra gli svantaggi del diserbo di post-emergenza, quello più significativo riguarda il fatto che, in caso di stagio-ni particolarmente piovose, potrebbe non essere possibile entrare in cam-po per eseguire i trattamenti in modo tempestivo.Particolare attenzione va posta alla scelta dell’erbicida, la quale va sem-pre fatta in base alla coltura, al tipo di infestazione presente e al momento dell’intervento. A scopo esemplificati-vo, la figura 4 riporta le principali so-stanze attive disponibili e la loro epo-ca di impiego. Queste possono essere divise in tre gruppi, a seconda che sia-no efficaci su infestanti dicotiledoni, graminacee o abbiano una duplice at-titudine. Ciascuna di queste sostanze attive può comunque avere una diver-sa efficacia nei confronti della singola specie infestante. Si rimanda a trat-tazioni specifiche l’approfondimento riguardo lo spettro d’azione dei diversi erbicidi. Infine, un’attenzione partico-lare va posta alla miscibilità tra diser-banti graminicidi e dicotiledonicidi. E’

sempre consigliabile scegliere prima il graminicida e poi verificare quali dicoti-ledonicidi è possibile usare in miscela con esso. A tale scopo, occorre ribadire l’utilità di leggere sempre le etichette a corredo delle confezioni del diserbante!

4.8 Fenomeni di resistenza agli erbicidi Tra i problemi agronomici che possono sorgere a causa di non corretto utilizzo dei mezzi chimici, riveste grande importanza l’insorgere del fenomeno della “re-sistenza” (Figura 6). Essa è definita come la naturale ed ereditabile capacità di alcuni individui di una popolazione infestante di sopravvivere alla dose di erbici-da che normalmente viene utilizzata per il loro controllo.Nei cereali e soprattutto nel frumento, le infestanti che hanno già mostrato al-terata sensibilità agli erbicidi sono l’Avena sterilis, la Phalaris paradoxa, il Lo-lium multiflorum e il Papaver rhoeas. Occorre pertanto mettere in atto opportune

Figura 5 – Razionale sequenza delle operazioni di pianificazione del diserbo di post-emergenza

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strategie che consentano di limitare l’insorgere di questo problema, così come mostrato in figura 7.

Figura 6 – Dinamica di insorgenza, negli anni, del fenomeno della resistenza

Figura 7 – Strategie consigliate per ridurre i rischi di insorgenza della resistenza agli erbicidi

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5- ASPETTI FITOPATOLOGICI DEI CEREALIFedele Casulli

Dipartimento di Protezione delle piante e Microbiologia ApplicataUniversità degli Studi di Bari

5.1 IntroduzioneSono numerosi i patogeni fungini che, singolarmente o in associazione fra loro, possono interferire sul regolare sviluppo dei cereali e compromettere quanti-tativamente e qualitativamente la produzione (INEA, 1996; Pancaldi e Alberti, 2001; Pasquini e Delogu, 2003). Di seguito sono riportate alcune delle principali malattie che interessano questa coltura.

5.2 Oidio o Mal BiancoL’agente causale, Blumeria (Erysiphe) graminis, è un patogeno obbligato, prevalentemente ectofita e dotato di una elevata specializzazione fisiologi-ca, pertanto con numerose forme speciali e razze fisiologiche. Il micelio ha uno sviluppo superficiale ed invia all’interno dei tessuti (cellule epidermiche) gli austori attraverso i quali assorbe le sostanze nutritive. Esso si sviluppa su tutte le parti verdi della pianta formando tipiche plagule bianche feltrose o farinose (Figura 1), costituite dal micelio, dai conidiofori e dai conidi del fungo, disposti a catenella. Questi ultimi, trasportati dal vento, servono alla diffusione su larga scala e a lunga distanza, del pato-geno. La malattia si sviluppa maggiormente in primave-ra, in quanto il fungo non necessita di elevata umidità e si avvantaggia di una temperatura intorno ai 20°C. In condizioni ambientali o alimentari sfavorevoli, sugli organi attaccati si formano i cleistoteci sferoidali - visi-bili come tanti puntini neri - portanti aschi e ascospore (forma sessuata), che servono per la sua sopravviven-za. Le infezioni primarie possono essere causate dalle ascospore, prodotte dai cleistoteci, o dai conidi prove-nienti da ospiti secondari o campi infetti. I cereali, sono molto suscettibile durante la fase di levata, ma i danni più gravi si hanno nella fase di spigatura-fioritura. Le piante infette perdono vigoria e la produzione subisce un danno sia quantitativo che qualitativo. Nell’Italia me-ridionale, a causa del clima caldo-arido, generalmente non si hanno gravi epidemie perché gli attacchi sono limitati alle foglie basali.

Figura 1 – Foglie di frumento con attacchi di

oidio

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Tabella 1 – Principali malattie fungine del frumento.

Patogeno Malattia Organo colpito

Blumeria (Erysiphe) graminis f.sp. tritici (Oidium monilioides) Oidio o mal bianco Guaine, foglie, cul-

mo, spighe

Puccinia striiformis f.sp. tritici Ruggine gialla o stria-ta o delle glume Guaine, foglie, spiga

Puccinia triticina Ruggine bruna o fo-gliare o puntiforme Foglie

Puccinia graminis f.sp. tritici Ruggine nera o dello stelo

Guaine, culmo, fo-glie, spiga

Mycosphaerella graminicola (Septoria tritici) Septoriosi Foglie

Phaeosphaeria nodorum (Stago-nospora nodorum) Stagonosporiosi Guaine, culmo, fo-

glie, spiga

Ustilago tritici Carbone volante Spiga

Tilletia caries Carie totale Cariossidi

Fusarium spp. (F. graminearum, F. avenaceum, F. culmorum, ecc.), Microdochium nivale

Fusariosi della spiga o scabbia. Spiga

Fusarium spp. (F. graminearum, F. avenaceum, F. culmorum, ecc.), Microdochium nivale, Rhi-zoctonia cerealis, Tapesia yal-lundae, Gaeumannomyces gra-minis

Mal del piede Radici, colletto, cul-mo

Alternaria spp., Cladosporium spp., Epicoccum spp. Nerume o volpatura Guaine, culmo, fo-

glie, spiga

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Per il contenimento dell’oidio, il metodo più efficace, sicuro e non inquinante è il ricorso a cultivar dotate di resistenza poligenica (orizzontale), a miscugli di varietà con differenti livelli di resistenza o a varietà multigeniche o multili-nee. In ogni caso, per prevenire la comparsa e la diffusione di nuovi patotipi è da evitare la coltivazione su vasta scala sia di varietà molto suscettibili che di varietà dotate di elevata resistenza monogenica. Inoltre, si può tentare di ridurre l’inoculo primario eliminando gli ospiti alternanti o le “piante ponte”, sebbene il beneficio di queste pratiche è spesso vanificato dall’abbondanza e dalla elevata mobilità dei conidi. Quando necessario, bisogna intervenire con trattamenti fungicidi al fine di mantenere sani ed efficienti le due foglie apicali, l’ultimo internodo e la spiga: i principali organi preposti alla sintesi delle sostanze di riserva.

5.3 RuggineFra le malattie fogliari, le ”ruggini” sono quelle più temibili e dannose, sin dai tempi biblici, per le gravi epidemie che possono provocare. Come l’oidio, anche le ruggini sono causate da patogeni obbligati, con numerose forme speciali e dotati di una elevata specializzazione fisiologica, (razze o patotipi). La malattia appare prevalentemente sulle foglie - ma talvolta anche sui culmi e le spighe - con pustole polverulente (sori) di forma e colore variabile (dal giallo al rosso scuro), erompenti dall’epidermide e contenenti numerosi propaguli polverulen-ti (uredoconidi). Quando le condizioni diventano difficili, il fungo forma delle spore durevoli scure (teleutospore), racchiuse in teleutosori, capaci di estivare o svernare. I patogeni responsabili di questa malattia, sono dei Ba-sidiomiceti appartenenti al genee Puccinia. Alquanto co-mune è la P. hordei su orzo, la P. coronata su avena e la P. sorghi su mais. Tuttavia, per l’importanza che riveste il frumento, di seguito vengono brevemente descritte le ruggini rinvenibili su questa coltura.Fra le tre ruggini che interessano il frumento, la rug-gine gialla o striata (Figura 2), causata da Puccina striiformis f.sp. tritici è quella che compare più preco-cemente ed è più ricorrente nelle regioni centro-setten-trionali, dove il clima è relativamente fresco. Sebbene le epidemie di ruggine gialla avvengono saltuariamen-te, infettando le spighe ed in particolare le glume, può causare lo striminzimento delle cariossidi o la perdita dell’intera produzione. Nelle aree cerealicole del nord,

Figura 2 – Pustole di ruggine gialla

su foglie di frumento

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dove il tempo intercorrente tra raccolta e semina è breve, il fungo può passa-re facilmente da un ciclo colturale al successivo. Le prime infezioni posso-no derivare anche da uredoconidi trasportati a lunga distanza dalle correnti aeree. In Italia, quasi tutte le cultivar di frumento tenero sono più o meno suscettibili alla malattia mentre i frumenti duri sembrano più resistenti anche perché, essendo coltivati prevalentemente nelle regioni meridionali, sfuggo-no alla malattia.

La ruggine bruna o fogliare (Figu-ra 3), causata da Puccina triticina, è la più comune malattia del frumento perché presente ogni anno in tutte le aree cerealicole italiane. L’optimum termico per lo sviluppo del fungo è di 20°C. Esso, oltre al genere Triticum, può attaccare anche altre gramina-cee spontanee dei generi Aegilops e Agropyron e può perpetuarsi sugli ospiti secondari (Thalictrum flavum L. e Anchusa sp.) sui quali completa il ciclo biologico ed evolve la sua pato-genicità. Le prime infezioni possono

derivare dagli ecidioconidi prodotti sugli ospiti alternanti, da uredoconidi giunti da brevi o lunghe distanze, oppure da graminacee spontanee che spesso fungono da “piante ponte” tra due cicli colturali successivi. Diverse cultivar italiane di frumento sono resistenti a P. triticina ed alcune, come ‘Creso’, sembrano dotate di “resistenza du-revole”. Il fungo può estivare sui ricacci, sulle piante nate dopo le prime piogge estive, su paglie e stoppie infette o su piante marginali abbandonate. Nelle aree cerealicole meridionali, le infezioni interessano maggiormente la par-te basale delle piante mentre al nord, la parte alta delle stesse. Oggi, soprattutto nell’Italia meridionale, la sua in-cidenza è diminuita a causa del cambiamento climatico e, in particolare, per la diminuita piovosità. La ruggine nera o dello stelo (Figura 4), causata da Puccina graminis f. sp. tritici oltre al genere Triticum, può attaccare piante appartenenti ai generi Hordeum, Oryza, Avena e diverse altre piante spontanee. Il fungo attacca tutte le parti verdi della pianta, ma, avendo un optimum termico di 22-24°C, interessa maggiormente le cultivar a

Figura 3 – Foglie con attacchi di ruggine bruna

Figura 4 – Culmi con infezione di ruggine nera

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ciclo lungo. Esso, oltre a sottrarre nutrienti alla pianta e compromettere la resi-stenza meccanica dei fusti, causa perdita di grandi quantità d’acqua, attraverso le ampie lacerazioni. I criteri generali di contenimento di questi patogeni, sono simili a quelli preceden-temente esposti per l’oidio. Infatti, essendoci notevoli differenze di suscettibilità varietale, il metodo più efficace e sicuro è il ricorso a cultivar dotate di resistenza poligenica (orizzontale), a miscugli di varietà con differenti livelli di resistenza o a varietà multigeniche o multilinee. Comunque, per prevenire la comparsa e la diffusione di nuovi patotipi, è da evitare la coltivazione su vasta scala sia di varietà molto suscettibili che di varietà dotate di elevata resistenza monogenica. Inoltre, si può tentare di ridurre l’inoculo primario eliminando gli ospiti alternanti o le “piante ponte”, sebbene il beneficio di queste pratiche è spesso vanificato dall’abbondanza e dalla elevata mobilità dei conidi. Nelle annate e località più umide, le ruggini possono essere parzialmente contenute da alcuni iperparassiti naturali come Sphaerellopsis (Darluca) filum. Quando necessario, bisogna in-tervenire con trattamenti fungicidi al fine di mantenere sani ed efficienti le due foglie apicali, l’ultimo internodo e la spiga: i principali organi preposti alla sintesi delle sostanze di riserva.

5.4 SeptoriosiCausata da Mycosphaerella graminicola (Anamor-fo = Septoria tritici). Questo patogeno si sviluppa soprattutto su frumento tenero e frumento duro ed altre specie coltivate o spontanee del genere Tri-ticum. Esso attacca prevalentemente le foglie, in tutte le fasi vegetative della coltura, ma soprattutto quelle basali perché più vicine al suolo.Sulle foglie il fungo forma macchie tendenzial-mente allungate con contorno non ben definito, all’inizio color grigio-verdognolo chiaro, che poi in breve tempo necrotizzano. Se le infezioni sono numerose, esse confluiscono e causano un dis-seccamento generale dell’apparato fogliare. Sui tessuti infetti, appaiono subito numerosi piccoli corpi fruttiferi (picnidi) globosi, di colore bruno-ne-rastro, alquanto superficiali (Figura 5). In condi-zioni di elevata umidità, da essi fuoriescono i conidi a formare un cirro o una gocciolina gelatinosa color bianco o bruno lucido. Insieme ai picnidi, e di forma ad essi molto simile, possono trovarsi gli pseudoteci contenenti numerosi aschi clavati con le ascospore.

Figura 5 – Septoriosi con picnidi del fungo

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La malattia può insediarsi sulle piante sin dall’autunno e poi esplodere in forma epidemica in primavera. Le infezioni, possono avere origine dal micelio o da conidi rimasti o prodotti dalle stoppie e residui della vegetazione precedente oppure dalle ascospore o dai conidi trasportati dal vento e dalla pioggia da gra-minacee spontanee o da campi viciniM. graminicola è più aggressiva nel periodo più fresco del ciclo vegetativo ed è favorita dalla suscettibilità varietale, da frequenti piogge, da varietà a taglia bassa e con abbondante fogliame. Inoltre, favoriscono la malattia le mancate rotazioni, concimazioni con eccesso di azoto, la presenza di residui colturali e la mancata o non uniforme bruciatura delle stoppie.In Italia la septoriosi riveste una notevole importanza nelle aree cerealicole a cli-ma fresco e alquanto umide. Essa ha assunto notevole importanza dal momento in cui sono state introdotte varietà a taglia bassa, con abbondante apparato fogliare e resistenti alle ruggini e all’oidio. La lotta, più che sulla resistenza genetica, è basata su criteri preventivi e accor-gimenti di tipo agronomico come rotazioni, bruciatura completa e uniforme delle stoppie o interramento profondo delle stesse, riduzione dell’intensità di semina, spaziatura delle file e praticando concimazioni bilanciate. Quando necessario ed opportuno, si può ricorrere alla lotta chimica con imidazoli o triazoli.

5.5 Stagonosporiosi Questa malattia è causata da Phaeosphaeria nodorum (anamorfo = Stagonospora no-dorum), sino ad un decennio addietro annoverata come Sep-toria nodorum.Detto patogeno si sviluppa pre-valentemente sulle guaine, le foglie, il culmo e la spiga (glu-me, glumetta e rachide) (Figura 6) ma spesso le infezioni posso-no interessare anche le carios-sidi. Esso attacca soprattutto il frumento tenero e il frumento duro ed altre specie coltivate o

spontanee del genere Triticum.A seguito dei suoi attacchi, il fungo forma macchie necrotiche tendenzialmen-te lentiformi con un bordo giallo-verdastro a contorno ben definito. Sui tessuti infetti, appaiono alcuni piccoli corpi fruttiferi (picnidi) di color bruno, alquanto

Figura 6 – Stagonospora su frumento duro

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infossati. Da essi, in condizioni di elevata umidità, fuoriescono numerosi conidi cilindrici, 1-3 settati, a formare un cirro o una piccola gocciolina color roseo. La massima espressione della malattia si ha in spigagione-fioritura e quando la temperatura raggiunge i 22-24°C. Se le infezioni sono numerose, esse conflui-scono e causano un disseccamento generale degli organi attaccati. Gli attacchi ai nodi possono portare alla distorsione o alla rottura dei culmi con danni diretti nei confronti della produzioneLe fonti primarie di inoculo del patogeno possono essere le cariossidi infette oppure i corpi fruttiferi presenti sui residui colturali che, conservandosi vitali per molti mesi o anni, permettono al fungo di estivare o svernare. Il fungo, oltre che sui residui colturali, può conservarsi anche su Graminacee spontanee ed essere diffuso dall’acqua e dal vento e talvolta anche da insetti e animali. La malattia è favorita dalla suscettibilità varietale, da frequenti piogge, una tem-peratura intorno ai 24°C e da varietà a taglia bassa e con abbondante fogliame. Inoltre favoriscono la malattia le mancate rotazioni, concimazioni con eccesso di azoto, la presenza di residui colturali e la mancata o non uniforme bruciatura delle stoppie.In Italia Phaeosphaeria nodorum è più importante nei climi caldi ed umidi, ma spesso causa danni anche in areali relativamente aridi come quelli meridionali. Come per la septoriosi, la lotta è basata prevalentemente su criteri preventivi e accorgimenti di tipo agronomico come rotazioni, bruciatura completa e unifor-me delle stoppie o interramento profondo delle stesse, riduzione dell’intensità di semina, spaziatura delle file, praticando concimazioni bilanciate e ricorrendo all’uso di semente sana od opportunamente conciata con idonei principi attivi. Qualora fosse necessario, si può ricorrere alla lotta chimica con imidazoli o tria-zoli.

5.6 Alternariosi Causata principalmente da Alternaria triticina ma anche altre specie del genere Alternaria, per lo più saprofite. Il fungo attacca il frumento ed altre specie coltiva-te o spontanee del genere Triticum. Questa malattia è molto spesso confusa con la septoriosi o la stagonosporiosi. Talvolta è associata ad una batteriosi, causata da Pseudomonas syringae pv. atrofaciens, avente sintomatologia simile. La ma-lattia ha assunto una certa importanza dopo il 1960 a seguito della costituzione di cultivar a taglia bassa e con abbondante fogliame. Sono colpite soprattutto le foglie, durante tutto il ciclo vegetativo della pianta, e la spiga, dalla fioritura in poi. Il fungo, per lo più saprofita, causa piccole macchie ovali dapprima clorotiche, con alone giallastro, e poi necrotiche che confluendo portano alla morte totale o parziale delle foglie. I tessuti attaccati, specie in con-dizioni di elevata umidità, diventano neri per la comparsa delle abbondanti frut-

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tificazioni conidiche del fungo. Sulla spiga causa necrosi ed annerimenti parziali o totali delle spighette e, sulle spighe mature, il caratteristico “nerume”. Le prime infezioni cominciano dalle foglie basali, per poi gradualmente risalire sino alla spiga. La malattia ha un optimum di temperatura intorno a 20°C ed è più frequente nelle annate piovose o molto umide e nei campi a ringrano ove ab-bondano i residui colturali e si sono praticate laute concimazioni azotate. Il fungo si insedia maggiormente sulle foglie senescenti o che hanno subito uno stress idrico o da freddo; le spighe invece, sono più suscettibili dalla fioritura in poi e, in particolare, in prossimità della maturazione. Il patogeno, può estivare o con-servarsi sia sui residui colturali che su Graminacee spontanee ed essere diffuso oltre che dai semi infetti, anche dall’acqua, dal vento e talvolta pure da insetti. Anche in questo caso, la lotta, più che sulla resistenza genetica, è basata su cri-teri preventivi e accorgimenti di tipo agronomico come rotazioni, bruciatura com-pleta e uniforme delle stoppie o interramento profondo delle stesse e praticando concimazioni bilanciate. Quando è necessario, si può ricorrere anche alla lotta chimica ma soprattutto all’uso di semente sana od opportunamente conciata con idonei principi attivi.

5.7 Mal del piedeGli agenti causali includono Rhizoctonia cerealis, Tapesia yallundae e Gaeumannomyces graminis, ma quelli più frequenti sono varie specie di Fusa-rium (F. graminearum, F. culmorum, F. avenaceum, ed altri) e Microdochium (Fusarium) nivale. Tali pa-togeni sopravvivono nel terreno ma possono esse-re diffusi anche da semi infetti o contaminati. Essi si avvantaggiano di stress idrici, subiti dalla pianta durante il suo ciclo vegetativo. Singolarmente o in associazione possono causare marciume dei semi e moria dei germinelli, moria delle giovani plantule, imbrunimenti delle guaine (Figura 7), dei culmi e dei nodi basali, marciume del colletto e delle radi-ci e crescita stentata. Le infezioni tardive possono causare la morte dei culmi di accestimento e il ca-ratteristico fenomeno delle spighe bianche con conseguente striminzimento o mancata formazione delle cariossidi. Inoltre, se i propaguli di Fusarium spp. o M. nivale, veicolati dal vento, schizzi d’acqua o insetti, raggiungono le spighe possono causare la fusariosi della spiga.Un mezzo efficace e poco costoso per il contenimento del mal del piede è la concia con appropriati principi attivi. Inoltre, si può contenere, almeno in parte,

Figura 7 – Mal del piede

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con adeguate rotazioni colturali, concimazioni bilanciate, regolazione dell’umi-dità, scelta di cultivar idonee all’ambiente di coltivazione, uso di semente sana, giusta profondità, densità ed epoca di semina, allontanamento o bruciatura dei residui colturali ed eliminazione delle infestanti. 5.8 Fusariosi della spigaE’ una malattia dovuta al concorso di uno o più specie di Fusarium (oltre 15), anche se in Italia quelle prevalenti sono F. graminearum, F. culmorum, F. avena-ceum, F. poae e Microdochium (Fusarium) nivale. La fase di maggiore suscetti-bilità è la fioritura sebbene la spiga possa essere attaccata dalla fine della spiga-tura sino allo stadio di maturazione latteo-cerosa. A seguito dell’infezione, si ha il disseccamento di una o più spighette (Figura 8) sulle quali, in periodi umidi o piovosi, si può riscontrare la presenza di un feltro micelico rosa. Quando il fungo giunge ad invadere il rachide, parte o tutta la spiga può disseccare, compromettendo la formazione delle carios-sidi. Anche le cariossidi apparentemente sane possono essere infette o contaminate e costituire uno dei principali mezzi di diffusione dei patogeni. La fusariosi della spiga, oltre ad essere un problema importante per le produzioni sementiere, lo è anche per quelle destinate al consumo zootecnico o umano a causa della contaminazione da mi-cotossine prodotte da parte di alcuni dei funghi coinvolti.Questa malattia può essere contenuta coltivando i cereali in ambienti non molto umidi e ventilati, con l’impiego di cultivar poco suscettibili o che sfuggono agli attacchi e, comunque, adottando tutti gli accorgimenti che riduco-no gli attacchi di mal del piede e l’inoculo dei patogeni presente sui residui colturali. Nelle aree e/o nelle anna-te favorevoli allo sviluppo dei Fusarium spp., la malattia può essere ridotta con trattamenti eseguiti all’inizio della fioritura.

5.9 Carbone La malattia è causata da Ustilago hordei, nell’orzo, U. avenae, nell’avena, e Ustilago tritici nel frumento tenero e nel frumento duro ma anche su altre specie coltivate o spontanee del genere Triticum, Aegylops spp., Agropyron spp., Hay-naldia spp. ed Elymus spp. I patogeni causano la distruzione totale delle spighe i cui organi appaiono trasformati in una polverina nera (Figura 9) costituita dalle teleutospore o clamidospore del fungo. Queste, trasportate dal vento anche a lunghe distanze, arrivano sullo stimma, germinano ed infettano le spighe delle

Figura 8 – Fusariosi della spiga

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piante sane. Il micelio, penetra nell’ovario e si localizza nell’embrione, ove si mantiene vitale per lungo tempo, senza interferire con la formazione e la germinabilità della cariosside. Sono queste cariossidi infette che permettono la diffusione della malattia. La massima sensibilità degli ospiti alle infezioni di Ustilago, è al momento della fioritu-ra. In tale fase vegetativa, l’infezione è favorita da giorna-te ventose e con elevata umidità relativa. Tali condizioni favoriscono la diffusione e la germinazione delle teleuto-spore sulle spighe sane. Questa malattia, pur essendo molto pericolosa e distrutti-va, tuttavia non desta notevoli preoccupazioni in quanto il patogeno ha una sola generazione all’anno e può essere agevolmente ed efficacemente contenuto mediante una semplice concia delle cariossidi. Il carbone, oltre una cer-ta quantità, influenza notevolmente la qualità della produ-

zione sementiera. Tale malattia può essere facilmente controllata mediante l’impiego di seme sano, di varietà resistenti o effettuando la concia delle cariossidi con appropriati princi-pi attivi e, in casi particolari, trattando i semi con acqua calda.

5.10 Carie totale La malattia può essere causata da Tilletia caries (sin. T. tritici) o da Tilletia foetida (sin. T. laevis). Le due specie si differenziano per la morfologia delle teleutospore, retico-late nella prima e lisce nella seconda. Entrambi i patogeni determinano la “carie totale” del frumento ossia la trasfor-mazione delle cariossidi in sori oscuri, contenenti una pol-verina nera (teleutospore del fungo) con acuto odore di pesce fradicio (trimetillamina). Oltre al frumento, attacca altre specie coltivate o spontanee del genere Triticum ma può infettare anche piante del genere Secale, Triticale, Agropyron, Elymus. Le spighe attaccate presentano le reste divaricate e tutte le cariossidi, trasformate in sori scuri, spesso fuoriuscenti dalle glume in quanto leggermente più grandi delle cariossidi normali (Figura 10). La contaminazione delle cariossidi sane avviene dal momento della trebbiatura sino alla semina ad opera delle teleutospore (clamidospore) del fungo fuoriuscenti dalle cariossidi infette. Al momento della germinazione delle cariossidi, anche le teleutospore, presenti

Figura 9 – Spiga di fru-mento con carbone

Figura 10 – Spiga con cariossidi cariate

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sui semi o nel terreno, germinano e il micelio infetta le plantule prima della loro emergenza o al massimo sino allo stadio di prima foglia. Il micelio segue in modo sistemico l’accrescimento della pianta localizzandosi infine nell’ovario che viene così invaso e trasformato in un soro.Dopo l’infezione delle plantule, le condizioni ambientali non hanno alcuna in-fluenza sullo sviluppo del fungo all’interno della pianta. Anche questa è una malattia molto pericolosa e distruttiva ma praticamente non desta notevoli preoccupazioni in quanto i due patogeni hanno una sola ge-nerazione all’anno e possono essere agevolmente ed efficacemente contenuti mediante la semplice concia delle cariossidi. In caso di gravi contaminazioni ci possono essere problemi di carattere igienico-sanitario per le farine e derivati.

5.11 Elmintosporiosi o striatura bruna dell’orzoLa malattia, causata da Pyrenophora graminea, Ana-morfo = Drechslera graminea, compare su tutti gli or-gani epigei, con preferenza per le foglie, e può por-tare alla morte totale o parziale della pianta con gravi ripercussioni sulla resa quantitativa e qualitativa della granella. Oltre all’orzo, può attaccare il frumento ed al-tre specie di Graminacee. Detta malattia si presenta con striature longitudinali clorotiche lungo le nervature della foglia che successivamente diventano bruno ne-rastre e le foglie si presentano sfilacciate (Figura 11). Le piante ed i culmi di accestimento colonizzati dal pa-togeno, possono non passare alla fase di levata o risul-tare sterili. La spiga può non emergere o emergere solo parzialmente dalla guaina della foglia a bandiera e seccare precocemente oppure rimanere parzialmente sterile. I primi sintomi possono manifestarsi già in autunno-inverno ma è in primavera e nello stadio vegetativo antece-dente la spigagione che si ha la massima espressione della malattia. Sulle parti infette, si ha una abbondante produzione di conidi 3-6 settati e di colore marrone scuro. Detti conidi, trasportati dal vento, possono infettare i nuovi semi in via di formazione, sino alla maturazione cerosa. Su detti semi infetti, il fungo si conserva come micelio quiescente. Esso si riattiva al momento del-la germinazione del seme e attraverso la coleoriza, penetra nelle redici e nei vasi xilematici e si diffonde nella pianta. La malattia è favorita da seme infetto e non conciato, da semine ritardate e temperature relativamente basse, che fanno ritardare l’emergenza, e da primavere fresche e ventilate tra l’antesi e la maturazione lattea. P. graminea si perpetua sul seme ma si conserva anche sui residui colturali e su Graminacee spontanee.

Figura 11 – Elmintosporio-si dell’orzo

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In Italia sembrano esserci poche cultivar resistenti alla malattia, pertanto la lotta dovrebbe basarsi soprattutto su criteri preventivi e accorgimenti di tipo agro-nomico come rotazioni, bruciatura completa e uniforme delle stoppie o interra-mento profondo delle stesse, non seminare in ritardo e praticare concimazioni bilanciate. E’ anche importante l’impiego di semente sana od opportunamente conciata con idonei principi attivi.

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6- RACCOLTA, STOCCAGGIO E DESTINAZIONE DEL PRODOTTO

Luigi TedoneDipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di Agraria

Università degli Studi di Bari

6.1 RaccoltaLa raccolta del frumento viene eseguita allorché la vegetazione è secca e le carios-sidi hanno raggiunto la maturazione piena con un contenuto in umidità del 13-14%. A livello di contrattazione commerciale il valore di riferimento è del 12,5%.La trebbiatura inizia verso la fine di maggio nelle zone più calde del sud e pro-segue fino a tutto giugno-inizio di luglio nel Centro-Nord. La raccolta è ormai completamente meccanizzata con l’impiego di mietitrebbie, che provvedono in un unico passaggio al taglio della pianta e la separazione della granella dalla pa-glia (Figura 1). Quest’ultima può essere raccolta, pressata in balle o in rotoballe, oppure interrata (previo intervento con una concimazione azotata per favorire l’attività microbica di decomposizione), o in alternativa bruciata, rispettando in tal caso le modalità previste nell’ambito della condizionalità.

Figura 1 – Operazione di raccolta della granella (a sinistra) e della paglia (sinistra)

Le rese sono molto variabili in relazione agli ambienti pedoclimatici ed alla spe-cie. In generale le produzioni sono più elevate nel frumento tenero rispetto a quello duro, risultano inoltre maggiori nell’Europa centrale ed in Italia nella pia-nura Padana e tendono a ridursi procedendo verso le regioni meridionali ed insulari dell’area mediterranea. La resa media normale è stimata intorno a 4,8 tha-1 per il frumento tenero, 2,8 tha-1 per il duro.

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6.2 Consegna e stoccaggio La fase successiva alla raccolta è rappresentata dallo stoccaggio, fase fonda-mentale per il successivo utilizzo del prodotto. Il frumento alimenta infatti una filiera agroindustriale, quella molitoria e pastaria, ben articolata e organizzata (Figura 2).

Figura2 – Schema di flusso della filiera cerealicola

Lo stoccaggio della granella dei cereali può essere realizzato direttamente in azienda, pratica che tende attualmente a scomparire per una serie di proble-matiche legate alle normative a cui è sottoposto, tra cui l’obbligo del sistema HACCP (Hazard Analisis Crytical Control Points) che rendono più complicata tale pratica. In genere si provvede alla consegna presso centri di stoccaggio, privati o cooperative, con modalità contrattuali differenti. Durante la fase di ricevimento del grano, momento in cui viene effettuato il con-trollo del peso e l’ispezione della partita, si effettua il campionamento, fase molto importante perché questo deve rappresentare l’intera massa (lotto). Per il campionamento ci si avvale in genere di sonde a due tubi cilindrici di varia forma e dimensione (corte, lunghe, a spirale, per sacchi, etc) ad azione manuale o meccani-ca. Il campione finale viene infine sotto-posto al controllo qualità della materia Figura 3 – Fase di campionamento del grano

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prima, i cui risultati permettono la valutazione della partita di frumento. La determina-zione delle caratteristiche qualitative di una partita di frumento sono molto importanti in quanto inseriti in preventivi contratti tra stoccatori e molini, oppure sono definiti sulla base dei valori di riferimento stabiliti dalle borse merci (contratti tipo). In Italia si fa riferimento a contratti tipo nazionali, facendo riferimento alla Borsa merci di Bologna (contratti tipo 101 per il grano tenero nazionale e 102 per il duro). Il man-cato rispetto di alcuni parametri di controllo può determinare il deprezzamento della partita o addirittura la mancata accettazione della partita.I principali parametri sottoposti a monitoraggio analitico in questa fase sono:-scarti e impurità: permette di valutare la presenza di semi estranei, di inerti, di semi rotti, cariossidi avariate, cariossidi di altri cereali, cariossidi germinate etc. In genere viene determinata attraverso una selezione visiva e viene espressa come % in peso.-semi spezzati e striminziti: permette di valutare la presenza di semi che han-no subito difetti di riempimento. Sono i semi che passano attraverso vagli di 1,9-2,0 mm e si esprime come % in peso.-Bianconatura (frumento duro): E’ un difetto dei grani duri dovuto a carenza di azoto che determina una frattura farinosa anziché vitrea. Il contenuto proteico, a seguito di tale difetto, si abbassa e le cariossidi presentano, in modo parziale o totale, una zona endospermatica a frattura farinosa anziché vitrea e traslu-cida. Ha grande importanza perché influenza negativamente le caratteristiche organolettiche della semola e della pasta. E’ un parametro considerato a livello commerciale. -Peso ettolitrico: E’ un parametro molto utilizzato a livello commerciale. Si ef-fettua utilizzando la bilancia di Schopper ed esprime il peso per unità di volume di granella (kg/hl). E’ molto importante in campo molitorio perché un maggior peso ettolitrico è indice di maggior resa in macinazione. Un peso ettolitrico alto è indice di una granella dalle ottime caratteristiche di riempimento, da cui è pre-vedibile una resa molitoria elevata. Un peso ettolitrico basso è indice di granella striminzita, da cui è probabile una bassa resa molitoria, per la maggior incidenza delle parti corticali.-Umidità: definisce la perdita di peso che subisce un campione sottoposto a temperatura di 105°C. Per il frumento si effettua su campione macinato e che passa attraverso maglie di 0,5 mm. E’ un parametro commerciale molto impor-tante.-Contenuto proteico: Il contenuto proteico influenza la qualità degli sfarinati delle semole determinando l’attitudine alla pastificazione. Il contenuto proteico viene determinato in modo tradizionale attraverso la me-todica Kjeldhal. In alternativa sono utilizzate la metodica Dumas e quella NIR. Negli ultimi anni la spettroscopia NIR (Near Infra Red) si sta dimostrando un

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metodo valido per la caratterizzazione compositiva del frumento, utile sia in fase di accettazione che per il monitoraggio on-line di processi, permettendo di ana-lizzare i campioni in modo non distruttivo e in tempi molto contenuti. Altri indici possono fornire ulteriori informazioni, soprattutto presso l’industria molitoria, e sono rappresentati dall’ indice di caduta di Hagberg o Falling Num-ber, la slavatura la pregerminazione, la volpatura

6.3 Parassiti animali e controllo delle infestazioniLa granella, prima di essere stoccata, deve essere sottoposta a pre-pulitura me-diante aspirazione e vagliatura. In genere lo stoccaggio può essere eseguito in sili orizzontali o verticali. Tali strutture di norma sono separate, per consentire la differenziazione delle partite secondo parametri qualitativi, per una miglior valorizzazione del prodotto. Particolare attenzione viene rivolta inoltre alla pro-tezione dalle infestazioni, poiché forte è il rischio rappresentato dagli attacchi da parte di diverse specie di insetti, specializzati nel danneggiare la granella, di cui si cibano. Questi piccoli animali possono provocare: a) danni diretti, dovuta alla perdita in peso della derrata, perdita della germinabilità dei semi, b) danni indiretti, quali inquinamento, riscaldamento della massa della derrata, con conseguante com-parsa di muffe e micotossine, etc A seguito di tali attacchi la partita subisce un deprezzamento commerciale, con perdita notevole in termini economici.Le principali specie di insetti sono fondamentalmente coleotteri e lepidotteri, di seguito elencate:

 

al giorno

C E R E A L Imin max min max

G R A NO DUR O F I NO

(peso K g 80 ed oltre per hl. ;

umidità 11-12%,spezzati max 6% ;

farinosi 1%, bianconati fino al 20% ;

nulli 0,50%, volpati 4% ; tonn 156 159 154 157

G R A NO DUR O B UONO M E R C A NT I L E(peso K g. 78-79 per hl. ; umidità 11-12%;11-12% ; spezzati max 6%;

farinosi 1-2%; bianconati dal 21% al 35%;

nulli 0,50% ; volpati 6% ; tonn 153 156 151 154

G R A NO DUR O M E R C A NT I L E(peso K g. 76-77 per hl.; umidita'11-12% ; spezzati max 6%;farinosi 1-2% ; bianconati 36%ed oltre ; nulli 0,50% ; volpati 6% ; tonn 150 153 148 151

14-20/05/ 2006 24-05-2006

Settimana:

Figura 3 – Esempio di listino della Borsa merci di Foggia e Bologna e suddivisione merceologica orientativa dei frumenti

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Calandra o punteruolo del frumento (Sitophilus granarius e S. oryzae) E’ un insetto Curculionide di piccole dimensioni (circa 3-5 mm di lunghezza), di colore marrone, con tonalità variabili chiare o scure. Presenta un lungo rostro ed antenne rossastre genicolate. Le ali posteriori sono assenti, per cui è incapace di volare; le zampe sono bruno-rossastre.Gli adulti vivono a lungo (12-14 mesi) e depongono le uova entro fori compiuti con il rostro delle cariossidi. Il danno si manifesta sulle cariossidi ed è determinato dagli adulti, ma soprattutto ma soprattutto dalle larve.

Nei nostri ambienti compiono diverse generazioni all’anno, con presenza con-temporanea di individui in diversi stadi di sviluppo. Struggigrano (tenebroides mauritanicus) Appartenente alla famiglia dei coleotteri, l’adulto di colore nero lucente sul dorso, mentre l’addome, le antenne e le zampe sono marrone-rossiccio; corpo molto appiattito con una evi-dente strozzatura tra il torace e l’addome; lunghezza 8-9 mm. Larve biancastre, caratterizzate da testa, parte superiore del torace e due appendici addominali, molto scure; la larva é lun-ga circa 15 mm. La deposizione delle uova e lo sviluppo delle larve avviene in mezzo alle cariossidi dei cereali; le larve per raggiungere il cibo possono forare cartone, tela, legno ed altro materiale da imballaggio. Il ciclo evolutivo in condizioni normali dura poco meno di un anno. Attacca i cereali e loro derivati (caratteristica la completa asportazione dell’embrione nelle cariossidi)

Vera tignola del grano (Sitotroga cerealella) Lepidottero con adulto avente ali anteriori di colo-re paglierino con qualche piccola macchia marrone scuro appena distinguibile e quelle posteriori di co-lore grigio argenteo; le ali hanno una lunga frangia e aperte misurano circa 15mm.; larva matura color paglierino, munita di 6 corte zampe e di 4-5 paia di false zampe (pseudopodi). Le uova vengono depo-ste (100-200) fuori dei chicchi; le larve neonate pra-ticano un piccolo foro e penetrano nell’interno del-le cariossidi; il loro sviluppo si accompagna con la quasi completa distruzione dell’interno (endocarpo) del chicco. La farfallina abbandona la cariosside pas-

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sando attraverso l’opercolo praticato in antecedenza nell’involucro esterno (pericarpo) dalla larva matura; tale opercolo quando é visibile indica quindi la sottostante presenza di una larva matura o di una crisalide di vera tignola. In Italia le generazioni annuali possono essere da 1 a 5.Altri insetti attaccano il frumento in stoccaggio: la falsa tignola del frumento (Tinea granella), la tignola grigia delle provviste alimentari (Ephestia kuh-niella), la tignola fasciata del grano (Plodia interpunctella), il punteruolo del riso (Calandra oryzae), il Trogoderma dei cereali (Trogoderma granarium), il bostrico del grano (Rhizoperta dominica)

6.4 Controllo delle infestazioniParte preliminare ed essenziale per la difesa antiparassitaria è rappresentata dalla prevenzione. In tal caso diventa fondamentale assicurarsi che:- L'infestazione non venga introdotta in stabilimento;- La riproduzione dei parassiti non si verifichi nei materiali grezzi, nelle attrez-zature e nelle strutture dello stabilimento;Grande importanza va data alla pulizia e disinfezione degli ambienti, alla gestione delle aperture, in particolare delle porte, e al controllo dello stato di sanità della granella che deve essere introdotta. Il posizionamento di trap-pole collanti in prossimità delle porte ha il duplice scopo di consentire un monitoraggio sulle specie presenti e sul livello di infestazione. In presenza di infestazioni i metodi di intervento sono:1. Ambiente: mantenere condizioni ambientali tali da renderle il meno favore-vole possibile agli insetti infestanti (evitare condizioni che consentano infiltra-zione dell’acqua, eliminare i residui di derrate precedentemente conservate). E’ importante che, prima della nuova stagione cerealicola, vengano puliti opportu-namente tutti gli impianti (fosse di carico, coclee, nastri trasportatori, sistemi di aereazione)2. Interventi meccanici: chiusura e sigillatura di crepe, fessure, passaggi da cui i coleotteri possono entrare, rasature delle pareti per rendere più facile la pulizia.Per i lepidotteri il posizionamento di elettrolampade (UVA) a cattura per inset-ti volanti (con cartoncini collanti) all’interno di locali a rischio di infestazione, rimane un ottimo sistema perché consente un numero di catture elevato senza l’utilizzo di composti chimici pericolosi; inoltre le elettrolampade e le trappole adesive possono essere utilizzate efficacemente come sistema di monitoraggio al fine di segnalare la presenza, la tipologia e il grado di infe-stazione di insetti volanti e/o striscianti.3. Interventi chimici: L’uso di insetticidi può essere effettuato o attraverso l’utilizzo di insetticidi di contatto.

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La disinfestazione con interventi chimici può essere effettuata in diversi modi: impiego di insetticidi di contatto e la fumigazione con gas tossici. Esistono anche tecniche alternative, alcune già disponibili, come le polveri inerti, le atmosfere modificate o l’impiego delle temperature estreme; altre sono an-cora in fase sperimentale, come le radiazioni ionizzanti e le microonde, che stentano a decollare a causa degli elevati costi.Insetticidi di contatto: vengono impiegati durante l’introduzione della gra-nella, in modo da rendere uniforme il contatto con la massa. Con tali tratta-menti occorre poi sempre fare molta attenzione al problema dei residui, con-siderando i limiti di residuo sempre più stringenti. I principi attivi più noti sono l’Azadiractina A, il Clorpirifos Metile, la Deltametrina, il Diclorvos, le piretrine, il Pirimifos metile. Grande attenzione va posta nel controllo delle registrazioni dei principi attivi, considerando che queste vengono riviste anno per anno.Fumigazioni : vengono effettuate applicando dei gas tossici ad alta volatilità, che esplica la propria attività biocida in forma volatile, distruggendo qualsiasi forma volatile presente.Fondamentalmente, con norme molto stringenti, i gas tossici impiegabili nelle derrate sono il bromuro di metile, il cui utilizzo è consentito fino al 2010, e la fosfina o idrogeno fosforato. Il loro utilizzo è possibile solo attraverso perso-nale autorizzato.Nuove tecniche di interventoNegli ultimi si stanno diffondendo al fine di soddisfare requisiti di riduzione dell’impatto ambientale, limitazione dei residui chimici sui prodotti destinati all’alimentazione. Si ricordano:- fosfina in combinazione con anidride carbonica- atmosfere controllate- polveri inerti (polveri silicee a base di farina fossile di Diatomee (alghe unicellulari dall’esoscheletro siliceo) o di zeoliti (minerali silicei di origine vul-canica)- temperature estreme. Sotto i 13°C o sopra i 35 °C normalmente lo svi-luppo degli insetti si arresta. A temperature più estreme la maggior parte di essi cessa ogni attività molto rapidamente e la morte sopraggiunge in pochi minuti a -20 °C o a +60 °C.- lotta microbiologica. Per ora questa tecnica non ha dato ancora risultati concreti, tranne che per l’impiego di un virus che attacca la Plodia interpun-ctella (la tignola fasciata). Tuttavia il limite di questo virus consiste nella sua estrema specificità, per cui non solo non agisce sui coleotteri che attaccano le derrate, ma neppure sugli altri lepidotteri.

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6.5 Utilizzazione e aspetti qualitativiIl frumento presenta aspetti qualitativi, composizionali e reologici, differenti, influen-zati dalla varietà, dall’areale di coltivazione, dalla tecnica colturale adottata e dall’an-damento climatico. In funzione delle caratteristiche qualitative, una partita di grano può essere adatta ad una destinazione d’uso piuttosto che ad un’altra. Il consegui-mento di determinati parametri qualitativi è anche condizionato dall’insieme delle pratiche agronomiche applicate, dall’utilizzo di varietà dalle buone caratteristiche qualitative, confidando infine nel buon andamento meteorologico.Per quanto riguarda la farina di frumento tenero, i parametri da tenere in partico-lare considerazione sono, oltre il già citato tenore proteico, gli indici ottenuti al-l’alveografo di Chopin, che fornisco informazioni sulla “forza” della farina, quindi il tipo di panificazione idonea. Un altro indice è quella del farinografo di Braben-der, che fornisce indicazioni invece sulla stabilità dell’impasto nel tempo.

Tabella 4 – Classificazione del frumento tenero in base ai principali carat-teri qualitativi

Classetecnologica

Tipodi utilizzazione

Tenore proteico(N x 5,7) % s.s.

Indici alveografici

Indice farino-grafico

(CD) min

Indicedi caduta(FN) sec

W P/L

Frumento di forza

Merendine semisfoglieBrioches PanettoniFarine da taglio

>14,5% >300 <1,0 >15 >300

Frumento panificabile superiore

Pane tipo michettaPanini soffiatiCrackersPasticceria artigianale

>13,5 >220 0,4-0,6 >10 >250

Frumento panificabi-le comune

Pane comuneFette biscottatePan carrè

>11,5 160-220

0,4-0,6 >5 >250

Frumento biscottiero

Biscotti, prodotti non lievitati o a breve lievitazione

< 10,5 <140 0,2-0,5 >220

* L’indice farinografico non è importante per i biscotti, per i quali non è necessaria una elevata lievitazione

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Per quanto riguarda la semola di frumento duro, i parametri tenuti in considera-zione sono il contenuto proteico e il contenuto e qualità del glutine, che fornisce indicazioni sulle caratteristiche di tenuta in cottura della pasta ottenibile. Altro parametro molto considerato è l’indice di giallo, che misura l’intensità di giallo della semola e della pasta ottenibile. Tabella 5 – Classificazione del frumento duro in base ai principali caratteri qualitativi

Classificazione tecnologica e

tipo di utilizzazione del frumento duro

Tenore proteico(N x 5,7) % s.s.

Qualità del glutine(giudizio

complessivo)

Indice di giallo

(b Minolta)

Frumenti duri ad alto valore di pa-stificazione

> 14,0 Ottimo > 24

Frumenti duri a buon valore di pa-stificazione

> 13,0 Da medio a sufficiente >21

Frumenti duri a basso valore di pastificazione

< 12,0 sufficente <21

Frumenti duri per paste all’uovo

< 14,5 * > 24

Il controllo della qualità nella filiera cerealicola è diventato un procedimento mol-to rigoroso nella filiera produttiva dell’industria alimentare, le cui esigenze sono determinate non solo dalla politica di innovazione tecnologica in un settore molto competitivo nell’offerta dei prodotti, sempre più confacenti alla domanda di mer-cato, ma anche nel rispetto delle norme di sicurezza nell’igiene degli alimenti e nel mantenimento dei requisiti salutistici.

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7- LE COLTURE FORAGGERE IN PUGLIA: diffusione e caratteristiche agronomiche

delle specie coltivateEugenio Cazzato

Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di AgrariaUniversità degli Studi di Bari

7.1 Importanza e diffusione delle foraggere in PugliaLa superficie destinata a colture foraggere in Puglia ammonta complessivamen-te a 292.265 ettari pari al 23,4% della Superficie Agricola Utilizzata (SAU). I pa-scoli (159.420 ettari) e gli erbai (126.825 ettari) rappresentano le categorie di fo-raggere più diffuse, mentre ridotta, 6.000 ha circa, risulta la coltivazione dei prati (Figura 1). Tra gli erbai, prevalgono quelli in miscuglio (costituiti cioè da due o

più specie) che rappresen-tano il 60% della superficie totale; il restante 40% della superficie è costituito da er-bai monofiti (colture costi-tuite da una sola specie) di cui il 29 % di graminacee e l’11% di leguminose (Figura 2). La maggiore diffusione dei miscugli rispetto alle col-ture in purezza, in Puglia, è

presumibilmente legata all’accentuata concentrazione della piovosità nel perio-do invernale ed all’elevata discontinuità dell’evento piovoso nei periodi autunnali e primaverili durante i quali è fondamentale un’adeguata piovosità per ottenere una buona crescita delle specie ed elevate rese in fieno. In queste condizioni l’erbaio polifita assicura una maggiore stabilità di produzione nel corso degli anni. Alla ridotta piovosità del periodo primaverile-estivo è anche legata la net-ta prevalenza degli erbai sui prati. Nel-l’ambito degli erbai, di gran lunga pre-valenti sono quelli autunno-primaverili (98%) su quelli estivi. Tra questi ultimi è presente solo il mais, raccolto allo stadio di maturazione latteo-cerosa da destina-re all’insilamento, che viene coltivato su

Figura 1 - Superficie complessiva (ha) di erbai, prati e pascoli in Puglia nel 2007 (Istat)

Figura 2 - Diffusione degli erbai monofiti di graminacee e leguminose e dei miscugli da

erbaio in Puglia (dati Istat, 2007)

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2.620 ettari, gran parte dei quali in provincia di Foggia (2.100 ha). L’esame della tabella 1, che riporta i dati più recenti della statistica ufficiale sulla diffusione degli erbai nelle diverse province pugliesi, permette di evidenziare che gli erbai sono più coltivati nelle province di Foggia (52.000 ha) e Bari (48.000 ha); segue la provincia di Taranto con 19.000 ha, mentre ridotta risulta la presenza di queste colture nelle province di Brindisi (circa 6.000 ha) e Lecce (circa 1.700 ha). Tra le varie specie autunno-primaverili la statistica evidenzia la coltivazione dell’orzo in erba (raccolto alla spigatura ed affienato) su 9.830 ha con una prevalenza nelle province di Foggia e Bari, mentre l’orzo ceroso (destinato all’insilamento) e il loietto sono coltivati prevalentemente nella provincia di Foggia. Prendendo in considerazione le altre due categorie foraggere, classificate con la denominazione “altri erbai monofiti” e “leguminose”, tali colture sono coltivate su una superficie totale regionale rispettivamente pari a circa 20.000 e 13.000 ha, e sono in gran parte diffuse nella provincia di Bari. Sotto la voce “altri erbai monofiti” le specie più utilizzate nel territorio sono l’avena ed il triticale; quest’ultimo in particolare risulta in continua espansione come coltura raccolta allo stadio di maturazione latteo-cero-sa da destinare all’insilamento. Nella categoria delle “leguminose” rientrano invece i trifogli annuali quali trifoglio incarnato, trifoglio alessandrino e trifoglio squarroso.

Tabella 1 - Superficie (ettari) coltivata ad erbai in Puglia nel 2007 (dati Istat)

Province Maisceroso

Orzoin erba

Orzoceroso Loietto

Altri erbai monofiti

Legumi-nose

Altri mi-scugli Totale

Foggia 2.100 5.000 3.000 1.000 600 - 40.300 52.000

Bari - 4.230 - - 11.500 10.500 21.800 48.030

Taranto 190 270 115 30 5.245 - 13.150 19.000

Brindisi 260 250 180 - 2.500 2.870 - 6.060

Lecce 70 80 120 120 380 220 745 1.735

Totale 2.620 9.830 3.415 1.150 20.225 13.590 75.995 126.825

I prati si differenziano dagli erbai perché hanno una durata superiore all’anno e si distinguono in prati avvicendati e prati permanenti, a seconda che entrino o meno in una rotazione. I prati permanenti possono essere naturali o artificiali (cioè costituiti dall’uomo) e sono generalmente polifiti, cioè costituiti , da mol-te specie. I prati avvicendati, al contrario, sono monofiti od oligofiti, per lo più costituiti da una graminacea ed una leguminosa. Queste colture, nei sistemi più intensivi, possono essere utilizzate solo per ottenere più tagli a fieno ed, in questo caso, si effettuano per lo più in coltura irrigua; nei sistemi estensivi, tipici

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dell’areale pugliese, in coltura asciutta, l’utilizzazione prevalente è quella del prato-pascolo. In Puglia, a motivo della scarsa piovosità del periodo primaverile-estivo, la superficie destinata al prato è molto modesta e le specie più utilizzate sono erba medica, lupinella e sulla, prevalentemente presenti nelle province di Foggia e Bari (Tabella 2); queste specie, tutte appartenenti alle leguminose, sono in possesso di un apparato radicale fittonante molto sviluppato,e pertanto sono in grado di utilizzare al meglio le scarse risorse idriche del sottosuolo.

Tabella 2 - Superficie (ettari) coltivata a prati in Puglia nel 2007 (dati Istat)

Province Erbamedica Lupinella Sulla

Altrespecie

Prati avv. polifiti

Prati per-manenti Totale

Foggia 1.800 200 100 - - - 2.100Bari 1.150 230 - - - 280 1.660Taranto 190 - - 110 - 850 1.150Brindisi 450 - - - 300 - 750

Lecce 200 - - 30 40 90 360

Totale 3.790 430 100 140 340 1.220 6.020

Le specie graminacee perenni sono molto poco utilizzate e risultano ge-neralmente presenti nella composi-zione di miscugli da prato-pascolo o da pascolo alle maggiori altitudini, dove la piovosità risulta più abbon-dante. In Puglia i pascoli risultano mag-giormente presenti nelle province di Foggia (92.000 ha), Bari (42.000 ha) e Taranto18.250 ha) mentre esigua risulta la loro presenza nelle province di Brindisi e Lecce (Figura 3). Di seguito vengono riportate le prin-cipali caratteristiche delle specie da erbaio autunno primaverile e delle specie leguminose da prato più diffuse in Puglia.

7.2 Cenni sulle principali specie da foraggioSpecie leguminose da erbaio autunno-primaverileLe principali specie che contribuiscono alla costituzione degli erbai autunno-pri-maverili sono graminacee come avena, orzo, segale, triticale e loiessa mentre

Figura 3 - Diffusione (ha) dei pascoli nelle diverse province della Puglia

(dati Istat, 2007)

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più ampio risulta il ventaglio di scelta tra le leguminose (trifoglio incarnato, trifo-glio alessandrino, trifoglio squarroso, trifoglio resupinato, veccia comune, veccia villosa, favino, favetta, trigonella o fieno greco); più recentemente sono state provate con successo alcune leguminose annuali prelevate dalla flora sponta-nea e sottoposte a miglioramento selettivo prima dell’inserimento nel mercato sementiero. Si ricordano tra queste alcune mediche annuali (Medicago polymor-pha L., M. scutellata (L.) Mill., M. truncatula Gaertner) e trifogli annuali (Trifolium michelianum Savi, T. vesiculosum Savi, T. resupinatum L.). Queste specie trova-no una crescente utilizzazione come colture di copertura (cover crops) di vigneti, oliveti, arboreti e per la difesa del suolo.Le leguminose forniscono un foraggio qualitativamente più pregiato perché più ricco di proteine (15-20%), sali minerali e vitamine rispetto a quello pro-dotto dalle graminacee. La loro capacità produttiva è però scarsa e, ad ec-cezione di alcune specie, quali trifoglio, fava e soia, non sono autoportanti e necessitano di un tutore. Pertanto, le leguminose vengono spesso utilizzate, in consociazione con le graminacee, per la costituzione di erbai misti. Ancor più delle graminacee, devono essere raccolte precocemente perché, dopo la fioritura, lo stelo lignifica con rapidità e molte foglie basali ingialliscono e cadono.

Trifoglio alessandrino (Trifolium alexandrinum L.)E’ una pianta, di aspetto e taglia simili all’erba Medica, con apparato radicale fittonante. Le foglioline sono sessili, ellittico-arrotondate; i fiori sono riuniti in un capolino di colore bianco. Il t. alessandrino si accresce molto bene nei climi a inverno mite. Predilige i terreni alluvio-nali, sciolti, siliceo-argillosi. Ha una spiccata capacità di ricaccio e, in condizioni irrigue, è in grado di fornire 2-3 tagli nel corso della stagio-ne vegetativa. Peso di 1000 semi: 3 g. Dose di seme consigliata per la coltura in purezza:30-40 kg/ha.

Trifoglio incarnato (Trifolium incarnatum L.) E’ una pianta annuale originaria del Mediterraneo, tomentosa, con 3 foglioli-ne sub-ovate e denticolate all’apice e infiorescenza spiciforme (un capolino

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allungato di colore rosso scarlatto). Si adatta ai terreni acidi e rifugge quelli ricchi di calcare attivo. Si adatta molto bene al pascolamento nel periodo novembre-marzo. A differenza del t. alessandrino, non ributta dopo il taglio effettuato alla fioritura ma, in com-penso, è molto più resistente al freddo. Peso 1000 semi: 3,5 g. Dose di seme consigliata per la coltura in purezza: 40 kg/ha.

Trifoglio squarroso (Trifolium squarrosum Savi) E’ una pianta annuale, originaria del Mediterraneo, con steli cilindrici più o meno cavi, alti fino a 1 me-tro o più. Foglie

trifogliate, con foglioline lunghe (2-5 cm) e lanceola-te; fiori in capolini ascellari con corolla bianco-gial-lastra o bianco-rosea. Non ha particolari preferenze per i terreni, adattandosi bene sia a quelli calcarei che a quelli argillosi. E’ dotato di buona resistenza al freddo simile a quella del trifoglio incarnato; tut-tavia è meno adatto, rispetto a quest’ultimo, ad una utilizzazione a pascolo molto intensa. Si adatta molto bene, come il t. incarnato, alla con-sociazione con le graminacee annuali quali Avena, Orzo e Loiessa. Peso di 1000 semi: 5,5 g. Dose di seme consigliata per la coltura da erbaio in purez-za: 40-50 kg/ha.

Trifoglio resupinato (Trifolium resu-pinatum L.)E’ una pianta erbacea che presenta steli prostrato-ascendenti e foglie trifo-gliate (Figura 4) lungamente picciola-te le basali, sessili o quasi le superiori; fiori piccoli a corolla roseo-porporina in capolini ascellari più o meno pro-fumati. Nell’ambito di questa specie, sulla base delle dimensioni delle fo-glioline, si distinguono 3 varietà bota-

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niche: minus, resupinatum e majus. Pianta da pascolo e da fieno vegeta bene nei terreni sciolti ed umidi ma si adatta bene nei terreni argillosi; manifesta un’elevata resistenza al freddo. Come il t. alessandrino evidenzia una notevole capacità di ributto e, in con-dizioni favorevoli di temperatura e umidità, si possono ottenere fino a 4 tagli, con caratteristiche qualitative molto vicine a quelle del t. alessandrino. Peso di 1000 semi: 0,8 g. Dose di seme consigliata per la coltura da erbaio in pu-rezza: 15-20 kg/ha.

VecceAl genere Vicia appartengono circa 150 specie. Le più importanti, in ordine decrescente sono Vicia sativa L. (Veccia comune), V. villosa Roth. (Veccia villosa o vellutata), V. narbonensis L. (Veccia di Narbona), V. ervilia (L.) Wil-ld., V. pannonica Crantz (Veccia ungherese), V. dasycarpa Auct. an Ten. e V. hirsuta (L.) S.F. Gray.Le vecce vengono generalmente utilizzate come foraggio fresco, come fieno o come silo. Le vecce possono anche essere coltivate per la produzione di seme che viene utilizzato come mangime (sfarinato) per gli animali o per la riproduzione della specie. In alcune specie di veccia (come ad esempio V. hirsuta) i semi contengono un elevato contenuto di acido cianidrico che può provocare avvelenamento negli animali per cui la somministrazione dei semi dovrebbe essere preceduta da macerazione in acqua oppure da cottura. In questa sede vengono descritte le specie più diffuse in Puglia che sono: Vec-cia comune e Veccia villosa.

Veccia comune (Vicia sativa L.) Pianta annuale con fusto eretto, prostrato o rampican-te, angoloso, ramoso lungo fino a 1 metro. Predilige i climi miti. Si adatta a tutti i tipi di terreno, predilige i terreni compatti, argilloso-calcarei, fertili e profondi. Peso di 1000 semi: 40-120 g.Dose di seme consi-gliata per la coltura da erbaio: 100-150 kg/ha a cui si aggiungono 8-10 kg di avena che funge da tutore mantenendo in posizione eretta gli steli della veccia che tendono naturalmente a prostrarsi. Veccia villosa (Vicia villosa Roth.)Pianta annuale, biennale o perenne nei centri di origine (Ungheria e Russia), con steli esili molto ramificati e pubescenti di solito lunghi oltre il me-

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tro. E’ una pianta dalle scarse esigenze, resiste molto bene ai rigori in-vernali (anche a parec-chi gradi sottozero) e al-l’alidore estivo; prospera in tutti i terreni, adattan-dosi a quelli poveri e prediligendo quelli sab-biosi (è chiamata anche “veccia delle sabbie”); nei riguardi delle esigenze nutritive è simile alla V. sativa. Anche la tecnica colturale non si discosta granché da quella descritta per la Veccia comune. Il foraggio si utilizza generalmente allo stato fresco; può anche essere af-fienato; per lo più si consocia con l’avena. Peso di 1000 semi: 35-45 g. La dose di seme/ha si riduce a circa la metà rispetto a quella della V. comune. Altra specie di veccia di un certo interesse pratico è la veccia di Narbona che somiglia molto al favino; si distingue da questo per la presenza di un viticcio terminale della foglia. Questa specie è meno produttiva della veccia comune e della villosa e fornisce un foraggio grossolano. Inoltre, questa specie non resiste molto ai freddi invernali ed è molto suscettibile alla peronospora e alle ruggini.

Specie graminacee da erbaio autunno-primaverileLe graminacee si caratterizzano per l’elevata produttività ma il loro foraggio è grossolano, povero di proteine (8-10% sulla s.s.) e piuttosto ricco di fibra. Le piante sono a portamento eretto, con buona resistenza all’allettamento e, quindi, adatte per erbai in coltura pura facilmente meccanizzabili oppure come componenti dei miscugli a sostegno delle leguminose. La grossolanità dello stelo e la sua maggiore durezza, con il procedere della maturazione, hanno sempre costretto a raccolte piuttosto anticipate per evitare vistose riduzioni di appetibilità del foraggio e conseguenti perdite per scarti alla man-giatoia. Le attuali possibilità di meccanizzazione con trinciatura diretta in campo hanno notevolmente ridotto l’importanza di questo fattore.

Avena (Avena sativa L.)L’Avena è una pianta annua cespitosa, eretta, con culmi lisci o scabri. Foglie a lamina allargata più o meno scabra, Pannocchia terminale lunga, aperta, rada. Il frutto è una cariosside allungata, rivestita da glumette che ad essa aderiscono anche dopo la trebbiatura; solo in una specie (Avena nuda L.) dopo la trebbia-

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tura le cariossidi perdono le glumette. Il peso di 1000 semi oscilla da 20 a 40g. L’avena preferisce i climi umidi, temperati ad inverno non troppo rigido ed estate non molto calda. Predilige terreni fertili e rifugge i terreni poveri e ricchi di scheletro. Oltre che come col-tura da granella, è largamente impiegata come specie foraggera per la costituzione di erbai mo-nofiti con sfalcio alla spigatura (fieno) o alla ma-turazione latteo-cerosa della granella (silo) o di erbai consociati con veccia, pisello da foraggio, favino, trifoglio incarnato ecc. Dose di seme con-sigliata per la coltura di erbaio in purezza: 100-150 kg/ha. La coltura fitta viene praticata in caso di pascolamento invernale dell’erbaio. Quando entra nella costituzione di erbai misti, la percentuale di avena nel miscuglio di semina, a motivo dell’alto potere competitivo di questa specie, non deve essere superiore al 20-25% della dose di seme complessiva.

Loiessa (Lolium multiflorum Lam.)Originatasi probabilmente dall’incrocio tra Lolium perenne L. e Lolium temulen-tum L., è nativa del bacino del Mediterraneo, del Medio-oriente e del Nord-Afri-ca. E’ una specie cespitosa, assai più del L. perenne, dal quale differisce per la taglia più alta (80-110 cm ed oltre), per un maggior numero di fiori per spighet-

ta, per le glumette esterne aristate e per la minore durata (da annuale a biennale). Pianta adatta ai terreni freschi, neutri, calcarei; resistente al freddo, ma meno del L. perenne. Poco resistente alla sicci-tà estiva prolungata. La loiessa, detta anche loglio o loietto italiano (da non confondere con il loietto inglese o perenne che è una foraggera perma-nente), è una graminacea di tipo prativo che trova utilizzazione come foraggera da erbaio autunno-primaverile. Sono disponibili forme di tipo annuale classificate come Lolium multiflorum Lam. subsp. westerwoldicum Mansh. e Lolium multiflorum su-bsp. italicum A. Br. alla quale appartengono i logli di origine italiana derivati dalla cosiddetta “loies-sa delle marcite lombarde”. I primi, di più rapido accrescimento, sembrano più idonei per gli erbai

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mentre i secondi dovrebbero essere preferiti nella formulazione dei miscugli per prati polifiti con lo scopo di aumentare la produzione nei primi anni. Peso di 1000 semi: 2 g circa. Dose di seme consigliata per la coltura da erbaio in purezza: 30-40 kg/ha. Se consociato con leguminose, come per l’avena, costituisce circa il 20% in peso del miscuglio di semina.

Orzo (Hordeum vulgare L.)Pianta annua a culmi eretti e foglie a lamina lanceolata, guai-ne terminanti con auricole ben sviluppate e avvolgenti il culmo. Spighe formate da spighette uniflore per lo più aristate e ca-riosside vestita. Peso di 1000 semi: 30-45g L’orzo si adatta a tutti i tipi di ter-reno ed è in grado di fornire rese elevate anche nei terreni sciolti e ricchi di scheletro. E’ una pianta alofila e, pertanto, vegeta bene nei terreni sa-lini ed anche in condizioni di elevata aridità. L’orzo è una pianta prevalentemente coltivata per la produzione di granella e meno utilizzata nella costituzione degli erbai misti, per i quali si preferisce l’avena e, in misura minore, la loiessa. Dose di seme consigliata per la coltura in purezza per l’erbaio da fieno o da silo 180-200 kg/ha. Quando è utilizzato nei miscugli, la dose di seme non deve su-perare il 20-25% del peso complessivo.

segale (Secale cereale L.)E’ una specie originaria del-l’Asia minore e del Caucaso. Pianta annua, rustica, ver-de-bluastro. Culmi flessibi-li, eretti (80-160 cm) foglie a lamina larga con guaina lunga e priva di auricole e ligula breve. Infiorescenza a spiga, lunga 10-20 cm, spesso ricurva e aristata; cariosside nuda, cilindrica di colore verdognolo. Peso di 1000 semi: 20-30g. Fra

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tutti i cereali, manifesta la maggiore resistenza ai freddi invernali e si adatta a tutti i tipi di terreno compresi quelli ciottolosi, acidi e poveri di so-stanze nutritive. Il foraggio è abbastanza scadente contenendo molta fibra e diventa poco utilizzabile dopo la spigatura. La spiga, una volta matura, sgrana facilmente. Dose di seme consigliata per la coltura in purezza dell’erbaio da fieno o da silo 160-180 kg/ha.

Triticale (Tritico secale Witt.) Questa specie (Figura x) è stata ottenuta dal-l’incrocio tra frumento e segale. Esistono triticali esaploidi (Triticum sp. x Secale cereale L.), che sono quelli più stabili, e Triticali ottoploidi (Triticum aestivum L. x Secale cereale L.) che sono geneticamente meno stabili. I tri-ticali secondari si ottengono incrociando i triticali esaploidi con i triticali otto-ploidi. Peso di 1000 semi: 35-45 g Il triticale si adatta a tutti i tipi di terreno. Le caratteristiche più salienti sono rappresen-tate da un’elevata rusticità e resistenza al freddo e all’allettamento, ripresa primave-rile e fioritura abbastanza precoci. L’utiliz-zazione foraggera del triticale come erbaio autunno-primaverile è in prospettiva abba-stanza interessante per il foraggiamento verde, e soprattutto per l’insilamento po-tendosi contare su una maturazione lenta e quindi su un’epoca di raccolta piuttosto lunga. Allo stato attuale, tuttavia, le cono-scenze sull’argomento, sono ancora piut-tosto modeste e sembrano esistere delle giustificate perplessità sulle caratteristiche qualitative del foraggio (culmo lignificato come la segale). Dose di seme consiglia-ta per la coltura in purezza per l’erbaio da fieno o da silo 180-200 kg/ha.

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specie leguminose da prato Erba medica (Medicago sativa L.)Pianta poliennale, alta fino a 80 cm, ad ap-parato radicale fittonante, profondo; steli prostrato-ascendenti o eretti; foglie alterne trifogliate e dentate all’apice con la fogliolina mediana picciolata; fiori in racemi ascella-ri, numerosi, con corolla di colore variabile dall’azzurro-biancastro al violetto; frutto: le-gume spiralato polisperma, contenente 2-7 semi piccoli giallo-olivastri, reniformi. Peso di 1000 semi: 2g.I motivi che hanno determinato la grande diffusione dell’erba medica nel mondo, con esclusione delle aree caratterizzate da ter-reni acidi e da climi molto freddi, possono così sintetizzarsi: 1) elevate produzioni di foraggio rispetto ad altre specie da prato avvicendato; 2) alto valore nutritivo dell’erba che supera quello di tutte le altre colture pratensi ad eccezione del solo trifoglio ladino; 3) buona resistenza alla siccità ed alle basse temperature; 4) abbondanza di residui radicali che contribuiscono al miglioramento della fer-tilità del terreno; 5) elevata capacità di fissazione dell’azoto atmosferico a beneficio della coltura successiva; 6) capacità di utilizzare, per la presenza di un apparato radicale profondo, le risorse idriche del sottosuolo e di mobilizzare elementi nutritivi dislocati nel ter-reno al di fuori della portata delle radici di altre colture; 7) in coltura irrigua, è in grado di fornire, negli ambienti pugliesi, 5-6 tagli all’anno con una produzione complessiva (media di un triennio) di 10-15 t/ha di biomas-sa secca. In regime asciutto la produzione è fortemente legata all’andamento climatico e l’utilizzazione prevalente è a prato-pascolo, costituito da un taglio a fieno primaverile (4-6 t/ha di s.s.) e dal successivo ributto utilizzato per il pasco-lamento degli animali. In condizioni favorevoli di piovosità primaverile è possibile ottenere 2 tagli a fieno, entro il mese di giugno, anticipando il primo taglio. Seb-bene venga spesso utilizzata nel miscugli con graminacee, la medica è preva-lentemente coltivata come prato monofita da vicenda. Dose di seme consigliata per il prato monofita: 30-40 kg/ha. Tecnica colturale

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Scelta della cultivar: Le cultivar (varietà ed ecotipi) di erba medica, in funzione del periodo di dor-mienza, si distinguono in: non dormienti, che vegetano anche d’inverno (adatte ai climi con inverni miti); semidormienti (che evidenziano una buona resistenza al freddo); dormienti (tipi molto resistenti al freddo) ma meno produttivi, Per gli ambienti pugliesi è opportuno puntare sui tipi semidormienti.Epoca e modalità di taglio dell’erba:Numerose ricerche sperimentali hanno posto in evidenza che l’epoca migliore del taglio, ai fini della produzione globale, è quella corrispondente all’inizio della fioritura (comparsa dei primi fiori). Infatti, in tale stadio vegetativo: a) il foraggio contiene i diversi elementi nutritivi in quantità quasi ottimale; b) buono risulta il livello delle riser-ve nutritive dell’apparato radicale che sarà perciò in grado di soddisfare un pronto ed uniforme accrescimento della parte aerea subito dopo il taglio; c) poco prima di questo stadio la velocità di accumulo di sostanza secca decresce rapidamente per cui non risulta conveniente ritardare ulteriormente il taglio. Molta importanza riveste anche l’altezza dal terreno della barra falciante in considerazione del fatto che, al momento del taglio, nuovi getti si sono già formati sulla corona della pianta ed hanno raggiunto un’altezza di 3-5 cm; pertanto, è buona norma regolare su questi valori l’altezza della barra falciante, Il 1° taglio, dopo il riposo invernale, va generalmente effettuato alla comparsa dei bottoni fiorali, cioè, in epoca leggermente anticipata, allo scopo di evitare un’esagerata competizione delle erbe infestanti presenti in no-tevole quantità in quest’epoca, nel caso in cui (ed è la norma) non sia stato effettuato il diserbo durante l’inverno (dicembre-gennaio). Se il grado d’infestazione non risulta eccessivo ma le piante di medica manifestano sensibili danni da freddo, è buona norma ritardare l’epoca del 1° taglio intorno al 50% di fioritura allo scopo di per-mettere una graduale ripresa delle piante danneggiate; infatti, tagli anticipati, in tali circostanze, finirebbero per l’indebolire ancor più le piante, determinando in breve tempo un evidente diradamento del medicaio. Nelle zone più fredde, infine, è oppor-tuno, dopo l’ultimo taglio autunnale, permettere un certo accrescimento di massa verde (15-20 cm di altezza) allo scopo di favorire un discreto accumulo di sostanze di riserva nell’apparato radicale e rendere così le piante più resistenti ai rigori invernali.

sulla (Hedysarum coronarium L.)Pianta della regione mediterranea, naturalizzata un pò dovunque in Sud-Europa, viene coltivata come foraggera nell’Italia centro-meridionale, Sicilia e Sardegna, Spagna, Portogallo, Grecia e Nord Africa. E’ una pianta erbacea perenne, alta 80-120 cm, con apparato radicale fittonante assai sviluppato; fusto cavo e fistoloso, a portamento prostrato ascendente; Il frutto (lomento) consta di 2-4 segmenti appiat-titi, spinosi; seme discoidale di colore giallo più o meno chiaro. Peso dei 1000 semi: 4.5 g se sono nudi e 9 g se sono vestiti.

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La sulla è pianta dei climi ad inverno mite, si adatta ai ter-reni profondi anche fortemen-te argillosi e calcarei; non si adatta invece, ai terreni acidi, salini e poveri di calcare. E’ considerata una pianta pio-niera dei terreni fortemente argillosi e calanchivi e, in vir-tù del suo apparato radicale profondo e robusto, frena il fenomeno erosivo. In Puglia la sulla vegeta durante tutto

il periodo invernale e il ritmo di crescita aumenta rapidamente in corrispondenza della fioritura. Nel periodo estivo, per il suo fotoperiodismo (brevidiurna) e per l’elevata temperatura, la pianta entra in fase di riposo. La mancanza di umidità non è determinante per la quiescenza e l’irrigazione estiva si rivela, perciò, di scarsa utilità. In seguito, con il sopraggiungere delle prime piogge autunnali, la pianta riprende l’attività vegetativa, iniziando il secondo anno del ciclo. La rige-nerazione autunnale del sulleto è dovuta sia al ricaccio delle piante dell’anno precedente, che in questo caso si comportano come perenni, sia alla nascita di nuove piante dai semi duri prodotti in anni precedenti e nel frattempo divenuti germinabili, nel caso delle leguminose annuali autoriseminanti. Utilizzazione e qualità del foraggio di sulla: negli ambienti semi-aridi meridionali le modalità di utilizzazione prevedono sia il pascolamento che il taglio a fieno, secondo criteri d’intervento localmente diversi in funzione anche delle esigenze aziendali. Nella maggior parte delle situazioni, comunque, tale tecnica consiste in un taglio a fieno nella primavera del 1° anno, nel pascolamento del ricaccio autunnale fino ai primi di febbraio, in un taglio a fieno del ricaccio primaverile del 2° anno ed, infine, nel pascolamento di modesti ricacci dopo la fienagione. Tale tipo di utilizzazione non soddisfa adeguatamente le esigenze di un rifornimento foraggero stabile nel tempo. Infatti, la sulla viene sfalciata ad uno stadio fenolo-gico avanzato, in quanto la fase biologica ottimale in grado di massimizzare la produttività e la qualità della coltura, viene generalmente raggiunta in un periodo in cui non è possibile realizzare la fienagione a causa dei ricorrenti eventi pio-vosi. La conservazione con l’insilamento, non è una pratica frequente e risulta ampiamente effettuata in Tunisia dove “fasce” di sulla e di avena vengono colti-vate alternativamente; lo sfalcio effettuato perpendicolarmente rispetto ad esse consente di mescolare bene il foraggio delle due specie già nel carro di raccolta, operazione che risulterebbe difficile nel silos. La sulla può essere pascolata a

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fondo ma con un ampio intervallo tra un pascolamento e il successivo, cercando di non danneggiare eccessivamente la corona con il calpestamento degli anima-li. È una delle pochissime piante, fra le leguminose, che non presenta problemi di meteorismo per gli animali al pascolo. La sulla fornisce un’elevata quantità di foraggio se si effettua il taglio all’inizio della fioritura. Tagli più ritardati determina-no una rapida lignificazione degli steli con sensibile perdita del valore nutritivo. Un buon sulleto dura mediamente 2 anni e, con il taglio a fieno primaverile, produce 40-60 t/ha di foraggio fresco per anno. Dose di seme da impiegare in semina pura: 40-60 kg/ha di seme nudo e 200 kg di seme vestito.

Lupinella (Onobrychis viciifolia Scop.)E’ una pianta erbacea perenne alta 40-80 cm, dotata di apparato radicale fittonante molto robusto; steli grossolani, ramificati, più o meno cavi, verdi con venature rossastre, a portamento da prostrato a eretto; foglie alterne, impa-ripennate, con 6-14 paia di foglioline ovato-oblunghe; in-fiorescenza ascellare, con numerosi fiori rosa o rossastri con venature più scure, riuniti in racemi portati da lunghi peduncoli; La lupinella è una pianta tipica degli ambienti a clima mite dell’Italia centro-meridionale, adatta ai terreni di qualsiasi natura, anche argillosi, purché permeabili, ma predilige quelli calcarei, asciutti e sciolti. Normalmente viene coltivata nei terreni poco adatti all’erba medica, della quale rappresenta una valida sostituta. Si distinguono 2 tipi di lupinella: “comune” e “gigante”. Il primo fornisce, nell’anno, un solo e abbondante taglio; il secondo, 2-3 tagli, in condizioni di buona umidità del suolo. Il tipo “comune”, per il portamento prostrato e per la sua longevità, si presta meglio al pascolamento La lupinella, come la sulla, è una specie idonea alla costituzione di prati monofiti ma, a differenza di questa, è più longeva. Negli ambienti più freschi, l’utilizzazione prevalente è il prato-pascolo con sfalcio a fieno effettuato alla fine della primavera e successivo pascolamento dell’eventuale ributto nel periodo estivo-autunnale. Peso di 1000 semi: 15 g (nudi), 20 g (vestiti). Dose di seme da impiegare 60-80 kg/ha di seme nudo o 150-180 kg/ha di seme vestito. E’ preferibile effettuare la semina nel periodo autunnale per otte-nere, già dal 1° anno, una buona produzione di foraggio con il taglio primaverile (15-25 t/ha di massa verde). Si adatta al pascolamento meglio dell’erba medica ma, rispetto a questa e alla sulla, manifesta una maggiore difficoltà d’insediamento.

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8- PROBLEMATICHE AGRONOMICHE DELLE COLTURE FORAGGERE E DEL

MIGLIORAMENTO DEI PAsCOLI IN PUGLIAEugenio Cazzato

Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di AgrariaUniversità degli Studi di Bari

Gli erbai ed i pascoli naturali costituiscono le fonti foraggere che contribuisco-no in misura preponderante al fabbisogno foraggero della Puglia. Di seguito si illustrano le principali pratiche agronomiche della coltivazione degli erbai, del miglioramento dei pascoli e della raccolta e conservazione dei foraggi da erbaio nella regione.

8.1 La coltivazione degli erbai Come già riferito nel precedente capitolo, notevole è la diffusione delle foraggere a ciclo autunno-primaverile.Per quanto riguarda tali colture, le problematiche agronomiche meritevoli di maggiore considerazione sono: - scelta delle specie e del tipo di erbaio (in purezza od oligofita), la concimazio-ne, la preparazione dei miscugli di semina, l’epoca e la densità di semina, la modalità di utilizzazione dell’erbaio e la modalità di conservazione del foraggio.

M odalità  d i u tilizzazione  S ce lta  de lle  spec ie  

S em ina  

Epoca

D ensità  

T ipo  d i erba io  

M onofita  

O ligo fita  

P asco lo -erba io   E rba io  

M oda lità  d i conservaz ione  

C onc im az ione 

F ieno   S ilo   F ieno-s ilo  

A m bien te pedoc lim atico   T ipo   d i  a llevam ento   ed  organ izzaz ione az ienda le  

Figura 1 – Principali aspetti agronomici della coltivazione degli erbai autunno-primaverili in Puglia.

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Molte delle problematiche suddette sono influenzate dalle caratteristiche pedo-climatiche dell’ambiente in cui è situata l’azienda, dal tipo di allevamento (ovica-prino o bovino) e dall’organizzazione aziendale (allevamento bovino con animali al pascolo o no) (Figura 1).

Scelta del tipo di erbaio. L’erbaio autunno-primaverile viene generalmente colti-vato per la produzione di fieno, silo o fieno-silo, destinati a costituire le scorte di foraggio da utilizzare nei periodi di mancanza di foraggio verde. In molte aree della Puglia, l’utilizzazione degli erbai autunno-primaverili varia soprattutto in relazione a specifiche esigenze aziendali e alle tradizioni locali. Generalmente questi erbai vengono coltivati per la produzione di fieno. Tuttavia, in alcune aree (Murgia barese e tarantina ad es.), è pratica comune la tecnica del pascolamen-to invernale, con sospensione tra metà o fine marzo per consentire il ricaccio, che viene successivamente affienato. Le sperimentazioni condotte in ambiente mediterraneo hanno evidenziato la tendenza degli erbai, sia puri che misti, ad una maggiore produttività, se coltivati per la sola produzione di fieno (erbaio indisturbato), rispetto a quelli utilizzati durante il periodo invernale con il pasco-lamento destinando il ricaccio a fieno (pascolo-erbaio).

Si preferisce comunque la tecnica del pascolo-erbaio, in particolare dell’erbaio misto, per la miglior distribuzione dell’erba nel corso del-l’anno, la riduzione dei costi di produzione, la maggiore disponibilità di foraggio verde per l’animale, derivanti dal pascolamento del be-stiame, anche in aree dove i pascoli naturali sono abbastanza diffusi,

ma per le forti condizioni di degrado non sono in grado di assicurare una buona distribuzione e qualità dell’erba nel corso della stagione vegetativa.La scelta delle specie e delle varietà, così come la preferenza da accordare all’erbaio in purezza od oligofita, sono in funzione di numerosi fattori, tra i quali l’ambiente pedoclimatico e il tipo di utilizzazione dell’erba assumono un’impor-tanza preminente. Negli ambienti più favorevoli risulterà indifferente puntare sull’erbaio monofita od oligofita perché entrambi potranno assicurare rese ele-

Figura 2 – Confronto fra produttività degli erbai indisturbati e pascolati nell’Italia meridionale

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vate e costanti nel tempo. In queste situazioni potrà risultare conveniente colti-vare una specie graminacea (avena, orzo, triticale, loiessa, fumento tenero) o un erbaio formato da due-tre specie (veccia comune-avena o veccia comune-trifoglio incarnato-avena). Con l’erbaio di sole graminacee si potrà spingere la

concimazione azotata per elevare le rese di sostanza secca e si potrà anche puntare sulla coltura dell’er-baio con raccolta alla maturazione latteo-cerosa della granella. Que-sto tipo di coltura, rispetto all’er-baio raccolto alla spigatura/fioritura e da destinare alla produzione di fieno, è in grado di fornire un ele-vato numero di U.F (4.000- 6.000 U.F./ha) sensibilmente superiore a quello dello stesso erbaio (orzo o triticale ad esempio) raccolto alla

spigatura (2.000 – 3.500 U.F./ha). Circa la scelta delle specie e varietà da utiliz-zare all’impianto di erbaio–silo, ricerche svolte in ambienti diversi evidenziano la convenienza a coltivare l’orzo, il frumento tenero o il triticale (quest’ultimo risulta in continua espansione) che sono in grado di fornire produzioni di massa verde nella fase della maturazione latteo-cerosa della granella, variabili da 15 a 35 t/ha a seconda delle condizioni pedoclimatiche di coltivazione.L’erbaio da fieno è generalmente costituito da due-tre specie, una graminacea (avena, orzo, loiessa) e due leguminose (veccia e trifoglio in-carnato o trifoglio alessandrino). Molto importante risulta nel caso dell’erbaio da fieno oligofita, la preparazione del miscuglio di semina. Come già accennato in precedenza, gli erbai di questo tipo più diffusi sono: vec-cia-avena, trifoglio incarnato-avena, trifoglio incarnato-veccia-avena, trifoglio alessandrino–avena-orzo. Tuttavia, recenti ricerche pongono in evidenza l’utilità di utilizzare nel miscuglio di semina il triticale che permette un ottimo pro-lungato pascolo e anche la loiessa che dopo lo sfalcio a fieno, in condizioni di buona umidità di terreno, fornisce un ulteriore pascolamento;

Figura 3 – Erbaio misto veccia-avena

Figura 4 – Erbaio misto avena-trifoglio

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ottima a tal fine risulta al consociazione di questa specie con il trifoglio alessan-drino, anch’esso come la loiessa dotato di buona capacità di ricaccio dopo il taglio a fieno. La dose complessiva di seme da adottare per ettaro risente molto delle condizioni pedoclimatiche in cui si opera, ma è anche legata al tipo di uti-lizzazione dell’erbaio. Facendo il caso di un erbaio veccia-avena, laddove l’erbaio non viene pasco-lato, è consigliabile adottare una dose complessiva di seme compresa tra 80 e 120 Kg/ha mentre nel caso di pascolamento invernale è opportuno aumentare sensibilmente la dose di seme a 140-160 kg/ha allo scopo di ottenere a emer-genza ultimata un manto uniforme per permettere un sollecito pascolamento da parte del bestiame .Composizione del miscuglio. Circa i rapporti di semina tra le specie formanti il miscuglio, le ricerche svolte evidenziano risultati spesso contraddittori. In linea generale si può affermare che la percentuale delle graminacee, notoriamente più aggressive delle leguminose, dovrà essere compresa tra il 20 e il 40 % del totale del miscuglio di semina. In genere i miscugli maggiormente adottati sono quelli avena-veccia. Nella tabella si riportano indicazioni circa la dose di seme, la composizione del miscuglio e la produttività di diversi erbai in 3 differenti am-bienti dell’Italia meridionale.

Epoca di semina. La tempestività dell’epoca di semina è fondamentale per la riu-scita dell’erbaio autunno-primaverile. In linea generale questa è compresa tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, quando la modalità di utilizzazione prevista è quella del pascolo-erbaio mentre per l’erbaio indisturbato e per quelli di sole graminacee

 

miscuglileg. gram leg. gram leg. gram leg. gram

(kg/ha) (t/ha) (t/ha) (t/ha) (t/ha)

veccia comune+ avena 150 48 41 8,7 64 19 11,2 75 15 9,0 62 25 9,6t.squarroso+avena 60 54 41 8,3 39 31 9,8 92 7 8,6 61 26 8,9t.squarroso+loiessa 60 56 35 6,2 44 31 9,0 92 2 9,9 64 23 8,4t.alessandrino+avena 60 39 43 6,9 34 43 8,0 48 20 8,5 40 35 7,8t.alessandrino+loiessa 60 50 27 5,8 14 48 10,1 45 5 7,7 36 27 7,8orzao esastico 200 94 9,2 89 9,6 65 4,7 83 7,8t.incarnato+loiessa 60 51 35 9,4 8 53 6,2 60 15 5,5 40 34 7,0t.incarnato+avena 60 43 43 6,2 39 24 9,5 50 18 5,4 44 28 7,0veccia comune+ loiessa 120 58 29 5,7 34 33 9,0 88 2 5,8 60 21 6,9triticale 200 70 6,8 56 8,9 60 2,3 62 6,0

media miscuglicon avena 46 42 7,5 44 29 9,6 66 15 7,9 52 29 8,3media miscugli con loiessa 54 32 6,8 25 41 8,6 71 6 7,2 50 26 7,5Media 50 37 7,2 35 35 9,1 69 11 7,6 51 27 7,9

* nelmiscugliosi è adottato un rapporto pari al70% per leleguminose,30% per le graminacee

dose seme (*)

MediaContrib.spec.

prod. s.s.

(%)

VultureContrib.spec. prod. 

s.s.(%)

UfitaContrib.spec.

prod. s.s.

(%)

Contrib.spec. prod. s.s.

(%)

M.ti Dauni Meridionali

Tabella 1 – Contributo specifico e produttività di 8 differenti miscugli in erbaio autunno-primaverile in 3 areali meridionali

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(ferrane) la semina può effettuarsi durante tutto il mese di ottobre.Notevole importanza assumono, nella scelta delle specie e delle cultivar che compongono il miscuglio, il loro grado di precocità ed il ritmo di accrescimento. Ad esempio tra le graminacee l’orzo, oltre ad essere la specie più precoce come ciclo vegetativo, evidenzia una maggiore vivacità di accrescimento invernale ri-spetto all’avena. Analoga attitudine presentano la loiessa ed il triticale. Tra le le-guminose la veccia comune, rispetto ai trifogli annuali (t. incarnato, t. squarroso e t. alessandrino), ha un maggiore accrescimento invernale mentre questi ultimi risultano più vivaci durante il periodo primaverile e maggiori capacità di ricaccio quando sottoposti a pascolamento invernale. La veccia villosa risulta utile nel miscuglio di semina, perché in piccole dosi (5-10%) offre un notevole contributo alla massa verde totale prodotta senza arrecare particolari difficoltà alle opera-zioni di raccolta.Nelle aziende di maggiori dimensioni è possibile attuare un vero e proprio ca-lendario di utilizzazione dell’erba nel periodo invernale e primaverile facendo ricorso ad erbai in purezza di graminacee, in grado di fornire l’erba nel periodo invernale e ad erbai misti di graminacee e leguminose, più produttivi nei periodi autunnali e primaverili.

Concimazione. La concimazione minerale fosfo-azotata rimane uno dei mezzi più sicuri per incrementare la produzione. Molti agricoltori hanno purtroppo la tenden-za a effettuare modesti interventi fertilizzanti nei confronti di queste colture. Tale atteggiamento si può giustificare solo nelle annate molto siccitose. Tuttavia è bene rammentare che azoto e fosforo assumono una fondamentale importanza nell’ac-crescimento delle piante. Ricerche svolte in tal senso hanno evidenziato una buona efficacia dell’azoto nella dose di 80 Kg/ha; per quanto riguarda il fosforo, questo elemento in presenza di azoto, favorisce un vigoroso accrescimento della legumi-nosa, migliorandone l’effetto competitivo e fornendo così un foraggio più equilibrato dal punto di vista qualitativo. Perciò, salvo particolari condizioni pedoclimatiche, è necessario intervenire con perfosfato o altro concime fosfatico o fosfo-azotato in modo da fornire alla coltura non meno di 40-60 unità di fosforo e 60-80 unità di azo-to, utilizzando ad esempio, in dosi opportune, il fosfato biammonico alla semina e urea o nitrato ammonico in copertura verso la fine di gennaio.

8.2 Miglioramento dei pascoliPer molte aree marginali della Puglia il pascolo, insieme al bosco, rappresen-ta uno dei mezzi più razionali di utilizzazione dei territori collinari e montani in quanto, riducendo l’erosione, contribuisce in maniera marcata alla stabilità del suolo, oltre a fornire una buona produzione foraggera. La distribuzione della produzione nel corso dell’anno è però notevolmente influenzata dalle condizioni

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pedoclimatiche e dall’altitudine. In Puglia si possono identificare 2 differenti curve di crescita dell’erba (Figura5). La prima è tipica delle aree poste a quota più bassa, non oltre i 500-600 m s.l.m., caratterizzate da un clima tipicamente mediterraneo dove le specie prevalenti sono annuali; alle alti-tudini più elevate l’attività vegetativa è più accentuata nel periodo primaverile-esti-vo, a motivo della maggiore piovosità e di temperature meno elevate che favoriscono l’insediamento di specie graminacee e le-guminose perenni. Numerosi sono i metodi per ottimizzare l’uti-lizzazione del pascolo, la produzione totale di biomassa e la sua migliore distribuzione nel corso della stagione vegetativa. Essi vengono distinti in mezzi di miglioramento indiretti (recinzione, approvvigionamento

idrico, costruzione di strade di accesso) e diretti (riposo del pascolo, la conci-mazione minerale, l’introduzione di arbusti foraggeri, la semina di idonee specie foraggere).

Il riposo del pascolo e la scelta del carico di bestiame. Il ricorso a un periodo più o meno prolungato di riposo del pascolo, è dettato dalla necessità di favorire un accumulo, nell’apparato radicale delle piante, di sostanze di riserva sufficienti per un rapido ricaccio o per permettere la disseminazione naturale delle specie. Il riposo prolungato, non sembra trovare valida giustificazione anche alla luce di recenti ricerche. Più proponibile sembra, invece, il riposo turnato o turno di pascolamento, attuato nell’arco di una stagione mediante recinzione di appez-zamenti di adeguata ampiezza. In questo caso, il turno di pascolamento può variare dai 50-60 giorni per le zone a prevalente pascolo autunno-primaverile, durante i mesi invernali, ai 20-30 giorni nei mesi primaverili e autunnali. Nelle zone a maggiore altitudine e latitudine il turno di pascolamento tende ad allun-garsi con il progredire della stagione secca. Nei casi più difficili di clima e di ter-reno sembra sconsigliabile ipotizzare turni di pascolamento, essendo il periodo di intensa attività vegetativa limitato ad 1-2 mesi nell’intero anno.Il carico ottimale è strettamente legato alla produttività del pascolo, al relativo coefficiente di utilizzazione e alle esigenze alimentari del bestiame. Tenendo conto che la produzione stagionale dei pascoli pugliesi oscilla tra 400 e 1.500

Figura 5 – Curve di crescita dell’erba nei pascoli meridionali

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U.F., si può stabilire il carico ottimale dei capi provvedendo, però, per i periodi di improduttività, a integrare il fabbisogno alimentare con scorte di foraggio otte-nute da colture falciabili, oppure ricorrendo al mercato per l’acquisto del fieno e dei concentrati. Per quanto riguarda, infine, il tempo di permanenza degli animali nello stesso lotto di pascolamento (carico istantaneo), è consigliabile osservare un periodo non superiore ai 2-3 giorni allo scopo di evitare che a breve intervallo la stessa pianta venga recisa due volte, danneggiando i giovani germogli del ricaccio, specialmente quando l’erba è in fase di attiva vegetazione.

La concimazione mineraleRappresenta in molti casi l’unico intervento agronomico proponibile e di facile attua-zione. Come orientamento generale è preferibile intervenire con apporti bina-ri fosfo-azotati. A questo fine il fosfato biammonico risulta un eccellente fertiliz-zante da utilizzare in autunno con l’ag-giunta, nelle condizioni migliori, di urea, da distribuire alla fine dell’inverno. Circa i quantitativi di elementi nutritivi da appor-tare al pascolo non esistono ricette pre-cise da prescrivere. E’ bene, in tutti i casi, evitare, per ovvie ragioni di costo, inutili sciupii. Nei pascoli migliori, caratterizzati da andamento climatico fresco e piovo-so nel periodo primaverile-estivo, risul-tati soddisfacenti sono stati ottenuti con apporto di almeno 100-120 kg/ha di ani-dride fosforica ed altrettanti di azoto. In presenza di minore piovosità e di terreni poveri è prudente ridurre sensibilmente le suddette dosi. Esperienze condotte in Puglia hanno evidenziato buoni risultati produttivi con la somministrazione, a fine autunno, di 40 kg/ha di N e 60 kg/ha di P2O5; è stato anche osservato un buon effetto residuo nei due anni successivi.

Introduzione di arbusti foraggeriUna possibilità di miglioramento del-la produzione foraggera dei pascoli

Figura 6 – Atriplex halimus L. (sopra)Figura 7 – Medicago arborea (sotto)

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è rappresentata dalla possibile utilizzazione di specie arboree ed arbustive quale fonte sussidiaria di alimentazione del bestiame nel periodo estivo, quando, gene-ralmente, l’accrescimento dell’erba si arresta. Tra le numerose specie provate in Puglia, è emerso il buon adattamento di alcune di esse quali: Atriplex halimus L. (Fi-gura 6), Medicago arborea L. (Figura 7), Coronilla emerus L., Robinia pseudoacacia L., Ulmus pumila L. e Prunus mahaleb L.Medicago arborea risulta più idonea per le condizioni di clima mediterraneo perché caratterizzata da accrescimento invernale e da stasi estiva e non è molto resistente al freddo invernale. Le altre due specie arbustive sempreverdi (Atriplex halimus e Coronilla emerus) manifestano una maggiore resistenza ai rigori invernali e possono essere introdotte anche alle maggiori altitudini. Tra le specie arboree caducifoglie, Robinia pseudoacacia L., Ulmus pumila L. e Prunus mahaleb L., sono in grado di offrire una buona biomassa derivante dal ributto che segue la ceduazione di piante di almeno 5-6 anni di età, effettuata alla fine dell’inverno. Da esperienze effettuate in Puglia è emerso che la probabilità di ottenere un buon attec-chimento ed una buona produzione di queste specie, risulta più elevata in terreni arabili marginali che non nei pascoli naturali dove le difficoltà delle operazioni colturali necessa-rie per l’impianto aumentano sensibilmente. Un arbusteto razionale dovrebbe contenere 600-800 piante/ha disposte in file binate con distanza tra le piante di circa 2 m e distanza tra le bine di 10-15 m realizzando, nell’interbina, un cotico erboso.

Semina di specie foraggereIn questa sede verranno brevemente illustrate solo alcune specie leguminose annuali con spiccata attitudine autoriseminante che, in numerose esperienze svolte in ambiente mediterraneo, si sono segnalate per l’elevata capacità di in-sediamento e di produzione in molte aree pascolive.

Trifoglio sotterraneo (Trifolium subterraneum L.)Esistono nell’ambito di tale specie 3 va-rietà botaniche o sottospecie:- subterraneum, adatto a terreni tenden-zialmente acidi;- brachycalycinum, adatta per terreni neutri o tendenzialmente alcalini- yanninicum, che vegeta bene in terreni umidi e acquitrinosi.Il trifoglio sotterraneo pertanto si adatta a tutti i tipi di terreno e, in funzione del pH e del grado di umidità, si può far ricorso alla sottospecie più adatta alla particolare situazione edafica. In commercio esistono di-

Figura 8 – Trifoglio sotterraneo

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verse cv, importate prevalentemente dall’Australia, ma da qualche anno ottenute in Italia. Per gli ambienti pugliesi, dove i terreni sono neutri o tendenzialmente alcalini, la sottospecie più adatta è brachycalycinum, nell’ambito della quale, la varietà che ha sempre fornito i risultati migliori è ‘Clare’ di provenienza australiana. Abbastanza simile a questa, come adattamento e produzione, è la cv italiana ‘Antas’. Per la sua preziosa caratteristica di autorisemina, questa specie, se ben utilizzata, diventa perennante e può risultare utilissima per il miglioramento del cotico erboso dei pa-scoli naturali e dei terreni arabili, dove è difficile operare speditamente con i mezzi meccanici. Il t. sotterraneo, per la sua velocità di accrescimento e per il portamento prostrato, è in grado di ricoprire rapidamente la superficie di terreno, formando così, un ottimo cotico erboso, utile per il pascolamento del bestiame di ogni tipo. La dose di seme per la costituzione di un pascolo artificiale è di 40 kg/ha. Epoca di semina consigliata: settembre - ottobreDalle numerose esperienze condotte nell’ambiente mediterraneo, il t. sotterraneo si è sempre dimostrato un’ottima pianta miglioratrice dei pascoli perché in grado di aumentare considerevolmente la biomassa totale fruibile da parte dell’animale e di estendere il periodo di pascolamento migliorando, nel contempo, la qualità dell’erba. Mediche annuali (Medicago spp.). Nel genere Medicago esistono numerose specie annuali, originarie dell’areale mediterraneo, che sono molto diffuse nei pascoli dell’Italia meridionale dove forniscono un concreto contributo alla pro-duzione del cotico erboso. Generalmente prediligono terreni di origine calcarea con pH alcalino; talvolta sono presenti anche su terreni tendenzialmente acidi. Solo recentemente sono state selezionate, in Australia e negli U.S.A., varietà di diversa precocità e produzione, utilizzate come specie da pascolo o per la co-pertura invernale del terreno contro l’erosione o per l’arricchimento in azoto dello stesso a vantaggio della coltura successiva. In Italia, queste specie sono tuttora poco conosciute ma possono trovare utile applicazione per il miglioramento dei pascoli e per la conservazione del suolo nei terreni fortemente calcarei ed alca-lini dove i trifogli evidenziano generalmente difficoltà d’insediamento e di accre-scimento. Le specie di maggiore interesse agronomico per l’Italia meridionale, sembrano essere:- Medicago polimorfa (Medicago polymorpha L.) è la specie più diffusa in tutto il territorio dell’Italia centro-meridionale. Si adatta a tutti i tipi di suolo, preferendo quelli ricchi di calcare e a pH alcalino. Presenta un’elevatissima percentuale di semi duri. In Australia, dove viene coltivata in rotazione con il frumento duro (ley farming), questa caratteristica risulta vantaggiosa perché permette di coltivare nel 2° anno il frumento duro senza un’eccessiva competizione con la leguminosa. In commercio esistono le seguenti varietà: ‘Anglona’, ‘Circle Valley’, ‘Santiago’.- Medicago truncatula (Medicago truncatula Gaertner) Esistono in commercio le

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seguenti varietà: ‘Borung’, ‘Jemalong’, ‘Hannaford’, ‘Sephy’, ‘Ascot’, ‘Cyfield’, ‘Mo-gul’, ‘Paraggio’. Per quanto concerne gli aspetti agronomici si può fare riferimento al trifoglio sotterraneo.Nuove specie da pascolo per l’ambiente mediterraneoIl mezzo più efficace per incrementare la produzione di s.s dei pascoli mediterranei è, senza dubbio, costituito dall’utilizzazione di specie provenienti dalla flora sponta-nea e sottoposte a miglioramento genetico prima di essere introdotte in coltura. Il centro di ricerca australiano C.L.I.M.A. (Centre for Legumes in Mediterranean Agri-colture) del Western Australia è, nel mondo, fra le strutture di ricerca più efficienti in questo tipo di attività. Negli ultimi anni, dopo un intenso lavoro di ricerca, C.L.I.M.A. ha immesso sul mercato nuove specie foraggere da pascolo in grado di fornire ec-cellenti produzioni di biomassa (10-12 t/ha di s.s.) in aree caratterizzate da terreni molto poveri e degradati e da scarsa piovosità (250-400 mm annui). In questa sede si ritiene opportuno riportare, in sintesi, le caratteristiche botaniche ed agronomiche più salienti di alcune specie (Biserrula pelecinus L., Ornithopus sativus Brot., Orni-thopus compressus L.) ritenute di un certo interesse per le aree pascolive dell’Ap-pennino meridionale.

Biserrula (Biserrula pelecinus L.) Biserrula pelecinus si è affermata in Australia dopo che è stato selezionato il rizobio specifico in grado di accrescersi in ambiente acido. Si adatta a suoli molto poveri e sabbiosi (dove è spesso una delle pochissime leguminose presenti) vegetando bene anche nei terreni di medio impasto con valori di pH compresi tra 4,5 e 8,5; tollera molto bene lunghi periodi di siccità grazie ad un apparato radicale fittonante mol-to profondo (2 m) e circa 3 volte più esteso rispetto al trifoglio sotterraneo. In esperienze

australiane di pieno campo, con piovosità annuale di 400 mm, B. pelecinus raggiunge produzione di s.s. pari a 10-12 t/ha con valori di proteina grezza del 24% sulla s.s. I semi riescono in gran parte a sopravvivere alla digestione da parte degli animali al pascolo in estate sul materiale secco di questa specie (soppie e legumi), per cui, il pascolamento non pregiudica la banca del seme e la ricostituzione autunnale del cotico erboso (Figura 9). Dose di seme da utilizzare per la semina di un pascolo: 8-10 kg/ha, avendo cura di interrare il seme ad una profondità inferiore ad 1 cm.‘Casbah’ è l’unica varietà al mondo di biserrula; è una cv australiana, medio-pre-coce, che fiorisce 105-110 gg dopo l’emergenza, caratterizzata da un’elevatissima presenza di semi duri.

Figura 9 – Biserrula

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Serradella francese (Ornithopus sativus Brot.)E’ una pianta annuale (Figura 10), pu-bescente, originaria delle regioni occi-dentali del bacino del Mediterraneo. Ornithopus sativus è particolarmente adatta per suoli acidi e sabbiosi dove altre leguminose annuali come il trifo-glio sotterraneo e le mediche annua-li stentano. Rifugge i terreni alcalini e ricchi di CaCO3 che inibiscono la simbiosi batterica e la crescita della pianta. A differenza di Biserrula pelecinus non presenta semi duri e, pertanto, dopo la raccolta, non è necessaria la scarificatura. Se utilizzata come pianta da pascolo, i semi disseminati assicurano l’anno successivo un eccellente cotico erboso. Non avendo semi duri è soggetta alle “false partenze” causate da modeste piogge estive. In Australia è stata selezionata una varietà medio-precoce (‘Cadiz’) che fiorisce a 105-110 giorni dopo l’emergenza. La produzione, con lo sfalcio alla fioritura, è pari a 8-10 t/ha di s.s., purchè siano assicu-rati almeno 400 mm di pioggia annui. Dose di seme: 20-40 kg/ha.Serradella gialla (Ornithopus compressus L.)Detta anche ornitopo o “piede d’uccello”, per la particolare disposizione dei baccelli che richiamano questa forma, è una pianta annuale (Figura 11) munita di apparato radi-cale profondo (anche 2 m) con fusti ascen-denti e pubescenti in alto. Come la serradella francese, è un’ottima foraggera che colonizza facilmente i terreni acidi e sabbiosi ma a dif-ferenza di questa i semi sono duri (100%) e, pertanto, il 2° anno è preferibile far succedere una coltura cerealicola mentre dal 3° anno in poi, il terreno può essere lasciato a pascolo per più anni poichè la percentuale di seme germi-nabile aumenta di anno in anno assicurando un’ottima autorisemina. In Australia sono state selezionate le cv Santorini e Charano che, a differenza di precedenti varietà, hanno porta-mento eretto. La produzione di s.s. si aggira intorno a 10 t/ha con 400 mm di piovosità an-

Figura 10 – Serradella francese Brot.

Figura 11 – Serradella gialla

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8.3 La raccolta e con-servazione del forag-gioLe tecniche di raccolta e conservazione dei forag-gi sono sostanzialmente tre: fienagione tradizio-nale o in due tempi, insi-lamento e disidratazione artificiale. In Puglia sono utilizzati i primi due men-tre il terzo viene impie-gato a livello industriale per la produzione di erba medica disidratata. La fienagione rappresenta il sistema più diffuso nella regio-ne per la conservazione dei foraggi e consiste nel taglio dell’erba, successivo essiccamento della stessa fino ad un valore di umidità non superiore al 20%, andanatura attraverso l’utilizzo di ranghinatori, raccolta. Il processo di essicca-mento può essere completato in modo naturale in campo (fienagione tradizio-nale) oppure può essere condotto parzialmente in campo (pre-essiccamento) e successivamente completato in modo artificiale in azienda (fienagione in due tempi). Durante l’essiccamento in campo vengono condotte le operazioni di ri-voltamento del foraggio, per accelerare ed uniformare l’essiccamento dell’erba e di andanatura per consentirne la raccolta. Queste operazioni vengono ese-guite con i ranghinatori, presenti in commercio in numerose varianti (a stella, a pettine, ecc.). Le modalità operative di esecuzione di rivoltamento ed andana-tura sono fondamentali per ridurre le perdite di fienagione e presuppon-gono notevole sensibilità ed esperienza dell’ope-ratore per individuare sia il momento ottimale nell’arco della giornata per l’esecuzione delle operazioni (il mattino e la sera se il foraggio è quasi secco, le ore cen-trali della giornata se il foraggio è ancora umi-

Figura 12 – Sfalcio con falcia- condizionatrice

Figura 13 – Raccolta del foraggio in rotopresse

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do) che la velocità di avanzamento della trattrice che determina l’intensità delle sollecitazioni che subisce il foraggio. La fienagione tradizionale comporta sempre delle perdite di sostanza secca (s.s.) e di valore nutritivo che sono principalmente di tre tipi:1) perdite di respirazione dovute alla respirazione endogena cellulare che si verifica allorché il foraggio non raggiunge un’umidità di circa il 40%;2) perdite meccaniche dovute al distacco di parti di pianta durante le operazioni di rivoltamento, andanatura e raccolta;3) perdite di fermentazione che si verificano durante la conservazione in fienile e dipendono dall’umidità del foraggio al momento dello stoccaggio (per i fieni si considerano ottimali valori di umidità inferiori al 18-20%).Complessivamente, con una fienagione condotta in modo accurato, le perdite di s.s. si aggirano intorno al 20-30% mentre in termini di valore nutritivo risul-tano ancora più elevate (30-50%), considerando le perdite in zuccheri dovute alla respirazione e l’eventuale fermentazione in fienile, e le perdite meccaniche che interessano le parti più fragili (foglie e piccioli) notoriamente più ricche di proteine e di valore nutritivo. Per ridurre l’entità delle perdite si consiglia di utilizzare, in sostituzione delle tradizionali falciatrici, le falciacondizionatrici che oltre ad effettuare l’operazio-ne di taglio operano la schiacciatura dell’erba (soprattutto a carico delle parti più grossolane come gli steli) accelerando il processo di essiccamento e ri-ducendo, pertanto, i tempi di permanenza in campo del foraggio ed il relativo rischio meteorologico. Una notevole riduzione delle perdite si ha anche con la fienagione in due tempi che prevede il pre-essiccamento naturale in campo fino ad un contenuto di umidità del 50% circa ed il successivo essiccamento artificiale in fienile. Tuttavia, questa tecnica non ha incontrato, ad oggi, il favore degli agricoltori a motivo degli elevati costi di impianto e di gestione di questa tecnologia.

8.4 Insilamento L’insilamento è un sistema di conservazione del foraggio, basato sulla fermen-tazione spontanea operata da batteri lattici (batteri utili) che avviene in un fo-raggio conservato in assenza di ossigeno, i quali metabolizzano gli zuccheri fermentescibili del foraggio producendo acido lattico (preferito) ed altri acidi organici quali acido acetico ed acido propionico che acidificano la massa. I microrganismi capaci di deteriorare l’insilato (clostridi, muffe, lieviti, ecc.) sono inibiti dall’effetto congiunto del basso pH, della pressione osmotica elevata ot-tenuta da un giusto tenore di sostanza secca al momento dell’insilamento e dalla contemporanea assenza di ossigeno.Per l’ottenimento di un insilato di buona qualità sono importanti le seguenti

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caratteristiche del foraggio da insilare:- contenuto in sostanza secca (compreso tra 35 e 55%).- contenuto di zuccheri fermentescibili (Z) e rapporto zuccheri proteine (Z/P)- potere tamponeIn generale le graminacee (orzo, triticale) presentano un elevato contenuto in zuccheri, un favorevole Z/P ed un basso potere tampone, pertanto si prestano ad essere insilate con relativa facilità, mentre le leguminose presentano un Z/P piuttosto basso ed un elevato potere tampone; per queste ultime pertanto è fondamentale aumentare il contenuto s.s. per assicurare il buon decorso della fermentazione lattica ed ostacolare lo sviluppo di microrganismi degenerativi della massa.Nell’ambito degli insilati è possibile distinguere 4 categorie di prodotto, diffe-renziati fondamentalmente in base al contenuto in sostanza secca del foraggio alla raccolta:- erba-silo (28 % di s.s.)- insilato standard (35 % di s.s.)- fieno-silo umido (45 % di s.s.)- fieno-silo classico (55 % di s.s.)L’erba-silo e l’insilato standard vengono prodotti in sili orizzontali a platea od a trincea attraverso le seguenti fasi operative:

Per ottenere un insilato di qualità è importante utilizzare alcune accor-tezze quali:- raccogliere il foraggio con il giusto grado di maturazione, al fine di otte-nere un idoneo tenore di s.s.- trinciare il foraggio alla giusta lun-ghezza a seconda del tipo di forag-gio (in genere 7-20 mm) - riempire rapidamente il silo, per evitare l’insorgenza di fermentazioni

indesiderate- comprimere accuratamente la mas-

sa, fin dalle prime fasi, per eliminare quanto più possibile la presenza di aria (effettuare il caricamento del silo in strati sottili utilizzando per la compressione

Figura 14 – Tecnica classica di insilamento

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una trattrice di peso adeguato)- chiudere ermeticamente il silo con teli di buona qualità (oggi sono disponibili sul mercato film plastici con bassa permeabilità all’ossigeno, da preferire ri-spetto ai classici film di poilietilene)- appesantire adeguatamente ed uniformemente il silo dopo la chiusura (per ridurre lo spessore del “cappello”, vale a dire la parte periferica dell’insilato, che va incontro a fenomeni degradativi)- lasciare sigillato il silo ermeticamente per 3-4 settimane al fine di ottenere una buona stabilizzazione della massa. Attualmente è in fase di espansione una tecnica di conservazione alternativa alla fienagione rappresentata dal fieno silo, interessante per quelle aziende medio-piccole che non trovano convenienza economica nella costruzione ed utilizzazione della trincea. La produzione di fieno-silo in rotoballe fasciate è un sistema di conservazione flessibile che non richiede ingenti investimen-ti in quanto è necessario l’acquisto di una semplice macchina fasciatri-ce da aggiungere ad una normale rotoimballatrice per completare il cantiere di raccolta. Con questo si-stema di conservazione del foraggio si ha la medesima semplicità opera-tiva della fienagione ma si riducono drasticamente le perdite che questa comporta. Per le aziende di piccole dimensioni può risultare convenien-te ricorrere al contoterzismo. Figura 15 – Tecnica di produzione del fieno silo

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9- AsPETTI NUTRIzIONALI DEGLI ALIMENTI DI ORIGINE VEGETALE

ED EsEMPIO PRATICO DI RAzIONAMENTOFrancesco Pinto

Dipartimento di Produzione Animale – Facoltà di Agraria Università degli Studi di Bari

9.1 IntroduzioneL’alimentazione degli animali è strettamente connessa al mondo vegetale in quanto da essa trae l’energia ed i nutrienti per le funzioni vitali. A differenza delle piante verdi, che fabbricano le sostanze organiche attraverso il processo foto-sintetico, gli animali, essendo organismi eterotrofi, traggono il proprio nutrimento da sostanze organiche più o meno complesse già esistenti. Come ogni essere vivente, interagiscono con l’ambiente che li circonda per ottenere ciò che loro necessita per svilupparsi, accrescersi e riprodursi. Il materiale per ottenere tutto ciò è costituito dal mondo vegetale che, rappresentando un’entità molto vasta, solitamente, per comodità di studio, viene distinto in: - foraggi propriamente detti – di solito rappresentano l’alimento base, copren-do la maggior parte del fabbisogno alimentare. Possono essere consumati fre-schi (foraggi verdi) o dopo essiccazione per essiccamento (fieni) o per insila-mento (foraggi insilati).- mangimi concentrati – comprendono alimenti naturali di origine vegetale od animale e residui industriali, caratterizzati dall’alta concentrazione in principi ali-mentari, con basso contenuto in acqua. Possono essere ricchi di protidi digeri-bili, altri di glucidi, alcuni anche di lipidi. Di solito non vengono impiegati da soli nell’alimentazione degli erbivori ma si usano come integratori per bilanciare la razione e sostenere le alte produzioni.- prodotti complementari dei foraggi – comprendono svariati sottoprodotti dell’industria e dell’agricoltura, caratterizzati dalla loro voluminosità e dal basso costo. L’utilizzazione di questi prodotti paglie (Ciruzzi et al., 1987; Ciruzzi et al.,1988a; Ciruzzi et al.,1988b; Ciruzzi et al.,1988c; Ciruzzi et al.,1989a; Ciruzzi et al.,1989b; Ciruzzi et al.,1990; loppe, sarmenti di vite (Benatti et al., 1979; Pinto et al.,1990), foglie d’albero (Marsico et al., 1995a; Marsico et al., 1995b; Marsico et al., 1996; Marsico et al., 1998); mallo di mandorla (Pinto et al., 1992; Vicenti et al., 1993), ecc.) come alimento per il bestiame ha un’importanza che esorbita da quella dell’economia dell’azienda per assurgere a quella dell’econo-mia alimentare della nazione, in quanto permetterebbe di aumentare il carico di bestiame oppure di destinare una maggior quantità di terreno ad altre colture ad altre destinazione.

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Negli allevamenti, con l’eccezione di quelli allo stato brado, l’ambiente con il quale interagire è quello pensato e creato dall’uomo, nel quale si integrano fat-tori estranei pressoché inevitabili e imprevedibili. In una stalla, in un ovile o in un allevamento di acquacoltura, l’ambiente non è naturale, ma è rappresentato da tutte le variabili estranee all’animale stesso, ovvero, in particolare, patologie latenti o conclamate, tecnologie utilizzate e, soprattutto, qualità, quantità e ca-ratteristiche dell’alimentazione. Inoltre, un allevamento ha lo scopo di produrre in modo economicamente conveniente, pertanto gli animali a destinazione zoo-tecnica sono stati migliorati per le varie produzioni.

9.2 La valutazione qualitativa delle materie prime per l’alimentazione ani-maleLa produzione zootecnica è la risultante di un insieme di fattori, fra i quali l’ali-mentazione gioca un ruolo preminente. Questo lo sanno bene nutrizionisti e allevatori che giornalmente sono chiamati a risolvere il problema del raziona-mento del bestiame ed a somministrare degli alimenti salubri e nutritivi al fine di ottenere delle produzioni, latte e carne, in linea alle ultime normative della C.E. e con il minor costo possibile.Per assolvere a questo è necessario che l’allevatore conosca:a) i fabbisogni nutritivi dei capi in allevamento in quel momento;b) i principi nutritivi degli alimenti in dotazione;c) la quantità di alimenti in grado di ingerire da parte dei capi allevati.Per quanto riguarda il primo punto limitandosi ai fabbisogni di mantenimento e di produzione, il problema non dovrebbe sussistere in quanto sappiamo con precisione quali sono i valori che dobbiamo applicare, infatti sulla base della co-noscenza di alcuni parametri quali specie, razza, peso ed età del capo allevato, è possibile applicare i dati delle tabelle presenti nei manuali, sia se applichiamo il sistema TDN (Total Digestible Nutrients) proposto agli inizi degli anni ’30 dai tedeschi Wolf e Lehmann e dall’americano Forbes, modificato poi negli anni ’90 da Cornell per i ruminanti, sia applicando il sistema francese delle unità foragge-re latte e carne (UFL, UFC). Oltre a tali due sistemi esistono molte altre varianti ma, fondamentalmente, ci si rifà sempre alle basi teoriche. Diventa in ogni caso fondamentale esprimere i fabbisogni degli animali cui gli alimenti sono destinati negli stessi termini e nelle stesse unità di misura.Per quanto riguarda il punto b, generalmente foraggi non hanno la stessa con-centrazione in termini di sostanze nutritive, in quanto queste variano secondo l’ambiente dove sono state coltivate. Le temperature moderatamente calde – so-prattutto notturne - aumentano il metabolismo dei foraggi in accrescimento; nelle regioni a clima caldo, come può essere la Puglia, le piante accumulano pochi

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carboidrati digeribili, mentre è abbondante la produzione di fibra. Al contrario, nei climi freddi le foglie e gli steli accumulano carboidrati digeribili e proteine, per cui le piante di queste regioni hanno un valore nutritivo più elevato. I vegetali utiliz-zano la luce solare per produrre composti ad alta energia; lunghi periodi di nuvo-losità o di scarsa illuminazione portano alla produzione di foraggi meno digeribili di quelli prodotti in condizioni di elevata luminosità. Gli effetti dell’umidità del suolo sono variabili: leggeri stress idrici rallentano la maturazione delle piante e quindi non ne peggiorano il valore nutritivo; forti stress idrici, al contrario, cau-sano sempre un aumento della fibrosità della pianta e la diminuzione del valore nutritivo. La fertilità del suolo ha poca influenza sul valore nutritivo dei foraggi, e leggeri cambiamenti sono talora evidenti solo nella loro dotazione in elementi minerali. L’aumento della concimazione azotata provoca un incremento del te-nore in proteina grezza, ma non influenza la digeribilità dell’erba; al contrario, una eccessiva fertilizzazione azotata può talora aumentare il contenuto di nitrati nelle piante. Per quanto riguarda la concentrazione proteica, la fibra, le tossine o la presenza di altre sostanze dannose variano a seconda della specie vegetale o della varietà. Le leguminose (trifogli, veccia, erba medica), hanno general-mente concentrazioni più elevate di proteina rispetto alle graminacee, mentre in queste ultime il tenore di fibra e zuccheri è maggiore; le graminacee annuali e alcune infestanti possono avere contenuti elevati di nitrati. Con l’avanzare della maturità, la percentuale di fibra (che è meno digeribile rispetto ad altre compo-nenti nutritive) aumenta; ciò deprime la concentrazione di energia digeribile e di energia netta della pianta. Inoltre, con l’avanzare della maturità della pianta, l’incremento di fibra e - conseguentemente – di “ingombro” nel rumine, fa sì che l’animale ingerisca sempre meno alimento. Le foglie - soprattutto di leguminose - contengono più proteina ed energia digeribile degli steli; questi sono più ricchi in fibra. Il rapporto foglie/steli peggiora con l’avanzare della maturità della pianta, di conseguenza le condizioni di raccolta e di conservazione che consentono di salvaguardare le foglie forniranno un foraggio più ricco in proteina ed energia. Per quanto riguarda infine la raccolta, è noto che le cellule vegetali continuano a respirare durante l’essiccazione, riducendo in tal modo la concentrazione di energia digeribile residua della pianta.La pioggia sul foraggio tagliato diminuisce la concentrazione di sostanze nutriti-ve solubili e aumenta la perdita di foglie. Tecniche in grado di velocizzare l’essic-camento, di diminuire il tempo di permanenza in campo e di ridurre le perdite di foglie consentono di ottenere un prodotto a più elevato valore nutritivo. Bisogna ottenere un foraggio con un tasso di umidità compreso tra intervalli precisi e caratteristici di ogni prodotto: - il fieno troppo umido perde energia e sostanza secca a causa del riscaldamen-to e del danneggiamento indotto;

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- insilati troppo umidi possono percolare e fermentare per periodi più o meno lunghi, perdendo in tal modo le sostanze nutritive solubili; - insilati troppo secchi favoriscono la crescita di muffe e il surriscaldamento.Ancora più delicata è la valutazione degli alimenti, da effettuarsi attraverso un compromesso tra l’accuratezza scientifica, l’applicabilità del momento ed il co-sto. In generale si fa ricorso a metodi di determinazione fisici e chimici. Per una corretta valutazione degli alimenti - soprattutto se di origine aziendale (fieni, erbe, insilati) è consigliabile utilizzare entrambi i metodi, in modo da avere un indicazione puntuale dei foraggi presenti in azienda, la cui composizione risulta molto influenzata dalle condizioni pedo-climatiche.Ad esempio, nel trifoglio incarnato la proteina varia, sul secco, dal 9,8 al 14,5% e oltre; nel fieno di un prato misto, dal 8,5 al 16%. Inoltre, è consigliabile destinare i foraggi di migliore qualità nel razionamento di animali più produttivi o quando la richiesta di sostanze nutritive è alta. I foraggi di minor qualità vanno impiegati nel razionamento di animali con fabbisogni nutrizionali inferiori.L’analisi dei foraggi è essenziale per stabilire il loro valore economico. Con l’ana-lisi chimica si può stabilire che tipo di foraggio utilizzare, comprare o vendere; i dati analitici servono anche a stimare l’eventuale influenza delle tecniche agro-nomiche e valutare eventuali correzioni (Figura1).Gli animali producono meglio e di più quando sono alimentati con razioni bi-lanciate che soddisfano i loro fabbisogni. Sfortunatamente, le razioni bilanciate utilizzando solo valori medi tabulati non possono garantire una ottimizzazione della razione: i manuali sono una utile guida che però, a seconda dei casi, so-vrastimerà o sottostimerà il valore dei foraggi aziendali. Con l’analisi chimica dei foraggi aziendali è possibile ottimizzare la razione abbassandone notevolmente

il costo. Certe volte l’allevatore è portato a sottovalutare le indicazioni fin qui riportate e si affida alla sua esperienza mettendo in atto le sole valutazioni fisiche. Vista, olfatto e tatto sono utili indicato-ri, anche se talvolta ingannevoli, del valore nutritivo di un alimen-to. Lo stadio di maturazione del-la pianta, i materiali estranei o inquinanti e la fogliosità posso-no essere stimati a vista e forni-scono informazioni utili; muffe e odori sgradevoli sono indicatori

Figura 1 – Campo di avena, una delle specie gramina-cee più diffuse come foraggera

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di scarsa qualità dovuta, ad esempio, a errori di conservazione. Una interessante analisi fisica consiste nel determinare la quantità di fibra effet-tivamente utilizzabile dall’animale per la ruminazione (“eNDF” o NDF effettiva); essa corrisponde alla quota apportata da foraggi e insilati (e non da granelle e mangimi) di dimensione superiore a 1,18 cm. La determinazione della “eNDF” si effettua setacciando un’aliquota di unifeed su griglie a maglie variabili e sovrap-poste. Il valore potenziale di un alimento quale apportatore di un determinato principio alimentare è indicato dall’analisi chimica, ma il suo reale valore per l’animale può essere stimato solo dopo aver tenuto conto delle inevitabili perdite che si verificano nel corso della sua digestione, dell’assorbimento e della sua utilizzazione metabolica. L’analisi dei principi nutritivi di un alimento è comune-mente eseguita per via chimica in laboratorio; essa è essenziale per formulare previsioni accurate delle performance degli animali, i cui fabbisogni sono riferiti ai medesimi principi nutritivi presenti negli alimenti e sono espressi nelle stesse unità di misura (kg, g, mg, UFL, Mcal, MJ, etc.). Tra i nuovi sistemi analitici è da ricordare la tecnica NIR (Near-Infrared, o Vicino Infrarosso), rapida, economica (se applicata a un grande numero di campioni) e computerizzata. Con il NIR, gli alimenti sono analizzati in pochi minuti o secondi, mentre con l’analisi chimica tradizionale sono necessari ore o giorni. Al vantaggio dovuto alla riduzione dei tempi e dei costi di analisi si contrappone il rischio di non poter effettuare l’analisi su tutta la gamma degli alimenti oggi in commercio o su tutti i parametri richie-sti.Molte delle nozioni che si hanno sulla composizione degli alimenti derivano da un metodo analitico piuttosto sommario descritto come “metodo standard (o usuale) di analisi degli alimenti”, o “secondo Weende”, proposto oltre un secolo fa da due scienziati tedeschi. Questo metodo suddivide l’alimento in sei frazioni: acqua,ceneri (sostanze minerali), proteine grezze, estratto etereo (o – impro-priamente – grassi), fibra grezza (carboidrati strutturali o della parete cellulare) e estrattivi inazotati (carboidrati non strutturali o del contenuto cellulare). Que-st’ultima frazione non viene in realtà determinata analiticamente, ma deriva dal complemento a 100 delle altre. Il “metodo standard” è stato da più parti criticato per la sua grossolanità e im-precisione; la maggior parte delle critiche riguarda le frazioni della fibra grezza e degli estrattivi inazotati. Il chimico americano Van Soest ha proposto una diver-sa valutazione analitica della quota fibrosa degli alimenti, che va sotto il nome di NDF (Fibra Neutro Detersa) e ADF (Fibra Acido Detersa); se poi si utilizza il modello CNCPS , il principio del “frazionamento” va applicato non solo ai carboi-drati, ma anche a tutti i composti contenenti azoto: dall’urea alle proteine com-plesse. I dati così ottenuti sono utilizzabili per stimare quanta parte dell’alimento – e in quanto tempo - viene degradata dai batteri ruminali, o digerita e assorbita,

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o escreta indigerita nelle feci.Di fronte a tutto questo sussiste sempre il principio economico, in quanto è prati-camente impossibile affrontare sempre una mole notevole di analisi analizzando tutti gli alimenti. Secondo noi sarebbe opportuno analizzare solo gli alimenti che possono modificare in modo sostanziale il costo della razione e le performances degli animali. L’analisi è fondamentale quando si prevedono grosse differenze tra composizione chimica stimata e reale.

9.3 Fabbisogni nutritivi degli animaliI fabbisogni nutritivi di un animale sono i quantitativi necessari, giornalmente, dei seguenti principi nutritivi:- energia- proteine- vitamine- mineralie, per i ruminanti, si dovrà aggiungere- fibraA tal proposito bisogna considerare che i ruminanti sono i soli animali domestici utilizzati dall’uomo che per soddisfare i propri bisogni non entrano direttamente in competizione con l’uomo in quanto utilizzano i foraggi. In virtù della presenza dei prestomaci, tale categoria di animali riesce ad utilizzare la fibra e quindi i foraggi. Le esigenze nutritive di questi animali variano, in funzione dei seguenti 7 fattori:1.peso corporeo o, più precisamente, peso metabolico;2.ritmo di accrescimento, per i giovani in accrescimento;3.ritmo di variazione ponderale (ingrassamento o dimagrimento), soprattutto ne-gli adulti;4. livello produttivo (carne e/o latte) 5. stadio riproduttivo, limitatamente alle femmine in gestazione avanzata (ultimo terzo della gravidanza) ed ai maschi in attività riproduttiva (periodo di monta);6. attività motoria, limitatamente agli animali al pascolo e/o in stabulazione libera;7. dispendio energetico per termoregolazioneSulla base di tali esigenze, è possibile poi considerare 2 differenti aspetti: nutri-zionale e funzionale.Sotto l’aspetto nutrizionale le esigenze sono le seguenti :- energetiche; - proteiche, o più in generale azotate;- minerali;- vitaminiche;- idriche;

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- carboidrati strutturali (fibrose);- carboidrati non strutturali;- lipidiche;Sotto l’aspetto funzionale le esigenze sono le seguenti: - di mantenimento, comprensive anche di quelle del normale movimento o deam-bulazione;- di percorrenza, limitatamente agli animali in stabulazione libera e/o pascolanti; - di variazione ponderale (ingrassamento o dimagrimento), comprensive — limi-tatamente ai giovani però — anche di quelle di accrescimento; - di produzione, intesa sia come quantità che come qualità, la quale è identificata di fatto con il contenuto lipidico del latte; - di riproduzione (di gestazione per le femmine e di monta per i maschi); - di termoregolazione.

Di tutti questi parametri che abbiamo elencato, è opportuno soffermarsi su quelli più importanti.L’energia è indispensabile ad un animale per svolgere tutti i processi biochimici necessari alla sopravvivenza, ma anche alla riproduzione, in senso lato, ed alla produzione. La fonte energetica per un animale è la sostanza organica da ossi-dare, ed in particolare glucidi e lipidi.L’energia contenuta in un alimento si misura in calorie (cal) o, più modernamen-te, in Joule (J).E’ più comodo utilizzare Kcal e KJ o addirittura Mcal e MJ

1J = 0,239 cal o 1 MJ = 0,24 Mcal1 cal = 4,18 J o 1 Mcal = 4,18 MJ

di Energia digeribile DE, oppure di Energia metabolizzabile ME, oppure di Ener-gia netta NE, oppure di Energia netta differenziata secondo la funzione produtti-va e le categorie animali (di mantenimento NEM per animali in mantenimento; di accrescimento e/o ingrasso NEG, per animali in accrescimento e/o ingrasso; di lattazione NEL, per femmine in lattazione, in asciutta e/o in gravidanza), secon-do lo standard americano.In effetti, gli americani utilizzano questa misura diretta dell’energia negli alimenti e nei fabbisogni alimentari del bestiame. In Europa continentale, invece, è più diffusa la misura indiretta, ricavata tramite l’equivalenza dei diversi alimenti con un alimento di riferimento: l’orzo.Dall’inizio del ventesimo secolo, come abbiamo accennato poc’anzi, l’unità di misura utilizzata in Europa è stata l’unità foraggera (UF), poi modificata in due nuove unità: UFL e UFC. Unità foraggere differenziate per attitudine oppure per

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destinazione produttiva degli animali (Unità foraggere latte UFL per animali da latte e simili oppure Unità foraggere carne UFC per animali da carne e simili), secondo lo standard francese, ormai in uso anche in Italia. L’unità foraggera corrisponde all’energia contenuta in un kg di orzo (semi).

1 UF = 1760 kcal (1,76 Mcal) = 7,365 MJ

Questa misurazione non tiene conto della destinazione produttiva dell’alimento. Da ricerche effettuate si è potuto verificare che è più esatto utilizzare le nuove unità di misura (UFL e UFC) in quanto tengono conto anche della destinazione produttiva, latte o carne.

1 UFL = 7,11 MJ = 1,699 Mcal1 UFC = 7,62 MJ = 1,821 Mcal

Il valore energetico di una UFC (7,62 MJ) corrisponde all’energia netta (EN) com-prensiva di mantenimento e accrescimento (cioè produzione) contenuta in 1 kg di orzo. Questo perché, secondo stime dei ricercatori francesi che hanno proposto questo sistema (INRA, 1978 e 1980), il 60% dell’energia metabolizzabile EM è uti-lizzata per il mantenimento ed il restante 40% per l’accrescimento e ingrasso. Nel caso della produzione del latte, le percentuali cambiano, e una UFL vale meno di una UFC (7,11 MJ) in termini di energia netta di produzione. Quindi il valore nutritivo dell’orzo è diverso se diversa è la sua utilizzazione produttiva.Un altro parametro di grande importanza nella nutrizione del bestiame riguarda le pro-teine, sostanze plastiche per eccellenza con funzione strutturale negli organismi dei vertebrati. Un’altra grande funzione delle proteine è quella enzimatica. Negli animali, il fabbisogno proteico deriva dalla necessità di rifornirsi di aminoacidi per costruire nuove strutture (membrane cellulari, tessuti etc.) o per rinnovare quelle esistenti (ricambio o turn-over) oppure per produrre enzimi e altre proteine speciali. Le sostanze proteiche non forniscono energia all’animale. Anche per quanto riguarda l’aspetto del contenuto in sostanze proteiche, in questi ultimi quindici anni, sono stati introdotti i concetti di qualità e quantità. Poiché l’ap-porto delle sostanze azotate con gli alimenti è finalizzato a fornire all’animale gli ami-noacidi necessari per le sintesi proteiche connesse alle sue attività metaboliche vitali di mantenimento e produzione. I sistemi proposti per esprimere il valore proteico si basano proprio sulla misura, o sulla stima, della qualità e quantità degli aminoacidi resi disponibili per digestione ed assorbiti e dell’efficienza con cui questi vengono utilizzati nelle sintesi anaboliche delle proteine. La quantità e qualità della miscela di aminoacidi assorbiti dipendono dalle caratteristiche di composizione in aminoacidi dell’alimento e della sua digeribilità nei monogastrici, ma non nei ruminanti, nei quali

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va considerata l’attività microbica di degradazione delle proteine alimentari e di sin-tesi di quelle microbiche. Il ruminante, infatti, si trova a digerire non le proteine che erano presenti nell’alimento, come è il caso del monogastrico, bensì anche le protei-ne microbiche neo formate nel rumine. Da qui la constatazione di individuare negli alimenti tre gruppi di frazioni proteiche, a cui corrispondono diverse caratteristiche di solubilità e degradabilità ruminale, oltre che una diversa digeribilità intestinale:- Frazione A (NPN:aminoacidi e peptidi, NH3, No3, urea) – scompaiono nel rumine, non giungono nell’intestino;- Frazione B (B1, B2, B3) – sono parzialmente e diversamente degradate nel rumi-ne e utilizzate nell’intestino;- Frazione C (aminoacidi legati alla lignina) – sono completamente inutilizzati sia a livello del rumine che dell’intestino.In pratica le proteine hanno diversa digeribilità intestinale a secondo della quantità di energia a disposizione nel rumine e a secondo della quantità di proteine e quindi di N a disposizione. Quando le proteine giungono nel rumine la micropopolazione presente inizia una degradazione che termina quando tutto l’azoto presente si esaurisce, oppure quando si esaurisce l’energia disponibile per operare la sintesi (questo nell’ipotesi che l’azoto per la sintesi sia presente in quantità non limitata). Nel primo caso il calcolo si fa considerando l’azoto come il fattore limitante, nel secondo, invece, considerando l’ener-gia come fattore limitante. Quindi l’entità delle proteine microbiche viene definita con due diversi valori: proteine microbiche la cui sintesi è permessa dall’energia (PDIME) e proteine microbiche la cui sintesi è permessa dall’azoto (PDIME). Per approfondimenti del tema si rimanda il lettore al manuale dell’INRA (1980). Un altro aspetto da considerare riguarda le vitamine e i minerali. Trattasi di sostanze di natu-ra chimica di varia natura aventi specifiche nel metabolismo. Alcune fungono da coenzimi, altre sono mediatori dell’azione ormonale., etc. Sono indispensabili, in quanto gli animali non possono produrle a partire da altre sostanze. I minerali svolgono importanti funzioni come cofattori enzimatici, o sono costituenti di tessuti specifici (Ca, P Fe) o servono per regolare la pressione osmotica, la permeabilità cellulare e la contrazione muscolare (Na, K, Ca, Mg).Sia le vitamine che i sali minerali sono generalmente necessari in quantità molto picco-le, fatta eccezione per Ca, P, Fe, assorbiti in quantità maggiore e da tenere in attenta considerazione.

9.4 La fibraAltro parametro molto importante nei ruminanti è la fibra grezza. Si tratta dell’insieme dei costituenti della parete cellulare dei vegetali o, a volte, l’insieme degli alimenti che ne sono ricchi. E’ costituita da:- Cellulosa- Emicellulosa

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- Lignina- Altri polisaccaridiLa ragione dell’indispensabilità dei carboidrati strutturali per i ruminanti risiede in due aspetti:a) La fermentazione ruminale, ad opera della microflora ivi operante, avviene a carico di tutte le sostanze, ma la cellulosa regola la fermentazione rendendola più lenta e control-lata, e portando ad una produzione di AGV (acidi grassi volatili) ottimale da punto di vista del rapporto acetato\propionato, senza effetti negativi per l’animale;b) La necessità di masticare a lungo gli alimenti fibrosi stimola la produzione di saliva (si è calcolato a tal riguardo fino a 150 l/d nei bovini e 10 l/d per gli ovini), che mantiene il pH ruminale nei valori normali (5,5 – 6,5) grazie al suo sistema tampone.Altra cosa è la lignina. Non si tratta di un polisaccaride, e nemmeno di un glucide, è invece un miscuglio di polimeri aromatici derivati da alcuni precursori quali:- Alcool cumarilico- Alcool coniferilico- Alcool sinapilicoEsistono vari tipi di lignina in dipendenza dalle piante in cui si forma: nella composi-zione della lignina delle piante erbacee, principalmente delle graminacee, prevale tra i precursori l’alcool cumarilico. L’alcool coniferilico è invece il precursore più abbondante della lignina delle conifere, e infine la lignina delle angiosperme legnose (latifoglie) deriva soprattutto dall’alcool sinapilico. Dopo i polisaccaridi la lignina è il polimero organico più abbondante nel mondo vegetale.La determinazione chimica della fibra grezza, come abbiamo accennato prima, pre-vede due metodi: il sistema Weende, molto semplice con determinazione della sola fibra grezza ed il sistema Van Soest che prevede la determinazione dell’NDF (com-prende principalmente cellulosa, emicellulose e lignina) ed è una misura della inge-ribilità del foraggio: più alta è l’NDF, meno foraggio può essere ingerito dall’animale; l’ADF (comprende principalmente cellulosa e lignina) ed è una misura della digeribi-lità del foraggio: più è alta è l’ADF, minore è la digeribilità, e ADL (da indicazioni sul contenuto in lignina) residua ed indica la quantità di lignina contenuta nell’ADF: più è alta l’ADL, minore è la digeribilità). Il contenuto in fibra dei foraggi dipende da numerosi fattori quali la specie, la varietà, lo stadio di maturazione, l’epoca di sfalcio, le condizioni ambientali. Solo l’NDF misura il contenuto totale in fibra e permette di quantificare le differenze tra i diversi foraggi (Tabella1) e tra foraggi e concentrati. L’NDF rappresenta i componenti strutturali degli alimenti che richiedono una maggiore attività di masticazione per la riduzione delle di-mensioni ed influenza la costante di passaggio degli alimenti (Kp). Inoltre l’NDF è il migliore indice chimico correlato all’assunzione volontaria di sostan-za secca. ADF e ADL sono correlate più con la digeribilità che con l’assunzione di sostanza secca.

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Tabella 1 - Valori orientativi di FG NDF ADF e cellulosa nelle principali clas-si di foraggio

La degradazione della fibra a livello ruminale, come abbiamo accennato sopra, consiste nell’idrolisi dei carboidrati e nella loro fermentazione con produzione di AGV, gas di fer-mentazione e calore. I polisaccaridi della fibra vengono lentamente degradati in un pro-cesso tempo dipendente (3-9%/h vs 10-20%/h dei carboidrati non strutturali). La lignina è identificata come il costituente fibroso che maggiormente limita la degradabilità della fibra. I principali fattori che influenzano la degradabilità della fibra sono: - proprietà chimico-fisiche della fibra (composizione, dimensione delle particelle, ca-pacità di idratazione, azione tamponante, capacità di scambio cationico); - trattamenti e modalità di conservazione; - composizione della dieta (quantità e costante di fermentazione dei carboidrati non strutturali); - livello di ingestione e tasso di passaggio; - modalità di distribuzione degli alimenti; - stadio fisiologico. L'entità della degradazione effettiva della fibra dipende dalla degradabilità e dalla costante di degradabilità (Figura2), nonché dal tempo di ritenzione ruminale.

Tabella 2 - Valori di sostanza secca, degradabilità costante di degradabili-tà di alcune foraggere

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Inoltre bisogna considerare, a proposito dell’NDF, la sua natura fisica, a seconda se supera o meno un setaccio avente i fori di 1,18 mm. In questo modo avremo due NDF, peNDF, valore più grossolano, rappresenta una misura della capacità di un alimento di stimolare la masticazione e la ruminazione, nonché di influenzare la natura bifasica del contenuto ruminale. Tale parametro è correlato alle caratteri-stiche fisiche dell’NDF, principalmente alle dimensioni delle particelle. Altro valore è l’eNDF, costituita dalle particelle che superano il setaccio di 1,18 mm. In pratica si tratta di quella quota dei NDF che riscontriamo spesso nei concentrati. Siccome

il peNDF si riferisce esclusiva-mente alle proprietà fisiche del-la fibra è un termine più ristretto dell’eNDE (Merteus, 1992). Il valore di peNDF sarà sempre minore del valore di NDF, laddo-ve l’eNDF può essere sia mino-re che superiore al contenuto di NDF di un alimento (Figura2). I valori di peNDF di alcuni alimen-ti, stimati utilizzando misure chi-mico fisiche, sono riportati nella Tabella3.

9.5 Il Flusso energetico durante la digestioneCon l’alimentazione degli alimenti al bestiame viene somministrata dell’energia, che inizialmente viene detta energia lorda e soggetta a successive perdite durante la digestione ed il metabolismo fino a giungere all’energia netta, effettivamente dispo-nibile per lo scopo finale cui è destinata (Figura3). Le perdite di energia con le feci sono dovute alle sostanze non digerite, che finisco-no appunto nelle feci. Resta l’energia digeribile (ED), ma, nel metabolismo, essa subisce una perdita dovuta alle sostanze presenti nelle urine e ai gas di fermenta-zione, che vengono espulsi all’esterno. Si arriva all’energia metabolizzabile (EM), che ancora deve essere però diminuita dell’energia corrispondente all’incremento di calore dovuto alla sua stessa utilizzazione. In totale, le perdite vanno dal 35 all’85%. Ciò che destinato tutto all’utilizzazione finale: mantenimento e produzione.Una parte dei principi nutritivi deve necessariamente e costantemente ricostitui-re i diversi componenti cellulari e dei tessuti (turn-over); servono semplicemente a mantenere in vita l’animale, deve essere continuamente reintegrata. La quota di principi nutritivi così utilizzata, è destinata al mantenimento dell’anima-le. Il fabbisogno di mantenimento indica proprio tale quota.

Figura 2 – Interazione fra valori di NDF, peNDF ed eNDF

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La quota di principi nutritivi che, una volta soddisfatto il fabbisogno di mantenimen-to, resta disponibile per ac-crescere la massa corporea (scheletro, muscoli, adipe) e le produzioni cutanee (lana) o per la sintesi del latte, vie-ne definita fabbisogno di produzione.Le produzioni zootecniche riguardano carne e grasso, lana, latte e uova. Nei sog-getti destinati alla macel-lazione, esclusi gli adulti a fine carriera, la produzione è Figura 3 – Flusso dell’energia degli alimenti durante la

digestione

Tabella 3 – Valori di peNDF in alcuni alimenti

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strettamente connessa con l’accrescimento e lo sviluppo corporeo: sono cioè animali giovani. Le altre produzioni provengono invece per lo più da adulti, che hanno cessato, o quasi, di accrescersi e svilupparsi.I fabbisogni di mantenimento, così come sono stati definiti, sono teoricamente pari ai consumi necessari al metabolismo basale. In realtà, tuttavia, l’animale deve anche muoversi, regolare la propria temperatura rispetto a quella ambien-tale, masticare e digerire gli alimenti, produrre sudore, saliva etc. Pertanto i fab-bisogni di mantenimento sono sempre superiori al puro metabolismo basale. Essi aumentano all’aumentare del peso vivo (PV) degli animali, ma in misura meno che proporzionale.I fabbisogni di produzione sono ovviamente direttamente proporzionale alla quantità della produzione. Distinguiamo fabbisogni di:- accrescimento: principi nutritivi accumulati dall’animale in accrescimento più il consumo energetico relativo; nei giovani serve più proteina e meno energia, l’opposto nei meno giovani. Riguarda la produzione della carne (vitelli, vitelloni, suini, agnelli);- gravidanza: principi nutritivi ed energia necessari all’accrescimento e lo svilup-po del feto; il fabbisogno diventa sensibile solo nelle ultime settimane;- lattazione: principi nutritivi ed energia accumulati nel latte prodotto, compreso il consumo energetico per la sintesi.

9.6 Il calcolo della razioneAffinché vengano soddisfatti i fabbisogni (accrescimento, gravidanza e/o latta-zione) è necessario conoscere la quantità di ingesta, a tal fine è necessario calcolare la quantità di sostanza secca (SS) ingerita. Nel caso dei ruminanti l’in-gestione corrisponde alla quantità di alimenti, espressa in kg di SS, ingeriti volontariamente nelle 24 ore.Questo dato è piuttosto importante, dato che l’intero fabbisogno giornalie-ro di un animale deve essere necessariamente compreso nella quantità di alimenti che esso è in grado di ingerire volontariamente. Qualora non ne tenessimo conto, forniremmo una razione che potrebbe non essere ingerita completamente, non colmando i fabbisogni dell’animale, o potrebbe essere insufficiente, spingendolo ad ulteriore consumo (es. di paglia della lettiera o di alimenti destinati ad altri animali). L’ingestione si deve misurare in SS e non in termini di alimento tal quale (tq) poiché l’acqua contenuta negli ali-menti viene continuamente eliminata con l’urina. Inoltre, alimenti con conte-nuti in umidità diversi non vengono ingeriti nelle stesse quantità in termini di tq. Lo stimolo ad ingerire o meno alimenti è dovuto allo stato di riempimento o ingombro (replezione) del rumine, a sua volta condizionato dalla SS totale fino ad allora ingerita nonché al contenuto in FG ed allo stato di lignificazione

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degli alimenti utilizzati. A tal proposito nella Figura 4 indichiamo come con-vertire i dati della composizione chimica tra SS e tq e viceversa.

Figura 4 – Formule di conversione per sostanza secca (ss), valori tal quale (tq)

Recentemente si è data la giusta importanza alla previsione della capacità di ingestione di sostanza secca, anche se limitatamente ai bovini, ai fini di una corretta e realistica formulazione delle razioni. Fra le proposte avanzate da varie scuole, due ci sembrano da citare come le più usate per la pratica del raziona-mento: il sistema che chiameremo di Mertens (1987), che considera il contenuto di NDF della razione ed il sistema francese dell’INRA. Tralasciando quest’ultimo in quanto estremamente complicato descriviamo, anche se molto sommaria-mente, il “sistema Mertens”.Partendo dalla considerazione che gli animali consumano sostanza secca ali-mentare, allo scopo primario di soddisfare i propri fabbisogni energetici e sulla base di questo assunto, si può impostare la seguente equazione per la previsio-ne del consumo volontario di sostanza secca (Css), basata sulla conoscenza del fabbisogno energetico dell’animale (FB) e della concentrazione in energia netta dell’alimento (EN):

Css = FB/EN

Va da sé che, se si sceglie un livello diverso di energia, ad esempio la metabolizzabile, sia il fabbisogno che la concentrazione energetica alimentare devono essere espres-si nella stessa unità di misura. È un’equazione parzialmente teorica, valida per gli ali-menti il cui consumo non è limitato dall’ingombro. In pratica alimenti non ingombranti in assoluto non esistono: non è pensabile che un alimento caratterizzato da una con-

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centrazione energe-tica vicina allo zero possa essere con-sumato in quantità pressoché infinita. Sull’asse delle ascis-se in basso (Figu-ra5), sono riportati i valori di concen-trazione di energia netta della razione in MJ/kg di sostanza secca. Esempio numerico: la dieta che viene offerta ad una bo-vina di 600 kg di peso vivo, in latta-zione, che abbia

un fabbisogno in energia netta di 20 UFL, ovvero di 142 MJ al giorno, contiene 6 MJ di EN/kg ss. Applicando la formula si ha una previsione di consumo di 23,7 kg di sostanza secca al giorno:

Css = 142/6 = 23,7 Kg ss

D’altra parte, si può impostare una seconda equazione, questa volta che tenga conto del cosiddetto volume di ingombro dell’alimento. Il concetto di volume di ingombro tiene conto dei fattori fisici di regolazione del consumo, quelli che, distendendo le pareti degli organi dell’apparato gastro-en-terico, fanno cessare lo stimolo a consumare. Poiché gli alimenti per i ruminanti sono sicuramente di origine vegetale, il loro contenuto in fibra neutro detersa (NDF) si è rivelato un ottimo indicatore del volume d’ingombro. Pertanto la se-conda equazione proposta per la previsione della capacità di ingestione (CI) è la seguente:

Css = CI/NDF

Nella stessa figura 5, sull’asse delle ascisse la qualità della razione è anche espressa in contenuto di NDF in frazioni dell’unità di peso della sostanza secca, per cui la dieta dell’esempio numerico ha il 40% di NDF. Anche in questo caso la

Figura 5 – Valori di concentrazione di energia netta nella razione alimentare

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curva corrispondente all’equazione precedente è parzialmente teorica: una ra-zione povera di NDF è scarsamente ingombrante e una razione con il 20% (0,2 kgJkg ss) di NDF potrebbe, in teoria essere consumata nella misura di oltre 30 kg di sostanza secca. La qual cosa è impossibile perché una razione del genere ha un’elevata concentrazione energetica ed il suo consumo viene limitato che-miostaticamente. Se la capacità di ingestione della bovina dell’esempio è di 6,9 kg di NDF al giorno (indicativamente corrisponde all’1,25% del peso corporeo), il consumo previsto in questo caso è:

Css = 6,90/0,4 = 17,3 Kg ss

In definitiva, allora, cosa succede nella pratica? Ciascuna delle due curve pre-senta una porzione possibile (quella a tratto pieno) e una porzione praticamente impossibile (quella tratteggiata) Andando ad esaminare il grafico vediamo che la nostra razione, con 4 MJ di EN e 0,6 kg di NDF per kg di sostanza secca, viene consumata, secondo la prima formula, per 23,7 kg di sostanza secca e, secondo la seconda formula, per 17,3 kg. Il consumo previsto possibile nella pratica è sempre il valore più basso dei due, quello che si trova sulla porzione a tratto pieno delle curve, in questo caso 17,3. Sul grafico c’è una linea tratteg-giata verticale che fa da spartiacque fra due zone del grafico. Tale linea ha un valore di ascissa che corrisponde al punto in comune delle due curve, là dove la curva crescente si incontra con la curva decrescente. Se ci troviamo a sinistra di questa linea di demarcazione, siamo nella zona di deficit energetico e sarà !’in-gombro fisico dell’alimento a limitarne il consumo. Se ci troviamo a destra della linea tratteggiata siamo nella zona di soddisfacimento energetico e sarà la con-centrazione energetica il fattore limitante. Si noti l’apparente confusione finora fatta fra i due termini consumo volontario e capacità di ingestione. È il momento di fare chiarezza. Si tratta, in effetti, di sinonimi, ma il primo è condizionato da fattori chemiostatici: l’animale mangia fino a raggiungere un consumo di sostan-za secca che gli garantisca il soddisfacimento dei suoi fabbisogni energetici; il secondo è condizionato da fattori fisici: l’animale consuma l’alimento fino al volume permesso dalla capacità di ingestione del suo apparato digerente. Uno solo dei due è possibile, l’altro è puramente teorico. Detto questo veniamo ad una applicazione pratica calcolando la razione di una vacca da latte di 600 Kg di PV che produce 30 Kg di latte al 4,2% di grasso.La prima cosa che dobbiamo fare e rintracciare sulle tavole di qualsiasi testo di alimentazione animale i fabbisogni di mantenimento e di produzione, per es. il Mc Donald et al. (1988) è uno di questi, ma c’è ne sono altri, dove troviamo:

Fabbisogno di mantenimento = 5,1 UFL + 530 g di PG

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Fabbisogno di produzione = 13,5 UFL + 3000 g PGTotale = 18,6 UFL + 3530 g PG

Ingestione = 19,2 Kg di SS(ogni Kg di SS somministrata dovrà contenere)

18,6/19,2 = 0,97 UFL3530/19,2 = 184 g PGAdesso dobbiamo ipotizzare di prendere in esame due alimenti (dipende dall’or-dinamento colturale dell’azienda, dalle disponibilità economiche, dalla necessità di smaltire dei sottoprodotti, etc. etc.)

1. 1,12 UFL\Kg SS; 113 g PG\Kg SS2. 0,51 UFL\Kg SS; 387 g PG\Kg SS

Eseguiamo il calcolo applicando il quadrato di Pearson (Dell’Orto e Savoini, 2005; Figura 6)In conclusione, combinando l’alimento 1 con 1,12 UFL e l’alimento 2 con 0,51 UFL per ottenere un miscuglio con 0,97 UFL, dovremo usare il 75,4% dell’ali-mento 1 ed il 24,6% dell’alimento 2. Fortunatamente tale miscuglio è anche pressoché sufficientemente dotato in PG (180 f ca.), quindi la razione è all’incir-ca a posto, altrimenti, a tentativi, dovremmo riconsiderare il tutto.

Figura 6 – Esempio di calcolo di razione alimentare

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10- LE COLTURE INDUsTRIALI: IMPORTANzA ECONOMICA

E sPECIE COLTIVATE NELL’AREALE PUGLIEsEGiuseppe De Mastro

Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di AgrariaUniversità degli Studi di Bari

10.1 IntroduzioneIn generale la classificazione delle colture riflette vari elementi ad esse collegati includendo il ciclo colturale (temporanee o permanenti), la specie di appartenen-za, la varietà (comuni o ibridi), la stagionalità (frumento invernale/primaverile), l’uso (alimentare umano/zootecnico), la tipologia di prodotto (fresco/secco), il tipo di trasformazione (colture industriali), il tipo di coltivazione (colture protette, da pieno campo).Esigenze più specificatamente statistiche impongono una categorizzazione del-le colture più rigida in cui spesso prevale la stretta correlazione con la classifi-cazione dei prodotti da esse ottenibili, anche se non sempre biunivoca. Talvolta, infatti, una stessa coltura consente l’ottenimento di più prodotti così come a titolo di esempio è il caso del cotone dove oltre la fibra si ottiene seme ricco in proteine e grassi.A tal proposito il Dipartimento di Economia ed Affari Sociali - sezione di statistica delle Nazioni Unite ha proposto una revisione della classificazione delle colture (Indicative Crop Classification - ICC) per il censimento dell’agricoltura del 2010, basato su tre componenti principali: tipo di prodotto (cereali, ortaggi, ecc…) e per ciascun gruppo una ulteriore suddivisione in base al tipo di coltura; genere e specie della coltura; tipo di ciclo colturale (colture annuali o perennanti).La stessa FAO al fine di standardizzare i dati statistici relativi ai prodotti agricoli ha adottato un criterio di raggruppamento per il quale a ciascun prodotto prima-rio di origine agricola vengono abbinati i relativi prodotti trasformati. Al gruppo cereali, nella classificazione FAO, vengono ascritti 17 cereali primari con codice di riferimento, nome botanico e breve descrizione, e relativi prodotti ottenuti at-traverso processi di trasformazione meccanici o chimici dalla granella o dei suoi derivati (farina, amido, ecc..).Nell’ambito dei 20 gruppi identificati dalla FAO sono citate colture oleaginose, da fibra, tabacco, colture da tuberi e radici, leguminose, ecc... e rispettivi derivati ottenuti dalla loro trasformazione.E’ opportuno, però, precisare come a livello di singoli Paesi possa sorgere l’esi-genza, a fini statistici, di mantenere separati i diversi usi dei prodotti di diverse

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colture – alimentare o foraggero, fresco o secco, industriale o non industriale.A livello nazionale l’Istat, relativamente ai dati sulle coltivazioni agrarie erbacee, raggruppa le diverse colture in cereali, legumi secchi, piante da tubero, ortaggi in piena aria, legumi freschi, radici e bulbi, fusti foglie e infiorescenze, frutti, funghi di coltivazione e coltivazioni industriali.Nella classificazione proposta dall’ISTAT per coltivazioni industriali sono da in-tendersi colture che producono semi oleosi, piante tessili, tabacco e barbabie-tola da zucchero. Più genericamente le colture industriali sono rappresentate da specie vegetali diverse, coltivate per l’ottenimento di un prodotto il cui utilizzo è vincolato a pro-cessi di lavorazione e/o di trasformazione. Nella presentazione della nuova rivista internazionale ‘Industrial Crops and Pro-ducts’ la redazione del gruppo editoriale Elsevier definisce colture industriali quelle da cui è possibile ottenere gomme, oli e acidi grassi, cere, resine, polime-ri, fibre, oli essenziali, molecole biologicamente attive, utilizzate come lubrifican-ti, carburanti, alcool, carta e aromatizzanti, fragranze, farmaceutici, cosmetici ecc,,, includendo, oltre a quelle tradizionali (frumento, mais ed altri cereali, soia e altre leguminose, patata, barbabietola e canna da zucchero, noce di cocco, cotone, jojoba, cassava, colza, girasole, ecc,,), colture nuove come guayule, kenaf, canapa, crambe, cuphea, lesquerella, vernonia, guar, plantago, cartamo, piretro, agave, grindelia, ecc…Pur riconoscendo l’ampiezza del settore appare evidente che, a parte le esigen-ze puramente statistiche, a livello locale l’importanza di queste colture è dovuta a vocazionalità territoriali oltre a diretti interessi industriali nella trasformazione della materia prima e agli orientamenti di politiche agricole nazionali e comuni-tarie che nel tempo hanno condizionato non poco l’evoluzione delle superfici ad esse dedicate.Nell’ultimo quinquennio i dati statistici nazionali relativi alle coltivazioni industriali fanno riferimento a colture oleaginose quali soia, girasole e colza; alla barbabie-tola da zucchero, al pomodoro da industria, al tabacco e alle tessili quali canapa e lino, da considerarsi attualmente come colture minori, Nei capitoli successivi si riporta un analisi per gruppo di coltura sopracitato.

10.2 Colture da semi oleosiImportanza economica e diffusione Le colture oleaginose includono piante a ciclo annuale o poliennale i cui semi, frutti o mesocarpo e mandorla sono apprezzati commercialmente per l’olio ad uso alimentare o industriale che ne è possibile estrarre.Alcune di queste sono anche colture da fibra in quanto seme e fibre vengono raccolti dalla stessa pianta. Colture di questo tipo sono: cotone, lino, kapok, ca-

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napa e noce di cocco.Il mercato mondiale dei semi oleosi e dei suoi derivati rappresenta una quota rilevante di quello globale: in termini di valore, infatti gli scambi commerciali di questi prodotti si collocano al secondo posto nell’ambito delle commodity agrico-le. Il mercato, di per sé, è influenzato dal valore unitario e dalla domanda dei due principali co-prodotti ottenibili dalla prima trasformazione dei semi oleosi: gli oli, ulteriormente impiegabili in numerosi processi produttivi, ed i panelli o le farine, dotate di un tenore variabile in proteine, destinati, prevalentemente, ma non in via esclusiva, all’alimentazione animale.La produzione mondiale di semi oleosi ha subito a partire dagli anni ’60 un fortis-simo incremento con una rapida ascesa, nell’ultimo quinquennio (2003-2007), di Paesi come Indonesia e Malesia divenuti Paesi leader con a seguito Stati Uniti, Brasile, Cina, India ed Argentina (Tabella1).

Tabella 1 – Evoluzione delle produzioni di semi oleosi nel Mondo (2003-07)

Paesi2003 2004 2005 2006 2007 media

produzione (t)

Indonesia 14.385.420 16.193.165 18.663.711 20.529.147 21.553.246 18.264.938

Malesia 15.137.412 15.780.458 16.906.570 17.854.410 18.423.550 16.820.480

stati Uniti 14.479.964 17.842.887 18.119.300 18.137.980 15.109.549 16.737.936

Cina 14.817.907 16.598.887 16.292.161 15.620.360 14.689.293 15.603.722

Brasile 10.296.046 10.100.773 10.445.672 10.551.695 11.665.241 10.611.885

India 8.498.078 9.000.534 10.460.625 9.925.341 9.947.150 9.566.346

Argentina 7.939.115 7.159.093 8.749.514 8.998.270 9.922.686 8.553.736

altri 38.566.408 41.775.844 43.550.232 44.233.138 43.494.784 42.540.218

totale 124.120.350 134.451.641 143.187.785 145.850.341 144.805.499 138.699.260

FAOSTAT | © FAO Statistics Division 2009

La forte crescita registrata nell’ultimo decennio in questi Paesi è da attribuire al grande interesse per la palma da olio la cui produzione e superficie coltivata in Indonesia e Malesia, nell’ultimo decennio, si è quasi raddoppiata (Figura 1 e 2) a seguito dell’incremento della domanda mondiale di olio per fini energetici.

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1500000

2000000

2500000

3000000

3500000

4000000

4500000

5000000

1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

Prod

uzio

ne (t

)

Indonesia Malaysiaa

1500000

2000000

2500000

3000000

3500000

4000000

4500000

5000000

1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

Supe

ficie

(ha)

Indonesia Malaysiab

FAOSTAT | © FAO Statistics Division 2009 Figura 1 - Evoluzione delle produzioni (a) e delle superfici coltivate (b) a palma da olio in Indone-sia e Malesia

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Nell’ambito delle colture oleaginose la produzione di gran lunga più rilevante è quella della soia che rappresenta una quota superiore al 32% (Tabella 2), la cui coltivazione è concentrata per oltre l’80% negli Stati Uniti, Brasile, Argentina e Cina (Tabella 3). In termini di quantitativi alla soia seguono le produzioni di palma da olio, cotone, noce di cocco, colza, arachide e girasole.

Tabella 2 – Ripartizione per coltura delle produzioni in semi oleosi nel Mondo (2003-07)Prodotti 2003 2004 2005 2006 2007 media produzione (t)

soia 190.766.963 205.483.881 214.244.613 222.403.973 216.144.262 209.808.738

Palma da olio 150.047.849 163.338.590 173.272.168 180.939.136 192.490.298 172.017.608

Cotone 55.599.200 70.461.012 69.446.228 71.455.708 72.504.406 67.893.311

Noce di cocco 54.782.625 55.570.252 57.957.636 55.300.185 54.716.444 55.665.428

Colza 36.698.343 46.302.975 49.696.285 48.916.075 49.479.378 46.218.611

Arachide 36.215.190 36.214.031 38.094.423 34.471.314 34.856.007 35.970.193

Girasole 27.466.546 26.005.897 30.692.313 31.241.240 26.958.205 28.472.840

altri 30.123.178 30.443.295 28.717.016 25.990.728 25.668.005 29.533.476

totale 581.699.894 633.819.933 662.120.682 670.718.359 672.817.005 645.580.206

FAOSTAT | © FAO Statistics Division 2009

Tabella 3 – Evoluzione delle superfici coltivate ad oleaginose nel Mondo (2003-07)Paesi 2003 2004 2005 2006 2007 media superficie (ha)stati Uniti 29.330.310 29.930.060 28.834.570 30.190.680 30.562.400 29.769.604 Brasile 18.524.769 21.538.990 22.948.874 22.047.349 20.637.643 21.139.525 Argentina 12.421.000 14.320.000 14.037.000 15.097.388 16.100.000 14.395.078 Cina 9.312.715 9.581.835 9.593.710 9.100.085 8.900.100 9.297.689 altri 14.063.007 16.235.379 17.019.902 18.490.785 18.699.073 17.043.538 totale 83.651.801 91.606.264 92.434.056 94.926.287 94.899.216 91.645.434

FAOSTAT | © FAO Statistics Division 2009

A livello europeo le principali colture oleaginose sono rappresentate da colza e girasole con una quota superiore al 35% di quella mondiale per la prima e di

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circa un 60% per la seconda (Figura 2).

42%

35%

20%0%3%

Asia Europe America Oceania Africa

46.218.611 t - produzione media mondiale di colza (2003-07)FA OSTA T | ©  FA O Statis tic s  Div is ion 2009 | 02 June 2009 

60%

19%

18%0%3%

Europe America Asia Africa Oceania

28.472.840 t - produzione media mondiale di girasole (2003-07)FA OSTA T | ©  FA O Statis tic s  Div is ion 2009 | 02 June 2009 

Figura 2 – Distribuzione della produzione di colza e girasole nei principali Paesi

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La superficie investite a colture oleaginose nell’Unione Europea (EU-27) ha su-bito variazioni del tutto modeste (Tabella 4). Tabella 4 – Superfici investite a colture oleaginose nell’Unione Europea Colture 2003 2004 2005 2006 2007 media superficie (ha)colza 4.161.306 4.557.222 4.867.009 5.406.945 6.532.191 5.104.935

girasole 4.245.848 3.716.073 3.599.920 3.933.457 3.366.655 3.772.391

cotone 472.299 465.534 453.582 437.734 365.448 438.919

soia 422.878 386.726 419.319 487.461 355.283 414.333

altre 485.938 408.870 416.316 330.934 271.653 411.730

totale 9.788.269 9.534.425 9.756.146 10.596.531 10.891.230 10.142.308

FAOSTAT | © FAO Statistics Division 2009. Nota: escluso le superfici olivetate

La colza è la più importante coltura da olio coltivata nell’EU-27, seguita da girasole, cotone e soia. In risposta alla crescita della domanda di olio di colza per l’industria del biodiesel e a seguito dell’aumento del prezzo pagato per la granella si è assistito ad un incremento della superficie coltivata che ha superato nel 2007 i 6,5 milioni di ettari. La produzione in semi oleosi a partire dal 2004 si è stabilizzata sui 25 milioni di tonnellate con una lieve flessione della produzione di girasole nel 2007 dovuto a decorsi stagionali primaverili piuttosto siccitosi, in particolar modo in Bulgaria e Romania (Tabella 5).

Tabella 5 – Produzione di semi oleosi nell’Unione EuropeaColture 2003 2004 2005 2006 2007 media

produzione (t)

colza 11.065.363 15.461.818 15.649.381 16.122.541 18.304.558 15.320.732

girasole 6.337.891 6.829.806 6.021.541 6.759.827 4.846.908 6.159.195

cotone 1.393.218 1.527.174 1.577.108 1.176.144 1.126.038 1.359.936

soia 890.143 1.105.478 1.192.773 1.215.091 802.777 1.041.252

altre 559.749 564.802 589.372 261.579 210.006 530.381

totale 20.246.364 25.489.078 25.030.175 25.535.182 25.290.287 24.411.497

FAOSTAT | © FAO Statistics Division 2009 nota: escluso le superfici olivetate

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Interessante è rilevare come ancora l’utilizzo alimentare degli oli vegetali nell’Unione Europea interessi oltre il 50% dell’uso totale, anche se è da con-statare come in realtà sia il settore biodiesel a governare il mercato degli oli vegetali nell’EU-27. Si prevede, infatti, un incremento nell’uso degli oli vegetali per autotrazione di circa un 35%, per la maggior parte soddisfatto dalla produzione comunitaria di oli, mentre la crescita nel consumo alimentare avrà un peso marginale.Oltre il 50% della produzione comunitaria di semi oleosi è realizzata in quattro Paesi: Francia, Germania, Spagna ed Italia.

Tabella 6 – Principali produttori di semi oleosi a livello europeo

Paesi2003 2004 2005 2006 2007 media

produzione (t)

Francia 1.952.361 2.173.974 2.401.244 2.208.936 2.333.973 2.214.098

Germania 1.418.748 2.044.422 1.959.591 2.061.857 2.046.818 1.906.287

spagna 1.997.458 1.509.864 1.071.400 1.471.048 1.606.270 1.531.208

Italia 981.683 1.235.343 1.081.005 980.459 963.539 1.048.406

altri 3.874.853 4.933.284 4.802.451 5.163.401 5.011.446 4.757.087

totale 10.225.103 11.896.887 11.315.691 11.885.701 11.962.046 11.457.086

FAOSTAT | © FAO Statistics Division 2009 nota: escluso le superfici olivetate

Le superfici investite a semi oleosi in Italia, nell’anno 2007, sono state pari a 264,233 ettari (con un calo del 18,0% circa rispetto all’anno precedente), di cui 7,000 ettari a colza (+99,9%), 126,475 ettari a girasole (-12,5%) e 130,335 ettari a soia (-26,0%).La produzione di semi oleosi ha registrato una diminuzione del 18,4% passando da 8,607,251 del 2006 a 7021,737 tonnellate del 2007. Nel confronto tra le due annate sia la produzione di semi di soia che di girasole hanno fatto registrare una diminuzione rispettivamente del 25 e 10%, mentre un consistente incremen-to si è registrato per il colza (+599,2%).La produzione di semi set-aside, non food ed energetici è stata valutata in 99,500 tonnellate contro le 24,000 tonnellate del 2006, con un aumento del 314,6%.Rispetto alla situazione nazionale in Puglia si evidenzia una diffuso decremento – se non annullamento – delle superfici dedicate alle colture oleaginose (Tabella 8).Ad eccezione della soia, dalla irrilevante diffusione nella sola provincia di Bari, le modificazioni intervenute per colza e girasole sono decisamente cospicue. Sono infatti scomparsi più di 5,000 ha di colza, concentranti prevalentemente nel lec-

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cese e di 11,000 ha di girasole, fortemente diffusi in provincia di Foggia.

Tabella 7 – Principali produzioni in semi oleosi in Italia

Colture2003 2004 2005 2006 2007 media

superficie (ha)

Arachide 164 164 164

Colza 4.826 2.872 3.478 3.535 7.065 4.355

Girasole 150.781 123.997 129.874 144.566 126.475 135.139

Ravizzone 8 6 6 5 4 6

Soia 152.052 150.368 152.331 176.134 130.335 152.244

Sesamo 170 170 160 160 190 170

totale 307.837 277.413 285.849 324.564 264.233 291.979

Il fenomeno è da attribuirsi in maniera univoca alla eliminazione del sostegno diretto alle colture oleaginose in attuazione della riforma della PAC.

Tabella 8 – Produzione di semi oleosi in Puglia

Coltura Provincia2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

superficie (ha)

Colza

Foggia 100 100 100 50 - - - - Bari 1.078 753 544 24 - - - - Taranto 380 320 220 175 165 140 130 120 Brindisi 860 400 100 - - - - - Lecce 4.050 4.000 25 - - - - -

totale 6.468 5.573 989 249 165 140 130 120

Girasole

Foggia 7.799 4.500 3.000 3.000 2.000 1.500 1.400 1.300

Bari 65 60 55 40 16 5 5 5 Taranto 120 80 50 42 35 25 25 30 Brindisi 1.290 1.200 700 - - - - - Lecce 4.270 3.950 39 - - - 50 - totale 13.544 9.790 3.844 3.082 2.051 1.530 1.480 1.335

Il girasole, oleaginosa più importante in Puglia, ha fatto registrare nel 2007 una

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superficie coltivata di 1335 ha, di contro il colza nonostante le attenzioni risposte per una destinazione non alimentare ha di poco superato i 100 ha coltivati. La ripartizione territoriale delle colture da olio vede la provincia di Foggia interes-sata alla quasi totalità delle superfici regionali coltivate a girasole, mentre è la provincia di Taranto a mostrare più attenzione al colza.

Oleaginose: uso alimentare ed energeticoLe sostanze grasse presenti nelle cellule di diverse specie vegetali risultano essere accompagnate da una matrice proteica che le supporta; i semi contengono sostan-ze grasse, come riserva di energia disponibile per la riproduzione, ma solo alcuni le contengono in quantità così elevata da essere utilizzabili per l’estrazione. Tecnologie di estrazione, più o meno semplici, consentono la separazione di questi componenti (grassi e proteine), fra loro immiscibili, pervenendo all’isolamento di ciascuna con il massimo di purezza e di rendimento, al costo minore, evitando inoltre l’insorgere di reazioni collaterali. Gli oli vegetali non sono tutti uguali, ogni specie oleaginosa produce un olio con ca-ratteristiche specifiche, alcune delle quali ne influenzano le modalità di utilizzo.Le differenze tra i vari tipi di oli vegetali riguarda principalmente la composizione in acidi grassi. La maggior parte degli oli vegetali contengono in prevalenza grassi mono e polinsaturi, e pochi grassi saturi, fanno eccezione gli “oli tropicali” che invece contengono una grossa percentuale di grassi saturi.Gli acidi grassi più rappresentativi sono quelli con 18 atomi di carbonio, rappresen-tati prevalentemente da acido oleico e linoleico.

Tabella 9 – Composizione acidica dei semi oleosi

Composto Girasole (alto oleico)

Gisasole (Basso oleico)

Colza Soia Arachide Oliva Cotone

Proteine 24-26 23-26 36-39 26-28 30,3Grassi 45-49 44-46 19-20 48-50 94-95 29,6Palmitico C 16:0 tr. 5-8 1-4 10-13 10-11 8-16 22

Stearico C18:0 3-4 3-6 1-2 3-5 2-3 1-4 2.2

Oleico C18:1 86-88 18-45 nov-30 20-23 44-46 63-88 18,31

Linoleico C18:2 3-5 40-70 30-60 48-58 28-30 3-15 50,3

Linolenico C18:3 tr. tr. 7-10 4-10 = tr. tr

Erucico C22:1 = = = = = = =

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La composizione in acidi grassi dell’olio di semi non varia solo da specie a spe-cie, ma dipende anche dalle condizioni climatiche e dal tipo di terreno.Da un punto di vista dietetico l’apprezzamento degli oli vegetali è tanto più ele-vato quanto più alta è la percentuale di acidi grassi insaturi che favoriscono l’eliminazione dei trigliceridi dal flusso sanguigno ed incrementano i livelli di co-lesterolo HDL (colesterolo buono). Di contro, però, un eccesso di acidi grassi polinsaturi rendono gli oli vegetali poco idonei alla cottura in quanto alle alte temperature diventano instabili e producono residui nocivi per la salute. Parti-colare attenzione è stata rivolta agli oli vegetali per la presenza di una serie di componenti con specifica azione benefica sulla salute dell’uomo, aprendo tutta una serie di prospettive per lo sviluppo di nuovi oli vegetali funzionali. Tra questi un potente antiossidante liposolubile il tocoferolo (vitamina E) di cui molti oli vegetali ne sono una delle fonti primarie.Viene, inoltre, ritenuto che i livelli naturali di fitosteroli contenuti in molti oli vege-tali possano contribuire notevolmente all’abbassamento del colesterolo (4). L’utilizzo non alimentare al pari di quello alimentare risente molto delle carat-teristiche degli acidi grassi. Oli ad alto contenuto in acidi grassi a catena corta con un numero di atomi di carbonio da 1 a 4 trovano impiego sia nell’industria alimentare, sia sotto forma dei loro alcoli come surfattanti. Gli oli vegetali sono da anni sotto attenzione come potenziale fonte di carburante alternativo a quelli di origine fossile. Gli oli più interessanti per la trasformazione in biodiesel sono quelli ad elevato contenuto in acido oleico (C18:1) e linoleico (C18:2) dotati di una facilità di combustione e buona stabilità ossidativa. In particolare, composi-zioni ottimali sono riscontrabili in nuove linee di girasole e colza. Un’importante alternativa alla filiera del biodiesel è la filiera degli oli vegetali grez-zi. In linea generale, gli oli, rispetto ai metilesteri, risultano interessanti per i minori costi di produzione e il migliore bilancio energetico, sono inoltre facili da produrre e quindi tutto sommato si dimostrano interessanti per quelle realtà (paesi in via di sviluppo) dove i principali obiettivi sono l’auto-produzione di energia a bassi costi e il massimo vantaggio energetico. Ma anche nei paesi industrializzati l’olio grez-zo può essere utilizzato in impianti di media taglia (5-15 MWe) con motori diesel navali o turbine a gas per la produzione di calore e elettricità. L’interesse energetico delle colture agricole è stato portato nuovamente alla ri-balta a seguito della crisi energetica degli ultimi anni. Naturalmente la sostenibilità delle colture bio energetiche richiede che vengano soddisfatti i seguenti obiettivi:- produzione di derrate agricole da energia a basso costo;- bilancio energetico positivo (input/output);- riduzione dell’impatto ambientale; complementarità fra produzione energe-tica e produzione di alimenti;

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- compatibilità fra produzione energetica ed i tre principi della nuova Pac:- disaccoppiamento, modulazione e condizionalità (eco-compatibilità)Un interesse particolare riveste la possibilità di produrre energia direttamente nell’azienda agricola, ormai diventata una realtà. Molto interesse potrebbe avere la produzione di energia elettrica utilizzando motori endotermici alimentati a olio vegetale puro.

10.3 La Barbabietola da zuccheroNell’ambito delle colture annoverate dall’Istat nelle colture da industria, particola-re interesse ha rivestito nel nostro Paese la barbabietola da zucchero, seconda coltura da zucchero a livello mondiale (dopo la canna da zucchero), adattabile ai climi temperati e quindi coltivata nei paesi europei. La produzione mondiale di barbabietola da zucchero ammonta a circa 250 milioni di tonnellate, esten-dendosi su una superficie di più di 5 milioni di ettari, in gran parte concentrato in Europa, in minor misura in Asia e Nord America (Tabella 10).

Tabella 10 – evoluzione delle produzioni e superfici di barbabietola da zuc-chero nel mondo (dati FAO)

Aree Geografiche 2005 2006 2007 2005 2006 2007

  Produzione (t) Superficie (ha)

   Africa 6.731.075 7.851.690 8.600.000 135.805 151.300 175.000

Nord America 25.494.600 31.501.990 32.674.000 516.390 542.760 518.402

Sud America 2.621.096 2.225.876 1.833.150 33.091 29.478 24.650

Asia 34.354.415 36.267.338 35.164.780 850.836 792.353 799.453

Europa 182.470.824 175.366.471 169.606.963 3.871.553 3.883.871 3.777.410

   

Mondo 251.672.010 253.213.365 247.878.893 5.407.675 5.399.762 5.294.915

I Paesi maggiori produttori di barbabietola sono Francia, USA, Federazione Russa (Tabella 11), con andamento in crescita e produzioni, per Paese, che si attestano e superano le 30 milioni di tonnellate. Particolarmente vocate a tale coltivazione risultano le Nazioni nord europee, con rese per unità di superficie molto elevate.In Italia la produzione, mantenutasi stabile su valori compresi tra 12 e 14 milioni di tonnellate, ha subito, a partire dalla campagna 2006-2007, una consistente contra-zione, portando la produzione a valori di poco superiori alle 4 milioni di tonnellate.La riduzione è dovuta all’organizzazione comune di mercato dello zucchero

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Tabella 11 – Evoluzione delle produzioni e superfici di barbabietola da zuc-chero nei Paesi maggiori produttori (dati FAO)

Paesi 2005 2006 2007   2005 2006 2007  (Produzione (t) Superficie (ha)   Francia 31.149.552 29.878.767 32.338.000 378.489 379.080 393.000

USA 24.886.800 30.631.090 31.912.000 502.990 527.760 504.602

Federazione Russa 21.420.110 30.861.230 29.000.000 758.720 948.520 1.000.000

Germania 25.387.000 20.646.600 26.114.000 420.100 357.600 406.000

Ucraina 15.467.800 22.420.700 16.978.000 623.300 787.600 635.000

Turchia 15.181.247 14.452.162 14.800.000 335.812 325.699 330.000

Polonia 11.912.444 11.474.820 11.057.800 286.175 262.046 248.800

Cina 7.881.000 10.536.000 8.931.000 210.100 157.900 160.000

Gran Bretagna 8.687.000 7.150.000 6.500.000 148.000 131.000 122.000

Belgio 5.983.173 5.666.621 5.746.892 85.527 82.912 82.701

Egitto 3.429.535 5.300.000 5.600.000 70.305 102.000 115.000

Olanda 5.931.000 5.414.100 5.400.000 91.300 82.781 84.000

Iran 4.902.387 5.100.000 5.300.000 152.875 153.000 160.000

Spagna 7.291.092 6.045.400 5.141.000 102.104 86.900 73.500

Italia 14.155.683 4.769.614 4.629.900   253.043 91.230 85.600

(ocm), uno dei comparti ove maggiore è l’incidenza delle misure di sostegno: per tale ragione si è reso necessario intervenire con la riduzione dei prezzi di riferimento e degli incentivi. A seguito di tale riorganizzazione, rapide sono state le ripercussioni a livello colturale e industriale, in special modo per l’Italia, clima-ticamente meno vocato rispetto agli altri, con “riduzione” di una consistente quo-ta di zucchero, quasi il 50%, destinato al nostro Paese, e riorganizzazione del comparto con chiusura definitiva della maggior parte degli stabilimenti nazionali e difficoltà, da parte degli agricoltori, a produrre se non negli areali limitrofi gli stabilimenti. Ciò ha determinato l’abbandono pressoché totale della coltura in diverse regioni quali Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Umibria, Lazio, Campania, Basilicata, Calabria, Sardegna. Nel caso della Puglia, la chiusura dell’unico stabilimento attivo, quello di Borgo Incoronata (FG), con possibilità di conferimento presso lo stabilimento di Termoli (CB), ha determinato una drastica riduzione delle superfici, passate da più di 17,000 ettari nel 2005 a circa 8,000 ettari del 2007. L’eccessiva distanza dallo stabilimento di Termoli ha determinato l’abbandono totale della coltura nelle pro-vince di Lecce e Taranto, ove tradizionalmente la coltura ha avuto una buona

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diffusione, con concentrazione delle superfici a coltura nel tavoliere foggiano.

Tabella 12 – Superfici e produzioni di barbabietola da zucchero nelle regio-ni dell’Italia (dati Istat)

Regioni 2005 2006 2007 2005 2006 2007

(Produzione (t) Superficie (ha)     Emilia-Romagna                5.558.335 1.947.048 1.993.694 82.141 31.826 32.902

  Veneto                        3.544.213 963.076 55.599 44.977 13.929 857

  Marche                        1.781.337 756.964 528.799 34.675 14.194 12.345

  Lombardia                     1.545.819 559.435 537.564 21.967 7.401 7.591

  Piemonte                      822.185 129.741 13.715 2.495  

  Puglia                        752.398 486.881 448.846 17.105 11.572 8.591

  Friuli-Venezia Giulia         522.948 104.642 27.883 6.485 1.655 449

  Toscana                       367.586 7.598  

  Abruzzo                       276.682 73.581 81.192 5.929 1.788 1.718

  Lazio                         274.916 53.293 16.723 5.586 1.393 264

  Umbria                        263.117 4.627  

  Molise                        143.399 128.214 89.976 3.420 3.615 2.044

  Sardegna                      83.533 1.805  

  Basilicata                    61.041 33.735 19.974 1.289 627 358

  Calabria                      53.087 19.896 886 339  

  Campania                      39.580 20.178 4.208 838 396 106

   

Nord 11.993.500 3.703.942 2.614.740 169.285 57.306 41.799

Centro 2.686.955 810.257 545.523 52.486 15.587 12.609

Mezzogiorno 1.409.718 762.486 644.196 31.272 18.337 12.817

               

Gli accordi sopraggiunti fra organizzazioni agricole e le società saccarifere consentono una previsione di stabilità della coltivazione almeno fino al 2011, data di scadenza della vigente regolamentazione del settore zucchero. Indi-spensabile diventa, con la ulteriore riduzione degli aiuti accoppiati, un conso-lidamento e riorganizzazione del settore. Fra le alternative di utilizzo della barbabietola, va ricordata quella energetica.

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con possibilità di trasformare il saccarosio contenuto in esso in etanolo, bio-carburante da utilizzare come alternativa alla benzina, o in miscela con esso. Già esistono, a livello mondiale, realtà operanti in tal senso (es. Brasile), sul cui esempio è stata presupposta la riconversione energetica di alcuni zuccherifici nazionali.

Pomodoro da industriaLa coltura del pomodoro da industria è praticata un po’ in tutto il mondo, estesa su una superficie, in crescita, di più di 4.5 milioni di ettari, e produzione di 126 milioni di tonnellate.

Tabella 13 – Superfici e produzioni di pomodoro da industria per aree geo-grafiche (dati FAO)

Area geografica 2005 2006 2007 2005 2006 2007

Produzione (t) Superficie (Ha)

Asia 65.877.263 67.409.833 67.798.472 2.690.174 2.834.707 2.827.803

Europa 23.042.921 21.678.868 20.497.562 646.221 616.098 594.643

Africa 14.665.085 14.457.993 14.507.140 678.914 655.009 660.215

Nord America 11.822.163 12.115.067 12.107.973 173.695 179.506 182.944

Sud America 6.425.495 6.351.825 6.415.428 142.736 140.980 141.088

Centro America 2.731.472 3.446.538 3.360.793 87.452 140.870 144.610

Oceania 503.200 546.320 563.790 9.074 8.937 9.300

Mondo 126.223.688 126.996.058 126.246.708 4.501.698 4.639.712 4.626.232

Foggia                         ; 99,30%

Bari                            ; 0,10%

Taranto                         ; 0,60%

Figura 3 – Distribuzione della produzione di barbabietola nelle province pugliesi(istat 2007)

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La produzione, a livello di continenti, è fortemente concentrata in Asia, estesa su una superficie di 2.8 milioni di ettari, con una produzione di quasi 68 milioni di tonnellate (Tabella13).La Cina è il Paese maggior produttore mondiale di pomodoro, seguito da USA, Turchia, Egitto (Tabella14). L’Italia ha sempre avuto una consolidata tradizione nella coltivazione del pomodoro da industria, rappresentando il primo produttore di pomodoro nell’ambito della comunità Europea.

Tabella 14 – Superfici e produzioni di pomodoro da industria per nazioni (dati FAO)

Paese 2005 2006 2007 2005 2006 2007

Produzione (t) Superficie (Ha)

Cina 31.618.462 32.540.040 33.645.000 1.304.765 1.405.103 1.455.200

USA 10.982.790 11.298.040 11.500.000 164.970 170.860 175.000

Turchia 10.050.000 9.854.877 9.919.673 270.000 270.000 270.000

India 8.637.700 9.361.800 8.585.800 497.600 534.500 479.200

Egitto 7.600.000 7.650.000 7.550.000 195.000 196.000 194.000

Italia 7.187.014 6.351.202 6.025.613 138.759 122.192 118.224

Iran 4.781.018 4.800.000 5.000.000 138.791 139.000 140.000

Spagna 4.810.301 3.679.300 3.615.000 72.285 57.300 55.600

La Puglia rappresenta la prima regione produttrice di pomodoro a livello nazionale, seguita dall’Emilia Romagna. La superficie destinata a tale col-tivazione è in gran parte concentrata nel tavoliere pugliese, areale partico-larmente vocato per tale tipo di coltivazione, e strettamente collegato alle industrie conserviere della Puglia e della Campania (Tabella15). Anche nel comparto del pomodoro vi sono comunque incertezze in merito all’im-patto della nuova OCM, con applicazione del disaccoppiamento, la cui applica-zione graduale ha evitato, almeno fino al 2010 l’eventuale abbandono della col-tura, con problemi all’intera filiera, che rappresenta l’asse portante dell’industria agro-alimentare nazionale, in termini di reddito e di occupazione.La gradualità prevede che per il periodo 2008-2010 la metà del fondo sia desti-nata all’aiuto totalmente disaccoppiato dalla coltivazione e l’altra metà a un aiuto per ettaro destinato ai produttori storici e non, che attraverso le organizzazio-ni dei produttori consegneranno pomodoro all’industria. Gli accordi fra settore agricolo ed industriale ha permesso, inoltre, una buona redditività della coltura, con superfici in crescita nel 2009. Anche in tale settore fondamentale diventa la

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riorganizzazione, con una stretta collaborazione fra mondo agricolo ed industria per la programmazione delle raccolte e conferimenti.

Tabella 15 – Distribuzione delle superfici e produzioni di pomodoro a livel-lo nazionale (dati Istat)

Paese 2005 2006 2007 2005 2006 2007

Produzione (t) Superficie (Ha)

  Puglia                        25.760 28.950 25.350 1.775.950 1.897.200 1.616.750

  Emilia-Romagna                23.496 22.310 22.799 1.493.556 1.485.419 1.359.949

  Lombardia                     5.905 5.751 6.561 342.224 389.006 455.855

  Campania                      5.365 5.275 5.283 316.124 296.215 308.186

  Sicilia                       11.280 11.340 11.240 234.260 229.650 230.300

  Toscana                       2.342 2.742 2.816 141.070 194.070 191.713

  Basilicata                    3.852 4.271 3.238 204.092 240.315 165.376

  Lazio                         2.000 2.000 2.030 141.450 149.198 150.493

  Calabria                      4.057 4.218 3.537 135.869 150.304 123.009

  Veneto                        1.431 1.506 1.442 80.908 89.121 80.090

  Piemonte                      1.352 1.315 1.336 69.620 68.564 69.255

  Umbria                        858 733 820 63.910 55.320 61.998

  Abruzzo                       1.192 1.139 1.124 55.225 51.795 52.145

  Molise                        600 600 600 39.000 36.000 36.000

  Marche                        729 720 720 26.437 26.555 26.332

  Sardegna                      433 463 462 20.300 21.638 21.589

  Liguria                       10 7 10 500 325 500

  Friuli-Venezia Giulia         4 1.006 5 140 40.200 170

Nord                            32.198 31.895 32.156 1.986.948 2.072.635 1.965.954

Centro                          5.929 6.195 6.386 372.867 425.143 430.536

Mezzogiorno                     52.539 56.256 50.834 2.780.820 2.923.117 2.553.356

               

Altre coltureDa ricordare, fra le specie industriali, il tabacco, specie diffusa in paesi quali Cina, Brasile e India (Tabella16), e che ha avuto una buona diffusione anche in Italia (Campania, Umbria, Veneto e Toscana) (Figura 4).

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Tabella 16 – Superfici e produzioni di tabacco per nazioni (dati FAO)

Paese 2005 2006 2007 2005 2006 2007

Produzione (t) Superficie (Ha)

Cina 2.685.743 2.746.193 2.397.200 1.364.500 1.376.100 1.401.200

Brasile 889.426 900.381 919.393 493.761 495.706 461.482

India 549.100 552.200 555.000 366.500 372.800 380.000

USA 290.170 329.918 353.177 120.610 137.188 144.068

Indonesia 153.470 177.895 180.000 198.212 215.012 215.000

Argentina 163.528 165.000 170.000 90.000 90.000 92.000

Pakistan 100.500 112.600 126.000 50.500 56.400 62.000

Malawi 110.000 115.000 118.000 150.000 155.000 155.000

Italia 115.983 110.000 100.000 34.372 36.000 35.000

Turchia 135.247 98.137 98.000 185.342 146.166 146.000

Mondo 6.698.999 6.615.424 6.326.252 3.950.411 3.906.369 3.927.568

               

La coltura ha avuto una buona diffusione in areale pugliese, con buone estensioni nel Salento e nella Murgia nord barese (Poggiorsini, Spinazzo-la). La coltura, da definirsi una commodity, per la capacità di incorporare un elevato valore aggiunto durante la filiera di trasformazione, ha rappresentato una delle principali fonti di sostegno per diverse famiglie contadine famiglie della provincia di Lecce in modo particolare. Elevata, fino al 2003, è stata la concentrazione territoriale della tabacchicoltura, con l’80% della produzione nazionale concentrata in appena 7 provincia: Benevento, Avellino, Caserta, Lecce, Verona, Arezzo, Perugia.Tale aspetto era legato, oltre che a peculiarità di carattere climatico, ad aspetti legati alla necessità di elevata specializzazione nella fase di coltivazione, raccol-ta e cura delle foglie di tabacco, alla presenza di strutture per l’essicazione delle foglie, nonché di magazzini per la consegna e lavorazione del prodotto essic-cato. La necessita inoltre di notevole impegno lavorativo nelle fasi colturali e di post-raccolta del tabacco consentiva, su superfici aziendali ridotte, il raggiungi-mento di una buona redditività alla famiglia contadina, che veniva impegnata in toto nelle diverse fasi del ciclo produttivo.Con il regolamento (CE) 864/2004 del 29 aprile, e successiva rettifica del 9 giu-

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gno, è stata riformata l’OCM tabacco; il nuovo regime richiama alle norme gene-rali dettate nel regolamento (CE) 1782/2003, dove vengono introdotti il regime di pagamento unico, la modulazione e la condizionalità.La nuova organizzazione comune ha previsto una fase transitoria, dal 2006 al 2009 con pagamento del 40% dei premi storici in regime disaccoppiato, mentre il restante 60% conferito in regime accoppiato.Dal 2010 il premio sarà completamente disaccoppiato (premio ad ettaro), ov-vero ricadrà in regime di pagamento unico, così come disposto dal reg, (CE) 1782/2003. Da questa data l’ammontare complessivo del premio viene decurta-to del 50%, ovvero viene dimezzato. Di fatto, a partire dal 2010, la coltivazione del tabacco, secondo alcune analisi economiche, a condizioni di mercato come quelle attuali, avrà un crollo della redditività anche nelle realtà più efficienti, rendendo di fatto non convenente la coltivazione di tale coltura, con tendenza all’abbandono, fenomeno di fatto già verificatosi in alcune regioni. La possibilità di riscattare i diritti riconosciuti a titolo di pagamento unico, da soli in grado di garantire livelli di reddito accetta-bili, consentirebbero l’impianto di altre colture in alternativa al tabacco, divenuto anticonveniente in termini di bilancio colturale.

Figura 4 – Distribuzione della produzione di tabacco nelle regioni italiane (istat 2007)

Nell’ambito delle colture tessili, una limitata diffusione, pari a poco più di un migliaio di ettari, hanno colture quali canapa, diffusa in Emilia Romagna e Pie-monte, e lino, coltivato su poche decine di ettari in Puglia e Basilicata. Nella tra-

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dizione regionale anche la coltivazione del cotone ha avuto una certa diffusione, in provincia di Foggia.La diffusione di tali colture sarebbe possibile impostando opportuni programmi di valorizzazione dell’intera filiera produttiva, che consentirebbe il rilancio di produzioni tipiche facenti parte della tradizione locale, Interessanti potrebbero essere gli usi alternativi delle fibre: queste infatti trovano impiego in settori quali materiali da imballaggio, fonoassorbenti per l’industria automobilistica e l’edili-zia, prodotti plastici rinforzati con fibre e materiali compositi.Oltre le fibre, i semi di lino e cotone presentano un elevato contenuto in fibre e proteine, Interessante è l’olio contenuto nei semi di lino, molto ricco in acidi gras-si polinsaturi, lignani e mucillagini che trovano largo impiego in fitoterapia.

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BIBLIOGRAFIA

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11- GIRASOLE (Helianthus annus L.)Leonardo Verdini

Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di AgrariaUniversità degli Studi di Bari

1. IntroduzioneIl girasole è una specie originaria delle regioni occidentali dell’America. In Eu-ropa è stato introdotto per la prima volta in Spagna attraverso il Messico nel 1500. Si è affermata come pianta oleifera agli inizi del XIX secolo, in Russia, a seguito della messa a punto del primo metodo industriale di estrazione. In Ita-lia la sua diffusione ha avuto inizio nei primi anni ’70 fino a raggiungere i circa 230.000 ettari, concentrati nelle regioni centrali (Toscana, Umbria e Marche) e meridionali (Molise e Puglia), a seguito delle riforme comunitarie di sostegno alle oleaginose.Il nome Helianthus, derivante da helios (sole) e anthos (fiore), è stato dato per il suo tropismo, cioè la capacità di alcuni organi delle piante di reagire agli stimoli luminosi incurvandosi nella direzione degli stessi.Il girasole è quasi esclusivamente coltivato per la produzione di olio, contenuto negli acheni in una percentuale oscillante tra il 30 ed il 50%. Quest’ultimo è composto da acidi grassi, in particolare acido oleico e linoleico, che con la loro

 

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incidenza relativa determinano la destinazione d’uso dell’olio medesimo. Infatti, in base alla prevalenza di uno dei due acidi grassi, le varietà ven-gono denominate “alto oleico”, che trovano impiego sia nell’alimentazione umana che per diverse utilizzazioni in campo industriale, oppure “comuni” o “convenzionali, a maggior utilizzo in campo industriale, come costituente dei colori per la verniciatura, in sostituzione dell’olio di lino e per la produzione di biodiesel.

2. Aspetti morfologici e fisiologiciIl girasole è una pianta erbacea annuale, appartenente alla famiglia delle Aste-raceae con tipico fiore composito. Presenta apparato radicale principale di tipo fittonante da cui si dipartono numerosi ramificazioni. Il fusto è singolo, eretto, cilindrico, peloso e raramente ramificato, con una lunghezza variabile tra 60 e 220 cm. Le foglie, sino a 20-30 per fusto, sono grandi, di colore verde intenso, a forma di cuore, con superficie rugosa, disposte in modo alterno sul fusto per intercettare al massimo la luce. L’infiorescenza, detta calatide, presenta un diametro che può variare dai 10 ai 40 cm a seconda della varietà e delle condizioni colturali, è circondata da una corona di brattee di colore verde. Sul ricettacolo si dipartono i fiori ligulati e quelli sessili, i primi disposti radialmen-te in 1-2 file con fiori asessili, i secondi hanno fiori ermafroditi e sono disposti in archi spiraliformi che irradiano dal centro del disco (Figura 1).

Figura 1 - Sezione schematica del capolino del girasole.

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L’impollinazione inizia dalla periferia e procede verso il centro della calatide. Un indice di stress può essere infatti la presenza di zone centrali della calatide con presenza di aborti del seme. Il frutto è un achenio di colore tipicamente scuro, talvolta con strisce bianche o grigie, largo 3,5-9 mm, lungo 7,5-17 mm. Il peso dei mille semi per le varietà da olio varia tra i 40-60 g. Dall’estrazione dell’olio residua il panello, ricco in protei-ne, avente interesse in campo zootecnico.

3. Il ciclo della piantaIl girasole è una specie a ciclo primaverile-estivo. Presenta la caratteristica di resistere bene alle basse temperatura, condizione che è possibile sfruttare negli ambienti meridionali per un anticipo della semina e del ciclo in generale. In tal modo è possibile ottenere una “sfuggenza” dalle condizioni siccitose estive dei nostri areali.Grazie ad un potente apparato radicale, che si espande a notevoli profondità, la pianta riesce ad utilizzare riserve idriche e nutritive accumulate nel terreno inaccessibili ad altre specie.Il girasole è quindi una specie che si adatta meglio di altre piante a ciclo prima-verile-estivo, alla coltivazione in asciutto negli ambienti dell’Italia centro-meridio-nale. Infatti, ha trovato una certa diffusione come coltura da rinnovo dei sistemi colturali privi di disponibilità irrigue. Il girasole compie il proprio ciclo di sviluppo, dall’emergenza alla maturazione fisiologica, in 110-145 giorni. I semi germinano anche a 4 °C, ma per una germi-nazione ottimale sono preferibili temperature di 8-10 °C. Da rilevare che in fase di emergenza, allorché le plantule presentano le foglie cotiledonari, la coltura può resistere a temperature anche inferiori a 0°C. Le temperature ottimali nella fase di crescita della pianta sono comprese tra 21 e 26 °C. Temperature troppo alte influiscono negativamente sia sul riempimento del frutto che sull’accumulo di olio negli acheni.Il ciclo di sviluppo può essere suddiviso nelle seguenti fasi (Figura 2):- semina - emergenza;- emergenza - 6 foglie vere; - 6 foglie vere - bottone fiorale di 15 mm di diametro;- dal bottone fiorale di 15 mm di diametro - fioritura; - fioritura;- fine fioritura - maturazione fisiologica.La durata del ciclo è condizionata dall’andamento climatico. Con l’avvicinarsi della maturazione si ha riduzione dell’accumulo di sostanza secca e aumento della re-spirazione, si completa il trasferimento delle sostanze di riserva che dai vari organi (fusto, foglie e calatide) migrano verso gli acheni, con l’accumulo delle proteine,

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fase che si completa prima dell’accumulo dell’olio. La maturazione fisiologica degli acheni è raggiunta quando i valori di umidità oscillano dal 15% al 35-40% a seconda delle condizioni ambientali e delle caratteristiche delle cultivar.La maturazione commerciale si raggiunge quando gli acheni si staccano facil-mente dalla calatide e i valori di umidità si aggirano intorno 9-10%.

Figura 2 - Schema del ciclo biologico del girasole (da Bonciarelli, 1987).

4. AvvicendamentoIl girasole è una classica coltura miglioratrice da rinnovo. Essendo specie a se-mina primaverile e con ciclo colturale primaverile-estivo, il girasole richiede una buona preparazione del terreno. Inoltre, se si effettua la semina precoce, il gi-rasole libera presto il terreno, entro la fine dell’estate, agevolando in tal modo i preparativi per l’impianto della coltura cerealicola seguente. L’efficacia del controllo delle erbe infestanti realizzato dal diserbo e/o dalle sar-chiature, abbinato al forte potere competitivo proprio del girasole, assicura un buon rinettamento del terreno. Inoltre, i residui colturali dell’oleifera sono facil-mente decomponibili e dotati di un discreto coefficiente isoumico. Data la friabi-lità e lo stato di frammentazione dei residui colturali del girasole, la semina del cereale successivo previa lavorazione minima o direttamente su terreno non lavorato non incontra particolari difficoltà di esecuzione.

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Al fine di evitare problemi determinati dalla flora patogena e infestante, è consi-gliabile non far ritornare la coltura sullo stesso terreno a intervalli di tempo non inferiori a 3-4 anni. Negli ambienti centro-meridionali con ordinamenti colturali in asciutto, si sono affermati rotazioni triennali con girasole-frumento-frumento, girasole-frumento-cereale (Figura 3).

Figura 3 – Esempi di rotazioni in cui è comunemente inserito il girasole

In queste rotazioni di breve durata la coltura del girasole ha potuto reggere gra-zie alla costituzione col miglioramento genetico di ibridi resistenti alla perono-spora (Plasmopara helianthi Novot) ed alla disponibilità di efficaci prodotti anti-ficomicetici (metalaxil) capaci di proteggere le piante suscettibili dall’invasione del patogeno attraverso la concia del seme.In caso di infestazioni da girasole selvatico bisogna interrompere la coltivazione dell’oleifera per un congruo numero di anni per favorirne la eradicazione. Buona pratica agricola è quella di non far seguire al girasole specie ospiti di parassiti che attaccano anche l’oleifera: tra queste la soia e il colza, suscettibili alla Scle-rotinia sp.pl., alla Phomopsis sp.pl. e di altre fitopatie.Dal punto di vista pedologico la coltura mal si adatta a terreni sciolti, per la bassa ca-pacità di accumulare riserve d’acqua, e quelli poco profondi, perché non consentono lo sviluppo di un ampio e profondo apparato radicale. Quanto alle caratteristiche chi-miche del terreno, il girasole si adatta a suoli da subacidi a subalcalini in un campo di valori del pH da 6 a 8, mentre rifugge dai terreni acidi. Nei confronti della salinità, rientra nel gruppo di specie classificate “moderatamente tolleranti”.

5. Preparazione del terrenoLa resa produttiva del girasole è strettamente correlata all’investimento, pertanto un’emergenza rapida ed uniforme, ottenibile con un’adeguata preparazione del

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letto di semina, risulta fondamentale. L’applicazione di pratiche colturali atte ad aumentare la capacità idrica del terreno sono da preferire per migliorare il rifor-nimento idrico all’apparato radicale della pianta. Nei terreni di medio impasto o tendenti all’argilloso la lavorazione principale può essere mantenuta intorno a 25-35 cm. Quando sussista la necessità di dirompere il terreno a profondità maggiori è consigliabile adottare una tecnica di lavorazione “a due strati”, mantenendo la profondità di rovesciamento entro i 25-35 cm.Salvo che nei terreni limosi o sciolti, la cui preparazione definitiva deve essere ri-mandata al momento della semina, conviene che gli ultimi lavori superficiali di pre-parazione del letto di semina vengano effettuati con anticipo rispetto al momento dell’impianto della coltura. Per controllare le infestanti eventualmente nate tra la pre-parazione anticipata del terreno e la semina si può intervenire con erpicature molto leggere e superficiali, oppure con trattamenti disseccanti pre-semina.

6. SeminaLa semina rappresenta un momento cruciale della tecnica di coltivazione. Il girasole è coltura a bassa densità di investimento (5-7 piante m-2). L’aumento della fittezza della coltura non aumenta la resa in acheni e tanto meno la resa in olio, di contro si creano condizioni sfavorevoli, quali aumento d’altezza e diminuzione del diametro del fusto, suscettibilità all’allettamento ed allo stroncamento del fusto.L’impianto della coltura prevede la semina a file, la cui distanza può variare da 45-50 a 70-75 cm. La prima condizione da soddisfare nella scelta di tale distanza è che siano rispettate le esigenze di operatività di tutte le macchine e gli strumenti impiegati per le varie operazioni colturali: semina, concimazione in copertura, sarchiatura, rincalzatura, mietitrebbiatura.La riduzione dell’interfila permette un anticipo della copertura del terreno da par-te della coltura, aumentandone il potere di competizione sulle erbe infestanti, la

Figura 4 – Seminatrici di precisione di tipo pneumatico

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disposizione delle piante sul terreno è più regolare e migliora l’intercettazione della radiazione solare da parte del fogliame. Malgrado gli aspetti positivi appe-na ricordati, la ricerca sperimentale non ha dimostrato concreti vantaggi produt-tivi stringendo le file da 75 a 45 cm, per cui la convenienza a stringere le file è fondamentalmente legato solo ad esigenze di meccanizzazione.La migliore tecnica di esecuzione della semina è quella che impiega semina-trici di precisione di tipo pneumatico dotate degli appositi dischi per il girasole per una regolarità e uniformità di distribuzione del seme (Figura 4).La giusta profondità di semina è di 4 cm, per cui è importante che tale profon-dità sia uniforme su tutto l’appezzamento, per garantire emergenze regolari e contemporanee. Per favorire il contatto tra seme e terreno e per permettere la risalita dell’acqua per capillarità dagli strati umidi sottosuperficiali è consi-gliabile una rullatura eseguita subito dopo la semina, con rulli scanalati, che lasciando il terreno corrugato impedendo la formazione di crosta qualora dovessero verificarsi piogge intense e battenti.Commercialmente la semente di girasole viene venduta a “dosi”, confezioni contenenti un determinato numero di semi (generalmente 70.000) conciati con prodotti anticrittogamici (metalaxil) dei quali deve essere obbligatoria-mente indicato il principio attivo e la sua classe di tossicità sul cartellino del produttore. L’epoca migliore per la semina in ambienti dell’Italia meridionale è nella seconda metà di febbraio, mentre nell’Italia centrale tale epoca cade verso il 15-20 marzo. Semine anticipate potrebbero, se la temperatura ri-mane a lungo su valori troppo bassi, esporre semi e plantule a pericolose avversità naturali: marciumi, maggior virulenza di certi parassiti, possibilità di ristagni idrici. Altrettanto, semine ritardate incidono negativamente sulla produttività della coltura in quanto la fioritura e la successiva fase produttiva si spostano sempre più verso il periodo caldo e siccitoso dell’estate, con un decremento delle rese in acheni e in olio.

7. scelta varietaleLe varietà di girasole disponibili in commercio sono numerose, rappresentate da ibridi, semplici o a più vie, principalmente differenziati per ciclo di matura-zione e per composizione in acidi grassi del seme.In base al ciclo di maturazione gli ibridi sono raggruppati in tre classi princi-pali:- precoci;- medi; medio-precoci; medio-tardivi;- tardivi.La maggior parte delle cultivar diffuse in commercio in Italia presentano una gamma di precocità, espressa come epoca di fioritura, che appartengono alle

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classi medio-precoce e medio-tardiva. La diffusione di queste ultime sono da ri-cercare nelle possibilità di adattamento ai diversi ambienti di coltivazione italiani e alle potenzialità produttive dei genotipi.Per una corretta scelta varietale nell’ambito di una tanto ampia offerta di cultivar è necessario tenere conto di alcuni criteri guida:- adattamento agli ambienti: lunghezza del ciclo; altezza della pianta;- produttività: resa in acheni e in olio;- caratteri qualitativi: contenuto d’olio degli acheni; composizione dell’olio;- resistenza a parassiti, nei confronti di fitopatie diffuse.La lunghezza del ciclo biologico e l’altezza della pianta sono importanti caratteri di adattamento di una varietà agli ambienti di coltivazione. L’altezza della pianta costituisce un importante elemento di valutazione, in quan-to è carattere potenzialmente correlato con la suscettibilità all’allettamento, re-clinamento e stroncamento dello stelo.La produttività deve essere espressa sia quantitativamente che qualitativamente: infatti, il prodotto economicamente utile è l’olio, qualunque ne sia la destinazione, alimentazione umana o impieghi industriali. In Italia il mercato per la remunerazione del girasole fa riferimento alla resa in acheni e non a quello in olio.L’olio di girasole delle varietà comunemente coltivate è costituito per il 90% circa dagli acidi oleico (18:1) e linoleico (18:2), che con la loro incidenza determinano la destinazione d’uso dell’olio medesimo. Le varietà denominate “alto oleico” contenenti fino all’85% di acido oleico trovano impiego sia nell’alimentazione umana che per diverse utilizzazioni in campo industriale.

8. Concimazione mineraleIl girasole senza apporti idrici è una specie dotata di potenzialità produttive non elevate essendo coltura a ciclo primaverile-estivo. Per questi motivi le esigen-ze nutritive risultano modeste, special-mente nei riguardi di azoto e fosforo. Va inoltre ricordato che col suo apparato ra-dicale il girasole è in grado di assorbire elevate quantità di nutrienti dagli strati profondi del terreno e che percentuali rilevanti di elementi

N  =  110

P 2O 5 =  48

K 2O  =  182 157 25

FA B B IS O G N I R E S TITU Z IO N I A S P O R TA ZIO N I

11

75

37

120 160 200

35

4080120160200 0 40 80

 

Figura 5 - Fabbisogni, restituzioni ed asportazioni (kg/ha) per una produzione di 2,5 t ha-1di acheni.

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assorbiti, specialmente di potassio che è il solo elemento verso cui l’oleifera presenta esigenze elevate, si localizzano in organi della pianta che ritornano nel terreno come residui colturali. Ciò comporta un recupero di principi nutritivi localizzati in profondità a vantaggio degli strati superficiali del terreno nei quali vengono incorporati i residui colturali.I dati riportati in figura 5 forniscono un’indicazione sui fabbisogni, sulle restituzioni e sulle asportazioni della coltura, per una produzione di riferimento di 2,5 t ha-1.Il girasole ha uno sviluppo rapido fin dagli stadi iniziali dell’accrescimento, per-tanto l’assorbimento dell’azoto dal terreno è molto intenso. Ne deriva che la dose d’azoto preventivata può essere distribuita già tutta alla semina, oppure frazionarla parte alla semina e parte in copertura, la seconda distribuzione da eseguire prima che le piante chiudano lo spazio tra le file (in concomitanza con la sarchiatura). La forma di somministrazione dell’azoto è quella ammoniacale o ureica, scegliendo il formulato che assicura l’apporto alla pianta della dose prevista al costo più basso.Il fosforo, avendo limitatissima mobilità nel terreno, per renderlo disponibile alle radici, va interrato attraverso i lavori preparatori (aratura, fresatura, etc.). Una variante è costituita dalla localizzazione, consiste nella distribuzione di una quo-ta della dose preventivata di concime in bande poste in prossimità delle file di semina, qualche centimetro sotto o a lato del seme. I vantaggi della localizzazio-ne riguardano: più alta concentrazione di fosforo vicino alle radici della piantina; riduzione dei fenomeni di insolubilizzazione e di adsorbimento; accelerazione dello sviluppo iniziale della pianta, che proprio nelle prime fasi di vita risulta particolarmente bisognosa di fosforo; aumento dell’efficienza di utilizzazione del nutriente.Anche il potassio, così come il fosforo, ha ridotta mobilità nel terreno, per cui risulta indispensabile distribuire il concime in tutto lo strato di terreno che ospi-terà le radici. Non essendo possibile distribuire i concimi potassici in copertura, essi debbono essere interrati al momento delle lavorazioni preparatorie (aratura, zappatrice) o al massimo in concomitanza di quelle complementari utilizzando attrezzi idonei al conseguimento dell’interramento (erpici a dischi, estirpatori).

9. IrrigazioneIl raggiungimento delle massime potenzialità produttive nel girasole sono raggiungibili solo ricorrendo all’irrigazione, pratica che però risulta, nei nostri areali, non proponibile economicamente perché non competitivo con altre colture irrigue di più alta potenzialità produttiva e di reddito più elevato. Pro-ponibili sono interventi irrigui di soccorso, necessari in annate particolarmen-te siccitose. Gli aspetti da tenere in considerazione sono fondamentalmente due:

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1) il volume d’acqua da fornire, deve essere, tale da portare alla capacità idrica di campo uno strato di almeno 50-60 cm, allo scopo di costituire riserve in profondità evitando ecces-sive perdite per evaporazione superficiale;2) il momento di intervento corrisponde allo stadio che va dalla fine della formazione del bottone fiorale sino a quando le ligule gialle dei fiori del raggio appassiscono (a circa 15 giorni di distanza dalla piena fioritura, Figura 6). 10. RaccoltaLa raccolta è effettuata meccanicamente con mietitrebbia-trice da grano con testata dedicata per la raccolta del gira-sole (Figura 7). Il momento della raccolta ricade quando le piante presentano il dorso del capolino di colore bruno, lo

stelo senza traccia di colore verde e tutte le foglie sono completamente secche. L’indice migliore per procedere alla raccolta è comunque costituito dalla umidità degli acheni, che deve essere del 10% circa. I parametri base per la commercia-lizzazione del girasole, quindi del prezzo, sono i seguenti: umidità 9%; impurità 2%. Ogni scostamento da tali indici base determina una proporzionale riduzione del prezzo conferito al produttore.

Figura 7 - Fase di raccolta del girasole, particolari della mietitrebbiatura.

11. Il controllo delle infestantiIl controllo chimico delle malerbe prevede l’applicazione di erbicidi alla semina o in pre-emergenza, più difficile risulta essere un intervento in post-emergenza perché non sono disponibili prodotti dicotiledonicidi selettivi a largo spettro di

dall’alto: a) / b) / c)Figura 6 - a) bottone fiorale; b) bottone fiorale con ligule gialle poste perpendicolarmente al piano del disco (momento in cui deve essere effettuato l’intervento irriguo di soccorso); c) ligule del fiore del raggio in appassimento.

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azione. Le più comuni infestanti sono dicotiledoni: Chenopodium album, Sinapis arvensis, Poligunum sp.pl., Solanum nigrum; tra le monocotiledoni: Echinocloa crus galli, Setaria sp.pl. e Digitaria sp.pl.L’intervento di diserbo deve assicurare la protezione della coltura, dalla compe-tizione con le malerbe, nel periodo compreso tra l’emergenza e lo stadio di 6-8 foglie, successivamente la coltura del girasole, se viene messa nelle condizioni di coprire il terreno, compete egregiamente con le infestanti. Inoltre, per il conte-nimento delle infestanti, ai trattamenti di sintesi devono seguire necessariamen-te interventi di tipo agronomico, come fresatura o sarchiatura nell’interfila. Scheda di diserbo

Epocad’intervento

Principi attivi

Pre-semina Glifosate; glufosinate ammonio;

Pre-emergenza

Monocotiledoni + dicotiledoni: pendimetalin; metolaclor + metobromuron;

Dicotiledoni: aclonifen; fluorochloridone;

Post-emergenza Monocotiledoni: cicloxidim; fenoxaprop-etil; fluazifop-p-butil; imazametabenz; setoxidim;

12. Fitopatie e difesa fitosanitariaIl girasole è ospite di numerosi patogeni. Viene colpito dalle avversità normal-mente durante la fase vegetativa o all’inizio della fioritura. In Italia meridionale, dove la coltura del girasole è effettuata quasi esclusivamen-te in asciutta, poche sono le fitopatie responsabili di danni gravi alla coltura. Da segnalare sono la peronospora (Plasmopara helianthi), il marciume carbonioso dello stelo (Sclerotium bataticola, sinonimo Macrophomina phaseolina), lo stelo nero (Phoma spp.) che tuttavia non determina particolari conseguenze per la pianta e infine da ricordare il cancro dello stelo dovuto a Phomopsis helianthi. Il panorama varietale in commercio presente in Italia annovera genotipi resistenti o tolleranti riguardanti la peronospora, “razza europea” o razza 1, ed il cancro dello stelo. La lotta chimica risulta di difficile attuazione per la mancanza di fun-gicidi autorizzati e per la difficoltà di esecuzione del trattamento con la coltura in atto, resta comunque come mezzo efficace di lotta chimica contro il patogeno

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della peronospora la concia del seme con metalaxil. Non si conoscono fattori genetici di resistenza a Sclerotium bataticola ed a Phoma. Per quanto riguarda la Phomopsis, che non costituisce attualmente un problema in Italia, diverse varietà offerte in commercio sono resistenti o pochissimo suscettibili.Di seguito sono riportate delle schede che forniscono indicazioni di carattere generale che vanno aggiornate periodicamente in base al Disciplinare di Produ-zione Integrata per il Girasole.

Scheda di difesa fitosanitariaAvversità Principi attivi

Crittogame Peronospora (Plasmopara helianthi)

Concia delle sementi (metalaxil) Varietà resistenti

Marciume carbonioso (Sclerotium bataticola)

Nessun trattamento Evitare densità alte d’impianto Contenere la concimazione azotata Evitare stress idrico (irrig. di soccorso)

sclerotinia (Sclerotinia sclerotiorum)

Nessun trattamento Varietà a minore suscettibilità Evitare densità alte d’impianto Contenere la concimazione azotata Evitare abbondanti irrigazioni alla fioritura

Muffa grigia (Botrytis cinerea) Nessun trattamento

Fusariosi e septoriosi Nessun trattamento

Fitofagi

Elateridi (Agriotes spp.)

Concia delle sementi (metalaxil) Geoinsetticidi localizzati nel solco alla semina

Nottue terricole Nessun trattamento

Nottue fogliari Nessun trattamento

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Scheda di difesa biologica

Avversità Interventi

Crittogame

Peronospora (Plasmopara helianthi)

Adottare lunghe rotazioni (5-6 anni)Impiego di varietà resistentiSemine anticipate e troppo profonde

Marciume carbonioso (Sclerotium bataticola)

Adottare lunghe rotazioni Impiego di semente sana Opportune pratiche agricole atte ad un adeguato sviluppo delle piante

sclerotinia (Sclerotinia sclerotiorum)

Adottare lunghe rotazioni (almeno 4 anni) Favorire lo sgrondo delle acque in eccesso Distruggere tempestivamente le piante colpite

Fitofagi

Elateridi (Agriotes spp.)

Ripetute lavorazioni superficiali nel periodo della nascite per mantenere asciutto il terre-no in superficieEvitare la successione con ortive sensibili agli elateridi (patata, cipolla, melone), alme-no per 3 anni

Piralide del girasole (Homeosoma nebulellum) Impiego di varietà resistenti

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BIBLIOGRAFIA

AA. VV., 1995. Le tecniche di coltivazione delle principali colture agroindustriali. Agronomica.BALDONI R., GIARDINI L., 2001. Coltivazioni erbacee. Piante oleifere, da zuc-chero, da fibra, orticole e aromatiche. Patron Editore Bologna.COVARELLI G., 1999. Controllo della flora infestante: le principali colture agra-rie. Ed. Edagricole Bologna.DEL GATTO A. et al., 2009. I migliori girasoli per produrre energia. L’Informatore Agrario 10: 52-54. GIROTTO G., 1975. Il girasole. Ed. Edagricole Bologna.MONOTTI M. et al., 2002. Varietà di girasole a confronto. Varietà di girasole alto oleico e convenzionali a confronto. L’Informatore Agrario 11: 43-55.

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12- COLzA (Brassica napus L. subsp. oleifera DC)

Gianluca BrunettiDipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di Agraria

Università degli Studi di Bari

1. IntroduzioneLa colza è una pianta che appartiene alla fa-miglia delle Cruciferae o Brassicaceae; è una coltura annuale con fusto eretto alto da 1,5 a 2,0 m, con una grande radice fittonante che può raggiungere i 70-80 centimetri di profondi-tà, anche se la sua gran parte è concentrata nei primi 30-40 cm del profilo del suolo. L’infiore-scenza è un racemo con fioritura scalare, con i fiori costituiti da 4 petali di colore giallo disposti a forma di croce, mentre il frutto è una siliqua con due carpelli separati da un setto. Il numero di semi in un frutto è una caratteristica varietale e può variare da 15 a 40. Il peso dei mille semi può variare da 3,5 a 5,0 g circa.

2. Esigenze ambientaliQuesta coltura è ben adattata a una vasta gamma di terreni, ma può crescere anche nei suoli argillosi e con elevato contenuto di carbonati, anche se ha bisogno di un buon drenaggio. Essa dimostra anche una buona tolleranza nei confronti di valori anormali di pH e ad un alto contenuto di salinità delle acque. Per quanto riguarda la temperatura, la colza sembra essere abbastanza tollerante al freddo ed è in grado di svilupparsi anche ad altitudini elevate, è resistente alle gelate so-prattutto nelle fasi iniziali, anche se la crescita viene arrestata già a circa 6 - 8 °C; durante la fase di fioritura preferisce moderate temperature, ma può superare an-che temperature elevate solo in assenza di stress idrico. Punti critici della coltura possono essere individuati nella germinazione e nelle fasi di emergenza; durante la germinazione la temperatura non deve scendere al sotto di 2 °C altrimenti la percentuale di germinazione è generalmente ridotta; nella fase fenologica della rosetta (internodi non rilevabili) la resistenza al freddo è maggiore e si possono raggiungere anche temperature di -3 0° C senza alcuna problematica. Altra importante caratteristica ambientale ai fini della produttività è l’esigenza

 

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in freddo; alcune forme, definite biennali o non alternative, necessitano di un periodo di almeno 40 giorni a temperature inferiori a 10 °C per indurre la for-mazione degli abbozzi fiorali, viceversa le cultivar definite annuali o alternati-ve non richiedono alcuna vernalizzazione per entrare nella fase riproduttiva. Di conseguenza l’epoca di semina condiziona fortemente l’adozione di una determinata tipologia di cultivar.

3. Ciclo Nelle condizioni climatiche dell’Italia meridionale la colza ha un ciclo autunno pri-maverile, con possibilità di semina primaverile. Negli areali dell’Italia meridionale il periodo ideale di semina è l’autunno (preferibilmente in ottobre) per garantire un idoneo sviluppo della coltura prima dell’arrivo del freddo. La semina a volte può essere ritardata sino all’ultima parte della stagione fredda, ma la riduzione della fase vegetativa ha come conseguenza una riduzione consistente della pro-duzione ottenibile.L’intero ciclo colturale può variare da 120 a 180 giorni. L’emergenza richiede da 10 a 20 giorni e la fase vegetativa ha una durata di 40-50 giorni per il ciclo breve e 100-120 giorni nel normale ciclo vegetativo. La fioritura è scalare partendo dal basso verso la parte superiore del fiore; la durata di questa fase oscilla da 20 a 30 giorni e dal riempimento dei semi fino al raccolto sono necessarie circa 4 settimane. Per quanto riguarda le fasi fenologiche di crescita, il ciclo delle colture può essere suddiviso nelle seguenti fasi:

- Germinazione- Sviluppo fogliare (rosetta) - Formazione di germogli late-rali - Allungamento stelo- Comparsa Infiorescenza- Fioritura- Sviluppo del frutto- Maturazione- Senescenza

Figura 1 - Alcune delle principali fasi fenologiche della colza.stadio cotiledonare Bottoni fiorali riunitiPiena fioritura Maturità fisiologica

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4. AvvicendamentiViene classificata come coltura da rinnovo, con i numerosi benefici che derivano dall’introduzione negli avvicendamenti colturali: le produzioni di frumento che seguono nella successione traggono notevole vantaggio da tale rotazione. Il controllo delle infestanti, specialmente delle graminacee, risulta migliore. L’im-portanza della rotazione delle colture non deve essere mai sottovalutata; questa coltura inserita in rotazione può avere un effetto sul miglioramento della struttura del suolo e nella lotta contro le malattie. Per gli stessi motivi, è sconsigliabile la coltivazione di questa coltura nello stesso appezzamento per più di un anno o in successione ad alcune colture, come il girasole e barbabietola da zucchero, per-ché l’incremento e la diffusione di alcune malattie (ad esempio Sclerotinia scle-rotiorum) possono compromettere le produzioni. Un ottimale avvicendamento è quello quadriennale che prevede il ritorno della coltura dopo un tempo ragione-volmente ampio tale da ridurre le potenziali problematiche di tipo fitosanitario.

5. Gestione del suoloUn’aratura principale, seguita da frangizzolature prima della semina consentono l’interramento dei residui della coltura precedente, una buona preparazione del letto di semina e contribuiscono al controllo delle erbe infestanti.La preparazione del letto di semina è influenzata dal livello di umidità del suolo, aspetto importantissimo per l’ottenimento di una buona emergenza, tenendo in considerazione le dimensioni ridotte dei semi. Con andamento autunnale siccitoso, allorché viene impedita un’adeguata preparazione del letto di semina, si tende ad incrementare il quantitativo di semente impiegata, aspetto che non sempre produce i risultati sperati. Durante la preparazio-ne del terreno deve essere distribuita la necessaria quantità di concime da interrare con le lavorazioni di affinamento e preparazione del letto di semi-na. Un’operazione accessoria eventualmente consigliabile in condizioni di terreno molto soffice è la rullatura del terreno nella fase immediatamente precedente alla semina; in condizioni di terreno asciutto al fine di agevolare un miglior contatto del seme con l’umidità del suolo è possibile effettuare una rullatura subito dopo la semina. Oltre alle tecniche tradizionali di preparazione del terreno è possibile anche in tale coltura adottare tecniche di minima lavorazione o semina su sodo; entrambe queste tecniche prevedono una trinciatura dei residui colturali della coltura precedente al fine di rendere più agevole le successive operazioni colturali. Nella minima lavorazione questa operazione è seguita da una fre-satura ed erpicatura del terreno nelle fasi di presemina, mentre nella semina su sodo non è richiesto alcun ulteriore passaggio anche se però si rende necessario il ricorso ad idonee seminatrici.

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6. SeminaLa semina è influenzata dalla temperatura e dal livello di umidità del suolo; le semi-ne troppo tardive in prossimità dell’arrivo dei freddi non sono favorevoli perché spes-so l’emergenza può essere ritardata e irregolare e le piantine arrivano in inverno in uno stadio poco resistente al freddo. Epoca ideale di semina nella nostra regione è nella seconda metà del mese di Ottobre fino al massimo alla prima decade di Novembre.I risultati migliori possono essere ottenuti con seminatrici pneumatiche, tarate con interfila uguale a quella del grano, oppure chiudendo in modo alternato i distributori in maniera tale da ottenere una distanza tra le file di 30-35 cm. La taratura della macchina seminatrice è un fattore da tenere in attenta considerazione. Il seme da distribuire deve consentire l’ottenimento di un investimento ottimale alla semina di circa 70-90 piante/m2 nel caso delle cultivar tradizionali.Una bassa densità di semina oltre a ridurre le produzioni ottenibili può avere effetti sulla raccolta in quanto il basso numero di piante per metro quadrato è strettamente correlato con l’aumento del diametro del fusto e possono così insorgere problemi in fase di trebbiatura. In genere l’impiego di circa 8-10 kg di semi è sufficiente per un ettaro di coltura, se hanno un elevato tasso di germinazione. Tale dose di seme può ridursi qualora vengano utilizzate seminatrici di precisione o vengano adoperate varietà ibride. Tali varietà ibride infatti generalmente vengono seminate in modo da ottenere una den-sità di piante alla semina che oscilla tra le 50 e le 60 piante/m2; nelle varietà ibride a taglia ridotta la densità ottimale alla semina è ulteriormente ridotta a circa 45-50 piante/m2. Si consiglia comunque di controllare la densità di semina suggerita dalle ditte sementiere in relazione alla cultivar adottata.Importante per il buon esito della coltura è l’adozione del trattamento conciante delle sementi; fungicidi di contatto possono offrire protezione contro malattie come il mar-ciume delle piantine (Pythium e Fusarium) e cancro delle radici e dello stelo (Rhi-zoctonia solani). In genere le ditte sementiere forniscono il seme già conciato con anticrittogamici attivi contro tali attacchi. Le sementi sono spesso confezionate in unità contenenti da 1 a 1,5 milioni di semi che sono sufficienti per seminare da 2 a 3 ettari.

7. scelta varietaleLa scelta varietale è di solito determinata dalla lunghezza della stagione di cre-scita; nelle nostre regioni caratterizzate da aridità nella fase finale del ciclo le cultivar devono combinare in modo favorevole precocità e produttività. La differenza nell’epoca di raccolta tra le varietà precoci e tardive può oscillare da circa una settimana a dieci giorni. In relazione alle caratteristiche genetiche, le varie-tà possono essere divise in due gruppi, le linee pure e gli ibridi; gli ibridi sono caratte-rizzati da un maggiore vigore vegetativo e tendenzialmente sono più produttivi.

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Tabella 1- Parametri di riferimento per la semina della colza Parametri per la semina

Quantità di seme (kg ha-1) 8 – 10

Densità di piante (piante m-2)70 - 90 (linee) 50 - 60 (ibridi)

45 - 55 (ibridi seminani)

Distanza tra le file (cm) 17 – 35

Distanza sulla fila (cm)3,6 - 7,4 (linee)

5,2 - 10,7 (ibridi)5,7 - 11,7 (ibridi seminani)

Profondità (cm) 2 – 3

Inoltre le cultivar possono essere distinte in relazione alla necessità di vernaliz-zazione, cioè alla necessità di basse temperature per determinare l’induzione a fiore; le cultivar, infatti, sono distinguibili in:- autunnali (forme biennali o non alternative)- primaverili (forme annuali o alternative) Le prime subiscono l’induzione alla fioritura solo dopo aver trascorso un perio-do di basse temperature e pertanto possono essere seminate solo in autunno, mentre le seconde non essendo legate alla necessità di freddo possono essere seminate sia in autunno che in primavera. Altre caratteristiche varietali da considerare nella scelta della cultivar da semina-re sono la destinazione del prodotto; sono, infatti, disponibili sul mercato diverse tipologie di colza in base al contenuto di acido erucico e glucosinolati. L’acido erucico è un acido carbossilico ritenuto tossico per l’organismo umano mentre i glucosinolati agiscono sul metabolismo della tiroide con un’azione iper-tiroi-dizzante e pertanto la normativa europea ha vietato sin dal 1990 la presenza di acido erucico nell’olio estratto ad uso alimentare e l’impiego di farine disoleate contenenti glucosinolati, per l’alimentazione animale. In base al contenuto di questi elementi è possibile distinguere quattro tipologie varietali:- tipo “doppio alto" caratterizzati da un alto contenuto di acido erucico e gluco-sinolati;- tipo “0" con un basso tenore di acido erucico;

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- tipo “00" con un contenuto quasi nullo di acido erucico e non più di 5-10 micro-moli di glucosinolati per grammo di farina disoleata;- tipo "000" con basso tenore di acido erucico e glucosinolati e basso tenore in fibra.Altro parametro che può condizionare la scelta è la necessità di piante carat-terizzate da taglia bassa in ambienti molto fertili o ventilati nei quali la pianta potrebbe essere maggiormente soggetta ad allettamento; in tali casi è consiglia-bile adottare ibridi semi-nani (semidwarf) che accoppiano l’elevata potenzialità produttiva con la taglia bassa. Il panorama varietale è molto ampio e consente un’ampia scelta in relazione alle esigenze aziendali ed ambientali; nelle riviste specializzate del settore sono annualmente disponibili confronti varietali nei di-versi areali italiani che possono fornire indicazioni molto utili nella scelta della cultivar da adottare.

8. Gestione delle infestantiLa gestione delle infestanti in aziende a regime biologico può essere condotta con l’ausilio di tecniche quali la falsa semina che tendono ad abbattere il poten-ziale infestante e ricorrendo ad interventi meccanici, quali le fresature interfila.Nelle aziende convenzionali il controllo può essere realizzato anche con l’adozione di tecniche di controllo chimico con diversi principi attivi registrati per questa coltura.In pre-semina può essere adottato un abbattimento della carica infestante con un trattamento disseccante a base di glifosate; in pre-emergenza è pos-sibile adottare alcuni principi attivi come il metazaclor che consentono il con-tenimento di infestanti graminacee e di alcune dicotiledoni quali Matricaria, Galium, Papaver, Veronica. Tale principio attivo può anche essere impiegato in post-emergenza precoce quando la coltura ha raggiunto almeno 2 foglie vere e le infestanti sono allo stadio cotiledonare. In post-emergenza, per il controllo delle erbe infestan-ti graminacee annuali possono essere comunemente usati diversi principi attivi (graminicidi), mentre per il controllo delle infestanti a foglia larga (di-cotiledoni) vengono utilizzati solamente erbicidi selettivi nei confronti della colza; su scala mondiale è molto diffuso l’impiego di erbicidi base di clopiralid per il controllo di infestanti dicotiledoni quali ad esempio le Compositae. I trattamenti di post-emergenza devono essere valutati in relazione alla reale densità di infestanti presenti e tenendo conto del fatto che dopo lo stadio di 4 - 6 foglie lo sviluppo della coltura è molto elevato e quindi la coltura è in grado di esercitare una forte competizione nei confronti di tutte le infestanti presenti. Molto importante quindi è la tempestività di intervento per garantire un corretto sviluppo della coltura.

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Tabella 2 – Epoca e Principi attivi impiegabili per la gestione delle infestanti.

Epoca Principio attivo

Pre-semina glifosate

Pre-emergenza metazaclor

Post-emergenzaMonocotiledoni: fluazifop-p-butil

Dicotiledoni: clopiralid

9. FertilizzazioneUn idoneo piano di fertilizzazione può essere redatto solo in seguito ad ana-lisi chimico-fisiche del suolo che consentono di considerare la quantità di sostanze nutritive che vengono fornite dal suolo e i fenomeni di mineraliz-zazione dei residui dei raccolti precedenti. In assenza di tali informazioni a disposizione, un piano di fertilizzazione può essere realizzato tenendo conto dell’asportazione dei nutrienti. Si calcola che una tonnellata di granella di col-za asporta mediamente circa 31 kg di azoto, circa 13 kg di fosforo e appena 10 kg di potassio.Sulla base di queste considerazioni è possibile suggerire il seguente piano di fertilizzazione; la concimazione azotata può essere realizzata distribuendo circa un terzo del quantitativo di azoto richiesto dalla coltura sottoforma di urea distribuita alla semina e la restante parte può essere distribuita come urea o nitrato ammonico in copertura in uno o due applicazioni; la fertilizza-zione fosfatica prevede la distribuzione di 50-70 kg di P2O5, nelle operazioni preliminari alla semina o in maniera localizzata contestualmente alla semina. La fertilizzazione potassica è suggerita quando è accertata una carenza nel suolo di potassio scambiabile (< 100 ppm); in tali casi è sufficiente un appor-to di K2O variabile dai 70 a 100 kg/ha. Un altro elemento molto importante per questa coltura oleaginosa è lo zolfo; spesso è presente in alcuni concimi complessi (solfato ammonico, solfato po-tassico) per cui una quantità sufficiente può essere somministrata in queste forme. Va comunque evitato un eccesso di questo elemento in quanto tende ad incrementare il contenuto di glucosinolati; è consigliabile pertanto non superare apporti di 70-75 kg/ha di SO3.

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Tabella 3 - Fertilizzazione comunemente consigliata per la colza

Nutriente Pre-semina(Kg ha -1)

Copertura(Kg ha -1)

Azoto (N) 40-50 80-90

Fosforo (P2O5) 50-70 0

Potassio(K2O) 0* 0

10. IrrigazioneNei nostri ambienti dato il ciclo autunno vernino della coltura l’irrigazione normal-mente non è necessaria; un’irrigazione supplementare potrebbe essere prevista al momento della germinazione se le piogge autunnali non sono sufficienti a ga-rantire un ottimale affiancamento della coltura. Infatti, l’aridità in questa fase ini-ziale rallenta l’imbibizione e la germinazione dei semi, e il ritardo nell’emergenza si può ripercuotere con conseguenze più o meno notevoli sulla crescita e sulla successiva raccolta. Altre irrigazioni di soccorso potrebbero essere necessarie durante le fasi più delicate, come la fioritura o il riempimento dei semi, solamente in annate eccezionalmente siccitose.

11. Avversità e DifesaGli insetti parassiti e le malattie associate con la colza raramente sono eco-nomicamente importanti, ma potrebbero potenzialmente causare qualche pro-blematica. Infestazioni di insetti, soprattutto nella fase finale del ciclo colturale, possono avere effetti consistenti sia sulla produzione areica che sulla qualità e quantità di olio prodotto. Il punteruolo delle silique (Ceutorrhynchus assimilis) e quello dello stelo (Ceutor-rhynchus napi) sembrano di grande importanza per questa coltura; C. assimilis con l’inizio della fioritura passa sulla coltura, dopo essere emersi dai loro siti di letargo nel suolo. Le giovani silique sono preferite per l’oviposizione, e una sola femmina può deporre da 25 a 240 uova nel corso di una stagione; le larve dan-neggiano diversi semi per siliqua mentre gli adulti non hanno alcuna influenza sul numero di semi per siliqua. Le perdite non sono significative quando le sili-que attaccate sono inferiori al 25%.La più diffusa e pericolosa infestazione è causata dal Meligete (Meligethes ae-neus); questo giovane coleottero emerge dal suolo dopo il letargo quando le temperatura sono superiori a 10 ° C. Gli adulti si nutrono di polline e nettare di

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diverse piante e quando le temperatura sono superiori a 15 ° C, passano sulla colza per deporre le uova nelle gemme. Quando i fiori si aprono, le larve iniziano ad alimentarsi di polline, ovario e petali, e nel caso di pesanti attacchi si hanno il disseccamento e la cascola dei fiori e, mentre infestazioni più leggere non pro-vocano la caduta di fiori, ma ostacolano la formazione delle silique. Le larve e gli adulti passano da fiori vecchi a quelli più giovani e ai bottoni fiorali. Il meligete attacca la colza, quando le gemme sono già grandi ed è iniziata l’apertura delle prime infiorescenze; questo periodo è considerato quello più sensibile per que-sto coleottero. Per quanto riguarda il valore di soglia per il trattamento chimico devono essere contati fino a un massimo di 3 adulti, su una pianta. Tra gli altri gruppi di parassiti, diverse specie di afidi (Homoptera, Aphidae) è possibile riscontrare sulla colza. Se l’infestazione di afidi inizia precocemente durante la fase di bottoni fiorali, si possono provocare cascola di fiori, deforma-zione delle silique e notevoli perdite di produzione; viceversa, se le piante ven-gono attaccate quando hanno già sviluppato una gran parte delle silique i danni causati dagli afidi sono impercettibili. Spesso un buon controllo degli afidi può essere realizzato da alcuni nemici naturali, come alcune specie di coccinellidi e così sotto la soglia di 2 colonie di afidi per metro quadrato, non dovrebbe essere fatto alcun trattamento. Un buon controllo degli insetti può essere realizzato con il riconoscimento dei periodi di volo attraverso trappole cromotropiche gialle e con il trattamento precoce con insetticidi da contatto; una vasta gamma di pire-troidi (alfa-cipermetrina, cipermetrina, deltametrina, lambda-cialotrina, tau-fluva-linato, zeta-cipermetrina) sono attualmente utilizzati. Va comunque sottolineato che i pesticidi possono avere effetti collaterali indesiderati su numerosi insetti benefici, compresi i predatori e parassitoidi, e il loro utilizzo può creare alcuni problemi; pertanto, solo quando le infestazioni sono molto pesanti, il controllo chimico dei parassiti si rende necessario. Le malattie fungine possono essere presenti in particolare nelle zone in cui sono coltivate altre oleaginose come la soia e di girasole o il pisello; i più diffusi sono Sclerotinia sclerotiorum e Alternaria brassicae. Sclerotinia sclerotiorum può pro-pagare tra i residui delle colture con alcuni organi chiamati sclerozi. Il miglior controllo di queste patologie può essere ottenuto dall’impiego degli avvicenda-menti delle colture evitando che la stessa coltura ritorni per più anni sullo stesso appezzamento; rotazioni di almeno tre anni possono essere sufficienti a ridurre l’incidenza di queste malattie.

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Tabella 4 - Principali avversità e modalità di controllo

Avversità Controllo

Punteruolo delle silique(Ceuthorrhyncus assimilis)

Ciflutrin;Fluvalinate;

Lambda-cialotrina

Meligete(Meligethes aeneus)

Afide delle Brassicacee(Brevicoryne brassicae)

Sclerotinia(Sclerotinia sclerotiorum) Impiego di cultivar resistenti;

Avvicendamenti Alternariosi(Alternaria brassicae)

12. RaccoltaLa raccolta può essere effettuata meccanicamente impiegando le normali mieti-trebbie da grano, provvedendo ad un’opportuna regolazione del sistema di ven-tilazione; qualora si debba procedere alla raccolta di grosse superfici è consi-gliabile l’adozione di opportune testate per la colza che riducono notevolmente le perdite di seme. La fase di raccolta è molto delicata, non va ritardata oltre la data ottimale di maturazione perché trattandosi di una pianta deiscente le silique possono aprirsi per effetto delle variazioni di umidità o del vento riducendo note-volmente la produzione ottenibile. Una corretta valutazione del momento della raccolta è importante per non va-nificare i risultati produttivi conseguiti. Inoltre, se ciò dovesse accadere rappre-senterebbe un’infestante per la coltura successiva e richiederebbe ulteriori trat-tamenti chimici o meccanici per il controllo.Da un punto di vista pratico la mietitrebbiatura è possibile quando tutti i semi da verdi diventano gialli, bruni o neri e il tenore di umidità è inferiore al 15%. É consigliabile inoltre effettuare la raccolta nelle prime ore della giornata; la veloci-tà della mietitrebbiatrice deve essere ridotta al minimo (circa due terzi di quella comunemente impiegata per i cereali) e l’altezza di taglio deve essere la più elevata possibile per evitare un eccessivo ingolfamento della macchina con la biomassa secca.

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I principali parametri da rispettare per la commercializzazione dei semi di colza sono un contenuto di umidità non superiore al 9%, una presenza di impurità (parti pianta, semi di estranei, ecc.) inferiore al 2% e l’assenza di clorofilla.

13. Usi La colza è una tipica coltura da olio che potrebbe offrire la possibilità di sfrut-tare diverse aree del Mediterraneo per scopi agro-industriali; l’olio può essere impiegato in campo alimentare, per diverse applicazioni industriali (cosmetici, detergenti, lubrificanti, materiali biodegradabili sostituti delle materie plastiche) e per la produzione di bio-diesel a seguito di un processo di trasformazione in-dustriale. Il contenuto in olio varia dal 36 al 45%; supponendo una produzione areica di 3,0 t/ha, da un ettaro possono essere estratte circa 1,2 tonnellate di olio. I metodi di estrazione sono fondamentalmente due: uno “meccanico” che utilizza la pressione come agenti di estrazione ed uno “chimico”, che adotta diversi solventi. Questi due metodi sono spesso combinati insieme: l’estrazione meccanica permette di recuperare circa l'85-90%, la chimica invece consente di recuperare l’olio residuo. Il prodotto di questo processo industriale sono l’olio e il panello ricco di proteine. L’olio può essere trasformato in bio-diesel, attraverso un processo chiamato “trans-esterificazione”.Il discreto contenuto in proteine del panello lo rende utilizzabile in zootecnia per l’alimentazione del bestiame; le proteine contenute nel panello hanno un elevato valore biologico in quanto sono caratterizzate da una composizione equilibrata e da un elevato contenuto in lisina. Anche per l’alimentazione animale la normativa prevede l’impiego di varietà con bassi valori di glucosinolati; le varietà ad elevato contenuto di glucosinolati, viceversa, possono essere adoperate come ammen-danti nei terreni. Oltre all’apporto di elementi nutritivi e sostanza organica è da segnalare l’attività nematocida determinata dai glucosinolati contenuti in tutte le porzioni di pianta. Il sovescio verde è consigliato soprattutto in aziende biologi-che nelle quali le problematiche legate ai nematodi sono di difficile controllo.La composizione media del seme è di seguito riportata: il contenuto di sostanze grasse oscilla tra 36 e 45%, le proteine variano dal 19 al 22%, gli estrattivi non azotati oscillano dal 10 al 24%, la cellulosa è compresa tra il 6% e il 15%, le ceneri non superano il 4-6% e il contenuto di acqua oscilla generalmente tra il 5 e il 9%.L’olio delle varietà a basso erucico ha una composizione acidica media con un preponderante contenuto di acido oleico (C18:3) che raggiunge circa i due terzi (65,7 %) del totale ; mentre il contenuto di linoleico (C18:2) e linolenico (C18:3) è rispettivamente il 19,4% e il 9,6%. Il contenuto di acido erucico (C22:1) in que-ste varietà è sempre inferiore allo 0,5% mentre in quelle ad alto erucico, circa il 45,5% è rappresentato da questo acido grasso monoinsaturo. In queste ultime

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la composizione acidica è completata dalla presenza dell’acido oleico, circa il 20% mentre linoleico e linolenico sono in quantità inferiori con valori rispettiva-mente di 13,5% e 8,4%. L’elevata presenza di acido linolenico nell’olio di colza lo rende poco adatto come olio alimentare per la cottura, poiché le temperature elevate lo decompongono facilmente e formano composti aromatici che alterano il gusto degli alimenti.Una specie molto affine al colza che ha impieghi analoghi è il cavolo abissinicao (Brassica carinata A. Braun); questa specie, derivata dall’incrocio e dalla suc-cessiva poliploidizzazione tra la senape nera (Brassica nigra) e il cavolo (Bras-sica oleracea), si distingue dalla colza per alcune caratteristiche tra le quali è opportuno ricordare l’assenza di deiscenza delle silique a maturità, la notevole rusticità ed la maggiore resistenza agli stress idrici. Le prospettive di impiego negli areali meridionali sono notevoli, e il miglioramento genetico ha già prodotto discreti risultati sull’incremento della produttività che è lievemente inferiore a quella della colza.

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BIBLIOGRAFIA

AA.VV., 1995. Le tecniche di coltivazione delle principali colture agro-industriali. Agronomica.BALDONI R., GIARDINI L., 2000. Coltivazioni erbacee. Patron editore. Bolo-gna. C.E.T.I.O.M., 1988. Colza - Insectes et autres ravageurs.C.E.T.I.O.M., 1992. Les maladies du colza.RAPPARINI G., 1994. Il diserbo delle colture. Edizioni l’informatore Agrario. Bo-logna. 496 pp.

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ALLEGATO

sCHEDE TECNICHE DI COLTIVAzIONE DELLE PRINCIPALI COLTURE CEREALICOLE,

FORAGGERE E INDUsTRIALI

FRUMENTOLuigi Tedone

Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Facoltà di Agraria Università degli studi di Bari

Lavorazione prin-cipale del terreno

Lavorazione 25-30 cm e lavorazioni di completamentooppure

lavorazione minima (inferiore a 15 cmoppure

semina diretta su sodo

AvvicendamentoLa monosuccessione potrebbe comportare problemi di carattere fitosanitario.Consigliabile un avvicendamento con colture quali legumi-nose, erbai, colture da rinnovo (pomodoro, colza, girasole)Comuni le rotazioni quadriennale rinnovo-frumento-legu-minosa-frumento o triennale rinnovo-frumento-frumento, leguminosa-frumento-frumento

Semina Epoca Frumento duro dalla seconda de-cade di novembre alla prima di di-cembre. Per il tenero inizio novem-bre

Spighe alla raccolta Duro 500/m2, tenero 600/m2

Interfila 15-18 cm

Dose di seme 400 semi germinabili/mq duro. 450 semi germinabili/m2 tenero. Au-mentare il quantitativo in caso di ritardo della semina e in caso di semina su sodo. Ridurre in caso di condizioni di fertilità potenziale del terreno più bassa

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Varietà: vedi tabelle 1,2,3

Concimazione Azotata (N kg/ha) 50 alla semina-accestimento, 70 fine accestimento-levata

Fosfatica (P2O5 kg/ha)

70 Unità nei terreni carenti (P Ol-sen < 10 ppm)Nessun apporto in quelli a dotazio-ne medio-buona

Potassica (K2O kg/ha)

Nessun apporto nei terreni suffi-centemente dotati 60 Unità nei terreni carenti (K scambiabile < 100 ppm)

Controllo delle in-festanti

Monocotiledoni e dicotiledoni

Valutazione delle specie infestanti presenti, in fase di accestimento-levata, con scelta del principo atti-vo più opportuno (vedi capitolo 4)

Tabella 1 – Elenco delle varietà di frumento duro in prova negli ultimi 3 anni nell’ambito della rete Nazionale frumento duro in Puglia

Varieta Ditta sementiera Indice di resa (%)

Peso ettoli-trico

(kg/hl)

Peso dei 1000 semi

(g)

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Taglia (2)

Alemanno  Coseme 100,8 82,7 46,3 M MBAnco Marzio Soc.Italiana Sementi (SIS) 106,6 82,6 38,2 M MAAriosto Apsov sementi 98,7 78,3 37,9 ST AArnacoris  Limagrain Italia 90,2 80,1 41,5 M MBAsdrubal Monsanto 86,6 80,1 30,7 P ACanyon Monsanto 99,2 81,5 40,2 SP MACapri’ Florimond Desprez 77,0 81,2 34,0 ST MACasanova Apsov sementi 105,3 81,7 45,2 M MBCatervo Eurogen 86,8 81,3 41,6 ST MBChiara CRA-Istituto Cerealicoltura 

Roma 101,7 79,2 39,9 M MBCiccio Eurogen 103,6 82,7 40,2 P MBCiclope  CRA-Istituto Cerealicoltura  109,6 79,9 45,5 SP MBClaudio Soc.Italiana Sementi (SIS) 103,6 83,0 41,1 M ACreso Isea 88,9 82,1 42,3 ST BDario Agroservice spa 94,7 83,4 39,4 M MADuilio Soc.Italiana Sementi (SIS) 103,1 81,2 41,5 SP MDylan Apsov sementi 95,4 80,7 40,8 ST MB

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Ercole Mosconi Cesare e Giorgio, Roma 90,8 82,0 42,6 T MA

Grecale Apsov sementi, Società Pr. Sementi (PSB) 98,6 80,1 35,2 M MB

Imhotep  Limagrain Italia 97,4 80,8 40,9 P MBIride Compagnia Generale 

Servizi (CGS) 105,0 81,2 35,6 SP MBK26  F.lli Menzo 92,8 82,2 42,6 M MBLatinur  Compagnia Generale 

Servizi (CGS) 104,8 82,8 43,1 M BMaestrale Società Pr. Sementi (PSB) 105,5 79,5 35,9 SP MAMeridiano Soc.Italiana Sementi (SIS) 109,8 79,8 41,5 M MANeolatino Soc.Italiana Sementi (SIS) 100,5 82,8 41,8 SP MNormanno Società Pr. Sementi (PSB) 105,0 79,9 39,1 M MBOrfeo Pioneer 72,0 77,2 38,9 T APortorico Soc.Italiana Sementi (SIS) 89,5 79,2 36,7 M MAPR22D89  Pioneer 100,6 81,3 43,4 M MAPrincipe  Coseme 96,8 82,2 44,4 SP MBSant’agata CRA-Istituto Cerealicoltura 

Roma 98,1 79,0 43,8 SP MBSaragolla Società Pr. Sementi (PSB) 116,0 80,0 37,4 SP MBSfinge CRA-Istituto Cerealicoltura 

Roma 100,3 81,2 42,5 P MBSimeto Proseme 101,3 79,9 46,0 M MBSorrento Pioneer 88,0 84,1 39,6 SP MASvevo Società Pr. Sementi (PSB) 101,8 81,7 39,9 P ATiziana Apsov sementi 95,0 80,4 45,5 M MBValerio Proseme 104,0 83,3 43,6 P MBVendetta Coseme 103,1 78,9 42,1 M MAVinci Apsov sementi 100,6 79,0 36,3 M MBVirgilio Apsov sementi 104,2 80,0 39,8 M MA

MEDIA 98,4 81,0 40,6             (1) P=Precoce; SP=Semi-Precoce; M=media; ST=Semi-ardiva;T=tardiva(2) B=bassa; MB=medio-bassa;M=media;MA=medio-alta; A=Alta

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200

ORzOLuigi Tedone

Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Facoltà di Agraria Università degli studi di Bari

Lavorazione principale del terreno

Lavorazione 25-30 cm e lavorazioni di completamentooppurelavorazione minima (inferiore a 15 cmoppuresemina diretta su sodo

Avvicenda-mento Vedi frumento

SeminaEpoca

Epoca di semina molto variabile. Può iniziare da inizio novembre fino a fine gennaio. Aumentare la dose di seme nelle varietà da malto e con il ritardo dell’epoca si semina.

Spighe alla raccolta 500-600Interfila 15-18 cmDose di seme 350 semi germinabili/m2

Varietà: vedi tabelle 4 e 5

Concimazione Azotata (N kg/ha)

70-90 unità fra fine accestimen-to e levata. Porre attenzione al-l’apporto in caso di produzione di malto

Fosfatica (P2O5 kg/ha) Vedi frumento

Potassica (K2O kg/ha) Vedi frumentoControllo delle infestanti

Monocotiledoni e dicotiledoni Vedi capitolo 4

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201

Tabella 4 – Rese produttive (in t/ha) delle varietà di orzo per uso zootecnico durante il triennio 2006-2008

Varietà Ditta sementiera distico/ polistico

indice produttivo

spigatura (1) Taglia (2)

Tendenza ad 

allettare (3)

Aladin Florisem polistico 101 SP MB BAlce Soc.Italiana Sementi (SIS) distico 92 T MB BAldebaran Apsov sementi polistico 98 M M MAliseo Eurogen polistico 100 M M AAmilis Limagrain Italia distico 104 SP M MAmorosa Soc.Italiana Sementi (SIS) polistico 87 T A BArchipel Limagrain Italia distico 103 SP M BBaraka Florisem distico 93 ST M MCampagne Florisem polistico 91 M A MCaramel Soc.Italiana Sementi (SIS) polistico 91 ST MB ACometa Apsov sementi distico 105 SP MB MDasio CRA-Sant’angelo Londigiano distico 101 P B MDiagonal Sivam polistico 105 M MB MEmilia Agroservice distico 98 T MB MEstival Adaglio sementi polistico 103 ST MB MExplora CRA-GPG Agroservice polistico 101 P MA MFederal Soc.Italiana Sementi (SIS) polistico 104 M MB MGotic Soc.Italiana Sementi (SIS) polistico 99 SP M AJouvance Sivam polistico 92 M MA AKaleidos Limagrain Italia distico 96 ST MB MKetos Limagrain Italia polistico 106 T MA BLutece Florisem polistico 102 M MA AManava Apsov sementi distico 104 M M MMarado Florisem polistico 91 T MA MMattina Apsov sementi polistico 94 M MA MMercur Florisem polistico 100 SP A AMerveil Florisem distico 103 M M BMeseta Florisem distico 112 M MB MNinfa Apsov sementi distico 105 M MB M

segue...

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202

Nure Eurogen distico 98 P M AOleron Agroservice polistico 102 SP MB APanthesis Limagrain Italia distico 98 ST MB MPonente Eurogen polistico 92 M MA MRodorz Roderi sementi distico 101 ST A MSiberia Soc.Italiana Sementi (SIS) polistico 106 M M MSixtine Sivam polistico 101 M MA ASonora Limagrain Italia polistico 98 M M MVega Compagnia Generale Servizi 

(CGS) polistico 104 SP MB A             (1) P=Precoce; SP=Semi-Precoce; M=media; ST=Semi-Tardiva;T=tardiva(2) B=bassa; MB=medio-bassa;M=media;MA=medio-alta; A=Alta(3) B=basso; M=medio; A=Alto

Tabella 5 – Rese produttive (in t/ha) delle varietà di orzo da malto durante il triennio 2006-2008

Varietà Ditta sementieraindice 

produttivo (media 2006/08)

spigatura (1)

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(3)Barke Saplo 100 M M M

Braemar Agroalimentare sud 120 SP MB M

Carafe Saplo 71 ST M M

Extra Eurogen 99 P MA B

Manava Apsov sementi 110 M MA B

Merveil Florisem 100 M MA B

Orchidea Agroalimentare sud 87 ST M B

Otis Agroalimentare sud 102 P M A

Pariglia Eurogen 93 P MA B

ProsaSoc.Italiana Sementi (SIS)

114 SP M B

Regina Saplo 86 T A B

Scarlett Agroalimentare sud 103 M MB M

TeaItaliana sementi elette Ancona

105 P M M

TunikaSoc.Italiana Sementi (SIS)

109 SP MB B

(1) P=Precoce; SP=Semi-Precoce; M=media; ST=Semi-Tardiva;T=tardiva(2) B=bassa; MB=medio-bassa;M=media;MA=medio-alta; A=Alta(3) B=basso; M=medio; A=Alto

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203

AVENALuigi Tedone

Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Facoltà di Agraria Università degli studi di Bari

Lavorazione principale del terreno

A differenza del frumento e l’orzo, si ritiene che l’avena sia meno esigente in termini di preparazione del terreno, per cui consigliabili appaiono le lavorazioni minime e la semina su sodo

Avvicendamento Vedi frumento

Semina Epoca

Nei nostri ambienti è coltura a semina autunnale. La semina può iniziare ad ottobre fino a fine novembre

Spighe alla raccolta 500

Interfila 15-18 cm

Dose di seme 300 semi germinabili/m2

Varietà: vedi tabella 6

Concimazione Azotata (N kg/ha) 60-80 unità fra fine accestimento e levata.

Fosfatica (P2O5 kg/ha) Vedi frumento

Potassica(K2O kg/ha) Vedi frumento

Controllo delle infestanti

Monocotiledoni e dico-tiledoni

Valutazione delle specie infe-stanti presenti, in fase di accesti-mento-levata, con scelta del prin-cipo attivo più opportuno. Porre attenzione ai prodotti registrati su tale specie

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204

Tabella 6 – Elenco delle varietà provate in Puglia (Foggia) durante il periodo 2005-2008

Varietà Ditta sementieraIndice

produttivoSpigatura

(1)Taglia (2)

Tendenza ad

allettare (3)

Alcudia Florisem 112 P M A

Argentina Soc.Italiana Sementi (SIS) 91 M M A

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100 SP M B

BD135Fondazione Bolognini, S.Angelo (LO)

94 SP B

BD136Fondazione Bolognini, S.Angelo (LO)

114 M M

BiondaCompagnia Generale Servizi (CGS)

103 M M A

Corneil Sivam 85 ST M M

Donata Soc.Italiana Sementi (SIS) 101 SP MB A

Fulvia Agroservice 106 SP MB A

Genziana Apsov sementi 114 M MB B

Hamel Florisem 116 M M ANovella Antonia

Soc.Italiana Sementi (SIS) 79 M MA

Poncho Sivam 81 T MA

Primula Proseme 142 M M A

Ranch Sivam 84 ST MB A

SW01168 Padana sementi 98 T A MTeo BD 40

Apsov sementi 71 ST M A         (1) P=Precoce; SP=Semi-Precoce; M=media; ST=Semi-Tardiva;T=tardiva(2) B=bassa; MB=medio-bassa;M=media;MA=medio-alta; A=Alta(3) B=basso; M=medio; A=Alto

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205

GIRAsOLELeonardo Verdini

Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di AgrariaUniversità degli Studi di Bari

Lavorazione del terreno

lavorazione 25-35 cm e lavorazioni di completamentooppurelavorazione minima (inferiore a 15 cm)oppuresemina diretta su sodo in assenza di residui colturali

Avvicendamento

Coltura da rinnovo non deve tornare sullo stesso terreno prima di 3-4 annievitare successioni con altre oleifere come colza e soiacomuni rotazioni girasole-frumento-frumento o girasole-frumento-cereale

Semina

epocaSemine anticipate (ove possibile) dai primi di febbraioSemina classica Marzo-Aprile

densità d’impianto 5-7 p m-2

interfila 45-50 o 70-75 cm

distanza sulla fila interfila 45 cm 18-20 cminterfila 75 cm 30-32 cm

profondità 3-4 cm

scelta varietalea seconda della destinazione finaleresistenti alla fisiopatie fungine (vedi tabella 7)

Concimazione

azotata (N kg/ha) 70-90 alla semina oppure50-70 in copertura

fosfatica (P2O5 kg/ha)

70 in pieno campo 50 in localizzazione alla seminanessun apporto in terreni ben dotati

potassica (K2O kg/ha) nessun apporto in terreni ben dotati 60 nei terreni carenti

Controllo delle infestanti

alla semina o in pre-emergenza in pieno campo o localizzato se-guito da interventi agronomici (sarchiatura, fresatura)

Irrigazione

Pratica consigliabile negli ambienti meridionali per raggiungere una buona produttività. Massima risposta produttiva durante la fase di bottone fiorale e riempimento acheni.Consigliabili dosi e volumi su base guidata (irrigazione di soccorso) e sistemi irrigui a bassa pressione

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206

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207

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208

COLzA Gianluca Brunetti

Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di AgrariaUniversità degli Studi di Bari

Lavorazione del terreno

aratura o discissura, frangizollatura, fresaturaoppuretrinciatura dei residui e lavorazione minimaoppuresemina diretta su sodo in assenza di residui colturali

Avvicendamento

Coltura da rinnovo, valida alternativa alla monosucces-sionedi cereali autunno-vernini;adozione di avvicendamenti triennali o quadriennali;sconsigliata la successione con altre oleaginose(girasole e soia)

Semina

Epoca seconda metà di Ottobreprima decade di Novembre

Densità d’im-pianto

linee: 70 - 90 p m-2

ibridi: 50 - 60 p m-2

ibridi seminani: 45 - 55 p m-2

Interfila 17 cm 35 cm

Distanza sulla fila

linee: 7,4 cmibridi 10,7 cmseminani: 11,7 cm

linee: 3,6 cmibridi: 5,2 cms e m i n a n i : 5,7 cm

Profondità 2-3 cm

Scelta varietale

Linee pureIbridiIbridi semi-nani (semidwarf) (vedi tabella 8)

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Concimazione

Azotata (N kg/ha)

40-50 kg/ha alla semina80-90 kg/ha in copertura

Fosfatica (P2O5 kg/ha)

50-70 kg/ha in pieno campo50 kg/ha in localizzazione alla semi-nanessun apporto in terreni ben dotati

Potassica (K2O kg/ha)

70-100 kg/ha nei terreni carentinessun apporto in terreni ben dotati

Controllo delle infestanti

in pre-semina con disseccanti totaliin pre-emergenza o in post-emergenza precoce con prodotti selettivi

Irrigazione Eventuale irrigazione di soccorso alla semina e nella fase di riempimento del seme

Tabella 2 - Principali caratteristiche di alcune delle varietà di colza disponi-bili sul mercato italiano ed europeo nel 2008.

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BIBLIOGRAFIA

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