Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

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Punto Omega Rivista quadrimestrale del Servizio Sanitario del Trentino Nuova serie Anno II/2000 numero 4 Registrazione del Tribunale di Trento n. 1036 del 6.10.1999 © copyright 2000 Provincia Autonoma di Trento Tutti i diritti riservati. Riproduzione consentita con citazione obbligatoria della fonte Direttore Mario Magnani Direttore responsabile Alberto Faustini Coordinamento redazionale ed editoriale Vittorio Curzel Redazione e impaginazione a cura del Servizio Programmazione e ricerca sanitaria Hanno scritto per questo numero: Antonio Autiero Guido Baldessarelli Luisa Berardinelli Claudio Beretta Aboul Kheir Breigheche Fiorenzo Chiasera Riccardo Di Segni Piero Draghi Stefano Forti Andrea Gerosa Ferdinando Ghirardini Antonella Graiff Marco Lanzetta Lucilla Lecchi Stefano Lucchina Luigi Martinelli Renzo Michelini Roberta Nolli Marcella Orrù Vincenza Palermo Antonio Pasciucco Franca Pellini Gabardini Monica Pisetta Florestana Piccoli Sfredda Francesco Procaccio Ilaria Radaelli Maurizio Ragagni Paolo Rebulla Aleksandr Rudenko Girolamo Sirchia Roberto Valente Remigio Verlato Progetto grafico Giancarlo Stefanati Editing Attilio Pedenzini Stampa Nuove Arti Grafiche Artigianelli – Trento Stampato su carta ecologica Fedrigoni Vellum white Indirizzo Provincia Autonoma di Trento Servizio Programmazione e Ricerca sanitaria Via Gilli, 4 38100 Trento tel. +39.0461.494037 fax +39.0461.494073 e-mail: [email protected] Sito Internet www.provincia.tn.it/sanita Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 4

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Una cultura della donazione può essere ottenuta attraverso la conoscenza profonda dei vari aspetti di questa tematica, affinché ciascuno possa trarre la proprie conclusioni e operare le proprie scelte.

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Punto Omega

Rivista quadrimestrale del Servizio Sanitario del Trentino

Nuova serie Anno II/2000 numero 4

Registrazione del Tribunale di Trento n. 1036 del 6.10.1999

© copyright 2000 Provincia Autonoma di Trento Tutti i diritti riservati. Riproduzione consentita con citazione obbligatoria della fonte

Direttore Mario Magnani

Direttore responsabile Alberto Faustini

Coordinamento redazionale ed editoriale Vittorio Curzel

Redazione e impaginazione a cura del Servizio Programmazione e ricerca sanitaria

Hanno scritto per questo numero: Antonio Autiero Guido Baldessarelli Luisa Berardinelli Claudio Beretta Aboul Kheir Breigheche Fiorenzo Chiasera Riccardo Di Segni Piero Draghi Stefano Forti Andrea Gerosa Ferdinando Ghirardini Antonella Graiff Marco Lanzetta Lucilla Lecchi Stefano Lucchina Luigi Martinelli Renzo Michelini Roberta Nolli Marcella Orrù Vincenza Palermo Antonio Pasciucco Franca Pellini Gabardini Monica Pisetta Florestana Piccoli Sfredda

Francesco Procaccio Ilaria Radaelli Maurizio Ragagni Paolo Rebulla Aleksandr Rudenko Girolamo Sirchia Roberto Valente Remigio Verlato

Progetto grafico Giancarlo Stefanati

Editing Attilio Pedenzini

Stampa Nuove Arti Grafiche Artigianelli – Trento

Stampato su carta ecologica Fedrigoni Vellum white

Indirizzo Provincia Autonoma di Trento Servizio Programmazione e Ricerca sanitaria Via Gilli, 4 38100 Trento tel. +39.0461.494037 fax +39.0461.494073 e-mail: [email protected]

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4Mario Magnani

3 Editoriale

Monica Pisetta 5 La situazione in Italia

e in Trentino

Antonio Autiero 17 Il problema dei trapianti

in prospettiva bioetica

22 Il punto di vista delle religioni A cura di Fiorenzo Chiasera, Florestana Piccoli Sfredda, Riccardo Di Segni, Aboul Kheir Breigheche, Ferdinando Ghirardini, Andrea Gerosa, Marcella Orrù

Francesco Procaccio 47 La morte encefalica:

una realtà scientifica

Vincenza Palermo 54 Aspetti normativi

del prelievo e trapianto di organi e tessuti

Remigio Verlato 60 La donazione di organi

e tessuti: gli ostacoli per una scelta d’amore

Maurizio Ragagni 63 Il modello organizzativo

del processo di donazione e trapianto di organi e tessuti in Trentino

Renzo Michelini 73 La convenzione

con Innsbruck

Roberto Valente, Antonella Graiff, Piero Draghi, Stefano Forti

78 Realizzazione di reti gestionali e di registri per l’attività di prelievo e trapianto

Franca Pellini Gabardini 82 Il ruolo delle associazioni

86 Schede a cura di AIDO, ADMO, AIL, ANED

Luisa Berardinelli, Claudio Beretta, Antonio Pasciucco

92 Il trapianto di rene da donatore vivente

Luigi Martinelli 96 Il trapianto cardiaco: un

traguardo della chirurgia moderna

Lucilla Lecchi, Paolo Rebulla, Girolamo Sirchia

103 Il trapianto di sangue placentare

Marco Lanzetta, Roberta Nolli, Ilaria Radaelli, Stefano Lucchina

108 Il trapianto di mano eterologo

Guido Baldessarelli 112 Analisi economica dei

trapianti: la spesa del Servizio sanitario del Trentino nel 1999

anno due numero quattro

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“Serrati gli uni contro gli altri dalla crescita del loro numero e della moltiplicazione dei collegamenti, accomunati dal risveglio della speranza e dell’angoscia per il futuro, gli uomini di domani lavoreranno per la formazione di una coscienza unica e di una conoscenza condivisa”.

Pierre Teilhard de Chardin

“Punto Omega”, nel pensiero di Teilhard de Chardin, filosofo e teologo vissuto tra il 1881 e il 1955, è il punto di convergenza naturale dell’umanità, laddove tendono tutte le coscienze, nella ricerca dell’unità che sola può salvare l’Uomo e la Terra. “Punto Omega” è anche il titolo scelto per la rivista quadrimestrale del Servizio sanitario del Trentino ideata nel 1995 da Giovanni Martini, poiché le sue pagine vogliono rappresentare un punto di incontro per tutti coloro che sono interessati ai temi della salute e della qualità della vita.

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Avviare una riflessione accurata

e a tutto campo sulla tematica

della donazione e dei trapianti di

organo e di tessuto significa por­

tare in primo piano una questio­

ne determinante per la sanità

trentina e rafforzare l’impegno

politico che l’Assessorato alle po­

litiche sociali e alla salute della

Provincia Autonoma di Trento si

è assunto in merito. Impegno

che, del resto, si è già manifesta­

to concretamente attraverso al­

cune, anche importanti, azioni

compiute in questi ultimi anni.

Il dare a questa tematica un’at­

tenzione prioritaria deriva dal fat­

to che l’argomento in questione

assume valenze particolari e più

profonde rispetto ad altre seppur

fondamentali tematiche di salu­

te. Per rendersi conto di tutto

questo basta osservare la varie­

tà, la ricchezza, l’ampiezza e la

competenza dei contributi pre­

senti in questo numero della ri­

vista, con tutte le conoscenze, le

prospettive e i nuovi spunti di ri­

flessione che possono offrire a

ciascuno di noi.

La donazione di organi e di tes­

suti costituisce un gesto estremo

di generosità e di solidarietà con

il prossimo.

L’Assessorato, in qualità di ente

deputato alla determinazione

delle scelte strategiche di politi­

ca della salute, in collaborazione

con tutte le istanze sociali ed isti­

tuzionali coinvolte, deve porsi

come primario obiettivo la pro­

mozione di una cultura della do­

nazione.

Questo vale ancor più in una si-

AEd

itor

iale

tuazione come quella del Trenti­

no, dove purtroppo, come dimo­

strano i dati a disposizione, per

cause solo in parte conosciute,

la donazione non è diffusamen­

te praticata e, di conseguenza,

abbiamo difficoltà ad assicurare

l’offerta quantitativa di organi

che consenta corrispettivamente

agli utenti trentini di accedere al

trapianto. Come è noto, infatti,

secondo le regole stabilite dalla

normativa nazionale ed interna­

zionale, a ciascuna Regione vie­

ne assicurato un numero di or­

gani per il trapianto uguale o con­

gruo rispetto a quelli donati dai

residenti deceduti.

Una cultura della donazione non

può che derivare da un convinci­

mento interiore e non può esse­

re ottenuta attraverso la persua­

sione e la coercizione, ma attra­

verso la conoscenza profonda dei

vari aspetti di questa tematica,

affinché ciascuno possa trarre la

proprie conclusioni e operare le

proprie scelte.

Ugualmente determinante, poi, è

creare le condizioni organizzati­

ve e operative ottimali per assi­

curare che la complessa macchi­

na delle donazioni e dei trapianti

possa funzionare nel modo più

efficace possibile.

Pur essendo indispensabile la

presenza di strutture e di attrez­

zature tecniche adeguate, quel­

lo che conta di più, alla fine, è,

come sempre, il “fattore uomo”,

che significa preparazione, impe­

gno, motivazione e dedizione

degli operatori e anche capacità

relazionale sia con chi vive la per­

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Edit

oria

le

dita luttuosa di un proprio caro

che con chi sta per ricevere l’or­

gano donato. Nel caso dei tra­

pianti, diviene più immediata e

imprescindibile che altrove l’esi­

genza di umanizzazione della sa­

nità e di centralità della persona,

che abbiamo posto come princi­

pio fondamentale alla base di

tutti gli interventi previsti all’in­

terno del disegno di legge di Pia­

no sanitario provinciale 2000­

2002.

Sia con quanto attuato in questi

ultimi anni, sia con la progettua­

lità espressa in merito al tema

trapianti nel Piano, l’Assessora­

to alla politiche sociali e alla sa­

lute della Provincia di Trento ha

intrapreso la strada per favorire

l’incremento di questa pratica

terapeutica, concentrando sforzi

e risorse, sia sul versante della

sensibilizzazione della popola­

zione (come è stato fatto per l’or­

ganizzazione di una manifesta­

zione musicale per i giovani in

occasione della Giornata nazio­

nale donazioni e trapianti d’orga­

no di quest’anno), sia sul lato or­

ganizzativo-operativo, attraverso

l’aumento delle strutture dell’of­

ferta sul nostro territorio (v. l’isti­

tuzione della cardiochirurgia, la

creazione del secondo punto per

il trapianto di cornee presso

l’Ospedale di Rovereto, la con­

venzione con Innsbruck), il per­

fezionamento dell’organizzazio­

ne nelle fasi di reperimento e di

trapianto d’organo (v. la nomina

del Transplant coordinator) e la

fornitura di adeguato trattamen­

to assistenziale in loco per le per­

sone trapiantate (v. la realizzazio­

ne dell’ambulatorio trapianti).

Siamo tuttavia consapevoli che

l’obiettivo di una copertura ade­

guata e dell’abbattimento delle

liste d’attesa deve avvalersi del­

la diffusione nella comunità di un

comune sentire e dunque di con­

tributi di pensiero multidiscipli­

nari e di azioni intersettoriali che

formino all’interno e all’esterno

del sistema sanitario quella pro­

pensione alla donazione e che,

nel rispetto dei principi universali

legati alla considerazione della

persona nella sua unicità ed iden­

tità, possano fugare immotivati

dubbi e diffidenze.

Questa pubblicazione costituisce

un significativo esempio di que­

sto incontro di prospettive e di

punti di vista, che nella loro di­

versità, ma con il medesimo sen­

tito coinvolgimento su questa

problematica, partecipano insie­

me alla grande sfida sottesa al si­

gnificato del titolo della nostra ri­

vista e scopo principale della

stessa: la convergenza di tante

esperienze verso una forma di sa­

pere superiore che conduce al mi­

glioramento della salute e della

qualità della vita degli individui

e della collettività.

Mario Magnani Assessore provinciale

alle Politiche sociali e alla Salute

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La situazione in Italia e in Trentino Monica Pisetta

Una realtà complessa in cui progresso

medico-scientifico e sviluppo sociale

interagiscono con fattori di carattere

culturale e morale

La particolare collocazione della tematica Il tema delle donazioni e dei tra­pianti di organo e di tessuto è ca­ratterizzato da una complessità tale da generare riflessioni e discussio­ni, polemiche e prese di posizione che in alcuni periodi hanno infiam­mato il contesto sociale e cultura­le.

La pratica delle donazioni e dei trapianti non coinvolge solo l’am­bito medico-scientifico, ma implica aspetti, riflessioni e pareri multidi­sciplinari che si incrociano, spesso concordano, talvolta creano dissen­so, conducendo a uno stato delle cose contraddittorio e confuso.

Perché succede questo? I trapianti costituiscono una pra­

tica terapeutica per molti versi di frontiera e per questo motivo molti ravvisano il pericolo (come avviene per quanto riguarda lo sviluppo del­l’ingegneria genetica) che l’uomo si comporti da “apprendista stregone”, per usare quella bella e realistica metafora di Goethe che preannun­cia grandi pericoli che possono ve­

rificarsi quando la tecnica si evolve più velocemente della capacità uma­na di controllare con il proprio in­telletto tali nuove acquisizioni.

Tuttavia, nel caso dei trapianti, i positivi risultati raggiunti, così come la loro diffusione e il progres­sivo loro perfezionamento, l’acqui­sizione di tecniche ormai consoli­date e in continua evoluzione, in­somma la fuoriuscita definitiva dal­l’era pionieristica possono in gran parte stemperare l’esistenza di tale rischio. In Italia, il trapianto ha cominciato ad essere praticato nel 1971 (per quanto concerne il rene), mentre già agli inizi degli anni ‘80 si sono gradualmente diffusi gli in­terventi più complessi relativi al cuore, al fegato o multiorgano, pri­ma della regolamentazione norma­tiva avvenuta nel 1993 con la Leg­ge n.578 “Norme per l’accertamen­to e la certificazione degli stati di morte”. Inoltre, in attuazione della Legge n.301 “Norme in materia di prelievi ed innesti di cornea”, si sono consolidati i trapianti relativi a questo tessuto.

Il punto critico è dunque un al­tro e riguarda una caratteristica in­trinseca di questa “pratica terapeu­tica”, e cioè che le donazioni e i trapianti coinvolgono direttamente la questione fondamentale dell’esi­stenza umana, ovvero quella relati­va al rapporto e al confine tra la vita e la morte.

Il problema dei trapianti riguar­da questioni di carattere scientifi­co, etico, teologico, religioso, giu­ridico e di altra natura, ma tutte queste posizioni sedimentano infi­ne –salvo quella relativa alla invio­

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elabilità e sacralità del cadavere per motivazioni soprattutto religiose- in un’unica essenziale questione di fondo, a cui si deve dare preventi­vamente risposta: si tratta di stabi­lire in maniera inequivocabile la definizione dello stato di morte e di fissare criteri che consentano di dire quando essa si verifica effetti­vamente.

E’ evidente che il discorso è di­verso e risulta molto meno proble­matico per quelle donazioni che vengono effettuate da persona viva, quali la placenta, il midollo osseo, o lo stesso sangue, dove pertanto è più facile assicurare la disponibili­tà alla donazione e dove comunque rimane sempre necessaria la mobi­litazione delle associazioni per in­formare e sensibilizzare le persone. Nel caso del midollo osseo, poi, la disponibilità dell’individuo tramite la propria iscrizione all’apposito albo, configura una atipicità nella donazione, in quanto questa dispo­nibilità ha solo un valore morale, e dovrà essere confermata nel caso (del resto, molto raro) di identifi­cazione di una prima compatibilità con un paziente. Sempre in questa tipologia rientra la donazione di un organo (nella fattispecie il rene) da vivi: pur comportando tale espian­to effettivamente alcune limitazio­ni per il proprio stile di vita e tal­volta una percentuale di rischio.

La vita, la morte, il cuore che batte Tornando quindi a questo tema cen­trale, senza entrare nel merito della questione sia scientifica (la defini­zione della morte encefalica come

stato di morte dell’individuo) che etica (l’accettabilità morale di que­sta definizione), oggetto di due specifiche relazioni contenute nel­la rivista (cfr. Procaccio e Autiero), è doveroso sottolineare che il “nuo­vo” concetto di morte (la morte encefalica come morte dell’indivi­duo) è stato formulato sulla base delle più avanzate cognizioni scien­tifiche e soprattutto in assoluta in­dipendenza e in assoluta distinzio­ne rispetto a qualsiasi altra consi­derazione di qualsiasi ordine. Si trat­ta quindi di una definizione prima­ria, neutra e circoscritta, sulla cui base è poi stata definita con chia­rezza, rigorosamente limitata e ga­rantita la possibilità del prelievo di organi e quindi i criteri, i compiti, le attribuzioni e le responsabilità per una pratica sanitaria scientifi­camente fondata ed eticamente cor­retta.

In altri termini, è solo sulla base di queste certezze inconfutabili dal punto di vista medico-scientifico (ovvero del massimo livello cogni­tivo attualmente elaborabile e so­stenibile nella nostra società), la cui ricerca è stata stimolata dall’inte­resse primario dell’uomo di stabili­re i confini della propria vita, che è stato possibile giungere ad una de­finizione preventiva, obiettiva ed enucleata della morte. Per contro, se tale definizione si fosse fondata su concetti di carattere morale-fi­losofico o giuridico, questo sareb­be stato un errore estremamente grave, perché tali principi astratti sono sempre potenzialmente discu­tibili; il loro compito invece è quello da una parte di giustificare e dal­

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l’altra di regolamentare l’applicazio­ne della definizione scientifica del­la morte relativamente alle donazio­ni e ai trapianti d’organo.

E’ quindi nuovamente da eviden­ziare l’indispensabile rigore che ha indotto a separare i requisiti teorici per la definizione di morte dai re­quisiti per gli espianti di organo, perché la necessità di raccogliere gli organi per salvare vite umane non deve venire incorporata nella defi­nizione di morte. Solo così si do­vrebbe accettare che se un ex pa­ziente in stato di morte cerebrale assomiglia ad una persona vivente solo per il fatto che il cuore è bat­tente a causa della ventilazione ar­tificiale che gli viene praticata per tener irrorati gli organi e consenti­re un eventuale prelievo, questo non è un motivo per confondere la vita e la morte.

L’appropriatezza e la rigorosità di questo discorso, apparentemente ovvio, si scontra con la mancata accettazione, a livello sociale, del fatto che anche un fenomeno appa­rentemente chiaro ed immutabile come la morte è culturalmente de­terminato e che quindi anche la sua definizione dipende dall’epoca e dal contesto in cui viene formulata.

E’ noto che l’evoluzione della scienza biomedica ha dimostrato che, pur essendo in assoluto l’arre­sto cardiaco e il conseguente bloc­co della funzione circolatoria e re­spiratoria protratti per un lasso di tempo il criterio più sicuro per la constatazione di morte, questo da una parte non è sicuramente l’uni­co criterio e dall’altra rappresenta spesso l’esito estremo di una morte

già precedentemente avvenuta (cfr. Procaccio, pag. 47 e segg.).

Ma l ’equazione “cuore che batte=persona viva” è dura da can­cellare nel vissuto e nell’immagina­rio individuali e collettivi, rappre­sentando questo organo, in un re­taggio millenario di immagini e di parole, nell’arte e nella letteratura, la sede delle funzioni fisiche e im­materiali che fanno la vita. E’ que­sto che crea dubbi e perplessità, non soltanto a livello del senso comu­ne, e consente l’elaborazione di giu­stificazioni teoriche, che si confi­gurano spesso come “ribellioni” contro un presunto assolutismo del­la medicina che pretende di fornire una verità indiscutibile, limitata agli aspetti fisico-materiali, per la pri­maria questione della vita e della morte.

La “zona d’ombra” In un forum aperto ai lettori dal quotidiano “La Repubblica” in oc­casione dell’approvazione della nuo­va Legge nazionale sui trapianti (L. n.91/99) e in relazione della previ­sta opzione personale tramite Do­nocard inviata a tutti i cittadini ita­liani da parte del Ministero della Sanità, si tasta con mano questa situazione, per un certo verso schi­zofrenica, per cui, accanto a coloro che sono convinti assertori della possibilità delle donazioni e dei tra­pianti (sono però pochi quelli che lo sono senza aver avuto precise esperienze concrete, o come opera­tori o come pazienti o come fami­liari di un donatore o trapiantato), esistono prese di posizione decisa­mente contrarie, non solo in riferi­

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emento all’obbligatorietà di opzione e ai legittimi dubbi che effettiva­mente essa può creare, ma anche verso l’atto stesso della donazione.

Tali obiezioni vengono addotte con motivazioni di vario genere, quasi tutte riferentesi direttamente o meno, alla presunta incertezza che la persona donante non sia realmen­te morta (pensiamo ad esempio alla posizione estrema assunta in ma­niera istituzionalizzata dalla “Lega nazionale contro la predazione de­gli organi e la morte a cuore bat­tente”). Tra gli stati di dubbio rien­trano anche le inquietudini manife­state da alcuni noti personaggi del pensiero contemporaneo o “opinion maker”, come il filosofo Umberto Galimberti, lo scrittore Guido Cero-netti, il giornalista Fabrizio Del Noce.

Vorrei riportare alcuni esempi emblematici di queste riflessioni condotte all’interno di questo fo­rum o in altri contesti. - Dissenso nichilista: “…Vedo male il trapianto in sé. Sento che può essere la causa che può attirare una catena senza fine dicrimini….questa dei trapianti è una delle soluzioni tra le più negative del mondo, anche se può presentar­si con qualche forma di bene…E’ un’occasione offerta al crimine il fatto che la cosa –cioè il trapianto-si possa fare”. - Dissenso epistemiologico: “…la Scienza…in particolare nel campo medico appare come ‘la nuova reli­gione’ dove un pensiero umano su­periore è in grado di leggere ed in­terpretare le croci dell’umanità tut­ta. L’uomo viene catalogato, esami­

nato, trattato e verificato, eccete­ra: ci sono risposte per tutto e per tutti. Ma è proprio così? Oppure in questa visione materialistica fatta di matematica, di parametri e di tecnologie sofisticate c’è qualcosa che sfugge? Non è che la nostra scienza è fatta di “modelli” che a loro volta non sono altro che un’ “interpretazione umana” di un Cre­ato tuttora lontano da una reale comprensione? E cosa dire delle sug­gestione dell’ego, che portano ta­luni alla manipolazione degli stessi (modelli) per fini non propriamente etici?…E’ profondamente ipocrita e subdolo operare sui sentimenti ele­vati di solidarietà umana e sociale per avallare pratiche mediche che altrimenti suscitano istintivamente quantomeno delle perplessità…”. - Dissenso filosofico: “…soprattut­to c’è in ciascuno di noi una certa resistenza ad adottare quello sguar­do riduttivo, perché solo organico, che la scienza medica ha della vita e della morte…nel caso dei trapianti (questo) implica la perdita della nozione del corpo a favore di quella di organismo, della nozione di in­dividuo a favore di quella di gene­re, della nozione di vita e di morte e più in generale di esistenza a fa­vore del puro e semplice prolunga­mento di un quantitativo biologico…Quello che a suo tempo non riuscì alla filosofia oggi riesce alla medicina, la cui mentalità va diffondendosi in ciascuno di noi, senza che nessuno di noi pensi a quale concetto di uomo fa riferimen­to la scienza medica per poter so­stituire i pezzi del nostro corpo….L’unico a soffrirne resta

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l’uomo, per il degrado del concetto di sé che, grazie alla scienza medi­ca va introiettando…”. - Dissenso medico-quantistico: “…La morte cerebrale non può essere dia­gnosticata con certezza, ma solo con “estrema probabilità”…” (è un medico anestesista che parla). - Dissenso consequenziario “Diven­tare tutti possibili donatori crea ap­petiti malvagi da parte degli in­dividui senza scrupoli che sono presenti in abbondanza nella nostra società…Potrei essere d’accordo sulla morte cerebrale, se il bisogno di organi non creasse a catena una serie di aberranti problemi…Ad es. la legge dovrebbe stabilire che sono esclusi dalla categoria dei donatori le vittime di omicidio, perché altri­menti chi potrebbe fermare la furia di procacciatori di organi o anche semplicemente di persone comuni che, di fronte alla scelta di vita o di morte di un proprio congiunto, per­dono la testa e fanno l’impossibile per salvarlo?”; - Dissenso morale: “Nel gesto soli­daristico del trapianto c’è un germe di egoismo umano…in fondo, una persona in attesa di trapianto che sente la vita sfuggirli tra le mani aspetta con ansia la morte di un altro perché è a ciò che è legata l’unica possibilità per la sua soprav­vivenza…”.

Tutte queste considerazioni dan­no conto di come la delicata que­stione dei trapianti metta in gioco vari livelli dell’essere uomo e di que­ste implicazioni bisogna prendere atto, anche se si parte da quel pun­to certo che è la definizione di morte sopra descritta che consente la pos­

sibilità della donazione. Appare chiara la difficoltà di ela­

borare e di creare un punto di rife­rimento culturale e di confronto verso cui possano convergere le va­rie posizioni, per produrre adegua­ta mediazione e corretta informa­zione e conseguentemente giunge­re alla sensibilizzazione e ad una spontanea condivisione e adesione.

Per quanto concerne il sentimen­to di solidarietà eroica e il senso altruistico della generosità verso il prossimo o addirittura, come è sta­to invocato recentemente in riferi­mento alle previsione della legge, il senso dell’interesse sociale che pre­varica l’interesse soggettivo, si sa che la donazione costituisce sem­pre una scelta e una predisposizio­ne maturate individualmente e ri­messe quindi alla volontà e alle motivazioni del singolo.

La specificità italiana nei confronti della donazione La prova concreta della veridicità di questo ragionamento è costituita proprio dal caso italiano, dove è chiaro che il fattore culturale sopra descritto ha la meglio sulla tradi­zione solidaristica e sul processo di modernizzazione che in altri settori (prevalentemente legati alla produ­zione e al consumo) sta proceden­do a ritmi accelerati e paralleli a quelli di altre realtà nazionali co­siddette avanzate.

Rispetto agli altri stati europei, è infatti rilevante in Italia il pro­blema delle poche donazioni rispet­to ai bisogni di trapianto, cosa che coinvolge anche il Trentino dove, ri­spetto anche ad altre regioni, è

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maggiormente visibile questa caren­za, sia in termini assoluti che per­centuali. Ecco, a tal proposito, al­cuni dati indicativi.

Confronto Italia - altri Stati europei L’Italia si colloca sotto la media ri­spetto agli altri Stati europei. Si assiste comunque ad un trend cre­scente negli anni del numero di donatori, anche se questo aumento è lento, a differenza di quanto av­viene per altri Stati (fig. 1).

Confronto tra aree geografiche italiane Una situazione adeguata dovrebbe prevedere almeno la coincidenza tra

il numero di donatori e il numero di trapiantati, anche per rientrare nel­le regole stabilite in tal senso dalle organizzazioni (nazionali e interna­zionali) deputate alla raccolta e alla fornitura di organi. Invece si nota (fig. 2) la forte discrasia tra perso­ne donatrici e persone trapiantate, non colmabile con il progressivo, leggero aumento delle donazioni (anche perché nel frattempo sono aumentate le possibilità e quindi le esigenze di trapianto). Evidente è la differenza tra le tre aree Nord-Centro-Sud (fig. 3 e tab. 1), dove alla maggiore arretratezza economi­ca e sociale e alla carenza di servizi corrisponde una minore adesione e disponibilità alla donazione.

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Attivit di prelievo in Europa negli anni 1996/99 (Donatori per milione di abitanti)

0 5 10 15 20 25 30 35

donatori p.m.a.

1999 Spagna

1998

Portogallo 1997

1996 Francia

U.K.

Scandinavia

Svizzera

Italia

Grecia

fonte: Nord Italian Transplant

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Figura 2 Attività di prelievo

e trapianto in Italia - 1990/99

Figura 1 Attività di prelievo in Europa negli anni 1996/1999

Attivit di prelievo e trapianto in Italia - 1990/99

2.700 2.428

2.400 2.166

2.100

1.800

1.500

900

1.200 788

600

300

0

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

844 980 1.075 1.154

1.509

1.922 1.978 2.125

289 304 320 359 445 576 629 667 709

trapiantati

Le donazioni e i trapianti in Trentino La scarsità delle donazioni in Tren­tino è riferita sia ai valori assoluti, sia in relazione al numero di perso­ne residenti trapiantate, sia nel con­fronto con la media nazionale.

Se in Italia esiste comunque una tendenza chiaramente in leggera e continua crescita, in provincia di Trento la donazione è caratterizza­ta nel tempo da una netta disconti­nuità (tabb. 2,3,4) che rivela, uni­tamente allo scarto esistente tra il numero dei donatori segnalati (=di­sponibili) e il numero dei donatori utilizzati, l’esistenza di problemi di carattere organizzativo nelle strut­ture e nel processo che compone l’attività di donazione e trapianto.

Il principale effetto di questa si­tuazione è una lunga lista di attesa per il trapianto, che riduce la pos­sibilità di sopravvivenza per molte persone.

donatori fonte: AIDO

Altri ostacoli per la donazione Vista l’importanza, in Italia, dell’ar­retratezza culturale nella determi­nazione dei comportamenti, è diffi­cile prevedere l’incidenza della nor­mativa recentemente approvata (cfr. Palermo, pag. 54 e segg.), che, pur allineando a livello formale la no­stra situazione a quelle più avanza­te in Europa e nel mondo, intende “imporre”, con un grande atto di co­raggio innovativo, la donazione tra­mite la regola del silenzio-assenso. Questo è comunque il punto che più ha creato polemiche e dissensi nel-l’ambito della discussione parlamen­tare, anche tra coloro che credono nella donazione. Ancora una volta, tipica situazione italiana, si intro­ducono leggi che sono più avanza­te, nei principi e nei contenuti, ri­spetto al comune sentire e quindi non costituiscono una reale ema­nazione del tessuto sociale che le ha prodotte.

11 Provincia Autonoma di TrentoPunto Omega n. 4

Page 13: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

Non si possono ignorare nemme-no alcune perplessità riferibili, da una parte alle probabili situazioni paradossali che si possono venire a

creare, talvolta configurandosi come lesive della libertà e della autoder­minazione dell’individuo (un esem­pio per tutti: se un cittadino con­trario alla donazione per varie ra­gioni si dimentica di fare la dichia­razione e muore, viene considerato donatore, anche se i parenti, me­mori della sua volontà, si oppongo­no) e dall’altra alla creazione, nelle azienda sanitarie, di nuove, com­plesse e macchinose procedure bu­rocratico-amministrative per la ge­stione delle decisioni effettuate dai cittadini, la cui messa a punto po-trebbe creare errori ed omissioni a danno degli stessi.

E non è finita qui: oltre ai pro-

Donatori utilizzati per zona geografica - 1998/99

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Regione 1995 1996 1997 1998 1999

Piemonte/Val d ’Aosta 16,3 15,6 18,5 17,4 18,8

Lombardia 15,7 15,1 15,5 18,9 18,2

Provincia Autonoma di Bolzano 28,9 26,5 22,0 37,1 28,2

Provincia Autonoma di Trento 4,3 17,3 8,6 6,4 10,6

Veneto 17,4 20,0 20,6 22,8 22,7

Friuli Venezia Giulia 23,5 20,1 19,3 11,8 16,8

Liguria 14,4 15,6 14,5 18,8 18,9

Emilia-Romagna 15,8 19,6 21,3 24,0 25,5

Toscana 11,6 12,4 12,7 13,0 26,9 Marche 6,9 6,2 10,3 6,8 8,9

Umbria 6,0 7,2 13,2 9,6 15,6

Lazio 5,0 7,3 6,1 7,4 6,0 Abruzzo/Molise 6,2 7,4 9,3 8,7 10,5

Puglia 3,9 4,9 4,4 5,8 7,3

Campania 0,7 1,0 2,9 3,1 3,4

Basilicata 1,6 6,5 4,4 3,2 6,5

Calabria 1,9 3,8 4,3 2,9 4,8 Sardegna 15,0 12,6 12,0 8,4 12,0

Sicilia 3,3 3,3 3,9 3,3 2,7

12 Provincia Autonoma di TrentoPunto Omega n. 4

Page 14: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

--

Figura 3 Numero di donatori utilizzati nel 1999

Tabella 2 Attività di

donazione 1992/99 per numero e per

milione di abitanti in Trentino

Tabella 1 Donatori utilizzati per zona geografica 1998/99

Attivit di donazione: Numero

Donatori Segnalati 1992

4 1993

5 1994

6 1995

5 1996

10 1997

6 1998

9 1999

9 Donatori Utilizzati Donatori Multiorgano

4 3

2 2

5 5

2 1

8 7

4 4

3 2

5 4

Reni Prelevati 6 4 10 4 15 8 5 7 Cuori Prelevati 3 2 4 1 5 3 2 3 Fegati Prelevati 2 1 4 1 7 3 2 3 Polmoni Prelevati Pancreas Prelevati

2 1

1 0

0 0

0 0

3 0

1 0

0 0

2 1

Attivit di donazione: PMP

Donatori Segnalati Donatori Utilizzati Donatori Multiorgano

1992 8,8 8,8 6,6

1993 11

4,4 4,4

1994 13,1

11 11

1995 11

4,3 2,1

1996 21,7 17,3 15,1

1997 13

8,6 8,6

1998 19,3 6,4 4,3

1999 19,1 10,6 8,5

Reni Prelevati 13,2 8,8 22 8,7 32,5 17,2 10,7 15 Cuori Prelevati 6,6 4,4 8,7 2,1 10,8 6,4 4,3 6,4 Fegati Prelevati Polmoni Prelevati

4,4 4,4

2,2 2,2

8,7 0

2,1 0

0,4 6,5

6,4 2,1

4,3 6,4 4,2 --

Pancreas Prelevati 2,2 0

blemi evidenziati, esistono altri ele­menti, sempre appartenenti alla ti­picità italiana, che hanno contri­buito e contribuiscono all’indiffe­renza, se non all’opposizione, verso la donazione.

Tali elementi riguardano: 1. La scarsa competenza, la disin­formazione o la voglia di sensazio­nalismo dei mass media che spesso affrontano tale fondamentale que­stione con leggerezza e superficia­lità. Soprattutto è uso comune con­fondere e usare impropriamente i termini “morte cerebrale” e “coma vegetativo”, confondendo cioè tra la vera morte ed uno stato ancora vitale. E’ ovvio che tutto questo ha contribuito a fomentare polemiche, dissensi e prese di posizione erro­

0 0 0 0 2,1

fonte: Centro Nazionale Trapi anti

nee e fuorvianti l’opinione pubbli­ca. Come sempre, anche in questo caso, il ruolo dell’informazione è rilevante per diffondere e chiarire, con coscienza e professionalità, le tematiche reali e concrete ruotanti attorno ai trapianti (in primis, pro­prio la tutela del donatore), eviden­ziando i problemi esistenti, quali le liste di attesa e le aspettative di coloro che ne fanno parte, le enor­mi difficoltà organizzative collega­te ai trapianti stessi, ed eventual­mente contribuendo alla denuncia delle situazioni di abuso e di con­dotta amorale, come il commercio clandestino di organi. 2. La poca motivazione, l’assenza di professionalità, la pigrizia, la mancanza di umanità, la si chiami

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Page 15: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

Attivit di donazione - Confronto Trentino-Italia

Anno Provincia di Trento

media nazionale

1995 4,3 10,0

1996 17,3 11,0

1997 8,6 11,7

1998 6,4 12,3

1999 10,7 13,7

come si vuole, dell’organizzazione sanitaria che spesso si lascia sfug­gire potenziali donatori e/o rende non fattibile un trapianto, nono­stante la presenza di organi donati (rendendo di conseguenza inutile la donazione stessa). Come illustra egregiamente il successivo articolo di Ragagni, il trapianto non è altro che l’evento finale di una serie pre­cisa di prestazioni concatenate,

nonché del lavoro di un elevato numero di professionisti, in cui ba­sta il fallimento di un anello di que­sta “catena di montaggio” per fare fallire l’impresa. L’avvio di questo processo non può comunque pre­scindere, come si diceva prima, dal­l’ottenimento del consenso informa­to alla donazione, nel momento più difficile della perdita e del lutto da parte dei congiunti della persona morta e che per questo mette in campo, oltre che la competenza tec­nico-professionale, le capacità re­lazionali del medico.

L’esperienza del trapianto Prima di concludere, è doveroso porre alcune riflessioni mutando la focalizzazione del discorso; finora abbiamo infatti ragionato partendo dal versante della donazione, che del resto costituisce il nodo delle argo­mentazioni in merito a questa te-

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Residenti in provincia di Trento: confronto tra donazioni e trapianti di rene - 1990/99

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num ero donazioni numero trapianti

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Page 16: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

Tabella 3 Attività di donazione: Confronto Trentino - Italia

Figura 4 Residenti in provincia di Trento: confronto tra donazioni e trapianti di rene 1990/99

Tabella 5Provincia di T rento:

residenti in lista di attesa, organi

procuratie residenti

trapiantati - 1999

matica o, detto altrimenti, la con-dizione necessaria (sebbene non sufficiente) per il verificarsi del pro-cesso.

Ora invece vorremmo concentra­re l’attenzione sull’altra faccia del-la questione: l’essere una persona trapiantata.

Come tutti sanno, la vita di chi è in attesa e di chi ha subito un tra-pianto non è facile.

Da una parte, l’aspettare con un tempo limitato a disposizione ladisponibilità di organi o di tessuti compatibili è una lotta contro lamorte che rende impotenti in par-tenza, perché non si tratta di met­tere in campo le proprie forze per combattere e per resistere, ma è una guerra delegata all’esterno, in cui la persona coinvolta non ha possi­bilità di azione. E per molti (in Ita­lia circa il 50% di chi è in lista di attesa) questo tempo scade per sem­pre.

Dopo il trapianto, invece, l’inde­scrivibile gioia del cambio di rotta della propria esistenza, ormai con-dannata, verso la vita è quantome­no mitigata (anche se non c’è dub­bio che questo costituisce il male minore a fronte di questa nuova ri­nascita) dalle necessarie e pesanti terapie antirigetto e da continuicontrolli ambulatoriali, nonché dalla terribile possibilità che il rifiutocorporeo dell’organo, nonostante tutto, possa anche avvenire, ripor-tando la situazione al punto di par-

tenza.

Per onore dell’obiettività, si deve anche accennare ai casi in cui dopo il trapianto la sopravvivenza rima­ne relegata ad un periodo troppo

breve per giustificare il trapianto stesso, più o meno coincidente a quanto l’individuo avrebbe potuto comunque vivere anche senza l’in-tervento e senza dunque tutte la pesanti cure correlate che abbassa-no il livello della qualità della vita (si configura così una particolare forma di accanimento terapeutico). Intervenire o meno è comunque un dilemma spesso irrisolvibile, che ri-guarda anche altri settori della me-dicina. Dilemma che oggi si inco­mincia ad affrontare nell’ambito di un’ampia discussione sul ruolo, le prerogative e la relativizzazione di questa disciplina.

Nonostante questi problemi, la cosa che conta, nella maggior par-te dei casi, è soprattutto il ritorno alla vita di una persona per merito di un’altra persona che dalla vita se ne è andata, il che naturalmente rende assolutamente secondarie la difficoltà legate alla gestione del post-trapianto.

I recenti e sensazionali exploit della tecnica chirurgica si pongono tuttavia, secondo noi, in maniera

Provincia di Trento - residenti in li sta d’attesa,

organi procurati e residenti trapiantati - 1999

Organi

Pazienti residenti in lista

Organi procurati

Pazienti residenti

trapiantati (*)

Rene 30 7 12

Cuore 4 3 3

Polmone 1 2 2

Fegato 7 3 2

Tota le 42 15 19

(*) I trapianti effettuati a Innsbruck non sono compresi

fonte: Nord Ital ian Transplant

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Page 17: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

sfasata ed incoerente rispetto aldiscorso generale portato avanti fi­nora sul significato del trapiantocome dono per la vita.

Detto a chiare lettere: vale ri­schiare tutto quanto ben volentieri si rischia per recuperare la propria vita solo per avere una mano nuo­va? Ha un senso utilizzare risorseanche consistenti per assicurarequalcosa che è ottenibile in altrimodi (es. con una protesi avanza­ta), con maggiori vantaggi per lasalute dell’individuo? Non è soltan­to una questione etica, ma anchepratica, fondata sulla considerazio­ne del reale aumento della qualità della vita. Credo che tali aspetti che giustamente assurgono agli onoridella cronaca (perché, dal punto di vista dell’evoluzione tecnica-chirur­gica, si tratta di un grande passoavanti) siano in qualche modo con­troproducenti nei confronti dellatematica delle donazioni e dei tra­pianti di organi e di tessuti come da noi intesa (finalizzate al recu­pero della vita); essi dovrebbero in qualche modo essere tenuti separa­ti dalla discussione e dalla pratica terapeutica legata alla sopravviven­za delle persone.

Quello che in conclusione emer­ge con chiarezza dall’insieme deiproblemi aperti evidenziati è checiascuno dovrebbe collaborare, ma­gari con spirito critico, ma positivo e costruttivo, per favorire il passag­gio verso una realtà più matura, in cui siano rafforzati il senso di lega­me e di solidarietà degli uomini ein cui i benefici in termini di salute e di qualità della vita possano es­

sere equamente distribuiti e mutua­mente rafforzati.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI [1] U. Galimberti, “La zona d’om­

bra” in La Repubblica del 24 marzo 2000

[2] David Lamb, “Il confine della vita”, Il Mulino/Contempora­nea, 1987

[3] O. La Rocca, “Più silenzio che assenso, così rischiamo l’orro­re” – Intervista a Guido Cero-netti sulla nuova legge, in La Repubblica del 3 febbraio 1999

[4] Forum “La nuova legge sui tra­pianti”, in La Repubblica.it Forum e Rete, febbraio 1999

Monica Pisetta è funzionario del Servizio Programmazione e Ricerca Sanitaria della Provincia Autonoma di Trento. Diego Conforti, funzionario del medesimo Servizio, ha collaborato nella ricerca ed elaborazione dei dati.

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Il problema dei trapianti in prospettiva bioetica Antonio Autiero

I problemi aperti e i loro riscontri

antropologico-etici

L’espansione della medicina dei tra­pianti in questi ultimi anni sta com­portando, insieme ad una innega­bile crescita delle speranze di salu­te per tanti pazienti altrimenti mi­nacciati nella loro sopravvivenza, anche l’acutizzarsi di questioni te­oriche, legate all’universo della pra­ticabilità tecnica e a quello dell’ac­cettazione sociale della prassi dei trapianti. Sul piano del diritto come su quello dell’etica si pongono do­mande la cui soluzione non sempre appare facile e comunque non é pos­sibile, senza il ricorso a un sistema più ampio di comprensione antro­pologica e a un paradigma più in­globante, nel quale si colloca la questione del senso del nostro vi­vere. A tali domande e al loro più ampio orizzonte vuole ricondurre la presente riflessione. Essa non pre­tende di fare altro che presentare introduttivamente una lista dei pro­blemi aperti e dei loro rispettivi ri­scontri antropologico-etici.

1. Una chiave di lettura generale, tesa a disegnare il senso proprio della medicina dei trapianti, può

essere ricavata dalle suggestioni che, anche sul piano simbolico, vengono suggerite da recenti fatti di cronaca medica. In Italia, qual­che mese fa, per la prima volta è riuscito un trapianto di mano. A un paziente è stata “data una mano” a vivere meglio, a colmare, cioè, lo spazio vuoto della sua menomazio­ne. Il sospetto con cui molta parte della pubblica opinione accompa­gna la prassi dei trapianti deve es­sere smontato proprio alla luce di questa indicazione di fine e di sen­so: in gioco non è - come da qual­che parte si è pensato e si è detto ­una sorta di volontà pionieristica della medicina, per glorificare se stessa, ma la reale necessità di in­tervenire con soluzioni adeguate, per dare risposta proporzionata alla precaria condizione di salute e di sopravvivenza di determinati sog­getti. E’ per “dare una mano” a vi­

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vere, laddove le risorse endogene del paziente e quelle di supporto della medicina curativa non bastano più. L’orizzonte di senso e il tracciato antropologico che qui emergono ri­conducono inizialmente a una vi­sione partecipativa e solidaristica della vita e del suo bene. Il fatto che il travaso di risorse vitali (or­gani, tessuti etc) sia tecnicamente in buona parte possibile non esau­risce tutto l’arco del problema. Esso rimanda a una sorta di legittima­zione antropologica e etica e que­sta può, anzi deve, essere trovata nell’indole fondamentalmente rela­zionale e sociale della persona. Quanto esplicitamente avviene sul piano della medicina dei trapianti ­il “darsi la mano”, per rimanere nel linguaggio della metafora - sostan­zia implicitamente e fondamental­mente il nostro essere al mondo. Senza apertura e solidarietà, senza esplorazione delle ragioni e delle modalità del vivere “con” e vivere “per” gli altri non fallirebbe solo una prassi medica, come quella dei tra­pianti, ma verrebbe messo fonda­mentalmente a rischio il nostro stes­so quadro di riferimento antropolo­gico, etico, giuridico. La solidarie­tà non è un additivo opzionale al­l’essere persone, ma il tessuto con­nettivo della nostra identità perso­nale e sociale. Su questa linea esi­ste un cammino che costantemente va verificato e incrementato e al quale la medicina dei trapianti può apportare il suo fruttuoso contribu­to. Evidentemente tale cammino passa anche attraverso la strettoia - non tanto solo giuridica, quanto anche e soprattutto etica - di una

corretta educazione pubblica al sen­so della decisione solidaristica per la disponibilità al dono d’organi. Qui le prassi politiche e le campagne di opinione dovrebbero investire mas­simamente e sapientemente per far crescere la base del consenso e del­la consapevolezza della posta in gioco.

2. I sistemi giuridici che si sono occupati di regolamentare la prassi dei trapianti hanno individuato sin dal primo momento un ambito di problemi che non può essere tra­scurato: il problema della definizio­ne di morte, come base di operabi­lità per l’espianto di organi da tra­piantare. La discussione nei diversi ordinamenti non ha mancato di mostrare una certa evoluzione nella ricerca di modelli (morte cardiaca, morte cerebrale totale, cessazione dell’attività della corteccia), con il chiaro orientamento a una visione, oggi generalmente condivisa, secon­do la quale la morte cerebrale va ritenuta come criterio sufficiente­mente sicuro per la definizione di morte del soggetto umano e quindi della disponibilità all’espianto. Sen­za voler qui entrare nella maglia dei dettagli neurologici, legati a que­sta questione, vogliamo solo rile­vare il taglio antropologico di un simile problema e del suo orienta­mento attuale. Da una parte risulta chiaro un principio basilare su cui si fonda la nostra tradizione etica e cioè che la vita di un soggetto uma­no non è arbitrariamente disponi­bile nelle mani di un altro soggetto umano. Anche se le finalità di sal­vare una vita risultano del tutto

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chiare, non si può per tale scopo spegnere un’altra vita. La vita vie­ne riconosciuta, così come un bene in sé e non come strumento funzio­nale per la riuscita di un’altra vita. La base antropologica della dignità insita nel soggetto umano viene sottolineata dalla faticosa ricerca di un criterio di accertamento della morte che faccia evitare definitiva­mente l’equivoco di funzionalizza­zione di una vita per un’altra. Qui non vale - e subdolamente da qual­che parte è stato troppo enfatizza­to il contrario - il principio che si nega a una vita la sua sopravviven­za, per garantirla ad un’altra. “Mors tua vita mea” qui - come del resto anche altrove - non è il criterio di orientamento e di decisione mora­le. Ma c’è ancora un secondo sfon­do antropologico su cui va richia­mata l’attenzione: la convergenza sul criterio della morte cerebrale sta ad indicare anche una linea di com­prensione dell’esistere al mondo

come “consapevolezza e coscienza”, nel disegno unitario del proprio es­sere. Il cervello assume una parti­colare collocazione nello sguardo che si ha sull’organismo vivente e in particolare su quello del sogget­to umano. Esso garantisce l’organi­cità del sistema vita e permette le operazioni di consapevolezza e di coscienza riflessa che ne accompa­gnano il senso e la destinazione. E’ giusto, quindi, che sia da cercare proprio nel cervello la sede organi­ca delle funzioni unificanti e co­scientizzanti del vivere da soggetti umani. Orientandosi per tale crite­rio di accertamento di morte, la medicina dei trapianti (come per altro anche la medicina intensiva e in un certo senso anche la medici­na pre- e perinatale) segue non un criterio di opportunità o, peggio ancora, di opportunismo per arriva­re al suo scopo (accuse di tale por­tata sono state non di rado formu­late), ma persegue una linea di pen­

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siero antropologico e aiuta la mes­sa a punto di un quadro di riferi­mento che si riflette sul piano eti­co e su quello giuridico.

3. Una terza area di problematiche messe in movimento dalla medicina dei trapianti andrebbe individuata nel riflesso che essa potrebbe avere a riguardo dell’accettazione del pro­prio limite di vita. Qualche volta si profilano dubbi sulla medicina dei trapianti, provenienti da chi pensa che essa induce le persone a crede­re che ci sia un “pezzo di ricambio” per ogni organo difettoso. Chi gio­ca con lo scenario fantastico imma­gina che così facendo, la vita non termini più, perché sempre essa si può rigenerare: una sorta di eterni­tà per via di chirurgia dei trapianti. Così non è. Chi agita tali fantasie lo fa per discreditare, ma si serve anche di uno strumentario che ba­nalizza i problemi e li volgarizza oltre misura. La medicina dei tra­pianti, al contrario, può educarci a un senso di responsabilità nei con­fronti della salute da curare, ma a partire dalla condizione di fondo, accettata e vissuta, che essa é e resta un bene limitato, perché le­gato alla nostra condizione di esse­ri calati nella storia, nella contin­genza, nella finitudine. Contro ogni accusa di smania di onnipotenza, la medicina dei trapianti va difesa e risituata nell’alveo originario di una vera e propria medicina curati­va. La confusione su cui spesso si fa leva, tra compito terapeutico del­la medicina e spazio aperto della sperimentazione (sia di base che applicata) non tange la prassi dei

trapianti. Essa riconosce sempre più l’ambito mirato e ristretto delle ri­sposte che è in grado di dare e, cosa che per altro vale e deve valere per ogni altra branca della medicina, non si estranea all’idea di autore­golazione e di auto limitazione. Il difficile momento di definizione della “indicazione medica” al tra­pianto è uno degli strumenti per operare miratamente e non ad ogni costo, limitatamente e non a spira­le aperta. Con ciò essa inculca an­che nel paziente (e in definitiva nell’opinione pubblica, ampiamen­te intesa) che l’accettazione del pro­prio limite è condizione di riuscita e non di fallimento per la prassi curativa, anche a mezzo di trapian­to.

4. Affacciandosi agli scenari futuri della medicina dei trapianti pren­dono forma due filoni che anche entrano nelle prospettive bioetiche e che conviene avere sott’occhio.

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Essi appartengono sì al futuro, ma a un futuro che in certo senso è già iniziato. Da una parte va ricordata la ricerca e i progressi sul piano dell’impiego di organi artificiali, dall’altra va richiamata tutta la va­sta area della medicina dei “xeno­trapianti”. Non si vuole qui appiat­tire i due problemi l’uno sull’altro. Le diversità vanno riconosciute e risiedono sia sul piano medico-tec­nico, immunologico, che su quello psico-sociale, giuridico ed etico. Non è la stessa cosa ricorrere all’in­nesto di protesi, costruite con ma­teriali inorganici o servirsi di tes­suti ed organi ricavati da organismi viventi, dagli animali. Ma in comu­ne i due problemi hanno lo sfondo antropologico che qui vogliamo sot­tolineare: essi mettono in risalto la necessità che abbiamo, dal punto di vista filosofico, antropologico e etico, di ripensare al concetto di “natura” - in particolare di “natura umana” che fa da criterio di defini­zione per qualificare “artificiale” o “innaturale” procedimenti e ogget­ti. L’orizzonte di pensiero - soprat­tutto di quello occidentale - ci ha troppo abituati a fissare la natura e il suo concetto entro limiti rigidi e gerarchicamente ordinati. Non a caso si parla di “antropocentrismo” che influenza filosofia, teologia, etica e giurisprudenza. Tale antro­pocentrismo (il primato non solo funzionale dell’uomo, ma anche as­siologico, cioè valoriale) non si è molto curato della comprensione dell’uomo come di un essere appar­tenente alla comunità dei viventi, ma lo ha posto tanto al di sopra che poi ne è risultato al di fuori.

Riscoprire le radici comuni di ogni vivente è un compito a cui molte filosofie, teologie, etiche e antro­pologie non si sottraggono più. Il loro risultato, spesso ancora timi­damente formulato e solo inizial­mente trasferibile, potrà accompa­gnare la prassi degli xenotrapianti (e più in generale dei trapianti con organi artificiali), per rendere ragio­ne dei suoi limiti e rischi, ma an­che delle sue opportunità e apertu­re. Al fondo resterà una chance di rivalutazione del proprio destino comune nell’unica casa della vita.

Se con le presenti riflessioni non ci siamo addentrati in problemi spe­cifici, nei riverberi di etica norma­tiva e di ordinamenti giuridici par­ticolari, ciò è stato intenzionale e voluto. Nella pluralità delle voci e delle prospettive, nell’attuale dibat­tito sulla medicina dei trapianti, la bioetica non deve pensare “corto”, ma sottoporre il tema a una consi­derazione ampia che trova le sue ra­gioni negli sfondi di visione della vita, dell’uomo e del mondo a cui ci si richiama, ma al tempo stesso en­tra in sinergia con altre visioni e non si chiama fuori (fosse anche per assumere i suoi compiti normativi) dalla fatica di “pensare per oggi”, cioè ripensare sempre nuovamente al senso e al valore della vita e alle modalità oggi rispondenti di viver­la da uomini.

Antonio Autiero è Direttore dell’ITC-isr “Centro per le scienze religiose” di Trento e professore ordinario di teologia morale e seminario di teologia morale nella facoltà di teologia cattolica dell’Università di Münster (Germania)

21 Provincia Autonoma di TrentoPunto Omega n. 4

Page 23: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

Il punto di vista delle religioni Fiorenzo Chiasera, Florestana Piccoli Sfredda,Aleksandr Rudenko, Riccardo Di Segni,Aboul Kheir Breigheche,Ferdinando Ghirardini, Andrea Gerosa,Marcella Orrù

Le religioni cristiane (cattolica,

protestante, ortodossa), l’ebraismo,

l’islamismo, i Testimoni di Geova,

il Buddismo, la fede Baha’ì

di fronte al tema dei trapianti

IL PUNTO DI VISTA DELLA RELIGIONE CATTOLICA

Il problema morale, e anche il pro­blema della sensibilità e della rea­zione emotiva verso il trapianto, si scinde in realtà in due problemi to­talmente diversi, ma che nell’ani­mo di molti si mescolano, dando così luogo a reazioni, prese di posi­zione, titoli di giornali, tanto cla­morosi quanto del tutto irragione­voli. Cerchiamo di dipanare la ma­tassa emozionale, che è alla base della maggior parte delle resistenze ai trapianti d’organo. Questo ci per­metterà anche di meglio precisare la nozione di “vita”.

La morte cerebrale come criterio Il primo problema morale è quello della determinazione del momento della morte di un essere umano. Quando si può dire che un essere umano è morto? E che cosa vuol dire “morto”? La nostra tradizione occi­dentale ha legato da secoli l’idea di morte con la cessazione del battito cardiaco e della respirazione. Anco-La

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relig

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ra oggi di norma la morte viene accertata dal medico con la consta­tazione della cessazione della fun­zione cardiorespiratoria, e dopo un certo numero di ore viene confer­mata (in genere dall’ufficiale sani­tario che dà il permesso per la se­poltura) da altri segni, come la ri­gidità cadaverica, l’inizio della de­composizione etc. Oggi, e da al­cuni decenni, per un paziente in ria­nimazione in cui la funzione car­diorespiratoria sia sostenuta da spe­ciali apparecchiature, occorre distin­guere se la funzione è solo soste­nuta dalle apparecchiature oppure se è mantenuta esclusivnmente dalle apparecchiature. A questo scopo si usa il criterio della morte cerebrale. cioè della totale cessazione di ogni attività cerebrale. Semplificando un poco, si può dire che la cessazione della respirazione e del battito car­diaco sono sintomi - segni quasi certi - della morte cerebrale totale.

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II criterio della morte cerebrale to­tale è necessario per il trapianto di organi, dato che in genere il tra­pianto è possibile solo da organi­smi mantenuti in rianimazione. Ma è necessario anche per poter senza alcun disagio morale togliere le ap­parecchiature di rianimazione (stac­care la spina): circolazione e respi­razione sono, infatti, del tutto arti­ficiali, indotte dall’esterno.

La morte è infatti la fine di un organismo, non di questa o quella funzione. L’organismo umano trova la sua unità e unicità nelle funzioni cerebrali. Alcune funzioni, come la crescita di peli o di unghie, posso­no continuare per qualche tempo; del resto in un corpo umano che non è più organismo continuano forme di vita non controllate dal cervello. La decomposizione è dovuta alla vita di microorganismi presenti nel cor­po umano. Cessata ogni attività del centro unificatore dell’organismo, l’organismo non esiste più: esiste un ammasso di materia in cui sono presenti forme di vita - è quello che noi diciamo cadavere - ma non un essere umano. La comprensione di questo rapporto fra organismo e essere umano ci sarà molto utile nello studio di altre questioni di bioetica.

Il punto più importante da capi­re è questo: l’accertamento della morte cerebrale è molto più sicuro di quello tradizionale.

Tanto è vero che in quest’ultimo è obbligatorio attendere 24 ore (e in certi casi 48) prima della chiu­sura della cassa e del seppellimen­to, proprio per l’incertezza del cri­terio tradizionale di determinazio­

ne della morte. Tale incertezza scompare quasi del tutto (nessuna certezza scientifica è assoluta) col criterio della morte cerebrale tota­le. II timore che il prelievo di or­gani possa avvenire a paziente an­cora vivo non ha alcun fondamen­to. L’unico caso di preoccupazione potrebbe essere quello di espianto praticato prematuramente, per man­canza di scrupoli nell’operatore e soprattutto per l’interesse (anche economico) dell’operatore a proce­dere rapidamente a un trapianto. Qui occorre l’intervento di una leg­ge rigorosa che sancisca due cose: - che l’espianto avvenga in strut­

ture pubbliche o pubblicamente controllate;

- che l’équipe incaricata dell’accer­tamento della morte cerebrale si attenga a procedure rigide (pro­cedure che nel loro insieme ven­gono dette “protocollo”), e che sia del tutto separata dall’équi­

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pe che deve procedere all’espian­to e al successivo trapianto, così che non vi possa essere conni­venza fra chi dichiara la morte e chi procede all’espianto e al tra­pianto.

Queste due condizioni devono es­sere stabilite per legge. Quando ciò avvenga, ogni ansia per la possibi­le mutilazione di un organismo an­cora vivente, a scopo di trapianto è del tutto irragionevole, e l’espres­sione ricorrente di “predatori di or­gani” o è insensata o è semplice­mente terroristica.

La legittimità dell’espianto Il secondo problema è quello delle condizioni di liceità morale e giuri­dica dell’espianto e successivamen­te del trapianto di un organo. Or­mai la liceità del trapianto d’orga­no è comunemente accettata dalla teologia morale (ma non lo era agli inizi del nostro secolo): oggi è pos­sibile salvare una vita, o renderla più umana (evitando la dialisi col trapianto di reni) in molti casi. Si escludono solo e giustamente i tra­pianti di gonadi e di cervello, tra­pianti che potrebbero modificare le caratteristiche umane del riceven­te, sia genetiche sia di memoria ce­rebrale. Il vero problema e tutto il grande dibattito odierno è quello delle condizioni di legittimità del­l’espianto.

II primo elemento da considera­re è chi abbia titolo a disporre del cadavere. Ora é certamente vero che il morto può avere espresso in vita le sue volontà (ma quante volte esse non vengono rispettate per volontà dei familiari o per esigenze della so­

cietà o per norme giuridiche!). È altrettanto vero che esiste una sen­sibilità dei familiari di cui si deve tener conto, ma che varia da fami­glia a famiglia e che è sottoposta a esigenze sociali varie (di legge, di disponibilità di spazio, di tradizio­ni religiose diverse etc.). Ma il prin­cipio da tener ben fermo è questo: né il defunto né la famiglia hanno un vero jus in corpus, un vero dirit­to inviolabile di proprietà del cada­vere. II defunto, proprio perché è defunto, non è più soggetto di di­ritti. La famiglia è quella che di norma, nella cultura occidentale. si prende cura del cadavere, e le sue esigenze vanno di norma rispetta­te; ma chi è “la famiglia”? I geni­tori, il coniuge, i figli possono ave­re desideri diversi, in contrasto fra di loro. È compito della società ar­monizzare tali diverse volontà con le necessità della società: così il diritto può esigere l’autopsia - mol­to più invasiva e distruttiva del ca­davere di quanto lo sia il prelievo d’organo -, può stabilire il luogo della sepoltura e la sua durata, può in casi speciali imporre la crema­zione. Il diritto è espressione del bene comune, cioè delle esigenze della vita sociale: esso deve tener conto della volontà e sensibilità del defunto, della famiglia, del gruppo particolare cui il defunto apparte­neva, ma sempre nei limiti imposti dal bene comune. Di fronte alla pos­sibilità di salvare altre vite umane col trapianto d’organo, l’esigenza del bene comune deve prevalere.

E del resto tale esigenza prevale attualmente e senza contrasti o polemiche nell’imporre l’autopsia

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per determinare la causa di morte. La ricerca dell’assassino, o del sa­nitario colpevole di negligenza, o di spiegazione di morti apparente­mente inspiegabili, sono esigenze del bene comune, e l’autopsia viene eseguita qualunque sia la volontà della famiglia. E si ricordi che nel-l’autopsia il cadavere viene violato in forma generalmente massiccia, con espianto di organi o di parti di organi o di intere parti dell’organi­smo, e in ogni caso sempre più massiccia che nell’espianto d’orga­no a scopo di trapianto. Sempre per il principio del bene comune può essere imposta la cremazione (p. es. in caso di forme epidemiche gravi) o la tumulazione comune con co­pertura di sostanze chimiche (in caso di catastrofi o guerre) o altre misure per altri casi: sempre il bene

della comunità prevale.

Salvare vite umane Ma per una famiglia cristiana tali esigenze dovrebbero essere compre­se e accolte con gioia, o almeno con serenità. Il trapianto, come l’au­topsia o altre imposizioni di legge, nulla toglie al defunto, la cui sussi­stenza è ormai in Cristo. È per me del tutto incomprensibile la resi­stenza di famiglie o di teologi cri­stiani al trapianto d’organo. E per me è anche incomprensibile la tesi di alcuni distinti teologi moralisti, che ritengono il trapianto un “dono” del defunto. Egli può esprimere in vita la sua volontà di donare o di non donare, ma una volta morto non “dona” nulla, né è interessato al trapianto. Forse la confusione men­tale di alcuni ottimi studiosi deriva

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dal significato medico del termine “donatore” (nella letteratura medi­ca internazionale “donor”): esso non ha alcuna valenza morale, e spesso il donatore è a pagamento. Sta solo a indicare la persona da cui provie­ne l’organo.

Vi è di più. Molte sono le fami­glie che esigono l’autopsia, molto più distruggente dell’espianto di un organo, solo per trovare un even­tuale responsabile della morte di un loro caro, per soddisfare un’esigen­za di giustizia che talora è piutto­sto voglia di vendetta. Moltissime invece sono le famiglie che, volen­do un posto distinto al cimitero, consentono invasioni del cadavere ben più brutali dell’espianto d’or­gano in ambiente sicuramente meno rispettoso e con personale ben lon­tano dal rigore delle procedure nor­mali in un ambiente ospedaliero. E spesso si tratta di persone che si oppongono all’espianto a scopo di trapianto, che potrebbe salvare una vita umana, ma esigono invece vio­lazioni ben più gravi del cadavere solo per avere un “posto distinto” al cimitero.

Un’altra cosa va presa in seria considerazione. Oggi in aree pove­rissime della terra molti bambini vengono quotidianamente rapiti o venduti da genitori disperati, e, di questi, molti vanno a lavorare come schiavi, ma molti altri vengono usati per espiantare organi da vendere a caro prezzo ai ricchi della terra. Per le stesse ragioni anche molti adulti si vendono, o vendono i loro orga­ni, per far sopravvivere i figli. Più in generale, vi è un commercio più o meno clandestino di organi: l’ar­

ma migliore per vincere questo traf­fico perverso è avere sufficiente di­sponibilità di organi, tale da elimi­nare ogni attività lucrosa.

Una scelta normale e cristiana Oggi, e sempre più in futuro, il tra­pianto d’organo è un trattamento quasi sempre sicuro e capace di ri­dare vita e serenità a molti malati e alle loro famiglie. Se il diritto con­sente violazioni massicce dell’inte­grità di un cadavere per prevenire danni ai membri della società - sia per studiare le cause della morte, sia per punire i responsabili, sia per prevenire il diffondersi di epidemie, - e queste violazioni sono accetta­te tranquillamente dal corpo socia­le, non si vede con quale logica si voglia opporsi a violazioni molto meno invasive per curare malattie gravi o mortali dei membri della stessa società. Nessuna vita uma­na viene violata e anzi molte pos­sono esser salvate. La reazione emotiva dei familiari al momento della morte di un loro caro è sì com­prensibile, ma è anche del tutto ir­ragionevole.

Per tutti questi motivi ritengo che il trapianto di organo, quando ve ne sia bisogno all’interno della co­munità (e della famiglia umana) debba esser considerato dalla mo­rale e dal diritto la normalità. Si potrà tener conto della sensibilità dei familiari e a questo scopo le leg­gi più recenti contengono il princi­pio del silenzio-assenso: solo se uno in vita esprime in forma documen­tata la volontà che il suo cadavere non subisca espianti, si osserverà la sua volontà. Ma io non vedo in

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alcun modo come un cristiano pos­sa esprimere questa volontà, che non difende nulla di cristianamen­te importante e che va direttamen­te contro ciò che cristianamente è essenziale: la suprema virtù della carità.

Ritengo però che il principio si­lenzio-assenso vada integrato. Si danno situazioni di catastrofi di ogni genere con grande numero di feriti gravi che arrivano tutti insie­me all’ospedale. In queste situazio­ni, quando vi sia bisogno di trapianti con grande urgenza e in misura su­periore a ogni concreta disponibili­tà, allora il principio del bene co­mune dovrebbe prevalere anche su una dichiarazione di rifiuto del tra­pianto.

Per ragione di chiarezza va distin­to il dono di un tessuto o di un organo da parte di una persona vi­vente a scopo di trapianto, dal pre­

lievo di qualche parte del corpo di un cadavere. È facilmente compren­sibile che modalità tecniche di op­portunità e valutazioni morali, nei due tipi di intervento, debbano es­sere diverse.

Trapianti da persone viventi Non esiste problema morale quando si tratta di usare organi o tessuti ottenuti dopo un atto chirurgico inevitabile per salvare una perso­na. Si tratta di tessuti e organi che dovevano essere tolti dalla persona ammalata per ragione sanitaria. Non esiste problema, perché, se essi ser­vono a una terza persona mediante trapianto, vengono solo salvati dalla distruzione cui sarebbero destinati.

Il vero problema concerne la do­nazione volontaria di un organo da parte di una persona vivente, la quale si priva di esso per recare aiuto a un’altra persona. L’organo che può essere donato è in realtà - almeno allo stato attuale della scienza - il rene. La valutazione morale è fon­data su due principi apparentemen­te contraddittori, ma in realtà inte­grantisi a vicenda. Il primo è l’indi­sponibilità della propria vita e del­la propria integrità funzionale; il secondo è la solidarietà in forza della quale ciascuno è chiamato a dare qualche cosa di sé a chi ne ha bisogno.

a. Principio della indisponibilità del proprio corpo - Fino a pochi anni fa la dottrina morale, fondandosi su questo principio, riteneva che l’of­ferta di un proprio rene da vivente fosse illecito. Oggi la scienza, cui

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la morale adegua le proprie valuta­zioni sul ‘dato di fatto’, esclude che il sacrificio di un rene, una volta che sia assicurata la funzionalità dell’altro, costituisca un attentato alla propria funzione renale. Si trat­ta, indubbiamente, di una minora­zione fisica, che comporta alcune precauzioni nell’attività, nell’uso di bevande alcoliche, il possibile ri­schio che l’unico rene restante si ammali o venga colpito. Ma la me­dicina ci assicura di essere in grado di controllare sufficientemente eventuali crisi derivanti dall’unici­tà del rene.

Dunque, se la scienza è in grado di tutelare la salute del donatore mediante le sue nuove tecniche e le sue nuove maniere d’intervento, nel caso in cui l’unico rene corresse qualche pericolo, non esiste più motivo di illiceità. Il principio del­la indisponibilità del proprio corpo resta vero, ma nel caso nostro il corpo del donatore mantiene le pro­prie funzioni fondamentali, pur do­nandone una parte importante.

b. Principio della solidarietà - La parziale esposizione del donatore del rene al pericolo e il parziale impo­verimento della funzione renale non sono scelte velleitarie o comunque criticabili: esse rappresentano una soluzione di grande importanza a beneficio di una terza persona in gravissimo pericolo. Il parziale ri­schio che deriva da questo dono rappresenta in certo modo la ‘quota comunitaria di mutuo aiuto’ che ogni cittadino è chiamato ad offri­re alla comunità in cambio di tutto ciò che dalla comunità riceve.

In termini di valore personale, la donazione di un proprio organo a un’altra persona, parente o amica o sconosciuta, costituisce un grande atto di amore e di profonda sensi­bilità; è un atto di comunicazione di beni personali, quale si addice a membri di uno stesso gruppo socia­le. Sul piano della carità evangelica il gesto di tale donazione è un ar­ricchimento vero e sostanziale: è un amarci tra noi fino al sacrificio di se stessi. Cosicché più che parlare di liceità in questo tipo di trapian­to, si potrebbe parlare con maggior verità della virtù della carità; ana­logamente a quanto si dice del ge­sto di una persona che si getta in un torrente in piena per salvare un’altra persona con il palese peri­colo di essere travolta: fatte le de­bite proporzioni, siamo nell’ambito dello stesso principio e della stessa valutazione.

Concludendo: si tratta di una mutilazione che non pregiudica una conveniente possibilità di vita ve­ramente umana ed è cosa buona se fatta per proporzionati motivi di carità e in piena libertà, è cosa cat­tiva se fatta per qualsiasi altro mo­tivo o se in qualche modo imposta. (a cura di Fiorenzo Chiasera)

IL PUNTO DI VISTA DEI PROTESTANTI ITALIANI

La bioetica, ossia lo studio dei pro­blemi e dei risvolti etici che scatu­riscono dalle più recenti sperimen­tazioni mediche e biologiche non­ché dai loro esiti, implica necessa­

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riamente un ampio dibattito a tutti i livelli e in tutte le multiformi re­altà sociali, politiche religiose in cui siamo inseriti o con le quali comun­que veniamo a contatto.

Il dibattito dovrà però avere una forte piattaforma di base: la cono­scenza dell’altro. Molte difficoltà e incomprensioni, nella società attua­le, derivano infatti da una diffusa carenza di informazioni e di reci­proca conoscenza.

Per questo, ho molto apprezzato l’iniziativa dell’Assessorato alle po­litiche sociali e alla salute della Pro­vincia Autonoma di Trento, che si è proposto di “fornire un quadro com­plessivo ed il più possibile esausti­vo” in merito allo sviluppo della ri­flessione “su specifici aspetti tema­tici di attuale, rilevante interesse nella realtà del sistema della salu­

te”, avvalendosi delle pagine di “PuntoOmega”, rivista edita a cura del Servizio Sanitario Provinciale.

Il tema affidatomi, nella verifica contestuale del punto di vista delle principali religioni su donazioni e trapianti , esige peraltro una premes­sa fondamentale. Le Chiese Cristia­ne Protestanti (denominate anche Evangeliche) non riconoscono nor­mative imposte dall’alto. Questo inalienabile principio della Riforma Protestante nasce da due presuppo­sti: 1) la diversa ecclesiologia, per cui

la chiesa non è costituita da una gerarchia a cui la base (il LAÒS, ovvero “popolo di Dio”) debba ubbidienza (ordine verticale), bensì dalla comunità dei creden­ti al cui interno si sviluppano mi­nisteri particolari (pastori, dia­

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coni, ecc.), ma nella pienezza del sacerdozio universale predicato dall’apostolo Pietro nella sua I lettera agli eletti di Dio (ordine orizzontale);

2) la libertà di coscienza, che la­scia all’individuo la responsabi­lità della scelta.

La Tavola Valdese (organismo ope­rativo che esegue i mandati dell’an­nuale Sinodo Valdese-Metodista), ha fra i suoi compiti quello di predi­sporre gruppi di studio, mirati ad approfondire le tematiche più scot­tanti nella Chiesa come nella polis e a redigere successivamente un documento che verrà poi inviato alla discussione e allo studio delle co­munità.

Non abbiamo dunque, come Chie­se protestanti, posizioni ufficiali ma solo indicazioni, che interpellano la nostra coscienza di credenti. Vor­remmo però che i documenti pro­dotti quest’anno dai gruppi di stu­dio (costituiti da professionisti qua­lificati) dessero un contributo al di­battito sulla bioetica in Italia, “nel­l’intento di favorire quel pluralismo etico che dovrebbe caratterizzare ogni Paese democratico” (E. Tomas­sone - pastore valdese). In Italia , Paese a maggioranza cattolica, è in­fatti talvolta difficile superare la polarità tra pensiero “cosiddetto laico” e pensiero “cosiddetto reli­gioso”.

E’ anche difficile per tutti supe­rare la contrapposizione scienza-fede: oggi però l’incontro appare possibile.

Entrando nello specifico del tema, le indicazioni emerse dai gruppi di lavoro della Tavola Valdese si pos­

sono suddividere in alcuni punti-chiave, da proporre al dibattito: a) distinguere tra gli organi dotati

di una specifica autonomia fun­zionale e i componenti che ne sono privi (cellule, proteine, or­moni, Dna);

b) la fase intermedia tra il prelievo e la cessione dell’organo (o del componente) può comportare problemi di custodia e di con­servazione gestiti con criteri uti­litaristici e imprenditoriali, di­ventando così fonte di profitto: è un rischio assolutamente da evitare, esaminandone con at­tenzione tutti gli aspetti;

c) un problema gravissimo è costi­tuito dalla necessità di porre re­gole e limiti precisi alla trasferi­bilità di parti ed organi: è que­sto il punto di partenza per evi­tare ogni e qualsiasi sistema di “compravendita”, comunque lo si voglia giustificare. Da ciò si evin­ce il criterio assoluto di libera donazione dell’organo. L’educa­zione al dono volontario e gra­tuitodeve contrastare il commer­cio del corpo umano, gli abusi, gli atti criminosi, troppo spesso rivolti contro bambini inermi;

d) dal precedente punto deriva la spinta ad attivarsi in favore di una corretta informazione e una rigorosa legislazione. La vecchia legge del 1975 appare superata: urge una nuova legge che con­senta il prelievo di organi, tes­suti e cellule solo dove vi sia il consenso-assenso del cittadino.

L’etica (cristiana e “laica”) deve in­centivare la cultura del “DONO”.

Inoltre, si dica “NO” alle risposte

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ideologiche quanto all’etica degli assoluti, per sottolineare l’etica del carattere oblativo, ma altresì del li­mite e del non definitivo.

Nel terzo millennio è previsto che circa il 50% degli interventi verran­no effettuati sui bambini. Riflettia­mo su questo dato. Non divenga anche il nostro uno fra i tanti di­scorsi mediatici: divenga un discor­so che si impone alle nostre coscien­ze, divenga soprattutto un discorso di operante e vigile amore.

Per i credenti, una dimensione della fede. Questo, in breve, ciò che i nostri documenti propongono nel Duemila all’esame e alla riflessione in preghiera delle comunità. L’im­pegno sarà poi sociale e civile. (a cura di Florestana Piccoli Sfredda)

IL PUNTO DI VISTA DEGLI ORTODOSSI ITALIANI

Secondo i precetti della Bibbia, la norma creata dall’uomo deve porsi in armonia con la norma creata da Dio; quindi quando la legge umana si pone in contrasto con la legge divina, essa diviene illegale.

Sempre nella Bibbia, la morte è intesa ed avviene quando l’anima si separa dal corpo. E’ dunque possibi­le parlare di prolungamento della vita finché esiste l’attività dell’organismo nella sua interezza.

In qualsiasi caso, non è accetta­bile un trapianto che potrebbe por­tare ad un cambiamento dell’iden­tità del ricevente, mettendo così a repentaglio l’unicità umana della

persona. Inoltre, gli organi umani non

possono assolutamente configurar­si come oggetti di compravendita.

Per quanto concerne i donatori viventi, la donazione può avvenire solo se esiste la volontà del singolo e al solo, unico scopo di salvare un’altra vita umana.

La donazione in questo caso di­viene moralmente segno di amore verso il prossimo e di solidarietà, però il donatore potenziale deve assolutamente essere informato sul­le possibili conseguenze dell’espian­to sulla propria salute. Naturalmen­te, sempre dal punto di vista mora­le, non è permesso un prelievo di organi che può in qualche modo minacciare la vita del donatore.

Non è poi assolutamente accet­tabile che una persona tenuta in sopravvivenza artificiale venga fat­ta morire prima, ad esempio stac­

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cando le macchine, per lo scopo di salvare la vita di un altro tramite la donazione dei suoi organi .

La chiesa ortodossa è assoluta­mente contraria all’utilizzo dei co­siddetti metodi di terapia fetale. Si tratta di metodi dove l’espianto di tessuti e organi di embrione uma­no, presi dopo un aborto nei vari stadi di sviluppo, vengono utiliz­zati per effettuare varie prove di cure di alcune malattie e per il cosiddet­to ringiovanimento organico. (a cura di Aleksandr Rudenko)

IL PUNTO DI VISTA DELL’EBRAISMO

Dal punto di vista religioso ebrai­co, i temi della bioetica sono cen­trali nel dibattito attuale. Le mag­giori autorità rabbiniche contempo­ranee vengono continuamente inve­stite di questi problemi a cui dedi­cano una considerevole parte della loro riflessione. È opportuno fare alcune precisazioni per spiegare di che cosa si tratta al mondo in cui operiamo.

Gli ebrei derivano la loro fonte di ispirazione religiosa dalla Bibbia, da quello che viene chiamato l’”Antico Testamento”, la Bibbia Ebraica; ac­canto a questo si è sviluppata sin dalle origini una tradizione orale. I maestri, per primi i sacerdoti e poi i rabbini hanno interpretato la scrit­tura: di conseguenza accanto alla tradizione scritta si è sviluppata una tradizione detta “orale” che è an­data avanti per secoli ed è in pro­gressiva evoluzione. Esiste un rap­

porto di continuità strettissima fra la Bibbia scritta e la tradizione ora­le e fra la tradizione orale, come oggi viene prodotta, e quella preceden­te. Cosicché ogni cosa viene prati­camente concatenata con la prece­dente: c’è quindi un rapporto sacro e rispettoso delle fonti.

Un tempo esisteva un’autorità centrale nell’ebraismo, ma essa è finita intorno al IV sec. dell’era vol­gare. Da allora gli ebrei , che erano già dispersi in tutto il mondo, han­no perso l’autorità centrale. Da quel momento i problemi che emergono vengono sottoposti ad autorità lo­cali che esercitano il loro magiste­ro e dettano legge nel luogo dove stanno fisicamente: il loro influsso si può estendere in base alla loro importanza, alla loro dottrina, alla loro sacralità e alle prove logiche che portano a dimostrazione delle loro tesi. Da ciò deriva un dato es­senziale: su certi problemi fonda­mentali dell’ebraismo non esiste un’opinione unitaria ma esistono posizioni diversificate. Ogni caso è quindi differente dall’altro e va ri­solto nella realtà locale. Questo può essere un difetto fondamentale ma potrebbe anche essere, dal punto di vista della ricerca della verità, un pregio perché in realtà noi non ab­biamo un’unica verità ma una real­tà estremamente dialettica in co­struzione.

A proposito di trapianti non esi­ste un unico problema rilevante ma tanti problemi etici distinti: prelie­vi di organi da donatore vivente o da cadavere, problemi di scelta tra prelievi da uno o dall’altro; organi differenti da trapiantare alcuni vi­

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tali, altri non vitali, condizioni che arrivano dal donatore o dall’accet­tore della donazione.

I principi fondamentali che rego­lano questa materia sono in qual­che modo condivisi dalle morali co­muni e dalle religioni: la vita uma­na come valore da tutelare. Rispet­to alla necessità di tutelare la vita umana gli obblighi della legge ven­gono meno: per questo si profana anche ciò che è più sacro. Il famo­so detto evangelico “Il sabato è sta­to dato all’uomo e non l’uomo al sabato” è condiviso pienamente nella letteratura rabbinica. Quando Gesù lo affermava non si poneva in contrasto con l’ebraismo ma espri­meva un concetto ebraico. Ora se il valore fondamentale da tutelare è la persona umana, il diritto della vita di ognuno non può prevaricare il diritto della vita altrui. Il con­cetto viene espresso nella lettera­tura rabbinica con una frase sugge­

stiva: “il mio sangue non è più ros­so del tuo” cioè il colore del san­gue è uguale per tutti, e quindi non è assolutamente lecito sopprimere una vita umana per poterne salvare un’altra.

Da questi riferimenti fondamen­tali passando alle casistiche i pro­blemi si complicano: ne farò un cen­no con l’esempio del trapianto car­diaco. Lo sviluppo del diritto ebrai­co su questo problema è molto in­teressante. Quando trent’anni fa venne fatto il primo trapianto di cuore le maggiori autorità ebraiche interpellate dissero che si trattava di un duplice omicidio: duplice per­ché si uccideva l’accettore dato che non c’era alcuna possibilità di so­pravvivenza seria per colui che ri­ceveva il trapianto di cuore e quin­di si metteva in ulteriore rischio la sua vita, e omicidio del donatore perché il prelievo veniva fatto su un cuore battente. Sappiamo infat­

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ti che per il prelievo è necessario che il cuore sia battente e quindi questo potrebbe essere considerato un omicidio. Se ogni sangue è ugua­le all’altro, come è stato detto pri­ma, non si ha il diritto di soppri­mere una vita, anche se agonizzan­te, per salvarne un’altra.

Questa la situazione di trent’an­ni fa. La medicina nel frattempo ha fatto progressi, sono state trovate le sostanze necessarie per impedire le reazioni di rigetto e quindi, si è visto che la procedura tecnica del trapianto non metteva in pericolo la vita dell’accettore ma anzi final­mente la salvava con una probabili­tà ragionevolmente accettabile, di conseguenza questo aspetto del pro­blema è stato accantonato e non si è più parlato di un duplice omici­dio ma forse di un unico omicidio del donatore. Il problema è stato ulteriormente rivisto da una quan­tità considerevole di studiosi essen­do strettamente collegata a quello della definizione del momento del­la morte. In casi del genere siamo costretti a decidere in una situazio­ne di difficile compromesso logico, tecnico, scientifico e morale. Que­sta discussione non è affatto sem­plice ed ha investito tutto il mondo e quindi anche l’ebraismo.

Se prima era stata privilegiata la fonte tradizionale più semplice ed immediata, che diceva che quando il cuore batte una persona è chiara­mente viva, si è visto in seguito, in base ad altre fonti della tradizione rabbinica, che esistono altri criteri possibili come ad esempio quello del respiro, legato al concetto di morte cerebrale. È stato così possibile ri­

scoprire nuove strade di soluzione, cosa che ha portato nel 1988 ad una dichiarazione ufficiale del rabbina­to centrale di Israele (organo che rappresenta un’autorità ufficiale dello Stato di Israele ma non di tutti gli ebrei del mondo, e neppure ri­conosciuta da molti ebrei che vivo­no nello Stato di Israele); secondo questa dichiarazione la morte cere­brale è accettabile come criterio di morte anche se il cuore continua a battere.

Quindi dal punto di vista di que­sta porzione ufficiale dell’ebraismo il trapianto di cuore è stato con­sentito avendo trovato una soluzio­ne all’interno delle antiche tradizio­ni che consente una diversa defini­zione del momento della morte. Sta di fatto che questa opinione non è stata accettata da tutti e quindi il dibattito su questo argomento pro­segue con una profusione di scritti in favore dell’una e dell’altra tesi.

Il problema dei trapianti pone anche questioni fondamentali di solidarietà e di educazione che, sono proprio i temi su cui è impostato questo convegno.

Esistono dei miti da sfatare, del­le realtà culturali contro le quali bisogna combattere, sempre però tenendo presente che il problema dei trapianti è strettamente articolato e che ogni caso è diverso.

Esistono però degli spazi educa­tivi nei quali bisogna operare. Vor­rei citare ad esempio un caso em­blematico, anche se non è diretta­mente collegato al problema dei tra­pianti, ma che fa vedere quale può essere la mentalità su certi proble­mi. È successo recentemente nel

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Nord di Israele, a una donna anzia­na alla quale doveva essere ampu­tata una gamba per motivi medici. La donna rifiutava l’intervento di amputazione perché sosteneva che nel momento in cui sarebbe risorta, al momento della resurrezione dei morti, non avrebbe più avuto una gamba. Questa è una tipica riserva che viene fatta contro la tecnologia medica moderna, sulla base di ma­lintesi concetti derivati da tradizioni antiche e autorevoli.

In questo caso è ben noto che l’ebraismo e il cristianesimo condi­vidono la credenza nella resurrezio­ne dei morti, ma i modi in cui que­sta si realizzerà non vanno certo intesi in senso del tutto letterale.

Eppure la credenza stretta al sen­so letterale può indurre resistenze forti ai medici, come potrebbe es­sere nel caso dei trapianti, in cui un organo viene trasferito da un corpo all’altro. Per convincere la donna ad accettare l’amputazione fu necessario l’intervento personale del rabbino capo di Israele.

Questo a dimostrazione di quan­to sia necessaria l’educazione e l’in­formazione, e di quale responsabi­lità spetti agli educatori, su temi che coinvolgono il rapporto con la cultura tradizionale e dove emerge con evidenza la necessità di inse­gnare la reale scala di valori con cui bisogna misurarsi. (a cura di Riccardo Di Segni. Tratto da “Quaderni del Lionismo”, n. 52, “Una battaglia per la vita” ­Atti del convegno nazionale, 21 maggio 1998)

IL PUNTO DI VISTA DELL’ISLAM

1. L’Islam raccomanda alla società e agli individui di salvare ad ogni costo l’essere umano dalla morte: “Chi aiuta a far vivere una persona è come se avesse fatto vivere tutta l’umanità” (Corano); 2. L’Islam garantisce la dignità al­l’essere umano sia da vivo che da morto: “In verità abbiamo reso no­bile l’essere umano” (Corano); 3. Nell’Hadith (Detto del Profeta Muhammad*, Pace e Benedizione su di lui), disse: “Spezzare l’osso di un morto equivale a spezzarlo ad un uomo vivo”; vale a dire: Chi spezza

* Muhammad è il nome del Profeta dell ’Islam, detto erroneamente Maometto.

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un osso ad un morto si macchia della stessa colpa, davanti ad Allah, di colui il quale spezza l’osso di un essere umano in vita, a prescindere dalla loro posizione nei confronti della legge terrena. Questo vale anche per chi offende o disprezza un morto; 4. Nell’Islam l’anima, il corpo e gli organi appartengono all’individuo: “Quindi gli ha dato forma ed ha in­sufflato in lui del Suo Spirito. Vi ha dato l’udito, la vista ed i cuori” (Co­rano, XXXII,9); 5. L’individuo ha diritto sui suoi or­gani ma non sono mai di sua pro­prietà. L’anima ed il corpo dell’es­sere umano sono di proprietà del Creatore, il Quale ha riconosciuto al­l’individuo dei diritti su di essi, al contempo richiamandolo alle sue responsabilità nei loro confronti; 6. L’uomo non ha diritto di sacrifi­care, donare né porre in pericolo la propria vita se non in modo lecito e sempre con prudenza.

Principi fondamentali Ecco qualche fondamento di legi­slatura islamica (FIQH) che può in­teressare al fine di sviluppare il tema in oggetto: - Si rimuove il danno superiore per

mezzo di quello minore; - Per allontanare un danno supe­

riore si tollera un danno minore; - Non si può allontanare un dan­

no per mezzo di un altro danno equivalente o superiore;

- Diviene un dovere ciò senza il quale non è possibile compiere un dovere;

- Gli interessi superiori hanno priorità su quelli inferiori;

- La necessità legittima le cose proibite, a patto che non vi sia consapevole tendenza verso il peccato o la trasgressione delle regole.

L’Islam tollera la necessità. L’Islam riconosce i casi di estrema necessità e tollera, con cautela, il fatto di commettere un fatto proi­bito per salvare una vita in perico­lo. I saggi ed i giuristi dell’Islam hanno concesso di violare i diritti dei morti per rispettare quelli dei vivi. Dice l’Imam An-Nawawi: “Si taglia l’addome di una donna morta per far uscire dal suo grembo il feto vivo, perché si tratta di mantenere una vita sacrificando una parte del corpo del morto”, o come dice Ibn Qudama: “Perché si tratta di dan­neggiare una parte del morto per salvare un vivo”. An-Nawawi riferi­sce ancora: “Salvare il vivo ha prio­rietà rispetto al fatto di non violare la dignità del morto”.

Prelievo di organi da un donatore vivo Prelevare l’organo da un donatore vivente ha due scopi: a) Il prelievo di un organo o di un tessuto per trapiantarlo nella stessa persona. II prelievo di un organo o di un tes­suto di un individuo in vita per tra­piantare lo stesso organo o tessuto nella persona stessa, come nei casi in cui la cute sia danneggiata da ustioni o simili, può essere esegui­to nei casi di necessità, o di estre­mo bisogno, una volta esperite le seguenti condizioni, oltre alle ge­neriche raccomandazioni riportate sopra:

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- Il pieno consenso della persona stessa se ritenuta capace di in­tendere e volere, ovvero il con­senso dei familiari, dei genitori o dei responsabili per i minorenni in affidamento;

- Accertare l’efficienza dell’opera­zione, sia nel senso del risultato previsto tenendo in debita con­siderazione il fatto di non nuo­cere alla salute del paziente, va­lutando secondo criterio di mag­giore probabilità;

- Si può procedere a questo tipo di trapianti per motivi anche estetici oltre che terapeutici, se indispensabili.

b) Il prilievo da un donatore vivo per trapiantare in un’altra persona Ecco le condizioni particolari, oltre alle già citate regole generali, per eseguire questo tipo di prelievo:

- Il pieno consenso del donatore quando si tratta di un maggio­renne;

- Accertare l’efficienza dell’opera­zione;

- Non mettere a rischio la vita del donatore.

Altri principi - E’ possibile utilizzare un organo

o parte di esso, trasportandolo da una persona viva ad un’altra anch’essa viva, se quest’organo si rinnova spontaneamente, come il sangue e la pelle, con il consenso del donatore e secon­do le raccomandazioni generali della Shariia (gurisprudenza);

- Non è ammesso prelevare un or­gano indispensabile per la vita del donatore come il cuore;

- Non è ammesso prelevare un or­gano da una persona viva annul­

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lando una funzione essenziale, come nel caso di prelevare en­trambe le cornee. Il danneggia­mento parziale di questa funzio­ne essenziale, allo scopo di tra­pianto è in fase di dibattito;

- E’ possibile trapiantare una par­te di un organo prelevato per mo­tivi di malattia dello stesso or­gano, come nel caso della cor­nea di un occhio prelevato per motivi patologici.

Prelievo da un donatore deceduto

1) Le condizioni generali per con­sentire il trapianto:

a) La necessità: II trapianto è ammesso solamente in casi di necessità terapeutica e quando risulti l’unico mezzo per ri­parare il danno o per salvare una vita umana. Sono esclusi pertanto i trapianti a fini estetici, se non in casi di concrete conseguenze psi­cologiche. Non è ammesso inoltre prelevare più del fabbisogno effet­tivo provocando deformazioni fun­zionali al donatore vivo o defunto che sia. b) Il consenso esplicito

del donatore: Abbiamo detto poc’anzi che il dirit­to all’anima ed al corpo -al di là della suprema titolarità del Nostro Creatore- appartiene all’individuo nel quale essi sono presenti. Ag­giungiamo, ancora, che l’Islam con­sidera come soggetti a facilitazioni verso l’uomo i vari diritti divini, nel senso cioè che Allah consente a chi si trova in stato di necessità di tra­

sgredire ed oltrepassare i limiti del lecito, laddove invece i diritti del­l’uomo non sono alienabili. Cioè se uno, in stato di difficoltà, trova da mangiare del cibo illecito e del cibo di proprietà altrui, deve mangiare di quel cibo illecito, perché il di­vieto viene da Allah e non può toc­care la proprietà altrui senza il con­senso di questi; Allah perdona ogni peccato, ma non perdona, malgrado il pentimento, le ingiustizie verso gli altri finché non vi sia il perdono di chi ha subito l’ingiustizia. Da ciò si evince che non è ammesso nessun prelievo da un corpo umano finché la sua volontà non sia espressa in modo esplicito e non solo implicito. L’espressione di volontà avviene: - Dalla persona stessa se maggio­

renne, cosciente e capace di de­cidere sia che il prelievo avven­ga in vita o dopo la morte;

- Dai genitori del minore morto, ma gli stessi genitori non pos­sono decidere al suo posto se questi è in vita, a meno che non si tratti di prelevare -senza ri­schi- un organo a favore di un altro componente dello stretto nucleo familiare;

- Dai familiari stretti in caso di morte; An-Nawawi afferma che “I familiari hanno priorità sul loro morto”;

- Dai giuristi (Giudici), in mancan­za di una decisione esplicita del defunto, e in mancanza di geni­tori o parenti stretti.

L’insufficiente reperimento degli or­gani non è una valida giustificazio­ne per imporre la condizione del si­lenzio-assenso.

Il modo più giusto per accresce­

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re il numero dei donatori è quello di combattere il mancato consenso alla donazione promuovendo cam­pagne culturali e d’informazione al fine di favorire la propensione a donare i propri organi. A tale pro­posito vi è un fondamento islamico che recita: “La necessità non aboli­sce i diritti degli altri”. c) La validità dell’operazione: Da quanto si è detto, risulta chiaro che se non vi è certezza circa i ri­sultati che si otterranno, non è ammesso nessun prelievo né tra­pianto; non è ammesso cioè sotto­porre l’essere umano a prove e esa­mi di laboratorio come cavie.

Pertanto, una volta accertato il risultato da ottenere, bisogna assi­curarsi che il prelievo non comporti gravi danni al donatore se si tratta di prelievo da soggetto vivente ­come ad esempio nel caso del tra­pianto di rene in cui occorre verifi­care se il risultato ottenuto porti più privilegi al paziente che danni al donatore. d) Esclusione dei fini commerciali: Un essere umano non può essere oggetto di valutazione commercia­le sia da vivo che da morto, e lo stesso dicasi per i suoi organi. “Il fatto che nell’Islam sia previsto un indennizzo -somma pagata dall’uc­cisore agli eredi dell’ucciso o, in caso di danni fisici, somma pagata dal colpevole alla vittima del dan­no- ciò non vuol dire che questo equivale al prezzo della vita o degli organi lesi, ma si tratta semplice­mente di un risarcimento del danno o dei mancati benefici in ragione dell’aggressione.

Tale risarcimento ha carattere

punitivo, induce alla cautela ed ostacola la diffusione dei delitti”. e) L’esclusione dei trapianti

di gonadi ed encefalo: E’ vietato prelevare gli organi della sfera sessuale e dell’encefalo.

“L’eccezione delle ghiandole del­la sfera genitale e della procreazio­ne tende alla certezza della pater­nità, all’integrità dei legami paren­tali, ed alla purezza della società, visto che le ghiandole genitali ma­schili e femminili (testicoli ed ova­ia) contengono le cellule germinali fautori degli spermatozoi nel ma­schio e degli ovuli nella femmina, i quali danno origine all’essere uma­no. Quindi in caso di donazione, l’or­gano donato, maschile o femmini­le, mantiene in produzione i cromo­somi ed il DNA del donatore. L’ec­cezione dell’encefalo è una logica conseguenza del fatto che il prelie­vo deve avvenire in questo caso pri­ma della morte cerebrale e non dopo”. f) Divieto della manipolazione

genetica: Non è ammessa per nessuna ragio­ne la manipolazione genetica degli embrioni al fine di realizzare orga­nismi che presentino migliori carat­teristiche immunologiche ai fini di trapianto o che si configurino, ad­dirittura, come riserve di organi per soggetti singoli. g) L’utilizzo di feti per il trapianto: Si sa come oggi è esistente il com­mercio di organi di feti fatti aborti­re a questo scopo, o magari per uti­lizzare certe cellule del feto per al­tri scopi. Dunque è ovvio che que­sto è un crimine orribile, allo stes­so modo di cui lo sia l’uccisione di

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un uomo a scopo di lucro, quindi ciò è da condannare fermamente.

Islamicamente non è ammesso l’utilizzo degli organi dei feti se non in condizioni particolari: 1. Non è ammesso provocare un

aborto per utilizzare gli organi del feto in un’altra persona, men­tre lo stesso aborto è ammesso per le cause riconosciute islami­camente, come quando lo stesso feto e/o la madre siano in peri­colo concreto e reale di vita;

2. Nel caso in cui il feto fosse an­cora in vita, diviene doveroso in­tensificare gli sforzi per aiutarlo a continuare a vivere e non uc­ciderlo per prelevare i suoi orga­ni, mentre nel caso in cui il feto non fosse in grado di continuare a vivere, non è ammesso utiliz­zare i suoi organi se non dopo che la sua morte sia decretata secondo le regole ammesse e ri­conosciute scientificamente, e

quindi il tutto deve essere sem­pre eseguito da esperti fidati.

2) Le due posizioni nei confronti della Morte.

Secondo il Codice Islamico di Etica Medica: “Se è vero che i vivi posso­no donare un organo del proprio corpo, anche i morti, a maggior ra­gione, lo potranno fare; e non ci sarà nessun pericolo per il presunto morto se gli vengono asportati i reni, il cuore, ecc. che saranno uti­lizzati da una persona viva. Questo è in realtà un grande gesto di cari­tà e risponde perfettamente alla volontà di Allah”.

Innanzitutto bisogna dire che il prelievo di organi viene considera­to ammissibile esclusivamente qua­lora venga eseguito su soggetti la cui morte sia stata accertata. Su corpi giudicati morti frettolosamen­te o su casi fonte di dubbio o per­

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plessità, questo invece non è am­messo.

Se da una parte vi sono coloro che ritengono che la morte cerebra­le sia motivo valido per il preleva­mento degli organi, per i contrari, la stessa definizione di morte cere­brale è diversa nelle varie nazioni; e poiché i macchinari non possono tenere sempre in vita un soggetto dichiarato cerebralmente morto e neppure tenere i suoi organi vivi a lungo, allora c’è un momento di morte accertata in cui si distacca, veramente, l’anima dal corpo e ces­sa ogni forma di vita motivata dal­l’anima e dove i macchinari non hanno niente a che fare.

Quindi la morte cerebrale non è altro che una fase iniziale della morte che precede e conduce l’es­sere umano alla morte definitiva. Allora chi ha detto che la cessazio­ne irreversibile di tutte le funzioni cerebrali, in quanto apparentemen­te priva l’individuo da ogni possibi­lità di riprendere la vita, è la morte assoluta o il distacco dell’anima dal corpo? E con quale mezzo si prova che il distacco dell’anima dal corpo coincide con la morte cerebrale pri­ma della morte delle singole cellule del corpo? Inoltre bisogna tenere conto che la scienza ha scoperto, con la clonazione, il ritrovo dell’ani­ma in ogni cellula del corpo, poi­ché ogni cellula di qualsiasi parte del corpo è capace di seminare una vita (Chissà se una cellula presa da un organo prelevato - da uno di­chiarato cerebralmente morto - può portare, con la clonazione, alla rea­lizzazione di una copia di questo morto? O di un organo?)

La conclusione Vista l’estrema necessità sia per: - Salvare la vita di alcuni malati

che possono essere curati solo trapiantando l’organo, tenendo conto che il trapianto è l’unica alternativa che hanno;

- Salvare la vita di alcuni malati bisognosi di macchinari già uti­lizzati da altri dichiarati cerebral­mente morti nei casi accertati di carenza di apparecchi o aumen­to esponenziale di malati in casi di catastrofi naturali o altri di­sastri;

- Tranquillizzare i medici e soste­nerli nello svolgere un loro do­vere professionale, quando si tratta di prendere decisioni di staccare i macchinari da alcuni morti per favorire altri vivi in estrema urgenza e bisognosi di questi macchinari; Non possiamo se non:

- Ammettere e dare il consenso ai prelievi e trapianti di organi e tessuti, ma in modo molto cau­to, prudente, e basato su norme scientifiche solide;

- Ricordando che il trapianto di­venta raccomandato, e non solo consigliato, qualora si tratta di salvare una rispettabile vita mi­nacciata dalla morte per motivo di malfunzionamento o danneg­giamento di uno o più dei suoi organi vitali;

- Chiedendo agli scienziati ad in­tensificare le ricerche e gli studi per trovare un’alternativa più sana e più serena, finche possi­bile.

(a cura di Aboul Kheir Breigheche)

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IL PUNTO DI VISTA DEI TESTIMONI DI GEOVA

La posizione dei testimoni di Geova circa la donazione e il trapianto di organi e tessuti è molto semplice, e si fonda essenzialmente sulla libera decisione personale. Questo signi­fica che non esiste una posizione imposta dagli organi della confes­sione ai fedeli, i quali decidono li­beramente come regolarsi in mate­ria.

I testimoni di Geova si attengo­no a quanto detto esplicitamente dalle Sacre Scritture, da loro consi­derate Parola ispirata dal Creatore. E anche nelle scelte in campo bioe­tico si fanno ovviamente guidare dalla Bibbia. La Bibbia si esprime in modo esplicito solo circa l’uso del sangue, che Dio considera sa­cro. Impiegarlo in maniera impro­pria significa, biblicamente parlan­do, profanare una cosa sacra. La posizione dei Testimoni in questo campo è confortata da passi biblici quali Genesi 9:3, 4, e Atti degli Apostoli 15:28, 29; 21:25. Cristia­ni di tutte le epoche hanno consi­derato questi divieti vincolanti. È questa la ragione biblica del rifiuto opposto dai Testimoni alle terapie emotrasfusionali. I Testimoni co­munque non sono contrari alle te­rapie mediche in genere e sono ben lieti di collaborare con gli operato­ri sanitari in qualunque modo pos­sibile.

Circa la donazione e il trapianto di organi, pertanto, la Bibbia non si esprime. Perciò i Testimoni deci­dono personalmente in questo cam­po. Come ha dichiarato qualche

anno fa un loro periodico, “mentre la Bibbia vieta esplicitamente il consumo di sangue, non c’è alcun comando biblico che vieti specifi­camente di introdurre nel proprio corpo tessuti di un’altra persona. Per questa ragione ciascun individuo che debba affrontare una decisione di questo tipo deve soppesare i vari fattori con attenzione e preghiera, dopo di che deciderà in base alla propria coscienza ciò che può o non può fare davanti a Dio” (La Torre di Guardia, 1° settembre 1980, pag. 31).

Risulta così che diversi Testimo­ni si siano sottoposti a trapianti di vario genere. Per fare un solo esem­pio tra tanti, il primo trapianto di cuore in età pediatrica in Italia fu fatto su una bambina figlia di te­stimoni di Geova nel 1986. L’inter­

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vento fu realizzato senza il ricorso alla emotrasfusione grazie all’appor­to di tecniche alternative che sono state perfezionate nel tempo anche in seguito alla posizione dei Testi­moni.

Naturalmente, i Testimoni sono favorevoli ad un accoglimento sem­pre più generalizzato del principio del consenso informato, di partico­lare rilevanza nel campo della do­nazione e del trapianto di organi e tessuti. Una loro associazione ha qualche anno fa prodotto uno stu­dio sullo stato attuale del consenso informato nella giurisprudenza non solo italiana, ma anche internazio­nale, corredato di una ricca biblio­grafia, e al quale qui si rimanda (Associazione europea dei Testimo­ni di Geova per la tutela della liber­tà religiosa, “Emotrasfusioni e con­senso informato. La questione dei minori”, in Il diritto di famiglia e delle persone, 25(1996), pagg. 376­418). (a cura di Ferdinando Ghirardini)

IL PUNTO DI VISTA DEL BUDDISMO

Esprimere una posizione generale sul tema della donazione degli organi, in accordo all’etica buddista, non è un compito facile. Come accade molto spesso per tutte le questioni che coinvolgono questioni morali, sarebbe infatti necessario esamina­re ogni singolo caso separatamen­te. Ciò che invece il Buddismo for­nisce in maniera chiara, sono i prin­cipi generali da utilizzare per valu­

tare le varie azioni e conseguenze che una determinata decisione im­plica.

Per comprendere a fondo la posi­zione del Buddismo sulla tematica della donazione d’organi è necessa­rio richiamare alcuni dei suoi prin­cipi fondamentali. In primo luogo il Buddismo considera la rinascita umana un bene molto prezioso: sulla base di un corpo umano, e solo sul­la base di questo, è possibile rag­giungere lo stato dell’illuminazio­ne, quello stato di completa sag­gezza e virtù, al di là di qualsiasi sofferenza che è la meta di ogni praticante buddista. Il Buddha stes­so raggiunse, circa 2500 anni fa, tale stato sulla base di un’esisten­za umana. Secondo la filosofia bud­dista, gli esseri, dopo la morte, mi­grano verso un nuovo stato di esi­stenza, in un ciclo continuo di na­scita e morte. Purtroppo però, il mondo umano è solo uno dei possi­bili stati di esistenza, pur essendo l’unico, come detto, dove esistono tutte le condizioni per raggiungere l’illuminazione. In definitiva quin­di, la rinascita umana è considerata un bene molto prezioso, perché con­dizione migliore per ottenere la li­berazione definitiva, e molto raro, perché difficile da ottenere. Da que­sto punto di vista la donazione di organi non può che essere vista positivamente, in quanto mezzo per preservare la preziosa e rara rina­scita umana di chi riceve la dona­zione.

Va anche ricordato che il prati­cante buddista mira al raggiungi­mento dell’illuminazione, perché questo è lo stato in cui potrà esse­

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re veramente di beneficio per tutti gli esseri viventi, grazie alla rag­giunta onniscienza. Nel frattempo, però, il praticante è incoraggiato ad essere comunque di beneficio per il maggior numero possibile di esseri viventi, in accordo alle sue possi­bilità e capacità. A tale scopo, il Buddismo promuove alcuni valori, tra cui la generosità. Quest’ultima può riferirsi alla donazione di og­getti materiali, al sostegno morale, alla protezione di persone da paure e pericoli, ed altro ancora. In so­stanza, si tratta di donare quello di cui le persone che si incontrano hanno bisogno. Ancora una volta, quindi, la donazione di organi ri­sulta in accordo all’etica buddista, potendo essere considerata una vera e propria azione di generosità da parte del donatore.

In conclusione vorrei anche con­siderare un aspetto, questa volta contro corrente, rispetto alla dona­zione di organi: il momento della morte, che per il Buddismo rappre­senta il passaggio da uno stato di esistenza all’altro, è un momento molto delicato. La complessa e pro­fonda analisi della mente umana, sviluppata nell’ambito della psico­logia buddista, porta a concludere che lo stato d’animo al momento della morte può fortemente condi­zionare il processo di migrazione verso la nuova esistenza. Per que­sto motivo il morente deve essere lasciato in una condizione il più possibile tranquilla, fino alla com­pleta conclusione del processo del­la morte. Il punto critico è che il momento della morte, definito in accordo agli insegnamenti buddisti

come il momento del distacco della mente dal corpo, può non corrispon­dere con il momento della morte identificato in accordo alla scienza medica occidentale. Si ritiene infatti che la mente possa rimanere inter­dipendente dal corpo, e quindi in­fluenzabile dalle condizioni di que­st’ultimo, anche per alcuni giorni dopo il cessare del respiro. L’inter­vento di espianto, che notoriamen­te deve essere effettuato il prima possibile dopo la morte del donato­re, potenzialmente può quindi in­terferire con il processo naturale della morte, eventualmente ostaco­lando una nuova rinascita umana, che permetterebbe sicuramente al morente di essere di beneficio per molti esseri viventi.

Concludendo ogni singolo indi­viduo deve prendere la propria de­

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cisione, valutando la sua situazio­ne in base ai parametri etici espo­sti, ed assumendosi i propri meriti e le proprie responsabilità per le decisioni prese. Il punto fondamen­tale è che qualsiasi decisione ognu­no assuma, questa deve essere mo­tivata dal voler essere di beneficio al maggior numero possibile di es­seri viventi, mentre non deve mai poggiare su motivazioni egoistiche o sulla paura di un danno personale come conseguenza dell’aiutare gli altri. (a cura di Andrea Gerosa)

IL PUNTO DI VISTA DELLA FEDE BAHA’Ì

Apparsa attorno alla metà del 1800 in Iran, la fede Baha’ì è la più gio­vane delle grandi religioni rivelate.

Il suo fondatore, Baha’u’llah, nac­que in Persia nel 1817 e morì in Pa­lestina, allora dominio turco, nel 1892.

Alla Sua morte il figliolo Abdu’l-Bahà, quindi il nipote Shoghi Ef­fendi guidarono la comunità che, dopo il trapasso di quest’ultimo è guidata, per espresso volere del Fon­datore, da consigli locali, nazionali e da un consiglio sovranazionale­con sede in Haifa, Israele: la Casa Universale di Giustizia.

Il principio fondamentale enun­ciato da B. è che la verità religiosa non è assoluta ma relativa, che la rivelazione divina è un processo ininterrotto e progressivo: tutte le grandi religioni del mondo hanno un’origine divina e i loro principi di

base, in completa armonia, sono sfaccettature di un’unica verità. Il loro scopo è quello di educare gli esseri umani e fornire gli strumenti per raggiungere livelli di compren­sione e di unità sempre più ampi.

Del resto l’aspetto “armonizzan­te” permea gli insegnamenti baha’i che coprono i vari aspetti della vita spirituale e sociale.

Questo ha portato la Comunità Mondiale ad avviare anche numero­si progetti socio-economici, a coo­perare con le NU sin dalla stesura della Carta Universale dei diritti dell’Uomo e ad essere parte attiva in un processo unificante che pro­muova una civiltà in continuo pro­gresso.

In questo contesto l’essere uma­no, miniera in cui sono celate pre­ziose gemme spirituali, attraverso l’esperienza terrena apprende a per­fezionare e rendere palesi le proprie qualità spirituali.

Durante la nostra vita nel grem­bo materno, mettiamo a punto i nostri “strumenti “ corporei e, quan­do un bimbo conclude quell’espe­rienza, passa da una realtà -quella embrionale- all’altra.

Rispetto a questa vita nasce, ri­spetto a quella muore.

C’è un parallelo con la vita ‘con­tingente’: sviluppiamo gli strumen­ti necessari alla nostra realtà futura e la morte altro non è che un pas­saggio verso una vita più ampia: il progresso è illimitato e porta le cre­ature verso il loro Creatore.

Non vi è dualismo: la nostra com­ponente materiale e quella spirituale si integrano perfettamente per rag­giungere questo scopo ed il nostro

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corpo, tempio dello spirito, va trat­tato con il dovuto rispetto.

Con equilibrio. Evitando inutili mortificazioni o eccessive attenzio­ni.

Nell’ampia bibliografia baha’i, ed in particolare nell’Aqdas, il libro più sacro, diversi paragrafi si riferisco­no al trattamento del corpo, altri ai defunti ed alla sepoltura.

Mentre è specificamente proibita la cremazione in quanto “Il corpo dell’uomo, formatosi gradualmente, deve analogamente decomporsi in maniera graduale. ...La cremazione, invece, impedisce al corpo di at­tuare queste trasformazioni a causa della rapida decomposizione dei suoi elementi, che blocca appunto la tra­sformazione da uno stato all’altro” (“Lights of Guidance”, pag. 201), non vi sono prescrizioni specifiche per la donazione di organi, questio­ne che viene quindi lasciata alla sen­sibilità e alla decisione del singolo.

Il principio generale è che comun­que, durante e dopo l’espianto, il corpo venga trattato con dignità e rispetto, e che le spoglie non ven­gano cremate.

Simili concetti vengono ribaditi anche in alcuni passi che riguarda­no la donazione del corpo per ricer­che mediche: chi desidera lasciare il proprio corpo alla scienza medi­ca, anche per scopi di ricerca, può farlo. E’ tuttavia opportuno che dia le necessarie istruzioni nel testa­mento, stabilendo che vuole che, dopo la morte, il suo corpo serva all’umanità e che, essendo Bahai desidera i suoi resti vengano poi trattati seguendo le disposizioni baha’ì per la sepoltura (“Directives

from the Guardian”, pag. 46). Su questo soggetto così si espres­

se Shoghi Effendi, Custode della Fede, in una lettera datata 6.09.1946: “Non v’è nulla negli in­segnamenti che proibisca ad un baha’i di lasciare per testamento i propri occhi a un’altra persona o a un ospedale; al contrario, si tratta di una nobile azione” (“Lights of Guidance”, pag. 290). (a cura di Marcella Orrù)

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La morte encefalica: una realtà scientifica Francesco Procaccio

Il dibattito scientifico, il processo

diagnostico, la crescita culturale

della classe medica e della società

La morte si identifica con la per­dita irreversibile di tutte le funzio­ni dell’encefalo. In questo concet­to di morte si identificano e si so­vrappongono perfettamente la re­altà scientifica medica, i valori eti­ci universalmente riconosciuti e la legge. Quella che ancor oggi viene denominata morte encefalica o più comunemente morte cerebrale, in distinzione da quella cardiaca, è in realtà l’unica morte possibile. Alme­no due invece possono essere i “modi” di morire: il primo per arre­sto del cuore e del respiro di durata sufficiente a causare la necrosi del­l’intero encefalo, il secondo per le­sione cerebrale diretta traumatica, emorragica o ischemica, che evolve in un danno globale ed irreversibi­le.

La morte cerebrale, che dovrem­mo indicare quindi come “morte” senza alcun aggettivo, è in realtà una situazione osservata nella cli­nica solo da alcuni decenni, da quando esiste la rianimazione e la possibilità di ventilazione artificia­le e di trattamento intensivo. Alla

necrosi dell’encefalo e in particola­re del tronco encefalico corrispon­de la perdita irreversibile di qualsi­asi capacità di mantenimento e re­golazione delle funzioni indispen­sabili alla vita dell’organismo. In particolare, oltre alla completa abo­lizione della coscienza, è persa la respirazione spontanea, sono persi il controllo della circolazione e del­la temperatura, tutte le funzioni vegetative e di regolazione ormo­nale. E’ quindi facilmente compren­sibile come tale situazione clinica, nonostante il massimo supporto in­tensivo ed artificiale, sia estrema­mente instabile e termini invaria­bilmente, dopo minuti o giorni, con l’arresto del cuore. Benchè possa apparire sgradevole e un po’ crudo, il termine che meglio aderisce a tale realtà clinica e legale è quello di “cadavere a cuore battente”. Così infatti si presenta ai medici e ai fa­miliari un soggetto deceduto in ria­nimazione a seguito di lesione ce­

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rebrale acuta, riscaldato e trattato farmacologicamente per mantenere la temperatura, la pompa cardiaca e il tono vasale, collegato ad un respiratore automatico per assicu­rarne l’ossigenazione.

Fin dagli anni sessanta furono osservati e studiati numerosi casi di morte a cuore battente per defi­nire i criteri neurologici con cui la morte potesse essere diagnosticata ed accertata senza alcuna possibi­lità di dubbio. In particolare, fino ad anni recentissimi in alcuni Stati come il Giappone (dove non era ancora stata promulgata una legge che permettesse l’accertamento le­gale di morte a cuore battente) tali soggetti sono stati controllati e sottoposti a trattamento intensivo, studiandone in profondità ogni aspetto clinico e diagnostico. Oggi anche il Giappone dispone di una legge che recepisce la verità scien­tifica della morte encefalica. Non sembra superfluo ribadire che nes­sun soggetto in cui la morte è stata accertata con criteri neurologici ha mai presentato un’evoluzione diffe­rente dalla morte stessa. Le diver­genze “culturali” che hanno man­tenuto aperto il dibattito scientifi­co in questi decenni hanno riguar­dato in particolare la differenziazio­ne tra morte dell’intero encefalo ri­spetto alla morte del tronco ence­falico. Da un punto di vista pratico entrambi i concetti sono clinica­mente validi e si differenziano solo nella necessità o meno di ricorrere all’elettroencefalogramma per accer­tare l’assenza di funzionalità degli emisferi. Tuttavia il criterio di mor­te dell’intero encefalo ha permesso

un approccio pratico e socialmente più accettabile alla diagnosi di morte.

Una parte consistente di respon­sabilità nell’alimentare dubbi e di­sinformazione è dei medici e del­l’utilizzo divulgativo e giornalisti­co di una terminologia medica scorretta. L’uso incongruo, ma an­cora diffusissimo, della parola “coma” con aggettivi di gravità o di irreversibilità in relazione alla morte cerebrale ha generato confu­sioni e paure ogni qual volta siano stati riportati sulla stampa “risve­gli” miracolosi dal coma profondo. In realtà il termine coma appartie­ne alla vita e anche nella gravità estrema deve essere considerato come una situazione clinica in cui esiste spesso possibilità di recupe­ro. La morte a cuore battente è al contrario solo la morte.

Uno dei fattori più confondenti, anche tra i medici, è invece quello dei movimenti e della reattività ve­

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Page 50: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

getativa che il cadavere a cuore battente dimostra assai frequente­mente: i riflessi spinali. Il loro mec­canismo fisiopatologico è ben chiaro da decenni. Tuttavia è ben com­prensibile la difficoltà emotiva che il medico e l’infermiere possono pro­vare di fronte a manifestazioni cli­niche a volte impressionanti di tale attività spinale. La necrosi di tutto il sistema nervoso contenuto all’in­terno della scatola cranica si asso­cia, in presenza di un circolo ema­tico mantenuto, ad un midollo spi­nale vitale. Nel momento in cui i nuclei del tronco encefalico cessa­no di funzionare viene a mancare completamente l’impulso facilitatore e di controllo esercitato sui nuclei del midollo. Si ha lo shock spinale e, se non si interviene con suppor­to intensivo, l’arresto del circolo. Mantenendo invece artificialmente il respiro e la circolazione sangui­gna, i nuclei midollari riacquistano

una certa attività fino a divenire, per la mancanza del controllo supe­riore, molto reattivi a qualsiasi sti­molo esterno o interno. I riflessi osteotendinei ricompaiono, si pos­sono manifestare movimenti su sti­molo o spontanei, anche di grossa portata come il “segno di Lazzaro” con flessione del tronco e apertura delle braccia. Tali riflessi, indotti da stimoli somatici e viscerali portati in ogni zona dell’organismo ad esclusione di quelle innervate dai nervi cranici, si manifestano con movimenti anche imponenti ma mai finalizzati, accompagnati a volte da opistotono e triplice flessione de­gli arti inferiori.

Esiste una notevole varietà di questi riflessi, studiati e dettaglia­tamente descritti nell’uomo in un notevole numero di pubblicazioni scientifiche fin dagli anni settanta. E’ altrettanto noto fin dall’inizio del secolo che, sperimentalmente nel

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gatto, la deconnessione chirurgica completa (decerebrazione) possa portare dopo un intervallo di tem­po alla possibilità di un cammino spastico. Nella realtà clinica la re­attività spinale di tipo vegetativo si manifesta in modo notevole al momento del prelievo di organi: il taglio della cute e la manipolazio­ne dei vasi causa a volte un note­vole aumento della pressione arte­riosa e della frequenza cardiaca, ol­tre a movimenti somatici e contra­zione muscolare. Tutto ciò, lungi

dall’essere interpretabile come “sen­sazione di dolore” da parte dell’in­dividuo deceduto, ha origine nei nuclei spinali e nella conseguente funzionalità surrenalica. L’utilizzo durante il prelievo in sala operato­ria di farmaci opioidi, che agiscono in particolare a livello dei recettori midollari, ha come scopo proprio il controllo di questa reattività visce­rale, che può rendere difficoltoso l’atto chirurgico ed aumentare le perdite ematiche. Anche su questo punto è stata fatta molta cattiva

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ALGORITMO DI DIAGNOSI ED ACCERTAMENTO DI MORTE

1. Diagnosi eziologica e imaging (TAC, Risonanza) ed eventuali mo­nitoraggi in atto (Pressione Intracranica, pressione di perfusione cerebrale, Doppler transcranico, Potenziali evocati, ecc.)

2. Coerenza della lesione con il quadro clinico 3. Anamnesi per patologie concomitanti 4. Omeostasi : normotermia, normotensione arteriosa, buona ossige­

nazione, es.ematochimici (sodiemia, glicemia ecc.) Esclusione di farmaci depressori del SNC

5. Non attività elettrica all’EEG alle massime amplificazioni 6. Esame neurologico con test di tutti i riflessi del tronco cerebrale:

esame sistematico, completo e rigoroso 7. Test di apnea 8. In assenza di anche un unico elemento: indagine strumentale per

escludere flusso cerebrale 9. Convocazione della commissione per l’osservazione e accertamen­

to legale della morte 10. Mantenimento dell’omeostasi sistemica durante il periodo di os­

servazione 11. Adeguato supporto e informazione dei familiari 12. Al termine dell’osservazione accertamento e comunicazione della

morte 13. Se il soggetto non è un potenziale donatore di organi, il cadavere

va indirizzato alla cella salme (l’accertamento legale della morte rende comunque inutile il periodo di attesa in cella e un ulteriore esame necroscopico)

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Page 52: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

informazione. E’ oggi molto agevole dimostrare

con indagini strumentali la comple­ta cessazione del flusso ematico al­l’interno della scatola cranica e la conseguente necrosi dell’intero en­cefalo. L’immagine angiografica o scintigrafica di “cranio vuoto” rap­presenta in modo elementare la re­altà della morte dell’individuo. La diagnosi esclusivamente clinica di morte è tuttavia semplice e sicura e richiede solo il meticoloso rispet­to dei criteri metodologici e clinici validati e codificati nella quasi to­talità dei Paesi in cui esiste una medicina avanzata. Tuttavia, nel-l’impossibilità di effettuare un com­pleto esame clinico per estese le­sioni cranio-facciali e comunque in ogni caso di minimo dubbio, si può ricorrere, e la legge italiana lo ri­chiede, alla dimostrazione diretta con esame strumentale dell’assen­za di flusso ematico cerebrale. L’ac­certamento legale, richiesto dalla

Legge del nostro Paese, avviene con un periodo di osservazione clinica e strumentale (EEG) da parte di una commissione di tre specialisti.

Le morti dovute a gravissime le­sioni cerebrali acute sono oggi no­tevolmente diminuite rispetto alla metà del secolo scorso; tuttavia una percentuale del 20-40% è tuttora inevitabile anche nei migliori Cen­tri di neurorianimazione. La dia­gnosi clinica di morte deve essere precoce sia per evitare un inutile accanimento terapeutico che per la dovuta attivazione delle procedure legali di accertamento di morte. La diagnosi clinica di morte a cuore battente non ha alcun valore legale prima che sia completato il periodo di osservazione prescritto dalla leg­ge, ma riveste un fondamentale va­lore etico ed è punto qualificante nella professionalità del medico Ria­nimatore. E’ inoltre un atto dovero­so nei confronti del paziente e dei suoi familiari e fondamentale pun­

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to di partenza per il processo che può portare al prelievo di organi per trapianto. E’ importante sottoline­are comunque che la diagnosi di morte è assolutamente indipenden­te dalla possibilità o meno che il soggetto sia un potenziale donato­re di organi.

E’ opportuno ricordare alcuni pre­supposti fondamentali della diagno­si clinica di morte a cuore batten­te. La perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo è conse­guenza di un danno diretto o indi­retto (secondario a fattori causanti ischemia/anossia cerebrale) che deve essere conosciuto, diagnosti­cato e di entità coerente con il qua­dro clinico. La storia clinica recen­te, l’evoluzione clinica, l’anamnesi e tutti i farmaci somministrati de­vono essere ben conosciuti. In ogni caso in cui possa esistere il pur minimo dubbio in relazione ad al­terazioni metaboliche o farmacolo­giche, la diagnosi clinica deve es­sere confermata dall’assenza di flus­so cerebrale o procrastinata fino al completo ripristino dell’omeostasi ed eliminazione dei farmaci sommi­nistrati. In particolare l’esame neu­rologico deve essere effettuato in condizione di normotermia, normo­tensione arteriosa e di adeguata ossigenazione.

La diagnosi clinica di morte richiede la contemporanea presen­za di: stato di incoscienza, assenza assoluta di tutti i riflessi del tronco cerebrale: (assenza di risposta mo­toria o vegetativa a stimoli nel ter­ritorio di innervazione del trigemi­no; assenza del riflesso fotomotore, corneale, vestibolo-oculare ed ocu­

lo-cefalico , dei riflessi faringeo e carenale) e assenza di respiro spon­taneo (test di apnea) Occorre veri­ficare l’assenza di ventilazione spon­tanea con massima stimolazione ipercapnica (PaCO2 > 60mmHg): i valori di anidride carbonica e di pH (inferiore a 7.40) devono essere documentati con esame gasanaliti­co durante il distacco dal ventila­tore.

La diagnosi clinica di morte con criteri neurologici si basa quindi sull’evidenza della perdita irrever­sibile delle funzioni esplorabili del tronco encefalico, poichè le funzioni degli emisferi non sono clinicamen­te oggettivabili in modo quantita­tivo. La legge italiana, che è tra le più garantiste nel mondo, richiede comunque sempre l’EEG per eviden­ziare l’assenza di attività talamo-corticale. Possono infatti coesiste­re situazioni (lesioni primitive del tronco ed emorragie o tumori sot­totentoriali) in cui permane per un

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Page 54: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

tempo limitato attività elettrica emisferica in assenza di attività del tronco encefalico; ciò riveste solo valore speculativo e medico-legale ma non modifica la sensibilità e la certezza della diagnosi clinica di morte. La presenza di poichiloter­mia, diabete insipido, oltre alla ten­denza all’ipotensione e la vasople­gia sono segni clinici sistemici di accompagnamento della morte a cuore battente.

In conclusione, la realtà scienti­fica della “morte cerebrale” come morte dell’individuo si basa su am­pie evidenze fisiopatologiche, cli­niche ed epidemiologiche e non pre­senta alcun ragionevole dubbio me­dico o etico. I criteri diagnostici sono accettati universalmente e re­cepiti nelle leggi di quasi tutti i Paesi in cui è sviluppata la terapia intensiva e la medicina avanzata. Il processo diagnostico della morte riveste una notevole importanza per il medico rianimatore, che può af­frontare tale atto medico e legale con estrema tranquillità, professio­nalità e certezza. E’ altrettanto in­dubbio che è indispensabile una crescita culturale della classe me­dica e della società riguardo la co­noscenza e l’accettazione emotiva della morte a cuore battente. Per questo occorre incrementare la dif­fusione delle conoscenze scientifi­che e prestare una peculiare atten­zione al rapporto con i familiari del soggetto deceduto, i quali devono poter comprendere appieno il signi­ficato di questo “modo di morire” ed essere coscienti che il proprio congiunto è stato trattato fino al­l’ultimo nel modo più tempestivo e

qualificato. L’opera informativa e di supporto che il Medico di fiducia può svolgere nella crescita culturale dei propri pazienti e della società è, anche per questo particolare aspet­to, di straordinaria attualità ed im­portanza.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI [1] American Academy of Neurolo­

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[3] Pallis C, Death - Beyond the whole brain criteria. J Neurol Neurosurg Psych 52:1023­24,1989

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[5] Plum F and Posner JB, Diagno­sis of Stupor and Coma. Fa Da­vis, Philadelphia, 1980

Francesco Procaccio fa parte del gruppo di studio “Neuroanestesia e Rianimazione” - Coordinamento per il prelievo di organi e tessuti - Ospedale Maggiore di Verona

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Aspetti normativi del prelievo e trapiantodi organi e tessuti Vincenza Palermo

La legge 1 aprile 1999 n. 91, i ritardi

nella sua applicazione,

il silenzio-assenso informato,

l’organizzazione dei trapianti

La legge 1 aprile 1999 n. 91 (“Di­sposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti), con la sua entrata in vigore nella primavera del ’99 ha abrogato la precedente legge 2 dicembre 1975, n.644 e le successive modificazio­ni.

Tale legge è stata accolta, dai “media” e dagli operatori del setto­re, come strumento idoneo a risol-

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ivere definitivamente in Italia l’an­noso problema dei trapianti, lega­to, in maniera indissolubile, alla cronica carenza delle “donazioni” di organi.

A distanza di più di un anno, purtroppo, non si notano ancora gli effetti benefici che avrebbe dovuto produrre, soprattutto in campo or­ganizzativo del servizio sanitario nazionale: in parte perché, nume­rosi decreti ministeriali attuativi non sono stati ancora promulgati e, dall’altro, perchè la maggior parte delle Regioni non ha applicato com­piutamente la normativa.

L’altro punto farraginoso e com­plesso, come vedremo oltre, è co­stituito dall’applicazione del cosid­detto silenzio-assenso informato, che il legislatore ha voluto intro­durre con modalità eccessivamente burocratizzate e che molte perples­sità aveva suscitato fin dall’inizio sui modi e tempi di applicazione.

Ritornando dunque alla disamina della legge, essa può sommariamen­te dividersi in due parti: la prima dedicata appunto al tema del con­senso al prelievo; la seconda alla organizzazione dei trapianti nel Pa­ese.

Occorre peraltro, prima di percor­rere brevemente le principali que­stioni poste dalla normativa, richia­mare l’attenzione sul fatto che per la prima volta il legislatore ha enun­ciato il principio che “le attività di trapianto di organi e di tessuti ed il coordinamento delle stesse costitu­iscono obiettivi del Servizio Sani­tario Nazionale”.

L’attività di prelievo dunque as­surge, a tutti gli effetti, a terapia

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garantita dal SSN ai propri assistiti, rompendo definitivamente i ponti col passato, quando spesso si de-mandava tale terapia alla buona volontà di singoli medici motivati e ad amministratori sensibili.

La disciplina del consenso Bisogna subito evidenziare che la disciplina del consenso (art. 4) non è ancora entrata in vigore perché dovrà prima essere approntato il si­stema informativo dei trapianti (art. 27).

Quando tale sistema informativo entrerà in vigore (non è possibile allo stato fare ragionevoli previsio­ni) il consenso al prelievo sarà così disciplinato:il testo normativo (art. 4) prevede l’interpello di ogni cit­tadino che dovrà obbligatoriamen­te esprimere il proprio assenso o dissenso al prelievo degli organi post mortem (entro 90 giorni dall’invito che ogni ASL dovrà notificare ai pro­pri assistiti: art. 5 comma 1 lett. C): in caso di mancata risposta il cittadino sarà ritenuto donatore.

Il legislatore ha quindi ricono­sciuto a ciascun cittadino il diritto di esprimere la propria volontà in ordine al prelievo.

Sotto questo profilo la normati­va innova profondamente rispetto alla precedente, perchè rileva solo ed esclusivamente la volontà del defunto e non già quella dei paren­ti. In tal senso la legge (art. 27) pone rimedio anche alla disposi­zione di cui all’art. 1 della legge 301 del 1993 che espropriava il de­funto da ogni volontà positiva in ordine al prelievo della cornea ri­mettendo ogni decisione ai paren­

ti, salvo dissenso per iscritto alla donazione da parte del deceduto.

A tal proposito occorre peraltro precisare, a scanso di ogni equivo­co, che attualmente per le cornee si continua ad applicare la legge n. 301/93, perché l’art. 27 della legge n. 91/99 (che equipara il regime del consenso al prelievo della cornea a quello di tutti gli altri organi e tes­suti), non è ancora entrato in vigo­re.

Nel regime della legge 644 del 1975 (attualmente abrogata dalla legge n. 91/99) il consenso dove­va invece ritenersi presunto, salvo diniego espresso in vita dal defun­to ovvero opposizione scritta dei congiunti.

La prassi aveva poi stravolto il dettato normativo sicchè di fatto erano i parenti a decidere: tal cosa da un lato rendeva più facile la vita al personale medico, dall’altro te­neva conto non del dettato norma­tivo, ma di ataviche convinzioni le­gate al configurare la morte con la cessazione del battito cardiaco, alla venerazione e al rispetto del cada­vere e, soprattutto, della volontà dei parenti.

Attualmente, essendo stata abro­gata la legge n. 644/75 (che disci­plinava il consenso al prelievo di organi e tessuti) e non essendo an­cora entrata in vigore la disciplina sul consenso come delineata dalla citata legge n. 91/99, la normativa in vigore è quella di cui all’art. 23 della legge n. 91/99 che si pone come normativa transitoria, in at­tesa cioè che, attuato il sistema in­formativo dei trapianti, entri in vi­gore la normativa definitiva sul con­

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isenso al prelievo.

Il regime transitorio (art. 23), in realtà, ha modificato in parte il meccanismo già previsto dalla leg­ge 644 del 1975 perchè il dissenso al prelievo oltre che dal defunto può essere espresso per iscritto anche dai parenti, ma di tale dissenso non si deve tenere conto se il defunto aveva manifestato, in vita, volontà favorevole al prelievo (salvo che i parenti non siano in possesso di una dichiarazione contraria del de cuius successiva a quella favorevole al prelievo).

Il regime transitorio ha l’indub­bio merito di fare prevalere la vo­lontà del defunto su quella dei pa­renti migliorando in tal modo la leg­ge n° 644 del 1975 che sul punto nulla diceva (e di fatto in caso di contrasto prevaleva la volontà dei parenti onde evitare, nelle struttu­re sanitarie, contestazioni).

L’Informazione Il legislatore ha voluto che il con­senso al prelievo sia manifestato “nel rispetto di una libera e consa­pevole scelta”. Da qui l’importanza di promuovere, da parte del Mini­stero della Sanità in collaborazione con i Ministeri della Pubblica Istru­zione e dell’Università e ricerca scientifica, iniziative di informa­zione dirette a diffondere tra i cit­tadini: a) la conoscenza delle disposizioni

della legge n. 91/99 nonché del­la legge n. 578/93 (norme per l’accertamento e certificazione di morte) e suo decreto applicati­vo (n. 582/94);

b) la conoscenza di stili di vita utili

a prevenire la insorgenza di pa­tologie che possano richiedere come terapia anche il trapianto di organi;

c) la conoscenza delle possibilità terapeutiche e delle problemati­che scientifiche collegate al tra­pianto di organi e di tessuti.

E’ invece demandato alle regioni e alle Aziende Sanitarie locali, in collaborazione con i centri regionali o interregionali per i trapianti e con i coordinatori locali adottare ini­ziative volte a : a) diffondere tra i medici di medi­

cina generale e tra i medici del­le strutture sanitarie pubbliche e private la conoscenza delle di­sposizioni della legge n. 91/99 nonché della legge n. 578/93 (norme per l’accertamento e cer­tificazione di morte) e suo de­creto applicativo (n. 582/94);

b) diffondere tra i cittadini una corretta informazione sui tra­pianti di organi e di tessuti an­che avvalendosi dell’attività svol­ta dai medici di medicina gene­rale;

c) promuovere nel territorio di com­petenza l’educazione sanitaria e la crescita culturale in materia di prevenzione primaria, di tera­pie tradizionali e alternative e di trapianti.

Merita sottolineare che il medi­co di medicina generale, in questo momento, viene ad assumere un ruo­lo chiave, divenendo il regista del­l’informazione tra istituzioni e cit­tadini.

Il medico di famiglia, infatti, si

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troverà a dover dare risposte esau­rienti a richieste specifiche circa i trapianti che gli saranno rivolte dai propri assistiti al fine di esprimere consapevolmente la volontà favore­vole o contraria alla donazione di organi. Certamente in questo ambi­to il medico di famiglia può dare una corretta informazione, meglio di quanto potrebbero fare gli orga­ni di stampa o le campagne pubbli­citarie istituzionali.

E’ proprio per questo che il nuo­vo contratto collettivo nazionale, di recente siglato, ha previsto, l’ag­giornamento obbligatorio per i me­dici di medicina generale sui temi relativi alla donazione e ai trapian­ti di organi. Vi è, inoltre, da sotto­lineare che il numero di persone sot­toposte a trapianto è in costante aumento, con conseguente possibi­lità anche per il medico di famiglia di dover prendersi cura di assistiti

sottoposti a trapianto di organi: la trapiantologia è quindi un campo della medicina che va seguito con la massima attenzione.

Grazie all’aggiornamento i medi­ci di famiglia potranno effettiva­mente creare il trait-d’union tra as­sistito e servizio sanitario naziona­le, proprio nel momento in cui il Ministero della Sanità sta varando un piano per coinvolgere tali pro­fessionisti anche nella ricezione della manifestazione di volontà alla donazione di organi.

L’organizzazione dei prelievi e dei trapianti di organi e tessuti L’organizzazione dei prelievi e dei trapianti di organi e tessuti è co­stituita dal Centro Nazionale per i Trapianti, dalla Consulta Tecnica Permanente per i trapianti, dai cen­tri regionali o interregionali per i trapianti, dalle strutture per i pre­

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ilievi, dalle strutture per la conser­vazione dei tessuti prelevati, dalle strutture per i trapianti e dalle aziende unità sanitarie locali.

Merita sottolineare che il Centro Nazionale per i trapianti svolge fun­zioni di indirizzo e di coordinamento tecnico ed in particolare deve pro­cedere all’assegnazione degli orga­ni per i casi relativi alle urgenze.

La Consulta Tecnica Permanente per i Trapianti è costituita: dal di­rettore dell’Istituto Superiore di Sa­nità, dal direttore del centro nazio­nale per i Trapianti, dai coordinato­ri dei Centri Regionali ed Interre­gionali per i trapianti, dai rappre­sentanti di ciascuna regione che abbia istituito un centro interregio­nale, da tre clinici esperti in mate­ria di trapianti di organi e tessuti, di cui almeno uno rianimatore, e da tre esperti delle Associazioni nazio­nali che operano nel settore dei tra­pianti e della promozione delle do­nazioni -attualmente hanno ricevu­to la nomina ministeriale l’AIDO (Associazione Italiana Donatori Or­gani), l’ADMO (Associazione Dona­tori Midollo Osseo) e l’AITF (Asso­ciazione Italiana Trapiantati di Fe­gato).

La Consulta predispone gli indi­rizzi tecnico-operativi per lo svol­gimento delle attività di prelievo e di trapianto di organi e svolge fun­zioni consultive a favore del centro nazionale.

L’aspetto più innovativo della leg­ge riguarda però i cosiddetti coor­dinatori dei trapianti. Da molto tem­po le associazioni di volontariato e l’ambiente scientifico auspicavano che il legislatore istituisse figure

professionali dedicate espressamen­te all’organizzazione dei prelievi e trapianti di organi e tessuti, memori della positiva esperienza spagnola.

Ecco quindi che le attività dei centri regionali ed interregionali dei trapianti sono coordinate da un co­ordinatore nominato dalla regione, per la durata di cinque anni. Anche a livello locale, le funzioni di coor­dinamento sono svolte da un medi­co dell’azienda sanitaria competente per territorio che abbia maturato esperienza nel settore dei trapian­ti.

Deve, infine, ricordarsi il capito­lo che la legge ha destinato alla formazione del personale delle strut­ture che svolgono le attività di pre­lievo e di trapianto di organi, pre­vedendo oltre all’aggiornamento permanente degli operatori sanitari e amministrativi anche l’istituzione di borse di studio.

In conclusione si può affermare

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che, nonostante i lati negativi co­stituiti dall’eccessiva burocratizza­zione della manifestazione di volon­tà alla donazione di organi, nel com­plesso il legislatore ha cercato di dare un impulso positivo alla solu­zione dei problemi connessi ai pre­lievi ed i trapianti d’organo.

Innanzitutto indicando con estre­ma chiarezza che tali attività de­vono svolgersi come impegno di tutto il Servizio Sanitario Naziona­le: è evidente quindi il salto di qua­lità rispetto al passato. L’intero set­tore, infatti era affidato alla buona volontà di encomiabili medici, la­sciati spesso da soli e con pochi mezzi ad affrontare la sofferenza e le gravi nonché infauste patologie di pazienti guaribili solo con un tra­pianto di organo.

Inoltre, con l’invito a ciascuno ad esprimersi in ordine al consenso al prelievo, la legge ha l’indubbio merito di costringere ciascuno cit­tadino a riflettere sulla possibilità non solo di essere potenziali dona­tori ma anche dei potenziali rice­venti.

Il consenso al prelievo inteso, quindi, come altissimo gesto di do­vere civico ed espressione di vera solidarietà umana.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI [1] V. Palermo, E. Ravera, Note sul­

la 1 aprile 1999, n. 91 “Dispo­sizioni in materia di prelievi e trapianti di organi e tessuti”, Rivista di Diritto delle Profes­sioni Sanitarie 2(2), 104-117, 1999.

[2] V. Palermo, E. Ravera, Il con­senso al prelievo della cornea tra interpretazione di fatto ed interpretazione giuridica, Rivi­sta di Diritto delle Professioni Sanitarie 2(4), 310-316, 1999.

[3] V. Palermo, Brevi note alla leg­ge 1 aprile 1999, n. 91: “Di­sposizioni in materia di pre­lievi e trapianti di organi e tes­suti”, Il Punto di Oftalmolo­gia Legale, n.1 anno II, 3-5, Settembre 2000

[4] V. Palermo, E. Ravera, Il pre­lievo ed il trapianto di organi a scopo terapeutico, capitolo de Le leggi dell’ospedale, Ver­ducci Editore (di prossima pub­blicazione)

[5] A.I.D.O. (Associazione Italia­na Donatori Organi), Normati­va italiana sul prelievo e sul trapianto di organi e tessuti, Quaderni di documentazione n.4, Pacini Editore, 2000

[6] Sito web: www.aido.it

Vincenza Palermo è Direttore del Servizio di Medicina Legale della ASL 9 di Ivrea

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La donazione di organi e tessuti: gli ostacoliper una scelta di amore Remigio Verlato

Ritualità e socialità del culto dei morti

nell’antichità e nel mondo contemporaneo

Il nostro patrimonio psico-emo­tivo legato al rispetto della salma, alimentato nei millenni da modali­tà rituali e da atteggiamenti consa­crati e tramandati, limita la nostra capacità di prendere una decisione razionale di fronte alla donazione di organi e di tessuti dopo la morte nostra e di un nostro caro.

Il rispetto del culto dei morti secondo tradizione trova alta e tra­gica espressione nell’Antigone di Sofocle*.

I due figli di Edipo, Eteocle e Polinice, sono caduti entrambi sot­to le mura di Tebe nel duello morta­le, che li ha contrapposti; il nuovo re di Tebe, Creonte, ha dato sepol­tura onorata a Eteocle ed ha proibi­to le esequie e la sepoltura di Poli­nice, il traditore venuto a distrug­gere la patria.

“Per quest’uomo echeggia in Tebe la proibizione: non chiuderlo in fos­sa, niente ululi a lutto, relitto senza fossa, carne offerta cruda a uccelli, e cani.”

Nella tragedia così è descritto l’atteggiamento di Antigone alla vi-Gl

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ista del cadavere del fratello: “Stride, nota acre, d’uccello laceran­te quando vede il fondo del nido suo deserto, e i piccoli scomparsi. Quel­la uguale, come vede morta nudità ululò, pianse, maledisse… Poi di volo porta pugno di polvere bruciata, alza una brocca di metallo martellato, fa spiovere tre volte l’aspersione e così consacra il morto.”

Antigone scoperta e portata da­vanti al re, che l’accusa di aver in­franto le sue norme, così risponde: “Ah sì. Quest’ordine non l’ha gridato Zeus, a me;né fu Diritto, che divide con gli dèi l’abisso , ordinatore di norme come quelle, per il mondo. Ero convinta: gli ordini che tu gridi non hanno tanto nerbo da far violare a chi ha morte in sé regole sovruma­ne, non mai scritte, senza cedimen­ti. Regole non d’un’ora, non d’un giorno fa. Hanno vita misteriosamen­te eterna. Nessuno sa radice della loro luce. E in nome d’esse non vole­vo colpe, io, nel tribunale degli dèi, intimidita da ragioni umane.”

E la tragedia si conclude con il re Creonte che, mentre ha in braccio il cadavere del figlio Emone suicida accanto all’amata Antigone, riceve da un nuovo messaggero la ferale notizia del suicidio della sposa Eu­ridice. E il coro di chiusura canta: “Ragionevolezza è base, base prima di buona vita. E’obbligo evitare sa­crilegio.”

Antigone è veramente sublime nella volontà sacrificale di rispet­tare “regole non d’un‘ora, non d’un giorno fa” che trovano eco nel no­stro poeta Ugo Foscolo che nei “Se­polcri” canta: “Dal dì che nozze e tribunali ed

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are dier alle umane belve esser pietose di sé stesse d’altrui, toglieano i vivi all’etere maligno e alle fere i miserandi avanzi che Natura con veci eterne a sensi altri desti­na.”

Tutti i popoli dell’antichità ed anche in epoche recenti hanno la­sciato a noi monumenti funerari di inestimabile valore: le piramidi di Egitto , le tombe degli Etruschi, i mausolei romani e un’infinità di al­tre opere, che sono, quasi sempre, dell’arte l’espressione massima del­le varie civiltà.

Anche oggi in tutte le parti del mondo la salma è oggetto di riti partecipati dal clan, dalla tribù, dalla città, dal popolo. In tutte le religioni sono contemplati riti sacri che esprimono l’esigenza dell’uomo di vivere oltre la morte.

Da sottolineare che la destina­

zione delle spoglie mortali è ben diversa anche oggi, secondo le cul­ture proprie di ogni popolo: sepol­tura, cremazione, esposizione agli uccelli , cerimonie funebri sulle rive del Gange (fiume sacro) e molte al­tre.

I riti funebri rispondono, però, ad alcune esigenze che li accomu­nano : allontanare il corpo, render­lo inaccessibile e sacralizzare il luo­go della sepoltura.

I vari riti non tendono a conser­vare il corpo , che inevitabilmente si dissolve. La stessa mummificazio­ne, che ha raggiunto nell’antico Egitto una larga diffusione ed una tecnica notevolmente perfezionata e che viene praticata ancora oggi da popoli dell’Asia e dell’Africa, evi­ta la putrefazione esviscerando, di­sidratando e prosciugando il cada­vere.

Ma Foscolo, a ragione, poetica­mente sottolinea: “Non vive ei forse anche sotterra, quando gli sarà muta l’armonia del giorno, se può destarla con soavi cure nella mente de’ suoi? Celeste è questa corrispondenza d’amorosi sensi, celeste dote è negli umani.” … “Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna… ove né donna innamorata preghi, né passeggier solingo oda il sospiro che dal tumulo a noi manda Natura.” … “…Ahi! Sugli estinti non sorge fiore ove non sia d’umane

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lodi onorato e d’amoroso pianto.” E’ il ricordo di chi è sepolto, con

le sue virtù, con quello che ha fat­to di bene, con quello che ha la­sciato nei cuori, che rende tanto più sacra la sua tomba: la salma ha la grandezza del patrimonio che lascia.

Nel discorso tenuto al XVIII Con­gresso Internazionale dei Trapianti d’Organo (Roma 27 agosto - 1 set­tembre 2000) Sua Santità Giovanni Paolo II ha detto: “…ogni intervento di trapianto d’organo , come già in altra occasione ho avuto modo di sottolineare, ha generalmente all’ori­gine una decisione di grande valore etico: la decisione di offrire, senza ricompensa, una parte del proprio corpo, per la salute ed il benessere di un’altra persona. Proprio in que­sto risiede la nobiltà del gesto, che si configura come un autentico atto d’amore. Non si dona semplicemen­te qualcosa di proprio, si dona qual­cosa di sé, dal momento che in for­za della sua unione sostanziale con un’anima spirituale, il corpo umano

non può essere considerato solo come un complesso di tessuti, organi e funzioni…, ma è parte costitutiva della persona, che attraverso di esso si manifesta e si esprime.”

Il contenuto psico-emotivo di noi tutti (il grido di Antigone), il rifiu­to della nostra morte e della morte dei nostri cari, rendono comprensi­bile l’atteggiamento di una sposa, di un marito, di un figlio, di un genitore che porta al dissenso della donazione degli organi del proprio marito, della propria sposa, dei pro­pri genitori, dei propri figli. Ma le nostre spoglie, il nostro corpo sono destinati alla dissoluzione, mentre il dono degli organi, dei tessuti può dare vita o migliorare la vita dei nostri simili. La donazione, per es­sere tale, deve comportare un dare a un altro una parte di noi: si carat­terizza nella sua essenza, come of­ferta non priva di sacrificio per il contenuto psico-emotivo che ci ap­partiene. L’amore, lo spirito di reci­procità e di solidarietà, la consape­volezza di poter essere medicina per i nostri fratelli ci porta a superare gli ostacoli alla donazione degli or­gani e tessuti dopo la nostra morte.

Per i nostri cari non neghiamo a loro un monumento di generosità, di amore verso tutti. Alla fine di noi e dei nostri cari resterà solo il mo­numento dell’amore dato.

Remigio Verlato è Direttore della Fondazione per l ’ incremento dei trapianti d’organo (FITO) con sede a Padova.

* Citazioni tratte dalla “Antigone” di Sofocle, Traduzione di Ezio Savino, “Sofocle”, Garzanti Libri SpA, 1999

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Il modello organizzativo del processo di donazionee trapianto di organie tessuti in Trentino Maurizio Ragagni

Un programma trapianti deve garantire

efficacia terapeutica ed equità

assistenziale, assicurando la qualità del

processo, pari opportunità e facilità di

accesso, l’onestà e la trasparenza

dell’intera organizzazione.

Il compito delle Aziende Sanitarie.

La donazione di organi è un pro­cesso articolato che coinvolge più di 150 persone ogni volta per più di 30 ore consecutive e richiede una

precisa conoscenza di tutte le pro­cedure, da quelle più strettamente scientifiche alle problematiche di ordine psicologico che spesso ne condizionano l’avvio.

Dopo una breve analisi storica del fenomeno, verrà descritta l’attività di coordinamento e reperimento di organi e tessuti nella Provincia Au­tonoma di Trento, provincia che non ha un centro trapianti e non dispo­ne di un reparto di neurochirurgia.

La storia In Spagna, lo sviluppo di questa attività sanitaria di coordinamento parte nel 1989 grazie ad un nefro­logo (Rafael Matesanz) che da sem­pre sosteneva l’importanza dell’ele­mento organizzativo mentre in tut­ta l’Europa si poneva l’accento sul­l’aspetto chirurgico del trapianto. Mentre l’Europa si arricchiva di cen­tri trapianti efficientissimi ed equi­pes medico-infermieristiche di alto livello tecnico, la Spagna, dopo la nomina di Matesanz a capo del­l’O.N.T. (Organizacion Nacional de Trasplantes), organizzazione per al­lora atipica in seno al Ministero della Sanità Spagnolo, impostava il modello organizzativo sulla “dona­zione” diventando in pochi anni il paese al mondo con il più alto nu­mero di donatori multiorgano per milione di abitanti.

I fondamentali I tre cardini fondamentali della or­ganizzazione spagnola sono:

1-La donazione è l’asse portante del modello. La disponibilità di organi è la pre­

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condizione per fare trapianti.

Il trapianto è una impresa comu­ne che vede impegnati il mondo sa­nitario e (forse unico esempio) la società al completo.

Senza donatori non si fanno tra­pianti e questo semplice concetto è sempre sfuggito anche alla classe politica dirigente più sensibile che, per anni, si è avvalsa della consu­lenza di “tecnici” che si improvvi­savano esperti nel settore.

Il trapianto è la punta di un ice­berg molto profondo, l’effetto fina­le di una catena di eventi molto diversi, ma estremamente collega­ti l’uno con l’altro.

2-Visione e gestione globale del pro­cesso. Indipendentemente dal tipo di do­nazione (organi, tessuti o cellule di sangue cordonale) i principi ispira­tori sono identici e il processo par­te nello stesso modo.

Puntare inizialmente su un pro­gramma di donazione di tessuti come le cornee, meno ambizioso ma più semplice rispetto alla donazio­ne (e trapianto) di organi, e arriva­re a conseguire buoni risultati ( come ha fatto la Toscana) accresce nell’opinione pubblica, non solo la consapevolezza dell’efficacia del tra­pianto, ma rinforza la fiducia nel si­stema sanitario pubblico, che, pro­prio perché tale, deve garantire che gli operatori sanitari dedichino par­te della loro attività alla segnala­zione dei donatori e alla collegata attività di prelievo.

Non dobbiamo sottovalutare che l’attitudine sociale alla donazione dipende anche dall’atteggiamento

psicologico e dal comportamento, che non sempre è stato favorevole, degli operatori sanitari, a qualun­que titolo implicati nella donazio­ne.

Riflettiamo inoltre sulle influen­ze negative per la donazione di una stampa male informata che parla di risvegli di pazienti in coma (chia­ramente perché non in morte ence­falica) e denuncia assai improbabili irregolarità nella assegnazione de­gli organi, assegnazione che sem­pre più, è legata a precisi algoritmi allocativi basati su parametri di ur­genza e compatibilità che, anche nel nostro paese sono molto rigorosi.

3-Il coordinatore alla donazione Il coordinatore trapianti è un sani­tario ospedaliero esperto prima di tutto in donazione, che meglio co­nosce il sistema di produzione e si adopera perché il processo di do­nazione e trapianto non si arresti in una delle sue fasi.

Il livello di responsabilità e pro­fessionalità del coordinatore e dei suoi collaboratori deve essere ele­vato e costante. La formazione per­manente impone la conoscenza di tutti gli aspetti del processo: 1- identificazione e selezione del

potenziale donatore; 2- diagnosi di morte encefalica; 3- comunicazione della morte; 4- richiesta di donazione (o inter­

vista alla donazione); 5- mantenimento del potenziale

donatore; 6- logistica ospedaliera ed extra

ospedaliera; 7- controllo di qualità del proces­

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8- controllo di gestione; 9- etica del trapianto; 10- reti informatiche; 11- tecniche di comunicazione:

- con la medicina di base, - con la stampa e la televi­

sione, - con le associazioni, - con la scuola, - con l’autorità giudiziaria;

12- conoscenza dei risultati del tra­pianto.

Appare chiaro che l’attività di un coordinatore alla donazione non può far parte di un progetto incentivan­te ma è una nuova specializzazione sanitaria per medici e infermieri.

La competenza di un coordina­tore locale non richiede una spe­cializzazione di partenza ma una forte motivazione personale e gran­de disponibilità ad essere rintrac­ciabile nel momento in cui, all’in­terno dell’ospedale, si verifica un

decesso in età compatibile per la donazione o di organi (se è un ca­davere a cuore battente in terapia intensiva) o semplicemente di tes­suti (se è un cadavere a cuore fer­mo) in un reparto di degenza. Sarà il coordinatore locale, insieme al medico di reparto, a valutare l’op­portunità o meno di formulare una richiesta di donazione alla famiglia del deceduto.

Dalle competenze fin qui descrit­te, emergono precisi i requisiti ri­chiesti ad un coordinatore: - credere nell’importanza e nel-

l’utilità sociale della donazione; - godere di immagine positiva al­

l’interno del proprio ospedale; - avere capacità organizzative ed

acquisire esperienza sugli aspet­ti, tecnici, giuridici ed ammini­strativi.

E’ importante che il coordinatore abbia delega a esercitare i poteri

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della Direzione Medica, limitata­mente agli ambiti di pertinenza, con delega ad ordinare la spesa, là dove necessario attingendo ad un fondo vincolato al prelievo di organi e tes­suti, fondo peraltro istituito dal Ministero della Sanità già nel 1999 “ per lo svolgimento delle attività dei rispettivi coordinatori, per fi­nanziare le strutture accreditate ad effettuare trapianti e prelievi di or­gani e tessuti…..”

Il coordinatore aiuta la famiglia a comprendere la morte encefalica, che è una morte tecnologica e in­naturale, e il significato della do­nazione che deve essere una scelta consapevole che, se accettata, di­venta nel tempo un ricordo positi­vo.

Il coordinatore cura l’intervista alla donazione, verifica la qualità relativa alla vitalità degli organi prelevati, cura la ricerca di nuove strategie per evidenziare la manca­ta individuazione dei potenziali do­natori, cura l’attività di formazione ed insegnamento, gestisce i rapporti con i mezzi di comunicazione.

In conclusione, il coordinatore alla donazione ( e non più solo al trapianto) è la figura a cui viene affidata all’interno dell’ospedale, la responsabilità di quanto attiene la donazione di organi e tessuti.

La realtà trentina La realtà trentina è caratterizzata da due ospedali con terapia inten­siva e cinque presidi ospedalieri senza rianimazione.

Il numero complessivo di letti di rianimazione insufficiente e l’assen­za di un reparto di neurochirurgia

non favorisce il reclutamento e l’identificazione dei potenziali donatori,(traumi cranici, emorragie cerebrali, tumori, malformazioni vascolari) che vengono generalmen­te trasferiti ai centri di neurochi­rurgia di Bolzano o Verona

I coordinatori locali trentini no­minati da una specifica delibera non si sono mai occupati del processo di donazione di organi o tessuti perché impegnati nell’attività loro assegnata: sono anestesisti a tem­po pieno.

Un modello efficiente deve pre­vedere tuttavia un elemento per ospedale, attivo nelle procedure sopra elencate: il sistema organiz­zativo può funzionare solo se il co­ordinatore regionale (o provinciale) alla donazione può contare sul sup­porto, nelle varie sedi ospedaliere, anche le più piccole, di collabora­tori (a tempo determinato a secon­da della grandezza dell’ospedale) de­

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dicati e motivati specialmente nel-l’attività di identificazione del do­natore e formazione del personale.

I successi nella identificazione dei donatori in Toscana e in Emilia-Romagna si fondano e reggono su un sistema capillare di coordinatori locali estremamente preparati e gui­dati da un Comitato regionale dona­zione e trapianto di organi e tessuti che fa da collegamento tra Asses­sorato e Aziende Sanitarie.

Pianificare un programma di do­nazione e trapianto organi e tessu­ti significa agevolare su tutto il ter­ritorio l’attività di segnalazione e prelievo.

Una commissione tecnica è lo strumento di partenza per dare vi­sibilità, forza, potere contrattuale e movimento ad una attività multi-disciplinare complessa con alcuni precisi obiettivi: coordinare l’atti­vità di formazione sanitaria in cam­po trapiantologico, supportare l’at­tività dell’ufficio di coordinamento trapianti, svolgere attività di con­sulenza, educare i medici di base e gli operatori a domicilio sulle pro­blematiche della donazione e del trapianto, collegare Assessorato, Azienda, Ospedale, Medicina del Territorio,Associazioni.

La commissione tecnica, suppor­ta praticamente i coordinatori, vi­sita gli ospedali, studia e verifica i protocolli, lavora a fianco dei col­laboratori ospedalieri, è sempre di­sponibile come punto di riferimen­to per ottenere consulenze e affron­tare i problemi che quotidianamen­te si presentano.

La commissione è formata dall’As­sessore provinciale competente o da

un suo funzionario, dal coordinato­re alla donazione e trapianti, da un medico di medicina generale, da uno o più specialisti particolarmente motivati ed esperti in programmi di trapianto.

Fare circolare le informazioni è un altro elemento di sviluppo per la rete di coordinamento: i dati sulla donazione devono essere conosciu­ti. La commissione stabilisce le re­gole sull’informazione di massa: in­formare gli organi di stampa ri­chiede una istruzione specifica. Non si possono accettare articoli che parlano di donazione, scritti da per­sone che parlano di ciò che non sanno, non fanno e spesso non con­dividono.

La formazione deve essere rigo­rosa e continua evitando corsi di scarsa efficacia, utilizzando nel va­sto scenario didattico le offerte di mercato più efficaci e meno costo­se (Gli Spagnoli hanno più docenti

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che offrono in Europa pacchetti di­dattici fortemente differenziati).

In ogni regione, come avviene da tre anni in Toscana l’attività di­dattica deve prevedere più livelli di apprendimento, dai corsi base a quelli più avanzati.

In Trentino nel 1999 si sono svolti due corsi base sulla donazione e tra­pianti di organi e tessuti che han­no coinvolto 60 sanitari (tra perso­nale medico ed infermieristico).

Il coordinatore alla donazione deve poter proporre e ratificare le nomine e la eventuale rimozione del coordinatore locale e deve poter di­sporre di un fondo adeguato, dal quale attingere le risorse per la pro­mozione culturale ed economica dei coordinatori locali.

Il coordinatore deve vivere e la­vorare nell’ospedale e rendersi re­peribile quanto più possibile.

Deve potere disporre di un bud­get dedicato, programmato di anno in anno attinto dal fondo del Mini­stero.

Deve lavorare come una “Agenzia di servizi” rapida nel risolvere even­tuali improvvisi problemi di qualun­que natura essi siano.

Deve, come succede nelle regio­ni dove il coordinamento funziona, potere confrontarsi regolarmente con l’assessorato competente gra­zie anche alla presenza della com­missione sopracitata.

Deve mantenere uno stretto rap­porto con le associazioni del volon­tariato e la scuola.

Non deve arrendersi di fronte a ostacoli che spesso sono creati da personaggi che si improvvisano esperti e che purtroppo teorizzano

soluzioni al problema “donazione”, senza dimostrare alcuna conoscen­za scientifica del processo.

Il coordinamento alla donazione e trapianto di organi, da quando è stato istituito in Trentino ha affron­tato le seguenti problematiche: - Attivazione di un ambulatorio

unico per trapiantati; - Sviluppo di un programma coor­

dinato di prelievo cornee da ca­davere a cuore fermo e a cuore battente;

- Attivazione del prelievo di san­gue placentare per trapianto di midollo;

- Sviluppo di una attività di pre­lievo di vasi e valvole da cada­vere a cuore fermo;

- Attività di ricerca (nuove meto­dologie per identificare più do­natori);

- Attività di docenza per trasmet­tere la cultura alla donazione d’organi, specialmente in cam­po sanitario.

Realizzazione del servizio “Ambulatorio trapianti” L’attivazione dell’ambulatorio “uni­co” di riferimento provinciale per i trapianti d’organo nasce (con deli­bera del Direttore Generale n°1153/ 99) dall’esigenza di definire tutti i processi legati alla gestione dei pazienti in fase pre e post-trapian­to, gestione che fino a quel momen­to aveva escluso totalmente i tra-piantati di fegato, cuore polmone e midollo. Solo il trapiantato di rene poteva disporre di un ambulatorio specifico collegato alla U.O. di Ne­frologia.

La pianificazione della realizza­

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zione del servizio “Ambulatorio Tra­pianti” ha così definito alcuni obiet­tivi prioritari: - Assistenza del paziente in fase

pre-trapianto; - valutazione idoneità al trapian­

to, inserimento nelle liste di at­tesa con monitoraggio delle li-ste stesse;

- Assistenza dei pazienti in fase post- trapianto, in follow up e in urgenza. In particolare: con­trollo sul paziente dopo trapian­to della fase di rigetto, verifica del corretto uso dei farmaci im­munosoppressori, monitoraggio dei dati biochimici di funziona­lità d’organo, per la prevenzione delle infezioni e per la sorve­glianza sulla comparsa di tumo­ri;

- Reclutamento dei pazienti tren­tini trapiantati gestiti fuori sede,

sconosciuti dalla APSS, con con-seguente risparmio di spesa per tutta l’attività di controllo cli­nico strumentale che può essere gestita tramite l’ambulatorio trapianti;

- Assistenza psicologica al tra-piantando, al trapiantato, alla sua famiglia, alla famiglia del donatore;

- Promozione dell’immagine di ef­ficienza aziendale attraverso la soddisfazione dei pazienti gestiti dall’ambulatorio con ricaduta po-sitiva sulla disponibilità alla do­nazione di organi e tessuti;

- Promozione della crescita profes­sionale dei collaboratori per mi-gliorare la prestazione;

- Accessibilità in urgenza al ser­vizio di assistenza svolto dagli specialisti tramite numero tele-fonico dedicato;

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- Distribuzione gratuita di farma­

ci (prescritti dai centri trapian­ti) che sono fuori nota C.U.F (Commissione Unica Farmaco) Sono state individuate le risorse

specifiche per rendere il progetto attuabile: 1- strutture: un ambulatorio unico; 2- personale:

- Coordinatore trapianti: re­sponsabile del progetto;

- Medico specialista gastroen­terologo (trapianto di fega­to);

- Medico specialista cardiolo­go (trapianto di cuore);

- Medico specialista cardiochi­rurgo (trapianto di polmone);

- Medico specialista nefrologo (trapianto di rene);

- Medico specialista ematolo­go (trapianto di midollo);

- Medico psicologo; - Personale infermieristico: 2

unità a tempo pieno; - Una segretaria bilingue (te­

desco-italiano). Non tutti gli obiettivi sono stati raggiunti ed in particolare l’unifi­cazione in un’unica struttura per tutti i trapiantati, compresi quelli di midollo, l’identificazione dello specialista ematologo e il supporto psicologico ancora richiederanno tempo e la definizione di risorse adeguate.

Progetto cornee L’attività di prelievo cornee, con la definizione di un preciso protocol­lo è diventato un obiettivo della Azienda Sanitaria, che ha visto cre­scere il numero di prelievi oltre che all’ospedale Santa Chiara di Trento

anche presso l’U.O. di Oculistica di Rovereto che fino al 1998 si limita­va ad “importare” le cornee dalle banche a solo scopo di trapianto.

Attualmente, anche se non sia­mo all’autosufficienza, (sono circa 60 i pazienti trentini che ogni anno entrano in lista per un trapianto di cornee da cadavere) possiamo con­tare su 25-30 potenziali donatori.

Nelle regioni più attive nel pre­lievo di cornee il numero di dona­tori si aggira mediamente sul 10% dei decessi per anno. Per il solo ospedale Santa Chiara ci dovremmo perciò attendere almeno 80-90 do­natori per anno.

Molto lavoro ancora va fatto sia sul versante della identificazione del donatore sia sulla formazione del personale dei reparti.

Progetto sangue placentare Il prelievo di sangue placentare a scopo di trapianto, in sostituzione o alternativa a quello classico di midollo ha visto coinvolti nella rac­colta quasi tutti i reparti di ostetri­cia, con grande entusiasmo, grazie all’impegno delle ostetriche che hanno condiviso un obiettivo com­plesso e senza alcuna risorsa ag­giuntiva, se non quella squisitamen­te “umana”.

Grazie a questa raccolta il Trenti­no fa parte di un gruppo ristretto di poche province italiane che ar­ricchiscono il pool di sacche di san­gue cordonale e quindi aumentano la possibilità per i riceventi in at­tesa di trapianto di trovare un mi­dollo compatibile. Progetto vasi e valvole cardiache L’utilizzo di valvole e vasi biologici

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umani trova giustificazione nella superiorità della protesi biologica rispetto a quella meccanica per qualità, durata, costo e la non ne­cessità di anticoagulare il pazien­te. Questo significa per una donna la possibilità di proseguire una gra­vidanza altrimenti minata dal rischio teratogeno del farmaco e per un bambino l’opportunità di giocare in giardino senza temere un trauma cranico che sarebbe fatale in caso di utilizzo di farmaci anticoagulan­ti.

Richiedere vasi e valvole biologi­che umane ad una banca è oggi pra­ticamente impossibile, data la scar­sità del prodotto, perché solo gli ospedali che prelevano tali tessuti possono farne richiesta.

Questo è un motivo ulteriore per comprendere quanto sia importante attivare, come è stato fatto anche in provincia di Trento dal mese di Novembre dell’anno in corso, un programma specifico di prelievo di valvole cardiache da cadavere, sia a cuore battente, che a cuore fermo.

I successi conseguiti nella dona­zione di organi dipendono dagli sfor­zi fatti per superare l’assenza o la insufficiente formazione del perso­nale, la mancata individuazione dei donatori e la riluttanza al contatto della famiglia in lutto.

Una scarsa propensione ad affron­tare una tematica sanitaria apparen­temente “a limitato numero di uten­ti” rappresenta un ulteriore osta­colo alla progressione di una poli­tica efficace di donazione e trapian­to di organi e tessuti.

Il prodotto finale dell’attività di coordinamento si misura comunque

dal numero di tessuti e organi pro­curati. In Trentino sono stati atti­vati numerosi processi finalizzati ad aumentare l’attività di donazione e trapianto che richiederanno in fu­turo un maggiore impegno in ter­mini di risorse umane ed economi­che proprio perché è da una squa­dra, ben organizzata con persone motivate e formate, e non da un uomo solo, che ci si potrà aspetta­re di realizzare l’obiettivo, che per il Trentino non è affatto utopia, di azzerare le liste di attesa sia per gli organi che per i tessuti (vasi, val­vole cardiache e cornee).

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI [1] “Manuale del II° Corso Nazio­

nale per Coordinatori alla do­nazione e prelievo di organi”, a cura di Francesco Procaccio et al., Bologna, Editrice Com­positori, 1997.

[2] “Il Coordinamento della dona­zione di organi e tessuti”, Cen­tro Stampa USL 2 Lucca, Elba, Settembre 1999.

Maurizio Ragagni è Coordinatore alla donazione e trapianti di organi e tessuti dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento - Direzione Cura e riabilitazione

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IL MODELLO ORGANIZZATIVO IN TRENTINO

Struttura Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento

Area Direzione Cura e Riabilitazione

Servizio Ufficio Coordinatore Trapianti

Responsabile Dott. Maurizio Ragagni Cell. 0335/7294583 Tel. 0461/364124 Fax. 0461/364947

Segreteria Tel. 0461/364106 Fax. 0461/364104

Compito Istituzionale

Attivit clinica di ricerca, di docenza e g estione nel campo t rapiantologico (o rgani e tessuti).

Indirizzo Via Degasperi, 79 38100 - Trento

Telefono Fax Numeri util i

Ambulatorio trapianti Ospedale S. Chiara: Segreteria: • Sig.ra Raiter Luisa

Infermiere referenti: - Sig.ra Campestrin Lucia - Sig.ra Povoli Giuliana

Tel. 0461/903739 Fax: 0461/903637

Tel. 0461/903117 Tel. 0461/903739 Tel. 0461/903216

Posta elettronica [email protected]

Coordinatori trapianti locali

Ospedale S.Chiara - Trento • dott. Mauro Cima Ospedale S.M.del Carmine- Rovereto: • dott. Maurizio Azzolini

Tel. 0461/903298

Tel. 0464/453416

Personale Medico Specialista

Ambulatorio trapiantati di cuore:

Ambulatorio trapiantati di fegato:

Ambulatorio di psicologia:

dott.ssa Emanuela Stirpe dott.ssa Luisa Vison dott.ssa Maria Teresa Della Mea

dott. Ivo Avancini

dott.ssa Antonella Lama

Servizi/prestazioni Orarioper esterni

Ambulatorio trapiantati Gioved 09.00 - 13.00 di cuore Marted 14.00 - 17.00

Ambulatorio trapiantati di fegato Mercoled 14.00 - 17.00

Ambulatorio di psicologia Venerd 8.00 13.00

Luogo Modalit d’accesso

II Piano Palazzina Direzione Medica S.

Chiara di Trento

Previa telefonata 0461/903117

Stessa sede Il medesimo

Stessa sede Il medesimo

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La convenzione con Innsbruck Renzo Michelini

La convenzione tra la Provincia Autonoma

di Trento e il Land Tirol per il trapianto di

rene presso la Clinica universitaria di

Innsbruck

Alla domanda pressante di tra­pianti d’organo ed in particolare di rene proveniente dai trentini, la Pro­vincia ha corrisposto integrando le proprie disponibilità in Italia con quelle che venivano offerte dalla vicina Austria.

Lo ha fatto sottoscrivendo nel 1987 una convenzione con il Land del Tirolo attraverso la quale la cli­

nica universitaria di Innsbruck con­cedeva il ricovero ai pazienti tren­tini bisognosi di assistenza ospe­daliera per l’effettuazione di trapian­to di rene ovvero di terapia posto­peratoria. La convenzione prevede­va anche la possibilità di trapianta­re il pancreas ed il fegato nel caso in cui lo stesso fosse risultato ne­cessario in relazione al trapianto di rene.

Gli oneri per tutte le prestazioni sanitarie rese dalla clinica univer­sitaria in regime di convenzione venivano sostenuti per intero dalla Provincia ed in questi termini detta clinica poteva essere considerata un presidio ospedaliero del Trentino.

A questa convenzione Trento giunse per ragioni di politica sani­taria e non certo perché lo preve­desse qualche disposizione di leg­ge, come nel caso della vicina Pro­vincia di Bolzano che poteva bene­ficiare di una specifica norma di at­tuazione ( D.P.R. n° 197 del 1980).

Infatti, all’epoca, il centro di ri­ferimento per i trapianti che faceva capo al NITp di Milano (Nord Ita­lian Transplant) effettuava un nu­mero irrisorio di trapianti di rene (3 nel 1986 presso il policlinico San Carlo di Milano) rispetto ad un fab­bisogno calcolato in 10 interventi all’anno. Inoltre, molti Trentini si rivolgevano privatamente alla clini­ca universitaria di Innsbruck otte­nendo risposte soddisfacenti sia per la qualità del servizio sanitario, che per la quantità dei trapianti che ri­sultavano possibili in relazione ad una maggiore disponibilità di orga­ni.

I trentini che si rivolgevano pri­

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vatamente ad Innsbruck dovevano però anticipare la spesa e chieder­ne poi il rimborso alla sanità tren­tina.

La convenzione, migliorava così le condizioni di ricovero per i tren­tini ed apriva nel contempo un nuo­vo scenario nell’organizzazione del sistema sanitario nazionale dei tra­pianti in quanto il Trentino assom­mava alla propria appartenenza al centro di riferimento interregionale di Milano NITp anche quella al cen­tro di Eurotransplant Foundation con sede in Olanda.

La convenzione prevedeva infat­ti che il cittadino trentino che in­tendeva effettuare il trapianto di reni ad Innsbruck, fosse iscritto ad Eurotransplant per tutte le incom­benze del caso, tipizzazione com­presa salvo che la stessa non fosse stata fatta in precedenza in Italia.

La convenzione è stata uno stru­mento molto utile per i trentini e

ciò è confermato dal fatto che nel periodo 1987-1995 su 90 trapianti di rene a favore di pazienti trentini, 47 sono stati eseguiti nella clinica universitaria di Innsbruck.

Tutto ciò è avvenuto senza che il Trentino conferisse organi al Tiro­lo. La convenzione non prevedeva infatti un interscambio di organi poiché su questo punto l’obbligo era soltanto quello di informare la cli­nica universitaria di Innsbruck sul­la disponibilità di organi.

Il grande numero di trapianti fatto ad Innsbruck anche nei confronti di cittadini di altri paesi, compresa l’Italia, e l’entrata dell’Austria nel-l’Unione europea, ha provocato un irrigidimento in Eurotransplant che ha invitato la clinica di Innsbruck a condizionare il trapianto di orga­ni a cittadini di stati non apparte­nenti all’organizzazione alla conse­gna di organi alla clinica stessa e quindi, in ultima analisi ad Euro­transplant.

La questione è sorta attorno al 1996 ed ha investito anche il Tren­tino che si è visto ingiungere la ri­chiesta di organi, pena la sospen­sione dei trapianti e quindi della convenzione medesima.

A questa pretesa non potevano essere opposte ragioni giuridiche, poiché la convenzione, non trovava riscontro, come già detto, in alcu­na disposizione di legge. Aderirvi non era però facile.

La consegna di organi ad una struttura sanitaria ubicata fuori del­l’Italia, richiedeva infatti, il supe­ramento di due ostacoli e cioè quello della esportazione di organi ed il superamento delle condizioni di

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Che cosa è e che funzioni ha il NITp

In Italia l’organizzazione dei trapianti si basa su di un Centro Nazio­nale di Riferimento che ha sede presso l’Istituto Superiore di Sanità, su tre Coordinamenti multiregionali: Nord Italian Transplant program (NITp), Associazione Interregionale Trapianti (AIRT), Organizzazione Centro-Sud Trapianti (OCST) ed un Coordinamento Regionale per la Sicilia. Il NITp è storicamente la prima organizzazione italiana e si basa sulle convenzioni tra diverse regioni. Comprende un’area di 18 milio­ni di abitanti in Lombardia, Veneto, Trentino, Friuli-Venezia Giulia, Liguria e Marche. Nella sua area operano: 50 Ospedali di Prelievo; 40 Unità di trapianto (16 di rene, 5 di rene-pancreas, 7 di fegato, 6 di cuore, 2 di cuore-polmoni e 4 di polmoni) localizzate in 15 ospe­dali; 1 Centro Interregionale di Riferimento.

adesione al NITp. Tali ostacoli sono stati giudicati

da molti praticamente insuperabili e tutto consigliava di soprassedere e disattivare, quindi, la convenzio-ne con la clinica austriaca, ma le forti pressioni, soprattutto da parte dell’A.N.E.D. che intratteneva otti-mi rapporti con Innsbruck, hanno indotto ad approfondire l’argomen-to ed andare alla ricerca delle solu-zioni possibili.

Nella sostanza, il problema da ri-solvere era quello di soddisfare le richieste di Eurotransplant e nel contempo mantenere buoni rappor-ti con il NITp, vale a dire, di tenere aperte sia la porta di Innsbruck che quella di Milano.

Un problema molto complesso sul piano giuridico poiché il regolamen-to relativo ai prelievi di parti di ca-davere a scopo terapeutico ( D.P.R. n° 409 del 1977) prescriveva l’au-torizzazione del Ministro per la sa-

nità o per sua delega del sanitario preposto agli uffici di frontiera per l’esportazione degli organi e comun­que solo nel caso non trovassero utilizzo in Italia.

Lo stesso regolamento e la nor­mativa di riferimento data dalla leg­ge n° 644 del 1975, poi, organiz­zava il sistema dei prelievi e dei tra-pianti di organo in centri regionali e interregionali di riferimento sen­za prevedere che una Regione po-tesse appartenere a più centri di ri­ferimento e di tale condizione il NITp si è sempre fatto forza pur di non vedersi sottrarre la disponibili-tà di organi prelevati in Trentino (Bolzano che operava con Inn­sbruck, anche per quanto riguarda la consegna di organi, è stato esclu­so dal NITp e ha dovuto darsi una propria organizzazione eleggendo la clinica universitaria a centro di ri­ferimento associandosi all’A.I.R.T. che raggruppa la regioni Piemonte,

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Emilia Romagna e Valle d’Aosta). La soluzione a questi problemi,

seppur così complessi, è stata data separando i due fronti e cioè quello ministeriale da quello regionale.

Sul fronte ministeriale si è fatto leva su una disposizione contenuta nell’Articolo n°17 del precitato D.P.R. 409, secondo la quale, veni­vano fatti salvi gli eventuali accor­di nazionali in materia relativamente all’esportazione di organi.

La convenzione con il Land del Tirolo del 1987 costituiva sì un ac­cordo internazionale, ma, non es­sendo legittimata da alcuna norma, non poteva essere opposta ai fini di tali disposizioni.

Si dovevano costruire basi giuri­diche positive alla stregua di quan­to già fatto per Bolzano con la ci­tata norma di attuazione.

Il primo tentativo è stato quello

di provvedere alla stessa stregua, con la modifica delle norme di at­tuazione vigenti per il Trentino, ma la strada è apparsa subito troppo lunga e con un esito non del tutto scontato.

E’ stata allora intrapresa un’altra via e cioè quella degli accordi di cooperazione trans-frontaliera tra Italia e Austria, ratificati con legge n°76 del 1995.

Secondo tali accordi era ed è pos­sibile stabilire intese tra il Trentino ed il Tirolo nella materia dell’igiene e della sanità ed era ed è quindi possibile riscrivere la convenzione per i trapianti d’organo prevedendo in essa un’autorizzazione ministe­riale preventiva all’esportazione di organi.

Tale previsione poteva trovare conferma anche nel fatto che, a ter­mine della legge n° 948 del 1984, gli accordi contenuti in questa con­venzione potevano essere adottati soltanto sulla base dell’intesa con il Governo e quindi con il Ministro per la sanità.

Ad agevolare ulteriormente que­sta soluzione, oltre alle intese espresse dal Governo, è intervenuta una nuova legge in materia di pre­lievi e di trapianti di organi e di tessuti. Si tratta della legge n° 91 del 1999 che, con l’Articolo 19, ha sostanzialmente recepito gli accor­di Trentino-Tirolo in materia di tra­pianti.

Il 29 marzo 2000 la Provincia Autonoma di Trento ed il Land del Tirolo hanno quindi sottoscritto una nuova convenzione con la quale la clinica universitaria di Innsbruck as­sicura l’effettuazione di trapianti di

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organi e di tessuti a favore di tren­tini in relazione alle proprie poten­zialità. Per contro il Trentino è im­pegnato a conferire un congruo nu­mero di organi e tessuti in rapporto alle donazioni avute ed agli inter­venti programmati presso la clinica austriaca, a favore di cittadini tren­tini.

Sul versante regionale e cioè quello dei rapporti con il NITp, la partita è ancora aperta.

Si tratta di una partita che non è però da giocare sul versante giuri­dico poiché la nuova legge sui tra­pianti contempla, come detto an­che le intese tra il Trentino ed il Tirolo e questa previsione non può che concorrere alla creazione del nuovo sistema organizzativo dei prelievi e dei trapianti di organi pre­visto al capo III della stessa legge.

Se questo tema sarà affrontato

con le dovute aperture, i responsa­bili del NITp avranno la possibilità di considerare la convenzione Tren­tino- Tirolo una opportunità per eli­minare i diaframmi tra i centri di riferimento regionali ed interregio­nali italiani, nonché per armoniz­zare l’organizzazione nazionale dei trapianti con quella europea.

Al Trentino rimane da risolvere ora un altro grande problema e cioè quello delle donazioni di organi che risultano in sé pressoché irrisorie se confrontate con quelle dell’Alto Adige o della Spagna o comunque se si considerano i bisogni di tra­pianti espresso dalla popolazione trentina.

Renzo Michelini è stato Dirigente generale del Dipartimento Sanità e Attività sociali della Provincia Autonoma di Trento dal 1992 al 1999.

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Realizzazione di reti gestionali e di registriper l’attività di prelievoe trapianto Roberto Valente , Antonella Graiff , Piero Draghi , Stefano Forti

Un progetto della Regione Liguria e della

Provincia Autonoma di Trento finanziato

dal Ministero della Sanità

Nell’ambito dei programmi di speri­mentazione gestionale ex art.12, comma 2, lett.b) del D. Lgs. 502/ 92, finanziati dal Ministero della Sanità, la Regione Liguria con la par­tecipazione della Provincia Autono­ma di Trento ha presentato un pro­getto per la realizzazione di reti gestionali e di registri per l’attività di prelievo e trapianto.

Tale progetto, avviato nella pri­mavera del 2000 e che avrà una du­rata di due anni, prevede in primo luogo la realizzazione di un proto­tipo di registro e di rete informati­va gestionale per il trapianto (tema 5.1.05 PSN) trasferibile al SSN, co­mune ai bacini della Liguria e della Provincia Autonoma di Trento, in­tegrato con il Centro di Riferimento Interregionale (NITp) e con il Cen­tro Nazionale Trapianti (ISS). Pre­vede inoltre l’individuazione di stru­menti di controllo per la qualità del­l’assistenza tramite la valutazione dei potenziali donatori e riceventi di trapianto, la registrazione dei dati relativi al trapianto e al follow up clinico dei pazienti in lista e nel Le

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post trapianto. L’approvazione della Legge 1 apri­

le 1999 n° 91 “Disposizioni in ma­teria di prelievi e di trapianti di or­gani e tessuti” ha reso indifferibile la necessità di proporre metodolo­gie e strumenti di organizzazione e di coordinamento delle attività di trapianto, sia a livello regionale che interregionale e nazionale.

Con particolare riguardo a tale specifica esigenza, il programma proposto dispone la realizzazione del Sistema Informativo del Trapianto (SIT) quale strumento di controllo gestionale, clinico e scientifico per le attività di prelievo e di trapianto di organi e tessuti.

In generale, le funzionalità del SIT riguardano la raccolta e la suc­cessiva reperibilità della manifesta­zione di volontà dei cittadini, il supporto alle interazioni tra gli or­ganismi competenti per la gestione della domanda e dell’offerta di or­gani, il supporto alla gestione del paziente nel pre- e nel post- tra­pianto, il monitoraggio delle atti­vità cliniche, scientifiche e logisti­che e l’ausilio al governo del setto­re attraverso opportuni strumenti di modellizzazione, analisi e previsio­ne.

L’organizzazione in cui si preve­de di realizzare l’articolazione del SIT è composta dal Centro Naziona­le Trapianti (CNT) recentemente co­stituito, dai Centri Interregionali (CIR) e Regionali (CR) di riferimen­to e di coordinamento delle attivi­tà di trapianto, dalle AUSL e dalle altre istituzioni di governo locale, dalle strutture di prelievo (SP) e di trapianto (ST) di organi e tessuti e

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Page 80: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

Figura 1 Panoramica

della suddivisione del Sistema Informativo

del Trapianto

Insieme dei (sotto)Sistemi Periferici r egionali

Co ntesto re gio na le tipi co

(Sot to)Sistema Centrale

CIR

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CIR

ORGANI DI GOVERNO CENTRALE

CNT

CRST

SC

ORGANI DI GOVE RNO LOCALE

SP SP

ST

SC

Co ntesto re giona le

dalle strutture cliniche (SC) che gestiscono l’indicazione terapeuti­ca al trapianto e che sono deputate ad operare il follow-up dei pazienti trapiantati.

Tale organizzazione induce in maniera naturale una suddivisione, sia logica che logistica e operativa, del Sistema Informativo del Trapian­to in tre principali sottosistemi in­teroperanti.

Come mostrato in figura 1, nel SIT si individuano infatti, sostan­zialmente: a) un sottosistema centrale costi­

tuito dal CNT e dagli organi di governo centrale, cui afferisce, almeno per quanto riguarda la specifica di prima implementa­zione, un flusso informativo pro­veniente essenzialmente dai Cen­tri Interregionali (primariamen­te costituito dal flusso dati re­lativo alla gestione della doman­da e dell’offerta di organi) e da­gli organi di governo locale (pri­mariamente costituito dal flus­so dati relativo alla raccolta delle

manifestazioni di volontà dei cit­tadini relative alla donazione di organi e tessuti);

b) l’insieme dei sottosistemi peri­ferici, organizzati per contesti regionali ciascuno costituito dal­le AUSL e dalle altre istituzioni di governo locale, dalle struttu­re di prelievo (SP) e di trapianto (ST) di organi e tessuti e dalle strutture cliniche (SC), coordi­nate, ove presente da un Centro Regionale di coordinamento e riferimento (CR);

c) i CIR come crocevia cardine del flusso dati (da e per il centro e da e per la periferia) e come tra­mite principale di congiungi­mento e di interfacciamento tra il sottosistema centrale e quello periferico.

In tale contesto, il presente pro­getto si propone come proprie fina­lità: 1. la realizzazione di un prototipo

di sottosistema periferico nel-l’ambito del SIT a livello di due contesti regionali geografica­

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imente disgiunti (Regione Ligu­ria e Provincia Autonoma di Tren­to) comprendenti le strutture locali di prelievo, di trapianto e di follow-up, i rispettivi centri di coordinamento e di riferimen­to regionale per l’attività di tra­pianto e le istituzioni di gover­no locale;

2. la realizzazione dell’interfaccia tra il sistema periferico sopra descritto ed il CIR competente per territorio (NITP – Nord Italia Transplant con sede a Milano);

3. la totale integrazione delle so­luzioni proposte ed implemen­tate, sia dal punto di vista in­frastrutturale che delle scelte tecnologiche ed operative, con l’architettura prevista per il Si­stema Informativo del Trapianto su base interregionale e nazio­nale.

Gli obiettivi che il progetto in­tende perseguire, nell’ottica delle finalità sopra elencate, sono pertan­to i seguenti: 1) la realizzazione delle connessioni

telematiche tra le strutture di prelievo, i centri di trapianto e le strutture cliniche ed i centri di riferimento e di coordinamen­to regionale nell’ambito regiona­le Ligure e della Provincia Auto­noma di Trento;

2) la realizzazione di un sistema di scambio dati e messaggi concer­nenti le attività di trapianto tra le strutture di prelievo, i centri di trapianto e le strutture clini­che ed i centri di riferimento e di coordinamento regionale nel-l’ambito regionale Ligure e della

Provincia Autonoma di Trento, e tra i centri regionali innanzi detti ed il CIR competente per terri­torio;

3) la realizzazione di strumenti in­formatici di controllo di gestio­ne e di qualità dell’assistenza a supporto dell’attività di valuta­zione dei potenziali donatori e riceventi di trapianto, ad uso primario dei centri di trapianto e delle strutture cliniche che se­guono il paziente nel pre- e nel post-trapianto;

4) l’informatizzazione dei dati cli­nico-scientifici relativi al tra­pianto, finalizzata alla realizza­zione di registri scientifici per l’attività di trapianto;

5) la realizzazione di strumenti in­formatici a supporto della gestio­ne clinica dei pazienti in lista e del follow up post trapianto.

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Page 82: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

Dal punto di vista dell’integrazio­ne con il Sistema Informativo del Trapianto a livello interregionale e nazionale, al fine specifico di ga­rantire la totale interoperabilità tra i sottosistemi, la più completa omo­geneità strutturale ed infrastruttu­rale delle soluzioni proposte e la sostanziale unitarietà del SIT, ver­ranno mandatoriamente adottati, nel corso del progetto, i seguenti criteri di sviluppo: 1. l’adozione e l’implementazione a

livello di contesto regionale di un formato di scambio di dati e messaggi identico a quello pro­posto per il SIT a livello interre­gionale e nazionale (XML);

2. l’adozione a livello di contesto regionale di strutture, di classi di dati e di messaggi con conte­nuto tale da permettere in ma­niera integrata e consistente l’alimentazione delle basi di dati centrali ed in particolare, in pri­ma istanza, del flusso dati tra CIR e CNT;

3. l’adozione a livello di contesto regionale di soluzioni infrastrut­turali e di architettura tecnica capaci di consentire la comple­ta interoperabilità tra i sottosi­stemi operanti in contesti re­gionali e/o periferici e sottosi­stemi centrali del SIT, sia nel caso di modalità di interazione sincrona che asincrona tra i sot­tosistemi stessi;

4. l’adozione dei medesimi criteri di sicurezza informatica previsti per il SIT a livello centrale, sia a livello di sicurezza logica che, ove opportuno, fisica;

5. il coordinamento logistico con

il progetto nazionale per la pro­grammazione integrata delle fasi di implementazione del SIT.

Il progetto fonda la propria ese­cuzione sullo sforzo congiunto di numerosi soggetti, sia interni che esterni al bacino di sperimentazio­ne costituito dalla Regione Liguria e della Provincia Autonoma di Tren­to, sotto il coordinamento del Di­partimento di Scienze Chirurgiche, Anestesiologiche e Trapiantologiche dell’Università di Genova e del Cen­tro di Riferimento Ligure per l’atti­vità di Prelievo e Trapianto entram­bi situati presso l’Azienda Ospeda­liera San Martino di Genova e Clini­che Universitarie Convenzionate.

La sperimentazione rappresenta sicuramente il tentativo di definire un modello organizzativo e tecno­logico indispensabile al fine di con­sentire quelle attività di coordina­mento, intra ed extraterritoriali, necessarie a garantire efficacia ed efficienza al sistema di prelievo e trapianto d’organi.

Roberto Valente (Azienda Ospedaliera S.Martino, Dipartimento Trapianti ­Genova), Antonella Graiff e Stefano Forti (ITC-irst, Centro per la ricerca scientifica e tecnologica - Trento), Piero Draghi (NOOS Helthcare s.r.l. - Genova)

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Il ruolo delle associazioni Franca Pellini Gabardini

Promuovere l’attuazione della Legge 91,

sensibilizzare e informare i cittadini,

proporre testimoni credibili,

creare una rete di sostegno per i pazienti

Fra tutte le forze in gioco, perché l’attività di trapianto in Italia ab­bia uno sviluppo tale da riuscire a rispondere alle richieste di salute dei cittadini, le Associazioni di vo­lontariato e le Associazioni che riu­niscono e rappresentano i pazienti in attesa di trapianto e/o trapian­tati sono state e sono una risorsa significativa con un ruolo attivo e propri campi d’intervento. Attività, ruoli ed ambiti che le Associazioni storicamente si sono sempre rita­gliate spontaneamente con modali­tà, approcci, strumenti, risorse, ini­ziative ampliate e rafforzate nel tempo e modificatesi secondo la scelta degli obiettivi strategici che l’evoluzione del panorama sanitario e politico hanno via via portato in primo piano. Nei decenni passati molte delle forze delle Associazioni sono state spese per promuovere la modifica della legislazione fino alla presentazione al Parlamento di una proposta di legge d’iniziativa popo­lare da parte di ANED, AIDO ed ACTI, con l’appoggio di oltre 100.000 fir­me e ai Governi che si sono succe-Il

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duti, proposte di Decreti sull’infor­mazione ai cittadini ed agli opera­tori sanitari. È stato certo anche grazie alla pressione delle Associa­zioni che le Istituzioni - prima i Go­verni Locali, poi il Parlamento e il Governo - hanno trasformato in provvedimenti legislativi le istanze dei cittadini in attesa di trapianto. Nello stesso tempo le Associazioni hanno svolto un’azione costante di promozione del cambiamento dei comportamenti collettivi nei con­fronti del trapianto di organi, con una diffusa opera d’informazione, di sollecitazione, di sensibilizzazione, rivolta a tutti gli strati della popo­lazione che ha trovato nella sanità, nella scuola, nella Chiesa e nel mon­do sindacale, dello sport, della cul­tura i suoi primari obiettivi. Tutta l’attività, fin qui spontanea, delle Associazioni trova un ruolo preciso nella Legge 91 del 1999 “Disposi­zioni in materia di prelievi e di tra­pianti di organi e di tessuti” che mette a fuoco l’importanza strate­gica della relazione tra volontaria­to, associazioni ed istituzioni sani­tarie. La collaborazione delle asso­ciazioni di volontariato e di inte­resse collettivo è espressamente ri­chiamata nell’art. 2 sulla “promo­zione dell’informazione” che il Mi­nistero della Sanità deve diffondere tra i cittadini, rispetto alla legge, alle disposizioni legislative sull’ac­certamento di morte, sulla preven­zione, sulle problematiche collega­te al trapianto di organi e tessuti. L’articolo 9 che istituisce la Consul­ta tecnica permanente per i trapianti prevede nella sua composizione tre esperti delle associazioni nazionali

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Page 84: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

che operano nel settore dei trapianti e della promozione delle donazioni.

L’emanazione, in attuazione del­l’art. 5 della Legge 91, del Decreto Ministeriale dell’8 aprile 2000, ha posto le prime basi per il sistema informativo dei Trapianti che, par­tendo dalle Aziende Sanitarie Loca­li, dovrà creare un’anagrafe delle dichiarazioni di volontà dei citta­dini in merito alla donazione dei propri organi dopo la morte. Nello stesso tempo il decreto ha ribadito che, finché il sistema non andrà a regime, la delicata materia della di­chiarazione di volontà è regolata dalle norme transitorie enunciate nell’art. 23 della legge 91.

Con circolari successive il Mini­stero della Sanità ha puntualizzato che tra “i documenti personali” da cui deve risultare la volontà favore­vole al prelievo, per non consentire opposizione dei familiari, hanno validità le DONORCARD ed i testa­menti olografi. In questo momento è quindi fondamentale che, per non lasciare sulle famiglie il peso, spes­so insostenibile, di sofferte decisio­ni nel momento più difficile, venga svolta una diffusa opera di cono­scenza, informazione e sensibiliz­zazione della popolazione da parte delle Associazioni, perché ognuno, in vita, esprima nei modi consenti­ti e riconosciuti dalla legge la pro­pria volontà positiva.

Il ruolo quindi delle associazio­ni, oggi, si può e si deve esprimere in quattro fondamentali direttrici:

A. PROMOZIONE DELL’ATTUAZIONE DELLA LEGGE 91 nei suoi molte­plici aspetti, nei confronti del Go­

verno Centrale e dei Governi locali. La Legge 91, frutto di una com­

plessa opera di patteggiamenti e di mediazioni politiche nel corso del­le quali l’interesse vero del cittadi­no malato ha perso spessore, nel suo dettato non è certo un testo otti­male: pone pesanti intralci burocra­tici, è contraddittoria, è di comples­sa e difficile attuabilità: ne è prova la non osservanza dei termini posti dalla Legge per l’emanazione dei 13 decreti attuativi, di cui finora meno della metà ha visto la luce.

Anche il Decreto di istituzione della Consulta ha sofferto del clima politico di “mediazione” per cui al suo interno non sono rappresentati i pazienti in attesa di trapianto, destinatari legittimi delle norme e disposizioni su cui la Consulta si dovrà esprimere.

La pressione civile delle associa­zioni dei pazienti è quindi fonda­mentale perché nella lunga strada dell’attuazione della Legge, si sem­plifichino e si alleggeriscano le pro­cedure, perché Regioni e Province Autonome si attivino per la loro parte con provvedimenti operativi, perché le Istituzioni sanitarie si adoperino nel loro ambito per svi­luppare l’attività di prelievo e tra­pianto, perché i diritti dei cittadini in attesa di trapianto siano tutela­ti.

L’emanazione e la distribuzione della Carta dei Servizi da parte del Centro Nazionale e dei Centri Tra­pianti è un altro degli obiettivi come operazione fondamentale per una libera scelta informata del pazien­te: un patto tra Istituzioni e citta­dini che dovrà essere osservato.

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iB. SENSIBILIZZAZIONE E INFOR­MAZIONE AI CITTADINI, operando per la diffusione di una maggiore conoscenza delle risorse sanitarie, la riduzione di un diffuso atteggia­mento di distanza e di sfiducia nei confronti delle istituzioni sanitarie, la promozione di comportamenti at­tivi, ad iniziare dalla espressione di volontà positiva nei confronti di un prelievo dei propri organi dopo la morte.

Perché prima ancora dell’emana­zione della Legge, le Associazioni Nazionali più rappresentative nel settore - ANED (dializzati e trapian­tati renali), ACTI (cardiotrapianta­ti), ANTF (trapiantati di fegato) AIDO ( per la donazione d’organo) e ASSIRT - Marta Russo, insieme con la Rete Italiana delle Città Sane, riu­nite in Comitato Promotore - han­no istituito ed organizzato, sotto l’Alto Patronato del Presidente del­la Repubblica, la “Giornata Nazio­nale della Donazione e Trapianto di organi”. La Giornata, dalla prima edizione svoltasi nel maggio 1998, è divenuta appuntamento annuale, occasione per far puntare i rifletto­ri dei media su tutto il mondo del trapianto, opportunità in cui si è espressa tutta l’originalità ed il po­tenziale innnovativo delle associa­zioni per coinvolgere la popolazio­ne dando vita in centinaia di città e paesi a manifestazioni, incontri, convegni, punti informativi, eventi sportivi, musicali, artistici, cultu­rali, religiosi, scientifici. Già dalla seconda edizione la Giornata Nazio­nale è stata organizzata e gestita in accordo e collaborazione stretta con tutti gli Assessorati Regionali

e Provinciali alla Sanità, con un coordinamento nazionale - affidato dalla Conferenza Nazionale degli Assessori alla Sanità all’ANED - che ha coinvolto attivamente le forze politiche, amministrative, sanitarie, la Chiesa Cattolica, le realtà del volontariato, il mondo della cultura e dello sport, i giornalisti della car­ta stampata, delle radio e delle te­levisioni nazionali e locali.

Dall’evento “Giornata” è nata una rete di referenti regionali, nominati dai rispettivi Assessori, che fa sì che continui nel tempo una collabora­zione fattiva con le Associazioni ed un’attenzione costante allo svilup­po dell’attività, un’azione perma­nente di informazione della popo­lazione, di sollecitazione e forma­zione degli operatori con l’apporto di chi, come i pazienti e le Associa­zioni, lavora concretamente sul cam­po ed è il sensore diretto dei muta­bili atteggiamenti dell’opinione pubblica. La IV Giornata Nazionale è stata indetta dal Ministro della Sanità, sentite le Associazioni, per domenica 25 marzo 2001.

C. PROPORRE TESTIMONI CREDIBI­LI. Le Associazioni hanno una ri­sorsa assolutamente unica da met­tere in campo, per un’informazione diffusa e cosciente, per parlare di­rettamente al cuore ed all’intelligen­za della gente: i pazienti in attesa di trapianto e trapiantati; le fami­glie che hanno donato gli organi di un loro caro.

Il dibattito acceso nel Paese an­che in occasione dell’entrata in vi­gore della nuova Legge sui trapian­ti ha acuito l’interesse scandalisti­

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co della stampa; in maniera ciclica appaiono in televisione e sui gior­nali notizie di risvegli insperati da comi più o meno profondi o di leg­gende metropolitane su ignobili commerci d’organo - sempre venti-lati e mai provati - che creano scon­certo. È quindi importante lanciare messaggi positivi all’opinione pub­blica che, nel diffuso clima di sfi­ducia verso le istituzioni sanitarie creato dai media, sono meglio re­cepiti se non vengono dagli “ad­detti ai lavori”, ma da gente comu­ne che ha vissuto direttamente un’esperienza. Un padre, una ma­dre, una moglie, un fratello che, su­perando il dolore della tragedia del­la perdita del proprio caro, hanno acconsentito, e alcune volte richie­sto, la donazione degli organi tra­smettono emozioni, sentimenti, esperienze immediatamente accogli­bili. Le loro parole, spesso sempli­ci, sgombrano il campo da dubbi, paure, pregiudizi più e meglio di tante dotte conferenze. Il confron­to con loro apre un dialogo denso di significati, mette in luce anche il valore consolatorio del grande ge­sto di solidarietà.

I pazienti che vivono una vita difficile e mutilata in attesa di tra­pianto, spesso da lunghi anni, ed i trapiantati che - salvati da malattie altrimenti incurabili - possono vi­vere di nuovo un’esistenza piena, familiare e lavorativa, sono una pre­ziosa risorsa di testimonianza cre­dibile. La loro presenza, le loro pa­role riescono a far spostare l’atten­zione sui problemi veri, sui bisogni della gente, sulle rinunce, le ango­sce, le speranze di chi attende; sul­

la gioia della riconquista della vita e della salute, dell’assaporare i pic­coli e grandi piaceri di ogni giorno, liberi dalla schiavitù di una mac­china o dai legami di un respiro che non viene, la possibilità di proget­tare un figlio, una vacanza, un la­voro. Per parlare alla gente bisogna anche creare occasioni di aggrega­zione e gli avvenimenti sportivi sono sempre un bel richiamo specialmen­te per i giovani.

D. INTERVENTO DI RETE DI SOSTE­GNO. L’ultimo, ma primario ed inso­stituibile, ruolo delle Associazioni è quello al fianco dei pazienti, per creare una vera rete di sostegno che li aiuti, li tuteli, li indirizzi, li af­fianchi in un’opera attenta e conti­nua, dall’evidenziarsi della malattia alla conquista del trapianto, dalla prevenzione alla riabilitazione, con una promozione dei loro diritti fon­damentali. Le Associazioni sono un punto di riferimento preciso a cui ogni cittadino può rivolgersi per conoscere ed informarsi, per essere indirizzato alle strutture sanitarie più adeguate alla specifica condi­zione patologica, per segnalare ca­renze o inefficienze, per sapere quali sono i percorsi da seguire. Auspi­cando una società in cui tutti, ognu­no con il proprio compito e ruolo, Istituzioni e Associazioni, mettano al centro il cittadino malato, lavo­rando perché a tutti coloro che po­trebbero averla dalla scienza, ven­ga, con un trapianto, data “una vita in più”.

Franca Pellini Gabardini è presidente dell’ANED

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SCHEDA 1

Associazione Italiana Donatori Organi (AIDO)

L’AIDO è una libera associazione: apoli­tica, aconfessionale, senza fini di lucro, co­stituita fra donatori volontari di organi, che liberamente vi aderiscono, depositando pres­so le rispettive sedi provinciali o, ove non esistessero, presso la Sede centrale, il pro­prio atto olografo di donazione, post mor­tem. L’associazione fornisce all’iscritto una tessera indicante la sua appartenenza al sodalizio e le sue volontà; provvede alla schedatura e conserva in luogo sicuro il suo testamento olografo.

In caso di decesso del donatore, provve­de a quanto di competenza, affinché le vo­lontà dello stesso vengano rispettate e si provveda al prelievo di quegli organi che la legge consente, nel rispetto della salma, al fine di consentire i trapianti terapeutici.

Esplica la sua attività secondo le norme dello Statuto e del regolamento, seguendo gli indirizzi dettati dall’Assemblea naziona­le, a mezzo del Consiglio Nazionale, dei Co­mitati regionali, delle Sezioni provinciali o comprensoriali ed estere, dei Gruppi comu­nali, coadiuvata nell’attività di propaganda scientifica dai Consigli scientifici.

I mezzi finanziari vengono reperiti attra­verso: i contributi delle Sezioni provinciali, cui fanno capo i Gruppi comunali; libere sovvenzioni di enti, sodalizi e istituti; do­nazioni, oblazioni, lasciti e proventi da manifestazioni varie.

L’associazione si impegna nelle attività promozionali di diffusione del principio della

donazione di organi, confidando nell’opera che il singolo socio svolge nell’ambito della famiglia, del luogo di lavoro, della comuni­tà in cui vive; il tutto improntato alla leal­tà e probità. Ogni sezione provinciale di­spone di un numero telefonico funzionante 24 ore su 24, per la ricezione delle notizie sul decesso di associati e per i successivi contatti con i responsabili tecnici del pre­lievo. Una delle attività peculiari è di infor­mare l’opinione pubblica sulla possibilità di prevenire malattie che porterebbero alla ne­cessità di un trapianto.

Finalità L’AIDO è sorta per: - promuovere il rafforzamento della soli­

darietà umana; - determinare nei cittadini la coscienza

dell’utilità della donazione degli organi del proprio corpo, a favore di chi neces­siti di trapianto terapeutico;

- formalizzare le attività di donazione; - coltivare i rapporti con gli Enti scienti­

fici competenti a effettuare il trapianto, con la magistratura per quanto di com­petenza della stessa, e con gli organi della sanità pubblica.

Per raggiungere tali fini l’AIDO, che svol­ge un primario servizio sociale, si propone di: - contribuire a una maggiore informazio­

ne sulla condizione umana di chi atten­

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SCHEDA 1

de dalla donazione di organi la possibi­lità di sopravvivere e di essere reinte­grato nella comunità operosa;

- agevolare la donazione di organi desti­nati al trapianto terapeutico, cooperan­do a quanto necessario alla destinazio­ne e ricezione degli organi donati;

- sensibilizzare l’opinione pubblica ai pro­blemi etico-deontologici connessi al tra­pianto di organi umani nel rispetto del­le leggi vigenti;

- stimolare gli Enti preposti alla preven­

zione e alla educazione sanitaria. L’AIDO è quindi interessata ai problemi ri­guardanti ogni tipo di trapianto conosciuto e autorizzato dalle leggi.

Cenni storici L’associazione nasce nel 1971 a Bergamo; attualmente gli iscritti all’A.I.D.O. per la pro­vincia di Trento sono oltre 19.000. La sede sociale si trova a Trento – Via Si­ghele, 7 – Tel. e fax 0461 916 026 (Scheda a cura dell’AIDO)

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SCHEDA 2

Associazione Donatori Midollo Osseo (ADMO)

ADMO Associazione Donatori Midollo Osseo, è nata in Italia nel 1989, conta attualmen­te 300.000 soci donatori tipizzati e iscritti nel Registro Italiano Donatori Midollo Os­seo con sede a Genova presso l’Ospedale Galliera.

Di che cosa di occupa ADMO in Italia Alcune malattie del sangue, fra cui gravi for­me di leucemia e diverse forme di grave ane­mia, possono trovare possibilità di guari­gione nel trapianto di midollo osseo. Si può stimare che nella sola Italia circa 1.000 persone ogni anno, di cui quasi la metà bam­bini, potrebbero trovare beneficio da que­sto tipo di intervento, al quale in molti casi non vi è alternativa per vivere. Purtroppo anche a causa del tipo di vita moderna, è sempre più difficile trovare un donatore com­patibile in ambito familiare (fratello o so­rella) dato che il numero dei figli in fami­glia si riduce sempre di più. Da qui la forte necessità di ricercare persone disponibili ad offrirsi come donatori di midollo osseo. Cosi ADMO per soddisfare questa forte esigenza di ricerca di donatori disponibili, opera ca­pillarmente su tutto il territorio nazionale svolgendo principalmente opera di informa­zione e sensibilizzazione presso la popola­zione. Molti non conoscono la donazione del midollo come cura, e così attraverso mo­menti informativi organizzati presso scuo­le, teatri e comunque in qualsiasi luogo e momento idoneo a soddisfare il bisogno di

notizie, fugare dubbi e rispondere a doman­de legate al problema donazione, cerchia­mo di far conoscere la possibilità di poter ridare la speranza alla vita con un trapianto di midollo osseo, a tutte quelle persone che altrimenti non potrebbero continuare a spe­rare e combattere per una guarigione.

Alcuni dati possono far capire l’impor­tanza del trapianto di midollo osseo:

i donatori Mondiali 6.157.000 i donatori Italiani 300.000 i Registri Donatori nel mondo 44 le Nazioni che partecipano 34 i Donatori Italiani giunti al T.M.O 571 i Pazienti Italiani giunti al T.M.O 695

Queste alcune cifre fanno riflettere su quante persone hanno bisogno di ricevere un trapianto per sperare in una guarigione.

Chi può candidarsi come donatore di midollo osseo Qualunque individuo di età compresa tra i 18 anni (per motivi legali) ed i 35 anni (per motivi sanitari) può essere un donatore di midollo osseo, purché ovviamente, non sia affetto da malattie del sangue o da altre gravi forme infettive. Per diventare donato­ri di midollo osseo è sufficiente sottoporsi al prelievo di un campione di sangue (come per una normale analisi) e firmare l’adesio­ne al Registro Italiano Donatori Midollo Osseo.

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SCHEDA 2

Ricordiamo che il midollo osseo non è il midollo spinale, il midollo osseo si trova nelle ossa iliache del bacino e in alcune altre ossa del nostro corpo. I risultati del­l’analisi vengono poi inseriti in un archivio elettronico gestito a livello regionale e na­zionale. Il donatore di midollo osseo è uno dei pochi donatori che una volta chiamato a rispondere della propria disponibilità, ha la consapevolezza di poter contribuire al tentativo di salvare la vita di un individuo ben preciso, spesso di un bambino.

In Trentino ADMO conta 3.000 soci iscritti tipizzati. Presso la Banca del sangue, in Via Malta 8 a Trento - tel. 0461/904274, ven­

gono effettuati tutti i prelievi necessari alla tipizzazione; personale molto qualificato è sempre presente e disponibile per qualsiasi tipo di informazione. Inoltre nei principali ospedali del Trentino, sono organizzati dei punti di prelievo nei quali il donatore si può comodamente recare, evitando di dover ve­nire a Trento. L’associazione ha la propria sede provinciale in Via Sighele 7 - Trento ­tel. 0461/916026. Segnaliamo il sito Inter­net della Federazione Italiana da poter visi­tare per qualsiasi informazione o curiosità: www.admo.it E-mail:admo@iol it. (Scheda a cura dell’ADMO)

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SCHEDA 3

Associazione Italiana contro le Leucemie (AIL)

L’AIL–Trentino Onlus si è costituita come Sezione provinciale dell’Associazione Italiana contro le Leucemie il 1° dicembre 1997, con atto costitutivo pubblico n. 5313, reperto­rio n. 20995. L’associazione ha sede a Tren­to, in via Calepina 75, telefono 0461 985098.

Iscritta all’Albo delle Organizzazioni di Volontariato della Provincia Autonoma di Trento con decreto n. 99/88 dell’Assessore alla Sanità e Attività Sociali, l’AIL–Trentino persegue la seguente finalità: sostenere la ricerca, le cure, l’informazione, l’orientamen­to logistico e, nel caso, l’autonomia finan­ziaria dei malati trentini di leucemia, di lin­foma e di altre gravi emopatie maligne.

Proprio per gli obiettivi perseguiti, l’As­sociazione è particolarmente attenta al tema della donazione del “sangue”, del “midollo osseo” e del “sangue placentare”, operando una sistematica attività di sensibilizzazio­ne alla donazione mediante incontri semi­nariali e la diffusione di opuscoli e “Noti­ziari” sul territorio.

Insieme all’Admo ed all’Azienda Provin­ciale per i Servizi Sanitari, l’AIL–Trentino ha sostenuto l’avvio della donazione del Sangue placentare in Trentino, finanziando anche direttamente la relativa campagna di pubblicizzazione e l’acquisto di appositi contenitori di trasporto. Recentemente sono stati pure finanziati un corso di aggiorna­mento di raccolta del Sangue placentare per ostetriche e l’attività di tipizzazione delle

sacche di sangue prima della conservazio­ne.

Nei confronti di diversi malati in attesa di trapianto allogenico da donatore extra familiare, l’Associazione è intervenuta anti­cipando gli esborsi economici necessari per il reperimento del Midollo osseo, compresa la quota che, nel caso di donatore stranie­ro, non viene riconosciuta dal sistema sani­tario nazionale. (Scheda a cura dell’AIL)

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SCHEDA 4

Associazione Nazionale Emodializzati (ANED) Medaglia d’oro alla Sanità Pubblica

L’ANED, Associazione Nazionale Emodializ­zati Onlus, riunisce e rappresenta i cittadi­ni affetti da insufficienza renale (nefropati­ci e dializzati) ed i cittadini in attesa e portatori di trapianto d’organo. Da oltre 28 anni si batte per tutelare e promuovere i loro diritti civili, migliorare le loro condi­zioni di vita e diffondere la cultura del tra­pianto e della solidarietà.

Per raggiungere i suoi obiettivi l’Aned attua un costante rapporto con le Istituzio­ni e gli operatori per ricercare, proporre e favorire la soluzione dei problemi sanitari e sociali inerenti le nefropatie ed i trapianti e in questi anni ha ottenuto provvedimenti legislativi e amministrativi, impegni di ri­sorse ed interventi mirati.

L’Associazione offre costantemente un servizio di segreteria sociale sulle comples­se problematiche, sia nel campo sanitario sia sul versante sociale, e un supporto con­creto anche per il disbrigo di pratiche am­ministrative; ma sicuramente l’aspetto più specifico è il contatto continuo con i pa­zienti.

I componenti il Comitato provinciale co­stituiscono un punto di riferimento per chiunque debba affrontare la malattia rena­le, per ogni persona in attesa di trapianto e trapiantata, per ricevere informazioni, con­sigli, appoggi, per un confronto prezioso su tutti i problemi, da quelli logistici a quelli comportamentali, che nascono da una “vita legata alla macchina” o dalla situazione

stressante dell’attesa o dalla “nuova vita” del trapiantato, ma anche per l’aiuto che sorge da l’intessersi di rapporti amichevoli tra persone che condividono le stesse espe­rienze.

Nell’ambito della multiforme attività del­l’ANED particolare importanza riveste l’azio­ne di informazione puntuale e di sensibiliz­zazione diffusa sul tema del trapianto di organi, attraverso la campagna multimediale rivolta alla popolazione (vincitrice del con­corso del Ministero della Sanità) e tramite l’organizzazione di incontri, di eventi cul­turali, musicali e sportivi nonché di mani­festazioni in occasione delle Giornate na­zionali “Donazione e trapianto di organi” (quali coordinatori nazionali del Comitato Promotore) in cui le persone stesse che at­tendono un trapianto o che grazie al tra­pianto hanno riconquistato vita e salute si fanno protagonisti e testimoni. La sede del Comitato provinciale dell’ANED è in Viale dei Tigli, 17 – Trento, tel e fax 0461/916404 e-mail: [email protected]. La sede è aperta al pubblico tutti i giovedì mattina, o su appuntamento. (Scheda a cura dell’ANED)

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Il trapianto di rene da donatore vivente Luisa Berardinelli, Claudio Beretta, Antonio Pasciucco

L’esperienza dell’Ospedale Maggiore

Policlinico, IRCCS, di Milano

Il primo trapianto di rene fra sog­getti viventi fu effettuato fra due gemelli identici a Boston nel dicem­bre 1954. Successivamente, la do­nazione da vivente rappresentò un momento cruciale per lo sviluppo dei trapianti in un’epoca ancora pionie­ristica, quando ancora poco si sa­peva della compatibilità tissutale, della conservazione degli organi e

della terapia immunodepressiva. Se il donatore cadavere rimane la fon­te principale per la maggior parte degli organi trapiantabili e l’unica possibile per il trapianto cardiaco, il donatore vivente costituisce una valida fonte alternativa per i reni, raggiungendo negli Stati Uniti il 25% dell’intera casistica. Anche nella nostra esperienza milanese, come in quella mondiale, i risultati sempre migliori e la nota difficoltà di reperire un adeguato numero di donatori cadavere idonei hanno comportato negli anni recenti una politica di incremento delle dona­zioni da vivente.

Nel trapianto da vivente è fonda­mentale la spontaneità e la gratui­tà della donazione, da accertare con perizie psichiatriche e giuridiche, al fine di evitare i rischi e i sospetti di una commercializzazione degli organi. Per tale motivo, al Policli­nico di Milano, a differenza di altri

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centri, preferiamo effettuare il tra­pianto da vivente solo fra consan­guinei o fra estranei legati da im­portanti vincoli affettivi, come, ad esempio, fra marito e moglie.

La selezione del donatore vivente prevede una serie di esami clinici, strumentali e di laboratorio, atti a verificarne l’idoneità psicofisica alla donazione, da portare a termine con una sequenza temporale ben preci­sa, in tre tappe, effettuando nel-l’ultima tappa gli esami più invasi­vi, come l’arteriografia renale (vedi Tab. 1)

Il riscontro di gruppi sanguigni incompatibili o la positività della reazione di cross-match fra donato­re e ricevente escludono la possi­bilità del trapianto negli esami di secondo livello.

Particolare attenzione va posta nella individuazione nel potenziale donatore di patologie - che potreb­bero compromettere l’esito del tra­pianto o porre a rischio la vita del donatore o del ricevente - quali ma­lattie cardiovascolari, ipertensione attuale o pregressa, neoplasie, ma­lattie sistemiche, diabete, ed even­tuali nefropatie familiari e/o eredi­tarie, come i reni policistici o la nefronoftisi.

Il riscontro, invece, all’arteriogra­fia di vasi renali multipli o di dop­pio uretere non costituisce per il nostro centro un deterrente al tra­pianto, anche se altri fattori devo­no essere valutati in associazione all’anomalia anatomica.

L’età avanzata del donatore, an­che fino ai 70 anni, non rappresen­ta invece nell’esperienza personale una controindicazione assoluta al

trapianto da vivente, non essendo spesso l’età anagrafica correlata con l’età biologica.

Secondo la legge italiana la pro­cedura prevede che, una volta ac­certata l’idoneità alla donazione, i medici curanti (il nefrologo, il chi­rurgo e l’immunologo tipizzatore) redigano un verbale di idoneità per l’ASL. Come ultimo atto, è previsto che il donatore attesti la gratuità e spontaneità del suo gesto davanti al giudice.

Il maggiore stress psicologico a cui viene sottoposta l’intera fami­glia del donatore, la necessità di sottoporre il probando donatore ad esami invasivi, indispensabili per verificarne l’idoneità, i rischi ope­ratori, seppur minimi, connessi con l’intervento chirurgico di prelievo dell’organo rappresentano i princi­pali svantaggi del trapianto da vi­vente rispetto a quello da cadavere.

La possibilità di rivelare, attra­verso gli esami per l’idoneità, pato­logie altrimenti silenti nel donato­re, di poter programmare l’interven­to, che nel caso può essere effet­tuato addirittura prima che il rice­vente venga sottoposto alla dialisi, la riduzione dei tempi di ischemia con migliore ripresa funzionale, la riduzione del rischio di rigetto, la migliore sopravvivenza del pazien­te e dell’organo a breve, ma soprat­tutto a lungo termine e, non ulti­ma, la gratificazione emotiva del donatore costituiscono i maggiori vantaggi del trapianto da vivente.

Fra il 22 maggio 1969 e il 31 ot­tobre 2000 presso il Centro Trapian­ti dell’Ospedale Maggiore Policlini­co di Milano sono stati eseguiti

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2231 trapianti; di questi, 267 era- ta praticata nella nostra esperienza no stati effettuati con rene prove- fra parenti stretti e solo l’8.4% fra niente da donatore vivente. L’inci- estranei, che erano legati da vinco­denza del trapianto da vivente è li affettivi, come fra marito e mo­salita dal 7.5% nel primo periodo glie (86%), padre adottivo, zia o della nostra attività (1969-1983) al cugino. Si noti che oltre il 70% dei 22.3% dell’ultimo periodo (1991- donatori viventi è stato di sesso fem­2000). La grande maggioranza dei minile, che appare ancora una volta trapianti fra viventi (91.5%) è sta- più generoso, rispetto al sesso ma-

ESAMI PER L’IDONEITÀ PSICOFISICA ALLA DONAZIONE DI RENE DA VIVENTE

Accertamenti di primo livello: anamnesi accurata, gruppo sanguigno (compatibilità con il rice­vente), emocromo con formula, glicemia, azotemia, creatininemia, esame urine

Esami di secondo livello: VES, creatinina clearance (ripetuta almeno due volte), elettroliti plasmatici, esame urine completo con dosaggio proteinuria 24/h ed elettroliti, urinocoltura con antibiogramma, C3/C4, IgG/A/M, elet­troforesi plasmatica, ANA, anti-DNA, Waaler-Rose, RA test, criocri­to, bilirubinemia, fosfatasi alcalina, AST, ALT, gammaGT, PCHE, ami­lasemia, colesterolo totale e HDL, trigliceridi, T3, T4, TSH, sierodia­gnosi per lue, tifo, paratifo e brucella, anticorpi antivirus (CMV, HSV, VZV), markers epatite (A, B, C), HIV, markers tumorali (CEA, alfa-fetoproteina, Ca 19-9, Ca 125, PSA se maschio, betaHCG se femmina), screening coagulatorio, ECG e visita cardiologica, eco-cardiogramma (dopo i 45 anni), RX torace, ecografia renale mirata, ecografia addomino-pelvica, ecocolorDoppler TSA (dopo i 45 anni), scintigrafia renale sequenziale, visita ginecologica, Pap test, mam­mografia (dopo i 40 anni).

Il passaggio al livello successivo di accertamenti deve essere prece­duto da visita nefro-chirurgica di idoneità e da tipizzazione tissuta­le e cross-match tra donatore e ricevente.

Esami di terzo livello: Visita psichiatrica (per il candidato donatore e per il ricevente), esami di routine per i mezzi di contrasto, test di gravidanza (nelle donne fertili), angiografia aorto-renale selettiva con posa flebogra­fica e urografica.

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schile. L’età dei donatori viventi è au­

mentata significativamente negli ultimi diciassette anni in propor­zione anche all’invecchiamento della popolazione generale: oltre la metà dei trapianti da vivente viene oggi effettuata con reni provenienti da donatori in età superiore ai 50 anni.

Nella nostra esperienza, fino aquattro anni i risultati del trapian­to da vivente sono in pratica so­vrapponibili a quelli da cadavere, tanto nella terapia convenzionale, quanto nella terapia con Ciclospo­rina; infatti, solo a partire dal quarto anno si evidenziano risultati migliori nel trapianto da vivente rispetto a quello da cadavere.

La terapia con Ciclosporina, ini­ziata nel nostro centro nel 1983, ha consentito di migliorare significa­tivamente, fino al 23%, i risultati rispetto alla terapia convenzionale, precedentemente usata, a base di cortisone ed Azatioprina.

La presenza di anomalie vascolari e/o di ricostruzioni al banco non inficiano assolutamente i risultati del trapianto ; nella nostra esperienza oltre il 90 % dei pazienti, che ave­vano ottenuto un organo anomalo da vivente, lo mantengono funzio­nante a distanza di 4 anni, rispetto all’87% dei reni normali. Tra l’altro, proprio la scoperta accidentale al tavolo operatorio di vasi anomali nel donatore vivente, non rilevabili al­l’arteriografia e la necessità di riva-scolarizzare ogni territorio del rene da trapiantare, ci ha insegnato la possibilità di recupero anche dei reni prelevati da cadavere con vasi multipli o inavvertitamente danneg­

Tabella 1

giati durante il prelievo. Per quanto riguarda l’età, appare

paradossalmente addirittura migliore la sopravvivenza dell’organo prove­niente da donatore ultrasessanten­ne , dove i criteri di selezione sono però assai più restrittivi.

Per concludere, nella nostra esperienza i risultati dei trapianti da vivente, che sono nella grande maggioranza HLA semi-identici, ap­paiono particolarmente soddisfacen­ti negli ultimi 17 anni, cioè dall’in­troduzione della Ciclosporina nei protocolli terapeutici, riaffermando­ne l’indiscussa superiore valenza, dovuta alla migliore qualità dell’or­gano e alla più accurata selezione del donatore.

Luisa Berardinelli, Claudio Beretta e Antonio Pasciucco sono rispettivamente responsabile e collaboratori della Divisione di Chirurgia Vascolare e dei Trapianti dell’Ospedale Maggiore di Milano (I.R.C.C.S.) di Milano

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Il trapianto cardiaco:un traguardodella chirurgia moderna Luigi Martinelli

Da attività sporadica e sperimentale

a procedura universalmente accettata.

La storia e gli sviluppi futuri

Negli ultimi due decenni il trapian­to cardiaco si è evoluto da attività sporadica e sperimentale fino a di­ventare una procedura universal­mente accettata per il trattamento dello scompenso cardiaco refratta­rio ad altre forme di terapia medica o chirurgica. Il successo clinico del trapianto cardiaco è dovuto a nu-

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omerosi fattori: progresso della tec­nica chirurgica, preservazione d’or­gano, immunosoppressione e miglio­ramento delle possibilità diagnosti­che e terapeutiche delle infezioni. La dimostrata efficacia del trapian­to ha fatto sì che il numero degli interventi subisse un continuo in­cremento e nello stesso tempo ha stimolato molti Centri ad intrapren­dere questo programma.

In realtà la scarsità di donatori si è subito rivelata il principale fattore limitante, obbligando il cli­nico ad una attenta valutazione delle indicazioni, in modo da evita­re un uso improprio di queste risor­se limitate. Con il procedere del­l’esperienza si è comunque riusciti ad ottimizzare l’utilizzo degli scar­si organi disponibili, aumentando i limiti di età per i donatori, accet­tando cuori dalla funzione non ot­timale ma sufficiente per garantire una buona qualità di vita e met­tendo a punto metodiche di preser­vazione tali da garantire prelievi a lunga distanza dalla sede di trapian­to. Nonostante questo, la chiave di volta per il successo di un program­ma di questa portata è rappresen­tata dalla sensibilità della popola­zione verso il problema della dona­zione, in modo che tutti gli organi potenzialmente validi vengano uti­lizzati.

Storia del trapianto cardiaco Prima di giungere alla fase di appli­cazione clinica, il trapianto cardia­co ha attraversato un periodo di circa 60 anni in cui sono state ef­fettuate delle sporadiche sperimen­tazioni cliniche. Nel 1905 Carrel e

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Guthrie dell’Università di Chicago hanno eseguito il primo trapianto cardiaco sperimentale, collegando le arterie e le vene del collo di un cane al cuore di un altro animale. Solo negli anni ’50, con l’avvento delle metodiche di circolazione extracor­porea, la tecnica del trapianto car­diaco si è definitivamente avviata verso una fase di concretizzazione. Nella decade successiva la sperimen­tazione si è rivolta verso la soluzio­ne di problemi quali la preservazio­ne d’organo, la semplificazione delle metodiche chirurgiche, l’identifica­zione e il trattamento del rigetto. In una serie di lavori, il gruppo di Stanford, diretto da Norman Shu­mway, ha integrato l’esperienza esi­stente, formando la base per l’ap­plicazione clinica del trapianto car­diaco. Il 3 dicembre del 1967, al ritorno da un soggiorno a Stanford, Christian Barnard, presso l’ospeda­le Groote Schuur di Città del Capo, ha effettuato il primo trapianto car­diaco nell’Uomo. L’anno successivo furono effettuati 102 trapianti in 17 nazioni, ma con risultati talmente deludenti che solo 3-4 Centri nel mondo proseguirono questa attivi­tà con una certa costanza.

Dobbiamo all’impegno di Shu­mway e del suo gruppo a Stanford se nel corso degli anni ’70 numero­si problemi relativi al trapianto ven­nero risolti, tanto che la sopravvi­venza ad un anno dal trapianto è passata dal 22% nel 1968 al 75% nel 1978. La svolta avvenne nel 1980 con l’introduzione in terapia immunosoppressiva della Ciclospo­rina A. Questo farmaco ha consen­tito di attenuare la reazione di ri­

getto senza comportare gravi con­seguenze sull’organismo e pertanto ha portato la sopravvivenza a di­stanza dei pazienti a livelli molto elevati. Da allora il trapianto cardi­aco è stato introdotto in quasi tut­ti i paesi occidentali come metodi­ca clinica consolidata.

Il Trapianto Cardiaco alle soglie del terzo millennio: dati del Registro Internazionale La Società Internazionale per il tra­pianto di cuore e polmone racco­glie i dati provenienti da 213 Centri localizzati in tutti i Continenti. Il resoconto del 2000, riferito al 1999 riporta un totale di 55.359 trapian­ti di cuore. I dati vengono analiz­zati in modo da fornire alla comu­nità scientifica informazioni sulle caratteristiche dei pazienti e sui ri­sultati a breve e lungo termine del trapianto.

Il numero di trapianti ha raggiun­to il suo massimo nel 1995 con 4466 casi riportati, mentre da allora si è assistito ad una sostanziale stabi­lizzazione legata al raggiungimen­to di livelli di utilizzo di organi non significativamente espandibili. L’età media dei donatori è passata da 23 anni nel 1983 a 31 nel 1999, indice di uno sforzo generalizzato per am­pliare al massimo i criteri di idonei­tà. La fascia di età più frequente dei pazienti sottoposti al trapianto è compresa tra i 35 e i 65 anni. Le indicazioni sono rappresentate nel­la stragrande maggioranza dalla car­diomiopatia dilatativa primitiva e dalla cardiopatia ischemica.

La sopravvivenza dopo trapianto cardiaco è oltremodo incoraggian­

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ote. Se teniamo conto dei pazienti trapiantati tra il 1996 e il 1999 la sopravvivenza ad un anno è vicina al 90%. La mortalità dopo il primo anno è costante (circa il 4%) e a distanza di 12,5 anni dal trapianto la sopravvivenza è ancora del 50%.

Il trapianto cardiaco in Italia e nell’area NITp Il programma di trapianto cardiaco in Italia è iniziato nel Novembre 1985, in 8 Centri, di cui 5 localiz­zati nell’area gestionale del NITp di cui fa parte anche la provincia di Trento. Attualmente i Centri Trapian­to di Cuore NITp sono 6, di cui 3 in Lombardia, 2 nel Veneto e 1 in Friuli-Venezia Giulia. Al 31 Dicembre 1999 erano in lista d’attesa per il cuore presso il NITp 423 pazienti, il 43% dei quali proveniva da aree non NITp. Solo 4 di questi erano resi­denti nella Provincia di Trento. Ogni anno vengono trapiantati circa la metà dei pazienti inseriti in lista e questo comporta ancora una con­siderevole mortalità in attesa. I ri­sultati dopo trapianto, confrontati con quelli riportati dal registro so­pracitato, sono ottimi, con una so­pravvivenza ad un anno di poco superiore al 90%. I dati relativi ai risultati a lungo termine evidenzia­no che la sopravvivenza dei pazien­ti a 10 anni dal trapianto è pari al 65%.

Il donatore cardiaco I criteri per stabilire l’idoneità del donatore cardiaco sono in continua evoluzione, nell’intento di estendere il più possibile il pool degli organi disponibili. Le regole stabilite ne-

Tabella 1

CRITERI CLASSICI DI ACCETTAZIONE DEL DONATORE DI CUORE

Età < 35 anni (uomini) < 45 anni (donne)

ECG normale

Assenza di: - Storia di cardiopatia - Prolungata ipotensione

o manovra rianimatoria - Infezioni - Importante terapia inotropa

(dopamina > 12 mg/kg/min)

gli anni ’80 dai principali Centri tra­pianto (Stanford, Columbia Univer­sity, Hopital la Pitiè) che sono sta­te ritenute a lungo il gold standard da parte della maggioranza dei cen­tri trapianto, sono adesso conside­rate eccessivamente restrittive (Tab. 1).

Molti autori hanno riportato buo­ni risultati utilizzando donatori marginali, portando così alla formu­lazione di nuovi protocolli. Attual­mente in Italia vengono accettati donatori secondo le caratteristiche riportate in Tab. 2. In accordo con questi criteri, la maggiore determi­nante di accettabilità è rappresen­tata dalla funzionalità cardiaca, in­dipendentemente da età, causa di morte, tempo di permanenza in te­rapia intensiva e altre condizioni prima considerate controindicazio­

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ni assolute. Come risultato abbia­mo lo stesso numero di donatori anche se l’incidenza della morte cerebrale legata a lesioni traumati­che si è ridotta grazie ad una effi­ciente prevenzione. Tuttavia la qua­lità degli organi disponibili è più scadente. Attualmente il donatore tipo è più vecchio, è rimasto più a lungo in terapia intensiva ed è morto a causa di un accidente vascolare cerebrale. Con queste premesse il processo valutativo deve essere ac­curato. Sfortunatamente non vi è alternativa all’esecuzione di una coronarografia per una affidabile valutazione dell’albero coronarico, ma questa procedura è spesso im­praticabile per cause logistiche, le­gali e cliniche. Così la definitiva accettabilità di un donatore cardi-

Tabella 2

aco è rimandata alla valutazione diretta da parte dell’equipe trapian­to.

Problematiche post-operatorie nel paziente sottoposto a trapianto di cuore Il successo a distanza di un inter­vento di trapianto è condizionato da una molteplicità di fattori, tra i quali rivestono un ruolo determinan­te una corretta impostazione della terapia preventiva del rigetto, una accurata valutazione e trattamento delle complicanze intercorrenti ma soprattutto una ottimale complian­ce del paziente. Nel decorso post­trapianto si possono riconoscere principalmente due fasi: una fase precoce, che interessa i primi 3 mesi, in cui sono prevalenti i pro-

CRITERI “ESTENSIVI” DI ACCETTAZIONE DEL DONATORE DI CUORE

No limiti di età

Funzione cardiaca: - Cinesi accettabile (FE >30%) - Miglioramento con ottimizzazione del volume

e supporto inotropo

Anatomia cardiaca: - Normale - Difetti trattabili chirirgicamente (difetto interatriale, insufficien­

za mitralica o tricuspidalica, stenosi mitralica, anomalie di con­duzione A-V)

Arterie coronarie: - Normali (angiografia coronarica richiesta se età > 50 anni o in

presenza di fattori di rischio) - Possibilità di un’efficace rivascolarizzazione

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oblemi legati all’intervento chirurgi­co, al rigetto acuto e alle infezioni, e una fase tardiva in cui prevalgono gli effetti indesiderati della terapia immunosoppressiva e in cui si può assistere ad una progressiva perdi­ta della funzionalità dell’organo tra­piantato dovuta a fenomeni dege­nerativi immunomediati (rigetto cro­nico).

L’immunosoppressione deve esse­re continuata per tutta la vita e, come per la maggior parte dei tra­pianti, è basata essenzialmente su tre farmaci: ciclosporina, azatiopri­na e cortisone. La dose di farmaci immunosoppressori deve essere at­tentamente calibrata in modo da evitare danni su fegato e rene ma anche per non esporre il paziente ai rischi tipici della depressione immunitaria, come infezioni e neo­plasie.

Il paziente trapiantato necessita di costante controllo, non solo del­l’organo direttamente interessato, ma anche della situazione generale in quanto è di fondamentale impor­tanza intervenire in senso preven­tivo più che curativo sulle numero­se patologie che potenzialmente possono insidiare il decorso clinico di questi soggetti.

Possibili sviluppi futuri del tra­pianto cardiaco Nonostante i positivi risultati rag­giunti in quasi tre decenni di espe­rienza di trapianto cardiaco, la scar­sità di donatori e la necessità di manipolare cronicamente il sistema immunitario per preservare la fun­zione cardiaca continuano a minare il successo di questa procedura. La

ricerca è pertanto rivolta all’identi­ficazione di nuove molecole immu­nosoppressive e alla ricerca di al­ternative al trapianto omologo per i pazienti affetti da cardiopatia ter­minale.

Nuove strategie immunosoppressive: la ricerca interessa lo sviluppo di nuovi farmaci e di nuovi anticorpi monoclonali destinati a reagire con i T linfociti responsabili del riget­to. Alcuni di questi agenti fanno ormai parte della pratica clinica corrente (FK506, micofenalato mo­fetil, OKT3), altri sono in corso di sperimentazione, come gli anticor­pi monoclonali umanizzati che do­vrebbero garantire una elevata se­lettività di azione.

Sono inoltre in fase di sperimen­tazione strategie immunosoppressi­

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ve non farmacologiche, quali la ir­radiazione linfatica, procedure di aferesi, fotoferesi.

Alternative al trapianto: numerose soluzioni chirurgiche sono state pro­poste per evitare o dilazionare il trapianto, quali la plastica mitrali­ca nelle forme dilatative accompa­gnate da grave insufficienza valvo­lare, la rivascolarizzazione cosiddet­ta “estrema” nei pazienti con car­diomiopatia ischemica, la riduzio­ne volumetrica del ventricolo sini­stro nelle gravi forme dilatative con “sfericizzazione” del ventricolo si­nistro. I risultati di queste metodi­che sono di difficile interpretazio­ne a causa della difficoltà di creare casistiche tra loro confrontabili. Si­curamente questo notevole lavoro di sperimentazione clinica ha por­tato all’identificazione di soggetti

che possono beneficiare di proce­dure conservative anche se i risul­tati sul piano funzionale non sono paragonabili a quelli di un trapian­to ben riuscito.

Xenotrapianto: la possibilità di uti­lizzare cuori di animali è da lungo tempo in fase sperimentale. Nume­rosi sviluppi sono stati ottenuti mediante la manipolazione geneti­ca che ha consentito di ottenere organi di maiale che non subiscono nell’uomo il rigetto iperacuto. Ri­mangono però ancora molti quesiti importanti da risolvere, soprattutto il controllo del rigetto acuto e cro­nico e la possibile trasmissione di virus animali mutanti in grado di creare delle epidemie di estrema vi­rulenza nella popolazione normale.

Assistenza circolatoria meccanica: la

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otecnologia attuale consente di di­sporre di apparecchiature sempre più miniaturizzate e trasportabili in gra­do di sostituire tutta o in parte la funzione cardiaca. Il loro utilizzo estensivo è però attualmente impe­dito dalla difficoltà di gestione (pos­sibili guasti meccanici, tromboge­nicità) e dalla scadente qualità di vita che riescono a garantire.

Conclusioni Il trapianto di cuore è al momento una opzione terapeutica ben codi­ficata per le cardiomiopatie termi­nali che non sono trattabili con metodiche conservative mediche o chirurgiche. L’elevato numero di pazienti che muoiono in lista di at­tesa evidenzia ancor più che il fat­tore limitante è rappresentato dalla scarsità di donatori anche se, con il rinnovato interesse da parte del pubblico e l’aumento di coscienza del problema da parte delle istitu­zioni e dei professionisti, questo problema sembra lentamente dimi­nuire. Il miglioramento dell’immu­nosoppressione e la disponibilità di farmaci affidabili ed efficaci per il controllo delle infezioni hanno con­tribuito considerevolmente ai pre­senti risultati a breve e lungo ter­mine. Il problema del deterioramen­to del graft causato dall’ateroscle­rosi accelerata dell’albero coronari­co è ancora uno dei principali limi­ti ed ogni sforzo deve essere fatto per comprendere e prevenire questo evento. A causa della discrepanza tra numero di donatori e potenziali riceventi, lo xenotrapianto e l’uti­lizzo di apparecchi meccanici può essere una possibile soluzione. Il

futuro fa intravedere molte promes­se sia per l’opzione biologica che per quella meccanica e il ruolo di ciascuna potrà essere identificato in rapporto alle esigenze dei singoli pazienti.

Sebbene esistano ancora nume­rosi problemi, i recenti sviluppi del programma trapianti nell’ultima de­cade incoraggiano la previsione che il trapianto cardiaco (omologo o eterologo) e i mezzi di assistenza circolatoria meccanica occuperanno una posizione importante nel futu­ro della cardiochirurgia.

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Luigi Martinelli è Primario dell’U.O. di Cardiochirurgia dell’Ospedale S.Martino di Genova

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Il trapianto di sangue placentare Lucilla Lecchi, Paolo Rebulla, Girolamo Sirchia

La storia e i possibili sviluppi.

Le banche di sangue placentare,

il network GRACE, l’ADISCO.

Il trapianto di sangue placentare rappresenta una recente evoluzione dell’impiego terapeutico delle cel­lule staminali e dei progenitori emo­poietici, i precursori dei globuli ros­si, dei globuli bianchi e delle pia­strine.

Il successo del trapianto dipen­de in larga misura dalla compatibi­lità tra donatore e ricevente. La si­tuazione più favorevole si realizza quando il paziente dispone di un donatore identico per un particola­re sistema genetico, denominato HLA, generalmente reperito fra i fra­telli del paziente. Sfortunatamente, meno della metà dei pazienti dispo­ne di un donatore HLA identico. Per i pazienti che non hanno fratelli HLA-identici non rimane altra pos­sibilità che ricercare un donatore HLA-identico non imparentato. Nella seconda metà degli anni Ottanta è stato dimostrato che il sangue pla­centare, che viene eliminato dopo il parto, è ricco di cellule stamina­li, le stesse presenti nel midollo osseo. Il primo trapianto di cellule staminali da sangue placentare è

stato eseguito con successo a Pari­gi nel 1988 in un paziente affetto da anemia di Fanconi. Prima di tale data il trapianto veniva eseguito principalmente con il midollo osseo del donatore o, in epoca più recen­te, con precursori emopoietici rac­colti con procedure di aferesi. I tra­pianti di sangue placentare finora eseguiti sono più di 1.500. I dati della sopravvivenza, che non sem­brano differire sostanzialmente da quanto atteso in un analogo grup­po di pazienti trapiantati con il midollo osseo, sono incoraggianti, in particolare considerando la tipo­logia della casistica e l’esordio re­lativamente recente della pratica di trapianto di sangue placentare ri­spetto al trapianto di midollo os­seo.

La Milano Cord Blood Bank La possibilità di utilizzare il san­gue placentare ha stimolato la na­scita e lo sviluppo di numerose ban­che di sangue placentare in tutto il mondo.

La raccolta di sangue placentare è un’operazione semplice e rapida, che non comporta alcun rischio per la madre o per il bambino in quanto avviene quando il cordone ombeli­cale è già stato reciso. Dopo aver valutato l’idoneità della madre e del neonato, viene esplicitamente chie­sto alla madre il consenso a prele­vare il sangue placentare e a sotto­porsi a un prelievo venoso per la ricerca dei marcatori delle principa­li malattie infettive al momento della donazione ed a sei mesi dal parto (HIV, HBV, HCV, ecc.). Dopo la nascita, quando il cordone om­

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belicale è stato reciso, un operato­re esperto preleva in apposita sac­ca il sangue rimasto nel cordone ombelicale e nella placenta. L’unità viene trasportata alla banca di san­gue placentare dove, se ritenuta idonea, viene congelata e conser­vata in azoto liquido a –196°C. Su ogni unità di sangue placentare vengono eseguiti opportuni test di laboratorio allo scopo di caratteriz­zare l’unità e garantire la sicurezza del prodotto fornito per trapianto.

Presso il Centro Trasfusionale e di Immunologia dei Trapianti del­l’Ospedale Maggiore di Milano, ha sede la Milano Cord Blood Bank che, con oltre 3700 unità disponibili, rappresenta oggi la prima banca ita­liana e una fra le maggiori al mon­do. Istituita nel 1993, dispone oggi di uno staff di laureati, tecnici e volontari che, grazie alla competen­za acquisita si occupano dell’intero processo di donazione, raccolta,

conservazione e assegnazione delle unità.

Attualmente il sangue placenta­re viene donato dalle madri che par­toriscono in 13 ospedali della Lom­bardia, 1 dell’Emilia Romagna e 7 del Trentino (la cui attività è ini­ziata nell’anno 2000).

Il Gruppo per la Raccolta e l’Amplificazione delle Cellule Ematopoietiche (GRACE) Il Gruppo per la Raccolta e Amplifi­cazione delle Cellule Ematopoieti­che (GRACE) si è costituito nel 1995 sulla base di una proposta avanza­ta da Milano Cord Blood Bank, al fine di promuovere il coordinamen­to delle attività di prelievo, la ca­ratterizzazione e la criopreservazio­ne del sangue placentare a scopo di trapianto allogenico. Presso la banca di Milano ha sede la segreteria or­ganizzativa e l’archivio informatico delle unità di sangue placentare conservate presso le banche affilia­te a GRACE. Fanno attualmente parte del network GRACE le banche site a Bologna, Firenze, Milano, Padova, Roma e Torino. I dati di tipizzazio­ne delle unità sono inseriti in un Registro collegato con altri Regi­stri di donatori di midollo o di san­gue placentare internazionali. In questo modo i dati sono a disposi­zione dei clinici che possono inol­trare la richiesta di ricerca di unità compatibili per pazienti italiani o stranieri che necessitano di trapian­to di cellule staminali da sangue placentare. Al 31 ottobre 2000 sono state consegnate per trapianto al­logenico da donatore non imparen­tato 133 unità di sangue placenta­

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Page 106: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

re. Di queste 106 sono state rila­sciate dalla Banca di Milano, 10 dalla Banca di Torino, 8 dalla Ban­ca di Firenze e 9 dalla Banca del Lazio. La Banca di Milano ha inol­tre rilasciato 13 unità di sangue placentare per trapianto da donato­re consanguineo.

ADISCO: un supporto alla ricerca Nell’ottobre del 1995 si è costituita a Roma per iniziativa di un gruppo di donne sotto la spinta del prof. Franco Mandelli, direttore dell’Isti­tuto di Ematologia dell’Università La Sapienza di Roma, l’Associazione Donatrici Italiane Sangue di Cordo­ne Ombelicale (ADISCO), che rac­coglie le persone che intendono contribuire alla divulgazione della donazione di sangue placentare da utilizzare per trapianto.

L’Associazione ADISCO si propo­ne di promuovere iniziative per sen­sibilizzare l’opinione pubblica alla donazione del sangue placentare e raccogliere fondi per la ricerca, in­dispensabile allo sviluppo e all’af­fermazione di GRACE in campo in­ternazionale.

Espansione delle cellule staminali Benchè il trapianto di sangue pla­centare sia già stato eseguito nel mondo in più di 1000 casi, oltre l’80% della casistica finora trattata è rappresentata da pazienti in età pediatrica. Infatti, questo nuovo trattamento presenta un importan­te limite, legato al volume relativa­mente piccolo di sangue che per­mane nella placenta al termine del parto. Per questa ragione, in gran parte dei pazienti adulti il numero

di cellule non è sufficiente a garan­tire un intervento in condizioni di ragionevole sicurezza. Il rischio principale in questi casi è la man­canza o il ritardo dell’attecchimen­to delle cellule staminali trapianta­te.

Per superare queste difficoltà sono in corso di studio protocolli finalizzati ad ottenere l’espansione (cioè ad aumentare il numero) delle cellule staminali placentari. Per poter comprendere questi program­mi è utile ricordare alcuni aspetti della biologia delle cellule stami­nali.

Le cellule staminali presentano due importanti caratteristiche, in un certo senso in competizione fra loro. Esse possono infatti mantenere lo stato primitivo e autoreplicarsi o, in presenza di adeguati stimoli e condizioni ambientali, generare cel­lule ‘figlie’ da cui verranno a loro volta generati globuli rossi, globuli bianchi e piastrine, cioè ‘differen­ziarsi’. Ebbene, lo scopo dell’espan­sione è aumentare il numero delle cellule, senza stimolarle a tal pun­to da causarne la differenziazione. Infatti, se si trapiantassero cellule troppo ‘differenziate’, il paziente si troverebbe entro breve tempo privo di cellule staminali ‘primitive’ cioè ricche di una potenzialità a lungo termine, e il trapianto perderebbe quindi rapidamente la propria effi­cacia. D’altronde, dato che le cellu­le attualmente disponibili sono trop­po poche per i pazienti di taglia maggiore, è anche necessario au­mentarne il numero. La difficoltà sta nel bilanciare gli stimoli che con­tribuiscono a far differenziare le

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cellule con quelli che le mantengo­no nello stato quiescente.

Due sono i livelli principali in cuisi articola la ricerca. Innanzi tuttoè necessario selezionare le sostan­ze stimolanti più appropriate fra le numerose citochine che interagisco­no con le cellule staminali e identi­ficarne l’opportuna concentrazione. Contemporaneamente, va messo apunto un sistema di coltura adatto:devono essere garantiti alle celluleun ambiente sterile a temperaturacontrollata, un adeguato apporto di ossigeno e nutrienti nonché la ri­mozione delle sostanze tossiche pro-dotte dal metabolismo cellulare. Ilsistema deve essere sufficientemen­te pratico e flessibile per studiarele diverse variabili, ma anche offri­re sufficienti garanzie in modo taleda poterne ipotizzare l’impiego pri­ma nell’animale e poi nell’uomo.

Prima di arrivare all’impiego nel-l’uomo, le cellule espanse devono essere valutate nell’animale per di­mostrare di non aver perso la loro capacità di attecchimento e cresci­ta in vivo. Si tratta di una parte molto complessa e costosa della ri­cerca, perché devono essere impie­gati particolari ceppi di topi, deno­minati NOD/SCID, affetti da gravi carenze immunitarie. Questa carat­teristica rende i topi idonei all’espe­rimento perché incapaci di rigetta­re le cellule trapiantate, ma richie­de altresì un trattamento particola­re degli animali, molto fragili di fronte a qualsiasi rischio infettivo.

Sulla base dei buoni risultati pre­clinici finora ottenuti, si è costitu­ito un gruppo di lavoro per l’impie­go clinico delle cellule espanse. Il gruppo di lavoro, composto da ri­cercatori della Milano Cord Blood Bank e da clinici dell’Università di Pavia ha prodotto un protocollo per l’impiego clinico delle cellule sta­minali per il quale è stata chiesta e ottenuta l’approvazione del Comi­tato Etico del Policlinico San Mat­teo dell’Università di Pavia.

I risultati di queste ricerche e del lavoro di numerosi altri gruppi che operano attualmente in questo set­tore potranno essere definite le pre­messe per un nuovo, significativo balzo in avanti della terapia cellu­lare: l’impiego del trapianto di san­gue placentare nel paziente adulto.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI [1] L. Lazzari, C. Corsini, C. Curio­

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Lucilla Lecchi, Paolo Rebulla, Girolamo Sirchia sono rispettivamente Direttore Tecnico, Responsabile della Ricerca e Primario presso il Milano Cord Blood Bank - Centro Trafusionale e di Immunologia dei Trapianti - Ospedale Maggiore Policlinico di Milano

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Il trapianto di mano eterologo Marco Lanzetta, Roberta Nolli, Ilaria Radaelli, Stefano Lucchina

Nell’ottobre 2000 il primo trapianto in

Italia. La storia e le caratteristiche

dell’intervento.

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Introduzione Per la prima volta in Italia il 17/ 10/2000 una equipe italiana costi­tuita da chirurghi della mano e or­topedici esperti in microchirurgia, chirurghi generali, chirurghi plasti­ci ed anestesisti ha portato a ter­mine con successo il primo trapian­to eterologo di mano presso l’Ospe­dale San Gerardo di Monza. L’avam­braccio distale di un uomo di 43 anni è stato trapiantato in un uomo di 35 anni, sposato e con un figlia di 7 anni, che aveva subito un’am­putazione traumatica a 13 anni di età nel corso di un incidente agri­colo. Il trapianto effettuato si col­loca, temporalmente, dopo 6 espe­rienze mondiali di successo. Il 25/ 9/1999 a Lione viene effettuato il 1° trapianto su un uomo di 47 anni con mano dominante dx. Il risulta­to è positivo. Nel settembre 1999 a Guanzhou (Cina) sono effettuati 2 trapianti distinti monolaterali su 2 uomini con risultati positivi. Il 13 gennaio 2000 a Lione viene effet­tuato il primo trapianto bilaterale di mano al mondo su un uomo di 34

anni. Il risultato è positivo. Il 25 gennaio 2000 in U.S.A. viene effet­tuato un trapianto monolaterale di mano dominante sx su un uomo di 37 anni. Il risultato è positivo. Nel marzo 2000 a Innsbruck viene por­tato a termine un trapianto bilate­rale di mano su un uomo di 40 anni con risultato positivo. Infine il no­stro. L’atto chirurgico in sé è, però, soltanto uno dei momenti-chiave del trapianto. Il primo di questi momen­ti è la selezione del candidato al trapianto. Solo infatti l’1% di tutti i pazienti (500 circa) che giungono alla nostra prima osservazione per questo tipo intervento rientrerà nei 5 casi di sperimentazione in 2 anni che il Ministero della Sanità ha au­torizzato il 25/2/2000. Questi i cri­teri di selezione dei candidati: 1) età compresa tra i 18 e i 50 anni; 2) perdita della mano dominante o

di entrambe le mani; 3) amputazione traumatica (inci­

denti sul lavoro/stradali/esplo­sioni);

4) non malformazione congenita enon amputazioni per tumori;

5) livello di amputazione attorno alpolso;

6) rifiuto delle soluzioni alternati­ve (protesi estetiche o funzio­nali);

7) superamento dei tests psicolo­gici e dell’iter diagnostico;

8) capacità di esprimere un pieno consenso informato all’interven­to;

9) accettazione del programma di riabilitazione e dei relativi fol­low-up; Il paziente operato è

stato,quindi, selezionato dopo un

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lungo periodo di preparazione che ha previsto anche la valutazione dei benefici e dei rischi, questi ultimi legati ai possibili effetti collaterali della terapia immunosoppressiva.

L’iter diagnostico E’ stata raccolta l’anamnesi familia­re, fisiologica, patologica remota (malattie cardiovascolari, renali, urogenitali, epatiche) e prossima, notizie relative al trauma e all’uti­lizzo di ausili protesici, l’anamnesi allergologica e farmacologica per evidenziare la presenza di eventua­li patologie acute o croniche che porrebbero il paziente a rischio di vita in caso di intervento ( pregres­si IMA o ictus cerebrale,..) o che pregiudicherebbero la riuscita dello stesso (vasculopatie e neuropatie periferiche di varia natura,..). Il paziente viene sottoposto ad esami ematochimici, sierologici oltre a tests di tipizzazione HLA e di valu­tazione del gruppo sanguigno. Se­

guono alcuni esami strumentali ge­nerali (ECG, Rx torace, ecocardio­gramma,…) e specifici per l‘arto (Rx, arteriografia, EMG, RMN). Que­sti esami sono utili per localizzare in tutte le strutture anatomiche pos­sibili danni o deformità postrauma­tiche. Seguono alcune visite specia­listiche (oculistica, odontoiatrica, allergologica, dermatologica, gine­cologica, chirurgica). Segue l’esa­me muscolare e la valutazione della funzionalità protesica da parte del fisioterapista, la valutazione aneste­siologica ed infine quella psicolo­gica affidata a psichiatri e psicolo­gi clinici con l’obiettivo di saggiare la convinzione del paziente ad af­frontare il trapianto.

Il giorno del trapianto Con la supervisione del N.I.T. e l’aiu­to sul territorio del Reparto di Ane­stesia e Rianimazione dell’Ospedale di Trento, è stato identificato pres­so l’Ospedale di Trento il 16/10/ 2000 il possibile donatore ed è quin­di stato richiesto il consenso dei fa­migliari all’espianto multiorgano, compreso l’avambraccio da trapian­tare. Un’equipe di chirurghi del­l’Ospedale di Monza, giunta sul po­sto celermente in collaborazione con le linee Avionord e gli elicotteri Agusta, ha effettuato l’espianto nella sera del 16/10.

Planning chirurgico Una procedura chirurgica attenta­mente programmata è uno dei pun­ti chiave per raggiungere un buon risultato clinico nel trapianto di mano. La nostra esperienza, dappri­ma con i due casi trattati a Lione

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(uno monolaterale ed uno bilatera­le) e successivamente col paziente trapiantato presso l’Ospedale di Monza è stata positiva grazie all’uti­lizzo di una sequenza standardizza­ta. Il primo tempo dell’intervento è rappresentato dall’attenta prepara­zione chirurgica con l’individuazio­ne delle singole strutture apparte­nenti sia al moncone dell’avambrac­cio del ricevente che del donatore. Si procede alla stabilizzazione sche­letrica, quindi alla rivascolarizzazio­ne microchirurgica mediante anasto­mosi arteriose e venose.

Si procede quindi alla rimozione dei clamp ed al rilascio del tourni­quet. Nel nostro caso il tempo to­tale di ischemia dall’espianto della mano al momento della prima rimo­zione del clamp arterioso è stato di circa 13 ore. L’irrigazione con solu­zione di Belzer per la preservazione degli organi a 4°C ed il manteni­mento a basse temperature del seg­mento di arto, non necessari nei casi di reimpianti d’arto, sono utili a prolungare il tempo di ischemia ed a permettere, pertanto, il trasporto in aree distanti dalla sede del pre­lievo dal donatore. Si procede, quin­di, alla riparazione di tendini, mu­scoli, nervi e cute.

Regime postoperatorio Il decorso posoperatorio iniziale è stato tranquillo. Non è stata osser­vata alcuna complicanza chirurgi­ca. Il paziente è stato trattato nei primi giorni con terapia anticoagu­lante ed antiaggregante a base di Destrano ed Aspirinetta. Gli è stata somministrata una terapia antibio­tica a largo spettro in associazione

ad una terapia immunosoppressiva costituita dal FK506, l’acido mico­fenolico e gli steroidi (Prednisone) con dosaggio a scalare nelle setti­mane successive all’intervento. L’FK506 è un farmaco di nouva ge­nerazione che ha permesso da un lato di garantire una perfetta co­pertura anti-rigetto minimizzando, dall’altro, gli effetti collaterali. In recenti trias clinici ha dimostrato, anche, una capacità addizionale di promuovere la rigenerazione nervo­sa. L’acido micofenolico, altro far­maco già diffuso per i trapianti di organi “salva-vita”, potenzia l’azio­ne dell’FK506 a dosi molto più bas­se riducendo ulteriormente i possi­bili effetti collaterali. La terapia è stata elaborata in collaborazione con il reparto di Chirurgia Generale degli Ospedali Riuniti e l‘Istituto di Ricerca Mario Negri di Bergamo. Il paziente, dopo aver ben tollerato la terapia immunosoppressiva, è stato

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dimesso dall’Ospedale 24 giorni dopo l’intervento proseguendo a domicilio una terapia di manteni­mento comprendente FK506, acido micofenolico e steroidi. La fisiote­rapia è iniziata quasi subito dopo l’intervento con una frequenza di 1­2 volte al giorno. Il programma si è strutturato inizialmente in una mo­bilizzazione passiva controllata e successivamente attiva in associa­zione ad esercizi di rieducazione sensoriale e protocolli di reintegra­zione corticale. Tali procedure sono state rese possibili anche grazie al­l’ausilio di apparecchiature estrema­mente efficaci e ad alta tecnologia messe a disposizione dalla Smith&Nephew. Il supporto psico­logico si è articolato in sedute gior­naliere nel periodo ospedaliero, quindi con cadenze di due volte alla settimana dopo la dimissione. Dai primi dati rilevabili la fisioterapia ha già portato ad ottimi risultati da un punto di vista motorio men­tre per il recupero sensoriale occor­reranno ancora 6-24 mesi per poter esprimere giudizi scientificamente corretti.

Le novità italiane del trapianto Sono fondamentalmente due rispet­to ai trapianti eseguiti in altri Pae­si: - un sistema di monitoraggio 24

ore al giorno, dei parametri vi­tali relativi al paziente ed alla mano trapiantata proseguito an­che a domicilio via telefono (tale sistema è stato finanziato dalla Fondazione CARIPLO con uno stanziamento apposito);

- insieme al trapianto sono state

innestate in un’area distante an­che frammenti di cute provenien­ti dal donatore utili nella valu­tazione di un eventuale rigetto e nel caso di biopsie diagnosti­che;

Conclusioni Il trapianto di mano è tecnicamen­te realizzabile. Le terapie immuno­soppressive danno buone garanzie sulla prevenzione del rigetto acuto. Se non rileveremo episodi di riget­to la prognosi, in termini di recu­pero sensitivo e motorio della mano trapiantata, dovrebbe essere simile se non meglio di quella riportata in molteplici casi di reimpianti di arto. Tra due anni, alla luce dei risultati ottenuti coi 5 trapianti effettuati in Italia, sarà utile confrontare nel corso di una convention mondiale tutte le esperienze effettuate fino ad allora per poter trarre delle con­clusioni sull’eventuale raggiungi­mento dei targets prefissati e sul­l’eventuale allargamento di questa procedura ad altri gruppi di pazien­ti.

Marco Lanzetta, Roberta Nolli, Ilaria Radaelli, Stefano Lucchina sono rispettivamente primario e collaboratori del Servizio di Chirurgia della Mano e Microchirurgia Ricostruttiva - Università degli Studi di Milano Bicocca - Ospedale S.Gerardo dei Tintori, Monza

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Analisi economica dei trapianti: la spesadel Servizio sanitario del Trentino nel 1999 Guido Baldessarelli

Il processo produttivo, la variabilità dei

costi unitari, i problemi aperti.

La valutazione economica dell’atti­vità di trapianto è stata oggetto di studi sempre più accurati nell’am­bito dei maggiori sistemi sanitari nazionali.

L’argomento risulta di interesse anche perché l’attività di trapianto comprende procedure fra le più com­plesse nello scenario delle presta­zioni di ricovero.

Grazie al continuo miglioramen­to degli schemi di analisi costi-be­nefici, costi-efficacia e costi-utili­tà sono state fornite sui trapianti informazioni di tipo economico mol­to dettagliate ed ampiamente con­divise fra gli addetti, per cui oggi può ritenersi tecnicamente dimo­strabile l’efficienza e l’efficacia del trapianto come terapia medica, so­prattutto quando viene eseguito in condizioni ottimali rispetto allo sta­to dell’organo ed allo stato di salu­te generale del paziente.

Per gli studi in materia sono ri­sultati determinanti: a) lo sviluppo della contabilità ana­

litica, - quale pilastro portante il processo di aziendalizzazione L’a

nalis

i eco

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ica

di ospedali e unità sanitarie lo­cali perseguito con la serie di provvedimenti avviati dal d. lgs. 502/92 - che consente di otte­nere oggi con maggiore facilità le informazioni necessarie per le analisi dell’economia sanitaria;

b) lo sviluppo del finanziamento delle prestazioni di ricovero in base a tariffe predefinite dalle Regioni di competenza per ter­ritorio, sulla base delle risorse assorbite nel processo di assi­stenza, valorizzate economica­mente secondo i costi standard di produzione;

c) la disponibilità di informazioni derivanti da specifici test som­ministrati ai pazienti “trapian­tati” in grado di rilevare la loro capacità cognitiva e la condizio­ne psichica, il grado di reinseri­mento nel mondo del lavoro, la

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Page 114: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

qualità dei successivi anni di vita.

Le indagini sopra ricordate risul­tano particolarmente proficue quan­do esiste e deve essere valutata un’alternativa terapeutica al tra­pianto (ad esempio la dialisi contro il trapianto del rene)1 oppure vi sono nell’ambito dello stesso inter­vento di trapianto diversi protocol­li procedurali di intervento. Que­st’ultimo filone di studi trova am­pia applicazione nei casi in cui il trapianto si ponga come intervento salva-vita, e dunque senza alcuna valida alternativa terapeutica.

Di contro, i maggiori limiti del­l’attività di ricerca sono da impu­tarsi alla molteplicità dei fattori che incidono contemporaneamente sui costi e sugli esiti degli interventi: valutazione della propensione al ri­schio del paziente, lo stato di salu­te dello stesso, capacità del sani­tario di prevedere e contenere le complicanze dell’intervento, la qua­lità degli organi e l’adeguatezza dei tempi in cui si rendono disponibili, i fattori legati alle dotazioni strut­turali e tecnologiche del centro tra­

1 Negli Stati Uniti il costo annuale della dialisi, è stato, nel 1996, di 40.000 $ per paziente. Il costo del trapianto di rene è risultato mediamente, eccettuati i casi limite di gravi complicanze, di 87.000 $ per il primo anno, mentre i costi sostenuti nel corso degli anni successivi sono di circa 12.000 $ in ragione d’anno. Già dopo tre anni il trapianto di rene è meno costoso della dialisi e quindi economicamente più efficiente. (1996, Report 1996, UNOS Press).

pianti, l’esperienza dell’equipe me­dica, etc. Quando ne viene tralascia­to qualcuno viene conseguentemen­te ridotta la capacità predittiva e di sintesi dell’analisi economica e quindi, inesorabilmente, si riduce l’interesse sulla stessa.

Lungi dall’inoltrarsi in questa ti­pologia di analisi (anche per il fat­to che le Strutture del Servizio sa­nitario della Provincia di Trento non erogano prestazioni di trapianto e mancherebbero le informazioni di base per l’elaborazione) il presente contributo punterà invece l’atten­zione sugli aspetti macroeconomici del processo di trapianto richiaman­do, marginalmente, la struttura dei costi che si sostengono per realiz­zare gli interventi, tenuto conto delle ricerche analitiche disponibili in letteratura per la realtà italiana.

Di particolare pregio, da questo punto di vista, sono lo studio IRER del 1993 sui costi dei trapianti in Lombardia, per l’analisi comparata fra i diversi centri trapianti della Re­gione, e lo studio FITO del 1999 sul­l’analisi dei costi dei Trapianti presso l’Azienda ospedaliera di Padova, per la brillante applicazione della tec­nica dell’ Activity-Base Costing.

Infine, una parte più consistente è riservata alla presentazione dei co­sti sostenuti dal Servizio sanitario provinciale per l’attività di trapian­to d’organo in favore dei propri as­sistiti.

Il processo produttivo del trapianto e le tariffe dei DRG L’attività di trapianto è caratteriz­zata da un complesso di funzioni e

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operazioni che precedono e seguo­no la fase dell’intervento di trapian­to in senso stretto. Preliminare al­l’analisi economica dei trapianti è quindi l’individuazione delle attivi­tà da comprendere nell’oggetto di costo.

Generalmente, gli studi più com­pleti, distinguono le seguenti quat­tro fasi del processo: a) l’individuazione del ricevente e la sua “gestione” pre-trapianto: il pa­ziente viene sottoposto ad una se­rie di accertamenti la cui conclu­sione è sintetizzata nell’indicazio­ne o meno al trapianto; quindi si attiva un sistema di controlli sani-tari periodici durante il manteni­mento in lista di attesa per verifi­care il permanere delle condizioni cliniche del paziente; b) il prelievo dell’organo: anche que­sta fase è composita e comprende l’osservazione del paziente proba­bile donatore, la tipizzazione degli organi, l’atto di prelievo e il tra­sporto dell’organo; c) l’intervento di trapianto in senso stretto: il paziente viene sottopo­sto al trapianto e trattato in tera­

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pia intensiva, passa quindi alla de­genza in reparto cui segue la di­missione; d) monitoraggio dell’evoluzione del quadro clinico: si tratta del follow up post-trapianto che può durare mediamente fino ad un anno dal giorno dell’intervento.

L’incidenza percentuale dei costi delle diverse fasi del trapianto d’or­gano è mostrata nella figura 1. Fra i quattro organi considerati, il tra­pianto di fegato risulta quello meno uniforme in quanto ad assorbimen­to di risorse nelle 4 fasi canoniche. Il follow up è “economicamente” più importante nel trapianto di cuore e in quello di rene.

Il quadro cambia però, anche in maniera significativa, nel caso vi sia l’insorgenza di complicanze impe­gnative. In questo caso aumentano la loro incidenza la fase dell’inter­vento e soprattutto la fase di fol­low up.

Le valutazioni sui costi delle pre­stazioni di trapianto da parte del Ministero della Sanità possono es­sere evinte dallo studio delle tariffe delle prestazioni ospedaliere, clas­

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3 fase

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Cuore Polmone Fegato Rene

Incidenza percentuale dei costi delle diverse fasi del trapianto

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sificate in base ai cosiddetti DRG(Diagnosis Related Groups).

In proposito le pietre miliari delprofilo normativo sono costituitedal decreto ministeriale 15 aprile1994 (criteri per il calcolo del co-sto standard delle prestazioni sani-tarie), dal decreto ministeriale 30giugno 1997 (tariffario di riferimen-to dell’assistenza ospedaliera perDRG) e dalle linee di guida n. 1/1995, che regolamentano il siste-ma di finanziamento prospetticodell’assistenza ospedaliera in Italia.

Queste ultime direttive indicanoalcune aree ospedaliere che è op-portuno escludere in tutto o in par-te dal finanziamento a prestazione,

tra cui vi è anche il programma dei trapianti. Con ciò, viene sancita l’in-capacità sostanziale del sistema di pagamento prospettico di remune­rare correttamente i costi di queste prestazioni.

Tutte le Regioni sedi di ospedali che effettuano trapianti d’organo, chiamate a delimitare il campo di applicazione del sistema di finan-ziamento e l’articolazione del siste­ma tariffario secondo le caratteri-stiche delle rispettive reti ospeda­liere, hanno aderito all’indicazione ministeriale prevedendo per i tra-pianti, oltre alla remunerazione del relativo DRG, anche l’erogazione di specifici fondi a finanziamento del-

Costi specif ici per DRG e relativa incidenza % (Import i in migliaia di lir e) Tabella 1

DRG: 103 302 480 481 Trapianto cardiaco Trapianto di rene Trapianto di fegato Trapianto di midollo

Tariffa recata dal D.M . 30/6/97 96.750 70.950 118.000 80.000

Scomposizione della tariffa valore % valore % valore % valore %

Cost o d el personale medico dei reparti di degenza

Cost i ammin is trativi e generali

Cost o d el personale infermieris tico e dell ’assis ten za alb ergh ieraCost i sala operat oria

Cost i dei farmaci

Cost i dei servizi di imagin g

Cost i delle unit di cura intens iva

Cost i delle protesi e dei presidi medico-chirurg ici

Cost i dei servizi di laboratorio

Figura 1

Cost i degli alt ri servizi clinici 32.218 33.3% 40.796 57.5% 46.846 39.7% 14.080 17.6%

TOTALE 96.750 100.0% 70.950 100.0% 118.000 100.0% 80.000 100.0%

4.257 4.4% 2.696 3.8% 3.304 2.8% 3.440 4.3%

5.515 5.7% 3.477 4.9% 4.366 3.7% 4.480 5.6%

5.515 5.7% 4.399 6.2% 1.888 1.6% 12.960 16.2%

7.160 7.4% 2.129 3.0% 11.092 9.4% 480 0.6%

7.837 8.1% 6.386 9.0% 11.800 10.0% 21.440 26.8%

5.999 6.2% 1.419 2.0% 4.248 3.6% 3.120 3.9%

12.384 12.8% 4.825 6.8% 15.104 12.8% 160 0.2%

7.450 7.7% 1.419 2.0% 5.900 5.0% 5.280 6.6%

8.417 8.7% 3.406 4.8% 13.452 11.4% 14.560 18.2%

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ale funzioni connesse all’attività di trapianto. Pertanto è bene sottoli­neare che un’analisi del fatturato per DRG non rappresenta che una par­te, seppure la più consistente, dei costi della procedura di trapianto.

Si osserva, infine, che il tariffa­rio di riferimento nazionale dei DRG (il citato D.M. 30 giugno 1997) non espone esplicitamente il DRG per il trapianto di polmone né quello per il trapianto di pancreas. Questo li­mite ha indotto le Regioni ad indi­viduare dei correttivi ai DRG di rife­rimento in cui comunque conflui­scono le citate prestazioni (ad es, al DRG 075- interventi maggiori sul torace - come si dirà anche in se­guito).

La tabella 1 riporta, per tutti gli altri trapianti, i DRG di riferimento e le relative tariffe ordinarie, disar­ticolate nelle principali componen­ti di costo (sia in valore che in per­centuale).

Gli importi delle tariffe risultano concepiti per la remunerazione del­le prestazioni comprese essenzial­mente nella terza fase del processo e solo marginalmente nella quarta fase. Per quanto riguarda la fase dell’espianto è prevista la tariffa di lire 4.884.000.=, aggiuntiva.

Dal confronto dei costi di trapian­to dei diversi organi si osserva im­mediatamente la grande variabilità della composizione delle voci di costo, non solo in valore (e ciò sa­rebbe anche facilmente intuibile) ma soprattutto come incidenza percen­tuale. Per inciso, da una attenta analisi dei dati è in parte già possi­bile giustificare il diverso peso as­sunto dalle quattro fasi della proce­

dura di trapianto di cui al diagram­ma sopra riportato.

La voce più consistente riguarda i “costi degli altri servizi clinici”. In essa confluiscono in particolare i servizi specialistici (Neurologia, Cardiologia, Nefrologia, Dialisi, …) come pure i costi organizzativi del Centro trapianti. Tutte le voci sono comprensive degli ammortamenti e delle manutenzioni delle attrezza­ture mediche ed economali.

La variabilità dei costi unitari Rispetto ai valori delle tariffe dei DRG si sono osservate consistenti differenze nei costi unitari di pro­duzione dei centri di trapianto ita­liani.

Le principali motivazioni sono ascrivibili e tre ordini di cause: i volumi di produzione, le complican­ze, i protocolli medico-chirurgici.

I volumi di produzione In proposito merita brevemente ri­cordare che il processo del trapian­to di organi è caratterizzato dall’al­ta intensità di tecnologia e di co­noscenza a cui si aggiunge il fatto di essere effettuato in regime di emergenza.

La configurazione dei costi evi­denzia la prevalente componente fissa: i costi totali dell’attività di trapianto subiscono delle variazio­ni molto contenute al variare del numero di trapianti effettuati, fin­chè si producono volumi compati­bili con la capacità del centro.

L’ovvia conseguenza è che il co­sto unitario del trapianto, coeteris paribus, diminuisce anche molto

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sensibilmente all’aumentare delle prestazioni di trapianto. Queste con­siderazioni, se vogliamo di buon senso, sembrano invece poco segui­te non solo nel contesto italiano, la cui storia è relativamente recen­te, ma anche in altri sistemi sani-tari.

E’ stato osservato che attualmen­te vi è una “corsa” al trapianto nel mercato sanitario statunitense per cui si riscontra un certo proliferare di ospedali abilitati alla effettua­zione dei trapianti. L’effetto sui co­sti è dirompente e diffuso: data la scarsità di organi il fenomeno com­porta un aumentano dei costi sia per i nuovi centri sia per i preesi­stenti, che vedono ridurre le pro­prie prestazioni e che sono costret­ti a trovare nuove formule incenti­vanti dei medici professionisti per trattenerli presso la struttura. Sul fronte della qualità delle prestazio­ni non va nemmeno sottovalutato che la necessità di incrementare i trapianti può favorire una diminu­zione dello standard richiesto per considerare un organo veramente idoneo al fine del trapianto.

La “corsa” nonostante tutto c’è. E si spiega nel fatto che viene ac­cettata la perdita del “segmento tra­pianti” a fronte dei maggiori bene­fici che può ottenere l’ospedale nel suo complesso (in termini di imma­gine, economie di apprendimento ed economie di scala) ove si accresca la domanda delle prestazioni su cui l’ospedale è in grado di realizzare margini di gestione.

Come accennato vi sono altre cause di variazione del costo del singolo trapianto. Esse possono

classificarsi in due gruppi: le cause esogene relative alla sfera del pa­ziente e le cause endogene, di di­retta responsabilità dell’equipe me­dica addetta al trapianto.Le prime concernono le condizioni cliniche del soggetto ricevente, le condizio­ni di idoneità dell’organo trapian­tato e la conseguente probabile in­sorgenza di complicanze (rigetto acuto, rigetto cronico, necrosi, in­fezioni…). Le seconde riguardano le scelte dei protocolli farmacolo­gici, procedurali ed assistenziali.

Le complicanze Dalla analisi dei dati offerti dagli studi più accreditati disponibili in materia si possono evincere, sinte­ticamente, le seguenti osservazio­ni: a) Le complicanze variano notevol­

mente per ciascun organo tra­piantato, eccettuato il rigetto

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aacuto che appare una possibile complicanza comune;

b) Le complicanze hanno una diver­sa incidenza sui costi a seconda del momento del processo di tra­pianto in cui si verificano. La medesima complicanza per la stessa tipologia di trapianto comporta cioè costi diversi ri­spetto alla fase procedurale in cui si manifesta;

c) Le complicanze sono osservate sostanzialmente in tutti i casi di trapianto. Ciò richiede una rifles­sione sull’utilità di eseguire va­lutazioni economiche sui tra­pianti incentrate sul concetto di prestazione standard ottimale (di fatto ormai troppo rara);

d) La concomitanza di più compli­canze può comportare costi tali da superare, da sola, l’importo della tariffa corrisposta per l’in­tero trapianto.

Il fenomeno è di tutto rilievo sia per l’impatto economico sia per l’al­ta frequenza con cui si manifesta, non sottacendo che l’insorgenza delle complicanze è il fattore più critico per la sopravvivenza del pa­ziente.

I diversi protocolli A parità di impegno del caso trat­tato e di successo del trapianto: a) Le tre voci di costo che risulta­

no più variabili fra i centri di tra­pianto, per il medesimo organo, sono il personale, gli esami di laboratorio e i farmaci (tali spe­se da sole spiegano nella mag­gior parte dei casi almeno il 70% della tariffa del rispettivo DRG);

b) Spesso si è osservata una corre­

lazione diretta fra l’aumento del­l’incidenza della voce “laborato­rio” ed il grado di funzionalità del laboratorio stesso per cui è lecito concludere che, anche nel settore dei trapianti, la capacità di offerta può influenzare il pro­tocollo diagnostico-terapeutico;

c) Nei trapianti degli organi più impegnativi (cuore e fegato) a fronte di costi totali per trapian­to sostanzialmente uguali vi sono differenze fra centri nelle singole componenti di spesa. Adottando, in ipotesi, la moda­lità meno onerosa per le singole componenti di costo, ritenendo le stesse non complementari, la spesa totale potrebbe diminuire di circa il 35%. In merito alla complementarietà è difficile im­maginare fenomeni di compen­sazione fra personale e farmaci o fra personale ed esami di la­boratorio.

I costi sostenuti dal Servizio sanitario provinciale nell’anno 1999: la compensazione della mobilità sanitaria interregionale e la convenzione con Innsbruck

La compensazione della mobilità sanitaria interregionale La compensazione della mobilità sanitaria interregionale è regolata: a) dalle disposizione recate dal d.

lgs. 502/1992 e s.m., art. 12 comma 3, che sanciscono il prin­cipio della compensazione fra Regioni degli addebiti di mobi­lità attiva e passiva in base a contabilità analitiche, per sin­

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golo caso trattato; b) da alcune circolari del Ministero

della Sanità; c) da disposizioni tecniche appro­

vate in sede di Conferenza per­manente per i rapporti fra lo Sta­to, le Regione e le Province au­tonome.

Inoltre, merita in questa sede ricor­dare che l’art. 6 della legge 724/ 1994 ha stabilito che le tariffe del­le prestazioni sanitarie che trovano applicazione nella compensazione devono corrispondere a quelle vigen­ti sul territorio regionale per la generalità degli utilizzi. Da ultimo il d. lgs. 229/1999 ha previsto, al­l’articolo 8 sexies, che il Ministero dovrà disciplinare i “criteri generali per la compensazione dell’assisten­za prestata a cittadini in regioni diverse da quelle di residenza. Nel-l’ambito di tali criteri le regioni potranno stabilire specifiche intese e concordare politiche tariffarie an­che al fine di favorire il pieno uti­lizzo delle strutture (…) nonché

Tabella 2 Confronti fra le tariffe dei trapianti delle Regioni

(Importi in migliaia di lire)

DRG Descrizione Tariffa DM Emilia R. Toscana Veneto Lombardia

75 INTERVENTI MAGGIORI 14.200 - - 117.020 108.402 SUL TORACE

103 TRAPIANTO CARDIACO 96.750 102.585 82.900 96.750 74.868

302 TRAPIANTO RENALE 70.950 75.207 63.700 70.950 34.776 (compreso eventualmente il pancreas)

480 TRAPIANTO DI FEGATO 118.000 125.080 114.700 137.573 120.209

481 TRAPIANTO DI MIDOLLO 80.000 85.530 ­ 77.552 ­OSSEOCellule staminali autologhe 64.000 65.000

Midollo osseo allogenico 123.200 130.000 HLA compatibileMidollo osseo all.co 145.000 150.000 da consanguineo non compatibile

l’impiego efficiente delle strutture che esercitano funzioni a valenza interregionale e nazionale.” Questo richiamo normativo, letto in rela­zione ai Centri di trapianto, eviden­zia la preoccupazione del legislato­re di garantire una articolazione ot­timale sul territorio degli ospedali che eseguono le prestazioni in esa­me.

Le tariffe dei DRG relativi ai tra­pianti vigenti per l’anno 2000 nelle Regioni limitrofe - salvo interventi correttivi con effetto retroattivo ­sono riportate nella tabella 2.

Queste tariffe sono i prezzi che corrisponde il Servizio sanitario pro­vinciale della Provincia Autonoma di Trento, a fronte delle prestazioni di trapianto beneficiate dai propri assistiti in ospedali di fuori provin­cia. Non hanno titolo alla compen­sazione i maggiori costi sostenuti dagli altri Servizi sanitari regionali che vengono finanziati a funzione.

Le maggiori differenze e difficol­tà interpretative si hanno per il DRG

119 Provincia Autonoma di TrentoPunto Omega n. 4

Page 121: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

Gli addebiti a carico del Servizio sanitario provinciale nel 1999 (Importi in migliaia di lire)

DRG DESCRIZIONE NUMERO DI CASI

NUMERO GG. DEG.

Importo Drg

Importo osservazio ne ed espianto

75

103

302

480

481

TOTALE 34 1.104 2.220.977 110.000

INTERVENTI MAGGIORI SUL TORACE (con trapianto di polomone) TRAPIANTO CARDIACO

TRAPIANTO RENALE (con cas i di trap.pancreas contestuale) TRAPIANTO DI FEGATO

TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO

2 86 225.422 11.000

3 108 256.424 16.500

13 291 323.401 71.500

2 50 275.146 11.000

14 569 1.140.584 ­

75. In esso confluisce il trapianto di polmone, con codice intervento 33.5, per cui alcune Regioni hanno stabilito una tariffa specifica men­tre altre hanno eseguito solo un adeguamento rispetto alla tariffa ministeriale, valutando la congrui­tà della tariffa in relazione al costo di tutti i ricoveri che confluiscono nel citato DRG 75. In tal modo, mediando, verrebbe comunque ga­rantita la copertura dei costi.

Va sottolineato che la tariffa della Regione Lombardia del trapianto renale è meno della metà del riferi­mento nazionale.

Per il trapianto di midollo osseo alcune Regioni hanno disarticolato la tariffa del DRG, in alternativa alla tariffa unica, come si legge nella tabella. In Liguria e in Friuli Vene­zia Giulia le tariffe vigenti corrispon­dono pienamente al tariffario del D.M. 30 giugno 1997.

Nel corso dell’anno 1999, nella compensazione della mobilità sani­taria interregionale risultano adde­

bitati dalle Regioni alla Provincia autonoma di Trento (cosiddetta mo­bilità passiva) n. 34 casi di trapianto per un importo totale di circa 2,3 miliardi di lire (tabella 3). Circa il 40% dei casi ha riguardato il tra­pianto di midollo osseo avvenuto prevalentemente presso l’ospedale S. Maurizio di Bolzano. Il relativo one­re assomma alla metà dell’importo totale in compensazione per l’atti­vità di trapianto. La tariffa unitaria del DRG è la più bassa fra tutte quel­le osservate sullo scenario naziona­le, a parità di prestazione.

Per quanto concerne il trapianto di rene, va notato che tutti i casi (n.13) sono stati trattati in Lom­bardia. Per 3 casi (25% circa) oltre alla prestazione di trapianto renale è avvenuta anche quella del pan­creas, a parità di tariffa addebitata che, addirittura, risulta meno della metà della tariffa nazionale di rife­rimento, come già accennato.

Il numero delle giornate di de­genza è più variabile per il trapian-L’a

nalis

i eco

nom

ica

120 Provincia Autonoma di TrentoPunto Omega n. 4

Page 122: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

Tabella 3 to cardiaco e di fegato, anche in relazione allo stato di salute di que­sti soggetti trapiantati. Maggiore uniformità e degenze sostanzial­mente contenute si osservano per il trapianto di rene e di midollo os­seo.

Il costo dell’osservazione, espian­to e trasporto dell’organo incide per il 10% circa del fatturato dei relati­vi impianti. Questa percentuale è superiore a quanto riportato negli studi analitici citati in premessa (che prevedono un intervallo di oscillazione compreso fra il 3% e l’8%). Ciò però era noto al tavolo tecnico della compensazione della mobilità sanitaria ed è stato voluto come segnale di riconoscimento e di incentivazione dell’attività in parola.

Rispetto all’intero debito del Ser­vizio sanitario provinciale per la mobilità sanitaria passiva dell’anno 1999 - Lire 82,1 miliardi - la spesa per i trapianti corrisponde al 2,7% circa.

La convenzione con l’ospedale di Innsbruck Come noto i Trentini, in forza di una specifica convenzione, possono ac­cedere alle prestazioni di trapianto presso il Landeskrankenhaus di In­nsbruck (si veda Michelini, pag. 73 e segg.).

In merito si osserva che anche in Austria è stato introdotto dal 1997 il sistema di finanziamento degli ospedali in base alle prestazioni erogate. Il sistema presenta però alcune differenze di impostazione rispetto al modello italiano dei DRG­ROD per cui viene imputata all’area

dei costi da finanziare con le tariffe predeterminate un volume superio­re di funzioni ed attività connesse al ricovero.

Il sistema austriaco si basa su un punteggio assegnato a 916 Casi Dia­gnostici correlati alle Prestazioni (CDP) cui si affianca un punteggio aggiuntivo per eventuali prestazio­ni speciali e correttivi a seconda dell’impegno che ha comportato il singolo ricovero. Il sistema è ugua­le su tutto il territorio nazionale e viene rielaborato ed aggiornato an­nualmente. Il punteggio assegnato ad ogni raggruppamento può varia­re in relazione al tipo di ospedale, alla dotazione di personale e di at­trezzature, al grado di utilizzo, etc). Un algoritmo particolare (punteg­gio giornaliero decrescente) è adot­tato per remunerare i ricoveri con durata superiore a quella di riferi­mento. Ad ogni punto è corrisposto nel 1999 l’importo di circa 162 lire. Il CDP è individuato direttamente da 596 gruppi di diagnosi principa­li o da 320 gruppi di singole pre­stazioni mediche. Quando vi sono più prestazioni mediche vi è un sup­plemento di punteggio. Fra le pre­stazioni speciali cui viene attribui­to un punteggio aggiuntivo vi è, per quanto ora di rilievo, anche il rico­vero in reparti di terapia intensiva.

In sostanza, il modello dei DRG italiano è orientato a garantire non tanto che la singola tariffa sia con­grua rispetto al singolo caso di ri­covero ma piuttosto che la singola tariffa consenta il finanziamento dell’ospedale perché mediamente congrua rispetto ai costi mediamen­te osservati per la tipologia di rico­

121 Provincia Autonoma di TrentoPunto Omega n. 4

Page 123: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

(fonte: elaborazione dati comunicati dall Azienda provinciale per i servizi sanitariDis tretto di Trento)

Le prestazioni beneficiate a Innsbruck nel 1999 (Importi in migliaia di lire)

DESCRIZIONE PRESTAZIONE N. casi N. gg. degenza Punti Importo

TRAPIANTO DI FEGATO 3 84 885.753 143.308

TRAPIANTO RENALE 1 28 187.361 30.313

Altre attivit di ricovero e specialistiche relative ai trentini gi trapiantati o in lista di attesa presso l’ospedale di innsbruck nel 1999

305.207

TOTALE 478.828 ’

L’ana

lisi e

cono

mic

a

veri a cui si riferisce. Il modello austriaco di pagamen­

to prospettico è decisamente più orientato a garantire sempre una maggiore corrispondenza fra i costi legati al singolo caso di ricovero ed il relativo compenso. Ciò solo è suf­ficiente a giustificare perché il tra­pianto di rene erogato dalla Regio­ne Lombardia è costato alla Provin­cia sempre 24 milioni circa, sia che abbia avuto una durata di 15 giorni sia che sia durato il doppio. E da ciò si comprende il motivo per cui a parità di prestazione ogni trapian­to eseguito ad Innsbruck è stato addebitato al Servizio sanitario pro­vinciale ad un costo diverso.

La tabella 4 indica l’attività ese­guita nel 1999 a favore degli assi­stiti del Servizio sanitario provin­ciale, i cui costo complessivo è ri­sultato di circa mezzo miliardo di lire. In conclusione gli interventi di trapianto di organi eseguiti in assi­stenza diretta, sia in Italia che pres­so la clinica di Innsbruck, hanno comportato una spesa nel 1999 di

lire 2,7 miliardi, pari al 3,2% circa della mobilità sanitaria passiva del Servizio sanitario provinciale.

Problemi aperti e sviluppi futuri dell’istituto della compensazione della mobilità sanitaria interregionale

Per l’anno 2000 i referenti regio­nali della compensazione della mo­bilità sanitaria interregionale stan­no riproponendo alla Conferenza Stato-Regioni l’adozione di un ta­riffario unico convenzionale per il pagamento delle prestazioni di ri­covero, ai sensi delle ricordate di­sposizioni del d. lgs. 229/99.

Contestualmente hanno conclu­so l’istruttoria per l’aggiornamento di alcuni DRG fra quelli che nell’ul­timo triennio si sono dimostrati più distanti dalla corretta copertura dei costi di erogazione.

Per quanto riguarda i trapianti la proposta di adeguamento, che sarà a breve valutata in sede politica, è sintetizzata nella tabella 5.

122 Provincia Autonoma di TrentoPunto Omega n. 4

Page 124: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

Tabella 4 (Fonte: elaborazione dati comunicati dall’Azienda provinciale per i servizi sanitari)

Tabella 5 Le propost e di adeguamento delle tariffe per l ’anno 2000

(Importi in migliaia di lire)

DRG Descrizione Tariffa DM 30.06.1997

Tariffario Unico Convenzionale

75 INTERVENTI MAGGIORI SUL TORACE E CODICE INTERVENTO 33.5 - (TRAPIANTO DI POLMONE)

14.200 96.750 (1)

103 TRAPIANTO CARDIACO 96.750 96.750

302 TRAPIANTO RENALE (compreso eventualmente il pancreas)

70.950 70.950

480 TRAPIANTO DI FEGATO 118.000 125.000

481 TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO 80.000 85.731

191 Con codice procedura 52.8 = TRAPIANTO DI PANCREAS

22.871 42.871

192 14.143 34.143

292 15.095 35.095

293 9.763 29.763

(gi a decorrere dal 1.1.99)

Ciò comporterà per il Servizio sanitario provinciale un maggior onere stimato, a parità di attività, in lire 635 milioni di lire (+23%).

Un problema aperto, anche se a carattere del tutto marginale, riguar­da la corretta gestione dell’onere aggiuntivo connesso al trapianto, relativo alle prestazioni di osserva­zione, espianto e trasporto dell’or­gano.

Attualmente le disposizioni vi­genti della compensazione prevedo­no la tariffa di lire 5.500.000.= per singolo organo, analogamente a quanto regolamentato in materia dalla Regione Veneto.

Se non vi è la prestazione di tra­sporto, ma solo l’osservazione ed il

prelievo, la tariffa prevista corri­sponde a quella recata dal citato D.M. 30 giugno 1997 ed ammonta a lire 4.884.000.=

La prestazione in parola deve es­sere considerata quale cessione di servizi da parte della Azienda sani­taria che effettua l’osservazione ri­spetto all’Azienda sanitaria che ef­fettua il trapianto.

La disciplina funziona quando l’attività di espianto e trapianto avviene nella medesima struttura ospedaliera o quando, se ciò non si è verificato, l’equipe che ha esegui­to l’espianto è diversa da quella che eseguirà il trapianto.

L’attuale regolamentazione non tiene invece conto che nella mag-

123 Provincia Autonoma di TrentoPunto Omega n. 4

Page 125: Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000

L’ana

lisi e

cono

mic

agior parte dei casi l’equipe che ese­gue l’espianto corrisponde a quella che eseguirà il successivo trapianto ed è esterna alla Struttura dove si trova il donatore. Sorgono così dubbi circa il riparto della tariffa di 5,5 milioni fra equipe esterna e Azien­da presso cui è avvenuto l’espian­to. Questo problema dovrà essere affrontato al più presto nelle previ­ste sedi tecniche e politiche.

In conclusione si ritiene che vi siano margini consistenti di recu­pero di efficienza puntando, in par­ticolare, sul perfezionamento dei protocolli sanitari di intervento, unica variabile che rimane nel pie­no dominio del Servizio sanitario, con margini di miglioramento, si è visto, di tutto riguardo.

Per quanto riguarda il Servizio sanitario della Provincia autonoma di Trento (473.000 abitanti), l’atti­vità di trapianto ha comportato nel 1999 una spesa di oltre 2,7 miliardi che è destinata a crescere per due ordini di fattori: a) l’aumento del numero delle pre­

stazioni secondo un trend posi­tivo che è destinato a migliorare anche in relazione alle compa­gne informative e di sensibiliz­zazione verso la donazione;

b) l’aumento delle tariffe in base all’accordo sul tariffario unico convenzionale da adottare per la compensazione della mobilità sa­nitaria interregionale.

Si stima quindi che per l’anno 2000 la spesa risulterà almeno di 3,3 mi­liardi, con una incidenza sul dato della mobilità sanitaria passiva di oltre 4 punti percentuali.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI [1] Angelo Ghirardini, Attività di

donazione e trapianto d’orga­ni - Elementi per l’analisi del processo di produzione. Editri­ce Compositori - 1999

[2] AA.VV, F.I.T.O. - Fondazione per l’incremento dei trapianti d’or­gano, Il costo del trapianto d’organo. Azienda ospedaliera universitaria Padova - 1999

[3] Giuseppe Clerico, Roberto Za­nola, Analisi economica dei trapianti: una rassegna dei pro­blemi. Mecosan n. 28

[4] Luigi Mittone, Analisi econo­mica dei trapianti d’organo di Lombardia. Franco Angeli edi­tore. 1993

[5] AA.VV. A cura di Tommaso Lan­giano, DRG: Strategie, valuta­zione, Monitoraggio. Il Pensie­ro Scientifico Editore - 1997

Guido Baldessarelli è funzionario del Servizio Economia sanitaria della Provincia Autonoma di Trento

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