Attività donazione e trapianto Regione Emilia - Romagna al 31 agosto 2008 .
Punto Omega 4 - La donazione e il trapianto di organi e tessuti 2000
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Punto Omega
Rivista quadrimestrale del Servizio Sanitario del Trentino
Nuova serie Anno II/2000 numero 4
Registrazione del Tribunale di Trento n. 1036 del 6.10.1999
© copyright 2000 Provincia Autonoma di Trento Tutti i diritti riservati. Riproduzione consentita con citazione obbligatoria della fonte
Direttore Mario Magnani
Direttore responsabile Alberto Faustini
Coordinamento redazionale ed editoriale Vittorio Curzel
Redazione e impaginazione a cura del Servizio Programmazione e ricerca sanitaria
Hanno scritto per questo numero: Antonio Autiero Guido Baldessarelli Luisa Berardinelli Claudio Beretta Aboul Kheir Breigheche Fiorenzo Chiasera Riccardo Di Segni Piero Draghi Stefano Forti Andrea Gerosa Ferdinando Ghirardini Antonella Graiff Marco Lanzetta Lucilla Lecchi Stefano Lucchina Luigi Martinelli Renzo Michelini Roberta Nolli Marcella Orrù Vincenza Palermo Antonio Pasciucco Franca Pellini Gabardini Monica Pisetta Florestana Piccoli Sfredda
Francesco Procaccio Ilaria Radaelli Maurizio Ragagni Paolo Rebulla Aleksandr Rudenko Girolamo Sirchia Roberto Valente Remigio Verlato
Progetto grafico Giancarlo Stefanati
Editing Attilio Pedenzini
Stampa Nuove Arti Grafiche Artigianelli – Trento
Stampato su carta ecologica Fedrigoni Vellum white
Indirizzo Provincia Autonoma di Trento Servizio Programmazione e Ricerca sanitaria Via Gilli, 4 38100 Trento tel. +39.0461.494037 fax +39.0461.494073 e-mail: [email protected]
Sito Internet www.provincia.tn.it/sanita
Provincia Autonoma di TrentoPunto Omega n. 4
4Mario Magnani
3 Editoriale
Monica Pisetta 5 La situazione in Italia
e in Trentino
Antonio Autiero 17 Il problema dei trapianti
in prospettiva bioetica
22 Il punto di vista delle religioni A cura di Fiorenzo Chiasera, Florestana Piccoli Sfredda, Riccardo Di Segni, Aboul Kheir Breigheche, Ferdinando Ghirardini, Andrea Gerosa, Marcella Orrù
Francesco Procaccio 47 La morte encefalica:
una realtà scientifica
Vincenza Palermo 54 Aspetti normativi
del prelievo e trapianto di organi e tessuti
Remigio Verlato 60 La donazione di organi
e tessuti: gli ostacoli per una scelta d’amore
Maurizio Ragagni 63 Il modello organizzativo
del processo di donazione e trapianto di organi e tessuti in Trentino
Renzo Michelini 73 La convenzione
con Innsbruck
Roberto Valente, Antonella Graiff, Piero Draghi, Stefano Forti
78 Realizzazione di reti gestionali e di registri per l’attività di prelievo e trapianto
Franca Pellini Gabardini 82 Il ruolo delle associazioni
86 Schede a cura di AIDO, ADMO, AIL, ANED
Luisa Berardinelli, Claudio Beretta, Antonio Pasciucco
92 Il trapianto di rene da donatore vivente
Luigi Martinelli 96 Il trapianto cardiaco: un
traguardo della chirurgia moderna
Lucilla Lecchi, Paolo Rebulla, Girolamo Sirchia
103 Il trapianto di sangue placentare
Marco Lanzetta, Roberta Nolli, Ilaria Radaelli, Stefano Lucchina
108 Il trapianto di mano eterologo
Guido Baldessarelli 112 Analisi economica dei
trapianti: la spesa del Servizio sanitario del Trentino nel 1999
anno due numero quattro
Provincia Autonoma di TrentoPunto Omega n. 4
2
“Serrati gli uni contro gli altri dalla crescita del loro numero e della moltiplicazione dei collegamenti, accomunati dal risveglio della speranza e dell’angoscia per il futuro, gli uomini di domani lavoreranno per la formazione di una coscienza unica e di una conoscenza condivisa”.
Pierre Teilhard de Chardin
“Punto Omega”, nel pensiero di Teilhard de Chardin, filosofo e teologo vissuto tra il 1881 e il 1955, è il punto di convergenza naturale dell’umanità, laddove tendono tutte le coscienze, nella ricerca dell’unità che sola può salvare l’Uomo e la Terra. “Punto Omega” è anche il titolo scelto per la rivista quadrimestrale del Servizio sanitario del Trentino ideata nel 1995 da Giovanni Martini, poiché le sue pagine vogliono rappresentare un punto di incontro per tutti coloro che sono interessati ai temi della salute e della qualità della vita.
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Avviare una riflessione accurata
e a tutto campo sulla tematica
della donazione e dei trapianti di
organo e di tessuto significa por
tare in primo piano una questio
ne determinante per la sanità
trentina e rafforzare l’impegno
politico che l’Assessorato alle po
litiche sociali e alla salute della
Provincia Autonoma di Trento si
è assunto in merito. Impegno
che, del resto, si è già manifesta
to concretamente attraverso al
cune, anche importanti, azioni
compiute in questi ultimi anni.
Il dare a questa tematica un’at
tenzione prioritaria deriva dal fat
to che l’argomento in questione
assume valenze particolari e più
profonde rispetto ad altre seppur
fondamentali tematiche di salu
te. Per rendersi conto di tutto
questo basta osservare la varie
tà, la ricchezza, l’ampiezza e la
competenza dei contributi pre
senti in questo numero della ri
vista, con tutte le conoscenze, le
prospettive e i nuovi spunti di ri
flessione che possono offrire a
ciascuno di noi.
La donazione di organi e di tes
suti costituisce un gesto estremo
di generosità e di solidarietà con
il prossimo.
L’Assessorato, in qualità di ente
deputato alla determinazione
delle scelte strategiche di politi
ca della salute, in collaborazione
con tutte le istanze sociali ed isti
tuzionali coinvolte, deve porsi
come primario obiettivo la pro
mozione di una cultura della do
nazione.
Questo vale ancor più in una si-
AEd
itor
iale
tuazione come quella del Trenti
no, dove purtroppo, come dimo
strano i dati a disposizione, per
cause solo in parte conosciute,
la donazione non è diffusamen
te praticata e, di conseguenza,
abbiamo difficoltà ad assicurare
l’offerta quantitativa di organi
che consenta corrispettivamente
agli utenti trentini di accedere al
trapianto. Come è noto, infatti,
secondo le regole stabilite dalla
normativa nazionale ed interna
zionale, a ciascuna Regione vie
ne assicurato un numero di or
gani per il trapianto uguale o con
gruo rispetto a quelli donati dai
residenti deceduti.
Una cultura della donazione non
può che derivare da un convinci
mento interiore e non può esse
re ottenuta attraverso la persua
sione e la coercizione, ma attra
verso la conoscenza profonda dei
vari aspetti di questa tematica,
affinché ciascuno possa trarre la
proprie conclusioni e operare le
proprie scelte.
Ugualmente determinante, poi, è
creare le condizioni organizzati
ve e operative ottimali per assi
curare che la complessa macchi
na delle donazioni e dei trapianti
possa funzionare nel modo più
efficace possibile.
Pur essendo indispensabile la
presenza di strutture e di attrez
zature tecniche adeguate, quel
lo che conta di più, alla fine, è,
come sempre, il “fattore uomo”,
che significa preparazione, impe
gno, motivazione e dedizione
degli operatori e anche capacità
relazionale sia con chi vive la per
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Edit
oria
le
dita luttuosa di un proprio caro
che con chi sta per ricevere l’or
gano donato. Nel caso dei tra
pianti, diviene più immediata e
imprescindibile che altrove l’esi
genza di umanizzazione della sa
nità e di centralità della persona,
che abbiamo posto come princi
pio fondamentale alla base di
tutti gli interventi previsti all’in
terno del disegno di legge di Pia
no sanitario provinciale 2000
2002.
Sia con quanto attuato in questi
ultimi anni, sia con la progettua
lità espressa in merito al tema
trapianti nel Piano, l’Assessora
to alla politiche sociali e alla sa
lute della Provincia di Trento ha
intrapreso la strada per favorire
l’incremento di questa pratica
terapeutica, concentrando sforzi
e risorse, sia sul versante della
sensibilizzazione della popola
zione (come è stato fatto per l’or
ganizzazione di una manifesta
zione musicale per i giovani in
occasione della Giornata nazio
nale donazioni e trapianti d’orga
no di quest’anno), sia sul lato or
ganizzativo-operativo, attraverso
l’aumento delle strutture dell’of
ferta sul nostro territorio (v. l’isti
tuzione della cardiochirurgia, la
creazione del secondo punto per
il trapianto di cornee presso
l’Ospedale di Rovereto, la con
venzione con Innsbruck), il per
fezionamento dell’organizzazio
ne nelle fasi di reperimento e di
trapianto d’organo (v. la nomina
del Transplant coordinator) e la
fornitura di adeguato trattamen
to assistenziale in loco per le per
sone trapiantate (v. la realizzazio
ne dell’ambulatorio trapianti).
Siamo tuttavia consapevoli che
l’obiettivo di una copertura ade
guata e dell’abbattimento delle
liste d’attesa deve avvalersi del
la diffusione nella comunità di un
comune sentire e dunque di con
tributi di pensiero multidiscipli
nari e di azioni intersettoriali che
formino all’interno e all’esterno
del sistema sanitario quella pro
pensione alla donazione e che,
nel rispetto dei principi universali
legati alla considerazione della
persona nella sua unicità ed iden
tità, possano fugare immotivati
dubbi e diffidenze.
Questa pubblicazione costituisce
un significativo esempio di que
sto incontro di prospettive e di
punti di vista, che nella loro di
versità, ma con il medesimo sen
tito coinvolgimento su questa
problematica, partecipano insie
me alla grande sfida sottesa al si
gnificato del titolo della nostra ri
vista e scopo principale della
stessa: la convergenza di tante
esperienze verso una forma di sa
pere superiore che conduce al mi
glioramento della salute e della
qualità della vita degli individui
e della collettività.
Mario Magnani Assessore provinciale
alle Politiche sociali e alla Salute
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La situazione in Italia e in Trentino Monica Pisetta
Una realtà complessa in cui progresso
medico-scientifico e sviluppo sociale
interagiscono con fattori di carattere
culturale e morale
La particolare collocazione della tematica Il tema delle donazioni e dei trapianti di organo e di tessuto è caratterizzato da una complessità tale da generare riflessioni e discussioni, polemiche e prese di posizione che in alcuni periodi hanno infiammato il contesto sociale e culturale.
La pratica delle donazioni e dei trapianti non coinvolge solo l’ambito medico-scientifico, ma implica aspetti, riflessioni e pareri multidisciplinari che si incrociano, spesso concordano, talvolta creano dissenso, conducendo a uno stato delle cose contraddittorio e confuso.
Perché succede questo? I trapianti costituiscono una pra
tica terapeutica per molti versi di frontiera e per questo motivo molti ravvisano il pericolo (come avviene per quanto riguarda lo sviluppo dell’ingegneria genetica) che l’uomo si comporti da “apprendista stregone”, per usare quella bella e realistica metafora di Goethe che preannuncia grandi pericoli che possono ve
rificarsi quando la tecnica si evolve più velocemente della capacità umana di controllare con il proprio intelletto tali nuove acquisizioni.
Tuttavia, nel caso dei trapianti, i positivi risultati raggiunti, così come la loro diffusione e il progressivo loro perfezionamento, l’acquisizione di tecniche ormai consolidate e in continua evoluzione, insomma la fuoriuscita definitiva dall’era pionieristica possono in gran parte stemperare l’esistenza di tale rischio. In Italia, il trapianto ha cominciato ad essere praticato nel 1971 (per quanto concerne il rene), mentre già agli inizi degli anni ‘80 si sono gradualmente diffusi gli interventi più complessi relativi al cuore, al fegato o multiorgano, prima della regolamentazione normativa avvenuta nel 1993 con la Legge n.578 “Norme per l’accertamento e la certificazione degli stati di morte”. Inoltre, in attuazione della Legge n.301 “Norme in materia di prelievi ed innesti di cornea”, si sono consolidati i trapianti relativi a questo tessuto.
Il punto critico è dunque un altro e riguarda una caratteristica intrinseca di questa “pratica terapeutica”, e cioè che le donazioni e i trapianti coinvolgono direttamente la questione fondamentale dell’esistenza umana, ovvero quella relativa al rapporto e al confine tra la vita e la morte.
Il problema dei trapianti riguarda questioni di carattere scientifico, etico, teologico, religioso, giuridico e di altra natura, ma tutte queste posizioni sedimentano infine –salvo quella relativa alla invio
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elabilità e sacralità del cadavere per motivazioni soprattutto religiose- in un’unica essenziale questione di fondo, a cui si deve dare preventivamente risposta: si tratta di stabilire in maniera inequivocabile la definizione dello stato di morte e di fissare criteri che consentano di dire quando essa si verifica effettivamente.
E’ evidente che il discorso è diverso e risulta molto meno problematico per quelle donazioni che vengono effettuate da persona viva, quali la placenta, il midollo osseo, o lo stesso sangue, dove pertanto è più facile assicurare la disponibilità alla donazione e dove comunque rimane sempre necessaria la mobilitazione delle associazioni per informare e sensibilizzare le persone. Nel caso del midollo osseo, poi, la disponibilità dell’individuo tramite la propria iscrizione all’apposito albo, configura una atipicità nella donazione, in quanto questa disponibilità ha solo un valore morale, e dovrà essere confermata nel caso (del resto, molto raro) di identificazione di una prima compatibilità con un paziente. Sempre in questa tipologia rientra la donazione di un organo (nella fattispecie il rene) da vivi: pur comportando tale espianto effettivamente alcune limitazioni per il proprio stile di vita e talvolta una percentuale di rischio.
La vita, la morte, il cuore che batte Tornando quindi a questo tema centrale, senza entrare nel merito della questione sia scientifica (la definizione della morte encefalica come
stato di morte dell’individuo) che etica (l’accettabilità morale di questa definizione), oggetto di due specifiche relazioni contenute nella rivista (cfr. Procaccio e Autiero), è doveroso sottolineare che il “nuovo” concetto di morte (la morte encefalica come morte dell’individuo) è stato formulato sulla base delle più avanzate cognizioni scientifiche e soprattutto in assoluta indipendenza e in assoluta distinzione rispetto a qualsiasi altra considerazione di qualsiasi ordine. Si tratta quindi di una definizione primaria, neutra e circoscritta, sulla cui base è poi stata definita con chiarezza, rigorosamente limitata e garantita la possibilità del prelievo di organi e quindi i criteri, i compiti, le attribuzioni e le responsabilità per una pratica sanitaria scientificamente fondata ed eticamente corretta.
In altri termini, è solo sulla base di queste certezze inconfutabili dal punto di vista medico-scientifico (ovvero del massimo livello cognitivo attualmente elaborabile e sostenibile nella nostra società), la cui ricerca è stata stimolata dall’interesse primario dell’uomo di stabilire i confini della propria vita, che è stato possibile giungere ad una definizione preventiva, obiettiva ed enucleata della morte. Per contro, se tale definizione si fosse fondata su concetti di carattere morale-filosofico o giuridico, questo sarebbe stato un errore estremamente grave, perché tali principi astratti sono sempre potenzialmente discutibili; il loro compito invece è quello da una parte di giustificare e dal
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l’altra di regolamentare l’applicazione della definizione scientifica della morte relativamente alle donazioni e ai trapianti d’organo.
E’ quindi nuovamente da evidenziare l’indispensabile rigore che ha indotto a separare i requisiti teorici per la definizione di morte dai requisiti per gli espianti di organo, perché la necessità di raccogliere gli organi per salvare vite umane non deve venire incorporata nella definizione di morte. Solo così si dovrebbe accettare che se un ex paziente in stato di morte cerebrale assomiglia ad una persona vivente solo per il fatto che il cuore è battente a causa della ventilazione artificiale che gli viene praticata per tener irrorati gli organi e consentire un eventuale prelievo, questo non è un motivo per confondere la vita e la morte.
L’appropriatezza e la rigorosità di questo discorso, apparentemente ovvio, si scontra con la mancata accettazione, a livello sociale, del fatto che anche un fenomeno apparentemente chiaro ed immutabile come la morte è culturalmente determinato e che quindi anche la sua definizione dipende dall’epoca e dal contesto in cui viene formulata.
E’ noto che l’evoluzione della scienza biomedica ha dimostrato che, pur essendo in assoluto l’arresto cardiaco e il conseguente blocco della funzione circolatoria e respiratoria protratti per un lasso di tempo il criterio più sicuro per la constatazione di morte, questo da una parte non è sicuramente l’unico criterio e dall’altra rappresenta spesso l’esito estremo di una morte
già precedentemente avvenuta (cfr. Procaccio, pag. 47 e segg.).
Ma l ’equazione “cuore che batte=persona viva” è dura da cancellare nel vissuto e nell’immaginario individuali e collettivi, rappresentando questo organo, in un retaggio millenario di immagini e di parole, nell’arte e nella letteratura, la sede delle funzioni fisiche e immateriali che fanno la vita. E’ questo che crea dubbi e perplessità, non soltanto a livello del senso comune, e consente l’elaborazione di giustificazioni teoriche, che si configurano spesso come “ribellioni” contro un presunto assolutismo della medicina che pretende di fornire una verità indiscutibile, limitata agli aspetti fisico-materiali, per la primaria questione della vita e della morte.
La “zona d’ombra” In un forum aperto ai lettori dal quotidiano “La Repubblica” in occasione dell’approvazione della nuova Legge nazionale sui trapianti (L. n.91/99) e in relazione della prevista opzione personale tramite Donocard inviata a tutti i cittadini italiani da parte del Ministero della Sanità, si tasta con mano questa situazione, per un certo verso schizofrenica, per cui, accanto a coloro che sono convinti assertori della possibilità delle donazioni e dei trapianti (sono però pochi quelli che lo sono senza aver avuto precise esperienze concrete, o come operatori o come pazienti o come familiari di un donatore o trapiantato), esistono prese di posizione decisamente contrarie, non solo in riferi
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emento all’obbligatorietà di opzione e ai legittimi dubbi che effettivamente essa può creare, ma anche verso l’atto stesso della donazione.
Tali obiezioni vengono addotte con motivazioni di vario genere, quasi tutte riferentesi direttamente o meno, alla presunta incertezza che la persona donante non sia realmente morta (pensiamo ad esempio alla posizione estrema assunta in maniera istituzionalizzata dalla “Lega nazionale contro la predazione degli organi e la morte a cuore battente”). Tra gli stati di dubbio rientrano anche le inquietudini manifestate da alcuni noti personaggi del pensiero contemporaneo o “opinion maker”, come il filosofo Umberto Galimberti, lo scrittore Guido Cero-netti, il giornalista Fabrizio Del Noce.
Vorrei riportare alcuni esempi emblematici di queste riflessioni condotte all’interno di questo forum o in altri contesti. - Dissenso nichilista: “…Vedo male il trapianto in sé. Sento che può essere la causa che può attirare una catena senza fine dicrimini….questa dei trapianti è una delle soluzioni tra le più negative del mondo, anche se può presentarsi con qualche forma di bene…E’ un’occasione offerta al crimine il fatto che la cosa –cioè il trapianto-si possa fare”. - Dissenso epistemiologico: “…la Scienza…in particolare nel campo medico appare come ‘la nuova religione’ dove un pensiero umano superiore è in grado di leggere ed interpretare le croci dell’umanità tutta. L’uomo viene catalogato, esami
nato, trattato e verificato, eccetera: ci sono risposte per tutto e per tutti. Ma è proprio così? Oppure in questa visione materialistica fatta di matematica, di parametri e di tecnologie sofisticate c’è qualcosa che sfugge? Non è che la nostra scienza è fatta di “modelli” che a loro volta non sono altro che un’ “interpretazione umana” di un Creato tuttora lontano da una reale comprensione? E cosa dire delle suggestione dell’ego, che portano taluni alla manipolazione degli stessi (modelli) per fini non propriamente etici?…E’ profondamente ipocrita e subdolo operare sui sentimenti elevati di solidarietà umana e sociale per avallare pratiche mediche che altrimenti suscitano istintivamente quantomeno delle perplessità…”. - Dissenso filosofico: “…soprattutto c’è in ciascuno di noi una certa resistenza ad adottare quello sguardo riduttivo, perché solo organico, che la scienza medica ha della vita e della morte…nel caso dei trapianti (questo) implica la perdita della nozione del corpo a favore di quella di organismo, della nozione di individuo a favore di quella di genere, della nozione di vita e di morte e più in generale di esistenza a favore del puro e semplice prolungamento di un quantitativo biologico…Quello che a suo tempo non riuscì alla filosofia oggi riesce alla medicina, la cui mentalità va diffondendosi in ciascuno di noi, senza che nessuno di noi pensi a quale concetto di uomo fa riferimento la scienza medica per poter sostituire i pezzi del nostro corpo….L’unico a soffrirne resta
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l’uomo, per il degrado del concetto di sé che, grazie alla scienza medica va introiettando…”. - Dissenso medico-quantistico: “…La morte cerebrale non può essere diagnosticata con certezza, ma solo con “estrema probabilità”…” (è un medico anestesista che parla). - Dissenso consequenziario “Diventare tutti possibili donatori crea appetiti malvagi da parte degli individui senza scrupoli che sono presenti in abbondanza nella nostra società…Potrei essere d’accordo sulla morte cerebrale, se il bisogno di organi non creasse a catena una serie di aberranti problemi…Ad es. la legge dovrebbe stabilire che sono esclusi dalla categoria dei donatori le vittime di omicidio, perché altrimenti chi potrebbe fermare la furia di procacciatori di organi o anche semplicemente di persone comuni che, di fronte alla scelta di vita o di morte di un proprio congiunto, perdono la testa e fanno l’impossibile per salvarlo?”; - Dissenso morale: “Nel gesto solidaristico del trapianto c’è un germe di egoismo umano…in fondo, una persona in attesa di trapianto che sente la vita sfuggirli tra le mani aspetta con ansia la morte di un altro perché è a ciò che è legata l’unica possibilità per la sua sopravvivenza…”.
Tutte queste considerazioni danno conto di come la delicata questione dei trapianti metta in gioco vari livelli dell’essere uomo e di queste implicazioni bisogna prendere atto, anche se si parte da quel punto certo che è la definizione di morte sopra descritta che consente la pos
sibilità della donazione. Appare chiara la difficoltà di ela
borare e di creare un punto di riferimento culturale e di confronto verso cui possano convergere le varie posizioni, per produrre adeguata mediazione e corretta informazione e conseguentemente giungere alla sensibilizzazione e ad una spontanea condivisione e adesione.
Per quanto concerne il sentimento di solidarietà eroica e il senso altruistico della generosità verso il prossimo o addirittura, come è stato invocato recentemente in riferimento alle previsione della legge, il senso dell’interesse sociale che prevarica l’interesse soggettivo, si sa che la donazione costituisce sempre una scelta e una predisposizione maturate individualmente e rimesse quindi alla volontà e alle motivazioni del singolo.
La specificità italiana nei confronti della donazione La prova concreta della veridicità di questo ragionamento è costituita proprio dal caso italiano, dove è chiaro che il fattore culturale sopra descritto ha la meglio sulla tradizione solidaristica e sul processo di modernizzazione che in altri settori (prevalentemente legati alla produzione e al consumo) sta procedendo a ritmi accelerati e paralleli a quelli di altre realtà nazionali cosiddette avanzate.
Rispetto agli altri stati europei, è infatti rilevante in Italia il problema delle poche donazioni rispetto ai bisogni di trapianto, cosa che coinvolge anche il Trentino dove, rispetto anche ad altre regioni, è
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maggiormente visibile questa carenza, sia in termini assoluti che percentuali. Ecco, a tal proposito, alcuni dati indicativi.
Confronto Italia - altri Stati europei L’Italia si colloca sotto la media rispetto agli altri Stati europei. Si assiste comunque ad un trend crescente negli anni del numero di donatori, anche se questo aumento è lento, a differenza di quanto avviene per altri Stati (fig. 1).
Confronto tra aree geografiche italiane Una situazione adeguata dovrebbe prevedere almeno la coincidenza tra
il numero di donatori e il numero di trapiantati, anche per rientrare nelle regole stabilite in tal senso dalle organizzazioni (nazionali e internazionali) deputate alla raccolta e alla fornitura di organi. Invece si nota (fig. 2) la forte discrasia tra persone donatrici e persone trapiantate, non colmabile con il progressivo, leggero aumento delle donazioni (anche perché nel frattempo sono aumentate le possibilità e quindi le esigenze di trapianto). Evidente è la differenza tra le tre aree Nord-Centro-Sud (fig. 3 e tab. 1), dove alla maggiore arretratezza economica e sociale e alla carenza di servizi corrisponde una minore adesione e disponibilità alla donazione.
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Attivit di prelievo in Europa negli anni 1996/99 (Donatori per milione di abitanti)
0 5 10 15 20 25 30 35
donatori p.m.a.
1999 Spagna
1998
Portogallo 1997
1996 Francia
U.K.
Scandinavia
Svizzera
Italia
Grecia
fonte: Nord Italian Transplant
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Figura 2 Attività di prelievo
e trapianto in Italia - 1990/99
Figura 1 Attività di prelievo in Europa negli anni 1996/1999
Attivit di prelievo e trapianto in Italia - 1990/99
2.700 2.428
2.400 2.166
2.100
1.800
1.500
900
1.200 788
600
300
0
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999
844 980 1.075 1.154
1.509
1.922 1.978 2.125
289 304 320 359 445 576 629 667 709
trapiantati
Le donazioni e i trapianti in Trentino La scarsità delle donazioni in Trentino è riferita sia ai valori assoluti, sia in relazione al numero di persone residenti trapiantate, sia nel confronto con la media nazionale.
Se in Italia esiste comunque una tendenza chiaramente in leggera e continua crescita, in provincia di Trento la donazione è caratterizzata nel tempo da una netta discontinuità (tabb. 2,3,4) che rivela, unitamente allo scarto esistente tra il numero dei donatori segnalati (=disponibili) e il numero dei donatori utilizzati, l’esistenza di problemi di carattere organizzativo nelle strutture e nel processo che compone l’attività di donazione e trapianto.
Il principale effetto di questa situazione è una lunga lista di attesa per il trapianto, che riduce la possibilità di sopravvivenza per molte persone.
donatori fonte: AIDO
Altri ostacoli per la donazione Vista l’importanza, in Italia, dell’arretratezza culturale nella determinazione dei comportamenti, è difficile prevedere l’incidenza della normativa recentemente approvata (cfr. Palermo, pag. 54 e segg.), che, pur allineando a livello formale la nostra situazione a quelle più avanzate in Europa e nel mondo, intende “imporre”, con un grande atto di coraggio innovativo, la donazione tramite la regola del silenzio-assenso. Questo è comunque il punto che più ha creato polemiche e dissensi nel-l’ambito della discussione parlamentare, anche tra coloro che credono nella donazione. Ancora una volta, tipica situazione italiana, si introducono leggi che sono più avanzate, nei principi e nei contenuti, rispetto al comune sentire e quindi non costituiscono una reale emanazione del tessuto sociale che le ha prodotte.
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Non si possono ignorare nemme-no alcune perplessità riferibili, da una parte alle probabili situazioni paradossali che si possono venire a
creare, talvolta configurandosi come lesive della libertà e della autoderminazione dell’individuo (un esempio per tutti: se un cittadino contrario alla donazione per varie ragioni si dimentica di fare la dichiarazione e muore, viene considerato donatore, anche se i parenti, memori della sua volontà, si oppongono) e dall’altra alla creazione, nelle azienda sanitarie, di nuove, complesse e macchinose procedure burocratico-amministrative per la gestione delle decisioni effettuate dai cittadini, la cui messa a punto po-trebbe creare errori ed omissioni a danno degli stessi.
E non è finita qui: oltre ai pro-
Donatori utilizzati per zona geografica - 1998/99
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Regione 1995 1996 1997 1998 1999
Piemonte/Val d ’Aosta 16,3 15,6 18,5 17,4 18,8
Lombardia 15,7 15,1 15,5 18,9 18,2
Provincia Autonoma di Bolzano 28,9 26,5 22,0 37,1 28,2
Provincia Autonoma di Trento 4,3 17,3 8,6 6,4 10,6
Veneto 17,4 20,0 20,6 22,8 22,7
Friuli Venezia Giulia 23,5 20,1 19,3 11,8 16,8
Liguria 14,4 15,6 14,5 18,8 18,9
Emilia-Romagna 15,8 19,6 21,3 24,0 25,5
Toscana 11,6 12,4 12,7 13,0 26,9 Marche 6,9 6,2 10,3 6,8 8,9
Umbria 6,0 7,2 13,2 9,6 15,6
Lazio 5,0 7,3 6,1 7,4 6,0 Abruzzo/Molise 6,2 7,4 9,3 8,7 10,5
Puglia 3,9 4,9 4,4 5,8 7,3
Campania 0,7 1,0 2,9 3,1 3,4
Basilicata 1,6 6,5 4,4 3,2 6,5
Calabria 1,9 3,8 4,3 2,9 4,8 Sardegna 15,0 12,6 12,0 8,4 12,0
Sicilia 3,3 3,3 3,9 3,3 2,7
12 Provincia Autonoma di TrentoPunto Omega n. 4
--
Figura 3 Numero di donatori utilizzati nel 1999
Tabella 2 Attività di
donazione 1992/99 per numero e per
milione di abitanti in Trentino
Tabella 1 Donatori utilizzati per zona geografica 1998/99
Attivit di donazione: Numero
Donatori Segnalati 1992
4 1993
5 1994
6 1995
5 1996
10 1997
6 1998
9 1999
9 Donatori Utilizzati Donatori Multiorgano
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Reni Prelevati 6 4 10 4 15 8 5 7 Cuori Prelevati 3 2 4 1 5 3 2 3 Fegati Prelevati 2 1 4 1 7 3 2 3 Polmoni Prelevati Pancreas Prelevati
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1 0
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0 0
3 0
1 0
0 0
2 1
Attivit di donazione: PMP
Donatori Segnalati Donatori Utilizzati Donatori Multiorgano
1992 8,8 8,8 6,6
1993 11
4,4 4,4
1994 13,1
11 11
1995 11
4,3 2,1
1996 21,7 17,3 15,1
1997 13
8,6 8,6
1998 19,3 6,4 4,3
1999 19,1 10,6 8,5
Reni Prelevati 13,2 8,8 22 8,7 32,5 17,2 10,7 15 Cuori Prelevati 6,6 4,4 8,7 2,1 10,8 6,4 4,3 6,4 Fegati Prelevati Polmoni Prelevati
4,4 4,4
2,2 2,2
8,7 0
2,1 0
0,4 6,5
6,4 2,1
4,3 6,4 4,2 --
Pancreas Prelevati 2,2 0
blemi evidenziati, esistono altri elementi, sempre appartenenti alla tipicità italiana, che hanno contribuito e contribuiscono all’indifferenza, se non all’opposizione, verso la donazione.
Tali elementi riguardano: 1. La scarsa competenza, la disinformazione o la voglia di sensazionalismo dei mass media che spesso affrontano tale fondamentale questione con leggerezza e superficialità. Soprattutto è uso comune confondere e usare impropriamente i termini “morte cerebrale” e “coma vegetativo”, confondendo cioè tra la vera morte ed uno stato ancora vitale. E’ ovvio che tutto questo ha contribuito a fomentare polemiche, dissensi e prese di posizione erro
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fonte: Centro Nazionale Trapi anti
nee e fuorvianti l’opinione pubblica. Come sempre, anche in questo caso, il ruolo dell’informazione è rilevante per diffondere e chiarire, con coscienza e professionalità, le tematiche reali e concrete ruotanti attorno ai trapianti (in primis, proprio la tutela del donatore), evidenziando i problemi esistenti, quali le liste di attesa e le aspettative di coloro che ne fanno parte, le enormi difficoltà organizzative collegate ai trapianti stessi, ed eventualmente contribuendo alla denuncia delle situazioni di abuso e di condotta amorale, come il commercio clandestino di organi. 2. La poca motivazione, l’assenza di professionalità, la pigrizia, la mancanza di umanità, la si chiami
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Attivit di donazione - Confronto Trentino-Italia
Anno Provincia di Trento
media nazionale
1995 4,3 10,0
1996 17,3 11,0
1997 8,6 11,7
1998 6,4 12,3
1999 10,7 13,7
come si vuole, dell’organizzazione sanitaria che spesso si lascia sfuggire potenziali donatori e/o rende non fattibile un trapianto, nonostante la presenza di organi donati (rendendo di conseguenza inutile la donazione stessa). Come illustra egregiamente il successivo articolo di Ragagni, il trapianto non è altro che l’evento finale di una serie precisa di prestazioni concatenate,
nonché del lavoro di un elevato numero di professionisti, in cui basta il fallimento di un anello di questa “catena di montaggio” per fare fallire l’impresa. L’avvio di questo processo non può comunque prescindere, come si diceva prima, dall’ottenimento del consenso informato alla donazione, nel momento più difficile della perdita e del lutto da parte dei congiunti della persona morta e che per questo mette in campo, oltre che la competenza tecnico-professionale, le capacità relazionali del medico.
L’esperienza del trapianto Prima di concludere, è doveroso porre alcune riflessioni mutando la focalizzazione del discorso; finora abbiamo infatti ragionato partendo dal versante della donazione, che del resto costituisce il nodo delle argomentazioni in merito a questa te-
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Residenti in provincia di Trento: confronto tra donazioni e trapianti di rene - 1990/99
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num ero donazioni numero trapianti
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Tabella 3 Attività di donazione: Confronto Trentino - Italia
Figura 4 Residenti in provincia di Trento: confronto tra donazioni e trapianti di rene 1990/99
Tabella 5Provincia di T rento:
residenti in lista di attesa, organi
procuratie residenti
trapiantati - 1999
matica o, detto altrimenti, la con-dizione necessaria (sebbene non sufficiente) per il verificarsi del pro-cesso.
Ora invece vorremmo concentrare l’attenzione sull’altra faccia del-la questione: l’essere una persona trapiantata.
Come tutti sanno, la vita di chi è in attesa e di chi ha subito un tra-pianto non è facile.
Da una parte, l’aspettare con un tempo limitato a disposizione ladisponibilità di organi o di tessuti compatibili è una lotta contro lamorte che rende impotenti in par-tenza, perché non si tratta di mettere in campo le proprie forze per combattere e per resistere, ma è una guerra delegata all’esterno, in cui la persona coinvolta non ha possibilità di azione. E per molti (in Italia circa il 50% di chi è in lista di attesa) questo tempo scade per sempre.
Dopo il trapianto, invece, l’indescrivibile gioia del cambio di rotta della propria esistenza, ormai con-dannata, verso la vita è quantomeno mitigata (anche se non c’è dubbio che questo costituisce il male minore a fronte di questa nuova rinascita) dalle necessarie e pesanti terapie antirigetto e da continuicontrolli ambulatoriali, nonché dalla terribile possibilità che il rifiutocorporeo dell’organo, nonostante tutto, possa anche avvenire, ripor-tando la situazione al punto di par-
tenza.
Per onore dell’obiettività, si deve anche accennare ai casi in cui dopo il trapianto la sopravvivenza rimane relegata ad un periodo troppo
breve per giustificare il trapianto stesso, più o meno coincidente a quanto l’individuo avrebbe potuto comunque vivere anche senza l’in-tervento e senza dunque tutte la pesanti cure correlate che abbassa-no il livello della qualità della vita (si configura così una particolare forma di accanimento terapeutico). Intervenire o meno è comunque un dilemma spesso irrisolvibile, che ri-guarda anche altri settori della me-dicina. Dilemma che oggi si incomincia ad affrontare nell’ambito di un’ampia discussione sul ruolo, le prerogative e la relativizzazione di questa disciplina.
Nonostante questi problemi, la cosa che conta, nella maggior par-te dei casi, è soprattutto il ritorno alla vita di una persona per merito di un’altra persona che dalla vita se ne è andata, il che naturalmente rende assolutamente secondarie la difficoltà legate alla gestione del post-trapianto.
I recenti e sensazionali exploit della tecnica chirurgica si pongono tuttavia, secondo noi, in maniera
Provincia di Trento - residenti in li sta d’attesa,
organi procurati e residenti trapiantati - 1999
Organi
Pazienti residenti in lista
Organi procurati
Pazienti residenti
trapiantati (*)
Rene 30 7 12
Cuore 4 3 3
Polmone 1 2 2
Fegato 7 3 2
Tota le 42 15 19
(*) I trapianti effettuati a Innsbruck non sono compresi
fonte: Nord Ital ian Transplant
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sfasata ed incoerente rispetto aldiscorso generale portato avanti finora sul significato del trapiantocome dono per la vita.
Detto a chiare lettere: vale rischiare tutto quanto ben volentieri si rischia per recuperare la propria vita solo per avere una mano nuova? Ha un senso utilizzare risorseanche consistenti per assicurarequalcosa che è ottenibile in altrimodi (es. con una protesi avanzata), con maggiori vantaggi per lasalute dell’individuo? Non è soltanto una questione etica, ma anchepratica, fondata sulla considerazione del reale aumento della qualità della vita. Credo che tali aspetti che giustamente assurgono agli onoridella cronaca (perché, dal punto di vista dell’evoluzione tecnica-chirurgica, si tratta di un grande passoavanti) siano in qualche modo controproducenti nei confronti dellatematica delle donazioni e dei trapianti di organi e di tessuti come da noi intesa (finalizzate al recupero della vita); essi dovrebbero in qualche modo essere tenuti separati dalla discussione e dalla pratica terapeutica legata alla sopravvivenza delle persone.
Quello che in conclusione emerge con chiarezza dall’insieme deiproblemi aperti evidenziati è checiascuno dovrebbe collaborare, magari con spirito critico, ma positivo e costruttivo, per favorire il passaggio verso una realtà più matura, in cui siano rafforzati il senso di legame e di solidarietà degli uomini ein cui i benefici in termini di salute e di qualità della vita possano es
sere equamente distribuiti e mutuamente rafforzati.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI [1] U. Galimberti, “La zona d’om
bra” in La Repubblica del 24 marzo 2000
[2] David Lamb, “Il confine della vita”, Il Mulino/Contemporanea, 1987
[3] O. La Rocca, “Più silenzio che assenso, così rischiamo l’orrore” – Intervista a Guido Cero-netti sulla nuova legge, in La Repubblica del 3 febbraio 1999
[4] Forum “La nuova legge sui trapianti”, in La Repubblica.it Forum e Rete, febbraio 1999
Monica Pisetta è funzionario del Servizio Programmazione e Ricerca Sanitaria della Provincia Autonoma di Trento. Diego Conforti, funzionario del medesimo Servizio, ha collaborato nella ricerca ed elaborazione dei dati.
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Il problema dei trapianti in prospettiva bioetica Antonio Autiero
I problemi aperti e i loro riscontri
antropologico-etici
L’espansione della medicina dei trapianti in questi ultimi anni sta comportando, insieme ad una innegabile crescita delle speranze di salute per tanti pazienti altrimenti minacciati nella loro sopravvivenza, anche l’acutizzarsi di questioni teoriche, legate all’universo della praticabilità tecnica e a quello dell’accettazione sociale della prassi dei trapianti. Sul piano del diritto come su quello dell’etica si pongono domande la cui soluzione non sempre appare facile e comunque non é possibile, senza il ricorso a un sistema più ampio di comprensione antropologica e a un paradigma più inglobante, nel quale si colloca la questione del senso del nostro vivere. A tali domande e al loro più ampio orizzonte vuole ricondurre la presente riflessione. Essa non pretende di fare altro che presentare introduttivamente una lista dei problemi aperti e dei loro rispettivi riscontri antropologico-etici.
1. Una chiave di lettura generale, tesa a disegnare il senso proprio della medicina dei trapianti, può
essere ricavata dalle suggestioni che, anche sul piano simbolico, vengono suggerite da recenti fatti di cronaca medica. In Italia, qualche mese fa, per la prima volta è riuscito un trapianto di mano. A un paziente è stata “data una mano” a vivere meglio, a colmare, cioè, lo spazio vuoto della sua menomazione. Il sospetto con cui molta parte della pubblica opinione accompagna la prassi dei trapianti deve essere smontato proprio alla luce di questa indicazione di fine e di senso: in gioco non è - come da qualche parte si è pensato e si è detto una sorta di volontà pionieristica della medicina, per glorificare se stessa, ma la reale necessità di intervenire con soluzioni adeguate, per dare risposta proporzionata alla precaria condizione di salute e di sopravvivenza di determinati soggetti. E’ per “dare una mano” a vi
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vere, laddove le risorse endogene del paziente e quelle di supporto della medicina curativa non bastano più. L’orizzonte di senso e il tracciato antropologico che qui emergono riconducono inizialmente a una visione partecipativa e solidaristica della vita e del suo bene. Il fatto che il travaso di risorse vitali (organi, tessuti etc) sia tecnicamente in buona parte possibile non esaurisce tutto l’arco del problema. Esso rimanda a una sorta di legittimazione antropologica e etica e questa può, anzi deve, essere trovata nell’indole fondamentalmente relazionale e sociale della persona. Quanto esplicitamente avviene sul piano della medicina dei trapianti il “darsi la mano”, per rimanere nel linguaggio della metafora - sostanzia implicitamente e fondamentalmente il nostro essere al mondo. Senza apertura e solidarietà, senza esplorazione delle ragioni e delle modalità del vivere “con” e vivere “per” gli altri non fallirebbe solo una prassi medica, come quella dei trapianti, ma verrebbe messo fondamentalmente a rischio il nostro stesso quadro di riferimento antropologico, etico, giuridico. La solidarietà non è un additivo opzionale all’essere persone, ma il tessuto connettivo della nostra identità personale e sociale. Su questa linea esiste un cammino che costantemente va verificato e incrementato e al quale la medicina dei trapianti può apportare il suo fruttuoso contributo. Evidentemente tale cammino passa anche attraverso la strettoia - non tanto solo giuridica, quanto anche e soprattutto etica - di una
corretta educazione pubblica al senso della decisione solidaristica per la disponibilità al dono d’organi. Qui le prassi politiche e le campagne di opinione dovrebbero investire massimamente e sapientemente per far crescere la base del consenso e della consapevolezza della posta in gioco.
2. I sistemi giuridici che si sono occupati di regolamentare la prassi dei trapianti hanno individuato sin dal primo momento un ambito di problemi che non può essere trascurato: il problema della definizione di morte, come base di operabilità per l’espianto di organi da trapiantare. La discussione nei diversi ordinamenti non ha mancato di mostrare una certa evoluzione nella ricerca di modelli (morte cardiaca, morte cerebrale totale, cessazione dell’attività della corteccia), con il chiaro orientamento a una visione, oggi generalmente condivisa, secondo la quale la morte cerebrale va ritenuta come criterio sufficientemente sicuro per la definizione di morte del soggetto umano e quindi della disponibilità all’espianto. Senza voler qui entrare nella maglia dei dettagli neurologici, legati a questa questione, vogliamo solo rilevare il taglio antropologico di un simile problema e del suo orientamento attuale. Da una parte risulta chiaro un principio basilare su cui si fonda la nostra tradizione etica e cioè che la vita di un soggetto umano non è arbitrariamente disponibile nelle mani di un altro soggetto umano. Anche se le finalità di salvare una vita risultano del tutto
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chiare, non si può per tale scopo spegnere un’altra vita. La vita viene riconosciuta, così come un bene in sé e non come strumento funzionale per la riuscita di un’altra vita. La base antropologica della dignità insita nel soggetto umano viene sottolineata dalla faticosa ricerca di un criterio di accertamento della morte che faccia evitare definitivamente l’equivoco di funzionalizzazione di una vita per un’altra. Qui non vale - e subdolamente da qualche parte è stato troppo enfatizzato il contrario - il principio che si nega a una vita la sua sopravvivenza, per garantirla ad un’altra. “Mors tua vita mea” qui - come del resto anche altrove - non è il criterio di orientamento e di decisione morale. Ma c’è ancora un secondo sfondo antropologico su cui va richiamata l’attenzione: la convergenza sul criterio della morte cerebrale sta ad indicare anche una linea di comprensione dell’esistere al mondo
come “consapevolezza e coscienza”, nel disegno unitario del proprio essere. Il cervello assume una particolare collocazione nello sguardo che si ha sull’organismo vivente e in particolare su quello del soggetto umano. Esso garantisce l’organicità del sistema vita e permette le operazioni di consapevolezza e di coscienza riflessa che ne accompagnano il senso e la destinazione. E’ giusto, quindi, che sia da cercare proprio nel cervello la sede organica delle funzioni unificanti e coscientizzanti del vivere da soggetti umani. Orientandosi per tale criterio di accertamento di morte, la medicina dei trapianti (come per altro anche la medicina intensiva e in un certo senso anche la medicina pre- e perinatale) segue non un criterio di opportunità o, peggio ancora, di opportunismo per arrivare al suo scopo (accuse di tale portata sono state non di rado formulate), ma persegue una linea di pen
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siero antropologico e aiuta la messa a punto di un quadro di riferimento che si riflette sul piano etico e su quello giuridico.
3. Una terza area di problematiche messe in movimento dalla medicina dei trapianti andrebbe individuata nel riflesso che essa potrebbe avere a riguardo dell’accettazione del proprio limite di vita. Qualche volta si profilano dubbi sulla medicina dei trapianti, provenienti da chi pensa che essa induce le persone a credere che ci sia un “pezzo di ricambio” per ogni organo difettoso. Chi gioca con lo scenario fantastico immagina che così facendo, la vita non termini più, perché sempre essa si può rigenerare: una sorta di eternità per via di chirurgia dei trapianti. Così non è. Chi agita tali fantasie lo fa per discreditare, ma si serve anche di uno strumentario che banalizza i problemi e li volgarizza oltre misura. La medicina dei trapianti, al contrario, può educarci a un senso di responsabilità nei confronti della salute da curare, ma a partire dalla condizione di fondo, accettata e vissuta, che essa é e resta un bene limitato, perché legato alla nostra condizione di esseri calati nella storia, nella contingenza, nella finitudine. Contro ogni accusa di smania di onnipotenza, la medicina dei trapianti va difesa e risituata nell’alveo originario di una vera e propria medicina curativa. La confusione su cui spesso si fa leva, tra compito terapeutico della medicina e spazio aperto della sperimentazione (sia di base che applicata) non tange la prassi dei
trapianti. Essa riconosce sempre più l’ambito mirato e ristretto delle risposte che è in grado di dare e, cosa che per altro vale e deve valere per ogni altra branca della medicina, non si estranea all’idea di autoregolazione e di auto limitazione. Il difficile momento di definizione della “indicazione medica” al trapianto è uno degli strumenti per operare miratamente e non ad ogni costo, limitatamente e non a spirale aperta. Con ciò essa inculca anche nel paziente (e in definitiva nell’opinione pubblica, ampiamente intesa) che l’accettazione del proprio limite è condizione di riuscita e non di fallimento per la prassi curativa, anche a mezzo di trapianto.
4. Affacciandosi agli scenari futuri della medicina dei trapianti prendono forma due filoni che anche entrano nelle prospettive bioetiche e che conviene avere sott’occhio.
20 Provincia Autonoma di TrentoPunto Omega n. 4
Essi appartengono sì al futuro, ma a un futuro che in certo senso è già iniziato. Da una parte va ricordata la ricerca e i progressi sul piano dell’impiego di organi artificiali, dall’altra va richiamata tutta la vasta area della medicina dei “xenotrapianti”. Non si vuole qui appiattire i due problemi l’uno sull’altro. Le diversità vanno riconosciute e risiedono sia sul piano medico-tecnico, immunologico, che su quello psico-sociale, giuridico ed etico. Non è la stessa cosa ricorrere all’innesto di protesi, costruite con materiali inorganici o servirsi di tessuti ed organi ricavati da organismi viventi, dagli animali. Ma in comune i due problemi hanno lo sfondo antropologico che qui vogliamo sottolineare: essi mettono in risalto la necessità che abbiamo, dal punto di vista filosofico, antropologico e etico, di ripensare al concetto di “natura” - in particolare di “natura umana” che fa da criterio di definizione per qualificare “artificiale” o “innaturale” procedimenti e oggetti. L’orizzonte di pensiero - soprattutto di quello occidentale - ci ha troppo abituati a fissare la natura e il suo concetto entro limiti rigidi e gerarchicamente ordinati. Non a caso si parla di “antropocentrismo” che influenza filosofia, teologia, etica e giurisprudenza. Tale antropocentrismo (il primato non solo funzionale dell’uomo, ma anche assiologico, cioè valoriale) non si è molto curato della comprensione dell’uomo come di un essere appartenente alla comunità dei viventi, ma lo ha posto tanto al di sopra che poi ne è risultato al di fuori.
Riscoprire le radici comuni di ogni vivente è un compito a cui molte filosofie, teologie, etiche e antropologie non si sottraggono più. Il loro risultato, spesso ancora timidamente formulato e solo inizialmente trasferibile, potrà accompagnare la prassi degli xenotrapianti (e più in generale dei trapianti con organi artificiali), per rendere ragione dei suoi limiti e rischi, ma anche delle sue opportunità e aperture. Al fondo resterà una chance di rivalutazione del proprio destino comune nell’unica casa della vita.
Se con le presenti riflessioni non ci siamo addentrati in problemi specifici, nei riverberi di etica normativa e di ordinamenti giuridici particolari, ciò è stato intenzionale e voluto. Nella pluralità delle voci e delle prospettive, nell’attuale dibattito sulla medicina dei trapianti, la bioetica non deve pensare “corto”, ma sottoporre il tema a una considerazione ampia che trova le sue ragioni negli sfondi di visione della vita, dell’uomo e del mondo a cui ci si richiama, ma al tempo stesso entra in sinergia con altre visioni e non si chiama fuori (fosse anche per assumere i suoi compiti normativi) dalla fatica di “pensare per oggi”, cioè ripensare sempre nuovamente al senso e al valore della vita e alle modalità oggi rispondenti di viverla da uomini.
Antonio Autiero è Direttore dell’ITC-isr “Centro per le scienze religiose” di Trento e professore ordinario di teologia morale e seminario di teologia morale nella facoltà di teologia cattolica dell’Università di Münster (Germania)
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Il punto di vista delle religioni Fiorenzo Chiasera, Florestana Piccoli Sfredda,Aleksandr Rudenko, Riccardo Di Segni,Aboul Kheir Breigheche,Ferdinando Ghirardini, Andrea Gerosa,Marcella Orrù
Le religioni cristiane (cattolica,
protestante, ortodossa), l’ebraismo,
l’islamismo, i Testimoni di Geova,
il Buddismo, la fede Baha’ì
di fronte al tema dei trapianti
IL PUNTO DI VISTA DELLA RELIGIONE CATTOLICA
Il problema morale, e anche il problema della sensibilità e della reazione emotiva verso il trapianto, si scinde in realtà in due problemi totalmente diversi, ma che nell’animo di molti si mescolano, dando così luogo a reazioni, prese di posizione, titoli di giornali, tanto clamorosi quanto del tutto irragionevoli. Cerchiamo di dipanare la matassa emozionale, che è alla base della maggior parte delle resistenze ai trapianti d’organo. Questo ci permetterà anche di meglio precisare la nozione di “vita”.
La morte cerebrale come criterio Il primo problema morale è quello della determinazione del momento della morte di un essere umano. Quando si può dire che un essere umano è morto? E che cosa vuol dire “morto”? La nostra tradizione occidentale ha legato da secoli l’idea di morte con la cessazione del battito cardiaco e della respirazione. Anco-La
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ra oggi di norma la morte viene accertata dal medico con la constatazione della cessazione della funzione cardiorespiratoria, e dopo un certo numero di ore viene confermata (in genere dall’ufficiale sanitario che dà il permesso per la sepoltura) da altri segni, come la rigidità cadaverica, l’inizio della decomposizione etc. Oggi, e da alcuni decenni, per un paziente in rianimazione in cui la funzione cardiorespiratoria sia sostenuta da speciali apparecchiature, occorre distinguere se la funzione è solo sostenuta dalle apparecchiature oppure se è mantenuta esclusivnmente dalle apparecchiature. A questo scopo si usa il criterio della morte cerebrale. cioè della totale cessazione di ogni attività cerebrale. Semplificando un poco, si può dire che la cessazione della respirazione e del battito cardiaco sono sintomi - segni quasi certi - della morte cerebrale totale.
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II criterio della morte cerebrale totale è necessario per il trapianto di organi, dato che in genere il trapianto è possibile solo da organismi mantenuti in rianimazione. Ma è necessario anche per poter senza alcun disagio morale togliere le apparecchiature di rianimazione (staccare la spina): circolazione e respirazione sono, infatti, del tutto artificiali, indotte dall’esterno.
La morte è infatti la fine di un organismo, non di questa o quella funzione. L’organismo umano trova la sua unità e unicità nelle funzioni cerebrali. Alcune funzioni, come la crescita di peli o di unghie, possono continuare per qualche tempo; del resto in un corpo umano che non è più organismo continuano forme di vita non controllate dal cervello. La decomposizione è dovuta alla vita di microorganismi presenti nel corpo umano. Cessata ogni attività del centro unificatore dell’organismo, l’organismo non esiste più: esiste un ammasso di materia in cui sono presenti forme di vita - è quello che noi diciamo cadavere - ma non un essere umano. La comprensione di questo rapporto fra organismo e essere umano ci sarà molto utile nello studio di altre questioni di bioetica.
Il punto più importante da capire è questo: l’accertamento della morte cerebrale è molto più sicuro di quello tradizionale.
Tanto è vero che in quest’ultimo è obbligatorio attendere 24 ore (e in certi casi 48) prima della chiusura della cassa e del seppellimento, proprio per l’incertezza del criterio tradizionale di determinazio
ne della morte. Tale incertezza scompare quasi del tutto (nessuna certezza scientifica è assoluta) col criterio della morte cerebrale totale. II timore che il prelievo di organi possa avvenire a paziente ancora vivo non ha alcun fondamento. L’unico caso di preoccupazione potrebbe essere quello di espianto praticato prematuramente, per mancanza di scrupoli nell’operatore e soprattutto per l’interesse (anche economico) dell’operatore a procedere rapidamente a un trapianto. Qui occorre l’intervento di una legge rigorosa che sancisca due cose: - che l’espianto avvenga in strut
ture pubbliche o pubblicamente controllate;
- che l’équipe incaricata dell’accertamento della morte cerebrale si attenga a procedure rigide (procedure che nel loro insieme vengono dette “protocollo”), e che sia del tutto separata dall’équi
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pe che deve procedere all’espianto e al successivo trapianto, così che non vi possa essere connivenza fra chi dichiara la morte e chi procede all’espianto e al trapianto.
Queste due condizioni devono essere stabilite per legge. Quando ciò avvenga, ogni ansia per la possibile mutilazione di un organismo ancora vivente, a scopo di trapianto è del tutto irragionevole, e l’espressione ricorrente di “predatori di organi” o è insensata o è semplicemente terroristica.
La legittimità dell’espianto Il secondo problema è quello delle condizioni di liceità morale e giuridica dell’espianto e successivamente del trapianto di un organo. Ormai la liceità del trapianto d’organo è comunemente accettata dalla teologia morale (ma non lo era agli inizi del nostro secolo): oggi è possibile salvare una vita, o renderla più umana (evitando la dialisi col trapianto di reni) in molti casi. Si escludono solo e giustamente i trapianti di gonadi e di cervello, trapianti che potrebbero modificare le caratteristiche umane del ricevente, sia genetiche sia di memoria cerebrale. Il vero problema e tutto il grande dibattito odierno è quello delle condizioni di legittimità dell’espianto.
II primo elemento da considerare è chi abbia titolo a disporre del cadavere. Ora é certamente vero che il morto può avere espresso in vita le sue volontà (ma quante volte esse non vengono rispettate per volontà dei familiari o per esigenze della so
cietà o per norme giuridiche!). È altrettanto vero che esiste una sensibilità dei familiari di cui si deve tener conto, ma che varia da famiglia a famiglia e che è sottoposta a esigenze sociali varie (di legge, di disponibilità di spazio, di tradizioni religiose diverse etc.). Ma il principio da tener ben fermo è questo: né il defunto né la famiglia hanno un vero jus in corpus, un vero diritto inviolabile di proprietà del cadavere. II defunto, proprio perché è defunto, non è più soggetto di diritti. La famiglia è quella che di norma, nella cultura occidentale. si prende cura del cadavere, e le sue esigenze vanno di norma rispettate; ma chi è “la famiglia”? I genitori, il coniuge, i figli possono avere desideri diversi, in contrasto fra di loro. È compito della società armonizzare tali diverse volontà con le necessità della società: così il diritto può esigere l’autopsia - molto più invasiva e distruttiva del cadavere di quanto lo sia il prelievo d’organo -, può stabilire il luogo della sepoltura e la sua durata, può in casi speciali imporre la cremazione. Il diritto è espressione del bene comune, cioè delle esigenze della vita sociale: esso deve tener conto della volontà e sensibilità del defunto, della famiglia, del gruppo particolare cui il defunto apparteneva, ma sempre nei limiti imposti dal bene comune. Di fronte alla possibilità di salvare altre vite umane col trapianto d’organo, l’esigenza del bene comune deve prevalere.
E del resto tale esigenza prevale attualmente e senza contrasti o polemiche nell’imporre l’autopsia
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per determinare la causa di morte. La ricerca dell’assassino, o del sanitario colpevole di negligenza, o di spiegazione di morti apparentemente inspiegabili, sono esigenze del bene comune, e l’autopsia viene eseguita qualunque sia la volontà della famiglia. E si ricordi che nel-l’autopsia il cadavere viene violato in forma generalmente massiccia, con espianto di organi o di parti di organi o di intere parti dell’organismo, e in ogni caso sempre più massiccia che nell’espianto d’organo a scopo di trapianto. Sempre per il principio del bene comune può essere imposta la cremazione (p. es. in caso di forme epidemiche gravi) o la tumulazione comune con copertura di sostanze chimiche (in caso di catastrofi o guerre) o altre misure per altri casi: sempre il bene
della comunità prevale.
Salvare vite umane Ma per una famiglia cristiana tali esigenze dovrebbero essere comprese e accolte con gioia, o almeno con serenità. Il trapianto, come l’autopsia o altre imposizioni di legge, nulla toglie al defunto, la cui sussistenza è ormai in Cristo. È per me del tutto incomprensibile la resistenza di famiglie o di teologi cristiani al trapianto d’organo. E per me è anche incomprensibile la tesi di alcuni distinti teologi moralisti, che ritengono il trapianto un “dono” del defunto. Egli può esprimere in vita la sua volontà di donare o di non donare, ma una volta morto non “dona” nulla, né è interessato al trapianto. Forse la confusione mentale di alcuni ottimi studiosi deriva
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dal significato medico del termine “donatore” (nella letteratura medica internazionale “donor”): esso non ha alcuna valenza morale, e spesso il donatore è a pagamento. Sta solo a indicare la persona da cui proviene l’organo.
Vi è di più. Molte sono le famiglie che esigono l’autopsia, molto più distruggente dell’espianto di un organo, solo per trovare un eventuale responsabile della morte di un loro caro, per soddisfare un’esigenza di giustizia che talora è piuttosto voglia di vendetta. Moltissime invece sono le famiglie che, volendo un posto distinto al cimitero, consentono invasioni del cadavere ben più brutali dell’espianto d’organo in ambiente sicuramente meno rispettoso e con personale ben lontano dal rigore delle procedure normali in un ambiente ospedaliero. E spesso si tratta di persone che si oppongono all’espianto a scopo di trapianto, che potrebbe salvare una vita umana, ma esigono invece violazioni ben più gravi del cadavere solo per avere un “posto distinto” al cimitero.
Un’altra cosa va presa in seria considerazione. Oggi in aree poverissime della terra molti bambini vengono quotidianamente rapiti o venduti da genitori disperati, e, di questi, molti vanno a lavorare come schiavi, ma molti altri vengono usati per espiantare organi da vendere a caro prezzo ai ricchi della terra. Per le stesse ragioni anche molti adulti si vendono, o vendono i loro organi, per far sopravvivere i figli. Più in generale, vi è un commercio più o meno clandestino di organi: l’ar
ma migliore per vincere questo traffico perverso è avere sufficiente disponibilità di organi, tale da eliminare ogni attività lucrosa.
Una scelta normale e cristiana Oggi, e sempre più in futuro, il trapianto d’organo è un trattamento quasi sempre sicuro e capace di ridare vita e serenità a molti malati e alle loro famiglie. Se il diritto consente violazioni massicce dell’integrità di un cadavere per prevenire danni ai membri della società - sia per studiare le cause della morte, sia per punire i responsabili, sia per prevenire il diffondersi di epidemie, - e queste violazioni sono accettate tranquillamente dal corpo sociale, non si vede con quale logica si voglia opporsi a violazioni molto meno invasive per curare malattie gravi o mortali dei membri della stessa società. Nessuna vita umana viene violata e anzi molte possono esser salvate. La reazione emotiva dei familiari al momento della morte di un loro caro è sì comprensibile, ma è anche del tutto irragionevole.
Per tutti questi motivi ritengo che il trapianto di organo, quando ve ne sia bisogno all’interno della comunità (e della famiglia umana) debba esser considerato dalla morale e dal diritto la normalità. Si potrà tener conto della sensibilità dei familiari e a questo scopo le leggi più recenti contengono il principio del silenzio-assenso: solo se uno in vita esprime in forma documentata la volontà che il suo cadavere non subisca espianti, si osserverà la sua volontà. Ma io non vedo in
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alcun modo come un cristiano possa esprimere questa volontà, che non difende nulla di cristianamente importante e che va direttamente contro ciò che cristianamente è essenziale: la suprema virtù della carità.
Ritengo però che il principio silenzio-assenso vada integrato. Si danno situazioni di catastrofi di ogni genere con grande numero di feriti gravi che arrivano tutti insieme all’ospedale. In queste situazioni, quando vi sia bisogno di trapianti con grande urgenza e in misura superiore a ogni concreta disponibilità, allora il principio del bene comune dovrebbe prevalere anche su una dichiarazione di rifiuto del trapianto.
Per ragione di chiarezza va distinto il dono di un tessuto o di un organo da parte di una persona vivente a scopo di trapianto, dal pre
lievo di qualche parte del corpo di un cadavere. È facilmente comprensibile che modalità tecniche di opportunità e valutazioni morali, nei due tipi di intervento, debbano essere diverse.
Trapianti da persone viventi Non esiste problema morale quando si tratta di usare organi o tessuti ottenuti dopo un atto chirurgico inevitabile per salvare una persona. Si tratta di tessuti e organi che dovevano essere tolti dalla persona ammalata per ragione sanitaria. Non esiste problema, perché, se essi servono a una terza persona mediante trapianto, vengono solo salvati dalla distruzione cui sarebbero destinati.
Il vero problema concerne la donazione volontaria di un organo da parte di una persona vivente, la quale si priva di esso per recare aiuto a un’altra persona. L’organo che può essere donato è in realtà - almeno allo stato attuale della scienza - il rene. La valutazione morale è fondata su due principi apparentemente contraddittori, ma in realtà integrantisi a vicenda. Il primo è l’indisponibilità della propria vita e della propria integrità funzionale; il secondo è la solidarietà in forza della quale ciascuno è chiamato a dare qualche cosa di sé a chi ne ha bisogno.
a. Principio della indisponibilità del proprio corpo - Fino a pochi anni fa la dottrina morale, fondandosi su questo principio, riteneva che l’offerta di un proprio rene da vivente fosse illecito. Oggi la scienza, cui
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la morale adegua le proprie valutazioni sul ‘dato di fatto’, esclude che il sacrificio di un rene, una volta che sia assicurata la funzionalità dell’altro, costituisca un attentato alla propria funzione renale. Si tratta, indubbiamente, di una minorazione fisica, che comporta alcune precauzioni nell’attività, nell’uso di bevande alcoliche, il possibile rischio che l’unico rene restante si ammali o venga colpito. Ma la medicina ci assicura di essere in grado di controllare sufficientemente eventuali crisi derivanti dall’unicità del rene.
Dunque, se la scienza è in grado di tutelare la salute del donatore mediante le sue nuove tecniche e le sue nuove maniere d’intervento, nel caso in cui l’unico rene corresse qualche pericolo, non esiste più motivo di illiceità. Il principio della indisponibilità del proprio corpo resta vero, ma nel caso nostro il corpo del donatore mantiene le proprie funzioni fondamentali, pur donandone una parte importante.
b. Principio della solidarietà - La parziale esposizione del donatore del rene al pericolo e il parziale impoverimento della funzione renale non sono scelte velleitarie o comunque criticabili: esse rappresentano una soluzione di grande importanza a beneficio di una terza persona in gravissimo pericolo. Il parziale rischio che deriva da questo dono rappresenta in certo modo la ‘quota comunitaria di mutuo aiuto’ che ogni cittadino è chiamato ad offrire alla comunità in cambio di tutto ciò che dalla comunità riceve.
In termini di valore personale, la donazione di un proprio organo a un’altra persona, parente o amica o sconosciuta, costituisce un grande atto di amore e di profonda sensibilità; è un atto di comunicazione di beni personali, quale si addice a membri di uno stesso gruppo sociale. Sul piano della carità evangelica il gesto di tale donazione è un arricchimento vero e sostanziale: è un amarci tra noi fino al sacrificio di se stessi. Cosicché più che parlare di liceità in questo tipo di trapianto, si potrebbe parlare con maggior verità della virtù della carità; analogamente a quanto si dice del gesto di una persona che si getta in un torrente in piena per salvare un’altra persona con il palese pericolo di essere travolta: fatte le debite proporzioni, siamo nell’ambito dello stesso principio e della stessa valutazione.
Concludendo: si tratta di una mutilazione che non pregiudica una conveniente possibilità di vita veramente umana ed è cosa buona se fatta per proporzionati motivi di carità e in piena libertà, è cosa cattiva se fatta per qualsiasi altro motivo o se in qualche modo imposta. (a cura di Fiorenzo Chiasera)
IL PUNTO DI VISTA DEI PROTESTANTI ITALIANI
La bioetica, ossia lo studio dei problemi e dei risvolti etici che scaturiscono dalle più recenti sperimentazioni mediche e biologiche nonché dai loro esiti, implica necessa
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riamente un ampio dibattito a tutti i livelli e in tutte le multiformi realtà sociali, politiche religiose in cui siamo inseriti o con le quali comunque veniamo a contatto.
Il dibattito dovrà però avere una forte piattaforma di base: la conoscenza dell’altro. Molte difficoltà e incomprensioni, nella società attuale, derivano infatti da una diffusa carenza di informazioni e di reciproca conoscenza.
Per questo, ho molto apprezzato l’iniziativa dell’Assessorato alle politiche sociali e alla salute della Provincia Autonoma di Trento, che si è proposto di “fornire un quadro complessivo ed il più possibile esaustivo” in merito allo sviluppo della riflessione “su specifici aspetti tematici di attuale, rilevante interesse nella realtà del sistema della salu
te”, avvalendosi delle pagine di “PuntoOmega”, rivista edita a cura del Servizio Sanitario Provinciale.
Il tema affidatomi, nella verifica contestuale del punto di vista delle principali religioni su donazioni e trapianti , esige peraltro una premessa fondamentale. Le Chiese Cristiane Protestanti (denominate anche Evangeliche) non riconoscono normative imposte dall’alto. Questo inalienabile principio della Riforma Protestante nasce da due presupposti: 1) la diversa ecclesiologia, per cui
la chiesa non è costituita da una gerarchia a cui la base (il LAÒS, ovvero “popolo di Dio”) debba ubbidienza (ordine verticale), bensì dalla comunità dei credenti al cui interno si sviluppano ministeri particolari (pastori, dia
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coni, ecc.), ma nella pienezza del sacerdozio universale predicato dall’apostolo Pietro nella sua I lettera agli eletti di Dio (ordine orizzontale);
2) la libertà di coscienza, che lascia all’individuo la responsabilità della scelta.
La Tavola Valdese (organismo operativo che esegue i mandati dell’annuale Sinodo Valdese-Metodista), ha fra i suoi compiti quello di predisporre gruppi di studio, mirati ad approfondire le tematiche più scottanti nella Chiesa come nella polis e a redigere successivamente un documento che verrà poi inviato alla discussione e allo studio delle comunità.
Non abbiamo dunque, come Chiese protestanti, posizioni ufficiali ma solo indicazioni, che interpellano la nostra coscienza di credenti. Vorremmo però che i documenti prodotti quest’anno dai gruppi di studio (costituiti da professionisti qualificati) dessero un contributo al dibattito sulla bioetica in Italia, “nell’intento di favorire quel pluralismo etico che dovrebbe caratterizzare ogni Paese democratico” (E. Tomassone - pastore valdese). In Italia , Paese a maggioranza cattolica, è infatti talvolta difficile superare la polarità tra pensiero “cosiddetto laico” e pensiero “cosiddetto religioso”.
E’ anche difficile per tutti superare la contrapposizione scienza-fede: oggi però l’incontro appare possibile.
Entrando nello specifico del tema, le indicazioni emerse dai gruppi di lavoro della Tavola Valdese si pos
sono suddividere in alcuni punti-chiave, da proporre al dibattito: a) distinguere tra gli organi dotati
di una specifica autonomia funzionale e i componenti che ne sono privi (cellule, proteine, ormoni, Dna);
b) la fase intermedia tra il prelievo e la cessione dell’organo (o del componente) può comportare problemi di custodia e di conservazione gestiti con criteri utilitaristici e imprenditoriali, diventando così fonte di profitto: è un rischio assolutamente da evitare, esaminandone con attenzione tutti gli aspetti;
c) un problema gravissimo è costituito dalla necessità di porre regole e limiti precisi alla trasferibilità di parti ed organi: è questo il punto di partenza per evitare ogni e qualsiasi sistema di “compravendita”, comunque lo si voglia giustificare. Da ciò si evince il criterio assoluto di libera donazione dell’organo. L’educazione al dono volontario e gratuitodeve contrastare il commercio del corpo umano, gli abusi, gli atti criminosi, troppo spesso rivolti contro bambini inermi;
d) dal precedente punto deriva la spinta ad attivarsi in favore di una corretta informazione e una rigorosa legislazione. La vecchia legge del 1975 appare superata: urge una nuova legge che consenta il prelievo di organi, tessuti e cellule solo dove vi sia il consenso-assenso del cittadino.
L’etica (cristiana e “laica”) deve incentivare la cultura del “DONO”.
Inoltre, si dica “NO” alle risposte
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ideologiche quanto all’etica degli assoluti, per sottolineare l’etica del carattere oblativo, ma altresì del limite e del non definitivo.
Nel terzo millennio è previsto che circa il 50% degli interventi verranno effettuati sui bambini. Riflettiamo su questo dato. Non divenga anche il nostro uno fra i tanti discorsi mediatici: divenga un discorso che si impone alle nostre coscienze, divenga soprattutto un discorso di operante e vigile amore.
Per i credenti, una dimensione della fede. Questo, in breve, ciò che i nostri documenti propongono nel Duemila all’esame e alla riflessione in preghiera delle comunità. L’impegno sarà poi sociale e civile. (a cura di Florestana Piccoli Sfredda)
IL PUNTO DI VISTA DEGLI ORTODOSSI ITALIANI
Secondo i precetti della Bibbia, la norma creata dall’uomo deve porsi in armonia con la norma creata da Dio; quindi quando la legge umana si pone in contrasto con la legge divina, essa diviene illegale.
Sempre nella Bibbia, la morte è intesa ed avviene quando l’anima si separa dal corpo. E’ dunque possibile parlare di prolungamento della vita finché esiste l’attività dell’organismo nella sua interezza.
In qualsiasi caso, non è accettabile un trapianto che potrebbe portare ad un cambiamento dell’identità del ricevente, mettendo così a repentaglio l’unicità umana della
persona. Inoltre, gli organi umani non
possono assolutamente configurarsi come oggetti di compravendita.
Per quanto concerne i donatori viventi, la donazione può avvenire solo se esiste la volontà del singolo e al solo, unico scopo di salvare un’altra vita umana.
La donazione in questo caso diviene moralmente segno di amore verso il prossimo e di solidarietà, però il donatore potenziale deve assolutamente essere informato sulle possibili conseguenze dell’espianto sulla propria salute. Naturalmente, sempre dal punto di vista morale, non è permesso un prelievo di organi che può in qualche modo minacciare la vita del donatore.
Non è poi assolutamente accettabile che una persona tenuta in sopravvivenza artificiale venga fatta morire prima, ad esempio stac
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cando le macchine, per lo scopo di salvare la vita di un altro tramite la donazione dei suoi organi .
La chiesa ortodossa è assolutamente contraria all’utilizzo dei cosiddetti metodi di terapia fetale. Si tratta di metodi dove l’espianto di tessuti e organi di embrione umano, presi dopo un aborto nei vari stadi di sviluppo, vengono utilizzati per effettuare varie prove di cure di alcune malattie e per il cosiddetto ringiovanimento organico. (a cura di Aleksandr Rudenko)
IL PUNTO DI VISTA DELL’EBRAISMO
Dal punto di vista religioso ebraico, i temi della bioetica sono centrali nel dibattito attuale. Le maggiori autorità rabbiniche contemporanee vengono continuamente investite di questi problemi a cui dedicano una considerevole parte della loro riflessione. È opportuno fare alcune precisazioni per spiegare di che cosa si tratta al mondo in cui operiamo.
Gli ebrei derivano la loro fonte di ispirazione religiosa dalla Bibbia, da quello che viene chiamato l’”Antico Testamento”, la Bibbia Ebraica; accanto a questo si è sviluppata sin dalle origini una tradizione orale. I maestri, per primi i sacerdoti e poi i rabbini hanno interpretato la scrittura: di conseguenza accanto alla tradizione scritta si è sviluppata una tradizione detta “orale” che è andata avanti per secoli ed è in progressiva evoluzione. Esiste un rap
porto di continuità strettissima fra la Bibbia scritta e la tradizione orale e fra la tradizione orale, come oggi viene prodotta, e quella precedente. Cosicché ogni cosa viene praticamente concatenata con la precedente: c’è quindi un rapporto sacro e rispettoso delle fonti.
Un tempo esisteva un’autorità centrale nell’ebraismo, ma essa è finita intorno al IV sec. dell’era volgare. Da allora gli ebrei , che erano già dispersi in tutto il mondo, hanno perso l’autorità centrale. Da quel momento i problemi che emergono vengono sottoposti ad autorità locali che esercitano il loro magistero e dettano legge nel luogo dove stanno fisicamente: il loro influsso si può estendere in base alla loro importanza, alla loro dottrina, alla loro sacralità e alle prove logiche che portano a dimostrazione delle loro tesi. Da ciò deriva un dato essenziale: su certi problemi fondamentali dell’ebraismo non esiste un’opinione unitaria ma esistono posizioni diversificate. Ogni caso è quindi differente dall’altro e va risolto nella realtà locale. Questo può essere un difetto fondamentale ma potrebbe anche essere, dal punto di vista della ricerca della verità, un pregio perché in realtà noi non abbiamo un’unica verità ma una realtà estremamente dialettica in costruzione.
A proposito di trapianti non esiste un unico problema rilevante ma tanti problemi etici distinti: prelievi di organi da donatore vivente o da cadavere, problemi di scelta tra prelievi da uno o dall’altro; organi differenti da trapiantare alcuni vi
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tali, altri non vitali, condizioni che arrivano dal donatore o dall’accettore della donazione.
I principi fondamentali che regolano questa materia sono in qualche modo condivisi dalle morali comuni e dalle religioni: la vita umana come valore da tutelare. Rispetto alla necessità di tutelare la vita umana gli obblighi della legge vengono meno: per questo si profana anche ciò che è più sacro. Il famoso detto evangelico “Il sabato è stato dato all’uomo e non l’uomo al sabato” è condiviso pienamente nella letteratura rabbinica. Quando Gesù lo affermava non si poneva in contrasto con l’ebraismo ma esprimeva un concetto ebraico. Ora se il valore fondamentale da tutelare è la persona umana, il diritto della vita di ognuno non può prevaricare il diritto della vita altrui. Il concetto viene espresso nella letteratura rabbinica con una frase sugge
stiva: “il mio sangue non è più rosso del tuo” cioè il colore del sangue è uguale per tutti, e quindi non è assolutamente lecito sopprimere una vita umana per poterne salvare un’altra.
Da questi riferimenti fondamentali passando alle casistiche i problemi si complicano: ne farò un cenno con l’esempio del trapianto cardiaco. Lo sviluppo del diritto ebraico su questo problema è molto interessante. Quando trent’anni fa venne fatto il primo trapianto di cuore le maggiori autorità ebraiche interpellate dissero che si trattava di un duplice omicidio: duplice perché si uccideva l’accettore dato che non c’era alcuna possibilità di sopravvivenza seria per colui che riceveva il trapianto di cuore e quindi si metteva in ulteriore rischio la sua vita, e omicidio del donatore perché il prelievo veniva fatto su un cuore battente. Sappiamo infat
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ti che per il prelievo è necessario che il cuore sia battente e quindi questo potrebbe essere considerato un omicidio. Se ogni sangue è uguale all’altro, come è stato detto prima, non si ha il diritto di sopprimere una vita, anche se agonizzante, per salvarne un’altra.
Questa la situazione di trent’anni fa. La medicina nel frattempo ha fatto progressi, sono state trovate le sostanze necessarie per impedire le reazioni di rigetto e quindi, si è visto che la procedura tecnica del trapianto non metteva in pericolo la vita dell’accettore ma anzi finalmente la salvava con una probabilità ragionevolmente accettabile, di conseguenza questo aspetto del problema è stato accantonato e non si è più parlato di un duplice omicidio ma forse di un unico omicidio del donatore. Il problema è stato ulteriormente rivisto da una quantità considerevole di studiosi essendo strettamente collegata a quello della definizione del momento della morte. In casi del genere siamo costretti a decidere in una situazione di difficile compromesso logico, tecnico, scientifico e morale. Questa discussione non è affatto semplice ed ha investito tutto il mondo e quindi anche l’ebraismo.
Se prima era stata privilegiata la fonte tradizionale più semplice ed immediata, che diceva che quando il cuore batte una persona è chiaramente viva, si è visto in seguito, in base ad altre fonti della tradizione rabbinica, che esistono altri criteri possibili come ad esempio quello del respiro, legato al concetto di morte cerebrale. È stato così possibile ri
scoprire nuove strade di soluzione, cosa che ha portato nel 1988 ad una dichiarazione ufficiale del rabbinato centrale di Israele (organo che rappresenta un’autorità ufficiale dello Stato di Israele ma non di tutti gli ebrei del mondo, e neppure riconosciuta da molti ebrei che vivono nello Stato di Israele); secondo questa dichiarazione la morte cerebrale è accettabile come criterio di morte anche se il cuore continua a battere.
Quindi dal punto di vista di questa porzione ufficiale dell’ebraismo il trapianto di cuore è stato consentito avendo trovato una soluzione all’interno delle antiche tradizioni che consente una diversa definizione del momento della morte. Sta di fatto che questa opinione non è stata accettata da tutti e quindi il dibattito su questo argomento prosegue con una profusione di scritti in favore dell’una e dell’altra tesi.
Il problema dei trapianti pone anche questioni fondamentali di solidarietà e di educazione che, sono proprio i temi su cui è impostato questo convegno.
Esistono dei miti da sfatare, delle realtà culturali contro le quali bisogna combattere, sempre però tenendo presente che il problema dei trapianti è strettamente articolato e che ogni caso è diverso.
Esistono però degli spazi educativi nei quali bisogna operare. Vorrei citare ad esempio un caso emblematico, anche se non è direttamente collegato al problema dei trapianti, ma che fa vedere quale può essere la mentalità su certi problemi. È successo recentemente nel
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Nord di Israele, a una donna anziana alla quale doveva essere amputata una gamba per motivi medici. La donna rifiutava l’intervento di amputazione perché sosteneva che nel momento in cui sarebbe risorta, al momento della resurrezione dei morti, non avrebbe più avuto una gamba. Questa è una tipica riserva che viene fatta contro la tecnologia medica moderna, sulla base di malintesi concetti derivati da tradizioni antiche e autorevoli.
In questo caso è ben noto che l’ebraismo e il cristianesimo condividono la credenza nella resurrezione dei morti, ma i modi in cui questa si realizzerà non vanno certo intesi in senso del tutto letterale.
Eppure la credenza stretta al senso letterale può indurre resistenze forti ai medici, come potrebbe essere nel caso dei trapianti, in cui un organo viene trasferito da un corpo all’altro. Per convincere la donna ad accettare l’amputazione fu necessario l’intervento personale del rabbino capo di Israele.
Questo a dimostrazione di quanto sia necessaria l’educazione e l’informazione, e di quale responsabilità spetti agli educatori, su temi che coinvolgono il rapporto con la cultura tradizionale e dove emerge con evidenza la necessità di insegnare la reale scala di valori con cui bisogna misurarsi. (a cura di Riccardo Di Segni. Tratto da “Quaderni del Lionismo”, n. 52, “Una battaglia per la vita” Atti del convegno nazionale, 21 maggio 1998)
IL PUNTO DI VISTA DELL’ISLAM
1. L’Islam raccomanda alla società e agli individui di salvare ad ogni costo l’essere umano dalla morte: “Chi aiuta a far vivere una persona è come se avesse fatto vivere tutta l’umanità” (Corano); 2. L’Islam garantisce la dignità all’essere umano sia da vivo che da morto: “In verità abbiamo reso nobile l’essere umano” (Corano); 3. Nell’Hadith (Detto del Profeta Muhammad*, Pace e Benedizione su di lui), disse: “Spezzare l’osso di un morto equivale a spezzarlo ad un uomo vivo”; vale a dire: Chi spezza
* Muhammad è il nome del Profeta dell ’Islam, detto erroneamente Maometto.
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un osso ad un morto si macchia della stessa colpa, davanti ad Allah, di colui il quale spezza l’osso di un essere umano in vita, a prescindere dalla loro posizione nei confronti della legge terrena. Questo vale anche per chi offende o disprezza un morto; 4. Nell’Islam l’anima, il corpo e gli organi appartengono all’individuo: “Quindi gli ha dato forma ed ha insufflato in lui del Suo Spirito. Vi ha dato l’udito, la vista ed i cuori” (Corano, XXXII,9); 5. L’individuo ha diritto sui suoi organi ma non sono mai di sua proprietà. L’anima ed il corpo dell’essere umano sono di proprietà del Creatore, il Quale ha riconosciuto all’individuo dei diritti su di essi, al contempo richiamandolo alle sue responsabilità nei loro confronti; 6. L’uomo non ha diritto di sacrificare, donare né porre in pericolo la propria vita se non in modo lecito e sempre con prudenza.
Principi fondamentali Ecco qualche fondamento di legislatura islamica (FIQH) che può interessare al fine di sviluppare il tema in oggetto: - Si rimuove il danno superiore per
mezzo di quello minore; - Per allontanare un danno supe
riore si tollera un danno minore; - Non si può allontanare un dan
no per mezzo di un altro danno equivalente o superiore;
- Diviene un dovere ciò senza il quale non è possibile compiere un dovere;
- Gli interessi superiori hanno priorità su quelli inferiori;
- La necessità legittima le cose proibite, a patto che non vi sia consapevole tendenza verso il peccato o la trasgressione delle regole.
L’Islam tollera la necessità. L’Islam riconosce i casi di estrema necessità e tollera, con cautela, il fatto di commettere un fatto proibito per salvare una vita in pericolo. I saggi ed i giuristi dell’Islam hanno concesso di violare i diritti dei morti per rispettare quelli dei vivi. Dice l’Imam An-Nawawi: “Si taglia l’addome di una donna morta per far uscire dal suo grembo il feto vivo, perché si tratta di mantenere una vita sacrificando una parte del corpo del morto”, o come dice Ibn Qudama: “Perché si tratta di danneggiare una parte del morto per salvare un vivo”. An-Nawawi riferisce ancora: “Salvare il vivo ha priorietà rispetto al fatto di non violare la dignità del morto”.
Prelievo di organi da un donatore vivo Prelevare l’organo da un donatore vivente ha due scopi: a) Il prelievo di un organo o di un tessuto per trapiantarlo nella stessa persona. II prelievo di un organo o di un tessuto di un individuo in vita per trapiantare lo stesso organo o tessuto nella persona stessa, come nei casi in cui la cute sia danneggiata da ustioni o simili, può essere eseguito nei casi di necessità, o di estremo bisogno, una volta esperite le seguenti condizioni, oltre alle generiche raccomandazioni riportate sopra:
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- Il pieno consenso della persona stessa se ritenuta capace di intendere e volere, ovvero il consenso dei familiari, dei genitori o dei responsabili per i minorenni in affidamento;
- Accertare l’efficienza dell’operazione, sia nel senso del risultato previsto tenendo in debita considerazione il fatto di non nuocere alla salute del paziente, valutando secondo criterio di maggiore probabilità;
- Si può procedere a questo tipo di trapianti per motivi anche estetici oltre che terapeutici, se indispensabili.
b) Il prilievo da un donatore vivo per trapiantare in un’altra persona Ecco le condizioni particolari, oltre alle già citate regole generali, per eseguire questo tipo di prelievo:
- Il pieno consenso del donatore quando si tratta di un maggiorenne;
- Accertare l’efficienza dell’operazione;
- Non mettere a rischio la vita del donatore.
Altri principi - E’ possibile utilizzare un organo
o parte di esso, trasportandolo da una persona viva ad un’altra anch’essa viva, se quest’organo si rinnova spontaneamente, come il sangue e la pelle, con il consenso del donatore e secondo le raccomandazioni generali della Shariia (gurisprudenza);
- Non è ammesso prelevare un organo indispensabile per la vita del donatore come il cuore;
- Non è ammesso prelevare un organo da una persona viva annul
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lando una funzione essenziale, come nel caso di prelevare entrambe le cornee. Il danneggiamento parziale di questa funzione essenziale, allo scopo di trapianto è in fase di dibattito;
- E’ possibile trapiantare una parte di un organo prelevato per motivi di malattia dello stesso organo, come nel caso della cornea di un occhio prelevato per motivi patologici.
Prelievo da un donatore deceduto
1) Le condizioni generali per consentire il trapianto:
a) La necessità: II trapianto è ammesso solamente in casi di necessità terapeutica e quando risulti l’unico mezzo per riparare il danno o per salvare una vita umana. Sono esclusi pertanto i trapianti a fini estetici, se non in casi di concrete conseguenze psicologiche. Non è ammesso inoltre prelevare più del fabbisogno effettivo provocando deformazioni funzionali al donatore vivo o defunto che sia. b) Il consenso esplicito
del donatore: Abbiamo detto poc’anzi che il diritto all’anima ed al corpo -al di là della suprema titolarità del Nostro Creatore- appartiene all’individuo nel quale essi sono presenti. Aggiungiamo, ancora, che l’Islam considera come soggetti a facilitazioni verso l’uomo i vari diritti divini, nel senso cioè che Allah consente a chi si trova in stato di necessità di tra
sgredire ed oltrepassare i limiti del lecito, laddove invece i diritti dell’uomo non sono alienabili. Cioè se uno, in stato di difficoltà, trova da mangiare del cibo illecito e del cibo di proprietà altrui, deve mangiare di quel cibo illecito, perché il divieto viene da Allah e non può toccare la proprietà altrui senza il consenso di questi; Allah perdona ogni peccato, ma non perdona, malgrado il pentimento, le ingiustizie verso gli altri finché non vi sia il perdono di chi ha subito l’ingiustizia. Da ciò si evince che non è ammesso nessun prelievo da un corpo umano finché la sua volontà non sia espressa in modo esplicito e non solo implicito. L’espressione di volontà avviene: - Dalla persona stessa se maggio
renne, cosciente e capace di decidere sia che il prelievo avvenga in vita o dopo la morte;
- Dai genitori del minore morto, ma gli stessi genitori non possono decidere al suo posto se questi è in vita, a meno che non si tratti di prelevare -senza rischi- un organo a favore di un altro componente dello stretto nucleo familiare;
- Dai familiari stretti in caso di morte; An-Nawawi afferma che “I familiari hanno priorità sul loro morto”;
- Dai giuristi (Giudici), in mancanza di una decisione esplicita del defunto, e in mancanza di genitori o parenti stretti.
L’insufficiente reperimento degli organi non è una valida giustificazione per imporre la condizione del silenzio-assenso.
Il modo più giusto per accresce
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re il numero dei donatori è quello di combattere il mancato consenso alla donazione promuovendo campagne culturali e d’informazione al fine di favorire la propensione a donare i propri organi. A tale proposito vi è un fondamento islamico che recita: “La necessità non abolisce i diritti degli altri”. c) La validità dell’operazione: Da quanto si è detto, risulta chiaro che se non vi è certezza circa i risultati che si otterranno, non è ammesso nessun prelievo né trapianto; non è ammesso cioè sottoporre l’essere umano a prove e esami di laboratorio come cavie.
Pertanto, una volta accertato il risultato da ottenere, bisogna assicurarsi che il prelievo non comporti gravi danni al donatore se si tratta di prelievo da soggetto vivente come ad esempio nel caso del trapianto di rene in cui occorre verificare se il risultato ottenuto porti più privilegi al paziente che danni al donatore. d) Esclusione dei fini commerciali: Un essere umano non può essere oggetto di valutazione commerciale sia da vivo che da morto, e lo stesso dicasi per i suoi organi. “Il fatto che nell’Islam sia previsto un indennizzo -somma pagata dall’uccisore agli eredi dell’ucciso o, in caso di danni fisici, somma pagata dal colpevole alla vittima del danno- ciò non vuol dire che questo equivale al prezzo della vita o degli organi lesi, ma si tratta semplicemente di un risarcimento del danno o dei mancati benefici in ragione dell’aggressione.
Tale risarcimento ha carattere
punitivo, induce alla cautela ed ostacola la diffusione dei delitti”. e) L’esclusione dei trapianti
di gonadi ed encefalo: E’ vietato prelevare gli organi della sfera sessuale e dell’encefalo.
“L’eccezione delle ghiandole della sfera genitale e della procreazione tende alla certezza della paternità, all’integrità dei legami parentali, ed alla purezza della società, visto che le ghiandole genitali maschili e femminili (testicoli ed ovaia) contengono le cellule germinali fautori degli spermatozoi nel maschio e degli ovuli nella femmina, i quali danno origine all’essere umano. Quindi in caso di donazione, l’organo donato, maschile o femminile, mantiene in produzione i cromosomi ed il DNA del donatore. L’eccezione dell’encefalo è una logica conseguenza del fatto che il prelievo deve avvenire in questo caso prima della morte cerebrale e non dopo”. f) Divieto della manipolazione
genetica: Non è ammessa per nessuna ragione la manipolazione genetica degli embrioni al fine di realizzare organismi che presentino migliori caratteristiche immunologiche ai fini di trapianto o che si configurino, addirittura, come riserve di organi per soggetti singoli. g) L’utilizzo di feti per il trapianto: Si sa come oggi è esistente il commercio di organi di feti fatti abortire a questo scopo, o magari per utilizzare certe cellule del feto per altri scopi. Dunque è ovvio che questo è un crimine orribile, allo stesso modo di cui lo sia l’uccisione di
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un uomo a scopo di lucro, quindi ciò è da condannare fermamente.
Islamicamente non è ammesso l’utilizzo degli organi dei feti se non in condizioni particolari: 1. Non è ammesso provocare un
aborto per utilizzare gli organi del feto in un’altra persona, mentre lo stesso aborto è ammesso per le cause riconosciute islamicamente, come quando lo stesso feto e/o la madre siano in pericolo concreto e reale di vita;
2. Nel caso in cui il feto fosse ancora in vita, diviene doveroso intensificare gli sforzi per aiutarlo a continuare a vivere e non ucciderlo per prelevare i suoi organi, mentre nel caso in cui il feto non fosse in grado di continuare a vivere, non è ammesso utilizzare i suoi organi se non dopo che la sua morte sia decretata secondo le regole ammesse e riconosciute scientificamente, e
quindi il tutto deve essere sempre eseguito da esperti fidati.
2) Le due posizioni nei confronti della Morte.
Secondo il Codice Islamico di Etica Medica: “Se è vero che i vivi possono donare un organo del proprio corpo, anche i morti, a maggior ragione, lo potranno fare; e non ci sarà nessun pericolo per il presunto morto se gli vengono asportati i reni, il cuore, ecc. che saranno utilizzati da una persona viva. Questo è in realtà un grande gesto di carità e risponde perfettamente alla volontà di Allah”.
Innanzitutto bisogna dire che il prelievo di organi viene considerato ammissibile esclusivamente qualora venga eseguito su soggetti la cui morte sia stata accertata. Su corpi giudicati morti frettolosamente o su casi fonte di dubbio o per
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plessità, questo invece non è ammesso.
Se da una parte vi sono coloro che ritengono che la morte cerebrale sia motivo valido per il prelevamento degli organi, per i contrari, la stessa definizione di morte cerebrale è diversa nelle varie nazioni; e poiché i macchinari non possono tenere sempre in vita un soggetto dichiarato cerebralmente morto e neppure tenere i suoi organi vivi a lungo, allora c’è un momento di morte accertata in cui si distacca, veramente, l’anima dal corpo e cessa ogni forma di vita motivata dall’anima e dove i macchinari non hanno niente a che fare.
Quindi la morte cerebrale non è altro che una fase iniziale della morte che precede e conduce l’essere umano alla morte definitiva. Allora chi ha detto che la cessazione irreversibile di tutte le funzioni cerebrali, in quanto apparentemente priva l’individuo da ogni possibilità di riprendere la vita, è la morte assoluta o il distacco dell’anima dal corpo? E con quale mezzo si prova che il distacco dell’anima dal corpo coincide con la morte cerebrale prima della morte delle singole cellule del corpo? Inoltre bisogna tenere conto che la scienza ha scoperto, con la clonazione, il ritrovo dell’anima in ogni cellula del corpo, poiché ogni cellula di qualsiasi parte del corpo è capace di seminare una vita (Chissà se una cellula presa da un organo prelevato - da uno dichiarato cerebralmente morto - può portare, con la clonazione, alla realizzazione di una copia di questo morto? O di un organo?)
La conclusione Vista l’estrema necessità sia per: - Salvare la vita di alcuni malati
che possono essere curati solo trapiantando l’organo, tenendo conto che il trapianto è l’unica alternativa che hanno;
- Salvare la vita di alcuni malati bisognosi di macchinari già utilizzati da altri dichiarati cerebralmente morti nei casi accertati di carenza di apparecchi o aumento esponenziale di malati in casi di catastrofi naturali o altri disastri;
- Tranquillizzare i medici e sostenerli nello svolgere un loro dovere professionale, quando si tratta di prendere decisioni di staccare i macchinari da alcuni morti per favorire altri vivi in estrema urgenza e bisognosi di questi macchinari; Non possiamo se non:
- Ammettere e dare il consenso ai prelievi e trapianti di organi e tessuti, ma in modo molto cauto, prudente, e basato su norme scientifiche solide;
- Ricordando che il trapianto diventa raccomandato, e non solo consigliato, qualora si tratta di salvare una rispettabile vita minacciata dalla morte per motivo di malfunzionamento o danneggiamento di uno o più dei suoi organi vitali;
- Chiedendo agli scienziati ad intensificare le ricerche e gli studi per trovare un’alternativa più sana e più serena, finche possibile.
(a cura di Aboul Kheir Breigheche)
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IL PUNTO DI VISTA DEI TESTIMONI DI GEOVA
La posizione dei testimoni di Geova circa la donazione e il trapianto di organi e tessuti è molto semplice, e si fonda essenzialmente sulla libera decisione personale. Questo significa che non esiste una posizione imposta dagli organi della confessione ai fedeli, i quali decidono liberamente come regolarsi in materia.
I testimoni di Geova si attengono a quanto detto esplicitamente dalle Sacre Scritture, da loro considerate Parola ispirata dal Creatore. E anche nelle scelte in campo bioetico si fanno ovviamente guidare dalla Bibbia. La Bibbia si esprime in modo esplicito solo circa l’uso del sangue, che Dio considera sacro. Impiegarlo in maniera impropria significa, biblicamente parlando, profanare una cosa sacra. La posizione dei Testimoni in questo campo è confortata da passi biblici quali Genesi 9:3, 4, e Atti degli Apostoli 15:28, 29; 21:25. Cristiani di tutte le epoche hanno considerato questi divieti vincolanti. È questa la ragione biblica del rifiuto opposto dai Testimoni alle terapie emotrasfusionali. I Testimoni comunque non sono contrari alle terapie mediche in genere e sono ben lieti di collaborare con gli operatori sanitari in qualunque modo possibile.
Circa la donazione e il trapianto di organi, pertanto, la Bibbia non si esprime. Perciò i Testimoni decidono personalmente in questo campo. Come ha dichiarato qualche
anno fa un loro periodico, “mentre la Bibbia vieta esplicitamente il consumo di sangue, non c’è alcun comando biblico che vieti specificamente di introdurre nel proprio corpo tessuti di un’altra persona. Per questa ragione ciascun individuo che debba affrontare una decisione di questo tipo deve soppesare i vari fattori con attenzione e preghiera, dopo di che deciderà in base alla propria coscienza ciò che può o non può fare davanti a Dio” (La Torre di Guardia, 1° settembre 1980, pag. 31).
Risulta così che diversi Testimoni si siano sottoposti a trapianti di vario genere. Per fare un solo esempio tra tanti, il primo trapianto di cuore in età pediatrica in Italia fu fatto su una bambina figlia di testimoni di Geova nel 1986. L’inter
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vento fu realizzato senza il ricorso alla emotrasfusione grazie all’apporto di tecniche alternative che sono state perfezionate nel tempo anche in seguito alla posizione dei Testimoni.
Naturalmente, i Testimoni sono favorevoli ad un accoglimento sempre più generalizzato del principio del consenso informato, di particolare rilevanza nel campo della donazione e del trapianto di organi e tessuti. Una loro associazione ha qualche anno fa prodotto uno studio sullo stato attuale del consenso informato nella giurisprudenza non solo italiana, ma anche internazionale, corredato di una ricca bibliografia, e al quale qui si rimanda (Associazione europea dei Testimoni di Geova per la tutela della libertà religiosa, “Emotrasfusioni e consenso informato. La questione dei minori”, in Il diritto di famiglia e delle persone, 25(1996), pagg. 376418). (a cura di Ferdinando Ghirardini)
IL PUNTO DI VISTA DEL BUDDISMO
Esprimere una posizione generale sul tema della donazione degli organi, in accordo all’etica buddista, non è un compito facile. Come accade molto spesso per tutte le questioni che coinvolgono questioni morali, sarebbe infatti necessario esaminare ogni singolo caso separatamente. Ciò che invece il Buddismo fornisce in maniera chiara, sono i principi generali da utilizzare per valu
tare le varie azioni e conseguenze che una determinata decisione implica.
Per comprendere a fondo la posizione del Buddismo sulla tematica della donazione d’organi è necessario richiamare alcuni dei suoi principi fondamentali. In primo luogo il Buddismo considera la rinascita umana un bene molto prezioso: sulla base di un corpo umano, e solo sulla base di questo, è possibile raggiungere lo stato dell’illuminazione, quello stato di completa saggezza e virtù, al di là di qualsiasi sofferenza che è la meta di ogni praticante buddista. Il Buddha stesso raggiunse, circa 2500 anni fa, tale stato sulla base di un’esistenza umana. Secondo la filosofia buddista, gli esseri, dopo la morte, migrano verso un nuovo stato di esistenza, in un ciclo continuo di nascita e morte. Purtroppo però, il mondo umano è solo uno dei possibili stati di esistenza, pur essendo l’unico, come detto, dove esistono tutte le condizioni per raggiungere l’illuminazione. In definitiva quindi, la rinascita umana è considerata un bene molto prezioso, perché condizione migliore per ottenere la liberazione definitiva, e molto raro, perché difficile da ottenere. Da questo punto di vista la donazione di organi non può che essere vista positivamente, in quanto mezzo per preservare la preziosa e rara rinascita umana di chi riceve la donazione.
Va anche ricordato che il praticante buddista mira al raggiungimento dell’illuminazione, perché questo è lo stato in cui potrà esse
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re veramente di beneficio per tutti gli esseri viventi, grazie alla raggiunta onniscienza. Nel frattempo, però, il praticante è incoraggiato ad essere comunque di beneficio per il maggior numero possibile di esseri viventi, in accordo alle sue possibilità e capacità. A tale scopo, il Buddismo promuove alcuni valori, tra cui la generosità. Quest’ultima può riferirsi alla donazione di oggetti materiali, al sostegno morale, alla protezione di persone da paure e pericoli, ed altro ancora. In sostanza, si tratta di donare quello di cui le persone che si incontrano hanno bisogno. Ancora una volta, quindi, la donazione di organi risulta in accordo all’etica buddista, potendo essere considerata una vera e propria azione di generosità da parte del donatore.
In conclusione vorrei anche considerare un aspetto, questa volta contro corrente, rispetto alla donazione di organi: il momento della morte, che per il Buddismo rappresenta il passaggio da uno stato di esistenza all’altro, è un momento molto delicato. La complessa e profonda analisi della mente umana, sviluppata nell’ambito della psicologia buddista, porta a concludere che lo stato d’animo al momento della morte può fortemente condizionare il processo di migrazione verso la nuova esistenza. Per questo motivo il morente deve essere lasciato in una condizione il più possibile tranquilla, fino alla completa conclusione del processo della morte. Il punto critico è che il momento della morte, definito in accordo agli insegnamenti buddisti
come il momento del distacco della mente dal corpo, può non corrispondere con il momento della morte identificato in accordo alla scienza medica occidentale. Si ritiene infatti che la mente possa rimanere interdipendente dal corpo, e quindi influenzabile dalle condizioni di quest’ultimo, anche per alcuni giorni dopo il cessare del respiro. L’intervento di espianto, che notoriamente deve essere effettuato il prima possibile dopo la morte del donatore, potenzialmente può quindi interferire con il processo naturale della morte, eventualmente ostacolando una nuova rinascita umana, che permetterebbe sicuramente al morente di essere di beneficio per molti esseri viventi.
Concludendo ogni singolo individuo deve prendere la propria de
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cisione, valutando la sua situazione in base ai parametri etici esposti, ed assumendosi i propri meriti e le proprie responsabilità per le decisioni prese. Il punto fondamentale è che qualsiasi decisione ognuno assuma, questa deve essere motivata dal voler essere di beneficio al maggior numero possibile di esseri viventi, mentre non deve mai poggiare su motivazioni egoistiche o sulla paura di un danno personale come conseguenza dell’aiutare gli altri. (a cura di Andrea Gerosa)
IL PUNTO DI VISTA DELLA FEDE BAHA’Ì
Apparsa attorno alla metà del 1800 in Iran, la fede Baha’ì è la più giovane delle grandi religioni rivelate.
Il suo fondatore, Baha’u’llah, nacque in Persia nel 1817 e morì in Palestina, allora dominio turco, nel 1892.
Alla Sua morte il figliolo Abdu’l-Bahà, quindi il nipote Shoghi Effendi guidarono la comunità che, dopo il trapasso di quest’ultimo è guidata, per espresso volere del Fondatore, da consigli locali, nazionali e da un consiglio sovranazionalecon sede in Haifa, Israele: la Casa Universale di Giustizia.
Il principio fondamentale enunciato da B. è che la verità religiosa non è assoluta ma relativa, che la rivelazione divina è un processo ininterrotto e progressivo: tutte le grandi religioni del mondo hanno un’origine divina e i loro principi di
base, in completa armonia, sono sfaccettature di un’unica verità. Il loro scopo è quello di educare gli esseri umani e fornire gli strumenti per raggiungere livelli di comprensione e di unità sempre più ampi.
Del resto l’aspetto “armonizzante” permea gli insegnamenti baha’i che coprono i vari aspetti della vita spirituale e sociale.
Questo ha portato la Comunità Mondiale ad avviare anche numerosi progetti socio-economici, a cooperare con le NU sin dalla stesura della Carta Universale dei diritti dell’Uomo e ad essere parte attiva in un processo unificante che promuova una civiltà in continuo progresso.
In questo contesto l’essere umano, miniera in cui sono celate preziose gemme spirituali, attraverso l’esperienza terrena apprende a perfezionare e rendere palesi le proprie qualità spirituali.
Durante la nostra vita nel grembo materno, mettiamo a punto i nostri “strumenti “ corporei e, quando un bimbo conclude quell’esperienza, passa da una realtà -quella embrionale- all’altra.
Rispetto a questa vita nasce, rispetto a quella muore.
C’è un parallelo con la vita ‘contingente’: sviluppiamo gli strumenti necessari alla nostra realtà futura e la morte altro non è che un passaggio verso una vita più ampia: il progresso è illimitato e porta le creature verso il loro Creatore.
Non vi è dualismo: la nostra componente materiale e quella spirituale si integrano perfettamente per raggiungere questo scopo ed il nostro
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corpo, tempio dello spirito, va trattato con il dovuto rispetto.
Con equilibrio. Evitando inutili mortificazioni o eccessive attenzioni.
Nell’ampia bibliografia baha’i, ed in particolare nell’Aqdas, il libro più sacro, diversi paragrafi si riferiscono al trattamento del corpo, altri ai defunti ed alla sepoltura.
Mentre è specificamente proibita la cremazione in quanto “Il corpo dell’uomo, formatosi gradualmente, deve analogamente decomporsi in maniera graduale. ...La cremazione, invece, impedisce al corpo di attuare queste trasformazioni a causa della rapida decomposizione dei suoi elementi, che blocca appunto la trasformazione da uno stato all’altro” (“Lights of Guidance”, pag. 201), non vi sono prescrizioni specifiche per la donazione di organi, questione che viene quindi lasciata alla sensibilità e alla decisione del singolo.
Il principio generale è che comunque, durante e dopo l’espianto, il corpo venga trattato con dignità e rispetto, e che le spoglie non vengano cremate.
Simili concetti vengono ribaditi anche in alcuni passi che riguardano la donazione del corpo per ricerche mediche: chi desidera lasciare il proprio corpo alla scienza medica, anche per scopi di ricerca, può farlo. E’ tuttavia opportuno che dia le necessarie istruzioni nel testamento, stabilendo che vuole che, dopo la morte, il suo corpo serva all’umanità e che, essendo Bahai desidera i suoi resti vengano poi trattati seguendo le disposizioni baha’ì per la sepoltura (“Directives
from the Guardian”, pag. 46). Su questo soggetto così si espres
se Shoghi Effendi, Custode della Fede, in una lettera datata 6.09.1946: “Non v’è nulla negli insegnamenti che proibisca ad un baha’i di lasciare per testamento i propri occhi a un’altra persona o a un ospedale; al contrario, si tratta di una nobile azione” (“Lights of Guidance”, pag. 290). (a cura di Marcella Orrù)
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La morte encefalica: una realtà scientifica Francesco Procaccio
Il dibattito scientifico, il processo
diagnostico, la crescita culturale
della classe medica e della società
La morte si identifica con la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo. In questo concetto di morte si identificano e si sovrappongono perfettamente la realtà scientifica medica, i valori etici universalmente riconosciuti e la legge. Quella che ancor oggi viene denominata morte encefalica o più comunemente morte cerebrale, in distinzione da quella cardiaca, è in realtà l’unica morte possibile. Almeno due invece possono essere i “modi” di morire: il primo per arresto del cuore e del respiro di durata sufficiente a causare la necrosi dell’intero encefalo, il secondo per lesione cerebrale diretta traumatica, emorragica o ischemica, che evolve in un danno globale ed irreversibile.
La morte cerebrale, che dovremmo indicare quindi come “morte” senza alcun aggettivo, è in realtà una situazione osservata nella clinica solo da alcuni decenni, da quando esiste la rianimazione e la possibilità di ventilazione artificiale e di trattamento intensivo. Alla
necrosi dell’encefalo e in particolare del tronco encefalico corrisponde la perdita irreversibile di qualsiasi capacità di mantenimento e regolazione delle funzioni indispensabili alla vita dell’organismo. In particolare, oltre alla completa abolizione della coscienza, è persa la respirazione spontanea, sono persi il controllo della circolazione e della temperatura, tutte le funzioni vegetative e di regolazione ormonale. E’ quindi facilmente comprensibile come tale situazione clinica, nonostante il massimo supporto intensivo ed artificiale, sia estremamente instabile e termini invariabilmente, dopo minuti o giorni, con l’arresto del cuore. Benchè possa apparire sgradevole e un po’ crudo, il termine che meglio aderisce a tale realtà clinica e legale è quello di “cadavere a cuore battente”. Così infatti si presenta ai medici e ai familiari un soggetto deceduto in rianimazione a seguito di lesione ce
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rebrale acuta, riscaldato e trattato farmacologicamente per mantenere la temperatura, la pompa cardiaca e il tono vasale, collegato ad un respiratore automatico per assicurarne l’ossigenazione.
Fin dagli anni sessanta furono osservati e studiati numerosi casi di morte a cuore battente per definire i criteri neurologici con cui la morte potesse essere diagnosticata ed accertata senza alcuna possibilità di dubbio. In particolare, fino ad anni recentissimi in alcuni Stati come il Giappone (dove non era ancora stata promulgata una legge che permettesse l’accertamento legale di morte a cuore battente) tali soggetti sono stati controllati e sottoposti a trattamento intensivo, studiandone in profondità ogni aspetto clinico e diagnostico. Oggi anche il Giappone dispone di una legge che recepisce la verità scientifica della morte encefalica. Non sembra superfluo ribadire che nessun soggetto in cui la morte è stata accertata con criteri neurologici ha mai presentato un’evoluzione differente dalla morte stessa. Le divergenze “culturali” che hanno mantenuto aperto il dibattito scientifico in questi decenni hanno riguardato in particolare la differenziazione tra morte dell’intero encefalo rispetto alla morte del tronco encefalico. Da un punto di vista pratico entrambi i concetti sono clinicamente validi e si differenziano solo nella necessità o meno di ricorrere all’elettroencefalogramma per accertare l’assenza di funzionalità degli emisferi. Tuttavia il criterio di morte dell’intero encefalo ha permesso
un approccio pratico e socialmente più accettabile alla diagnosi di morte.
Una parte consistente di responsabilità nell’alimentare dubbi e disinformazione è dei medici e dell’utilizzo divulgativo e giornalistico di una terminologia medica scorretta. L’uso incongruo, ma ancora diffusissimo, della parola “coma” con aggettivi di gravità o di irreversibilità in relazione alla morte cerebrale ha generato confusioni e paure ogni qual volta siano stati riportati sulla stampa “risvegli” miracolosi dal coma profondo. In realtà il termine coma appartiene alla vita e anche nella gravità estrema deve essere considerato come una situazione clinica in cui esiste spesso possibilità di recupero. La morte a cuore battente è al contrario solo la morte.
Uno dei fattori più confondenti, anche tra i medici, è invece quello dei movimenti e della reattività ve
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getativa che il cadavere a cuore battente dimostra assai frequentemente: i riflessi spinali. Il loro meccanismo fisiopatologico è ben chiaro da decenni. Tuttavia è ben comprensibile la difficoltà emotiva che il medico e l’infermiere possono provare di fronte a manifestazioni cliniche a volte impressionanti di tale attività spinale. La necrosi di tutto il sistema nervoso contenuto all’interno della scatola cranica si associa, in presenza di un circolo ematico mantenuto, ad un midollo spinale vitale. Nel momento in cui i nuclei del tronco encefalico cessano di funzionare viene a mancare completamente l’impulso facilitatore e di controllo esercitato sui nuclei del midollo. Si ha lo shock spinale e, se non si interviene con supporto intensivo, l’arresto del circolo. Mantenendo invece artificialmente il respiro e la circolazione sanguigna, i nuclei midollari riacquistano
una certa attività fino a divenire, per la mancanza del controllo superiore, molto reattivi a qualsiasi stimolo esterno o interno. I riflessi osteotendinei ricompaiono, si possono manifestare movimenti su stimolo o spontanei, anche di grossa portata come il “segno di Lazzaro” con flessione del tronco e apertura delle braccia. Tali riflessi, indotti da stimoli somatici e viscerali portati in ogni zona dell’organismo ad esclusione di quelle innervate dai nervi cranici, si manifestano con movimenti anche imponenti ma mai finalizzati, accompagnati a volte da opistotono e triplice flessione degli arti inferiori.
Esiste una notevole varietà di questi riflessi, studiati e dettagliatamente descritti nell’uomo in un notevole numero di pubblicazioni scientifiche fin dagli anni settanta. E’ altrettanto noto fin dall’inizio del secolo che, sperimentalmente nel
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gatto, la deconnessione chirurgica completa (decerebrazione) possa portare dopo un intervallo di tempo alla possibilità di un cammino spastico. Nella realtà clinica la reattività spinale di tipo vegetativo si manifesta in modo notevole al momento del prelievo di organi: il taglio della cute e la manipolazione dei vasi causa a volte un notevole aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, oltre a movimenti somatici e contrazione muscolare. Tutto ciò, lungi
dall’essere interpretabile come “sensazione di dolore” da parte dell’individuo deceduto, ha origine nei nuclei spinali e nella conseguente funzionalità surrenalica. L’utilizzo durante il prelievo in sala operatoria di farmaci opioidi, che agiscono in particolare a livello dei recettori midollari, ha come scopo proprio il controllo di questa reattività viscerale, che può rendere difficoltoso l’atto chirurgico ed aumentare le perdite ematiche. Anche su questo punto è stata fatta molta cattiva
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ALGORITMO DI DIAGNOSI ED ACCERTAMENTO DI MORTE
1. Diagnosi eziologica e imaging (TAC, Risonanza) ed eventuali monitoraggi in atto (Pressione Intracranica, pressione di perfusione cerebrale, Doppler transcranico, Potenziali evocati, ecc.)
2. Coerenza della lesione con il quadro clinico 3. Anamnesi per patologie concomitanti 4. Omeostasi : normotermia, normotensione arteriosa, buona ossige
nazione, es.ematochimici (sodiemia, glicemia ecc.) Esclusione di farmaci depressori del SNC
5. Non attività elettrica all’EEG alle massime amplificazioni 6. Esame neurologico con test di tutti i riflessi del tronco cerebrale:
esame sistematico, completo e rigoroso 7. Test di apnea 8. In assenza di anche un unico elemento: indagine strumentale per
escludere flusso cerebrale 9. Convocazione della commissione per l’osservazione e accertamen
to legale della morte 10. Mantenimento dell’omeostasi sistemica durante il periodo di os
servazione 11. Adeguato supporto e informazione dei familiari 12. Al termine dell’osservazione accertamento e comunicazione della
morte 13. Se il soggetto non è un potenziale donatore di organi, il cadavere
va indirizzato alla cella salme (l’accertamento legale della morte rende comunque inutile il periodo di attesa in cella e un ulteriore esame necroscopico)
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informazione. E’ oggi molto agevole dimostrare
con indagini strumentali la completa cessazione del flusso ematico all’interno della scatola cranica e la conseguente necrosi dell’intero encefalo. L’immagine angiografica o scintigrafica di “cranio vuoto” rappresenta in modo elementare la realtà della morte dell’individuo. La diagnosi esclusivamente clinica di morte è tuttavia semplice e sicura e richiede solo il meticoloso rispetto dei criteri metodologici e clinici validati e codificati nella quasi totalità dei Paesi in cui esiste una medicina avanzata. Tuttavia, nel-l’impossibilità di effettuare un completo esame clinico per estese lesioni cranio-facciali e comunque in ogni caso di minimo dubbio, si può ricorrere, e la legge italiana lo richiede, alla dimostrazione diretta con esame strumentale dell’assenza di flusso ematico cerebrale. L’accertamento legale, richiesto dalla
Legge del nostro Paese, avviene con un periodo di osservazione clinica e strumentale (EEG) da parte di una commissione di tre specialisti.
Le morti dovute a gravissime lesioni cerebrali acute sono oggi notevolmente diminuite rispetto alla metà del secolo scorso; tuttavia una percentuale del 20-40% è tuttora inevitabile anche nei migliori Centri di neurorianimazione. La diagnosi clinica di morte deve essere precoce sia per evitare un inutile accanimento terapeutico che per la dovuta attivazione delle procedure legali di accertamento di morte. La diagnosi clinica di morte a cuore battente non ha alcun valore legale prima che sia completato il periodo di osservazione prescritto dalla legge, ma riveste un fondamentale valore etico ed è punto qualificante nella professionalità del medico Rianimatore. E’ inoltre un atto doveroso nei confronti del paziente e dei suoi familiari e fondamentale pun
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to di partenza per il processo che può portare al prelievo di organi per trapianto. E’ importante sottolineare comunque che la diagnosi di morte è assolutamente indipendente dalla possibilità o meno che il soggetto sia un potenziale donatore di organi.
E’ opportuno ricordare alcuni presupposti fondamentali della diagnosi clinica di morte a cuore battente. La perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo è conseguenza di un danno diretto o indiretto (secondario a fattori causanti ischemia/anossia cerebrale) che deve essere conosciuto, diagnosticato e di entità coerente con il quadro clinico. La storia clinica recente, l’evoluzione clinica, l’anamnesi e tutti i farmaci somministrati devono essere ben conosciuti. In ogni caso in cui possa esistere il pur minimo dubbio in relazione ad alterazioni metaboliche o farmacologiche, la diagnosi clinica deve essere confermata dall’assenza di flusso cerebrale o procrastinata fino al completo ripristino dell’omeostasi ed eliminazione dei farmaci somministrati. In particolare l’esame neurologico deve essere effettuato in condizione di normotermia, normotensione arteriosa e di adeguata ossigenazione.
La diagnosi clinica di morte richiede la contemporanea presenza di: stato di incoscienza, assenza assoluta di tutti i riflessi del tronco cerebrale: (assenza di risposta motoria o vegetativa a stimoli nel territorio di innervazione del trigemino; assenza del riflesso fotomotore, corneale, vestibolo-oculare ed ocu
lo-cefalico , dei riflessi faringeo e carenale) e assenza di respiro spontaneo (test di apnea) Occorre verificare l’assenza di ventilazione spontanea con massima stimolazione ipercapnica (PaCO2 > 60mmHg): i valori di anidride carbonica e di pH (inferiore a 7.40) devono essere documentati con esame gasanalitico durante il distacco dal ventilatore.
La diagnosi clinica di morte con criteri neurologici si basa quindi sull’evidenza della perdita irreversibile delle funzioni esplorabili del tronco encefalico, poichè le funzioni degli emisferi non sono clinicamente oggettivabili in modo quantitativo. La legge italiana, che è tra le più garantiste nel mondo, richiede comunque sempre l’EEG per evidenziare l’assenza di attività talamo-corticale. Possono infatti coesistere situazioni (lesioni primitive del tronco ed emorragie o tumori sottotentoriali) in cui permane per un
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tempo limitato attività elettrica emisferica in assenza di attività del tronco encefalico; ciò riveste solo valore speculativo e medico-legale ma non modifica la sensibilità e la certezza della diagnosi clinica di morte. La presenza di poichilotermia, diabete insipido, oltre alla tendenza all’ipotensione e la vasoplegia sono segni clinici sistemici di accompagnamento della morte a cuore battente.
In conclusione, la realtà scientifica della “morte cerebrale” come morte dell’individuo si basa su ampie evidenze fisiopatologiche, cliniche ed epidemiologiche e non presenta alcun ragionevole dubbio medico o etico. I criteri diagnostici sono accettati universalmente e recepiti nelle leggi di quasi tutti i Paesi in cui è sviluppata la terapia intensiva e la medicina avanzata. Il processo diagnostico della morte riveste una notevole importanza per il medico rianimatore, che può affrontare tale atto medico e legale con estrema tranquillità, professionalità e certezza. E’ altrettanto indubbio che è indispensabile una crescita culturale della classe medica e della società riguardo la conoscenza e l’accettazione emotiva della morte a cuore battente. Per questo occorre incrementare la diffusione delle conoscenze scientifiche e prestare una peculiare attenzione al rapporto con i familiari del soggetto deceduto, i quali devono poter comprendere appieno il significato di questo “modo di morire” ed essere coscienti che il proprio congiunto è stato trattato fino all’ultimo nel modo più tempestivo e
qualificato. L’opera informativa e di supporto che il Medico di fiducia può svolgere nella crescita culturale dei propri pazienti e della società è, anche per questo particolare aspetto, di straordinaria attualità ed importanza.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI [1] American Academy of Neurolo
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Francesco Procaccio fa parte del gruppo di studio “Neuroanestesia e Rianimazione” - Coordinamento per il prelievo di organi e tessuti - Ospedale Maggiore di Verona
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Aspetti normativi del prelievo e trapiantodi organi e tessuti Vincenza Palermo
La legge 1 aprile 1999 n. 91, i ritardi
nella sua applicazione,
il silenzio-assenso informato,
l’organizzazione dei trapianti
La legge 1 aprile 1999 n. 91 (“Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti), con la sua entrata in vigore nella primavera del ’99 ha abrogato la precedente legge 2 dicembre 1975, n.644 e le successive modificazioni.
Tale legge è stata accolta, dai “media” e dagli operatori del settore, come strumento idoneo a risol-
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ivere definitivamente in Italia l’annoso problema dei trapianti, legato, in maniera indissolubile, alla cronica carenza delle “donazioni” di organi.
A distanza di più di un anno, purtroppo, non si notano ancora gli effetti benefici che avrebbe dovuto produrre, soprattutto in campo organizzativo del servizio sanitario nazionale: in parte perché, numerosi decreti ministeriali attuativi non sono stati ancora promulgati e, dall’altro, perchè la maggior parte delle Regioni non ha applicato compiutamente la normativa.
L’altro punto farraginoso e complesso, come vedremo oltre, è costituito dall’applicazione del cosiddetto silenzio-assenso informato, che il legislatore ha voluto introdurre con modalità eccessivamente burocratizzate e che molte perplessità aveva suscitato fin dall’inizio sui modi e tempi di applicazione.
Ritornando dunque alla disamina della legge, essa può sommariamente dividersi in due parti: la prima dedicata appunto al tema del consenso al prelievo; la seconda alla organizzazione dei trapianti nel Paese.
Occorre peraltro, prima di percorrere brevemente le principali questioni poste dalla normativa, richiamare l’attenzione sul fatto che per la prima volta il legislatore ha enunciato il principio che “le attività di trapianto di organi e di tessuti ed il coordinamento delle stesse costituiscono obiettivi del Servizio Sanitario Nazionale”.
L’attività di prelievo dunque assurge, a tutti gli effetti, a terapia
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garantita dal SSN ai propri assistiti, rompendo definitivamente i ponti col passato, quando spesso si de-mandava tale terapia alla buona volontà di singoli medici motivati e ad amministratori sensibili.
La disciplina del consenso Bisogna subito evidenziare che la disciplina del consenso (art. 4) non è ancora entrata in vigore perché dovrà prima essere approntato il sistema informativo dei trapianti (art. 27).
Quando tale sistema informativo entrerà in vigore (non è possibile allo stato fare ragionevoli previsioni) il consenso al prelievo sarà così disciplinato:il testo normativo (art. 4) prevede l’interpello di ogni cittadino che dovrà obbligatoriamente esprimere il proprio assenso o dissenso al prelievo degli organi post mortem (entro 90 giorni dall’invito che ogni ASL dovrà notificare ai propri assistiti: art. 5 comma 1 lett. C): in caso di mancata risposta il cittadino sarà ritenuto donatore.
Il legislatore ha quindi riconosciuto a ciascun cittadino il diritto di esprimere la propria volontà in ordine al prelievo.
Sotto questo profilo la normativa innova profondamente rispetto alla precedente, perchè rileva solo ed esclusivamente la volontà del defunto e non già quella dei parenti. In tal senso la legge (art. 27) pone rimedio anche alla disposizione di cui all’art. 1 della legge 301 del 1993 che espropriava il defunto da ogni volontà positiva in ordine al prelievo della cornea rimettendo ogni decisione ai paren
ti, salvo dissenso per iscritto alla donazione da parte del deceduto.
A tal proposito occorre peraltro precisare, a scanso di ogni equivoco, che attualmente per le cornee si continua ad applicare la legge n. 301/93, perché l’art. 27 della legge n. 91/99 (che equipara il regime del consenso al prelievo della cornea a quello di tutti gli altri organi e tessuti), non è ancora entrato in vigore.
Nel regime della legge 644 del 1975 (attualmente abrogata dalla legge n. 91/99) il consenso doveva invece ritenersi presunto, salvo diniego espresso in vita dal defunto ovvero opposizione scritta dei congiunti.
La prassi aveva poi stravolto il dettato normativo sicchè di fatto erano i parenti a decidere: tal cosa da un lato rendeva più facile la vita al personale medico, dall’altro teneva conto non del dettato normativo, ma di ataviche convinzioni legate al configurare la morte con la cessazione del battito cardiaco, alla venerazione e al rispetto del cadavere e, soprattutto, della volontà dei parenti.
Attualmente, essendo stata abrogata la legge n. 644/75 (che disciplinava il consenso al prelievo di organi e tessuti) e non essendo ancora entrata in vigore la disciplina sul consenso come delineata dalla citata legge n. 91/99, la normativa in vigore è quella di cui all’art. 23 della legge n. 91/99 che si pone come normativa transitoria, in attesa cioè che, attuato il sistema informativo dei trapianti, entri in vigore la normativa definitiva sul con
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isenso al prelievo.
Il regime transitorio (art. 23), in realtà, ha modificato in parte il meccanismo già previsto dalla legge 644 del 1975 perchè il dissenso al prelievo oltre che dal defunto può essere espresso per iscritto anche dai parenti, ma di tale dissenso non si deve tenere conto se il defunto aveva manifestato, in vita, volontà favorevole al prelievo (salvo che i parenti non siano in possesso di una dichiarazione contraria del de cuius successiva a quella favorevole al prelievo).
Il regime transitorio ha l’indubbio merito di fare prevalere la volontà del defunto su quella dei parenti migliorando in tal modo la legge n° 644 del 1975 che sul punto nulla diceva (e di fatto in caso di contrasto prevaleva la volontà dei parenti onde evitare, nelle strutture sanitarie, contestazioni).
L’Informazione Il legislatore ha voluto che il consenso al prelievo sia manifestato “nel rispetto di una libera e consapevole scelta”. Da qui l’importanza di promuovere, da parte del Ministero della Sanità in collaborazione con i Ministeri della Pubblica Istruzione e dell’Università e ricerca scientifica, iniziative di informazione dirette a diffondere tra i cittadini: a) la conoscenza delle disposizioni
della legge n. 91/99 nonché della legge n. 578/93 (norme per l’accertamento e certificazione di morte) e suo decreto applicativo (n. 582/94);
b) la conoscenza di stili di vita utili
a prevenire la insorgenza di patologie che possano richiedere come terapia anche il trapianto di organi;
c) la conoscenza delle possibilità terapeutiche e delle problematiche scientifiche collegate al trapianto di organi e di tessuti.
E’ invece demandato alle regioni e alle Aziende Sanitarie locali, in collaborazione con i centri regionali o interregionali per i trapianti e con i coordinatori locali adottare iniziative volte a : a) diffondere tra i medici di medi
cina generale e tra i medici delle strutture sanitarie pubbliche e private la conoscenza delle disposizioni della legge n. 91/99 nonché della legge n. 578/93 (norme per l’accertamento e certificazione di morte) e suo decreto applicativo (n. 582/94);
b) diffondere tra i cittadini una corretta informazione sui trapianti di organi e di tessuti anche avvalendosi dell’attività svolta dai medici di medicina generale;
c) promuovere nel territorio di competenza l’educazione sanitaria e la crescita culturale in materia di prevenzione primaria, di terapie tradizionali e alternative e di trapianti.
Merita sottolineare che il medico di medicina generale, in questo momento, viene ad assumere un ruolo chiave, divenendo il regista dell’informazione tra istituzioni e cittadini.
Il medico di famiglia, infatti, si
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troverà a dover dare risposte esaurienti a richieste specifiche circa i trapianti che gli saranno rivolte dai propri assistiti al fine di esprimere consapevolmente la volontà favorevole o contraria alla donazione di organi. Certamente in questo ambito il medico di famiglia può dare una corretta informazione, meglio di quanto potrebbero fare gli organi di stampa o le campagne pubblicitarie istituzionali.
E’ proprio per questo che il nuovo contratto collettivo nazionale, di recente siglato, ha previsto, l’aggiornamento obbligatorio per i medici di medicina generale sui temi relativi alla donazione e ai trapianti di organi. Vi è, inoltre, da sottolineare che il numero di persone sottoposte a trapianto è in costante aumento, con conseguente possibilità anche per il medico di famiglia di dover prendersi cura di assistiti
sottoposti a trapianto di organi: la trapiantologia è quindi un campo della medicina che va seguito con la massima attenzione.
Grazie all’aggiornamento i medici di famiglia potranno effettivamente creare il trait-d’union tra assistito e servizio sanitario nazionale, proprio nel momento in cui il Ministero della Sanità sta varando un piano per coinvolgere tali professionisti anche nella ricezione della manifestazione di volontà alla donazione di organi.
L’organizzazione dei prelievi e dei trapianti di organi e tessuti L’organizzazione dei prelievi e dei trapianti di organi e tessuti è costituita dal Centro Nazionale per i Trapianti, dalla Consulta Tecnica Permanente per i trapianti, dai centri regionali o interregionali per i trapianti, dalle strutture per i pre
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ilievi, dalle strutture per la conservazione dei tessuti prelevati, dalle strutture per i trapianti e dalle aziende unità sanitarie locali.
Merita sottolineare che il Centro Nazionale per i trapianti svolge funzioni di indirizzo e di coordinamento tecnico ed in particolare deve procedere all’assegnazione degli organi per i casi relativi alle urgenze.
La Consulta Tecnica Permanente per i Trapianti è costituita: dal direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, dal direttore del centro nazionale per i Trapianti, dai coordinatori dei Centri Regionali ed Interregionali per i trapianti, dai rappresentanti di ciascuna regione che abbia istituito un centro interregionale, da tre clinici esperti in materia di trapianti di organi e tessuti, di cui almeno uno rianimatore, e da tre esperti delle Associazioni nazionali che operano nel settore dei trapianti e della promozione delle donazioni -attualmente hanno ricevuto la nomina ministeriale l’AIDO (Associazione Italiana Donatori Organi), l’ADMO (Associazione Donatori Midollo Osseo) e l’AITF (Associazione Italiana Trapiantati di Fegato).
La Consulta predispone gli indirizzi tecnico-operativi per lo svolgimento delle attività di prelievo e di trapianto di organi e svolge funzioni consultive a favore del centro nazionale.
L’aspetto più innovativo della legge riguarda però i cosiddetti coordinatori dei trapianti. Da molto tempo le associazioni di volontariato e l’ambiente scientifico auspicavano che il legislatore istituisse figure
professionali dedicate espressamente all’organizzazione dei prelievi e trapianti di organi e tessuti, memori della positiva esperienza spagnola.
Ecco quindi che le attività dei centri regionali ed interregionali dei trapianti sono coordinate da un coordinatore nominato dalla regione, per la durata di cinque anni. Anche a livello locale, le funzioni di coordinamento sono svolte da un medico dell’azienda sanitaria competente per territorio che abbia maturato esperienza nel settore dei trapianti.
Deve, infine, ricordarsi il capitolo che la legge ha destinato alla formazione del personale delle strutture che svolgono le attività di prelievo e di trapianto di organi, prevedendo oltre all’aggiornamento permanente degli operatori sanitari e amministrativi anche l’istituzione di borse di studio.
In conclusione si può affermare
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che, nonostante i lati negativi costituiti dall’eccessiva burocratizzazione della manifestazione di volontà alla donazione di organi, nel complesso il legislatore ha cercato di dare un impulso positivo alla soluzione dei problemi connessi ai prelievi ed i trapianti d’organo.
Innanzitutto indicando con estrema chiarezza che tali attività devono svolgersi come impegno di tutto il Servizio Sanitario Nazionale: è evidente quindi il salto di qualità rispetto al passato. L’intero settore, infatti era affidato alla buona volontà di encomiabili medici, lasciati spesso da soli e con pochi mezzi ad affrontare la sofferenza e le gravi nonché infauste patologie di pazienti guaribili solo con un trapianto di organo.
Inoltre, con l’invito a ciascuno ad esprimersi in ordine al consenso al prelievo, la legge ha l’indubbio merito di costringere ciascuno cittadino a riflettere sulla possibilità non solo di essere potenziali donatori ma anche dei potenziali riceventi.
Il consenso al prelievo inteso, quindi, come altissimo gesto di dovere civico ed espressione di vera solidarietà umana.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI [1] V. Palermo, E. Ravera, Note sul
la 1 aprile 1999, n. 91 “Disposizioni in materia di prelievi e trapianti di organi e tessuti”, Rivista di Diritto delle Professioni Sanitarie 2(2), 104-117, 1999.
[2] V. Palermo, E. Ravera, Il consenso al prelievo della cornea tra interpretazione di fatto ed interpretazione giuridica, Rivista di Diritto delle Professioni Sanitarie 2(4), 310-316, 1999.
[3] V. Palermo, Brevi note alla legge 1 aprile 1999, n. 91: “Disposizioni in materia di prelievi e trapianti di organi e tessuti”, Il Punto di Oftalmologia Legale, n.1 anno II, 3-5, Settembre 2000
[4] V. Palermo, E. Ravera, Il prelievo ed il trapianto di organi a scopo terapeutico, capitolo de Le leggi dell’ospedale, Verducci Editore (di prossima pubblicazione)
[5] A.I.D.O. (Associazione Italiana Donatori Organi), Normativa italiana sul prelievo e sul trapianto di organi e tessuti, Quaderni di documentazione n.4, Pacini Editore, 2000
[6] Sito web: www.aido.it
Vincenza Palermo è Direttore del Servizio di Medicina Legale della ASL 9 di Ivrea
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La donazione di organi e tessuti: gli ostacoliper una scelta di amore Remigio Verlato
Ritualità e socialità del culto dei morti
nell’antichità e nel mondo contemporaneo
Il nostro patrimonio psico-emotivo legato al rispetto della salma, alimentato nei millenni da modalità rituali e da atteggiamenti consacrati e tramandati, limita la nostra capacità di prendere una decisione razionale di fronte alla donazione di organi e di tessuti dopo la morte nostra e di un nostro caro.
Il rispetto del culto dei morti secondo tradizione trova alta e tragica espressione nell’Antigone di Sofocle*.
I due figli di Edipo, Eteocle e Polinice, sono caduti entrambi sotto le mura di Tebe nel duello mortale, che li ha contrapposti; il nuovo re di Tebe, Creonte, ha dato sepoltura onorata a Eteocle ed ha proibito le esequie e la sepoltura di Polinice, il traditore venuto a distruggere la patria.
“Per quest’uomo echeggia in Tebe la proibizione: non chiuderlo in fossa, niente ululi a lutto, relitto senza fossa, carne offerta cruda a uccelli, e cani.”
Nella tragedia così è descritto l’atteggiamento di Antigone alla vi-Gl
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ista del cadavere del fratello: “Stride, nota acre, d’uccello lacerante quando vede il fondo del nido suo deserto, e i piccoli scomparsi. Quella uguale, come vede morta nudità ululò, pianse, maledisse… Poi di volo porta pugno di polvere bruciata, alza una brocca di metallo martellato, fa spiovere tre volte l’aspersione e così consacra il morto.”
Antigone scoperta e portata davanti al re, che l’accusa di aver infranto le sue norme, così risponde: “Ah sì. Quest’ordine non l’ha gridato Zeus, a me;né fu Diritto, che divide con gli dèi l’abisso , ordinatore di norme come quelle, per il mondo. Ero convinta: gli ordini che tu gridi non hanno tanto nerbo da far violare a chi ha morte in sé regole sovrumane, non mai scritte, senza cedimenti. Regole non d’un’ora, non d’un giorno fa. Hanno vita misteriosamente eterna. Nessuno sa radice della loro luce. E in nome d’esse non volevo colpe, io, nel tribunale degli dèi, intimidita da ragioni umane.”
E la tragedia si conclude con il re Creonte che, mentre ha in braccio il cadavere del figlio Emone suicida accanto all’amata Antigone, riceve da un nuovo messaggero la ferale notizia del suicidio della sposa Euridice. E il coro di chiusura canta: “Ragionevolezza è base, base prima di buona vita. E’obbligo evitare sacrilegio.”
Antigone è veramente sublime nella volontà sacrificale di rispettare “regole non d’un‘ora, non d’un giorno fa” che trovano eco nel nostro poeta Ugo Foscolo che nei “Sepolcri” canta: “Dal dì che nozze e tribunali ed
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are dier alle umane belve esser pietose di sé stesse d’altrui, toglieano i vivi all’etere maligno e alle fere i miserandi avanzi che Natura con veci eterne a sensi altri destina.”
Tutti i popoli dell’antichità ed anche in epoche recenti hanno lasciato a noi monumenti funerari di inestimabile valore: le piramidi di Egitto , le tombe degli Etruschi, i mausolei romani e un’infinità di altre opere, che sono, quasi sempre, dell’arte l’espressione massima delle varie civiltà.
Anche oggi in tutte le parti del mondo la salma è oggetto di riti partecipati dal clan, dalla tribù, dalla città, dal popolo. In tutte le religioni sono contemplati riti sacri che esprimono l’esigenza dell’uomo di vivere oltre la morte.
Da sottolineare che la destina
zione delle spoglie mortali è ben diversa anche oggi, secondo le culture proprie di ogni popolo: sepoltura, cremazione, esposizione agli uccelli , cerimonie funebri sulle rive del Gange (fiume sacro) e molte altre.
I riti funebri rispondono, però, ad alcune esigenze che li accomunano : allontanare il corpo, renderlo inaccessibile e sacralizzare il luogo della sepoltura.
I vari riti non tendono a conservare il corpo , che inevitabilmente si dissolve. La stessa mummificazione, che ha raggiunto nell’antico Egitto una larga diffusione ed una tecnica notevolmente perfezionata e che viene praticata ancora oggi da popoli dell’Asia e dell’Africa, evita la putrefazione esviscerando, disidratando e prosciugando il cadavere.
Ma Foscolo, a ragione, poeticamente sottolinea: “Non vive ei forse anche sotterra, quando gli sarà muta l’armonia del giorno, se può destarla con soavi cure nella mente de’ suoi? Celeste è questa corrispondenza d’amorosi sensi, celeste dote è negli umani.” … “Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna… ove né donna innamorata preghi, né passeggier solingo oda il sospiro che dal tumulo a noi manda Natura.” … “…Ahi! Sugli estinti non sorge fiore ove non sia d’umane
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lodi onorato e d’amoroso pianto.” E’ il ricordo di chi è sepolto, con
le sue virtù, con quello che ha fatto di bene, con quello che ha lasciato nei cuori, che rende tanto più sacra la sua tomba: la salma ha la grandezza del patrimonio che lascia.
Nel discorso tenuto al XVIII Congresso Internazionale dei Trapianti d’Organo (Roma 27 agosto - 1 settembre 2000) Sua Santità Giovanni Paolo II ha detto: “…ogni intervento di trapianto d’organo , come già in altra occasione ho avuto modo di sottolineare, ha generalmente all’origine una decisione di grande valore etico: la decisione di offrire, senza ricompensa, una parte del proprio corpo, per la salute ed il benessere di un’altra persona. Proprio in questo risiede la nobiltà del gesto, che si configura come un autentico atto d’amore. Non si dona semplicemente qualcosa di proprio, si dona qualcosa di sé, dal momento che in forza della sua unione sostanziale con un’anima spirituale, il corpo umano
non può essere considerato solo come un complesso di tessuti, organi e funzioni…, ma è parte costitutiva della persona, che attraverso di esso si manifesta e si esprime.”
Il contenuto psico-emotivo di noi tutti (il grido di Antigone), il rifiuto della nostra morte e della morte dei nostri cari, rendono comprensibile l’atteggiamento di una sposa, di un marito, di un figlio, di un genitore che porta al dissenso della donazione degli organi del proprio marito, della propria sposa, dei propri genitori, dei propri figli. Ma le nostre spoglie, il nostro corpo sono destinati alla dissoluzione, mentre il dono degli organi, dei tessuti può dare vita o migliorare la vita dei nostri simili. La donazione, per essere tale, deve comportare un dare a un altro una parte di noi: si caratterizza nella sua essenza, come offerta non priva di sacrificio per il contenuto psico-emotivo che ci appartiene. L’amore, lo spirito di reciprocità e di solidarietà, la consapevolezza di poter essere medicina per i nostri fratelli ci porta a superare gli ostacoli alla donazione degli organi e tessuti dopo la nostra morte.
Per i nostri cari non neghiamo a loro un monumento di generosità, di amore verso tutti. Alla fine di noi e dei nostri cari resterà solo il monumento dell’amore dato.
Remigio Verlato è Direttore della Fondazione per l ’ incremento dei trapianti d’organo (FITO) con sede a Padova.
* Citazioni tratte dalla “Antigone” di Sofocle, Traduzione di Ezio Savino, “Sofocle”, Garzanti Libri SpA, 1999
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Il modello organizzativo del processo di donazionee trapianto di organie tessuti in Trentino Maurizio Ragagni
Un programma trapianti deve garantire
efficacia terapeutica ed equità
assistenziale, assicurando la qualità del
processo, pari opportunità e facilità di
accesso, l’onestà e la trasparenza
dell’intera organizzazione.
Il compito delle Aziende Sanitarie.
La donazione di organi è un processo articolato che coinvolge più di 150 persone ogni volta per più di 30 ore consecutive e richiede una
precisa conoscenza di tutte le procedure, da quelle più strettamente scientifiche alle problematiche di ordine psicologico che spesso ne condizionano l’avvio.
Dopo una breve analisi storica del fenomeno, verrà descritta l’attività di coordinamento e reperimento di organi e tessuti nella Provincia Autonoma di Trento, provincia che non ha un centro trapianti e non dispone di un reparto di neurochirurgia.
La storia In Spagna, lo sviluppo di questa attività sanitaria di coordinamento parte nel 1989 grazie ad un nefrologo (Rafael Matesanz) che da sempre sosteneva l’importanza dell’elemento organizzativo mentre in tutta l’Europa si poneva l’accento sull’aspetto chirurgico del trapianto. Mentre l’Europa si arricchiva di centri trapianti efficientissimi ed equipes medico-infermieristiche di alto livello tecnico, la Spagna, dopo la nomina di Matesanz a capo dell’O.N.T. (Organizacion Nacional de Trasplantes), organizzazione per allora atipica in seno al Ministero della Sanità Spagnolo, impostava il modello organizzativo sulla “donazione” diventando in pochi anni il paese al mondo con il più alto numero di donatori multiorgano per milione di abitanti.
I fondamentali I tre cardini fondamentali della organizzazione spagnola sono:
1-La donazione è l’asse portante del modello. La disponibilità di organi è la pre
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condizione per fare trapianti.
Il trapianto è una impresa comune che vede impegnati il mondo sanitario e (forse unico esempio) la società al completo.
Senza donatori non si fanno trapianti e questo semplice concetto è sempre sfuggito anche alla classe politica dirigente più sensibile che, per anni, si è avvalsa della consulenza di “tecnici” che si improvvisavano esperti nel settore.
Il trapianto è la punta di un iceberg molto profondo, l’effetto finale di una catena di eventi molto diversi, ma estremamente collegati l’uno con l’altro.
2-Visione e gestione globale del processo. Indipendentemente dal tipo di donazione (organi, tessuti o cellule di sangue cordonale) i principi ispiratori sono identici e il processo parte nello stesso modo.
Puntare inizialmente su un programma di donazione di tessuti come le cornee, meno ambizioso ma più semplice rispetto alla donazione (e trapianto) di organi, e arrivare a conseguire buoni risultati ( come ha fatto la Toscana) accresce nell’opinione pubblica, non solo la consapevolezza dell’efficacia del trapianto, ma rinforza la fiducia nel sistema sanitario pubblico, che, proprio perché tale, deve garantire che gli operatori sanitari dedichino parte della loro attività alla segnalazione dei donatori e alla collegata attività di prelievo.
Non dobbiamo sottovalutare che l’attitudine sociale alla donazione dipende anche dall’atteggiamento
psicologico e dal comportamento, che non sempre è stato favorevole, degli operatori sanitari, a qualunque titolo implicati nella donazione.
Riflettiamo inoltre sulle influenze negative per la donazione di una stampa male informata che parla di risvegli di pazienti in coma (chiaramente perché non in morte encefalica) e denuncia assai improbabili irregolarità nella assegnazione degli organi, assegnazione che sempre più, è legata a precisi algoritmi allocativi basati su parametri di urgenza e compatibilità che, anche nel nostro paese sono molto rigorosi.
3-Il coordinatore alla donazione Il coordinatore trapianti è un sanitario ospedaliero esperto prima di tutto in donazione, che meglio conosce il sistema di produzione e si adopera perché il processo di donazione e trapianto non si arresti in una delle sue fasi.
Il livello di responsabilità e professionalità del coordinatore e dei suoi collaboratori deve essere elevato e costante. La formazione permanente impone la conoscenza di tutti gli aspetti del processo: 1- identificazione e selezione del
potenziale donatore; 2- diagnosi di morte encefalica; 3- comunicazione della morte; 4- richiesta di donazione (o inter
vista alla donazione); 5- mantenimento del potenziale
donatore; 6- logistica ospedaliera ed extra
ospedaliera; 7- controllo di qualità del proces
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8- controllo di gestione; 9- etica del trapianto; 10- reti informatiche; 11- tecniche di comunicazione:
- con la medicina di base, - con la stampa e la televi
sione, - con le associazioni, - con la scuola, - con l’autorità giudiziaria;
12- conoscenza dei risultati del trapianto.
Appare chiaro che l’attività di un coordinatore alla donazione non può far parte di un progetto incentivante ma è una nuova specializzazione sanitaria per medici e infermieri.
La competenza di un coordinatore locale non richiede una specializzazione di partenza ma una forte motivazione personale e grande disponibilità ad essere rintracciabile nel momento in cui, all’interno dell’ospedale, si verifica un
decesso in età compatibile per la donazione o di organi (se è un cadavere a cuore battente in terapia intensiva) o semplicemente di tessuti (se è un cadavere a cuore fermo) in un reparto di degenza. Sarà il coordinatore locale, insieme al medico di reparto, a valutare l’opportunità o meno di formulare una richiesta di donazione alla famiglia del deceduto.
Dalle competenze fin qui descritte, emergono precisi i requisiti richiesti ad un coordinatore: - credere nell’importanza e nel-
l’utilità sociale della donazione; - godere di immagine positiva al
l’interno del proprio ospedale; - avere capacità organizzative ed
acquisire esperienza sugli aspetti, tecnici, giuridici ed amministrativi.
E’ importante che il coordinatore abbia delega a esercitare i poteri
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della Direzione Medica, limitatamente agli ambiti di pertinenza, con delega ad ordinare la spesa, là dove necessario attingendo ad un fondo vincolato al prelievo di organi e tessuti, fondo peraltro istituito dal Ministero della Sanità già nel 1999 “ per lo svolgimento delle attività dei rispettivi coordinatori, per finanziare le strutture accreditate ad effettuare trapianti e prelievi di organi e tessuti…..”
Il coordinatore aiuta la famiglia a comprendere la morte encefalica, che è una morte tecnologica e innaturale, e il significato della donazione che deve essere una scelta consapevole che, se accettata, diventa nel tempo un ricordo positivo.
Il coordinatore cura l’intervista alla donazione, verifica la qualità relativa alla vitalità degli organi prelevati, cura la ricerca di nuove strategie per evidenziare la mancata individuazione dei potenziali donatori, cura l’attività di formazione ed insegnamento, gestisce i rapporti con i mezzi di comunicazione.
In conclusione, il coordinatore alla donazione ( e non più solo al trapianto) è la figura a cui viene affidata all’interno dell’ospedale, la responsabilità di quanto attiene la donazione di organi e tessuti.
La realtà trentina La realtà trentina è caratterizzata da due ospedali con terapia intensiva e cinque presidi ospedalieri senza rianimazione.
Il numero complessivo di letti di rianimazione insufficiente e l’assenza di un reparto di neurochirurgia
non favorisce il reclutamento e l’identificazione dei potenziali donatori,(traumi cranici, emorragie cerebrali, tumori, malformazioni vascolari) che vengono generalmente trasferiti ai centri di neurochirurgia di Bolzano o Verona
I coordinatori locali trentini nominati da una specifica delibera non si sono mai occupati del processo di donazione di organi o tessuti perché impegnati nell’attività loro assegnata: sono anestesisti a tempo pieno.
Un modello efficiente deve prevedere tuttavia un elemento per ospedale, attivo nelle procedure sopra elencate: il sistema organizzativo può funzionare solo se il coordinatore regionale (o provinciale) alla donazione può contare sul supporto, nelle varie sedi ospedaliere, anche le più piccole, di collaboratori (a tempo determinato a seconda della grandezza dell’ospedale) de
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dicati e motivati specialmente nel-l’attività di identificazione del donatore e formazione del personale.
I successi nella identificazione dei donatori in Toscana e in Emilia-Romagna si fondano e reggono su un sistema capillare di coordinatori locali estremamente preparati e guidati da un Comitato regionale donazione e trapianto di organi e tessuti che fa da collegamento tra Assessorato e Aziende Sanitarie.
Pianificare un programma di donazione e trapianto organi e tessuti significa agevolare su tutto il territorio l’attività di segnalazione e prelievo.
Una commissione tecnica è lo strumento di partenza per dare visibilità, forza, potere contrattuale e movimento ad una attività multi-disciplinare complessa con alcuni precisi obiettivi: coordinare l’attività di formazione sanitaria in campo trapiantologico, supportare l’attività dell’ufficio di coordinamento trapianti, svolgere attività di consulenza, educare i medici di base e gli operatori a domicilio sulle problematiche della donazione e del trapianto, collegare Assessorato, Azienda, Ospedale, Medicina del Territorio,Associazioni.
La commissione tecnica, supporta praticamente i coordinatori, visita gli ospedali, studia e verifica i protocolli, lavora a fianco dei collaboratori ospedalieri, è sempre disponibile come punto di riferimento per ottenere consulenze e affrontare i problemi che quotidianamente si presentano.
La commissione è formata dall’Assessore provinciale competente o da
un suo funzionario, dal coordinatore alla donazione e trapianti, da un medico di medicina generale, da uno o più specialisti particolarmente motivati ed esperti in programmi di trapianto.
Fare circolare le informazioni è un altro elemento di sviluppo per la rete di coordinamento: i dati sulla donazione devono essere conosciuti. La commissione stabilisce le regole sull’informazione di massa: informare gli organi di stampa richiede una istruzione specifica. Non si possono accettare articoli che parlano di donazione, scritti da persone che parlano di ciò che non sanno, non fanno e spesso non condividono.
La formazione deve essere rigorosa e continua evitando corsi di scarsa efficacia, utilizzando nel vasto scenario didattico le offerte di mercato più efficaci e meno costose (Gli Spagnoli hanno più docenti
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che offrono in Europa pacchetti didattici fortemente differenziati).
In ogni regione, come avviene da tre anni in Toscana l’attività didattica deve prevedere più livelli di apprendimento, dai corsi base a quelli più avanzati.
In Trentino nel 1999 si sono svolti due corsi base sulla donazione e trapianti di organi e tessuti che hanno coinvolto 60 sanitari (tra personale medico ed infermieristico).
Il coordinatore alla donazione deve poter proporre e ratificare le nomine e la eventuale rimozione del coordinatore locale e deve poter disporre di un fondo adeguato, dal quale attingere le risorse per la promozione culturale ed economica dei coordinatori locali.
Il coordinatore deve vivere e lavorare nell’ospedale e rendersi reperibile quanto più possibile.
Deve potere disporre di un budget dedicato, programmato di anno in anno attinto dal fondo del Ministero.
Deve lavorare come una “Agenzia di servizi” rapida nel risolvere eventuali improvvisi problemi di qualunque natura essi siano.
Deve, come succede nelle regioni dove il coordinamento funziona, potere confrontarsi regolarmente con l’assessorato competente grazie anche alla presenza della commissione sopracitata.
Deve mantenere uno stretto rapporto con le associazioni del volontariato e la scuola.
Non deve arrendersi di fronte a ostacoli che spesso sono creati da personaggi che si improvvisano esperti e che purtroppo teorizzano
soluzioni al problema “donazione”, senza dimostrare alcuna conoscenza scientifica del processo.
Il coordinamento alla donazione e trapianto di organi, da quando è stato istituito in Trentino ha affrontato le seguenti problematiche: - Attivazione di un ambulatorio
unico per trapiantati; - Sviluppo di un programma coor
dinato di prelievo cornee da cadavere a cuore fermo e a cuore battente;
- Attivazione del prelievo di sangue placentare per trapianto di midollo;
- Sviluppo di una attività di prelievo di vasi e valvole da cadavere a cuore fermo;
- Attività di ricerca (nuove metodologie per identificare più donatori);
- Attività di docenza per trasmettere la cultura alla donazione d’organi, specialmente in campo sanitario.
Realizzazione del servizio “Ambulatorio trapianti” L’attivazione dell’ambulatorio “unico” di riferimento provinciale per i trapianti d’organo nasce (con delibera del Direttore Generale n°1153/ 99) dall’esigenza di definire tutti i processi legati alla gestione dei pazienti in fase pre e post-trapianto, gestione che fino a quel momento aveva escluso totalmente i tra-piantati di fegato, cuore polmone e midollo. Solo il trapiantato di rene poteva disporre di un ambulatorio specifico collegato alla U.O. di Nefrologia.
La pianificazione della realizza
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zione del servizio “Ambulatorio Trapianti” ha così definito alcuni obiettivi prioritari: - Assistenza del paziente in fase
pre-trapianto; - valutazione idoneità al trapian
to, inserimento nelle liste di attesa con monitoraggio delle li-ste stesse;
- Assistenza dei pazienti in fase post- trapianto, in follow up e in urgenza. In particolare: controllo sul paziente dopo trapianto della fase di rigetto, verifica del corretto uso dei farmaci immunosoppressori, monitoraggio dei dati biochimici di funzionalità d’organo, per la prevenzione delle infezioni e per la sorveglianza sulla comparsa di tumori;
- Reclutamento dei pazienti trentini trapiantati gestiti fuori sede,
sconosciuti dalla APSS, con con-seguente risparmio di spesa per tutta l’attività di controllo clinico strumentale che può essere gestita tramite l’ambulatorio trapianti;
- Assistenza psicologica al tra-piantando, al trapiantato, alla sua famiglia, alla famiglia del donatore;
- Promozione dell’immagine di efficienza aziendale attraverso la soddisfazione dei pazienti gestiti dall’ambulatorio con ricaduta po-sitiva sulla disponibilità alla donazione di organi e tessuti;
- Promozione della crescita professionale dei collaboratori per mi-gliorare la prestazione;
- Accessibilità in urgenza al servizio di assistenza svolto dagli specialisti tramite numero tele-fonico dedicato;
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- Distribuzione gratuita di farma
ci (prescritti dai centri trapianti) che sono fuori nota C.U.F (Commissione Unica Farmaco) Sono state individuate le risorse
specifiche per rendere il progetto attuabile: 1- strutture: un ambulatorio unico; 2- personale:
- Coordinatore trapianti: responsabile del progetto;
- Medico specialista gastroenterologo (trapianto di fegato);
- Medico specialista cardiologo (trapianto di cuore);
- Medico specialista cardiochirurgo (trapianto di polmone);
- Medico specialista nefrologo (trapianto di rene);
- Medico specialista ematologo (trapianto di midollo);
- Medico psicologo; - Personale infermieristico: 2
unità a tempo pieno; - Una segretaria bilingue (te
desco-italiano). Non tutti gli obiettivi sono stati raggiunti ed in particolare l’unificazione in un’unica struttura per tutti i trapiantati, compresi quelli di midollo, l’identificazione dello specialista ematologo e il supporto psicologico ancora richiederanno tempo e la definizione di risorse adeguate.
Progetto cornee L’attività di prelievo cornee, con la definizione di un preciso protocollo è diventato un obiettivo della Azienda Sanitaria, che ha visto crescere il numero di prelievi oltre che all’ospedale Santa Chiara di Trento
anche presso l’U.O. di Oculistica di Rovereto che fino al 1998 si limitava ad “importare” le cornee dalle banche a solo scopo di trapianto.
Attualmente, anche se non siamo all’autosufficienza, (sono circa 60 i pazienti trentini che ogni anno entrano in lista per un trapianto di cornee da cadavere) possiamo contare su 25-30 potenziali donatori.
Nelle regioni più attive nel prelievo di cornee il numero di donatori si aggira mediamente sul 10% dei decessi per anno. Per il solo ospedale Santa Chiara ci dovremmo perciò attendere almeno 80-90 donatori per anno.
Molto lavoro ancora va fatto sia sul versante della identificazione del donatore sia sulla formazione del personale dei reparti.
Progetto sangue placentare Il prelievo di sangue placentare a scopo di trapianto, in sostituzione o alternativa a quello classico di midollo ha visto coinvolti nella raccolta quasi tutti i reparti di ostetricia, con grande entusiasmo, grazie all’impegno delle ostetriche che hanno condiviso un obiettivo complesso e senza alcuna risorsa aggiuntiva, se non quella squisitamente “umana”.
Grazie a questa raccolta il Trentino fa parte di un gruppo ristretto di poche province italiane che arricchiscono il pool di sacche di sangue cordonale e quindi aumentano la possibilità per i riceventi in attesa di trapianto di trovare un midollo compatibile. Progetto vasi e valvole cardiache L’utilizzo di valvole e vasi biologici
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umani trova giustificazione nella superiorità della protesi biologica rispetto a quella meccanica per qualità, durata, costo e la non necessità di anticoagulare il paziente. Questo significa per una donna la possibilità di proseguire una gravidanza altrimenti minata dal rischio teratogeno del farmaco e per un bambino l’opportunità di giocare in giardino senza temere un trauma cranico che sarebbe fatale in caso di utilizzo di farmaci anticoagulanti.
Richiedere vasi e valvole biologiche umane ad una banca è oggi praticamente impossibile, data la scarsità del prodotto, perché solo gli ospedali che prelevano tali tessuti possono farne richiesta.
Questo è un motivo ulteriore per comprendere quanto sia importante attivare, come è stato fatto anche in provincia di Trento dal mese di Novembre dell’anno in corso, un programma specifico di prelievo di valvole cardiache da cadavere, sia a cuore battente, che a cuore fermo.
I successi conseguiti nella donazione di organi dipendono dagli sforzi fatti per superare l’assenza o la insufficiente formazione del personale, la mancata individuazione dei donatori e la riluttanza al contatto della famiglia in lutto.
Una scarsa propensione ad affrontare una tematica sanitaria apparentemente “a limitato numero di utenti” rappresenta un ulteriore ostacolo alla progressione di una politica efficace di donazione e trapianto di organi e tessuti.
Il prodotto finale dell’attività di coordinamento si misura comunque
dal numero di tessuti e organi procurati. In Trentino sono stati attivati numerosi processi finalizzati ad aumentare l’attività di donazione e trapianto che richiederanno in futuro un maggiore impegno in termini di risorse umane ed economiche proprio perché è da una squadra, ben organizzata con persone motivate e formate, e non da un uomo solo, che ci si potrà aspettare di realizzare l’obiettivo, che per il Trentino non è affatto utopia, di azzerare le liste di attesa sia per gli organi che per i tessuti (vasi, valvole cardiache e cornee).
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI [1] “Manuale del II° Corso Nazio
nale per Coordinatori alla donazione e prelievo di organi”, a cura di Francesco Procaccio et al., Bologna, Editrice Compositori, 1997.
[2] “Il Coordinamento della donazione di organi e tessuti”, Centro Stampa USL 2 Lucca, Elba, Settembre 1999.
Maurizio Ragagni è Coordinatore alla donazione e trapianti di organi e tessuti dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento - Direzione Cura e riabilitazione
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IL MODELLO ORGANIZZATIVO IN TRENTINO
Struttura Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento
Area Direzione Cura e Riabilitazione
Servizio Ufficio Coordinatore Trapianti
Responsabile Dott. Maurizio Ragagni Cell. 0335/7294583 Tel. 0461/364124 Fax. 0461/364947
Segreteria Tel. 0461/364106 Fax. 0461/364104
Compito Istituzionale
Attivit clinica di ricerca, di docenza e g estione nel campo t rapiantologico (o rgani e tessuti).
Indirizzo Via Degasperi, 79 38100 - Trento
Telefono Fax Numeri util i
Ambulatorio trapianti Ospedale S. Chiara: Segreteria: • Sig.ra Raiter Luisa
Infermiere referenti: - Sig.ra Campestrin Lucia - Sig.ra Povoli Giuliana
Tel. 0461/903739 Fax: 0461/903637
Tel. 0461/903117 Tel. 0461/903739 Tel. 0461/903216
Posta elettronica [email protected]
Coordinatori trapianti locali
Ospedale S.Chiara - Trento • dott. Mauro Cima Ospedale S.M.del Carmine- Rovereto: • dott. Maurizio Azzolini
Tel. 0461/903298
Tel. 0464/453416
Personale Medico Specialista
Ambulatorio trapiantati di cuore:
Ambulatorio trapiantati di fegato:
Ambulatorio di psicologia:
dott.ssa Emanuela Stirpe dott.ssa Luisa Vison dott.ssa Maria Teresa Della Mea
dott. Ivo Avancini
dott.ssa Antonella Lama
Servizi/prestazioni Orarioper esterni
Ambulatorio trapiantati Gioved 09.00 - 13.00 di cuore Marted 14.00 - 17.00
Ambulatorio trapiantati di fegato Mercoled 14.00 - 17.00
Ambulatorio di psicologia Venerd 8.00 13.00
Luogo Modalit d’accesso
II Piano Palazzina Direzione Medica S.
Chiara di Trento
Previa telefonata 0461/903117
Stessa sede Il medesimo
Stessa sede Il medesimo
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La convenzione con Innsbruck Renzo Michelini
La convenzione tra la Provincia Autonoma
di Trento e il Land Tirol per il trapianto di
rene presso la Clinica universitaria di
Innsbruck
Alla domanda pressante di trapianti d’organo ed in particolare di rene proveniente dai trentini, la Provincia ha corrisposto integrando le proprie disponibilità in Italia con quelle che venivano offerte dalla vicina Austria.
Lo ha fatto sottoscrivendo nel 1987 una convenzione con il Land del Tirolo attraverso la quale la cli
nica universitaria di Innsbruck concedeva il ricovero ai pazienti trentini bisognosi di assistenza ospedaliera per l’effettuazione di trapianto di rene ovvero di terapia postoperatoria. La convenzione prevedeva anche la possibilità di trapiantare il pancreas ed il fegato nel caso in cui lo stesso fosse risultato necessario in relazione al trapianto di rene.
Gli oneri per tutte le prestazioni sanitarie rese dalla clinica universitaria in regime di convenzione venivano sostenuti per intero dalla Provincia ed in questi termini detta clinica poteva essere considerata un presidio ospedaliero del Trentino.
A questa convenzione Trento giunse per ragioni di politica sanitaria e non certo perché lo prevedesse qualche disposizione di legge, come nel caso della vicina Provincia di Bolzano che poteva beneficiare di una specifica norma di attuazione ( D.P.R. n° 197 del 1980).
Infatti, all’epoca, il centro di riferimento per i trapianti che faceva capo al NITp di Milano (Nord Italian Transplant) effettuava un numero irrisorio di trapianti di rene (3 nel 1986 presso il policlinico San Carlo di Milano) rispetto ad un fabbisogno calcolato in 10 interventi all’anno. Inoltre, molti Trentini si rivolgevano privatamente alla clinica universitaria di Innsbruck ottenendo risposte soddisfacenti sia per la qualità del servizio sanitario, che per la quantità dei trapianti che risultavano possibili in relazione ad una maggiore disponibilità di organi.
I trentini che si rivolgevano pri
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vatamente ad Innsbruck dovevano però anticipare la spesa e chiederne poi il rimborso alla sanità trentina.
La convenzione, migliorava così le condizioni di ricovero per i trentini ed apriva nel contempo un nuovo scenario nell’organizzazione del sistema sanitario nazionale dei trapianti in quanto il Trentino assommava alla propria appartenenza al centro di riferimento interregionale di Milano NITp anche quella al centro di Eurotransplant Foundation con sede in Olanda.
La convenzione prevedeva infatti che il cittadino trentino che intendeva effettuare il trapianto di reni ad Innsbruck, fosse iscritto ad Eurotransplant per tutte le incombenze del caso, tipizzazione compresa salvo che la stessa non fosse stata fatta in precedenza in Italia.
La convenzione è stata uno strumento molto utile per i trentini e
ciò è confermato dal fatto che nel periodo 1987-1995 su 90 trapianti di rene a favore di pazienti trentini, 47 sono stati eseguiti nella clinica universitaria di Innsbruck.
Tutto ciò è avvenuto senza che il Trentino conferisse organi al Tirolo. La convenzione non prevedeva infatti un interscambio di organi poiché su questo punto l’obbligo era soltanto quello di informare la clinica universitaria di Innsbruck sulla disponibilità di organi.
Il grande numero di trapianti fatto ad Innsbruck anche nei confronti di cittadini di altri paesi, compresa l’Italia, e l’entrata dell’Austria nel-l’Unione europea, ha provocato un irrigidimento in Eurotransplant che ha invitato la clinica di Innsbruck a condizionare il trapianto di organi a cittadini di stati non appartenenti all’organizzazione alla consegna di organi alla clinica stessa e quindi, in ultima analisi ad Eurotransplant.
La questione è sorta attorno al 1996 ed ha investito anche il Trentino che si è visto ingiungere la richiesta di organi, pena la sospensione dei trapianti e quindi della convenzione medesima.
A questa pretesa non potevano essere opposte ragioni giuridiche, poiché la convenzione, non trovava riscontro, come già detto, in alcuna disposizione di legge. Aderirvi non era però facile.
La consegna di organi ad una struttura sanitaria ubicata fuori dell’Italia, richiedeva infatti, il superamento di due ostacoli e cioè quello della esportazione di organi ed il superamento delle condizioni di
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Che cosa è e che funzioni ha il NITp
In Italia l’organizzazione dei trapianti si basa su di un Centro Nazionale di Riferimento che ha sede presso l’Istituto Superiore di Sanità, su tre Coordinamenti multiregionali: Nord Italian Transplant program (NITp), Associazione Interregionale Trapianti (AIRT), Organizzazione Centro-Sud Trapianti (OCST) ed un Coordinamento Regionale per la Sicilia. Il NITp è storicamente la prima organizzazione italiana e si basa sulle convenzioni tra diverse regioni. Comprende un’area di 18 milioni di abitanti in Lombardia, Veneto, Trentino, Friuli-Venezia Giulia, Liguria e Marche. Nella sua area operano: 50 Ospedali di Prelievo; 40 Unità di trapianto (16 di rene, 5 di rene-pancreas, 7 di fegato, 6 di cuore, 2 di cuore-polmoni e 4 di polmoni) localizzate in 15 ospedali; 1 Centro Interregionale di Riferimento.
adesione al NITp. Tali ostacoli sono stati giudicati
da molti praticamente insuperabili e tutto consigliava di soprassedere e disattivare, quindi, la convenzio-ne con la clinica austriaca, ma le forti pressioni, soprattutto da parte dell’A.N.E.D. che intratteneva otti-mi rapporti con Innsbruck, hanno indotto ad approfondire l’argomen-to ed andare alla ricerca delle solu-zioni possibili.
Nella sostanza, il problema da ri-solvere era quello di soddisfare le richieste di Eurotransplant e nel contempo mantenere buoni rappor-ti con il NITp, vale a dire, di tenere aperte sia la porta di Innsbruck che quella di Milano.
Un problema molto complesso sul piano giuridico poiché il regolamen-to relativo ai prelievi di parti di ca-davere a scopo terapeutico ( D.P.R. n° 409 del 1977) prescriveva l’au-torizzazione del Ministro per la sa-
nità o per sua delega del sanitario preposto agli uffici di frontiera per l’esportazione degli organi e comunque solo nel caso non trovassero utilizzo in Italia.
Lo stesso regolamento e la normativa di riferimento data dalla legge n° 644 del 1975, poi, organizzava il sistema dei prelievi e dei tra-pianti di organo in centri regionali e interregionali di riferimento senza prevedere che una Regione po-tesse appartenere a più centri di riferimento e di tale condizione il NITp si è sempre fatto forza pur di non vedersi sottrarre la disponibili-tà di organi prelevati in Trentino (Bolzano che operava con Innsbruck, anche per quanto riguarda la consegna di organi, è stato escluso dal NITp e ha dovuto darsi una propria organizzazione eleggendo la clinica universitaria a centro di riferimento associandosi all’A.I.R.T. che raggruppa la regioni Piemonte,
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Emilia Romagna e Valle d’Aosta). La soluzione a questi problemi,
seppur così complessi, è stata data separando i due fronti e cioè quello ministeriale da quello regionale.
Sul fronte ministeriale si è fatto leva su una disposizione contenuta nell’Articolo n°17 del precitato D.P.R. 409, secondo la quale, venivano fatti salvi gli eventuali accordi nazionali in materia relativamente all’esportazione di organi.
La convenzione con il Land del Tirolo del 1987 costituiva sì un accordo internazionale, ma, non essendo legittimata da alcuna norma, non poteva essere opposta ai fini di tali disposizioni.
Si dovevano costruire basi giuridiche positive alla stregua di quanto già fatto per Bolzano con la citata norma di attuazione.
Il primo tentativo è stato quello
di provvedere alla stessa stregua, con la modifica delle norme di attuazione vigenti per il Trentino, ma la strada è apparsa subito troppo lunga e con un esito non del tutto scontato.
E’ stata allora intrapresa un’altra via e cioè quella degli accordi di cooperazione trans-frontaliera tra Italia e Austria, ratificati con legge n°76 del 1995.
Secondo tali accordi era ed è possibile stabilire intese tra il Trentino ed il Tirolo nella materia dell’igiene e della sanità ed era ed è quindi possibile riscrivere la convenzione per i trapianti d’organo prevedendo in essa un’autorizzazione ministeriale preventiva all’esportazione di organi.
Tale previsione poteva trovare conferma anche nel fatto che, a termine della legge n° 948 del 1984, gli accordi contenuti in questa convenzione potevano essere adottati soltanto sulla base dell’intesa con il Governo e quindi con il Ministro per la sanità.
Ad agevolare ulteriormente questa soluzione, oltre alle intese espresse dal Governo, è intervenuta una nuova legge in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti. Si tratta della legge n° 91 del 1999 che, con l’Articolo 19, ha sostanzialmente recepito gli accordi Trentino-Tirolo in materia di trapianti.
Il 29 marzo 2000 la Provincia Autonoma di Trento ed il Land del Tirolo hanno quindi sottoscritto una nuova convenzione con la quale la clinica universitaria di Innsbruck assicura l’effettuazione di trapianti di
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organi e di tessuti a favore di trentini in relazione alle proprie potenzialità. Per contro il Trentino è impegnato a conferire un congruo numero di organi e tessuti in rapporto alle donazioni avute ed agli interventi programmati presso la clinica austriaca, a favore di cittadini trentini.
Sul versante regionale e cioè quello dei rapporti con il NITp, la partita è ancora aperta.
Si tratta di una partita che non è però da giocare sul versante giuridico poiché la nuova legge sui trapianti contempla, come detto anche le intese tra il Trentino ed il Tirolo e questa previsione non può che concorrere alla creazione del nuovo sistema organizzativo dei prelievi e dei trapianti di organi previsto al capo III della stessa legge.
Se questo tema sarà affrontato
con le dovute aperture, i responsabili del NITp avranno la possibilità di considerare la convenzione Trentino- Tirolo una opportunità per eliminare i diaframmi tra i centri di riferimento regionali ed interregionali italiani, nonché per armonizzare l’organizzazione nazionale dei trapianti con quella europea.
Al Trentino rimane da risolvere ora un altro grande problema e cioè quello delle donazioni di organi che risultano in sé pressoché irrisorie se confrontate con quelle dell’Alto Adige o della Spagna o comunque se si considerano i bisogni di trapianti espresso dalla popolazione trentina.
Renzo Michelini è stato Dirigente generale del Dipartimento Sanità e Attività sociali della Provincia Autonoma di Trento dal 1992 al 1999.
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Realizzazione di reti gestionali e di registriper l’attività di prelievoe trapianto Roberto Valente , Antonella Graiff , Piero Draghi , Stefano Forti
Un progetto della Regione Liguria e della
Provincia Autonoma di Trento finanziato
dal Ministero della Sanità
Nell’ambito dei programmi di sperimentazione gestionale ex art.12, comma 2, lett.b) del D. Lgs. 502/ 92, finanziati dal Ministero della Sanità, la Regione Liguria con la partecipazione della Provincia Autonoma di Trento ha presentato un progetto per la realizzazione di reti gestionali e di registri per l’attività di prelievo e trapianto.
Tale progetto, avviato nella primavera del 2000 e che avrà una durata di due anni, prevede in primo luogo la realizzazione di un prototipo di registro e di rete informativa gestionale per il trapianto (tema 5.1.05 PSN) trasferibile al SSN, comune ai bacini della Liguria e della Provincia Autonoma di Trento, integrato con il Centro di Riferimento Interregionale (NITp) e con il Centro Nazionale Trapianti (ISS). Prevede inoltre l’individuazione di strumenti di controllo per la qualità dell’assistenza tramite la valutazione dei potenziali donatori e riceventi di trapianto, la registrazione dei dati relativi al trapianto e al follow up clinico dei pazienti in lista e nel Le
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post trapianto. L’approvazione della Legge 1 apri
le 1999 n° 91 “Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e tessuti” ha reso indifferibile la necessità di proporre metodologie e strumenti di organizzazione e di coordinamento delle attività di trapianto, sia a livello regionale che interregionale e nazionale.
Con particolare riguardo a tale specifica esigenza, il programma proposto dispone la realizzazione del Sistema Informativo del Trapianto (SIT) quale strumento di controllo gestionale, clinico e scientifico per le attività di prelievo e di trapianto di organi e tessuti.
In generale, le funzionalità del SIT riguardano la raccolta e la successiva reperibilità della manifestazione di volontà dei cittadini, il supporto alle interazioni tra gli organismi competenti per la gestione della domanda e dell’offerta di organi, il supporto alla gestione del paziente nel pre- e nel post- trapianto, il monitoraggio delle attività cliniche, scientifiche e logistiche e l’ausilio al governo del settore attraverso opportuni strumenti di modellizzazione, analisi e previsione.
L’organizzazione in cui si prevede di realizzare l’articolazione del SIT è composta dal Centro Nazionale Trapianti (CNT) recentemente costituito, dai Centri Interregionali (CIR) e Regionali (CR) di riferimento e di coordinamento delle attività di trapianto, dalle AUSL e dalle altre istituzioni di governo locale, dalle strutture di prelievo (SP) e di trapianto (ST) di organi e tessuti e
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Figura 1 Panoramica
della suddivisione del Sistema Informativo
del Trapianto
Insieme dei (sotto)Sistemi Periferici r egionali
Co ntesto re gio na le tipi co
(Sot to)Sistema Centrale
CIR
CIR
CIR
ORGANI DI GOVERNO CENTRALE
CNT
CRST
SC
ORGANI DI GOVE RNO LOCALE
SP SP
ST
SC
Co ntesto re giona le
dalle strutture cliniche (SC) che gestiscono l’indicazione terapeutica al trapianto e che sono deputate ad operare il follow-up dei pazienti trapiantati.
Tale organizzazione induce in maniera naturale una suddivisione, sia logica che logistica e operativa, del Sistema Informativo del Trapianto in tre principali sottosistemi interoperanti.
Come mostrato in figura 1, nel SIT si individuano infatti, sostanzialmente: a) un sottosistema centrale costi
tuito dal CNT e dagli organi di governo centrale, cui afferisce, almeno per quanto riguarda la specifica di prima implementazione, un flusso informativo proveniente essenzialmente dai Centri Interregionali (primariamente costituito dal flusso dati relativo alla gestione della domanda e dell’offerta di organi) e dagli organi di governo locale (primariamente costituito dal flusso dati relativo alla raccolta delle
manifestazioni di volontà dei cittadini relative alla donazione di organi e tessuti);
b) l’insieme dei sottosistemi periferici, organizzati per contesti regionali ciascuno costituito dalle AUSL e dalle altre istituzioni di governo locale, dalle strutture di prelievo (SP) e di trapianto (ST) di organi e tessuti e dalle strutture cliniche (SC), coordinate, ove presente da un Centro Regionale di coordinamento e riferimento (CR);
c) i CIR come crocevia cardine del flusso dati (da e per il centro e da e per la periferia) e come tramite principale di congiungimento e di interfacciamento tra il sottosistema centrale e quello periferico.
In tale contesto, il presente progetto si propone come proprie finalità: 1. la realizzazione di un prototipo
di sottosistema periferico nel-l’ambito del SIT a livello di due contesti regionali geografica
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imente disgiunti (Regione Liguria e Provincia Autonoma di Trento) comprendenti le strutture locali di prelievo, di trapianto e di follow-up, i rispettivi centri di coordinamento e di riferimento regionale per l’attività di trapianto e le istituzioni di governo locale;
2. la realizzazione dell’interfaccia tra il sistema periferico sopra descritto ed il CIR competente per territorio (NITP – Nord Italia Transplant con sede a Milano);
3. la totale integrazione delle soluzioni proposte ed implementate, sia dal punto di vista infrastrutturale che delle scelte tecnologiche ed operative, con l’architettura prevista per il Sistema Informativo del Trapianto su base interregionale e nazionale.
Gli obiettivi che il progetto intende perseguire, nell’ottica delle finalità sopra elencate, sono pertanto i seguenti: 1) la realizzazione delle connessioni
telematiche tra le strutture di prelievo, i centri di trapianto e le strutture cliniche ed i centri di riferimento e di coordinamento regionale nell’ambito regionale Ligure e della Provincia Autonoma di Trento;
2) la realizzazione di un sistema di scambio dati e messaggi concernenti le attività di trapianto tra le strutture di prelievo, i centri di trapianto e le strutture cliniche ed i centri di riferimento e di coordinamento regionale nel-l’ambito regionale Ligure e della
Provincia Autonoma di Trento, e tra i centri regionali innanzi detti ed il CIR competente per territorio;
3) la realizzazione di strumenti informatici di controllo di gestione e di qualità dell’assistenza a supporto dell’attività di valutazione dei potenziali donatori e riceventi di trapianto, ad uso primario dei centri di trapianto e delle strutture cliniche che seguono il paziente nel pre- e nel post-trapianto;
4) l’informatizzazione dei dati clinico-scientifici relativi al trapianto, finalizzata alla realizzazione di registri scientifici per l’attività di trapianto;
5) la realizzazione di strumenti informatici a supporto della gestione clinica dei pazienti in lista e del follow up post trapianto.
80 Provincia Autonoma di TrentoPunto Omega n. 4
Dal punto di vista dell’integrazione con il Sistema Informativo del Trapianto a livello interregionale e nazionale, al fine specifico di garantire la totale interoperabilità tra i sottosistemi, la più completa omogeneità strutturale ed infrastrutturale delle soluzioni proposte e la sostanziale unitarietà del SIT, verranno mandatoriamente adottati, nel corso del progetto, i seguenti criteri di sviluppo: 1. l’adozione e l’implementazione a
livello di contesto regionale di un formato di scambio di dati e messaggi identico a quello proposto per il SIT a livello interregionale e nazionale (XML);
2. l’adozione a livello di contesto regionale di strutture, di classi di dati e di messaggi con contenuto tale da permettere in maniera integrata e consistente l’alimentazione delle basi di dati centrali ed in particolare, in prima istanza, del flusso dati tra CIR e CNT;
3. l’adozione a livello di contesto regionale di soluzioni infrastrutturali e di architettura tecnica capaci di consentire la completa interoperabilità tra i sottosistemi operanti in contesti regionali e/o periferici e sottosistemi centrali del SIT, sia nel caso di modalità di interazione sincrona che asincrona tra i sottosistemi stessi;
4. l’adozione dei medesimi criteri di sicurezza informatica previsti per il SIT a livello centrale, sia a livello di sicurezza logica che, ove opportuno, fisica;
5. il coordinamento logistico con
il progetto nazionale per la programmazione integrata delle fasi di implementazione del SIT.
Il progetto fonda la propria esecuzione sullo sforzo congiunto di numerosi soggetti, sia interni che esterni al bacino di sperimentazione costituito dalla Regione Liguria e della Provincia Autonoma di Trento, sotto il coordinamento del Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Anestesiologiche e Trapiantologiche dell’Università di Genova e del Centro di Riferimento Ligure per l’attività di Prelievo e Trapianto entrambi situati presso l’Azienda Ospedaliera San Martino di Genova e Cliniche Universitarie Convenzionate.
La sperimentazione rappresenta sicuramente il tentativo di definire un modello organizzativo e tecnologico indispensabile al fine di consentire quelle attività di coordinamento, intra ed extraterritoriali, necessarie a garantire efficacia ed efficienza al sistema di prelievo e trapianto d’organi.
Roberto Valente (Azienda Ospedaliera S.Martino, Dipartimento Trapianti Genova), Antonella Graiff e Stefano Forti (ITC-irst, Centro per la ricerca scientifica e tecnologica - Trento), Piero Draghi (NOOS Helthcare s.r.l. - Genova)
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Il ruolo delle associazioni Franca Pellini Gabardini
Promuovere l’attuazione della Legge 91,
sensibilizzare e informare i cittadini,
proporre testimoni credibili,
creare una rete di sostegno per i pazienti
Fra tutte le forze in gioco, perché l’attività di trapianto in Italia abbia uno sviluppo tale da riuscire a rispondere alle richieste di salute dei cittadini, le Associazioni di volontariato e le Associazioni che riuniscono e rappresentano i pazienti in attesa di trapianto e/o trapiantati sono state e sono una risorsa significativa con un ruolo attivo e propri campi d’intervento. Attività, ruoli ed ambiti che le Associazioni storicamente si sono sempre ritagliate spontaneamente con modalità, approcci, strumenti, risorse, iniziative ampliate e rafforzate nel tempo e modificatesi secondo la scelta degli obiettivi strategici che l’evoluzione del panorama sanitario e politico hanno via via portato in primo piano. Nei decenni passati molte delle forze delle Associazioni sono state spese per promuovere la modifica della legislazione fino alla presentazione al Parlamento di una proposta di legge d’iniziativa popolare da parte di ANED, AIDO ed ACTI, con l’appoggio di oltre 100.000 firme e ai Governi che si sono succe-Il
ruol
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duti, proposte di Decreti sull’informazione ai cittadini ed agli operatori sanitari. È stato certo anche grazie alla pressione delle Associazioni che le Istituzioni - prima i Governi Locali, poi il Parlamento e il Governo - hanno trasformato in provvedimenti legislativi le istanze dei cittadini in attesa di trapianto. Nello stesso tempo le Associazioni hanno svolto un’azione costante di promozione del cambiamento dei comportamenti collettivi nei confronti del trapianto di organi, con una diffusa opera d’informazione, di sollecitazione, di sensibilizzazione, rivolta a tutti gli strati della popolazione che ha trovato nella sanità, nella scuola, nella Chiesa e nel mondo sindacale, dello sport, della cultura i suoi primari obiettivi. Tutta l’attività, fin qui spontanea, delle Associazioni trova un ruolo preciso nella Legge 91 del 1999 “Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti” che mette a fuoco l’importanza strategica della relazione tra volontariato, associazioni ed istituzioni sanitarie. La collaborazione delle associazioni di volontariato e di interesse collettivo è espressamente richiamata nell’art. 2 sulla “promozione dell’informazione” che il Ministero della Sanità deve diffondere tra i cittadini, rispetto alla legge, alle disposizioni legislative sull’accertamento di morte, sulla prevenzione, sulle problematiche collegate al trapianto di organi e tessuti. L’articolo 9 che istituisce la Consulta tecnica permanente per i trapianti prevede nella sua composizione tre esperti delle associazioni nazionali
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che operano nel settore dei trapianti e della promozione delle donazioni.
L’emanazione, in attuazione dell’art. 5 della Legge 91, del Decreto Ministeriale dell’8 aprile 2000, ha posto le prime basi per il sistema informativo dei Trapianti che, partendo dalle Aziende Sanitarie Locali, dovrà creare un’anagrafe delle dichiarazioni di volontà dei cittadini in merito alla donazione dei propri organi dopo la morte. Nello stesso tempo il decreto ha ribadito che, finché il sistema non andrà a regime, la delicata materia della dichiarazione di volontà è regolata dalle norme transitorie enunciate nell’art. 23 della legge 91.
Con circolari successive il Ministero della Sanità ha puntualizzato che tra “i documenti personali” da cui deve risultare la volontà favorevole al prelievo, per non consentire opposizione dei familiari, hanno validità le DONORCARD ed i testamenti olografi. In questo momento è quindi fondamentale che, per non lasciare sulle famiglie il peso, spesso insostenibile, di sofferte decisioni nel momento più difficile, venga svolta una diffusa opera di conoscenza, informazione e sensibilizzazione della popolazione da parte delle Associazioni, perché ognuno, in vita, esprima nei modi consentiti e riconosciuti dalla legge la propria volontà positiva.
Il ruolo quindi delle associazioni, oggi, si può e si deve esprimere in quattro fondamentali direttrici:
A. PROMOZIONE DELL’ATTUAZIONE DELLA LEGGE 91 nei suoi molteplici aspetti, nei confronti del Go
verno Centrale e dei Governi locali. La Legge 91, frutto di una com
plessa opera di patteggiamenti e di mediazioni politiche nel corso delle quali l’interesse vero del cittadino malato ha perso spessore, nel suo dettato non è certo un testo ottimale: pone pesanti intralci burocratici, è contraddittoria, è di complessa e difficile attuabilità: ne è prova la non osservanza dei termini posti dalla Legge per l’emanazione dei 13 decreti attuativi, di cui finora meno della metà ha visto la luce.
Anche il Decreto di istituzione della Consulta ha sofferto del clima politico di “mediazione” per cui al suo interno non sono rappresentati i pazienti in attesa di trapianto, destinatari legittimi delle norme e disposizioni su cui la Consulta si dovrà esprimere.
La pressione civile delle associazioni dei pazienti è quindi fondamentale perché nella lunga strada dell’attuazione della Legge, si semplifichino e si alleggeriscano le procedure, perché Regioni e Province Autonome si attivino per la loro parte con provvedimenti operativi, perché le Istituzioni sanitarie si adoperino nel loro ambito per sviluppare l’attività di prelievo e trapianto, perché i diritti dei cittadini in attesa di trapianto siano tutelati.
L’emanazione e la distribuzione della Carta dei Servizi da parte del Centro Nazionale e dei Centri Trapianti è un altro degli obiettivi come operazione fondamentale per una libera scelta informata del paziente: un patto tra Istituzioni e cittadini che dovrà essere osservato.
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iB. SENSIBILIZZAZIONE E INFORMAZIONE AI CITTADINI, operando per la diffusione di una maggiore conoscenza delle risorse sanitarie, la riduzione di un diffuso atteggiamento di distanza e di sfiducia nei confronti delle istituzioni sanitarie, la promozione di comportamenti attivi, ad iniziare dalla espressione di volontà positiva nei confronti di un prelievo dei propri organi dopo la morte.
Perché prima ancora dell’emanazione della Legge, le Associazioni Nazionali più rappresentative nel settore - ANED (dializzati e trapiantati renali), ACTI (cardiotrapiantati), ANTF (trapiantati di fegato) AIDO ( per la donazione d’organo) e ASSIRT - Marta Russo, insieme con la Rete Italiana delle Città Sane, riunite in Comitato Promotore - hanno istituito ed organizzato, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, la “Giornata Nazionale della Donazione e Trapianto di organi”. La Giornata, dalla prima edizione svoltasi nel maggio 1998, è divenuta appuntamento annuale, occasione per far puntare i riflettori dei media su tutto il mondo del trapianto, opportunità in cui si è espressa tutta l’originalità ed il potenziale innnovativo delle associazioni per coinvolgere la popolazione dando vita in centinaia di città e paesi a manifestazioni, incontri, convegni, punti informativi, eventi sportivi, musicali, artistici, culturali, religiosi, scientifici. Già dalla seconda edizione la Giornata Nazionale è stata organizzata e gestita in accordo e collaborazione stretta con tutti gli Assessorati Regionali
e Provinciali alla Sanità, con un coordinamento nazionale - affidato dalla Conferenza Nazionale degli Assessori alla Sanità all’ANED - che ha coinvolto attivamente le forze politiche, amministrative, sanitarie, la Chiesa Cattolica, le realtà del volontariato, il mondo della cultura e dello sport, i giornalisti della carta stampata, delle radio e delle televisioni nazionali e locali.
Dall’evento “Giornata” è nata una rete di referenti regionali, nominati dai rispettivi Assessori, che fa sì che continui nel tempo una collaborazione fattiva con le Associazioni ed un’attenzione costante allo sviluppo dell’attività, un’azione permanente di informazione della popolazione, di sollecitazione e formazione degli operatori con l’apporto di chi, come i pazienti e le Associazioni, lavora concretamente sul campo ed è il sensore diretto dei mutabili atteggiamenti dell’opinione pubblica. La IV Giornata Nazionale è stata indetta dal Ministro della Sanità, sentite le Associazioni, per domenica 25 marzo 2001.
C. PROPORRE TESTIMONI CREDIBILI. Le Associazioni hanno una risorsa assolutamente unica da mettere in campo, per un’informazione diffusa e cosciente, per parlare direttamente al cuore ed all’intelligenza della gente: i pazienti in attesa di trapianto e trapiantati; le famiglie che hanno donato gli organi di un loro caro.
Il dibattito acceso nel Paese anche in occasione dell’entrata in vigore della nuova Legge sui trapianti ha acuito l’interesse scandalisti
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co della stampa; in maniera ciclica appaiono in televisione e sui giornali notizie di risvegli insperati da comi più o meno profondi o di leggende metropolitane su ignobili commerci d’organo - sempre venti-lati e mai provati - che creano sconcerto. È quindi importante lanciare messaggi positivi all’opinione pubblica che, nel diffuso clima di sfiducia verso le istituzioni sanitarie creato dai media, sono meglio recepiti se non vengono dagli “addetti ai lavori”, ma da gente comune che ha vissuto direttamente un’esperienza. Un padre, una madre, una moglie, un fratello che, superando il dolore della tragedia della perdita del proprio caro, hanno acconsentito, e alcune volte richiesto, la donazione degli organi trasmettono emozioni, sentimenti, esperienze immediatamente accoglibili. Le loro parole, spesso semplici, sgombrano il campo da dubbi, paure, pregiudizi più e meglio di tante dotte conferenze. Il confronto con loro apre un dialogo denso di significati, mette in luce anche il valore consolatorio del grande gesto di solidarietà.
I pazienti che vivono una vita difficile e mutilata in attesa di trapianto, spesso da lunghi anni, ed i trapiantati che - salvati da malattie altrimenti incurabili - possono vivere di nuovo un’esistenza piena, familiare e lavorativa, sono una preziosa risorsa di testimonianza credibile. La loro presenza, le loro parole riescono a far spostare l’attenzione sui problemi veri, sui bisogni della gente, sulle rinunce, le angosce, le speranze di chi attende; sul
la gioia della riconquista della vita e della salute, dell’assaporare i piccoli e grandi piaceri di ogni giorno, liberi dalla schiavitù di una macchina o dai legami di un respiro che non viene, la possibilità di progettare un figlio, una vacanza, un lavoro. Per parlare alla gente bisogna anche creare occasioni di aggregazione e gli avvenimenti sportivi sono sempre un bel richiamo specialmente per i giovani.
D. INTERVENTO DI RETE DI SOSTEGNO. L’ultimo, ma primario ed insostituibile, ruolo delle Associazioni è quello al fianco dei pazienti, per creare una vera rete di sostegno che li aiuti, li tuteli, li indirizzi, li affianchi in un’opera attenta e continua, dall’evidenziarsi della malattia alla conquista del trapianto, dalla prevenzione alla riabilitazione, con una promozione dei loro diritti fondamentali. Le Associazioni sono un punto di riferimento preciso a cui ogni cittadino può rivolgersi per conoscere ed informarsi, per essere indirizzato alle strutture sanitarie più adeguate alla specifica condizione patologica, per segnalare carenze o inefficienze, per sapere quali sono i percorsi da seguire. Auspicando una società in cui tutti, ognuno con il proprio compito e ruolo, Istituzioni e Associazioni, mettano al centro il cittadino malato, lavorando perché a tutti coloro che potrebbero averla dalla scienza, venga, con un trapianto, data “una vita in più”.
Franca Pellini Gabardini è presidente dell’ANED
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SCHEDA 1
Associazione Italiana Donatori Organi (AIDO)
L’AIDO è una libera associazione: apolitica, aconfessionale, senza fini di lucro, costituita fra donatori volontari di organi, che liberamente vi aderiscono, depositando presso le rispettive sedi provinciali o, ove non esistessero, presso la Sede centrale, il proprio atto olografo di donazione, post mortem. L’associazione fornisce all’iscritto una tessera indicante la sua appartenenza al sodalizio e le sue volontà; provvede alla schedatura e conserva in luogo sicuro il suo testamento olografo.
In caso di decesso del donatore, provvede a quanto di competenza, affinché le volontà dello stesso vengano rispettate e si provveda al prelievo di quegli organi che la legge consente, nel rispetto della salma, al fine di consentire i trapianti terapeutici.
Esplica la sua attività secondo le norme dello Statuto e del regolamento, seguendo gli indirizzi dettati dall’Assemblea nazionale, a mezzo del Consiglio Nazionale, dei Comitati regionali, delle Sezioni provinciali o comprensoriali ed estere, dei Gruppi comunali, coadiuvata nell’attività di propaganda scientifica dai Consigli scientifici.
I mezzi finanziari vengono reperiti attraverso: i contributi delle Sezioni provinciali, cui fanno capo i Gruppi comunali; libere sovvenzioni di enti, sodalizi e istituti; donazioni, oblazioni, lasciti e proventi da manifestazioni varie.
L’associazione si impegna nelle attività promozionali di diffusione del principio della
donazione di organi, confidando nell’opera che il singolo socio svolge nell’ambito della famiglia, del luogo di lavoro, della comunità in cui vive; il tutto improntato alla lealtà e probità. Ogni sezione provinciale dispone di un numero telefonico funzionante 24 ore su 24, per la ricezione delle notizie sul decesso di associati e per i successivi contatti con i responsabili tecnici del prelievo. Una delle attività peculiari è di informare l’opinione pubblica sulla possibilità di prevenire malattie che porterebbero alla necessità di un trapianto.
Finalità L’AIDO è sorta per: - promuovere il rafforzamento della soli
darietà umana; - determinare nei cittadini la coscienza
dell’utilità della donazione degli organi del proprio corpo, a favore di chi necessiti di trapianto terapeutico;
- formalizzare le attività di donazione; - coltivare i rapporti con gli Enti scienti
fici competenti a effettuare il trapianto, con la magistratura per quanto di competenza della stessa, e con gli organi della sanità pubblica.
Per raggiungere tali fini l’AIDO, che svolge un primario servizio sociale, si propone di: - contribuire a una maggiore informazio
ne sulla condizione umana di chi atten
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SCHEDA 1
de dalla donazione di organi la possibilità di sopravvivere e di essere reintegrato nella comunità operosa;
- agevolare la donazione di organi destinati al trapianto terapeutico, cooperando a quanto necessario alla destinazione e ricezione degli organi donati;
- sensibilizzare l’opinione pubblica ai problemi etico-deontologici connessi al trapianto di organi umani nel rispetto delle leggi vigenti;
- stimolare gli Enti preposti alla preven
zione e alla educazione sanitaria. L’AIDO è quindi interessata ai problemi riguardanti ogni tipo di trapianto conosciuto e autorizzato dalle leggi.
Cenni storici L’associazione nasce nel 1971 a Bergamo; attualmente gli iscritti all’A.I.D.O. per la provincia di Trento sono oltre 19.000. La sede sociale si trova a Trento – Via Sighele, 7 – Tel. e fax 0461 916 026 (Scheda a cura dell’AIDO)
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SCHEDA 2
Associazione Donatori Midollo Osseo (ADMO)
ADMO Associazione Donatori Midollo Osseo, è nata in Italia nel 1989, conta attualmente 300.000 soci donatori tipizzati e iscritti nel Registro Italiano Donatori Midollo Osseo con sede a Genova presso l’Ospedale Galliera.
Di che cosa di occupa ADMO in Italia Alcune malattie del sangue, fra cui gravi forme di leucemia e diverse forme di grave anemia, possono trovare possibilità di guarigione nel trapianto di midollo osseo. Si può stimare che nella sola Italia circa 1.000 persone ogni anno, di cui quasi la metà bambini, potrebbero trovare beneficio da questo tipo di intervento, al quale in molti casi non vi è alternativa per vivere. Purtroppo anche a causa del tipo di vita moderna, è sempre più difficile trovare un donatore compatibile in ambito familiare (fratello o sorella) dato che il numero dei figli in famiglia si riduce sempre di più. Da qui la forte necessità di ricercare persone disponibili ad offrirsi come donatori di midollo osseo. Cosi ADMO per soddisfare questa forte esigenza di ricerca di donatori disponibili, opera capillarmente su tutto il territorio nazionale svolgendo principalmente opera di informazione e sensibilizzazione presso la popolazione. Molti non conoscono la donazione del midollo come cura, e così attraverso momenti informativi organizzati presso scuole, teatri e comunque in qualsiasi luogo e momento idoneo a soddisfare il bisogno di
notizie, fugare dubbi e rispondere a domande legate al problema donazione, cerchiamo di far conoscere la possibilità di poter ridare la speranza alla vita con un trapianto di midollo osseo, a tutte quelle persone che altrimenti non potrebbero continuare a sperare e combattere per una guarigione.
Alcuni dati possono far capire l’importanza del trapianto di midollo osseo:
i donatori Mondiali 6.157.000 i donatori Italiani 300.000 i Registri Donatori nel mondo 44 le Nazioni che partecipano 34 i Donatori Italiani giunti al T.M.O 571 i Pazienti Italiani giunti al T.M.O 695
Queste alcune cifre fanno riflettere su quante persone hanno bisogno di ricevere un trapianto per sperare in una guarigione.
Chi può candidarsi come donatore di midollo osseo Qualunque individuo di età compresa tra i 18 anni (per motivi legali) ed i 35 anni (per motivi sanitari) può essere un donatore di midollo osseo, purché ovviamente, non sia affetto da malattie del sangue o da altre gravi forme infettive. Per diventare donatori di midollo osseo è sufficiente sottoporsi al prelievo di un campione di sangue (come per una normale analisi) e firmare l’adesione al Registro Italiano Donatori Midollo Osseo.
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SCHEDA 2
Ricordiamo che il midollo osseo non è il midollo spinale, il midollo osseo si trova nelle ossa iliache del bacino e in alcune altre ossa del nostro corpo. I risultati dell’analisi vengono poi inseriti in un archivio elettronico gestito a livello regionale e nazionale. Il donatore di midollo osseo è uno dei pochi donatori che una volta chiamato a rispondere della propria disponibilità, ha la consapevolezza di poter contribuire al tentativo di salvare la vita di un individuo ben preciso, spesso di un bambino.
In Trentino ADMO conta 3.000 soci iscritti tipizzati. Presso la Banca del sangue, in Via Malta 8 a Trento - tel. 0461/904274, ven
gono effettuati tutti i prelievi necessari alla tipizzazione; personale molto qualificato è sempre presente e disponibile per qualsiasi tipo di informazione. Inoltre nei principali ospedali del Trentino, sono organizzati dei punti di prelievo nei quali il donatore si può comodamente recare, evitando di dover venire a Trento. L’associazione ha la propria sede provinciale in Via Sighele 7 - Trento tel. 0461/916026. Segnaliamo il sito Internet della Federazione Italiana da poter visitare per qualsiasi informazione o curiosità: www.admo.it E-mail:admo@iol it. (Scheda a cura dell’ADMO)
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SCHEDA 3
Associazione Italiana contro le Leucemie (AIL)
L’AIL–Trentino Onlus si è costituita come Sezione provinciale dell’Associazione Italiana contro le Leucemie il 1° dicembre 1997, con atto costitutivo pubblico n. 5313, repertorio n. 20995. L’associazione ha sede a Trento, in via Calepina 75, telefono 0461 985098.
Iscritta all’Albo delle Organizzazioni di Volontariato della Provincia Autonoma di Trento con decreto n. 99/88 dell’Assessore alla Sanità e Attività Sociali, l’AIL–Trentino persegue la seguente finalità: sostenere la ricerca, le cure, l’informazione, l’orientamento logistico e, nel caso, l’autonomia finanziaria dei malati trentini di leucemia, di linfoma e di altre gravi emopatie maligne.
Proprio per gli obiettivi perseguiti, l’Associazione è particolarmente attenta al tema della donazione del “sangue”, del “midollo osseo” e del “sangue placentare”, operando una sistematica attività di sensibilizzazione alla donazione mediante incontri seminariali e la diffusione di opuscoli e “Notiziari” sul territorio.
Insieme all’Admo ed all’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari, l’AIL–Trentino ha sostenuto l’avvio della donazione del Sangue placentare in Trentino, finanziando anche direttamente la relativa campagna di pubblicizzazione e l’acquisto di appositi contenitori di trasporto. Recentemente sono stati pure finanziati un corso di aggiornamento di raccolta del Sangue placentare per ostetriche e l’attività di tipizzazione delle
sacche di sangue prima della conservazione.
Nei confronti di diversi malati in attesa di trapianto allogenico da donatore extra familiare, l’Associazione è intervenuta anticipando gli esborsi economici necessari per il reperimento del Midollo osseo, compresa la quota che, nel caso di donatore straniero, non viene riconosciuta dal sistema sanitario nazionale. (Scheda a cura dell’AIL)
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SCHEDA 4
Associazione Nazionale Emodializzati (ANED) Medaglia d’oro alla Sanità Pubblica
L’ANED, Associazione Nazionale Emodializzati Onlus, riunisce e rappresenta i cittadini affetti da insufficienza renale (nefropatici e dializzati) ed i cittadini in attesa e portatori di trapianto d’organo. Da oltre 28 anni si batte per tutelare e promuovere i loro diritti civili, migliorare le loro condizioni di vita e diffondere la cultura del trapianto e della solidarietà.
Per raggiungere i suoi obiettivi l’Aned attua un costante rapporto con le Istituzioni e gli operatori per ricercare, proporre e favorire la soluzione dei problemi sanitari e sociali inerenti le nefropatie ed i trapianti e in questi anni ha ottenuto provvedimenti legislativi e amministrativi, impegni di risorse ed interventi mirati.
L’Associazione offre costantemente un servizio di segreteria sociale sulle complesse problematiche, sia nel campo sanitario sia sul versante sociale, e un supporto concreto anche per il disbrigo di pratiche amministrative; ma sicuramente l’aspetto più specifico è il contatto continuo con i pazienti.
I componenti il Comitato provinciale costituiscono un punto di riferimento per chiunque debba affrontare la malattia renale, per ogni persona in attesa di trapianto e trapiantata, per ricevere informazioni, consigli, appoggi, per un confronto prezioso su tutti i problemi, da quelli logistici a quelli comportamentali, che nascono da una “vita legata alla macchina” o dalla situazione
stressante dell’attesa o dalla “nuova vita” del trapiantato, ma anche per l’aiuto che sorge da l’intessersi di rapporti amichevoli tra persone che condividono le stesse esperienze.
Nell’ambito della multiforme attività dell’ANED particolare importanza riveste l’azione di informazione puntuale e di sensibilizzazione diffusa sul tema del trapianto di organi, attraverso la campagna multimediale rivolta alla popolazione (vincitrice del concorso del Ministero della Sanità) e tramite l’organizzazione di incontri, di eventi culturali, musicali e sportivi nonché di manifestazioni in occasione delle Giornate nazionali “Donazione e trapianto di organi” (quali coordinatori nazionali del Comitato Promotore) in cui le persone stesse che attendono un trapianto o che grazie al trapianto hanno riconquistato vita e salute si fanno protagonisti e testimoni. La sede del Comitato provinciale dell’ANED è in Viale dei Tigli, 17 – Trento, tel e fax 0461/916404 e-mail: [email protected]. La sede è aperta al pubblico tutti i giovedì mattina, o su appuntamento. (Scheda a cura dell’ANED)
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Il trapianto di rene da donatore vivente Luisa Berardinelli, Claudio Beretta, Antonio Pasciucco
L’esperienza dell’Ospedale Maggiore
Policlinico, IRCCS, di Milano
Il primo trapianto di rene fra soggetti viventi fu effettuato fra due gemelli identici a Boston nel dicembre 1954. Successivamente, la donazione da vivente rappresentò un momento cruciale per lo sviluppo dei trapianti in un’epoca ancora pionieristica, quando ancora poco si sapeva della compatibilità tissutale, della conservazione degli organi e
della terapia immunodepressiva. Se il donatore cadavere rimane la fonte principale per la maggior parte degli organi trapiantabili e l’unica possibile per il trapianto cardiaco, il donatore vivente costituisce una valida fonte alternativa per i reni, raggiungendo negli Stati Uniti il 25% dell’intera casistica. Anche nella nostra esperienza milanese, come in quella mondiale, i risultati sempre migliori e la nota difficoltà di reperire un adeguato numero di donatori cadavere idonei hanno comportato negli anni recenti una politica di incremento delle donazioni da vivente.
Nel trapianto da vivente è fondamentale la spontaneità e la gratuità della donazione, da accertare con perizie psichiatriche e giuridiche, al fine di evitare i rischi e i sospetti di una commercializzazione degli organi. Per tale motivo, al Policlinico di Milano, a differenza di altri
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centri, preferiamo effettuare il trapianto da vivente solo fra consanguinei o fra estranei legati da importanti vincoli affettivi, come, ad esempio, fra marito e moglie.
La selezione del donatore vivente prevede una serie di esami clinici, strumentali e di laboratorio, atti a verificarne l’idoneità psicofisica alla donazione, da portare a termine con una sequenza temporale ben precisa, in tre tappe, effettuando nel-l’ultima tappa gli esami più invasivi, come l’arteriografia renale (vedi Tab. 1)
Il riscontro di gruppi sanguigni incompatibili o la positività della reazione di cross-match fra donatore e ricevente escludono la possibilità del trapianto negli esami di secondo livello.
Particolare attenzione va posta nella individuazione nel potenziale donatore di patologie - che potrebbero compromettere l’esito del trapianto o porre a rischio la vita del donatore o del ricevente - quali malattie cardiovascolari, ipertensione attuale o pregressa, neoplasie, malattie sistemiche, diabete, ed eventuali nefropatie familiari e/o ereditarie, come i reni policistici o la nefronoftisi.
Il riscontro, invece, all’arteriografia di vasi renali multipli o di doppio uretere non costituisce per il nostro centro un deterrente al trapianto, anche se altri fattori devono essere valutati in associazione all’anomalia anatomica.
L’età avanzata del donatore, anche fino ai 70 anni, non rappresenta invece nell’esperienza personale una controindicazione assoluta al
trapianto da vivente, non essendo spesso l’età anagrafica correlata con l’età biologica.
Secondo la legge italiana la procedura prevede che, una volta accertata l’idoneità alla donazione, i medici curanti (il nefrologo, il chirurgo e l’immunologo tipizzatore) redigano un verbale di idoneità per l’ASL. Come ultimo atto, è previsto che il donatore attesti la gratuità e spontaneità del suo gesto davanti al giudice.
Il maggiore stress psicologico a cui viene sottoposta l’intera famiglia del donatore, la necessità di sottoporre il probando donatore ad esami invasivi, indispensabili per verificarne l’idoneità, i rischi operatori, seppur minimi, connessi con l’intervento chirurgico di prelievo dell’organo rappresentano i principali svantaggi del trapianto da vivente rispetto a quello da cadavere.
La possibilità di rivelare, attraverso gli esami per l’idoneità, patologie altrimenti silenti nel donatore, di poter programmare l’intervento, che nel caso può essere effettuato addirittura prima che il ricevente venga sottoposto alla dialisi, la riduzione dei tempi di ischemia con migliore ripresa funzionale, la riduzione del rischio di rigetto, la migliore sopravvivenza del paziente e dell’organo a breve, ma soprattutto a lungo termine e, non ultima, la gratificazione emotiva del donatore costituiscono i maggiori vantaggi del trapianto da vivente.
Fra il 22 maggio 1969 e il 31 ottobre 2000 presso il Centro Trapianti dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano sono stati eseguiti
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2231 trapianti; di questi, 267 era- ta praticata nella nostra esperienza no stati effettuati con rene prove- fra parenti stretti e solo l’8.4% fra niente da donatore vivente. L’inci- estranei, che erano legati da vincodenza del trapianto da vivente è li affettivi, come fra marito e mosalita dal 7.5% nel primo periodo glie (86%), padre adottivo, zia o della nostra attività (1969-1983) al cugino. Si noti che oltre il 70% dei 22.3% dell’ultimo periodo (1991- donatori viventi è stato di sesso fem2000). La grande maggioranza dei minile, che appare ancora una volta trapianti fra viventi (91.5%) è sta- più generoso, rispetto al sesso ma-
ESAMI PER L’IDONEITÀ PSICOFISICA ALLA DONAZIONE DI RENE DA VIVENTE
Accertamenti di primo livello: anamnesi accurata, gruppo sanguigno (compatibilità con il ricevente), emocromo con formula, glicemia, azotemia, creatininemia, esame urine
Esami di secondo livello: VES, creatinina clearance (ripetuta almeno due volte), elettroliti plasmatici, esame urine completo con dosaggio proteinuria 24/h ed elettroliti, urinocoltura con antibiogramma, C3/C4, IgG/A/M, elettroforesi plasmatica, ANA, anti-DNA, Waaler-Rose, RA test, criocrito, bilirubinemia, fosfatasi alcalina, AST, ALT, gammaGT, PCHE, amilasemia, colesterolo totale e HDL, trigliceridi, T3, T4, TSH, sierodiagnosi per lue, tifo, paratifo e brucella, anticorpi antivirus (CMV, HSV, VZV), markers epatite (A, B, C), HIV, markers tumorali (CEA, alfa-fetoproteina, Ca 19-9, Ca 125, PSA se maschio, betaHCG se femmina), screening coagulatorio, ECG e visita cardiologica, eco-cardiogramma (dopo i 45 anni), RX torace, ecografia renale mirata, ecografia addomino-pelvica, ecocolorDoppler TSA (dopo i 45 anni), scintigrafia renale sequenziale, visita ginecologica, Pap test, mammografia (dopo i 40 anni).
Il passaggio al livello successivo di accertamenti deve essere preceduto da visita nefro-chirurgica di idoneità e da tipizzazione tissutale e cross-match tra donatore e ricevente.
Esami di terzo livello: Visita psichiatrica (per il candidato donatore e per il ricevente), esami di routine per i mezzi di contrasto, test di gravidanza (nelle donne fertili), angiografia aorto-renale selettiva con posa flebografica e urografica.
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schile. L’età dei donatori viventi è au
mentata significativamente negli ultimi diciassette anni in proporzione anche all’invecchiamento della popolazione generale: oltre la metà dei trapianti da vivente viene oggi effettuata con reni provenienti da donatori in età superiore ai 50 anni.
Nella nostra esperienza, fino aquattro anni i risultati del trapianto da vivente sono in pratica sovrapponibili a quelli da cadavere, tanto nella terapia convenzionale, quanto nella terapia con Ciclosporina; infatti, solo a partire dal quarto anno si evidenziano risultati migliori nel trapianto da vivente rispetto a quello da cadavere.
La terapia con Ciclosporina, iniziata nel nostro centro nel 1983, ha consentito di migliorare significativamente, fino al 23%, i risultati rispetto alla terapia convenzionale, precedentemente usata, a base di cortisone ed Azatioprina.
La presenza di anomalie vascolari e/o di ricostruzioni al banco non inficiano assolutamente i risultati del trapianto ; nella nostra esperienza oltre il 90 % dei pazienti, che avevano ottenuto un organo anomalo da vivente, lo mantengono funzionante a distanza di 4 anni, rispetto all’87% dei reni normali. Tra l’altro, proprio la scoperta accidentale al tavolo operatorio di vasi anomali nel donatore vivente, non rilevabili all’arteriografia e la necessità di riva-scolarizzare ogni territorio del rene da trapiantare, ci ha insegnato la possibilità di recupero anche dei reni prelevati da cadavere con vasi multipli o inavvertitamente danneg
Tabella 1
giati durante il prelievo. Per quanto riguarda l’età, appare
paradossalmente addirittura migliore la sopravvivenza dell’organo proveniente da donatore ultrasessantenne , dove i criteri di selezione sono però assai più restrittivi.
Per concludere, nella nostra esperienza i risultati dei trapianti da vivente, che sono nella grande maggioranza HLA semi-identici, appaiono particolarmente soddisfacenti negli ultimi 17 anni, cioè dall’introduzione della Ciclosporina nei protocolli terapeutici, riaffermandone l’indiscussa superiore valenza, dovuta alla migliore qualità dell’organo e alla più accurata selezione del donatore.
Luisa Berardinelli, Claudio Beretta e Antonio Pasciucco sono rispettivamente responsabile e collaboratori della Divisione di Chirurgia Vascolare e dei Trapianti dell’Ospedale Maggiore di Milano (I.R.C.C.S.) di Milano
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Il trapianto cardiaco:un traguardodella chirurgia moderna Luigi Martinelli
Da attività sporadica e sperimentale
a procedura universalmente accettata.
La storia e gli sviluppi futuri
Negli ultimi due decenni il trapianto cardiaco si è evoluto da attività sporadica e sperimentale fino a diventare una procedura universalmente accettata per il trattamento dello scompenso cardiaco refrattario ad altre forme di terapia medica o chirurgica. Il successo clinico del trapianto cardiaco è dovuto a nu-
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omerosi fattori: progresso della tecnica chirurgica, preservazione d’organo, immunosoppressione e miglioramento delle possibilità diagnostiche e terapeutiche delle infezioni. La dimostrata efficacia del trapianto ha fatto sì che il numero degli interventi subisse un continuo incremento e nello stesso tempo ha stimolato molti Centri ad intraprendere questo programma.
In realtà la scarsità di donatori si è subito rivelata il principale fattore limitante, obbligando il clinico ad una attenta valutazione delle indicazioni, in modo da evitare un uso improprio di queste risorse limitate. Con il procedere dell’esperienza si è comunque riusciti ad ottimizzare l’utilizzo degli scarsi organi disponibili, aumentando i limiti di età per i donatori, accettando cuori dalla funzione non ottimale ma sufficiente per garantire una buona qualità di vita e mettendo a punto metodiche di preservazione tali da garantire prelievi a lunga distanza dalla sede di trapianto. Nonostante questo, la chiave di volta per il successo di un programma di questa portata è rappresentata dalla sensibilità della popolazione verso il problema della donazione, in modo che tutti gli organi potenzialmente validi vengano utilizzati.
Storia del trapianto cardiaco Prima di giungere alla fase di applicazione clinica, il trapianto cardiaco ha attraversato un periodo di circa 60 anni in cui sono state effettuate delle sporadiche sperimentazioni cliniche. Nel 1905 Carrel e
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Guthrie dell’Università di Chicago hanno eseguito il primo trapianto cardiaco sperimentale, collegando le arterie e le vene del collo di un cane al cuore di un altro animale. Solo negli anni ’50, con l’avvento delle metodiche di circolazione extracorporea, la tecnica del trapianto cardiaco si è definitivamente avviata verso una fase di concretizzazione. Nella decade successiva la sperimentazione si è rivolta verso la soluzione di problemi quali la preservazione d’organo, la semplificazione delle metodiche chirurgiche, l’identificazione e il trattamento del rigetto. In una serie di lavori, il gruppo di Stanford, diretto da Norman Shumway, ha integrato l’esperienza esistente, formando la base per l’applicazione clinica del trapianto cardiaco. Il 3 dicembre del 1967, al ritorno da un soggiorno a Stanford, Christian Barnard, presso l’ospedale Groote Schuur di Città del Capo, ha effettuato il primo trapianto cardiaco nell’Uomo. L’anno successivo furono effettuati 102 trapianti in 17 nazioni, ma con risultati talmente deludenti che solo 3-4 Centri nel mondo proseguirono questa attività con una certa costanza.
Dobbiamo all’impegno di Shumway e del suo gruppo a Stanford se nel corso degli anni ’70 numerosi problemi relativi al trapianto vennero risolti, tanto che la sopravvivenza ad un anno dal trapianto è passata dal 22% nel 1968 al 75% nel 1978. La svolta avvenne nel 1980 con l’introduzione in terapia immunosoppressiva della Ciclosporina A. Questo farmaco ha consentito di attenuare la reazione di ri
getto senza comportare gravi conseguenze sull’organismo e pertanto ha portato la sopravvivenza a distanza dei pazienti a livelli molto elevati. Da allora il trapianto cardiaco è stato introdotto in quasi tutti i paesi occidentali come metodica clinica consolidata.
Il Trapianto Cardiaco alle soglie del terzo millennio: dati del Registro Internazionale La Società Internazionale per il trapianto di cuore e polmone raccoglie i dati provenienti da 213 Centri localizzati in tutti i Continenti. Il resoconto del 2000, riferito al 1999 riporta un totale di 55.359 trapianti di cuore. I dati vengono analizzati in modo da fornire alla comunità scientifica informazioni sulle caratteristiche dei pazienti e sui risultati a breve e lungo termine del trapianto.
Il numero di trapianti ha raggiunto il suo massimo nel 1995 con 4466 casi riportati, mentre da allora si è assistito ad una sostanziale stabilizzazione legata al raggiungimento di livelli di utilizzo di organi non significativamente espandibili. L’età media dei donatori è passata da 23 anni nel 1983 a 31 nel 1999, indice di uno sforzo generalizzato per ampliare al massimo i criteri di idoneità. La fascia di età più frequente dei pazienti sottoposti al trapianto è compresa tra i 35 e i 65 anni. Le indicazioni sono rappresentate nella stragrande maggioranza dalla cardiomiopatia dilatativa primitiva e dalla cardiopatia ischemica.
La sopravvivenza dopo trapianto cardiaco è oltremodo incoraggian
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ote. Se teniamo conto dei pazienti trapiantati tra il 1996 e il 1999 la sopravvivenza ad un anno è vicina al 90%. La mortalità dopo il primo anno è costante (circa il 4%) e a distanza di 12,5 anni dal trapianto la sopravvivenza è ancora del 50%.
Il trapianto cardiaco in Italia e nell’area NITp Il programma di trapianto cardiaco in Italia è iniziato nel Novembre 1985, in 8 Centri, di cui 5 localizzati nell’area gestionale del NITp di cui fa parte anche la provincia di Trento. Attualmente i Centri Trapianto di Cuore NITp sono 6, di cui 3 in Lombardia, 2 nel Veneto e 1 in Friuli-Venezia Giulia. Al 31 Dicembre 1999 erano in lista d’attesa per il cuore presso il NITp 423 pazienti, il 43% dei quali proveniva da aree non NITp. Solo 4 di questi erano residenti nella Provincia di Trento. Ogni anno vengono trapiantati circa la metà dei pazienti inseriti in lista e questo comporta ancora una considerevole mortalità in attesa. I risultati dopo trapianto, confrontati con quelli riportati dal registro sopracitato, sono ottimi, con una sopravvivenza ad un anno di poco superiore al 90%. I dati relativi ai risultati a lungo termine evidenziano che la sopravvivenza dei pazienti a 10 anni dal trapianto è pari al 65%.
Il donatore cardiaco I criteri per stabilire l’idoneità del donatore cardiaco sono in continua evoluzione, nell’intento di estendere il più possibile il pool degli organi disponibili. Le regole stabilite ne-
Tabella 1
CRITERI CLASSICI DI ACCETTAZIONE DEL DONATORE DI CUORE
Età < 35 anni (uomini) < 45 anni (donne)
ECG normale
Assenza di: - Storia di cardiopatia - Prolungata ipotensione
o manovra rianimatoria - Infezioni - Importante terapia inotropa
(dopamina > 12 mg/kg/min)
gli anni ’80 dai principali Centri trapianto (Stanford, Columbia University, Hopital la Pitiè) che sono state ritenute a lungo il gold standard da parte della maggioranza dei centri trapianto, sono adesso considerate eccessivamente restrittive (Tab. 1).
Molti autori hanno riportato buoni risultati utilizzando donatori marginali, portando così alla formulazione di nuovi protocolli. Attualmente in Italia vengono accettati donatori secondo le caratteristiche riportate in Tab. 2. In accordo con questi criteri, la maggiore determinante di accettabilità è rappresentata dalla funzionalità cardiaca, indipendentemente da età, causa di morte, tempo di permanenza in terapia intensiva e altre condizioni prima considerate controindicazio
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ni assolute. Come risultato abbiamo lo stesso numero di donatori anche se l’incidenza della morte cerebrale legata a lesioni traumatiche si è ridotta grazie ad una efficiente prevenzione. Tuttavia la qualità degli organi disponibili è più scadente. Attualmente il donatore tipo è più vecchio, è rimasto più a lungo in terapia intensiva ed è morto a causa di un accidente vascolare cerebrale. Con queste premesse il processo valutativo deve essere accurato. Sfortunatamente non vi è alternativa all’esecuzione di una coronarografia per una affidabile valutazione dell’albero coronarico, ma questa procedura è spesso impraticabile per cause logistiche, legali e cliniche. Così la definitiva accettabilità di un donatore cardi-
Tabella 2
aco è rimandata alla valutazione diretta da parte dell’equipe trapianto.
Problematiche post-operatorie nel paziente sottoposto a trapianto di cuore Il successo a distanza di un intervento di trapianto è condizionato da una molteplicità di fattori, tra i quali rivestono un ruolo determinante una corretta impostazione della terapia preventiva del rigetto, una accurata valutazione e trattamento delle complicanze intercorrenti ma soprattutto una ottimale compliance del paziente. Nel decorso posttrapianto si possono riconoscere principalmente due fasi: una fase precoce, che interessa i primi 3 mesi, in cui sono prevalenti i pro-
CRITERI “ESTENSIVI” DI ACCETTAZIONE DEL DONATORE DI CUORE
No limiti di età
Funzione cardiaca: - Cinesi accettabile (FE >30%) - Miglioramento con ottimizzazione del volume
e supporto inotropo
Anatomia cardiaca: - Normale - Difetti trattabili chirirgicamente (difetto interatriale, insufficien
za mitralica o tricuspidalica, stenosi mitralica, anomalie di conduzione A-V)
Arterie coronarie: - Normali (angiografia coronarica richiesta se età > 50 anni o in
presenza di fattori di rischio) - Possibilità di un’efficace rivascolarizzazione
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oblemi legati all’intervento chirurgico, al rigetto acuto e alle infezioni, e una fase tardiva in cui prevalgono gli effetti indesiderati della terapia immunosoppressiva e in cui si può assistere ad una progressiva perdita della funzionalità dell’organo trapiantato dovuta a fenomeni degenerativi immunomediati (rigetto cronico).
L’immunosoppressione deve essere continuata per tutta la vita e, come per la maggior parte dei trapianti, è basata essenzialmente su tre farmaci: ciclosporina, azatioprina e cortisone. La dose di farmaci immunosoppressori deve essere attentamente calibrata in modo da evitare danni su fegato e rene ma anche per non esporre il paziente ai rischi tipici della depressione immunitaria, come infezioni e neoplasie.
Il paziente trapiantato necessita di costante controllo, non solo dell’organo direttamente interessato, ma anche della situazione generale in quanto è di fondamentale importanza intervenire in senso preventivo più che curativo sulle numerose patologie che potenzialmente possono insidiare il decorso clinico di questi soggetti.
Possibili sviluppi futuri del trapianto cardiaco Nonostante i positivi risultati raggiunti in quasi tre decenni di esperienza di trapianto cardiaco, la scarsità di donatori e la necessità di manipolare cronicamente il sistema immunitario per preservare la funzione cardiaca continuano a minare il successo di questa procedura. La
ricerca è pertanto rivolta all’identificazione di nuove molecole immunosoppressive e alla ricerca di alternative al trapianto omologo per i pazienti affetti da cardiopatia terminale.
Nuove strategie immunosoppressive: la ricerca interessa lo sviluppo di nuovi farmaci e di nuovi anticorpi monoclonali destinati a reagire con i T linfociti responsabili del rigetto. Alcuni di questi agenti fanno ormai parte della pratica clinica corrente (FK506, micofenalato mofetil, OKT3), altri sono in corso di sperimentazione, come gli anticorpi monoclonali umanizzati che dovrebbero garantire una elevata selettività di azione.
Sono inoltre in fase di sperimentazione strategie immunosoppressi
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ve non farmacologiche, quali la irradiazione linfatica, procedure di aferesi, fotoferesi.
Alternative al trapianto: numerose soluzioni chirurgiche sono state proposte per evitare o dilazionare il trapianto, quali la plastica mitralica nelle forme dilatative accompagnate da grave insufficienza valvolare, la rivascolarizzazione cosiddetta “estrema” nei pazienti con cardiomiopatia ischemica, la riduzione volumetrica del ventricolo sinistro nelle gravi forme dilatative con “sfericizzazione” del ventricolo sinistro. I risultati di queste metodiche sono di difficile interpretazione a causa della difficoltà di creare casistiche tra loro confrontabili. Sicuramente questo notevole lavoro di sperimentazione clinica ha portato all’identificazione di soggetti
che possono beneficiare di procedure conservative anche se i risultati sul piano funzionale non sono paragonabili a quelli di un trapianto ben riuscito.
Xenotrapianto: la possibilità di utilizzare cuori di animali è da lungo tempo in fase sperimentale. Numerosi sviluppi sono stati ottenuti mediante la manipolazione genetica che ha consentito di ottenere organi di maiale che non subiscono nell’uomo il rigetto iperacuto. Rimangono però ancora molti quesiti importanti da risolvere, soprattutto il controllo del rigetto acuto e cronico e la possibile trasmissione di virus animali mutanti in grado di creare delle epidemie di estrema virulenza nella popolazione normale.
Assistenza circolatoria meccanica: la
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otecnologia attuale consente di disporre di apparecchiature sempre più miniaturizzate e trasportabili in grado di sostituire tutta o in parte la funzione cardiaca. Il loro utilizzo estensivo è però attualmente impedito dalla difficoltà di gestione (possibili guasti meccanici, trombogenicità) e dalla scadente qualità di vita che riescono a garantire.
Conclusioni Il trapianto di cuore è al momento una opzione terapeutica ben codificata per le cardiomiopatie terminali che non sono trattabili con metodiche conservative mediche o chirurgiche. L’elevato numero di pazienti che muoiono in lista di attesa evidenzia ancor più che il fattore limitante è rappresentato dalla scarsità di donatori anche se, con il rinnovato interesse da parte del pubblico e l’aumento di coscienza del problema da parte delle istituzioni e dei professionisti, questo problema sembra lentamente diminuire. Il miglioramento dell’immunosoppressione e la disponibilità di farmaci affidabili ed efficaci per il controllo delle infezioni hanno contribuito considerevolmente ai presenti risultati a breve e lungo termine. Il problema del deterioramento del graft causato dall’aterosclerosi accelerata dell’albero coronarico è ancora uno dei principali limiti ed ogni sforzo deve essere fatto per comprendere e prevenire questo evento. A causa della discrepanza tra numero di donatori e potenziali riceventi, lo xenotrapianto e l’utilizzo di apparecchi meccanici può essere una possibile soluzione. Il
futuro fa intravedere molte promesse sia per l’opzione biologica che per quella meccanica e il ruolo di ciascuna potrà essere identificato in rapporto alle esigenze dei singoli pazienti.
Sebbene esistano ancora numerosi problemi, i recenti sviluppi del programma trapianti nell’ultima decade incoraggiano la previsione che il trapianto cardiaco (omologo o eterologo) e i mezzi di assistenza circolatoria meccanica occuperanno una posizione importante nel futuro della cardiochirurgia.
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Luigi Martinelli è Primario dell’U.O. di Cardiochirurgia dell’Ospedale S.Martino di Genova
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Il trapianto di sangue placentare Lucilla Lecchi, Paolo Rebulla, Girolamo Sirchia
La storia e i possibili sviluppi.
Le banche di sangue placentare,
il network GRACE, l’ADISCO.
Il trapianto di sangue placentare rappresenta una recente evoluzione dell’impiego terapeutico delle cellule staminali e dei progenitori emopoietici, i precursori dei globuli rossi, dei globuli bianchi e delle piastrine.
Il successo del trapianto dipende in larga misura dalla compatibilità tra donatore e ricevente. La situazione più favorevole si realizza quando il paziente dispone di un donatore identico per un particolare sistema genetico, denominato HLA, generalmente reperito fra i fratelli del paziente. Sfortunatamente, meno della metà dei pazienti dispone di un donatore HLA identico. Per i pazienti che non hanno fratelli HLA-identici non rimane altra possibilità che ricercare un donatore HLA-identico non imparentato. Nella seconda metà degli anni Ottanta è stato dimostrato che il sangue placentare, che viene eliminato dopo il parto, è ricco di cellule staminali, le stesse presenti nel midollo osseo. Il primo trapianto di cellule staminali da sangue placentare è
stato eseguito con successo a Parigi nel 1988 in un paziente affetto da anemia di Fanconi. Prima di tale data il trapianto veniva eseguito principalmente con il midollo osseo del donatore o, in epoca più recente, con precursori emopoietici raccolti con procedure di aferesi. I trapianti di sangue placentare finora eseguiti sono più di 1.500. I dati della sopravvivenza, che non sembrano differire sostanzialmente da quanto atteso in un analogo gruppo di pazienti trapiantati con il midollo osseo, sono incoraggianti, in particolare considerando la tipologia della casistica e l’esordio relativamente recente della pratica di trapianto di sangue placentare rispetto al trapianto di midollo osseo.
La Milano Cord Blood Bank La possibilità di utilizzare il sangue placentare ha stimolato la nascita e lo sviluppo di numerose banche di sangue placentare in tutto il mondo.
La raccolta di sangue placentare è un’operazione semplice e rapida, che non comporta alcun rischio per la madre o per il bambino in quanto avviene quando il cordone ombelicale è già stato reciso. Dopo aver valutato l’idoneità della madre e del neonato, viene esplicitamente chiesto alla madre il consenso a prelevare il sangue placentare e a sottoporsi a un prelievo venoso per la ricerca dei marcatori delle principali malattie infettive al momento della donazione ed a sei mesi dal parto (HIV, HBV, HCV, ecc.). Dopo la nascita, quando il cordone om
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belicale è stato reciso, un operatore esperto preleva in apposita sacca il sangue rimasto nel cordone ombelicale e nella placenta. L’unità viene trasportata alla banca di sangue placentare dove, se ritenuta idonea, viene congelata e conservata in azoto liquido a –196°C. Su ogni unità di sangue placentare vengono eseguiti opportuni test di laboratorio allo scopo di caratterizzare l’unità e garantire la sicurezza del prodotto fornito per trapianto.
Presso il Centro Trasfusionale e di Immunologia dei Trapianti dell’Ospedale Maggiore di Milano, ha sede la Milano Cord Blood Bank che, con oltre 3700 unità disponibili, rappresenta oggi la prima banca italiana e una fra le maggiori al mondo. Istituita nel 1993, dispone oggi di uno staff di laureati, tecnici e volontari che, grazie alla competenza acquisita si occupano dell’intero processo di donazione, raccolta,
conservazione e assegnazione delle unità.
Attualmente il sangue placentare viene donato dalle madri che partoriscono in 13 ospedali della Lombardia, 1 dell’Emilia Romagna e 7 del Trentino (la cui attività è iniziata nell’anno 2000).
Il Gruppo per la Raccolta e l’Amplificazione delle Cellule Ematopoietiche (GRACE) Il Gruppo per la Raccolta e Amplificazione delle Cellule Ematopoietiche (GRACE) si è costituito nel 1995 sulla base di una proposta avanzata da Milano Cord Blood Bank, al fine di promuovere il coordinamento delle attività di prelievo, la caratterizzazione e la criopreservazione del sangue placentare a scopo di trapianto allogenico. Presso la banca di Milano ha sede la segreteria organizzativa e l’archivio informatico delle unità di sangue placentare conservate presso le banche affiliate a GRACE. Fanno attualmente parte del network GRACE le banche site a Bologna, Firenze, Milano, Padova, Roma e Torino. I dati di tipizzazione delle unità sono inseriti in un Registro collegato con altri Registri di donatori di midollo o di sangue placentare internazionali. In questo modo i dati sono a disposizione dei clinici che possono inoltrare la richiesta di ricerca di unità compatibili per pazienti italiani o stranieri che necessitano di trapianto di cellule staminali da sangue placentare. Al 31 ottobre 2000 sono state consegnate per trapianto allogenico da donatore non imparentato 133 unità di sangue placenta
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re. Di queste 106 sono state rilasciate dalla Banca di Milano, 10 dalla Banca di Torino, 8 dalla Banca di Firenze e 9 dalla Banca del Lazio. La Banca di Milano ha inoltre rilasciato 13 unità di sangue placentare per trapianto da donatore consanguineo.
ADISCO: un supporto alla ricerca Nell’ottobre del 1995 si è costituita a Roma per iniziativa di un gruppo di donne sotto la spinta del prof. Franco Mandelli, direttore dell’Istituto di Ematologia dell’Università La Sapienza di Roma, l’Associazione Donatrici Italiane Sangue di Cordone Ombelicale (ADISCO), che raccoglie le persone che intendono contribuire alla divulgazione della donazione di sangue placentare da utilizzare per trapianto.
L’Associazione ADISCO si propone di promuovere iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica alla donazione del sangue placentare e raccogliere fondi per la ricerca, indispensabile allo sviluppo e all’affermazione di GRACE in campo internazionale.
Espansione delle cellule staminali Benchè il trapianto di sangue placentare sia già stato eseguito nel mondo in più di 1000 casi, oltre l’80% della casistica finora trattata è rappresentata da pazienti in età pediatrica. Infatti, questo nuovo trattamento presenta un importante limite, legato al volume relativamente piccolo di sangue che permane nella placenta al termine del parto. Per questa ragione, in gran parte dei pazienti adulti il numero
di cellule non è sufficiente a garantire un intervento in condizioni di ragionevole sicurezza. Il rischio principale in questi casi è la mancanza o il ritardo dell’attecchimento delle cellule staminali trapiantate.
Per superare queste difficoltà sono in corso di studio protocolli finalizzati ad ottenere l’espansione (cioè ad aumentare il numero) delle cellule staminali placentari. Per poter comprendere questi programmi è utile ricordare alcuni aspetti della biologia delle cellule staminali.
Le cellule staminali presentano due importanti caratteristiche, in un certo senso in competizione fra loro. Esse possono infatti mantenere lo stato primitivo e autoreplicarsi o, in presenza di adeguati stimoli e condizioni ambientali, generare cellule ‘figlie’ da cui verranno a loro volta generati globuli rossi, globuli bianchi e piastrine, cioè ‘differenziarsi’. Ebbene, lo scopo dell’espansione è aumentare il numero delle cellule, senza stimolarle a tal punto da causarne la differenziazione. Infatti, se si trapiantassero cellule troppo ‘differenziate’, il paziente si troverebbe entro breve tempo privo di cellule staminali ‘primitive’ cioè ricche di una potenzialità a lungo termine, e il trapianto perderebbe quindi rapidamente la propria efficacia. D’altronde, dato che le cellule attualmente disponibili sono troppo poche per i pazienti di taglia maggiore, è anche necessario aumentarne il numero. La difficoltà sta nel bilanciare gli stimoli che contribuiscono a far differenziare le
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cellule con quelli che le mantengono nello stato quiescente.
Due sono i livelli principali in cuisi articola la ricerca. Innanzi tuttoè necessario selezionare le sostanze stimolanti più appropriate fra le numerose citochine che interagiscono con le cellule staminali e identificarne l’opportuna concentrazione. Contemporaneamente, va messo apunto un sistema di coltura adatto:devono essere garantiti alle celluleun ambiente sterile a temperaturacontrollata, un adeguato apporto di ossigeno e nutrienti nonché la rimozione delle sostanze tossiche pro-dotte dal metabolismo cellulare. Ilsistema deve essere sufficientemente pratico e flessibile per studiarele diverse variabili, ma anche offrire sufficienti garanzie in modo taleda poterne ipotizzare l’impiego prima nell’animale e poi nell’uomo.
Prima di arrivare all’impiego nel-l’uomo, le cellule espanse devono essere valutate nell’animale per dimostrare di non aver perso la loro capacità di attecchimento e crescita in vivo. Si tratta di una parte molto complessa e costosa della ricerca, perché devono essere impiegati particolari ceppi di topi, denominati NOD/SCID, affetti da gravi carenze immunitarie. Questa caratteristica rende i topi idonei all’esperimento perché incapaci di rigettare le cellule trapiantate, ma richiede altresì un trattamento particolare degli animali, molto fragili di fronte a qualsiasi rischio infettivo.
Sulla base dei buoni risultati preclinici finora ottenuti, si è costituito un gruppo di lavoro per l’impiego clinico delle cellule espanse. Il gruppo di lavoro, composto da ricercatori della Milano Cord Blood Bank e da clinici dell’Università di Pavia ha prodotto un protocollo per l’impiego clinico delle cellule staminali per il quale è stata chiesta e ottenuta l’approvazione del Comitato Etico del Policlinico San Matteo dell’Università di Pavia.
I risultati di queste ricerche e del lavoro di numerosi altri gruppi che operano attualmente in questo settore potranno essere definite le premesse per un nuovo, significativo balzo in avanti della terapia cellulare: l’impiego del trapianto di sangue placentare nel paziente adulto.
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Lucilla Lecchi, Paolo Rebulla, Girolamo Sirchia sono rispettivamente Direttore Tecnico, Responsabile della Ricerca e Primario presso il Milano Cord Blood Bank - Centro Trafusionale e di Immunologia dei Trapianti - Ospedale Maggiore Policlinico di Milano
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Il trapianto di mano eterologo Marco Lanzetta, Roberta Nolli, Ilaria Radaelli, Stefano Lucchina
Nell’ottobre 2000 il primo trapianto in
Italia. La storia e le caratteristiche
dell’intervento.
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Introduzione Per la prima volta in Italia il 17/ 10/2000 una equipe italiana costituita da chirurghi della mano e ortopedici esperti in microchirurgia, chirurghi generali, chirurghi plastici ed anestesisti ha portato a termine con successo il primo trapianto eterologo di mano presso l’Ospedale San Gerardo di Monza. L’avambraccio distale di un uomo di 43 anni è stato trapiantato in un uomo di 35 anni, sposato e con un figlia di 7 anni, che aveva subito un’amputazione traumatica a 13 anni di età nel corso di un incidente agricolo. Il trapianto effettuato si colloca, temporalmente, dopo 6 esperienze mondiali di successo. Il 25/ 9/1999 a Lione viene effettuato il 1° trapianto su un uomo di 47 anni con mano dominante dx. Il risultato è positivo. Nel settembre 1999 a Guanzhou (Cina) sono effettuati 2 trapianti distinti monolaterali su 2 uomini con risultati positivi. Il 13 gennaio 2000 a Lione viene effettuato il primo trapianto bilaterale di mano al mondo su un uomo di 34
anni. Il risultato è positivo. Il 25 gennaio 2000 in U.S.A. viene effettuato un trapianto monolaterale di mano dominante sx su un uomo di 37 anni. Il risultato è positivo. Nel marzo 2000 a Innsbruck viene portato a termine un trapianto bilaterale di mano su un uomo di 40 anni con risultato positivo. Infine il nostro. L’atto chirurgico in sé è, però, soltanto uno dei momenti-chiave del trapianto. Il primo di questi momenti è la selezione del candidato al trapianto. Solo infatti l’1% di tutti i pazienti (500 circa) che giungono alla nostra prima osservazione per questo tipo intervento rientrerà nei 5 casi di sperimentazione in 2 anni che il Ministero della Sanità ha autorizzato il 25/2/2000. Questi i criteri di selezione dei candidati: 1) età compresa tra i 18 e i 50 anni; 2) perdita della mano dominante o
di entrambe le mani; 3) amputazione traumatica (inci
denti sul lavoro/stradali/esplosioni);
4) non malformazione congenita enon amputazioni per tumori;
5) livello di amputazione attorno alpolso;
6) rifiuto delle soluzioni alternative (protesi estetiche o funzionali);
7) superamento dei tests psicologici e dell’iter diagnostico;
8) capacità di esprimere un pieno consenso informato all’intervento;
9) accettazione del programma di riabilitazione e dei relativi follow-up; Il paziente operato è
stato,quindi, selezionato dopo un
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lungo periodo di preparazione che ha previsto anche la valutazione dei benefici e dei rischi, questi ultimi legati ai possibili effetti collaterali della terapia immunosoppressiva.
L’iter diagnostico E’ stata raccolta l’anamnesi familiare, fisiologica, patologica remota (malattie cardiovascolari, renali, urogenitali, epatiche) e prossima, notizie relative al trauma e all’utilizzo di ausili protesici, l’anamnesi allergologica e farmacologica per evidenziare la presenza di eventuali patologie acute o croniche che porrebbero il paziente a rischio di vita in caso di intervento ( pregressi IMA o ictus cerebrale,..) o che pregiudicherebbero la riuscita dello stesso (vasculopatie e neuropatie periferiche di varia natura,..). Il paziente viene sottoposto ad esami ematochimici, sierologici oltre a tests di tipizzazione HLA e di valutazione del gruppo sanguigno. Se
guono alcuni esami strumentali generali (ECG, Rx torace, ecocardiogramma,…) e specifici per l‘arto (Rx, arteriografia, EMG, RMN). Questi esami sono utili per localizzare in tutte le strutture anatomiche possibili danni o deformità postraumatiche. Seguono alcune visite specialistiche (oculistica, odontoiatrica, allergologica, dermatologica, ginecologica, chirurgica). Segue l’esame muscolare e la valutazione della funzionalità protesica da parte del fisioterapista, la valutazione anestesiologica ed infine quella psicologica affidata a psichiatri e psicologi clinici con l’obiettivo di saggiare la convinzione del paziente ad affrontare il trapianto.
Il giorno del trapianto Con la supervisione del N.I.T. e l’aiuto sul territorio del Reparto di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di Trento, è stato identificato presso l’Ospedale di Trento il 16/10/ 2000 il possibile donatore ed è quindi stato richiesto il consenso dei famigliari all’espianto multiorgano, compreso l’avambraccio da trapiantare. Un’equipe di chirurghi dell’Ospedale di Monza, giunta sul posto celermente in collaborazione con le linee Avionord e gli elicotteri Agusta, ha effettuato l’espianto nella sera del 16/10.
Planning chirurgico Una procedura chirurgica attentamente programmata è uno dei punti chiave per raggiungere un buon risultato clinico nel trapianto di mano. La nostra esperienza, dapprima con i due casi trattati a Lione
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(uno monolaterale ed uno bilaterale) e successivamente col paziente trapiantato presso l’Ospedale di Monza è stata positiva grazie all’utilizzo di una sequenza standardizzata. Il primo tempo dell’intervento è rappresentato dall’attenta preparazione chirurgica con l’individuazione delle singole strutture appartenenti sia al moncone dell’avambraccio del ricevente che del donatore. Si procede alla stabilizzazione scheletrica, quindi alla rivascolarizzazione microchirurgica mediante anastomosi arteriose e venose.
Si procede quindi alla rimozione dei clamp ed al rilascio del tourniquet. Nel nostro caso il tempo totale di ischemia dall’espianto della mano al momento della prima rimozione del clamp arterioso è stato di circa 13 ore. L’irrigazione con soluzione di Belzer per la preservazione degli organi a 4°C ed il mantenimento a basse temperature del segmento di arto, non necessari nei casi di reimpianti d’arto, sono utili a prolungare il tempo di ischemia ed a permettere, pertanto, il trasporto in aree distanti dalla sede del prelievo dal donatore. Si procede, quindi, alla riparazione di tendini, muscoli, nervi e cute.
Regime postoperatorio Il decorso posoperatorio iniziale è stato tranquillo. Non è stata osservata alcuna complicanza chirurgica. Il paziente è stato trattato nei primi giorni con terapia anticoagulante ed antiaggregante a base di Destrano ed Aspirinetta. Gli è stata somministrata una terapia antibiotica a largo spettro in associazione
ad una terapia immunosoppressiva costituita dal FK506, l’acido micofenolico e gli steroidi (Prednisone) con dosaggio a scalare nelle settimane successive all’intervento. L’FK506 è un farmaco di nouva generazione che ha permesso da un lato di garantire una perfetta copertura anti-rigetto minimizzando, dall’altro, gli effetti collaterali. In recenti trias clinici ha dimostrato, anche, una capacità addizionale di promuovere la rigenerazione nervosa. L’acido micofenolico, altro farmaco già diffuso per i trapianti di organi “salva-vita”, potenzia l’azione dell’FK506 a dosi molto più basse riducendo ulteriormente i possibili effetti collaterali. La terapia è stata elaborata in collaborazione con il reparto di Chirurgia Generale degli Ospedali Riuniti e l‘Istituto di Ricerca Mario Negri di Bergamo. Il paziente, dopo aver ben tollerato la terapia immunosoppressiva, è stato
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dimesso dall’Ospedale 24 giorni dopo l’intervento proseguendo a domicilio una terapia di mantenimento comprendente FK506, acido micofenolico e steroidi. La fisioterapia è iniziata quasi subito dopo l’intervento con una frequenza di 12 volte al giorno. Il programma si è strutturato inizialmente in una mobilizzazione passiva controllata e successivamente attiva in associazione ad esercizi di rieducazione sensoriale e protocolli di reintegrazione corticale. Tali procedure sono state rese possibili anche grazie all’ausilio di apparecchiature estremamente efficaci e ad alta tecnologia messe a disposizione dalla Smith&Nephew. Il supporto psicologico si è articolato in sedute giornaliere nel periodo ospedaliero, quindi con cadenze di due volte alla settimana dopo la dimissione. Dai primi dati rilevabili la fisioterapia ha già portato ad ottimi risultati da un punto di vista motorio mentre per il recupero sensoriale occorreranno ancora 6-24 mesi per poter esprimere giudizi scientificamente corretti.
Le novità italiane del trapianto Sono fondamentalmente due rispetto ai trapianti eseguiti in altri Paesi: - un sistema di monitoraggio 24
ore al giorno, dei parametri vitali relativi al paziente ed alla mano trapiantata proseguito anche a domicilio via telefono (tale sistema è stato finanziato dalla Fondazione CARIPLO con uno stanziamento apposito);
- insieme al trapianto sono state
innestate in un’area distante anche frammenti di cute provenienti dal donatore utili nella valutazione di un eventuale rigetto e nel caso di biopsie diagnostiche;
Conclusioni Il trapianto di mano è tecnicamente realizzabile. Le terapie immunosoppressive danno buone garanzie sulla prevenzione del rigetto acuto. Se non rileveremo episodi di rigetto la prognosi, in termini di recupero sensitivo e motorio della mano trapiantata, dovrebbe essere simile se non meglio di quella riportata in molteplici casi di reimpianti di arto. Tra due anni, alla luce dei risultati ottenuti coi 5 trapianti effettuati in Italia, sarà utile confrontare nel corso di una convention mondiale tutte le esperienze effettuate fino ad allora per poter trarre delle conclusioni sull’eventuale raggiungimento dei targets prefissati e sull’eventuale allargamento di questa procedura ad altri gruppi di pazienti.
Marco Lanzetta, Roberta Nolli, Ilaria Radaelli, Stefano Lucchina sono rispettivamente primario e collaboratori del Servizio di Chirurgia della Mano e Microchirurgia Ricostruttiva - Università degli Studi di Milano Bicocca - Ospedale S.Gerardo dei Tintori, Monza
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Analisi economica dei trapianti: la spesadel Servizio sanitario del Trentino nel 1999 Guido Baldessarelli
Il processo produttivo, la variabilità dei
costi unitari, i problemi aperti.
La valutazione economica dell’attività di trapianto è stata oggetto di studi sempre più accurati nell’ambito dei maggiori sistemi sanitari nazionali.
L’argomento risulta di interesse anche perché l’attività di trapianto comprende procedure fra le più complesse nello scenario delle prestazioni di ricovero.
Grazie al continuo miglioramento degli schemi di analisi costi-benefici, costi-efficacia e costi-utilità sono state fornite sui trapianti informazioni di tipo economico molto dettagliate ed ampiamente condivise fra gli addetti, per cui oggi può ritenersi tecnicamente dimostrabile l’efficienza e l’efficacia del trapianto come terapia medica, soprattutto quando viene eseguito in condizioni ottimali rispetto allo stato dell’organo ed allo stato di salute generale del paziente.
Per gli studi in materia sono risultati determinanti: a) lo sviluppo della contabilità ana
litica, - quale pilastro portante il processo di aziendalizzazione L’a
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i eco
nom
ica
di ospedali e unità sanitarie locali perseguito con la serie di provvedimenti avviati dal d. lgs. 502/92 - che consente di ottenere oggi con maggiore facilità le informazioni necessarie per le analisi dell’economia sanitaria;
b) lo sviluppo del finanziamento delle prestazioni di ricovero in base a tariffe predefinite dalle Regioni di competenza per territorio, sulla base delle risorse assorbite nel processo di assistenza, valorizzate economicamente secondo i costi standard di produzione;
c) la disponibilità di informazioni derivanti da specifici test somministrati ai pazienti “trapiantati” in grado di rilevare la loro capacità cognitiva e la condizione psichica, il grado di reinserimento nel mondo del lavoro, la
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qualità dei successivi anni di vita.
Le indagini sopra ricordate risultano particolarmente proficue quando esiste e deve essere valutata un’alternativa terapeutica al trapianto (ad esempio la dialisi contro il trapianto del rene)1 oppure vi sono nell’ambito dello stesso intervento di trapianto diversi protocolli procedurali di intervento. Quest’ultimo filone di studi trova ampia applicazione nei casi in cui il trapianto si ponga come intervento salva-vita, e dunque senza alcuna valida alternativa terapeutica.
Di contro, i maggiori limiti dell’attività di ricerca sono da imputarsi alla molteplicità dei fattori che incidono contemporaneamente sui costi e sugli esiti degli interventi: valutazione della propensione al rischio del paziente, lo stato di salute dello stesso, capacità del sanitario di prevedere e contenere le complicanze dell’intervento, la qualità degli organi e l’adeguatezza dei tempi in cui si rendono disponibili, i fattori legati alle dotazioni strutturali e tecnologiche del centro tra
1 Negli Stati Uniti il costo annuale della dialisi, è stato, nel 1996, di 40.000 $ per paziente. Il costo del trapianto di rene è risultato mediamente, eccettuati i casi limite di gravi complicanze, di 87.000 $ per il primo anno, mentre i costi sostenuti nel corso degli anni successivi sono di circa 12.000 $ in ragione d’anno. Già dopo tre anni il trapianto di rene è meno costoso della dialisi e quindi economicamente più efficiente. (1996, Report 1996, UNOS Press).
pianti, l’esperienza dell’equipe medica, etc. Quando ne viene tralasciato qualcuno viene conseguentemente ridotta la capacità predittiva e di sintesi dell’analisi economica e quindi, inesorabilmente, si riduce l’interesse sulla stessa.
Lungi dall’inoltrarsi in questa tipologia di analisi (anche per il fatto che le Strutture del Servizio sanitario della Provincia di Trento non erogano prestazioni di trapianto e mancherebbero le informazioni di base per l’elaborazione) il presente contributo punterà invece l’attenzione sugli aspetti macroeconomici del processo di trapianto richiamando, marginalmente, la struttura dei costi che si sostengono per realizzare gli interventi, tenuto conto delle ricerche analitiche disponibili in letteratura per la realtà italiana.
Di particolare pregio, da questo punto di vista, sono lo studio IRER del 1993 sui costi dei trapianti in Lombardia, per l’analisi comparata fra i diversi centri trapianti della Regione, e lo studio FITO del 1999 sull’analisi dei costi dei Trapianti presso l’Azienda ospedaliera di Padova, per la brillante applicazione della tecnica dell’ Activity-Base Costing.
Infine, una parte più consistente è riservata alla presentazione dei costi sostenuti dal Servizio sanitario provinciale per l’attività di trapianto d’organo in favore dei propri assistiti.
Il processo produttivo del trapianto e le tariffe dei DRG L’attività di trapianto è caratterizzata da un complesso di funzioni e
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operazioni che precedono e seguono la fase dell’intervento di trapianto in senso stretto. Preliminare all’analisi economica dei trapianti è quindi l’individuazione delle attività da comprendere nell’oggetto di costo.
Generalmente, gli studi più completi, distinguono le seguenti quattro fasi del processo: a) l’individuazione del ricevente e la sua “gestione” pre-trapianto: il paziente viene sottoposto ad una serie di accertamenti la cui conclusione è sintetizzata nell’indicazione o meno al trapianto; quindi si attiva un sistema di controlli sani-tari periodici durante il mantenimento in lista di attesa per verificare il permanere delle condizioni cliniche del paziente; b) il prelievo dell’organo: anche questa fase è composita e comprende l’osservazione del paziente probabile donatore, la tipizzazione degli organi, l’atto di prelievo e il trasporto dell’organo; c) l’intervento di trapianto in senso stretto: il paziente viene sottoposto al trapianto e trattato in tera
100%
80%
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40%
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pia intensiva, passa quindi alla degenza in reparto cui segue la dimissione; d) monitoraggio dell’evoluzione del quadro clinico: si tratta del follow up post-trapianto che può durare mediamente fino ad un anno dal giorno dell’intervento.
L’incidenza percentuale dei costi delle diverse fasi del trapianto d’organo è mostrata nella figura 1. Fra i quattro organi considerati, il trapianto di fegato risulta quello meno uniforme in quanto ad assorbimento di risorse nelle 4 fasi canoniche. Il follow up è “economicamente” più importante nel trapianto di cuore e in quello di rene.
Il quadro cambia però, anche in maniera significativa, nel caso vi sia l’insorgenza di complicanze impegnative. In questo caso aumentano la loro incidenza la fase dell’intervento e soprattutto la fase di follow up.
Le valutazioni sui costi delle prestazioni di trapianto da parte del Ministero della Sanità possono essere evinte dallo studio delle tariffe delle prestazioni ospedaliere, clas
4 fase
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Cuore Polmone Fegato Rene
Incidenza percentuale dei costi delle diverse fasi del trapianto
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sificate in base ai cosiddetti DRG(Diagnosis Related Groups).
In proposito le pietre miliari delprofilo normativo sono costituitedal decreto ministeriale 15 aprile1994 (criteri per il calcolo del co-sto standard delle prestazioni sani-tarie), dal decreto ministeriale 30giugno 1997 (tariffario di riferimen-to dell’assistenza ospedaliera perDRG) e dalle linee di guida n. 1/1995, che regolamentano il siste-ma di finanziamento prospetticodell’assistenza ospedaliera in Italia.
Queste ultime direttive indicanoalcune aree ospedaliere che è op-portuno escludere in tutto o in par-te dal finanziamento a prestazione,
tra cui vi è anche il programma dei trapianti. Con ciò, viene sancita l’in-capacità sostanziale del sistema di pagamento prospettico di remunerare correttamente i costi di queste prestazioni.
Tutte le Regioni sedi di ospedali che effettuano trapianti d’organo, chiamate a delimitare il campo di applicazione del sistema di finan-ziamento e l’articolazione del sistema tariffario secondo le caratteri-stiche delle rispettive reti ospedaliere, hanno aderito all’indicazione ministeriale prevedendo per i tra-pianti, oltre alla remunerazione del relativo DRG, anche l’erogazione di specifici fondi a finanziamento del-
Costi specif ici per DRG e relativa incidenza % (Import i in migliaia di lir e) Tabella 1
DRG: 103 302 480 481 Trapianto cardiaco Trapianto di rene Trapianto di fegato Trapianto di midollo
Tariffa recata dal D.M . 30/6/97 96.750 70.950 118.000 80.000
Scomposizione della tariffa valore % valore % valore % valore %
Cost o d el personale medico dei reparti di degenza
Cost i ammin is trativi e generali
Cost o d el personale infermieris tico e dell ’assis ten za alb ergh ieraCost i sala operat oria
Cost i dei farmaci
Cost i dei servizi di imagin g
Cost i delle unit di cura intens iva
Cost i delle protesi e dei presidi medico-chirurg ici
Cost i dei servizi di laboratorio
Figura 1
Cost i degli alt ri servizi clinici 32.218 33.3% 40.796 57.5% 46.846 39.7% 14.080 17.6%
TOTALE 96.750 100.0% 70.950 100.0% 118.000 100.0% 80.000 100.0%
4.257 4.4% 2.696 3.8% 3.304 2.8% 3.440 4.3%
5.515 5.7% 3.477 4.9% 4.366 3.7% 4.480 5.6%
5.515 5.7% 4.399 6.2% 1.888 1.6% 12.960 16.2%
7.160 7.4% 2.129 3.0% 11.092 9.4% 480 0.6%
7.837 8.1% 6.386 9.0% 11.800 10.0% 21.440 26.8%
5.999 6.2% 1.419 2.0% 4.248 3.6% 3.120 3.9%
12.384 12.8% 4.825 6.8% 15.104 12.8% 160 0.2%
7.450 7.7% 1.419 2.0% 5.900 5.0% 5.280 6.6%
8.417 8.7% 3.406 4.8% 13.452 11.4% 14.560 18.2%
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ale funzioni connesse all’attività di trapianto. Pertanto è bene sottolineare che un’analisi del fatturato per DRG non rappresenta che una parte, seppure la più consistente, dei costi della procedura di trapianto.
Si osserva, infine, che il tariffario di riferimento nazionale dei DRG (il citato D.M. 30 giugno 1997) non espone esplicitamente il DRG per il trapianto di polmone né quello per il trapianto di pancreas. Questo limite ha indotto le Regioni ad individuare dei correttivi ai DRG di riferimento in cui comunque confluiscono le citate prestazioni (ad es, al DRG 075- interventi maggiori sul torace - come si dirà anche in seguito).
La tabella 1 riporta, per tutti gli altri trapianti, i DRG di riferimento e le relative tariffe ordinarie, disarticolate nelle principali componenti di costo (sia in valore che in percentuale).
Gli importi delle tariffe risultano concepiti per la remunerazione delle prestazioni comprese essenzialmente nella terza fase del processo e solo marginalmente nella quarta fase. Per quanto riguarda la fase dell’espianto è prevista la tariffa di lire 4.884.000.=, aggiuntiva.
Dal confronto dei costi di trapianto dei diversi organi si osserva immediatamente la grande variabilità della composizione delle voci di costo, non solo in valore (e ciò sarebbe anche facilmente intuibile) ma soprattutto come incidenza percentuale. Per inciso, da una attenta analisi dei dati è in parte già possibile giustificare il diverso peso assunto dalle quattro fasi della proce
dura di trapianto di cui al diagramma sopra riportato.
La voce più consistente riguarda i “costi degli altri servizi clinici”. In essa confluiscono in particolare i servizi specialistici (Neurologia, Cardiologia, Nefrologia, Dialisi, …) come pure i costi organizzativi del Centro trapianti. Tutte le voci sono comprensive degli ammortamenti e delle manutenzioni delle attrezzature mediche ed economali.
La variabilità dei costi unitari Rispetto ai valori delle tariffe dei DRG si sono osservate consistenti differenze nei costi unitari di produzione dei centri di trapianto italiani.
Le principali motivazioni sono ascrivibili e tre ordini di cause: i volumi di produzione, le complicanze, i protocolli medico-chirurgici.
I volumi di produzione In proposito merita brevemente ricordare che il processo del trapianto di organi è caratterizzato dall’alta intensità di tecnologia e di conoscenza a cui si aggiunge il fatto di essere effettuato in regime di emergenza.
La configurazione dei costi evidenzia la prevalente componente fissa: i costi totali dell’attività di trapianto subiscono delle variazioni molto contenute al variare del numero di trapianti effettuati, finchè si producono volumi compatibili con la capacità del centro.
L’ovvia conseguenza è che il costo unitario del trapianto, coeteris paribus, diminuisce anche molto
116 Provincia Autonoma di TrentoPunto Omega n. 4
sensibilmente all’aumentare delle prestazioni di trapianto. Queste considerazioni, se vogliamo di buon senso, sembrano invece poco seguite non solo nel contesto italiano, la cui storia è relativamente recente, ma anche in altri sistemi sani-tari.
E’ stato osservato che attualmente vi è una “corsa” al trapianto nel mercato sanitario statunitense per cui si riscontra un certo proliferare di ospedali abilitati alla effettuazione dei trapianti. L’effetto sui costi è dirompente e diffuso: data la scarsità di organi il fenomeno comporta un aumentano dei costi sia per i nuovi centri sia per i preesistenti, che vedono ridurre le proprie prestazioni e che sono costretti a trovare nuove formule incentivanti dei medici professionisti per trattenerli presso la struttura. Sul fronte della qualità delle prestazioni non va nemmeno sottovalutato che la necessità di incrementare i trapianti può favorire una diminuzione dello standard richiesto per considerare un organo veramente idoneo al fine del trapianto.
La “corsa” nonostante tutto c’è. E si spiega nel fatto che viene accettata la perdita del “segmento trapianti” a fronte dei maggiori benefici che può ottenere l’ospedale nel suo complesso (in termini di immagine, economie di apprendimento ed economie di scala) ove si accresca la domanda delle prestazioni su cui l’ospedale è in grado di realizzare margini di gestione.
Come accennato vi sono altre cause di variazione del costo del singolo trapianto. Esse possono
classificarsi in due gruppi: le cause esogene relative alla sfera del paziente e le cause endogene, di diretta responsabilità dell’equipe medica addetta al trapianto.Le prime concernono le condizioni cliniche del soggetto ricevente, le condizioni di idoneità dell’organo trapiantato e la conseguente probabile insorgenza di complicanze (rigetto acuto, rigetto cronico, necrosi, infezioni…). Le seconde riguardano le scelte dei protocolli farmacologici, procedurali ed assistenziali.
Le complicanze Dalla analisi dei dati offerti dagli studi più accreditati disponibili in materia si possono evincere, sinteticamente, le seguenti osservazioni: a) Le complicanze variano notevol
mente per ciascun organo trapiantato, eccettuato il rigetto
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aacuto che appare una possibile complicanza comune;
b) Le complicanze hanno una diversa incidenza sui costi a seconda del momento del processo di trapianto in cui si verificano. La medesima complicanza per la stessa tipologia di trapianto comporta cioè costi diversi rispetto alla fase procedurale in cui si manifesta;
c) Le complicanze sono osservate sostanzialmente in tutti i casi di trapianto. Ciò richiede una riflessione sull’utilità di eseguire valutazioni economiche sui trapianti incentrate sul concetto di prestazione standard ottimale (di fatto ormai troppo rara);
d) La concomitanza di più complicanze può comportare costi tali da superare, da sola, l’importo della tariffa corrisposta per l’intero trapianto.
Il fenomeno è di tutto rilievo sia per l’impatto economico sia per l’alta frequenza con cui si manifesta, non sottacendo che l’insorgenza delle complicanze è il fattore più critico per la sopravvivenza del paziente.
I diversi protocolli A parità di impegno del caso trattato e di successo del trapianto: a) Le tre voci di costo che risulta
no più variabili fra i centri di trapianto, per il medesimo organo, sono il personale, gli esami di laboratorio e i farmaci (tali spese da sole spiegano nella maggior parte dei casi almeno il 70% della tariffa del rispettivo DRG);
b) Spesso si è osservata una corre
lazione diretta fra l’aumento dell’incidenza della voce “laboratorio” ed il grado di funzionalità del laboratorio stesso per cui è lecito concludere che, anche nel settore dei trapianti, la capacità di offerta può influenzare il protocollo diagnostico-terapeutico;
c) Nei trapianti degli organi più impegnativi (cuore e fegato) a fronte di costi totali per trapianto sostanzialmente uguali vi sono differenze fra centri nelle singole componenti di spesa. Adottando, in ipotesi, la modalità meno onerosa per le singole componenti di costo, ritenendo le stesse non complementari, la spesa totale potrebbe diminuire di circa il 35%. In merito alla complementarietà è difficile immaginare fenomeni di compensazione fra personale e farmaci o fra personale ed esami di laboratorio.
I costi sostenuti dal Servizio sanitario provinciale nell’anno 1999: la compensazione della mobilità sanitaria interregionale e la convenzione con Innsbruck
La compensazione della mobilità sanitaria interregionale La compensazione della mobilità sanitaria interregionale è regolata: a) dalle disposizione recate dal d.
lgs. 502/1992 e s.m., art. 12 comma 3, che sanciscono il principio della compensazione fra Regioni degli addebiti di mobilità attiva e passiva in base a contabilità analitiche, per sin
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golo caso trattato; b) da alcune circolari del Ministero
della Sanità; c) da disposizioni tecniche appro
vate in sede di Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regione e le Province autonome.
Inoltre, merita in questa sede ricordare che l’art. 6 della legge 724/ 1994 ha stabilito che le tariffe delle prestazioni sanitarie che trovano applicazione nella compensazione devono corrispondere a quelle vigenti sul territorio regionale per la generalità degli utilizzi. Da ultimo il d. lgs. 229/1999 ha previsto, all’articolo 8 sexies, che il Ministero dovrà disciplinare i “criteri generali per la compensazione dell’assistenza prestata a cittadini in regioni diverse da quelle di residenza. Nel-l’ambito di tali criteri le regioni potranno stabilire specifiche intese e concordare politiche tariffarie anche al fine di favorire il pieno utilizzo delle strutture (…) nonché
Tabella 2 Confronti fra le tariffe dei trapianti delle Regioni
(Importi in migliaia di lire)
DRG Descrizione Tariffa DM Emilia R. Toscana Veneto Lombardia
75 INTERVENTI MAGGIORI 14.200 - - 117.020 108.402 SUL TORACE
103 TRAPIANTO CARDIACO 96.750 102.585 82.900 96.750 74.868
302 TRAPIANTO RENALE 70.950 75.207 63.700 70.950 34.776 (compreso eventualmente il pancreas)
480 TRAPIANTO DI FEGATO 118.000 125.080 114.700 137.573 120.209
481 TRAPIANTO DI MIDOLLO 80.000 85.530 77.552 OSSEOCellule staminali autologhe 64.000 65.000
Midollo osseo allogenico 123.200 130.000 HLA compatibileMidollo osseo all.co 145.000 150.000 da consanguineo non compatibile
l’impiego efficiente delle strutture che esercitano funzioni a valenza interregionale e nazionale.” Questo richiamo normativo, letto in relazione ai Centri di trapianto, evidenzia la preoccupazione del legislatore di garantire una articolazione ottimale sul territorio degli ospedali che eseguono le prestazioni in esame.
Le tariffe dei DRG relativi ai trapianti vigenti per l’anno 2000 nelle Regioni limitrofe - salvo interventi correttivi con effetto retroattivo sono riportate nella tabella 2.
Queste tariffe sono i prezzi che corrisponde il Servizio sanitario provinciale della Provincia Autonoma di Trento, a fronte delle prestazioni di trapianto beneficiate dai propri assistiti in ospedali di fuori provincia. Non hanno titolo alla compensazione i maggiori costi sostenuti dagli altri Servizi sanitari regionali che vengono finanziati a funzione.
Le maggiori differenze e difficoltà interpretative si hanno per il DRG
119 Provincia Autonoma di TrentoPunto Omega n. 4
Gli addebiti a carico del Servizio sanitario provinciale nel 1999 (Importi in migliaia di lire)
DRG DESCRIZIONE NUMERO DI CASI
NUMERO GG. DEG.
Importo Drg
Importo osservazio ne ed espianto
75
103
302
480
481
TOTALE 34 1.104 2.220.977 110.000
INTERVENTI MAGGIORI SUL TORACE (con trapianto di polomone) TRAPIANTO CARDIACO
TRAPIANTO RENALE (con cas i di trap.pancreas contestuale) TRAPIANTO DI FEGATO
TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO
2 86 225.422 11.000
3 108 256.424 16.500
13 291 323.401 71.500
2 50 275.146 11.000
14 569 1.140.584
75. In esso confluisce il trapianto di polmone, con codice intervento 33.5, per cui alcune Regioni hanno stabilito una tariffa specifica mentre altre hanno eseguito solo un adeguamento rispetto alla tariffa ministeriale, valutando la congruità della tariffa in relazione al costo di tutti i ricoveri che confluiscono nel citato DRG 75. In tal modo, mediando, verrebbe comunque garantita la copertura dei costi.
Va sottolineato che la tariffa della Regione Lombardia del trapianto renale è meno della metà del riferimento nazionale.
Per il trapianto di midollo osseo alcune Regioni hanno disarticolato la tariffa del DRG, in alternativa alla tariffa unica, come si legge nella tabella. In Liguria e in Friuli Venezia Giulia le tariffe vigenti corrispondono pienamente al tariffario del D.M. 30 giugno 1997.
Nel corso dell’anno 1999, nella compensazione della mobilità sanitaria interregionale risultano adde
bitati dalle Regioni alla Provincia autonoma di Trento (cosiddetta mobilità passiva) n. 34 casi di trapianto per un importo totale di circa 2,3 miliardi di lire (tabella 3). Circa il 40% dei casi ha riguardato il trapianto di midollo osseo avvenuto prevalentemente presso l’ospedale S. Maurizio di Bolzano. Il relativo onere assomma alla metà dell’importo totale in compensazione per l’attività di trapianto. La tariffa unitaria del DRG è la più bassa fra tutte quelle osservate sullo scenario nazionale, a parità di prestazione.
Per quanto concerne il trapianto di rene, va notato che tutti i casi (n.13) sono stati trattati in Lombardia. Per 3 casi (25% circa) oltre alla prestazione di trapianto renale è avvenuta anche quella del pancreas, a parità di tariffa addebitata che, addirittura, risulta meno della metà della tariffa nazionale di riferimento, come già accennato.
Il numero delle giornate di degenza è più variabile per il trapian-L’a
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Tabella 3 to cardiaco e di fegato, anche in relazione allo stato di salute di questi soggetti trapiantati. Maggiore uniformità e degenze sostanzialmente contenute si osservano per il trapianto di rene e di midollo osseo.
Il costo dell’osservazione, espianto e trasporto dell’organo incide per il 10% circa del fatturato dei relativi impianti. Questa percentuale è superiore a quanto riportato negli studi analitici citati in premessa (che prevedono un intervallo di oscillazione compreso fra il 3% e l’8%). Ciò però era noto al tavolo tecnico della compensazione della mobilità sanitaria ed è stato voluto come segnale di riconoscimento e di incentivazione dell’attività in parola.
Rispetto all’intero debito del Servizio sanitario provinciale per la mobilità sanitaria passiva dell’anno 1999 - Lire 82,1 miliardi - la spesa per i trapianti corrisponde al 2,7% circa.
La convenzione con l’ospedale di Innsbruck Come noto i Trentini, in forza di una specifica convenzione, possono accedere alle prestazioni di trapianto presso il Landeskrankenhaus di Innsbruck (si veda Michelini, pag. 73 e segg.).
In merito si osserva che anche in Austria è stato introdotto dal 1997 il sistema di finanziamento degli ospedali in base alle prestazioni erogate. Il sistema presenta però alcune differenze di impostazione rispetto al modello italiano dei DRGROD per cui viene imputata all’area
dei costi da finanziare con le tariffe predeterminate un volume superiore di funzioni ed attività connesse al ricovero.
Il sistema austriaco si basa su un punteggio assegnato a 916 Casi Diagnostici correlati alle Prestazioni (CDP) cui si affianca un punteggio aggiuntivo per eventuali prestazioni speciali e correttivi a seconda dell’impegno che ha comportato il singolo ricovero. Il sistema è uguale su tutto il territorio nazionale e viene rielaborato ed aggiornato annualmente. Il punteggio assegnato ad ogni raggruppamento può variare in relazione al tipo di ospedale, alla dotazione di personale e di attrezzature, al grado di utilizzo, etc). Un algoritmo particolare (punteggio giornaliero decrescente) è adottato per remunerare i ricoveri con durata superiore a quella di riferimento. Ad ogni punto è corrisposto nel 1999 l’importo di circa 162 lire. Il CDP è individuato direttamente da 596 gruppi di diagnosi principali o da 320 gruppi di singole prestazioni mediche. Quando vi sono più prestazioni mediche vi è un supplemento di punteggio. Fra le prestazioni speciali cui viene attribuito un punteggio aggiuntivo vi è, per quanto ora di rilievo, anche il ricovero in reparti di terapia intensiva.
In sostanza, il modello dei DRG italiano è orientato a garantire non tanto che la singola tariffa sia congrua rispetto al singolo caso di ricovero ma piuttosto che la singola tariffa consenta il finanziamento dell’ospedale perché mediamente congrua rispetto ai costi mediamente osservati per la tipologia di rico
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(fonte: elaborazione dati comunicati dall Azienda provinciale per i servizi sanitariDis tretto di Trento)
Le prestazioni beneficiate a Innsbruck nel 1999 (Importi in migliaia di lire)
DESCRIZIONE PRESTAZIONE N. casi N. gg. degenza Punti Importo
TRAPIANTO DI FEGATO 3 84 885.753 143.308
TRAPIANTO RENALE 1 28 187.361 30.313
Altre attivit di ricovero e specialistiche relative ai trentini gi trapiantati o in lista di attesa presso l’ospedale di innsbruck nel 1999
305.207
TOTALE 478.828 ’
L’ana
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cono
mic
a
veri a cui si riferisce. Il modello austriaco di pagamen
to prospettico è decisamente più orientato a garantire sempre una maggiore corrispondenza fra i costi legati al singolo caso di ricovero ed il relativo compenso. Ciò solo è sufficiente a giustificare perché il trapianto di rene erogato dalla Regione Lombardia è costato alla Provincia sempre 24 milioni circa, sia che abbia avuto una durata di 15 giorni sia che sia durato il doppio. E da ciò si comprende il motivo per cui a parità di prestazione ogni trapianto eseguito ad Innsbruck è stato addebitato al Servizio sanitario provinciale ad un costo diverso.
La tabella 4 indica l’attività eseguita nel 1999 a favore degli assistiti del Servizio sanitario provinciale, i cui costo complessivo è risultato di circa mezzo miliardo di lire. In conclusione gli interventi di trapianto di organi eseguiti in assistenza diretta, sia in Italia che presso la clinica di Innsbruck, hanno comportato una spesa nel 1999 di
lire 2,7 miliardi, pari al 3,2% circa della mobilità sanitaria passiva del Servizio sanitario provinciale.
Problemi aperti e sviluppi futuri dell’istituto della compensazione della mobilità sanitaria interregionale
Per l’anno 2000 i referenti regionali della compensazione della mobilità sanitaria interregionale stanno riproponendo alla Conferenza Stato-Regioni l’adozione di un tariffario unico convenzionale per il pagamento delle prestazioni di ricovero, ai sensi delle ricordate disposizioni del d. lgs. 229/99.
Contestualmente hanno concluso l’istruttoria per l’aggiornamento di alcuni DRG fra quelli che nell’ultimo triennio si sono dimostrati più distanti dalla corretta copertura dei costi di erogazione.
Per quanto riguarda i trapianti la proposta di adeguamento, che sarà a breve valutata in sede politica, è sintetizzata nella tabella 5.
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Tabella 4 (Fonte: elaborazione dati comunicati dall’Azienda provinciale per i servizi sanitari)
Tabella 5 Le propost e di adeguamento delle tariffe per l ’anno 2000
(Importi in migliaia di lire)
DRG Descrizione Tariffa DM 30.06.1997
Tariffario Unico Convenzionale
75 INTERVENTI MAGGIORI SUL TORACE E CODICE INTERVENTO 33.5 - (TRAPIANTO DI POLMONE)
14.200 96.750 (1)
103 TRAPIANTO CARDIACO 96.750 96.750
302 TRAPIANTO RENALE (compreso eventualmente il pancreas)
70.950 70.950
480 TRAPIANTO DI FEGATO 118.000 125.000
481 TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO 80.000 85.731
191 Con codice procedura 52.8 = TRAPIANTO DI PANCREAS
22.871 42.871
192 14.143 34.143
292 15.095 35.095
293 9.763 29.763
(gi a decorrere dal 1.1.99)
Ciò comporterà per il Servizio sanitario provinciale un maggior onere stimato, a parità di attività, in lire 635 milioni di lire (+23%).
Un problema aperto, anche se a carattere del tutto marginale, riguarda la corretta gestione dell’onere aggiuntivo connesso al trapianto, relativo alle prestazioni di osservazione, espianto e trasporto dell’organo.
Attualmente le disposizioni vigenti della compensazione prevedono la tariffa di lire 5.500.000.= per singolo organo, analogamente a quanto regolamentato in materia dalla Regione Veneto.
Se non vi è la prestazione di trasporto, ma solo l’osservazione ed il
prelievo, la tariffa prevista corrisponde a quella recata dal citato D.M. 30 giugno 1997 ed ammonta a lire 4.884.000.=
La prestazione in parola deve essere considerata quale cessione di servizi da parte della Azienda sanitaria che effettua l’osservazione rispetto all’Azienda sanitaria che effettua il trapianto.
La disciplina funziona quando l’attività di espianto e trapianto avviene nella medesima struttura ospedaliera o quando, se ciò non si è verificato, l’equipe che ha eseguito l’espianto è diversa da quella che eseguirà il trapianto.
L’attuale regolamentazione non tiene invece conto che nella mag-
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L’ana
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agior parte dei casi l’equipe che esegue l’espianto corrisponde a quella che eseguirà il successivo trapianto ed è esterna alla Struttura dove si trova il donatore. Sorgono così dubbi circa il riparto della tariffa di 5,5 milioni fra equipe esterna e Azienda presso cui è avvenuto l’espianto. Questo problema dovrà essere affrontato al più presto nelle previste sedi tecniche e politiche.
In conclusione si ritiene che vi siano margini consistenti di recupero di efficienza puntando, in particolare, sul perfezionamento dei protocolli sanitari di intervento, unica variabile che rimane nel pieno dominio del Servizio sanitario, con margini di miglioramento, si è visto, di tutto riguardo.
Per quanto riguarda il Servizio sanitario della Provincia autonoma di Trento (473.000 abitanti), l’attività di trapianto ha comportato nel 1999 una spesa di oltre 2,7 miliardi che è destinata a crescere per due ordini di fattori: a) l’aumento del numero delle pre
stazioni secondo un trend positivo che è destinato a migliorare anche in relazione alle compagne informative e di sensibilizzazione verso la donazione;
b) l’aumento delle tariffe in base all’accordo sul tariffario unico convenzionale da adottare per la compensazione della mobilità sanitaria interregionale.
Si stima quindi che per l’anno 2000 la spesa risulterà almeno di 3,3 miliardi, con una incidenza sul dato della mobilità sanitaria passiva di oltre 4 punti percentuali.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI [1] Angelo Ghirardini, Attività di
donazione e trapianto d’organi - Elementi per l’analisi del processo di produzione. Editrice Compositori - 1999
[2] AA.VV, F.I.T.O. - Fondazione per l’incremento dei trapianti d’organo, Il costo del trapianto d’organo. Azienda ospedaliera universitaria Padova - 1999
[3] Giuseppe Clerico, Roberto Zanola, Analisi economica dei trapianti: una rassegna dei problemi. Mecosan n. 28
[4] Luigi Mittone, Analisi economica dei trapianti d’organo di Lombardia. Franco Angeli editore. 1993
[5] AA.VV. A cura di Tommaso Langiano, DRG: Strategie, valutazione, Monitoraggio. Il Pensiero Scientifico Editore - 1997
Guido Baldessarelli è funzionario del Servizio Economia sanitaria della Provincia Autonoma di Trento
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