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PUBBLICI POTERI E COOPERAZIONE SOCIALE COOPERAZONE SOCIALE E WELFARE: STRUMENTI CONSOLIDATI E NUOVI MODELLI ORGANIZZATIVIATTI DEL SEMINARIO Roma, 30 maggio 2012 Palazzo della Cooperazione, Via Torino 146

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PUBBLICI POTERI E COOPERAZIONE SOCIALE

“COOPERAZONE SOCIALE E WELFARE: STRUMENTI CONSOLIDATI E NUOVI MODELLI ORGANIZZATIVI”

ATTI DEL SEMINARIO

Roma, 30 maggio 2012 Palazzo della Cooperazione, Via Torino 146

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Gli atti del convegno sono stati realizzati con il contributo del seguente gruppo di lavoro: � Avv. Aldo Coppetti (Studio Coppetti) � Avv. Franco Dalla Mura (Studio Legale Dalla Mura) � Avv. Luciano Gallo e dott. Marco Bragaglia (Studio Mariani, Menaldi & Associati) � Avv. Pietro Moro (UNICAF) � Giuseppe Guerini (Presidente Federsolidarietà Nazionale) � Vincenzo De Bernardo, Emilio Emmolo e Valerio Pellirossi (Federsolidarietà Nazionale)

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INDICE

La cornice ordinamentale: fonti e soggetti istituzionali pag. 5 Luciano Gallo e Marco Bragaglia (Mariani, Menaldi & Associati) Gli affidamenti di servizi sociali dell’allegato IIB: dai principi all’applicazione Aldo Coppetti (Studio Legale Coppetti)

pag. 47

Rassegna di casistica giurisprudenziale e interpretativa pag. 57 Aldo Coppetti (Studio Legale Coppetti) Le concessioni di servizi e il project financing (slide) pag. 67 Pietro Moro (UNICAF)

La coprogettazione: declinazioni territoriali e strumenti (slide) pag. 81 Franco Dalla Mura (Studio Legale Dalla Mura) Programma seminario “cooperazione sociale e welfare: strumenti consolidati e nuovo modelli organizzativi” - 30 maggio 2012

pag. 101

Allegati: le partnership con gli enti pubblici: alcune buone prassi territoriali

I “patti per la sussidiarietà” in Liguria - Valerio Balzini (Segretario Generale Confcooperative Liguria)

La coprogettazione a Lecco - Gabriele Marinoni (Presidente Consorzio Consolida)

Il partneriato nell’assistenza domiciliare a Perugia - Carlo Di Somma (Presidente Federsolidarietà Umbria)

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Gli affidamenti di servizi sociali. La cornice ordinamentale: fonti e soggetti istituzionali Luciano Gallo e Marco Bragaglia

1. LE FONTI NORMATIVE.

PREAMBOLO.

L’UNIONE EUROPEA E I SERVIZI SOCIALI DI INTERESSE GENERALE (S.S.I.G.).

Senza la pretesa di voler affrontare completamente tutti i profili e le problematiche relativi ad un tema così ampio e complesso come quello che ci occupa, con questo lavoro si vuole proporre una panoramica del mondo dei servizi sociali ad ampio spettro, mettendo in risalto gli aspetti più significativi che costituiscono la cornice ordinamentale del tema promosso da questa iniziativa.

Come è evidente, anche questo tema deve confrontarsi non solo con il sostrato normativo nazionale, ma anche con il più vasto campo giuridico (ed economico) rappresentato dalla normativa di livello europeo.

Un confronto, quest’ultimo, che appare particolarmente arduo, non tanto per il differente ruolo, nel quadro delle fonti del diritto, rappresentato dalla disciplina europea, ma anche per la sensibilità sociale che lo stesso tema incarna in un contesto continentale oggi attraversato da una profonda crisi economia e sociale.

In altri termini, i servizi sociali rappresentano uno dei rapporti tra pubblico e privato più intenso e vicino ai bisogni del cittadino (quest’ultimo non solo inteso come il titolare dello jus civitatis)1 che risente – oggi più che mai – anche delle tradizioni nazionali se non addirittura regionali sviluppatesi introno a quel fenomeno in costante divenire che è lo Stato sociale.

1 In questo senso la Corte costituzionale, con la sentenza n. 40 del 9 febbraio 2011, si è pronunziata sull'illegittimità delle modifiche alla l. R. Friuli-Venezia Giulia n. 6/2006, nella parte in cui limitano la fruizione dei servizi sociali ai soli cittadini comunitari residenti nella regione da almeno trentasei mesi. E' costituzionalmente illegittimo, ad avviso della Corte, l'art. 4 della l. R. Friuli-Venezia Giulia 31 marzo 2006, n. 6 (Sistema integrato di interventi e servizi per la promozione e la tutela dei diritti di cittadinanza sociale), così come modificato dall'art. 9, commi 51, 52 e 53, della l. r. 30 dicembre 2009, n. 24 (Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale e annuale della Regione - Legge finanziaria 2010), in quanto introduce inequivocabilmente una preclusione destinata a discriminare tra i fruitori del sistema integrato dei servizi concernenti provvidenze sociali fornite dalla Regione i cittadini extracomunitari in quanto tali, nonché i cittadini europei non residenti da almeno trentasei mesi. Detta esclusione assoluta di intere categorie di persone fondata o sul difetto del possesso della cittadinanza europea, ovvero su quello della mancanza di una residenza temporalmente protratta per almeno trentasei mesi, non risulta, secondo i canoni interpretativi della Consulta, rispettosa del principio di uguaglianza, in quanto introduce nel tessuto normativo elementi di distinzione arbitrari, non essendovi alcuna ragionevole correlabilità tra quelle condizioni positive di ammissibilità al beneficio (la cittadinanza europea congiunta alla residenza protratta da almeno trentasei mesi, appunto) e gli altri peculiari requisiti (integrati da situazioni di bisogno e di disagio riferibili direttamente alla persona in quanto tale) che costituiscono il presupposto di fruibilità di provvidenze che, per la loro stessa natura, non tollerano distinzioni basate né sulla cittadinanza, né su particolari tipologie di residenza volte ad escludere proprio coloro che risultano i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e servizi si propone di superare perseguendo una finalità eminentemente sociale. Tali discriminazioni, dunque, contrastano con la funzione e la ratio normativa stessa delle misure che compongono il complesso e articolato sistema di prestazioni individuato dal legislatore regionale nell'esercizio della propria competenza in materia di servizi sociali, in violazione del limite di ragionevolezza imposto dal rispetto del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.).

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È in questo solco che la Commissione europea – già con la Comunicazione del 26 aprile 2006 (Bruxelles - IP/06/529) – ha voluto affrontare la specificità dei servizi sociali a partire dalla cornice continentale in cui questi si inseriscono.

Nell'UE, infatti, si stanno aprendo e diversificando sempre più servizi sociali d'interesse generale (S.S.I.G.), per cui una percentuale crescente di essi è ora di competenza delle norme UE sul mercato interno e sulla concorrenza. La Commissione con la citata Comunicazione, infatti, “lancia un messaggio importante: i servizi sociali d'interesse generale hanno caratteristiche specifiche che li distinguono dagli altri servizi d'interesse generale come le telecomunicazioni e i trasporti. Tali caratteristiche comprendono il fatto che si tratta di servizi personalizzati e che i loro obiettivi sono direttamente connessi all'accesso a diritti sociali fondamentali e al conseguimento della coesione sociale”.

Per il raggiungimento di questi scopi, i servizi sociali d'interesse generale si basano infatti sulla solidarietà e spesso “richiedono la partecipazione volontaria dei cittadini e delle organizzazioni senza fini di lucro”.

Inoltre, sottolinea la Commissione nel 2006, il loro sviluppo deve avvenire il più vicino possibile agli utenti e ciò spiega perché le autorità locali svolgano un ruolo importante nel loro sviluppo e gli Stati membri abbiano la responsabilità esclusiva di definirne la missione e i principi organizzativi.

Una responsabilità esclusiva sulla quale torneremo più volte nel corso della relazione.

Al centro della Comunicazione qui citata, quindi, è l'equilibrio tra la coesione sociale, da un lato, e il principio di sussidiarietà, dall'altro.

Nella Comunicazione del 26 aprile 2006, dunque, la Commissione europea introduce per la prima volta il riferimento ai servizi sociali di interesse generale facendo menzione a quei servizi "…generalmente forniti in maniera personalizzata, al fine di rispondere alle esigenze di utenti vulnerabili, e (che) si basano sul principio di solidarietà e di parità d’accesso".

Relativamente ad essi, la Commissione non pone una distinzione tra servizi di natura economica o non economica; la qualifica di attività economica, infatti, non dipende dallo status giuridico del soggetto che presta il servizio ma viene ad essere riferita, essenzialmente, al modo in cui l’attività è svolta, organizzata e finanziata. Tale parametro viene applicato anche nel caso degli organismi senza scopo di lucro.

Nella citata comunicazione del 2006, la Commissione evidenzia come il settore dei servizi sociali, che ha subìto un processo di sviluppo e modernizzazione, stia sperimentando, di fatto, crescenti livelli di concorrenza.

Ne consegue che anche i servizi tradizionalmente definiti sociali possono, a giudizio della Commissione, presentare, almeno in astratto, una certa rilevanza economica e, per tale ragione, gli Stati membri devono garantire che le loro modalità organizzative siano compatibili, in particolare, con il diritto della concorrenza ma, anche, con le norme sulla libera prestazione dei servizi e la libertà di stabilimento.

La Commissione, quindi, fa esplicito riferimento a due grandi categorie di servizi sociali:

� regimi legali e complementari di protezione sociale, che coprono i principali rischi della vita (salute, invecchiamento, infortuni sul lavoro, disoccupazione, pensione e invalidità);

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� altri servizi sociali prestati direttamente alla persona, quali i servizi di assistenza sociale, i servizi per l'occupazione e la formazione, l'edilizia popolare o le cure a lungo termine.

Nella successiva Comunicazione del 20 novembre 2007, intitolata: "I servizi di interesse generale, compresi i servizi sociali di interesse generale: un nuovo impegno europeo", la Commissione ha evidenziato come, salvo le attività che partecipano all'esercizio di pubblici poteri – di norma escluse dall'applicazione delle regole del mercato interno – "un numero sempre maggiore di attività svolte quotidianamente dai servizi sociali vadano a rientrare nel campo di applicazione del diritto comunitario, nella misura in cui sono considerate a carattere economico"2.

In maniera più evidente, la dinamica che riconduce i servizi sociali nell'alveo delle regole del mercato interno è riscontabile nel "Nuovo pacchetto SIEG" adottato alla fine del 2011.

In questo contesto, dunque, si muoverà l’analisi delle fonti e dei soggetti segnatamente al contesto italiano, cercando di individuare i diversi profili e le criticità connesse al mondo dei servizi sociali.

La Relazione, in definitiva, si occuperà dei seguenti temi:

� La distinzione normativa tra servizi sociali e servizi sanitari;

� Le diverse fonti normative nel contesto normativo costituzionale e ordinario (alla luce delle pronunzie della giurisprudenza);

� Il ruolo dei soggetti pubblici e privati;

� I livelli di competenza degli uni e degli altri;

� Il rapporto della disciplina in esame con il principio della concorrenza.

Per comprendere alcuni principi ritenuti fondamentali, o anche nodi logici dell’analisi, verranno evidenziati da alcuni box.

1.1 PREMESSA. DALLA LEGGE N. 381/91 S.M.I. ALLA LEGGE N. 328/2000.

La Legge n. 381 del 1991 e s.m.i., a ben guardare, lascia poco spazio in termini definitori e precettivi per quel che riguarda le Cooperative sociali c.d. di tipo A.

2 Risulta, pertanto, evidente da parte della Commissione la progressiva estensione del complesso di regole valide per il mercato interno al contesto dei servizi sociali sul presupposto del carattere fluido che la natura economica di tali servizi assume. Il processo di "attrazione" dei servizi sociali all'ambito di applicazione della normativa dell'UE si delinea in modo chiaro anche con riferimento alle misure adottate in merito alle compensazioni per oneri di servizio pubblico contenute nel c.d. "Pacchetto Monti" del 2005 e nel "Nuovo pacchetto SIEG" di recente adozione. Nel "Pacchetto Monti", la decisione 2005/842/CE, che, a determinate condizioni, esentava dall'onere della notifica preventiva ex art. 88. par. 3 del Trattato CE gli aiuti di Stato concessi sotto forma di compensazione per lo svolgimento di servizi di interesse economico generale, ricomprendeva nel suo campo di applicazione le compensazioni per obblighi di servizio pubblico concesse ad ospedali e ad imprese esercenti attività di edilizia popolare nell’ambito di un servizio di interesse economico generale. Pur tenendo conto della consistente giurisprudenza della Corte di giustizia e del Tribunale dell'Unione Europea che, ad esempio, in materia di assistenza sanitaria, in presenza di ospedali pubblici che sono parte integrante di un servizio sanitario nazionale, ha statuito che tali organizzazioni non agiscono come imprese e, quindi, non sono riconducibili alla disciplina sugli aiuti di Stato, la Commissione europea, con l'adozione della decisione in parola, ha inteso stabilire che, in tutti i casi nei quali è dimostrabile un certo grado di concorrenza tra ospedali relativamente alla prestazione di servizi sanitari - ad esempio, nei casi in cui gli ospedali offrono i loro servizi contro il pagamento di un prezzo -, la circostanza che il servizio sia fornito da un ospedale pubblico non è motivo sufficiente per classificare l'attività come non economica.

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Invero, solo al primo comma, dell’articolo 1, si fa esplicito riferimento alle Cooperative sociali di tipo a) definendole appunto quali organizzazioni tese al perseguimento dell’interesse pubblico mediante “la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi”3.

Per cui lo scopo sociale di tali cooperative, ben distinto da quelle c.d. di tipo b), pare iscriversi in un àmbito oggettivo particolarmente complesso perché caratterizzato dall’accostamento di due tipologie diverse di servizi: quelli socio-sanitari e quelli sociali4.

Eppure, il quadro normativo – già a partire dal livello costituzionale, come si vedrà meglio in avanti – adopera diverse definizioni, volendosi riferire evidentemente a contesti oggettivi, e talvolta anche soggettivi, eterogenei rispetto a quelli descritti dalla normativa specifica sulle Cooperative sociali appena citata.

Il mondo socio-assistenziale, infatti, quale species del genus servizi sociali deve essere ben distinto da quello più peculiare del socio-sanitario (e del sanitario tout court).

Questa prima distinzione approssimativa, dunque, cerca di inquadrare quelle diverse attività che – seppur possano risultare apparentemente consequenziali rispetto ai bisogni dell’individuo (dalla degenza al recupero sociale, o allo stato di bisogno in generale quale dimensione socio-esistenziale) – soggiacciono in verità a diversi contesti normativi.

Per cui, come si avrà modo di notare meglio in avanti, in base alla normativa vigente – e alla luce dell’ermeneutica giurisprudenziale –, occorre distinguere i servizi sanitari, quale parte del diritto alla salute di cui all’articolo 32, primo comma, Cost. (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”), dai servizi sociali connessi invece all’articolo 38, primo comma, della Costituzione (“Ogni cittadino inabile al lavoro sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”).

La distinzione specifica delle attività socio-assistenziali da quelle socio-sanitarie (sul presupposto che tale relazione si occuperà esclusivamente del primo àmbito) dunque, deve poggiare su quanto dice – o non dice – anzitutto la normativa, già a partire da quella di rango costituzionale.

L’analisi che seguirà, pertanto, mira ad offrire una ricognizione normativa e giurisprudenziale in grado di ricostruire un quadro identificativo di detti servizi all’interno della cornice ordinamentale costituita da tutti i livelli normativi.

Esaurita l’analisi delle definizioni e delimitata quindi la latitudine applicativa delle disposizioni di interesse – sulla scorta delle fonti normative – si procederà a descrivere i livelli di gestione dei servizi socio-assistenziali, evidenziando i soggetti protagonisti, tanto sul versante pubblico quanto su quello privato.

3 Al comma 5, dell’articolo 1 è previsto che “5. Nella gestione dei servizi di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), da effettuarsi in applicazione dei contratti stipulati con amministrazioni pubbliche, le prestazioni dei soci volontari possono essere utilizzate in misura complementare e non sostitutiva rispetto ai parametri di impiego di operatori professionali previsti dalle disposizioni vigenti. Le prestazioni dei soci volontari non concorrono alla determinazione dei costi di servizio, fatta eccezione per gli oneri connessi all'applicazione dei commi 3 e 4”. Mentre l’articolo 9, commi 1 e 2, aggiunge “9. Normativa regionale. - 1. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni emanano le norme di attuazione. A tal fine istituiscono l'albo regionale delle cooperative sociali e determinano le modalità di raccordo con l'attività dei servizi socio-sanitari, nonché con le attività di formazione professionale e di sviluppo della occupazione. 2. Le regioni adottano convenzioni-tipo per i rapporti tra le cooperative sociali e le amministrazioni pubbliche che operano nell'ambito della regione, prevedendo, in particolare, i requisiti di professionalità degli operatori e l'applicazione delle norme contrattuali vigenti”. 4 Ai quali andrebbero aggiunti, seppur con diversità proprie, quelli educativi.

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1.2. I PRINCIPI SUPREMI DESCRITTI DALLA COSTITUZIONE (ARTT. 32 E 38 COST.).

Prima di procedere allo scrutinio dei diversi precetti di rango costituzionale relativi alla materia qui in oggetto – nell’ottica sempre di individuare una definizione di sistema – occorre tuttavia partire da un punto fermo in grado di orientare l’azione nel contesto della disciplina generale e astratta come è quella costituzionale.

Ebbene procederemo confrontando due diverse disposizioni che, in lassi temporali diversi, hanno disciplinato la materia dei servizi sanitari, da un lato, e dei servizi sociali, dall’altro.

Si tratta del Decreto Legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992 e s.m.i. e del Decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998 e s.m.i. (e poi si vedrà nello specifico la L. 328/00).

È importante darne una lettura combinata dei due decreti, dal momento che il secondo ha novellato l’àmbito del primo mettendone in risalto i diversi contesti.

Ebbene, l’articolo 1 del D. Lvo. n. 502/925, si occupa segnatamente della Tutela del diritto alla salute, programmazione sanitaria e definizione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza.

Ordunque, la materia trattata attiene esplicitamente alla tutela della salute, di cui all’articolo 32 della Costituzione, il quale attribuisce, come detto, alla Repubblica – e quindi a tutti i soggetti pubblici e non dell’Ordinamento – il compito di tutelare “la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, […]”.

Nello specifico, l’articolo in commento, individua nel “Servizio sanitario nazionale, quale complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei Servizi sanitari regionali e delle altre funzioni e attività svolte dagli enti ed istituzioni di rilievo nazionale” il referente pubblico cui spetta il compito di individuare “i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell'equità nell'accesso all'assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell'economicità nell'impiego delle risorse”.

È il terzo comma, dell’articolo 1, del citato decreto a delineare, poi, il ruolo integrativo e sussidiario dei privati, laddove stabilisce che “Le istituzioni e gli organismi a scopo non lucrativo concorrono, con le istituzioni pubbliche e quelle equiparate di cui all'articolo 4, comma 12, alla realizzazione dei doveri costituzionali di solidarietà, dando attuazione al pluralismo etico-culturale dei servizi alla persona. Esclusivamente ai fini del presente decreto sono da considerarsi a scopo non lucrativo le istituzioni che svolgono attività nel settore dell'assistenza sanitaria e socio-sanitaria, qualora ottemperino a quanto previsto dalle disposizioni di cui all'articolo 10, comma 1, lettere d), e), f), g), e h), e comma 6 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460; resta fermo quanto disposto dall' articolo 10 , comma 7, del medesimo decreto. […]”.

Come può comprendersi, allora, l’integrazione tra i due decreti – e per ora ci siamo concentrati solo sul primo – si pone in rapporto ai principi supremi dettati dalla Carta costituzionale, rispetto al prevalente diritto alla salute, di cui all’articolo 32 citato.

Ancor più significativo, nell’ottica di una definizione normativa – che rimarchi la distinzione tra i servizi sociali e i servizi sanitari – è l’articolo 3 septies, primo comma, del D.Lvo n. 502/92.

Tale articolo – rubricato appunto Integrazione socio-sanitaria – identifica esplicitamente quali sono le attività socio-sanitarie, vale a dire “tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione”.

5 In forza di tale decreto legislativo è stato adottato il DPCM del 29 novembre 2001 il quale definisce, ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e s.m. e i, i livelli essenziali di assistenza sanitaria.

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Il secondo comma, del medesimo articolo aggiunge: “Le prestazioni socio-sanitarie comprendono:

a) prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, cioè le attività finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite e acquisite;

b) prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute”6.

È, invece, il Decreto Legislativo n. 112 del 1998, ad aver introdotto esplicitamente la categoria dei Servizi sociali (cfr. Capo II).

L’articolo 128 del citato decreto prevede: “Ai sensi del presente decreto legislativo, per "servizi sociali" si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia”

È quindi la definizione sopra riportata ad operare chiaramente una distinzione, funzionale, tra i servizi sociali e i servizi sanitari.

La distinzione (…escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario…) allora, sul piano costituzionale, si innesta nell’articolo 38, prima comma, laddove riconosce ad “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere” il “diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”.

In definitiva, come spiegherà meglio la giurisprudenza costituzionale e ordinaria in avanti riportata, i principi costituzionali individuano nella tutela della salute (art. 32 Cost.) i servizi sanitari e socio-sanitari; mentre dal combinato disposto degli articoli 2, 3 e 38, primo comma, della Costituzione, si possono descrivere quei servizi sociali (rectius: diritti sociali), più legati a rimuove e superare situazioni di bisogno connesse a condizioni psico-fisiche di svantaggio e/o di bisogno.

Pertanto, prima di passare all’analisi delle altre disposizioni costituzionali, più legate al ruolo dei soggetti che l’Ordinamento chiama a tutelare e a fornire tanto il diritto alla salute quanto i diritti sociali, occorre ribadire che l’analisi che seguirà avrà di mira esclusivamente i diritti sociali quale fonte generale da cui scaturisce lo spettro di servizi sociali programmati e erogati sul territorio.

Quanto descritto sopra, ha avuto piena sistematizzazione ordinamentale grazie a due diversi interventi normativi di rango diverso che si sono occupati a vario titolo dei diritti sociali.

Il primo intervento è stato il varo della Legge 8 novembre 2000, n. 328 Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali7 e poi la Legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha revisionato totalmente il Titolo V della Costituzione8.

6 Sono previste, inoltre, le c.d. prestazioni socio-sanitarie ad elevata prestazione sanitaria, descritte all’art. 3 septies, quarto e quinto comma, così descritte “4. Le prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria e attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da HIV e patologie in fase terminale, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative. 5. Le prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono assicurate dalle aziende sanitarie e comprese nei livelli essenziali di assistenza sanitaria, secondo le modalità individuate dalla vigente normativa e dai piani nazionali e regionali, nonché dai progetti-obiettivo nazionali e regionali”. 7 Al quale va aggiunto il D.P.C.M. 30 marzo 2001, sul quale si procederà più avanti a tracciarne i contenuti salienti. 8 Nel testo si farà più volte cenno a questa importante riforma costituzionale. I nodi sollevati sono amplissimi e complessi e si intrecciano a vario titolo con il tema qui trattato. Senza voler essere esaustivi si riporta una breve massima di valutazione complessiva di tale riforma come descritta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 303 del 2003, di cui segnaliamo solo alcuni spunti: “Il nuovo art. 117 Cost. distribuisce le competenze legislative in base ad uno schema imperniato sulla enumerazione delle competenze statali; con un rovesciamento completo della previgente tecnica del riparto sono ora affidate alle Regioni, oltre alle funzioni concorrenti, le funzioni legislative residuali”. “ Un elemento di flessibilità è indubbiamente contenuto nell'art. 118, primo comma, Cost., il quale si riferisce esplicitamente alle funzioni amministrative, ma introduce per queste un meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida, come si chiarirà subito appresso, la stessa distribuzione delle

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I due interventi si segnalano soprattutto per la capacità di aver collocato, il primo (l. 328/00), le relative competenze legislative in materia di servizi sociali nell’impalcatura dei diversi livelli di governo; il secondo (l.c. 3/01), per ovvie ragioni più incisiva, per aver dislocato dette competenze al fianco del complessivo quadro delle potestà legislative disposte in sede costituzionale.

1.3. DALLA LEGGE N. 328 DEL 2000 ALLA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE.

1.3.1 La Legge n. 328 del 2000 prima della Riforma del Titolo V della Costituzione.

Al fine di descrivere compiutamente il quadro delle fonti normative, diventa necessario a tal punto descrivere l’importanza di cui si è resa protagonista la Legge n. 328 dell’8 novembre 2000 e come questa sia rimasta pressoché indenne al passaggio della Riforma costituzionale del 2001 avvenuta con la citata Legge costituzionale n. 3.

Anzitutto, la Legge, all’articolo 1, primo comma, enuncia gli obiettivi di politica sociale tesi ad assicurare “alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali”, e a promuovere “interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza”, prevenire, eliminare e ridurre “le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione”.

Orbene, questi gli obiettivi che si declinano – dando così quel senso di continuità normativa di cui si diceva nel paragrafo precedente – nell’insieme di interventi e servizi sociali descritti dal citato articolo 128 del D.Lvo n. 112 del 1998 ( ricordiamo: “Ai sensi del presente decreto legislativo, per "servizi sociali" si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia”).

Per offrire un quadro completo del rapporto tra obiettivi di politica sociale (art. 1, comma 1 della L. 328/00) e i singoli servizi che si intendono offrire basti osservare quanto prescritto dall’articolo 129, del citato decreto legislativo, il quale individua in capo allo Stato le seguenti competenze:

a) la determinazione dei principi e degli obiettivi della politica sociale;

b) la determinazione dei criteri generali per la programmazione della rete degli interventi di integrazione sociale da attuare a livello locale;

c) la determinazione degli standard dei servizi sociali da ritenersi essenziali in funzione di adeguati livelli delle condizioni di vita;

competenze legislative, là dove prevede che le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l'esercizio unitario, sulla base dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”. “Ecco dunque dove si fonda una concezione procedimentale e consensuale della sussidiarietà e dell'adeguatezza. Si comprende infatti come tali principî non possano operare quali mere formule verbali capaci con la loro sola evocazione di modificare a vantaggio della legge nazionale il riparto costituzionalmente stabilito, perché ciò equivarrebbe a negare la stessa rigidità della Costituzione. E si comprende anche come essi non possano assumere la funzione che aveva un tempo l'interesse nazionale, la cui sola allegazione non è ora sufficiente a giustificare l'esercizio da parte dello Stato di una funzione di cui non sia titolare in base all'art. 117 Cost. Nel nuovo Titolo V l'equazione elementare interesse nazionale = competenza statale, che nella prassi legislativa previgente sorreggeva l'erosione delle funzioni amministrative e delle parallele funzioni legislative delle Regioni, è divenuta priva di ogni valore deontico, giacché l'interesse nazionale non costituisce più un limite, né di legittimità, né di merito, alla competenza legislativa regionale. Ciò impone di annettere ai principî di sussidiarietà e adeguatezza una valenza squisitamente procedimentale, poiché l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà”.

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d) compiti di assistenza tecnica, su richiesta dagli enti locali e territoriali, nonché compiti di raccordo in materia di informazione e circolazione dei dati concernenti le politiche sociali, ai fini della valutazione e monitoraggio dell'efficacia della spesa per le politiche sociali;

e) la determinazione dei criteri per la ripartizione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali secondo le modalità di cui all'articolo 59, comma 46, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, come modificato dall'articolo 133, comma 4, del presente decreto legislativo;

f) i rapporti con gli organismi internazionali e il coordinamento dei rapporti con gli organismi dell'Unione europea operanti nei settori delle politiche sociali e gli adempimenti previsti dagli accordi internazionali e dalla normativa dell'Unione europea;

g) la fissazione dei requisiti per la determinazione dei profili professionali degli operatori sociali nonché le disposizioni generali concernenti i requisiti per l'accesso e la durata dei corsi di formazione professionale;

h) gli interventi di prima assistenza in favore dei profughi, limitatamente al periodo necessario alle operazioni di identificazione ed eventualmente fino alla concessione del permesso di soggiorno, nonché di ricetto ed assistenza temporanea degli stranieri da respingere o da espellere;

i) la determinazione degli standard organizzativi dei soggetti pubblici e privati e degli altri organismi che operano nell'ambito delle attività sociali e che concorrono alla realizzazione della rete dei servizi sociali;

l) le attribuzioni in materia di riconoscimento dello status di rifugiato ed il coordinamento degli interventi in favore degli stranieri richiedenti asilo e dei rifugiati, nonché di quelli di protezione umanitaria per gli stranieri accolti in base alle disposizioni vigenti;

m) gli interventi in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata; le misure di protezione degli appartenenti alle Forze armate e di polizia o a Corpi militarmente organizzati e loro familiari;

n) la revisione delle pensioni, assegni e indennità spettanti agli invalidi civili e la verifica dei requisiti sanitari che hanno dato luogo a benefici economici di invalidità civile.

A riprendere tale distinzione (servizi sociali e servizi socio-sanitari) – rispetto al profilo soggettivo – è anche il D. Lvo. n. 155 del 2006 Disciplina dell’impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118.

Invero, tale provvedimento, seppur orientato a definire i profili e i compiti della c.d. impresa sociale, individua all’art. 2 primo comma del citato d.lgs. del 2006 i riferimenti normativi dei settori legati all’erogazione di servizi sociali:

“ 1. Si considerano beni e servizi di utilità sociale quelli prodotti o scambiati nei seguenti settori:

a) assistenza sociale, ai sensi della legge 8 novembre 2000, n. 328, recante legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali;

b) assistenza sanitaria, per l'erogazione delle prestazioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 29 novembre 2001, recante «Definizione dei livelli essenziali di assistenza», e successive modificazioni, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2002;

c) assistenza socio-sanitaria, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 14 febbraio 2001, recante «Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 129 del 6 giugno 2001;

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d) educazione, istruzione e formazione, ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, recante delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale;

[…];”.

La L. n. 328/2000, dunque, ha indicato i principi per la realizzazione di un sistema decentrato in cui il coordinamento e l'integrazione dei servizi sociali con gli interventi sanitari, della istruzione, della formazione, viene attuato tramite concertazione e cooperazione tra i diversi livelli istituzionali e i soggetti operanti nel Terzo settore, i cittadini e le Aziende sanitarie locali.

Ad ispirare questo provvedimento – ricordiamo prima della modifica della Costituzione – sono i princìpi (art. 1, terzo comma) di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali.

Un sistema, quindi, che ruota attorno al decentramento amministrativo senza perdere la funzione unitaria di prestazione dei servizi, ove la sussidiarietà orizzontale ne rappresenta, in quest’ottica, la linfa.

Tale ultimo aspetto si evince proprio dal quarto e quinto comma del citato articolo 1, laddove, gli Enti locali, le Regioni e lo Stato – si noti l’ordine di elencazione – riconoscono e agevolano il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.

Sembra riscontrarsi proprio quel principio di sussidiarietà orizzontale che troverà poco dopo esplicito riferimento nel testo costituzionale (art. 118 Cost.)9.

Il raccordo tra i soggetti pubblici e privati prima richiamati è assicurato dall’articolo 3, secondo comma, ove è previsto che i soggetti di cui all'art. 1, comma 3 (ossia quelli poc’anzi citati), provvedono, nell'ambito delle rispettive competenze, alla programmazione degli interventi e delle risorse del sistema integrato di interventi e servizi sociali secondo i seguenti princìpi:

a) coordinamento ed integrazione con gli interventi sanitari e dell'istruzione nonché con le politiche attive di formazione, di avviamento e di reinserimento al lavoro;

b) concertazione e cooperazione tra i diversi livelli istituzionali, tra questi ed i soggetti di cui all'art. 1, comma 4, che partecipano con proprie risorse alla realizzazione della rete, le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale nonché le aziende unità sanitarie locali per le prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria (cfr. articolo 3 septies, primo comma, del D.Lvo n. 502 del 1992) comprese nei livelli essenziali del Servizio sanitario nazionale.

Per essere più schematici la Legge in commento è tesa a promuovere ed incentivare due grandi obiettivi di politica sociale:

� assicurare alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali;

9 Ciò che viene esplicitato più chiaramente nel quarto comma: “Alla gestione ed all'offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici nonché, in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi, organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni enti di patronato e altri soggetti privati. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha tra gli scopi anche la promozione della solidarietà sociale, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata”.

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� promuovere interventi per garantire la qualità della vita, le pari opportunità, i diritti di cittadinanza; prevenire, eliminare, ridurre le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare che derivano da condizioni di mancata autonomia.

È proprio nel complesso di questi obietti che detta Legge ha individuato i livelli di governo chiamati a raggiungere i su richiamati obiettivi.

Si badi, però, nel quadro costituzionale precedente alla Riforma del 2001, e come si vedrà, anticipando la Riforma con grande capacità pronostica.

In quel contesto, invero, il rapporto costituzionale tra le competenze legislative nazionali e quelle regionali era inverso rispetto a quello oggi in vigore.

In buona sostanza, alle Regioni spettava una competenza tassativa, specifica in determinate materie, mentre allo Stato restava il potere di decidere su ogni materia non in capo alle Regioni, fatta salva la competenza concorrente.

Soprattutto, l’impianto costituzionale si fondava su una configurazione della Repubblica – vale a dire di tutti i soggetti pubblici costituenti (Stato, Regioni, Province, Comuni) – centralizzata, ossia in cui il centro propulsore era rappresentato dallo Stato.

La Legge quadro indica, invece, le funzioni degli enti pubblici, le modalità di concertazione tra di essi e la partecipazione al sistema dei soggetti privati e della cittadinanza, chiaramente ispirato ad una visione orizzontale del rapporto tra poteri pubblici e bisogni individuali e collettivi.

Tutto ciò in un sistema costituzionale poi variato appunto, ma comunque straordinariamente compatibile con la novella del 2001, come si avrà modo di vedere meglio in avanti.

Prima di esaminare nello specifico i profili costituzionali, riepiloghiamo le diverse fonti normative in base al loro rapporto gerarchico, che a vario titolo intervengono nella materia che stiamo esaminando:

� Costituzione, artt. 2, 3.

� Cost. art. 32 (salute) – art. 38 (sociale);

� Cost. art. 117 (competenze legislative Stato/Regioni);

� L. 381/91 e s.m.i;

� D.Lvo. n. 163/2006 s.m.i. (Codice dei contratti);

� L. 328/00 e D.P.C.M. 30 marzo 2001 (sociale);

� D.Lvo n. 502 del 1992 e D.P.C.M. 29 novembre 2011 (LEA) – [sanitario];

� D.P.C.M. 14 febbraio 2001 (socio-sanitario);

� Normativa regionale.

1.4. LA SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE.

Come detto il dato fondante della novella del 2000 è rappresentato dal ruolo della sussidiarietà orizzontale prevista all’articolo 1, quarto e quinto comma della predetta Legge n. 328, che solo dopo sarà ripreso dall’articolo 118, primo comma della Cost. (“Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurare l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”).

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Tale principio, secondo un’approfondita descrizione avanzata dal Consiglio di Stato in sede consultiva (Parere n. 1440 del 25 agosto 2003), rappresenta la salvaguardia dell’interesse generale ed il carattere pubblico dell’intervento, che dovrebbe essere attuato dai soggetti imprenditoriali privati10.

Invero, prima ancora che l’espressione sussidiarietà orizzontale fosse esplicitamente prevista in Costituzione11, già la Legge 328/00 riconosceva un ruolo centrale ai soggetti privati nella programmazione, organizzazione e gestione dei servizi sociali.

Come detto oltre al citato articolo 1, quarto e quinto comma, è soprattutto l’articolo 5 ad evidenziare il ruolo del c.d. Terzo Settore.

Per favorire l'attuazione del principio di sussidiarietà, appunto, gli Enti locali, le Regioni e lo Stato, promuovono azioni per il sostegno e la qualificazione dei soggetti operanti nel terzo settore.

Inoltre, gli Enti locali promuovono azioni per favorire la trasparenza e la semplificazione amministrativa nonché il ricorso a forme di aggiudicazione o negoziali che consentano ai soggetti operanti nel terzo settore la piena espressione della propria progettualità, avvalendosi di analisi e di verifiche che tengano conto della qualità e delle caratteristiche delle prestazioni offerte e della qualificazione del personale.

È in questo quadro che le Regioni adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra enti locali e Terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

Sempre alle Regioni è posto in capo il compito di disciplinare le modalità per valorizzare l'apporto del volontariato nell'erogazione dei servizi.

Per cui la sussidiarietà in questo campo si traduce – specificatamente – nella valorizzazione e procedimentalizzazione del ruolo del Terzo settore, il quale, secondo la filosofia che muove la legge nazionale (ed anche la Riforma costituzionale) sono i destinatari diretti del compito di erogare tali servizi.

1.5. LA SUSSIDIARIETÀ VERTICALE.

Ciò che caratterizza la Legge n. 328/00 è anche l’attribuzione delle competenze tra i diversi livelli di governo.

È interessante notare come l’articolo 1, terzo comma, della L.328/00 nel delineare il regime delle competenze istituzionali adotta quella tendenza che si muove sulla direttrice che va dal “più vicino al più lontano” che ha caratterizzato proprio la successiva riforma del 2001.

Infatti, il citato comma stabilisce che “La programmazione e l'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato”.

Dello stesso tenore è anche il Capo II – Assetto istituzionale e organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, nel quale si individuano prima le competenze dei Comuni, poi delle Province, delle Regioni ed in fine dello Stato.

10 Il tema della sussidiarietà orizzontale è assai complesso e ampio, e non può trovare in questa sede una trattazione approfondita. Cionondimeno, tal principio meriterebbe una seria valutazione in particolare alla luce di quei fenomeni di collaborazione tra soggetti pubblici e privati che – per il tramite della Legge sul procedimento – hanno dato luogo a sperimentazioni gestionali tanto innovative quanto originali; nonché alla luce delle diverse spinte normative alla creazione di partenariati pubblico-privato (PPPI e PPPC). 11 Sebbene non manca chi individuava in diverse disposizioni pre-riforma del 2001 (in particolare la Legge n. 59 del 1997, c.d. Legge Bassanini), un impianto costituzionale votato all’incentivazione dei soggetti privati più vicini al cittadino in compito di integrare i bisogni derivanti dalla collettività (es. artt. 2 e 5 Cost.).

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Per cui se si volesse integrare il principio di sussidiarietà orizzontale sopra descritto con quello verticale, il regime delle competenze consente di operare nell’àmbito dei servizi sociali nel modo seguente:

1. ai privati del settore sociale e il cosiddetto Terzo settore (organizzazioni di volontariato, associazioni, enti di promozione sociale, organismi della cooperazione, cooperative sociali, enti di patronato, soggetti privati...) che assumono pubbliche responsabilità svolgendo un ruolo di partnership e concertazione nella programmazione e erogazione di servizi alla persona nonché nella registrazione dei bisogni sociali;

2. le ASL, che partecipano alla programmazione delle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, consentendo con i comuni la integrazione delle politiche sanitarie con quelle sociali;

3. i Comuni (singoli o associati), cui la Legge quadro conferma il grosso della titolarità delle funzioni amministrative. Essi rilevano i bisogni e le risorse, concorrono alla programmazione regionale, programmano-progettano-realizzano la rete locale dei servizi sociali, adottando il Piano di zona coerentemente con il Piano sociale regionale, erogano sia i servizi che le prestazioni economiche, rilasciano le autorizzazioni e gli accreditamenti, vigilano sulle organizzazioni private e non profit che erogano a loro volta prestazioni sociali, partecipano alla individuazione degli ambiti territoriali, definiscono i parametri di valutazione delle attività, svolgono il controllo di gestione, promuovono la partecipazione dei cittadini alla valutazione e al controllo dei servizi;

4. le Province, che svolgono funzioni di concorso alla programmazione regionale e di zona, di monitoraggio e analisi dell'offerta dei servizi e degli interventi implementati, di attività di formazione professionale per gli operatori del settore e di raccolta e di analisi dei dati sui bisogni sociali;

5. le Regioni, che hanno competenze relative alla programmazione (da svolgersi mediante la redazione del documento di pianificazione sociale regionale, cosiddetto Piano regionale degli interventi e dei servizi sociali) e competenze relative al coordinamento e all'indirizzo degli interventi sociali, sanitari, dell'istruzione, della formazione, del lavoro. Le regioni verificano l'attuazione sul territorio delle politiche sociali, definiscono le modalità di certificazione e di accertamento della efficacia, efficienza, equità nella fruizione del servizio. Alle Regioni la L. n. 328/2000 attribuisce anche il compito di determinare in concertazione con gli enti locali gli ambiti territoriali (le cosiddette zone sociali), di prevedere gli strumenti e le modalità per la programmazione e la gestione unitaria del sistema locale dei servizi a rete, di individuare i criteri per la partecipazione dei soggetti privati alla programmazione-gestione dei servizi e degli utenti al costo degli interventi, nonché di istituire gli uffici di tutela dei diritti della cittadinanza. Esse definiscono una serie di criteri in base ai quali i comuni dovranno organizzare le loro attività e dovranno valutare l'efficienza e l'efficacia degli interventi. Predispongono e finanziano il piano per la formazione e l'aggiornamento del personale addetto ai servizi sociali. Istituiscono il Fondo sociale regionale;

6. da ultimo lo Stato, che determina i principi e gli obiettivi della politica sociale, ha il compito di definire una cittadinanza minima sociale nazionale tramite il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali e la individuazione dei livelli essenziali di assistenza sociale (LEAS), provvede al conferimento delle risorse finanziarie. Inoltre lo Stato fissa i requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale e per le comunità di tipo familiare. Individua i profili professionali degli operatori sociali e istituisce, tramite il Ministero della solidarietà sociale, il sistema informativo del servizio sociale.

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Soggetti pubblici: 1. Enti locali; 2.Regioni; 3.Stato

…Riconoscono e agevolano: soggetti privati

1. Organismi non lucrativi di utilità sociale;

2. organismi della cooperazione; 3. associazioni della promozione

sociale; 4. fondazioni e patronato; 5. confessioni religiose riconosciute

dallo Stato; 6. volontariato

In particolare:

Collaborazione tra soggetti pubblici e privati (art. 1, quinto comma): - per gestione e offerta di servizi;

mentre: - per la progettazione e realizzazione:

Soggetti pubblici (art. 1, co. 3)

� Org. no profit; � Cooperazione; � Volontariato; � Promozione sociali; � Fondazioni; � Altri soggetti privati.

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1.3.2. IL DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 30 MARZO 2001.

Una volta individuati i punti focali della Legge 328/00, in particolare quali compiti essa attribuisce ai soggetti pubblici e quelli privati, occorre soffermarci sul D.P.C.M. n. 30 Marzo 2001.

È l'articolo 5, comma 3 della legge n. 328 del 2000 a prevedere l'adozione di un atto di indirizzo e coordinamento del Governo sulla base del quale le Regioni, secondo quanto previsto dall'articolo 3, comma 4 della medesima legge, adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra enti locali e terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

È quindi compito della Regione – e come si vedrà tale attribuzione rientra pienamente nel quadro delle competenze legislative costituzionali – definire e promuovere il miglioramento della qualità dei servizi e degli interventi anche attraverso la definizione di specifici requisiti di qualità.

Il provvedimento individua nello specifico i seguenti obiettivi:

a. favorire la pluralità di offerta dei servizi e delle prestazioni, nel rispetto dei principi di trasparenza e semplificazione amministrativa;

b. favorire l'utilizzo di forme di aggiudicazione o negoziali che consentano la piena espressione della capacità progettuale ed organizzativa dei soggetti del terzo settore.

c. favorire forme di coprogettazione promosse dalle amministrazioni pubbliche interessate, che coinvolgano attivamente i soggetti del terzo settore per l'individuazione di progetti sperimentali ed innovativi al fine di affrontare specifiche problematiche sociali;

d. definire adeguati processi di consultazione con i soggetti del terzo settore e con i loro organismi rappresentativi riconosciuti come parte sociale.

È in questo ambito che i Comuni, ai fini dell'erogazione dei servizi e degli interventi, anche nell'ambito dei rapporti di cui al comma 1, predispongono, d'intesa con l'Azienda USL nel caso di interventi socio-sanitari integrati, progetti individuali di assistenza ovvero l'erogazione di interventi nell'ambito di percorsi assistenziali attivi per l'integrazione o la reintegrazione sociale.

Dalla disamina del Decreto emergono alcuni spunti essenziali per questo lavoro:

� I soggetti del Terzo settore costituiscono i referenti principali per l’erogazione di detti servizi (principio di sussidiarietà orizzontale);

� Le Amministrazioni pubbliche hanno il dovere di premiare la qualità del servizio reso, in ragione della natura dello stesso;

� Tale qualità trova espressione nella progettualità dei soggetti chiamati ad erogarli.

È in forza di questi elementi – che come vedremo si relazionano con il tema della concorrenza – che il Decreto individua alcuni principi in ordine alla selezione dei soggetti gestori.

I Comuni, infatti, ai fini della preselezione dei soggetti presso cui acquistare o ai quali affidare l'erogazione di servizi, valutano i seguenti elementi:

a. la formazione, la qualificazione ed l'esperienza professionale degli operatori coinvolti;

b. l'esperienza maturata nei settori e nei servizi di riferimento;

I Comuni, quindi, procedono all'aggiudicazione dei servizi sulla base dell'offerta economicamente più vantaggiosa, tenendo conto in particolare dei seguenti elementi qualitativi:

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a. le modalità adottate per il contenimento del turn over degli operatori;

b. gli strumenti di qualificazione organizzativa del lavoro;

c. la conoscenza degli specifici problemi sociali del territorio e delle risorse sociali della comunità;

d. il rispetto dei trattamenti economici previsti dalla contrattazione collettiva e delle norme in materia di previdenza e assistenza.

Per tali ragioni, il decreto prevede esplicitamente che i Comuni non devono procedere all'affidamento dei servizi con il metodo del massimo ribasso.

I Comuni, sulla scorta di questi indicatori, al fine di realizzare il sistema integrato di interventi e servizi sociali garantendone i livelli essenziali (stabiliti dal legislatore nazionale), possono acquistare servizi e interventi organizzati dai soggetti del Terzo Settore.

L’articolo 5 del D.P.C.M. qui in commento, presenta subito un nodo molto complicato, affidando alle Regioni il compito di stabilire “le modalità per l'acquisto da parte dei Comuni dei servizi ed interventi organizzati dai soggetti del terzo settore” definendo in particolare:

a. le modalità per garantire un’adeguata pubblicità del presumibile fabbisogno di servizi in un determinato arco temporale;

b. le modalità per l'istituzione dell'elenco dei fornitori di servizi autorizzati ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 328 del 2000, che si dichiarano disponibili ad offrire i servizi richiesti secondo tariffe e caratteristiche qualitative concordate;

c. i criteri per l'eventuale selezione dei soggetti fornitori sulla base dell'offerta economicamente più vantaggiosa, tenuto conto di quanto previsto dall'articolo 412.

Non a caso l’articolo 6 disciplina compiutamente le modalità di detto affidamento, stabilendo che “Le Regioni adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra Comuni e soggetti del Terzo Settore nell'affidamento dei servizi alla persona di cui alla legge n. 328 del 2000 tenuto conto delle norme nazionali e comunitarie che disciplinano le procedure di affidamento dei servizi da parte della pubblica amministrazione”.

È proprio questo uno degli aspetti più controversi che si avrà modo di affrontare in avanti, relativamente al rapporto tra concorrenza e servizi sociali.

La norma, ricordiamo del 2001, vale a dire prima del Codice dei Contratti del 2006, prevede invero che “Nel rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza dell'azione della Pubblica Amministrazione e di libera concorrenza tra i privati nel rapportarsi ad essa, sono da privilegiare le procedure di aggiudicazione ristrette e negoziate. In tale ambito le procedure ristrette permettono di valutare e valorizzare diversi elementi di qualità che il Comune intende ottenere dal servizio appaltato”.

Si ribadisce in particolare:

� L’utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (O.E.P.V.);

� La previsione di forme e modalità per la verifica degli adempimenti oggetto del contratto ivi compreso il mantenimento dei livelli qualitativi concordati ed i provvedimenti da adottare in caso di mancato rispetto.

12 È previsto, nel medesimo articolo 6 che: “Oggetto dell'acquisto o dell'affidamento di cui all'articolo 6, deve essere l'organizzazione complessiva del servizio o della prestazione, con assoluta esclusione delle mere prestazioni di manodopera che possono essere acquisite esclusivamente nelle forme previste dalla legge n. 196 del 1997. 4. I Comuni stipulano convenzioni con i fornitori iscritti nell'elenco di cui al comma 2, anche acquisendo la disponibilità del fornitore alla erogazione di servizi e interventi a favore di cittadini in possesso dei titoli di cui all'articolo 17 della legge n. 328 del 2000”.

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Dunque, dall’analisi del suo complesso la Legge 328 del 2001, ed il relativo D.P.C.M. del 30 marzo 2001, occorre valutare due diversi aspetti (ben sapendo che l’analisi della disciplina precipua prevista in materia di affidamento di servizi e concessione è demandata ad altre relazioni):

� In che ambito si inserisce la potestà legislativa delle Regioni (alla luce dei precisi indirizzi segnati dal legislatore nazionale, in particolare, in tema di aggiudicazione);

� Come si pone, una volta chiarito l’àmbito e il potere legislativo regionale in tema di servizi sociali, il rapporto tra questo e la materia della concorrenza, e dei soggetti chiamati ad erogare i servizi (in particolare il Terzo settore).

1.4. IL NUOVO QUADRO DELLE COMPETENZE LEGISLATIVE. LA LEGGE N. 328 DEL 2000 ALLA LUCE DELLA RIFORMA DEL TITOLO V. L’INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE.

A fronte del quadro delle competenze, e del ruolo dei soggetti privati, delineate dalla normativa ordinaria del 2000, occorre a questo punto chiedersi come la stessa si sia ‘sopravvissuta’ alla Riforma costituzionale del 2001.

Lo spunto per una disamina delle competenze alla luce della Riforma del 2001 nacque a seguito dell’adozione del D.P.C.M. 29 novembre 2001, recante la determinazione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEAS), ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (ricordiamo, disciplina in materia sanitaria).

Va chiarito, preliminarmente, che la Riforma costituzionale del 2001 ha invertito totalmente il rapporto di competenze precedentemente previsto dalla Costituzione, per cui alle Regioni spettava la potestà legislativa in determinate materie e allo Stato quella generale per tutte le materie non tassativamente elencate nel testo costituzionale e in capo alle Regioni.

L’impostazione della novella del 2001, dunque, è stata quella di rivoluzionare totalmente questa struttura, per così dire, capovolgendo la piramide istituzionale.

Pertanto, ad oggi, lo Stato ha competenza esclusiva in determinate materie mentre alle Regioni spetta, salvo quella concorrente (per cui allo Stato spetta la delineazione dei principi generali e alle Regioni le norme di dettaglio), la competenza residuale, che vuol dire su tutto quanto non attribuito esplicitamente allo Stato.

Sicché, il cambiamento ha inevitabilmente influito sull’assetto dei poteri, in particolare per l’inevitabile intersezione di alcune materie di diversa competenza.

La nuova impalcatura istituzionale e la nuova definizione della materia è tutt’altro che un tema distante dalla concreta realtà legata alla gestione dei servizi sociali.

Infatti, come si avrà modo di notare nelle trattazioni specifiche sul tema, ad esempio, il rapporto tra la materia della concorrenza e quella della tutela della salute (la prima, di competenza esclusiva statale e, la seconda, concorrente Stato-Regioni), impone oggi a tutti gli operatori del settore, tanto pubblici quanto privati, particolare attenzione nell’equilibrare questi due momenti, trovando sinergia tra i due sistemi.

Quanto sopra citato è uno dei tanti aspetti che attraversa questa disciplina e che pone l’interprete, come l’operatore (pubblico e privato), nella seria difficoltà di doversi misurare con competenze legislative spesso non chiare, già a partire dalla competenza tra la tutela della salute e la competenza statale nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

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Ad ogni modo, per “sbrogliare” questa matassa, corre in soccorso una sentenza del Tar Lazio - Roma (sent. n. 6265 del 2002), pronunziata proprio in prossimità dell’adozione del D.P.C.M. del 2001 con il quale il Governo ha stabilito i Livelli essenziali di assistenza (LEA).

I Giudici romani, anzitutto, inquadrano il provvedimento governativo nel quadro del mutato contesto costituzionale verificatosi proprio a seguito del varo della Riforma costituzionale, evidenziando come “la l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3 più volte ribadisce, per dare effettività al principio fondamentale ex art. 3, II c., Cost. (che alla Repubblica, ossia all'ordinamento generale, affida il compito di rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana) e quale correttivo delle norme sulla sussidiarietà, la potestà legislativa ed amministrativa dello Stato, sancita dall’art. 117, II c., lett. m), Cost. circa la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono esser garantiti su tutto il territorio nazionale”.

Invero, il primo scoglio da superare è proprio l’inquadramento dei LEA nel mutato panorama delle competenze statali, allorquando quest’ultimo riconoscono solo allo Stato, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m) la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

I LEA, dunque, si innestano nel più generale diritto contenuto nell’articolo 32 Cost. della tutela della salute, il che “implica il diritto ai trattamenti sanitari necessari a garantire il mantenimento o il ripristino sia della sanità personale (mercé la somministrazione di prestazioni di terapie e profilassi corrette, efficaci ed appropriate), sia di quel grado di salute collettiva ritenuta, allo stato delle conoscenze scientifiche, idonea ad attuare l’uguaglianza sostanziale dei soggetti di diritto”.

In tal senso, il diritto de quo è garantito ad ogni persona come un diritto costituzionalmente condizionato all'attuazione che il legislatore ne dà, attraverso il bilanciamento dell'interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra in relazione alle risorse organizzative e finanziarie, di cui l'apparato dispone.

È interessante notare, a tal punto, come i Giudici del Tar laziale intendono rendere compatibile il piano della programmazione della tutela della salute – di competenza statale, ribadiamo – e il piano della concreta erogazione di tali servizi, che superi (rectius: integri) i livelli essenziali – o minimi – che siano stati garantiti sul piano nazionale.

Infatti, osservano i Giudici “Nell’organizzazione degli strumenti di tutela della salute si rinvengono perlomeno due piani logico-giuridici – se non gerarchicamente sovrapposti, certo legati da un evidente criterio di presupposizione –, l’uno dedicato all’indicazione del tipo, della natura e delle quantità finanziariamente tollerabili di prestazioni minime garantite ovunque nel territorio della Repubblica, l’altro rivolto ad attuare i metodi e ad identificare i soggetti abilitati per l’implementazione delle prestazioni così stabilite”.

In altri termini, tale materia si sviluppa su due piani distinti dal punto di vista quantitativo: da un lato, ci sono i livelli essenziali, ossia il minum che deve essere garantito a tutti i soggetti e su tutto il territorio nazionale, dall’altro, è prevista la possibilità di ampliare ed integrare questi livelli, consentendo ad altri soggetti diversi dallo Stato – tanto pubblici quanto privati – di intervenire sul territorio (in forza del principio di sussidiarietà orizzontale e verticale).

Per cui la tutela costituzionale della salute s’attua mediante l’identificazione dapprima dell’an e del quid più efficace ed appropriato della prestazione sanitaria per tutti gli assistiti del SSN e, in un secondo momento, del quando e del quomodo in ciascuna realtà territoriale.

Appunto in ciò consiste la suddivisione dei compiti legislativi (ed amministrativi) tra lo Stato e le Regioni, come delineata dall’art. 117, secondo e terzo comma, nel senso che “è attribuita al primo quella

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competenza che garantisce il valore della solidarietà e dell'uguaglianza generali, con l’indicazione dei livelli minimi di prestazione sociale, e alle altre la competenza concorrente sull’organizzazione dei servizi, sulla scorta dei principi fondamentali all’uopo fissati dalla legislazione statale”.

È a questo punto che la giurisprudenza qui analizzata “districa” uno dei nodi cruciali della questione: vale a dire il rapporto tra la tutela della salute e la determinazione dei LEA.

Affermano chiaramente i Giudici amministrativi: “La fissazione dei LEA sanitari [si badi, qui si tratta dei livelli essenziali dei servizi sanitari, mentre il tema affrontato è sui servizi sociali. Ad ogni modo interessa ai soli fini della competenza, ndr] afferisce, quindi, ancor prima che alla tutela operativa della salute, all’individuazione del contenuto stesso del diritto alla salute che l’ordinamento generale deve garantire a chicchessia ed ovunque nel territorio e, perciò, prevale sulla legislazione concorrente regionale in materia sanitaria”.

Pertanto, già si può affermare un principio: la definizione dei LEA (seppur qui inteso nell’àmbito dei servizi sanitari, ma vedremo che è identico a quello dei servizi sociali) prevale sulla legislazione concorrente regionale in materia sanitaria.

Ciò posto “Alle Regioni è attribuita, quindi, la potestà di provvedere non già alla minima uniformità garantita – che spetta alla legislazione esclusiva statale –, bensì, ed in concorso con lo Stato, all’approntamento delle misure occorrenti che attualizzano l’obbligo assunto con tutti i cittadini, all’uopo tenendo conto delle proprie specificità territoriali e locali”.

La disamina fin qui esposta ci ha permesso quindi di individuare chiaramente il regime delle competenze in particolare su due diversi piani:

� la tutela della salute (di cui all’art. 32 Cost.)

� e la determinazione dei livelli essenziali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost.

� materia concorrente Stato-Regioni in base all’art. 117, terzo comma, Cost. materia concorrente.

Orbene, la distinzione di cui sopra, vale a dire il rapporto tra diritto alla salute, livelli essenziali e competenza regionale è stato affrontato sul piano dei servizi sanitari.

A questo punto, sapendo che allo Stato spetta la determinazione dei livelli essenziali, ma non è previsto esplicitamente in Costituzione la competenza in materia di servizi sociali.

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2. Il rapporto tra le fonti nei servizi sociali

2.1. I LIVELLI ESSENZIALI DEI DIRITTI SOCIALI. IL RAPPORTO TRA LA COMPETENZA ESCLUSIVA STATALE E

IL POTERE CONCORRENTE DELLE REGIONI.

Nel paragrafo precedente ci siamo concentrati sul rapporto tra le competenze statali e regionali in tema di LEA sanitari, subito dopo l’entrata in vigore della Riforma costituzionale del 2001.

Occorre, ora, analizzare lo stesso tema riprendendo però la distinzione semantica e ontologica che ponemmo all’inizio tra servizi socio-sanitari (o sanitari) e servizi socio-assistenziali, è necessario, pertanto, muovere un ulteriore passo in avanti.

Anche in questo caso, per comprendere bene il regime delle competenze e l’individuazione dei soggetti chiamati a programmare e/o ad erogare i servizi sociali, ci gioveremo di una sentenza della Corte costituzionale (sentenza n. 10 del 2010).

Per capire nello specifico la massima giurisprudenziale espressa dalla Consulta, occorre però spiegare sinteticamente il caso concreto sottoposto all’attenzione della Corte13.

Il contenuto della disciplina – a giudizio della Corte, impegnata a collegare la materia trattata nel novero delle potestà legislative descritte dall’art. 117 Cost – faceva escludere che essa attenesse alla materia «previdenza sociale» (descritta alla lettera o) dell’art. 117 Cost.), come sostenuto dalla difesa erariale. Le norme in esame, infatti, erano preordinate «al soddisfacimento delle esigenze prioritariamente di natura alimentare e successivamente anche energetiche e sanitarie dei cittadini meno abbienti» e miravano a «soccorrere le fasce deboli di popolazione in stato di particolare bisogno» (commi 29 e 32 del citato art. 81).

Pertanto, per l'attribuzione della cd. «carta acquisti» - prevista dalla normativa impugnata – assumevano rilievo la condizione soggettiva e la sussistenza di situazioni di bisogno, di disagio e di difficoltà economica, elementi, questi, che – secondo il giudizio della Corte – impongono di negarne la riconducibilità all'art. 117, secondo comma, lettera o)[previdenza sociale], Cost. (cfr. sentenze n. 141 del 2007 e n. 287 del 2004).

Soprattutto, quel che qui interessa, è che la Corte ha ritenuto parimenti infondata la riconduzione della questione nella materia "tutela della salute", attribuita alla competenza concorrente delle Regioni.

Dice la Corte “L'erroneità della tesi è, infatti, chiara, in quanto l'inerenza delle disposizioni alla materia "tutela della salute" risulta, all'evidenza, indiretta, eventuale e marginale, indipendentemente dalla considerazione che la regolamentazione puntuale ed analitica degli strumenti concreti per conseguire gli obiettivi avuti di mira dal legislatore statale fa escludere che esse costituiscano norme "di principio" concernenti detta materia”.

Quest’ultimo profilo, ci introduce chiaramente verso un primo elemento distintivo tra la materia sanitaria e quella sociale.

In primo luogo, la Corte, afferma che non si può ricondurre alla materia della tutela della salute – che come si è detto più indietro, è di competenza concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), vale a dire i principi sono dettati dallo Stato e il potere regolamentare è in capo alle Regioni – per il solo fatto che il Legislatore nazionale abbia predisposto un atto che contiene principi generali in materia.

13 In quel caso, infatti, era stato impugnato l'art. 81, commi 29, 30 e dal 32 al 38-bis, del d.l. n. 112 del 2008, nel testo risultante dalla legge di conversione n. 133 del 2008. Tali disposizioni prevedevano, infatti, una provvidenza a tutela di un diritto sociale e disciplinavano in dettaglio l'attuazione di tale misura.

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Ciò perché la Corte promuove un’indagine che va a colpire direttamente il merito della materia, senza che si possa essere “ingannati” dalla forma degli atti14.

Per cui, la Consulta procede specificatamente a valutare ‘di cosa si tratta’, in altri termini se la materia è da ricondurre al tema dei diritti sociali o a quello della tutela della salute.

In questo caso, quindi, la Corte ha ‘concentrato’ la questione intorno alla dimensione dello “stato di bisogno” dell’individuo e non all’apporto sanitario che questi comunque può attendere.

Il nodo da sciogliere dunque diventa fondamentale anche per comprendere il prosieguo della sentenza qui analizzata, per cui dovremmo affrontare incidentalmente un ulteriore aspetto.

A tale fine, anche alla luce di quanto detto nei paragrafi precedenti, sempre la Corte costituzionale, con altra sentenza (n. 287 del 2004) ha ricostruito il tema dei servizi sociali e del loro riflesso nel sistema delle competenze statali, entrando ancor più nello specifico.

La Corte afferma, nella sentenza del 2004, che “Al fine di pervenire ad una delimitazione della nozione di “servizi sociali” è necessario fare riferimento, innanzi tutto, alla legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), la quale, all'art. 1, comma 1, nel fissare i principi generali e la finalità della legge, ha affermato che «la Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione»” (sentenza n. 287 del 2004).

La Corte quindi ribadisce la funzionalità anche ermeneutica della L. 328 del 2000, perché orientativa e definitoria dei servizi sociali.

“Il comma 2 del medesimo articolo” prosegue la Consulta “dispone, inoltre, che per «interventi e servizi sociali si intendono tutte le attività previste dall'articolo 128 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112» (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).

Il richiamato decreto legislativo n. 112 del 1998, agli artt. da 128 a 134, disciplina le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla materia dei servizi sociali. In particolare, il comma 2 dell'art. 128 dispone che con tale nozione si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno o di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia”(sentenza n. 287 del 2004).

È proprio confrontando tale disposizione con la legge regionale in quella fattispecie impugnata che la Corte individua la materia in esame.

Sottolinea la Corte “Va, infine, osservato che, analogamente ad altre Regioni, la stessa Regione Emilia-Romagna, con la legge 12 marzo 2003, n. 2 (Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), all'art. 1, comma 2, ha previsto che «gli interventi ed i servizi del sistema integrato di interventi e servizi sociali (…) sono volti a garantire pari opportunità e diritti di cittadinanza sociale, a prevenire, rimuovere o ridurre le condizioni di bisogno e di disagio individuale e familiare derivanti da limitazioni personali e sociali, da condizioni di non autosufficienza, da difficoltà economiche»” (sentenza n. 287 del 2004).

14 Cfr. sentenza Corte costituzionale n. 197 del 2002 secondo cui “questa Corte ha più volte affermato che, per l'individuazione della materia alla quale devono essere ascritte le disposizioni oggetto di censure, non assume rilievo la qualificazione che di esse dà il legislatore, ma occorre fare riferimento all'oggetto ed alla disciplina delle medesime, tenendo conto della loro ratio e tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, così da identificare correttamente e compiutamente anche l'interesse tutelato (sentenze n. 430, n. 169 e n. 165 del 2007)”.

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Ebbene “Le disposizioni contenute nei provvedimenti legislativi sopra richiamati evidenziano la sussistenza di un nesso funzionale tra i servizi sociali, quali che siano i settori di intervento (ad esempio famiglia, minori, anziani, disabili), e la rimozione o il superamento di situazioni di svantaggio o di bisogno, per la promozione del benessere fisico e psichico della persona” (sentenza n. 287 del 2004)15.

È dunque lo stato di bisogno a caratterizzare la materia, a distinguerla da quella della previdenza sociale (art. 117 lett. o), di esclusiva competenza statale) e della salute (art. 117, III comma, di materia concorrente)16.

Così, riprendendo l’analisi della Corte svolta nella sentenza del 2010 – pronunziata sulla c.d. social card –, il fulcro della valutazione risiede proprio nella valutazione puntuale sulla sussistenza dei requisiti relativi alla materia dei servizi sociali, in particolare rispetto alla sussistenza dello stato di bisogno.

Infatti, la Consulta in quell’occasione evidenzia come “Le norme impugnate sono preordinate ad alleviare una situazione di estremo bisogno e di difficoltà nella quale versano talune persone, mediante l'erogazione di una prestazione che non è compresa tra quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, ma costituisce un intervento di politica sociale attinente all'ambito materiale dell'assistenza e dei servizi sociali, oggetto di una competenza residuale regionale”17(sentenza n. 10/10).

15 Aggiunge la Corte, “tenuto conto delle caratteristiche che contraddistinguono la provvidenza in questione, che è disposta a favore delle donne, cittadine italiane o comunitarie, residenti in Italia - in relazione alla nascita del secondo o ulteriore figlio, o all'adozione di un figlio - senza che assumano alcun rilievo la condizione soggettiva e la sussistenza di situazioni di bisogno, disagio o semplice difficoltà, deve senz'altro escludersi la appartenenza di detta provvidenza al genus delle prestazioni ricadenti nell'ambito dei servizi sociali” (sentenza n. 287 del 2004). Si tratta, infatti, di una provvidenza temporanea, di carattere indennitario, che costituisce espressione di quella tutela previdenziale della maternità riconosciuta alla donna in quanto tale, in ragione degli articoli 31, secondo comma, e 37 della Costituzione, a prescindere da ogni situazione di bisogno, di disagio o di difficoltà economiche, e non soltanto in quanto collegata ad una attività di lavoro subordinato o autonomo. “Sotto tale aspetto” conclude la Corte, “la provvidenza in questione è, quindi, riconducibile, in senso lato, alla competenza statale in materia di «previdenza sociale», in base a quanto stabilito dall'art. 117, secondo comma, lettera o), della Costituzione”(sentenza n. 287 del 2004). 16 Come ha ribadito in altra pronunzia (sent. n. 141/2007) “Le provvidenze previste dalle norme oggetto del ricorso della Provincia presentano le medesime caratteristiche – decisive, secondo la sentenza n. 287 del 2004, per affermarne la natura «previdenziale» – di essere temporanee, di avere carattere indennitario e di «prescindere da ogni situazione di bisogno, di disagio o di difficoltà economica». Ed è appena il caso di rilevare che, se il comma 333 prevede, per beneficiare della provvidenza, un “tetto” di reddito, tale circostanza non incide sulla caratteristica da ultimo indicata, atteso che tale “tetto” è individuato in una somma compatibile con l'assenza di «bisogno, disagio o difficoltà economica» e si risolve, in sostanza, in uno strumento di selezione dei destinatari di risorse comunque limitate”(sent. n. 141 del 2007). 17 Senza che si possa affrontare compiutamente, tuttavia, il tema qui trattato si intreccia con altre sfaccettature relative al rapporto tra potestà legislativa nazionale e regionale (tanto residuale quanto concorrente) in tema di servizi sociali/tutela della salute, nonché relativamente ai modi di finanziamento. È proprio la Corte, in una sentenza n. 50 del 2008, ad aver sottolineato come “Al riguardo, deve essere ricordato che la giurisprudenza costituzionale ha più volte sottolineato come, nella perdurante mancata attuazione dell'art. 119 della Costituzione, tale disposizione pone comunque precisi limiti al legislatore statale nella disciplina delle modalità di finanziamento delle funzioni spettanti al sistema delle autonomie. Non sono, infatti, consentiti finanziamenti a destinazione vincolata in materie di competenza regionale residuale ovvero concorrente, in quanto ciò si risolverebbe in uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, nonché di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza (sentenza n. 423 del 2004; nello stesso senso, tra le altre, sentenze nn. 77 e 51 del 2005). La Corte ha, inoltre, puntualizzato che le funzioni attribuite alle Regioni «ricomprendono pure la possibilità di erogazione di contributi finanziari a soggetti privati, dal momento che in numerose materie di competenza regionale le politiche pubbliche consistono appunto nella determinazione di incentivi economici ai diversi soggetti che vi operano e nella disciplina delle modalità per la loro erogazione» (sentenza n. 423 del 2004, punto 7.6. del Considerato in diritto). È necessario, inoltre, aggiungere che la disciplina di Fondi vincolati, che ha normalmente anche un contenuto dettagliato, in ambiti materiali di pertinenza regionale si pone pure in contrasto con il sistema di riparto delle competenze normative delineato dall'art. 117 della Costituzione”. Ciò perché la Corte ha voluto evitare un’ingerenza statale – per il tramite di detti finanziamenti – a seguito di un indebito allargamento delle maglie dell’articolo 117, secondo comma, lett. m) Cost. sul presupposto che “non può ritenersi fondato il rilievo secondo cui le suddette norme [quelle relative appunto al Fondo, con una dotazione di 5 milioni di euro, «destinato all'erogazione di contributi ai gestori di attività commerciali» per l'eliminazione delle barriere architettoniche nei locali aperti al pubblico, ndr] rinverrebbero un autonomo titolo di legittimazione nella competenza statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.). Questa Corte ha, infatti, più volte avuto modo di affermare che l'attribuzione allo Stato della competenza esclusiva e trasversale di cui alla citata disposizione costituzionale si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di genericità, a tutti gli aventi diritto (tra le tante, le sentenze n. 387 del 2007 e n. 248 del 2006). Le norme in esame, invece, non determinando alcun livello di prestazione, ma prevedendo soltanto meri finanziamenti di spesa, non potrebbero giammai rinvenire la propria legittimazione nel titolo di competenza in esame (sentenza n. 423 del 2004, punto 7.3.1. del Considerato in diritto)” (sent. ult. cit.). In altra occasione, la Corte (sent. n. 168 del 2008) ha specificato che “il titolo di competenza statale che permette l'istituzione di un fondo con vincolo di destinazione non deve necessariamente identificarsi con una delle materie espressamente elencate nel secondo comma dell'art. 117 Cost., ma può consistere anche nel fatto che detto fondo incida su materie oggetto di “chiamata in sussidiarietà” da parte dello Stato, ai sensi dell'art. 118, primo comma,

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Pare di capire, allora, che la competenza in tema di servizi sociali costituendo un intervento di politica sociale appunto, è oggetto di competenza residuale regionale.

La Corte, infatti, riprendendo il nuovo assetto costituzionale del 2001, per cui la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.) ricorda che “l'attribuzione allo Stato di tale competenza esclusiva si riferisce alla fissazione dei livelli strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di generalità, a tutti gli aventi diritto; dunque essa può essere invocata in relazione a specifiche prestazioni delle quali le norme statali definiscono il livello essenziale di erogazione (sentenze n. 328 del 2006, n. 285 e n. 120 del 2005, n. 423 del 2004)” (sentenza n. 10/10).

Secondo la giurisprudenza della Corte, infatti, con tale titolo di legittimazione è stato attribuito al legislatore statale «un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto» (sentenza n. 134 del 2006).

Non si tratta, infatti, di una «materia» in senso stretto, bensì di una competenza trasversale, idonea cioè ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore statale deve poter predisporre le misure necessarie per attribuire a tutti i destinatari, sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (sentenze n. 322 del 2009 e n. 282 del 2002).

� Ed allora, occorre chiedersi come si pone questo potere generalizzato dello Stato con la potestà residuale delle Regioni riconosciuta dalla Corte poco prima.

I Supremi Giudici costituzionali sostengono che “una restrizione dell'autonomia legislativa delle Regioni, [è] giustificata dallo scopo di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e sociali tutelati dalla stessa Costituzione (sentenza n. 387 del 2007) e, appunto per questo, esso, da un lato, non permette allo Stato di individuare il fondamento costituzionale della disciplina di interi settori materiali (sentenze n. 383 e n. 285 del 2005). Dall'altro, può, invece, essere invocato anche nei particolari casi in cui la determinazione del livello essenziale di una prestazione non permetta, da sola, di realizzare utilmente la finalità di garanzia dallo stesso prevista (espressiva anche dello stretto legame esistente tra tale parametro ed i principi di cui agli artt. 2 e 3, secondo comma, Cost.)”(sent. n. 10/10).

In particolare, prosegue la Corte, “la ratio di tale titolo di competenza e l'esigenza di tutela dei diritti primari che è destinato a soddisfare consentono di ritenere che esso può rappresentare la base giuridica anche della previsione e della diretta erogazione di una determinata provvidenza, oltre che della fissazione del livello

Cost.; il che si verifica quando sia necessario attribuire con legge funzioni amministrative a livello centrale, per esigenze di carattere unitario, e regolare al tempo stesso l'esercizio di tali funzioni – nel rispetto dei princípi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza – mediante una disciplina «che sia logicamente pertinente e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tali fini» (sentenza n. 6 del 2004, nonché, ex plurimis, sentenze n. 155 e n. 31 del 2005; n. 303 del 2003)”. Nella medesima pronunzia, la Corte ha ricordato che l’articolo 117, II comma, lett. m) si legittima al ricorrere di due elementi: la generalità della portata inerente alla determinazione di livelli essenziali di diritti civili e sociali e la sua portata su tutto il territorio nazionale. Nel caso di specie (si trattava di 50 milioni di euro destinati esclusivamente alla «riduzione dei costi della fornitura energetica per finalità sociali»), invece “Quanto al primo, va premesso che, secondo la giurisprudenza costituzionale in tema di art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. «l'attribuzione allo Stato della competenza esclusiva e trasversale di cui alla citata disposizione costituzionale si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di generalità, a tutti gli aventi diritto» (sentenza n. 50 del 2008; nello stesso senso, sentenze n. 387 del 2007 e n. 248 del 2006). Le norme censurate in esame, invece, non determinano alcun livello di prestazione, ma prevedono soltanto meri finanziamenti di spesa e, pertanto, non possono trovare il loro fondamento costituzionale nella citata lettera m) dell'art. 117, secondo comma, Cost. Quanto al secondo assunto, va rilevato che, nel caso di specie, la finalità di operare interventi volti al risparmio energetico – finalità che, peraltro, connota solo alcuni degli interventi finanziati dal fondo – non sottende un'esigenza di esercizio unitario, a livello statale, delle funzioni amministrative tramite cui detta finalità trova attuazione, essendo ben possibili interventi di risparmio energetico mirati alle specifiche realtà regionali e, dunque, frutto di autonome decisioni delle singole Regioni nell'àmbito dei princípi fondamentali della materia stabiliti dalla legge dello Stato. Non sussistono, pertanto, le condizioni per l'invocata “chiamata in sussidiarietà”” (sent. ult. cit.).

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strutturale e qualitativo di una data prestazione, al fine di assicurare più compiutamente il soddisfacimento dell'interesse ritenuto meritevole di tutela (sentenze n. 248 del 2006 e n. 383 e n. 285 del 2005), quando ciò sia reso imprescindibile, come nella specie, da peculiari circostanze e situazioni, quale una fase di congiuntura economica eccezionalmente negativa”(sent. 10/10).

Un tale intervento da parte dello Stato deve, in altri termini, ritenersi ammissibile nel caso in cui esso risulti necessario allo scopo di assicurare effettivamente la tutela di soggetti i quali, versando in condizioni di estremo bisogno, vantino un diritto fondamentale.

Quest’ultimo, essendo strettamente inerente alla tutela del nucleo irrinunciabile della dignità della persona umana, deve potere essere garantito su tutto il territorio nazionale in modo uniforme, appropriato e tempestivo, mediante una regolamentazione coerente e congrua rispetto a tale scopo (sentenze n. 166 del 2008 e n. 94 del 2007, in riferimento al caso della determinazione dei livelli minimali di fabbisogno abitativo, a tutela di categorie particolarmente svantaggiate).

Per cui, ribadisce la Corte “In applicazione di tali principi, va osservato che una normativa posta a protezione delle situazioni di estrema debolezza della persona umana, qual è quella oggetto delle disposizioni impugnate, benché incida sulla materia dei servizi sociali e di assistenza di competenza residuale regionale, deve essere ricostruita anche alla luce dei principi fondamentali degli artt. 2 e 3, secondo comma, Cost., dell'art. 38 Cost. e dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.”(sent. n. 10/10).

Il complesso di queste norme costituzionali permette, anzitutto, di ricondurre tra i «diritti sociali» di cui deve farsi carico il legislatore nazionale, il diritto a conseguire le prestazioni imprescindibili per alleviare situazioni di estremo bisogno - in particolare, alimentare - e di affermare il dovere dello Stato di stabilirne le caratteristiche qualitative e quantitative, nel caso in cui la mancanza di una tale previsione possa pregiudicarlo. Inoltre, consente di ritenere che la finalità di garantire il nucleo irriducibile di questo diritto fondamentale legittima un intervento dello Stato che comprende anche la previsione della appropriata e pronta erogazione di una determinata provvidenza in favore dei singoli.

Nel caso di specie dunque, sebbene la Corte avesse affermato la legittimità costituzionale dell’intervento Statale (anche in ragione dell’eccezionale crisi economico-sociale in cui interveniva il provvedimento), tuttavia ha confermato due capisaldi:

1. la determinazione dei livelli essenziali dei servizi sociali è di competenza statale;

2. la potestà legislativa in materia di servizi sociali è di competenza residuale delle Regioni.

Per comprendere meglio la titolarità legislativa in materia, prendiamo ad esempio un altro caso giurisprudenziale affrontato dalla Corte costituzionale.

Nella sentenza n. 61 del 2011 la Consulta è chiamata a trattare un ricorso avanzato dal Governo nei confronti di una legge regionale della Campania (Norme per l'inclusione sociale, economica e culturale delle persone straniere presenti in Campania – L.r. n. 6/10)18.

18 Anche in questo caso la Corte procede anzitutto all’inquadramento specifico della materia contenuta nella legge impugnata. Afferma la Corte “Il comma 2 dell'art. 17 prevede che «I centri di accoglienza delle persone straniere nella regione svolgono attività di accoglienza temporanea nei confronti di tutte le persone straniere presenti sul territorio e sprovviste di un'autonoma sistemazione alloggiativa, con particolare attenzione alle seguenti categorie: a) richiedenti asilo e loro famiglie fino alla definitiva conclusione delle procedure amministrative e giudiziarie connesse alle domande di asilo; l'accoglienza può avvenire anche nelle more del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno per richiesta di asilo, per asilo, per asilo umanitario; b) lavoratori stagionali; c) stranieri vittime di violenza o di grave sfruttamento, che godono di misure di protezione per motivi umanitari nell'ambito dei programmi di protezione sociale, di cui all'articolo 18 del decreto legislativo 286/1998; l'accesso ai centri può avvenire anche nelle more dell'accertamento dei presupposti per l'ammissione al programma di assistenza e integrazione

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Conformemente a quanto già affermato dalla Corte (nella citata sentenza n. 299 del 2010) “va, innanzitutto, sottolineato che la norma, lungi dall'incidere sulla competenza esclusiva dello Stato in materia di immigrazione (sentenza n. 156 del 2006) e, quindi, nel pieno rispetto di quanto stabilito dal legislatore statale in tema di ingresso e soggiorno in Italia dello straniero, anche con riguardo allo straniero dimorante privo di un valido titolo di ingresso (sentenza n. 269 del 2010), pone una previsione che si colloca nell'àmbito materiale dell'assistenza e dei servizi sociali, spettante alla competenza legislativa residuale della Regione (sentenza n. 10 del 2010) e la cui regolamentazione, in quanto espressione della più ampia autonomia legislativa costituzionalmente riconosciuta, non è valutabile, come tale, sulla base di una prospettazione basata (oltre che sul non fondato assunto della asserita lesione di competenze esclusive dello Stato) sulla dedotta violazione di princípi fondamentali che, viceversa, sono diretti a regolare materie di competenza concorrente ex art. 117, terzo comma, Cost. (cfr. sentenza n. 247 del 2010)”(sentenza n. 61 del 2011).

D'altronde, l'autonomia del legislatore regionale nella materia de qua appare guidata dalla volontà di “estendere l'accessibilità al diritto sociale ad una (sebbene precaria e temporanea) sistemazione alloggiativa”, che peraltro la Corte ha ritenuto riconducibile «fra i diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art. 2 della Costituzione» (sentenze n. 209 del 2009 e n. 404 del 1988; ordinanza n. 76 del 2010). E ciò, in coerenza con la naturale propensione "espansiva" della esigenza di garantire il "rispetto" (che altro non può significare se non concreta attuazione) dei diritti fondamentali spettanti alla persona, […]” (sent. n. 61 del 2011).

In questo caso, dunque, la piena riconduzione in àmbito di politica sociale dell’intervento regionale ha permesse alla Corte di legittimare l’esercizio potestativo, proprio perché inerente alla materia dei servizi sociali di cui all’art. 117, quarto comma.

Conviene, a questo punto, tirare le fila del discorso fin qui svolto.

Useremo la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia (sez. Milano) n. 326/11.

Quest’ultima sentenza ci permette, dunque, di ricapitolare i diversi nodi affrontati, già a partire dalle norme di rango ordinario (in particolare la L. n. 328/00).

I Giudici amministrativi milanesi sostengono che la “materia dei servizi sociali, che sul piano costituzionale rientra tra le materie di legislazione regionale esclusiva non essendo elencata né nell'art. 117, comma 2, Cost., relativo agli ambiti di legislazione statale esclusiva, né nel comma 3 del medesimo art. 117, relativo agli ambiti di legislazione regionale concorrente” è da distinguersi da quella della salute che invece è materia concorrente (cfr. Corte Cost., 30 aprile 2009, n. 124).

Per cui, il primo dato è:

� La materia dei servizi sociali è di competenza residuale19 delle Regioni (IV comma, art. 117 Cost.);

� La materia della tutela della salute è di competenza concorrente Stato-Regioni (III comma, art. 117 Cost.);

� La determinazione dei livelli essenziali (sia sanitari che sociali) di competenza statale.

sociale o nelle more del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale o per motivi umanitari; d) stranieri destinatari di misure di protezione temporanea o di misure straordinarie di accoglienza deliberate dal Governo nazionale, ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 286/1998; e) minori stranieri non accompagnati ammessi in un progetto di integrazione civile e sociale gestito da un ente pubblico o privato, ai sensi degli articoli 32 e 33 del decreto legislativo 286/1998; f) marittimi stranieri per il tempo necessario a reperire un nuovo ingaggio»”. 19 La terminologia più corretta – in ragione del tenore letterario della norma costituzionale di riferimento – sarebbe quella per cui lo Stato ha competenza esclusiva e le Regioni competenza residuale.

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Tuttavia, aggiunge il Tribunale, “Si tratta di un ambito di disciplina che si presta ad interferenze da parte del legislatore statale, in esercizio della competenza, che gli spetta in via esclusiva, inerente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'art. 117, comma 2 lett. m), Cost.”; in particolare, “la competenza esclusiva in quest'ultima materia attribuisce al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di un'adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto”(sent. n. 326/11).

Ebbene, il Collegio meneghino ricollega tutto quanto qui analizzato in sede costituzionale, vale a dire:

� la competenza in materia di servizi sociali è in capo alle Regioni;

� tuttavia, l’art. 117, II comma, lett. m), stabilisce che spetta esclusivamente allo Stato il compito di determinare i livelli essenziali in materia di diritti sociali;

� per cui, lo Stato ha il compito di stabilire uniformemente su tutto il territorio nazionale i LEAS;

� non si deve confondere, pertanto, questa trasversalità della materia con quella concorrente – quale, ad esempio, quella in tema di tutela della salute – che invece rientra nel disposto di cui all’art. 117, II comma, Cost.

Ne deriva che nella materia in esame la competenza legislativa residuale delle Regioni “incontra comunque il limite della disciplina dettata dal legislatore statale nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che anche in tale ambito devono essere assicurati” (sent. n. 326/11).

È a questo punto che si ritorna alla disciplina nazionale analizzata all’inizio.

Secondo il TAR Lombardia, allora, occorre portare l'attenzione sul quadro normativo delineato dal legislatore statale, anche se anteriore alla riforma del Titolo V della Costituzione.

Il quadro normativo che fa riferimento alla citata L. n. 328/00, derivante dal coordinamento tra il d.l.vo 1998 n. 10920 e la legge 2000 n. 228, pur essendo anteriore alla riforma del Titolo V è coerente con il già ricordato riparto della funzione legislativa tra lo Stato e le Regioni risultante dal vigente art. 117 Cost.

Difatti, nel settore in esame il legislatore statale ha limitato il proprio intervento alla sola definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, lasciando gli ulteriori profili di disciplina alla legislazione regionale.

Tuttavia, specifica il Tar, “la determinazione di siffatti livelli non comprende solo la specificazione delle attività e dei servizi da erogare, in quanto è del tutto coerente ritenere che anche la definizione dei criteri di accesso a questi benefici integri un livello essenziale di prestazioni da garantire in modo uniforme sull'intero territorio nazionale”.

In particolare, se la legge considera una certa attività o un determinato servizio di natura essenziale, imponendone l'erogazione in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, la realizzazione di questo obiettivo postula che tutti gli interessati possano accedere in condizioni di parità a simili prestazioni.

Va, pertanto, ribadito che i criteri stabiliti dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, essendo funzionali all'accesso alle attività e ai servizi essenziali delineati dalla legge 2000 n. 328 (sul punto si richiama ancora l'art. 25 della legge n. 328), sono preordinati al mantenimento di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che debbono essere garantiti su tutto il territorio

20 Disciplina in materia di “Definizioni di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, a norma dell'articolo 59, comma 51, della legge 27 dicembre 1997, n. 449”.

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nazionale ai sensi e per gli effetti dell'articolo 117, comma 2 lettera m), Cost., sicché integrano essi stessi un livello essenziale di prestazione, la cui definizione spetta al legislatore statale21.

Per cui, concludiamo sciogliendo alcuni nodi:

� le fonti normative in esame discendono anzitutto dalla Costituzione (artt. 2, 3 e 38 e 117 quarto comma Cost.);

� allo Stato spetta la potestà di determinare i livelli minimi essenziali (nel caso specifico dei servizi sociali cfr. L. 328/00 e D.P.C.M. 30 marzo 2001);

� alle Regioni spetta la potestà residuale in tema di servizi sociali, nel rispetto dei livelli essenziali posti dal legislatore nazionale.

Rimane un punto essenziale da affrontare: vale a dire, occorre chiedersi come si pone – sul piano della potestà legislativa – il rapporto tra la disciplina dei servizi sociali e la materia della concorrenza.

2.2. LA COMPETENZA RESIDUALE IN TEMA DI SERVIZI SOCIALI E IL RAPPORTO CON LA TUTELA DELLA CONCORRENZA. LE MODALITÀ DI AFFIDAMENTO DEI SERVIZI.

Fin qui si è analizzato, in particolare, il rapporto tra la definizione dei livelli minimi essenziali di assistenza sociale di competenza statale e l’integrazione “in melius” di tali livelli di competenza da parte delle Regioni.

Il tema, però, sembra ulteriormente complicarsi allorquando, proprio le Regioni, intendono procedere alla determinazione delle modalità di affidamento dei servizi alla persona, toccando una materia particolarmente sensibile quale quella della concorrenza.

Anche in questo caso, per avere maggior chiarezza della portata della questione prenderemo spunto da un caso concreto, seguendo passo dopo passo le diverse ramificazioni concettuali che ne derivano.

Anzitutto, occorre tornare alla Legge 328 del 2000 e al D.P.C.M del 30 marzo 2001.

Infatti, il collegamento tra la disciplina della tutela della concorrenza e la materia dei servizi sociali trova nella Legge 328/00 il suo banco di prova.

L’art. 5, secondo comma, della Legge quadro occupandosi proprio delle modalità di affidamento dei servizi, prevede che “gli enti pubblici, fermo restando quanto stabilito dall’art. 11, promuovono azioni per favorire la trasparenza e la semplificazione amministrativa nonché il ricorso a forme di aggiudicazione o negoziali che consentano ai soggetti operanti nel terzo settore la piena espressione della propria progettualità, avvalendosi di analisi e di verifiche che tengano conto della qualità e delle caratteristiche delle prestazioni offerte e della qualificazione del personale”.

Come previsto, poi, dal terzo comma del medesimo articolo, le Regioni “…adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra enti locali e terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona”.

Dunque, è necessario sbrogliare diversi nodi della questione, che possono così essere sintetizzati:

1. quali sono le modalità di affidamento/prestazione dei servizi sociali: aggiudicazione e accreditamento;

21 Cfr. simili conclusioni sono coerenti con le considerazioni svolte da C.d.S., sez. cons. atti norm., 29 agosto 2005, n. 4699/03, nonché C.d.S., sez. V, ord. 14 settembre 2009, n. 4582.

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2. quali linee di indirizzo traccia, rispetto al tema sub 1), il D.P.C.M. del 30 marzo 2001;

3. come si innesta il quadro tracciato dai punti precedenti con la disciplina generale in tema di aggiudicazione (cfr. Codice dei Contratti) e quindi della concorrenza.

2.3. ACCREDITAMENTO E AGGIUDICAZIONE.

Come si è appena notato, la Legge n. 328/00 riconosce ai soggetti del Terzo settore – e tra questi alle Cooperative sociali – un ruolo centrale nella funzione sussidiaria in tema di servizi sociali.

L’art. 5 disciplina, rinviando alle fonti regolamentari, le modalità di affidamento mediante aggiudicazione, fermo restando quanto previsto dall’art. 11.

Quest’ultimo, prevede “I servizi e le strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica o dei soggetti di cui all’art. 1, comma 5, sono autorizzati dai comuni”.

È evidente allora che l’accreditamento – nello specifico disciplinato dal D.P.C.M. 21 maggio 200122 – si pone in antitesi con il sistema delle aggiudicazioni, ossia con la richiesta rivolta a determinati operatori di prestare a specifici destinatari determinati servizi sociali.

Il discrimine più evidente, allora, si concretizza nella predisposizione di denaro pubblico, che, per ciò solo, necessita di una procedura concorsuale che premi il miglior prestatore.

In definitiva, se l’accreditamento si dimostra una forma di ‘autorizzazione’ da rilasciare a tutti quei soggetti in possesso di determinati requisiti professionali e tecnici, tassativamente previsti dall’Ordinamento, l’affidamento di servizi mediante aggiudicazione di un vantaggio economico intacca inevitabilmente il tema della concorrenza.

Per concludere, rispondendo così al problema sub 2) – ossia quale indirizzo viene adottato in tema di affidamento dalla normativa di dettaglio –, il D.P.C.M. del 30 marzo 2001, specifica proprio i criteri, rivolti tanto alle Regioni quanto ai Comuni, circa le modalità di Acquisto di servizi e prestazioni (artt. 5 e 6).

In particolare prevede:

� le Regioni disciplinano le modalità di acquisto da parte dei Comuni dei servizi ed interventi organizzati dai soggetti del terzo settore;

� deve essere disciplinata, in particolare, la pubblicità;

� l’istituzione dell’elenco fornitori di servizi autorizzati;

� i criteri per l’eventuale selezione dei soggetti fornitori sulla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa;

� nel caso di affidamenti, le Regioni devono tener conto – nella predisposizione degli indirizzi – delle norme nazionali e comunitarie che disciplinano le procedure di affidamento dei servizi da parte delle pubbliche amministrazioni;

� nel rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza dell’azione della P.A. e di libera concorrenza tra i privati nel rapportarsi ad essa, sono da privilegiare le procedure di aggiudicazione ristrette e negoziate.

22 La cui rubrica è "Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell'articolo 11 della legge 8 novembre 2000, n. 328".

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Come è evidente, i punti sopra evidenziati toccano sensibilmente la disciplina nazionale in tema di procedure di affidamento, ed in generale il rapporto tra la disciplina nazionale in tema di tutela della concorrenza e quella – come abbiamo visto – residuale delle Regioni in tema di servizi sociali (salvo sempre i livelli minimi essenziali in capo al legislatore nazionale).

2.4. CONCORRENZA E SERVIZI SOCIALI. I LIMITI DELLA COMPETENZA NAZIONALE.

Per comprendere il rapporto tra questi due profili giuridici, sfrutteremo una recente sentenza del Tar Piemonte (sentenza 6 febbraio 2012 n. 153), con la quale i Giudici hanno avuto modo di ristabilire alcuni punti fermi sul tema.

Seguiamo passo passo la questione giunta innanzi al Tribunale amministrativo.

Dunque, oggetto di causa era “la procedura negoziata per l’affidamento del servizio di gestione delle attività ambulatoriali e domiciliari connesse al trattamento farmacologico dei soggetti tossicodipendenti indetta dall’amministrazione resistente”.

Tra le diverse censure mosse nei confronti della suddetta procedura, in particolare si contestava “l’individuazione del criterio di aggiudicazione, indicato dalla legge di gara nel prezzo più basso”.

Nel dettaglio, la complessità della censura è così sviluppata:

Essa si articola su tre diversi livelli di questioni:

- 1) sussiste controversia tra le parti circa l’applicabilità dell’art. 31 della l.r. Piemonte n. 1/2004, che impone di utilizzare il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, alla gara per cui è causa (sostiene l’amministrazione resistente che l’oggetto della gara non sarebbe ricompreso tra i “servizi sociali”, come indicati da tale normativa);

- 2) ove la norma fosse ritenuta applicabile l’ASL resistente sostiene che essa sarebbe stata travolta per abrogazione implicita con l’entrata in vigore degli artt. 4 e 81 del d.lgs. n. 163/2006, codice dei contratti pubblici;

- 3) in subordine l’amministrazione resistente prospetta una questione di legittimità costituzionale della legge regionale piemontese per violazione dell’art. 117 co. 2 lett. e) della Costituzione.

In estrema sintesi i temi sono:

� può la legge regionale disciplinare aspetti concernenti le modalità di affidamento di servizi sociali?

� Se sì, come si pone tale potere con quello attribuito esclusivamente in capo allo Stato, di tutelare la concorrenza?

Viene quindi in rilievo la Legge regionale del Piemonte, la n. 1 del 2004.

L’art. 1, stabilisce quanto segue: “1. La Regione, ai sensi degli articoli 117 e 118 della Costituzione e nell’ambito dei principi fondamentali stabiliti dalla legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), detta norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e per il loro esercizio. 2. Ai sensi della presente legge, per interventi e servizi sociali si intendono tutte le attività individuate dall’articolo 128 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, in materia di conferimento di funzioni alle regioni ed agli enti locali, così come previsti dalla L. n. 328/2000, ivi comprese le attività di prevenzione, nonché le prestazioni socio-sanitarie di cui all’articolo 3-septies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502”.

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Anzitutto, questo primo articolo conferma quanto si è detto nella prima parte circa la distinzione concettuale dell’àmbito normativo:

1. la cornice fondamentale è la L. n. 328 del 2000;

2. si interviene: sui servizi sociali di cui all’art. 128 del D. Lvo 112 del 31 marzo 1998 (socio-assistenziale);

3. nonché le prestazioni socio-sanitarie di cui all’articolo 3-septies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (socio-sanitario).

Ed, infatti, sulla distinzione di cui sopra il Tar aggiunge “La legge regionale è quindi destinata a regolare il sistema integrato dei servizi sociali il quale include non solo quelli specificatamente individuati dalla legge n. 328/2000 (dalla quale, come correttamente contestato dalla ASL resistente, i servizi sanitari resterebbero esclusi) ma anche le prestazioni socio-sanitarie, come definite dall’art. 3 septies del d.lgs. 31.12.1992, n. 502”.

Sebbene la sentenza qui in commento tratti dei servizi socio-sanitari, data tuttavia l’identità della questione (vale a dire il rapporto tra tutela della concorrenza ed erogazione dei servizi sociali) continueremo ad utilizzarla per scandagliarne i principi.

Alla luce dei riportati dati normativi deve concludersi che l’assistenza alle tossicodipendenze (come alle dipendenze in generale) rientra nella lata accezione di “servizi sociali ad elevata integrazione sanitaria” e comunque di servizi integrati di assistenza alla persona utilizzata dalla legge regionale piemontese n. 1/2004 per definire il suo ambito di applicazione grazie al duplice rinvio alla legge statale.

A questo punto si pone il punto più complesso della questione, vale a dire la scelta regionale in ordine alla modalità di affidamento di tali servizi.

L’art. 31 della medesima legge regionale, infatti, stabilisce che:“Negli affidamenti relativi ai servizi alla persona, gli enti pubblici procedono all’aggiudicazione secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. È esclusa l’aggiudicazione basata esclusivamente sul criterio del prezzo più basso”.

Alla luce di tale disposto il Tar statuisce che “Deve quindi darsi una risposta affermativa al primo dei profili problematici individuati; ne discende, vigente la sovra riportata legge regionale, l’illegittimità del criterio di aggiudicazione scelto dall’amministrazione resistente per la gara in contestazione, ossia quello del prezzo più basso, in quanto posto in violazione del riportato articolo 31; infatti la gara ha ad oggetto servizi di assistenza alla tossicodipendenza, e quindi rientra nel campo di applicazione della legge regionale n. 1/2004”.

Ma a questo passaggio segue proprio il vero problema della questione, vale a dire la legittimità della stessa normativa regionale di poter disciplinare la materia di propria competenza – appunto i servizi sociali – interferendo proprio con la disciplina della concorrenza e dell’affidamento di contratti pubblici di cui al D.Lvo. n. 163/06 e s.m.i.

Afferma il TAR “Correttamente parte ricorrente ha evidenziato che i servizi “sanitari e sociali” rientrano nell’allegato II b) del d.lgs. n. 163/2006 (servizi esclusi) e conseguentemente, ai sensi dell’art. 20 del medesimo decreto (attuativo dell’art. 21 della direttiva 2004/18/CE e relativo allegato), ad essi non trova applicazione (se non per pochissime norme) la disciplina del codice dei contratti; restano certamente escluse dall’applicazione le specifiche previsioni di cui all’art. 81 del codice dei contratti concernenti i criteri di aggiudicazione sicché, al di là del diverso livello delle fonti, non sussiste in radice una puntuale incompatibilità tra normativa regionale e norme statali sopravvenute da cui possa, previo vaglio dei rispettivi ambiti di competenza, desumersi l’abrogazione implicita”.

Il rilievo circa la non applicazione della disciplina specifica del Codice rispetto all’Allegato II B – che qui non si potrà affrontare nello specifico perché oggetto di altra relazione – disciplinante i c.d. servizi

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esclusi spinge il Tribunale amministrativo dall’affrontare il tema più spinoso del rapporto intrinseco tra la disciplina della Concorrenza e quella dei servizi sociali.

Qui diventa centrale, allora, la ricostruzione del quadro normativo come effettuata dai Giudici piemontesi.

Invero, la legge regionale in contestazione detta “Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento”; trattasi quindi di un sistema normativo che interviene in materia di servizi sociali, ivi compresi quelli ad elevata integrazione con prestazioni sanitarie, “materia certamente rientrante nelle competenze normative regionali”.

Analizzando la giurisprudenza del giudice delle leggi – come giustamente procedono i giudici amministrativi – che più volte ha censurato norme regionali che aspiravano a dettare un “microsistema normativo dell’evidenza pubblica, risulta che la Corte ne ha, in linea di principio, ascritto numerosi profili, ivi incluso quello concernente i criteri di aggiudicazione (Corte costituzionale n. 401/2007), alla disciplina della concorrenza (art. 117 co. 2 lett. e) della Costituzione) e quindi alla competenza legislativa statale esclusiva”.

Tuttavia la soluzione – ammoniscono i Giudici – per la peculiarità del caso di specie, deve essere vagliata in relazione allo specifico punto contestato, considerando che il legislatore regionale “ha operato senza contraddire i meccanismi nazionali e comunitari dettati in tema di scelta del contraente ed è intervenuto in ambito di servizi esclusi, indubbiamente settore di confine, in cui la pervasività della materia della concorrenza deliberatamente arretra”.

Quindi, ricapitoliamo i punti essenziali fin qui emersi:

� la materia della concorrenza è di competenza esclusiva dello Stato;

� nel Codice dei contratti, però, i servizi esclusi restano fuori da tale disciplina (allegato II B);

� i servizi sociali, poi, è ormai pacifico che rientrano nella potestà legislativa residuale delle Regioni;

� per cui: “in ambito di servizi esclusi, indubbiamente settore di confine, in cui la pervasività della materia della concorrenza deliberatamente arretra”23.

Si legge infatti nelle pronunce della Corte, quanto segue: “Questa Corte ha già avuto modo di affermare che i lavori pubblici non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti, di volta in volta, a potestà legislative statali o regionali (sentenza numero 303 del 2003). Non è, dunque, configurabile né una materia relativa ai lavori pubblici nazionali, né tantomeno un ambito materiale afferente al settore dei lavori pubblici di interesse regionale. Tali affermazioni non valgono soltanto per i contratti di appalto di lavori, ma sono estensibili all’intera attività contrattuale della pubblica amministrazione che non può identificarsi in una materia a sé, ma rappresenta, appunto, un’attività che inerisce alle singole materie sulle quali essa si esplica.” (Corte Costituzionale n. 401/2007)24.

23 La materia della concorrenza, al fine di gettare ancor più luce sulla questione, ed espandere fino in fondo i limiti potestativi delle Regioni in codesta materia, necessiterebbe di un serio approfondimento che però in questa sede sarebbe eccessivo. Tuttavia ripercorrendo le indicazioni della Corte Costituzionale si ricava che pacificamente “gli appalti pubblici” non sono considerati una materia tra quelle indicate dalla Carta costituzionale ai fini del riparto delle competenze normative ma piuttosto un sistema ascrivile a più materie, tra le quali certamente una delle più rilevanti è la concorrenza, di pertinenza statale. La nozione costituzionale di concorrenza è stata quindi riempita di contenuto alla luce della disciplina comunitaria, con la contemporanea consapevolezza che, essendo una materia “trasversale”, essa è potenzialmente suscettibile di ingenerare una indebita compressione di ambiti normativi di pertinenza regionale, sicché le disposizioni volta per volta censurate devono essere vagliate in concreto, alla luce del principio di proporzionalità, e tenuto conto delle possibili integrazioni pro-concorrenziali ascrivibili anche alla disciplina regionale, nonché del concreto intreccio della materia “trasversale” con ulteriori competenze regionali. 24 Tale sentenza è particolarmente interessante per diversi profili, in particolare per aver descritto il concetto – e di riflesso, la materia – della concorrenza che oggi rappresenta un banco di prova di tutte discipline e materie.

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La Corte ha quindi ricondotto la problematica della scelta dei criteri di aggiudicazione nei contratti pubblici alla tutela della concorrenza, evidenziando l’esigenza che l’uniformità del sistema nazionale degli appalti attui l’uniformità del mercato comune perseguita dal diritto comunitario.

Inoltre, la Corte costituzionale citata dal Tribunale piemontese, sottolinea come sia “necessario riferirsi ai principi di tutela della concorrenza, elaborati dalla giurisprudenza in attuazione del Trattato CE, atteso che le norme comunitarie fungono da norme interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa regionale all’art. 117, primo comma, Cost. (sentenze n. 62 e n. 102 del 2008). In più, la nozione di “concorrenza” di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. – alla quale è riconducibile, come si dirà oltre, la disciplina degli appalti pubblici e della scelta del contraente – non può non riflettere quella operante in ambito comunitario, con la conseguenza che la normativa interna si uniforma a quella comunitaria di cui costituisce attuazione (sentenza n. 401 del 2007)” (Corte Costituzionale n. 314/2009).

Tuttavia il carattere trasversale della tutela della concorrenza (sentenze n. 401 del 2007, n. 272 del 2004) implica che essa, avendo ad oggetto la disciplina del mercato di riferimento delle attività economiche, può influire anche su materie attribuite alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle Regioni (Corte costituzionale n. 430 del 2007), sicché “detto carattere, al fine di evitare che siano vanificate le competenze delle Regioni, comporta anche che norme regionali riconducibili a queste competenze abbiano effetti pro-concorrenziali. Ciò deve ritenersi ammissibile purché gli effetti, connessi alla specificità dei settori disciplinati, siano indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza (sentenza n. 430 del 2007)”(Corte Costituzionale n. 431/2007; idem Corte Costituzionale n. 160/2009).

È proprio su questo filone interpretativo che si innestano quelle sentenze del Giudice delle Leggi con le quali si riconosce alla previsione regionale – la quale appunto sancisca la preferenza per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa –, la non suscettibilità ad “alterare le regole di funzionamento del mercato e, pertanto, non è idonea ad alterare i livelli di tutela della concorrenza fissati dalla legislazione nazionale” (Corte Costituzionale n. 43/2011).

Per quanto qui rileva il giudice delle leggi ha quindi elaborato un chiaro principio secondo cui le Regioni possono intervenire, in settori dotati di “specificità” e in ambiti di propria competenza, con norme che interferiscono con la disciplina della concorrenza, purché tale interferenza sia di tipo “indiretto”, “marginale”, “non in contrasto con gli obbiettivi statali di promozione della concorrenza”.

Come detto la Regione Piemonte è intervenuta in materia di servizi sociali (di cui si ribadisce la natura di servizi esclusi secondo il Codice dei contratti, cui pertanto non è applicabile la puntuale normativa dettata in materia di criteri di aggiudicazione), optando incidentalmente per il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa; esso rappresenta una scelta certamente pro-concorrenziale, in linea con la legislazione tanto nazionale che comunitaria.

La soluzione riguarda poi in un contesto specifico in cui tanto il legislatore comunitario che quello statale hanno scelto di recedere, ritenendo evidentemente la problematica della concorrenza non necessariamente preminente, se non nei limiti dei principi pacificamente applicabili anche ai settori esclusi (ex pluris Corte di Giustizia in cause C-59/00 Bent Mousten Vestergaard e C-264/03 Commissione contro Francia, e, per il meccanismo dell’interposizione, anche rilevanti per il vaglio di costituzionalità delle leggi).

La scelta della regione Piemonte, nel caso di specie, costituisce – secondo il TAR – “piana attuazione dei principi comunitari della concorrenza, consentendo al contempo, tramite la preferenza per il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, di dare rilievo specifico alla qualità del servizio, legittima preoccupazione del legislatore regionale in un delicato ambito di sua competenza; la compressione di simile facoltà di scelta, nel peculiare settore qui considerato, rappresenterebbe, ad avviso del

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collegio, una violazione del principio di proporzionalità individuato dalla Corte Costituzionale quale parametro di definizione del mobile confine delle competenze normative a fronte di una materia “trasversale””.

Quanto infine alla compatibilità “di principio” della contestata normativa con il diritto comunitario della concorrenza (che si ritiene l’unico possibile filtro di legittimità costituzionale invocabile nel caso di specie) il Tar fa osservare come “l’offerta economicamente più vantaggiosa non solo è uno dei criteri dettati dalla disciplina comunitaria ma è anche il criterio per il quale il diritto comunitario manifesta sostanziale favore, posto che risulta più flessibile e stimola la concorrenza, oltre che sul fattore prezzo, anche su quello qualità”.

Con la sentenza 7 ottobre 2004 in causa C-247/02 Sintesi s.p.a. contro Autorità di vigilanza per i lavori pubblici la Corte di giustizia ha infatti ritenuto che la vecchia disciplina degli appalti dettata dalla legge nazionale italiana n. 109/1994, nella parte in cui limitava il criterio di aggiudicazione della licitazione privata al solo meccanismo del prezzo più basso, violasse le direttiva appalti, precludendo alle amministrazioni di individuare di volta in volta il diverso meccanismo dell’offerta economicamente più vantaggiosa più suscettibile di adattarsi alle specifiche caratteristiche dell’oggetto della gara.

E’ infatti noto che il nostro ordinamento, nella disciplina di aggiudicazione dei lavori pubblici, ha a lungo privilegiato il meccanismo di aggiudicazione al prezzo più basso e proprio la primazia del diritto comunitario ha indotto il legislatore nazionale ad ampliare le ipotesi di aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa.

Pertanto – prosegue il Tar – “benché evidentemente in forza della pervasività dei principi del Trattato UE anche ai settori esclusi, non sarebbero ammissibili scelte legislative regionali deliberatamente anticoncorrenziali (ad esempio previsioni di indiscriminati affidamenti diretti o fiduciari, al di fuori del mercato), in mancanza di una puntuale disciplina della legge statale e comunitaria sul punto, la scelta di un meccanismo ampiamente concorrenziale, anzi del più concorrenziale, in un contesto non primariamente ascrivibile alla problematica della concorrenza non crea attrito di sistema né con i principi del Trattato né con il dettato della legge nazionale né, infine, di carattere costituzionale”.

Quanto fin qui descritto, ci spinge a tracciare alcuni punti fermi ed ad aprirne dei nuovi:

1. la tutela della concorrenza di competenza/materia esclusiva statale incontra dei limiti. Tali limiti discendono anzitutto dalla stessa volontà statale di non voler far soggiacere alla disciplina comune alcuni servizi (Codice dei Contratti - All. II B);

2. la specificità di detti servizi è rafforzata anche dalla previsione costituzionale – con i limiti già elencati – che attribuisce alle Regioni il potere di regolare le modalità di programmazione, erogazione ed affidamento di detti servizi;

3. nel caso in cui si sceglie la modalità di aggiudicazione, tuttavia, non si può prescindere dal rispetto di alcuni principi attinenti alla tutela della concorrenza, e la scelta del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, rappresenta un’opzione non solo legittima ma addirittura più concorrenziale25.

È proprio quest’ultimo aspetto a generare nuove problematicità che proveremo ad affrontare.

25 La Corte costituzionale, con le sentenze nn. 221 del 2010 e 43 del 2011, ha riconosciuto addirittura il potere delle Regioni di stabilire – in sede di normativa regionale sugli appalti, quindi materia di competenza non disponibile dalla Regioni – anche se solo preferibilmente, il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, perché non in contrasto con la disciplina nazionale e comunitaria in tema di concorrenza.

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Se, infatti, come si è notato la modalità di valutazione delle offerte è rimessa – per diverse ragioni – in mano alla potestà residuale (che la individua in quella del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa), vengono in rilievo diversi e nuovi profili.

In particolare, ora vorremmo affrontare il tema della platea dei soggetti che possono aspirare ad erogare i servizi sociali.

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3. I soggetti

3.1. I LIMITI DELLA COMPETENZA REGIONALE.

Prima di affrontare nello specifico il tema dei limiti alla competenza Regionale, occorre, seppur brevemente, ricapitolare i punti salienti della disciplina di settore.

Ricordiamo, rinviando nello specifico all’apposito paragrafo, cosa dispone la Legge del 328/2001 (ed il relativo D.P.C.M. 30 marzo 2001) in tema di affidamento.

La Legge 328/00 s.m.i., prevede:

� Riconoscimento e agevolazione nell’organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (art. 1, comma 4):

a) Organismi non lucrativi di utilità sociale26;

b) Organismi della cooperazione;

c) Organismi del volontariato;

d) Associazioni ed enti di promozione sociale;

e) Fondazioni enti di patronato;

f) Enti riconosciuti delle confessioni religiose.

� Per la gestione e all’offerta dei servizi provvedono (art. 1, comma 5):

1. soggetti pubblici;

2. organismi non lucrativi di utilità sociale;

3. organismi della cooperazione;

4. organismi del volontariato;

5. associazione e enti di promozione sociale;

6. fondazioni enti di patronato;

7. altri soggetti privati (non sono ammessi organismi religioni, come invece previsto al comma 4).

� Ruolo del Terzo settore (art. 5):

• Fermo restando l’accreditamento (art. 11);

• Promozione azioni per favorire la trasparenza e la semplificazione amministrativa;

• Ricorso a forme di aggiudicazione/negoziali che consentono ai soggetti del Terzo settore la piena espressione della propria progettualità, avvalendosi di analisi e di verifiche che tengano conto della qualità e delle caratteristiche delle prestazioni offerte e della qualificazione personale.

� D.P.C.M. 30 marzo 2001 (art. 4):

� Valorizzazione della qualità;

26 Si osservi a questo proposito – ossia circa la definizione di organismi non lucrativi – quanto previsto dal D.lg. n. 155 del 2006 Disciplina dell’impresa sociale, a norma della legge 13 giungo 2005, n. 118”.

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� Aggiudicazione mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa;

� Attribuzione alle Regioni del compito di disciplinare le modalità di affidamento (art. 6 comma 1).

Nel paragrafo precedente si è osservato, dunque, il declinarsi della potestà legislativa residuale delle Regioni in materia di servizi sociali e del rapporto con la disciplina nazionale – inferente la tutela della concorrenza – in particolare del Codice dei contratti pubblici.

Si è notato coma, ad esempio, la predilezione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (OEV) sia per diverse ragioni – non ultima la sua esplicita previsione a livello legislativo nazionale (l. 328/00 e nel D.P.C.M. 30 marzo 2001) – nella disponibilità delle Regioni poterla adattare nella selezione delle offerte di servizi, non alterando la concorrenza tra i competitors.

È il punto di chiedersi fin dove la disciplina regionale oppure lo stesso potere amministrativo dei Comuni – ricordiamolo, chiamati a scegliere i soggetti prestatori di servizi sociali, per gli atti di loro competenza – possa spingersi in quest’àmbito così peculiare.

Il Tar Liguria, ad esempio, con la sentenza n. 514 del 2004, ha affrontato la riserva alle cooperative sociali della erogazione dei servizi sociali.

In particolare, a presentare il ricorso era una Società a responsabilità limitata, la quale lamentava la “Violazione dell’art. 1 co. 5 L. 8.11.00 n.328. La norma rubricata prevede espressamente che la gestione dei servizi sociali possa essere affidata in genere anche a soggetti privati non appartenenti al terzo settore, quindi anche società commerciali quali appunto la ricorrente, che è stata per questo accreditata dal Comune di Genova”.

Ribadiva, inoltre, che “Né può sostenere il Comune che il regolamento per la cooperazione sociale prevede che i servizi possono formare oggetto di contratto con le cooperative sociali nell’ambito delle scelte di programmazione deliberate dalla P.A.: tale previsione costituisce una mera possibilità e non ha carattere necessario o esclusivo”.

In generale la ricorrente lamentava la violazione dei generali principi comunitari in riferimento alla parità dei concorrenti.

Pur tuttavia, il Tar ribadiva il seguente ragionamento: “Va in ogni caso evidenziato come il favor per i soggetti afferenti al ”terzo settore” cioè al volontariato senza scopo di lucro non costituisce scelta extravagante ed isolata dell’Amministrazione comunale di Genova ma si inserisce coerentemente con il quadro normativo delineato dalla legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, di cui alla l. 8 novembre 2000 n. 328.

In particolare l’art.1 della l. 328/2000 prescrive agli enti pubblici territoriali di riconoscere ed agevolare il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, mentre il successivo art. 5 impone il ricorso a forme di aggiudicazione e negoziali che consentano ai soggetti operanti nel terzo settore la piena espressione della propria progettualità.

Ne consegue che in presenza di disposizione normative così esplicite la scelta di avvalersi esclusivamente di simili tipologie di soggetti non fa altro che inserirsi nelle linee guida formulate dallo stesso legislatore.

Che poi nell’ambito del cd “terzo settore” non rientri la ricorrente è circostanza da un lato non contestata e dall’altro non censurabile posto che l’ambito del terzo settore è circoscritto ai soggetti privi di scopo di lucro”27.

27 Spesso il conflitto tra operatori economici, nel campo dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari, si svolgeva prevalentemente tra Associazioni di volontariato e Cooperative sociali. Il Tar Lombardia – Milano, sent. n. 459 del 2003 ha affrontato proprio un caso esemplare in tal senso. In quella fattispecie veniva censurata, in particolare, l'indebita previsione di convenzioni basate sul mero rimborso spese per la gestione del servizio di trasporto urgente di feriti e malati, rivolgendosi ad associazioni di volontariato ed a cooperative iscritte alla Sezione A dell'Albo regionale (come le ricorrenti) in quanto preposte allo svolgimento di servizi socio-sanitari, assistenziali ed educativi, anziché bandire una pubblica gara aperta a tali cooperative e ad altri imprenditori, in asserita violazione della legge n. 381/1991 e della legge regionale della

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Anche il Consiglio di Stato si è pronunziato in merito, nel 2006.

Con la sentenza n. 239 del 2006 il Consiglio di Stato ha affrontato la questione riguardante la legittimità delle disposizioni del bando e del capitolato speciale dell'appalto concorso, indetto con determinazione dirigenziale del 5 novembre 2002 dal Comune di Rionero in Vulture per l'affidamento del servizio di aiuto personale ai cittadini portatori di handicap, nella parte in cui la partecipazione alla gara è riservata alle cooperative sociali previste dall'art. 1, comma 1, lett. a), della legge 8 novembre 1991 n. 381, e relativi consorzi e raggruppamenti.

In realtà, sostiene il Supremo collegio amministrativo “tali disposizioni non sono altro che la puntuale applicazione dell'art. 11, comma 5, della legge regionale della Basilicata 19 maggio 1997 n. 25, di riordino del sistema socio-assistenziale”28.

Lombardia n. 16/1993, che conferirebbero agli enti pubblici la facoltà di stipulare siffatte convenzioni con le sole cooperative iscritte alla Sezione B e solo per ipotesi residuali, ovvero per lo svolgimento di attività diverse di importo sotto-soglia comunitaria ai fini dell'inserimento di persone svantaggiate; Infatti, secondo i concorrenti nella procedura attivata il confronto concorrenziale sarebbe stato inoltre minato in radice dalla diversa natura delle associazioni di volontariato e delle cooperative sociali. Infatti, ai sensi della legge n. 266/1991 e della l.r. n. 22/1993, le prime si avvalgono in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti, potendo ricorrere al lavoro dipendente o autonomo solo entro ristretti limiti; le seconde, invece, sono caratterizzate solo da una percentuale (non superiore alla metà dei soci) di soci volontari che prestano la propria attività gratuitamente, mente per tutti gli altri soci lavoratori si devono applicare i contratti collettivi di riferimento. Da tutto ciò discenderebbe anche l'inadeguatezza della formula organizzativa proposta al fine di garantire la necessaria qualificazione tecnica del delicato servizio sanitario da prestare, prevedendosi un inadeguato numero di infermieri professionisti. La questione, concernente la partecipazione di enti non profit a pubbliche gare, sempre il TAR Lombardia (con sentenza n. 1869 del 9.3.2000) aveva statuito la non equiparabilità fra cooperative sociali (imprese normalmente operanti sul mercato seppure con i limiti cui è condizionato il regime di fiscale di favore) ed organizzazioni di volontariato (che possono ricavare proventi economici esclusivamente da contributi liberali, finanziamenti pubblici e privati e rimborsi derivanti dalla prestazione di servizi, anche socio-sanitari). Conseguentemente, il Tribunale aveva ritenuto illegittima la partecipazione a gare di appalto delle organizzazioni di volontariato, ritenendo che la posizione di favore ad esse riservata dall'ordinamento ai fin della partecipazione ai servizi socio-sanitari possa invece trovare attuazione in apposite convenzioni con gli enti pubblici. Nella sentenza del 2003, invece, il Tribunale era chiamato a pronunziarsi proprio su una procedura di selezione volta ad individuare i soggetti (organizzazioni di volontariato o cooperative sociali) con cui stipulare una convenzione per l'espletamento di un servizio socio-sanitario, in conformità alla normativa regionale. La legge regionale n. 22/1993 (artt. 2, 3 ed 8), infatti, annoverava espressamente gli interventi socio-sanitari fra quelli da affidare mediante convenzione alle organizzazioni di volontariato, che a tal fine potevano anche avvalersi di lavoro dipendente o autonomo, seppure in misura non prevalente e comunque entro i soli limiti necessari ad assicurare il regolare funzionamento e la qualificazione dell'attività svolta. In quel contesto non appariva illegittima la scelta dell'amministrazione di procedere alla selezione dei soggetti da convenzionare, in conformità alle norme ed agli atti generali applicabili (D.G.R. n. 37434/1998 e D.G.R. n. 45819/1999 di approvazione della convenzione tipo per la prestazione dei servizi socio-sanitari, in attuazione degli artt. 7 ed 8 della legge regionale n. 16/1993) valutando le offerte in base a due elementi di pari rilievo: il prezzo, peraltro limitato al solo rimborso delle spese sostenute per ogni postazione, secondo uno schema comune allegato, e la qualificazione tecnica del servizio. Nel caso di specie, la ripartizione paritaria del punteggio attribuibile fra le voci economiche e tecniche, inoltre, sembrava consentire una sostanziale concorrenzialità, in condizioni di complessiva parità, fra le organizzazioni di volontariato (favorite sotto il profilo economico dalle prestazioni lavorative volontarie, che devono però integrare con apporti qualificati) e le cooperative sociali (favorite sotto il profilo tecnico dalla presenza di professionalità qualificate già nel novero dei propri soci, che possono però operare volontariamente in misura non superiore alla metà dei soci). Alla luce di tali argomentazioni non sembrò che la scelta impugnata potesse neppure pregiudicare la complessiva qualità ed affidabilità del servizio regionale di trasporto d'emergenza, in quanto l'apporto privato non profit deve sottoporsi a percorsi formativi obbligatori per tutti gli operatori addetti e deve integrarsi in un complesso sistema che si avvale anche di mezzi e di personale ad elevata qualificazione del servizio sanitario nazionale. 28 La legge regionale della Basilicata n. 25 del 1997 è stata abrogata dalla L.r. n. 4 del 2007. Sulla disposizione del 1997 si era pronunziato anche il TAR Basilicata statuendo quanto segue: “È manifestamente infondata la q.l.c. dell'art. 11, l. reg. Basilicata 19 maggio 1997 n. 25, nella parte in cui limita alle cooperative sociali e ai consorzi iscritti all' albo regionale previsto dall'art. 2 lett. a), l. reg. 20 luglio 1993 n. 39 la partecipazione alle gare per l'appalto di servizi socio assistenziali, sia in relazione agli art. 3, 36, 41, 42, 47 e 117 cost., atteso che, con particolare riferimento tale ultima disposizione, detta norma regionale recepisce il dettato e lo spirito della l. 8 novembre 1991 n. 381, senza alcuna portata innovativa rispetto ad essa, con la conseguenza che, non dettando una disciplina derogatoria nella materia degli appalti pubblici, non viola la riserva di legge nazionale introdotta, "in parte qua", dal cit. art. 117 cost., sia in relazione al diritto comunitario perché l'art. 3 comma 2, D.lg. 17 marzo 1995 n. 157 (di recepimento della direttiva Cee 92/50) dispone che per gli appalti di servizi di cui all'allegato 2 (il cui punto 25 menziona espressamente i servizi sanitari e sociali) e per quelli in cui il valore di tali servizi prevalga rispetto a quello di servizi di cui all'allegato 1, il decreto stesso si applica limitatamente a soli art. 8, comma 3 (forme di pubblicità), 20 (prescrizioni tecniche) e 21 (deroghe in materia di prescrizioni tecniche)”(Tar Basilicata, sent. n. 1022 del 2003). Anche il Consiglio di Stato, in una precedente pronunzia (n. 2010 del 2002) riconosceva quanto segue: “La gestione degli asili nido rientra nell'ampia sfera di applicazione della l. reg. Basilicata 19 maggio 1997 n. 25, in tema di funzioni socio-assistenziali; con la conseguenza che, poiché la predetta legge, che, nella parte in cui limita alle cooperative sociali e ai consorzi iscritti all'albo regionale di cui all'art. 2 lett. a) l. reg. Basilicata 20 luglio 1993 n. 39, la partecipazione alle gare per l'appalto di servizi socio-assistenziali, recepisce il dettato e lo spirito della l. 8 novembre 1991 n. 381, è legittimo pretendere che la partecipazione alle gare per la gestione degli asili nido comunali sia in via esclusiva riservata alle cooperative sociali iscritte nell'apposito albo regionale”.

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Era previsto, infatti, che i soggetti gestori delle attività socio-assistenziali, qualora avessero deciso di affidare a terzi, in tutto o in parte, i relativi servizi, "procedono all'individuazione del contraente mediante gara tra cooperative sociali, di cui al successivo art. 15, iscritte all'albo regionale previsto dall'art. 2, lett. a) della legge regionale 10 luglio 1993 n. 39 o loro consorzi", vale a dire "le cooperative che gestiscono servizi socio-sanitari ed educativi".

Tale disciplina, a dire dei Giudici di Palazzo Spada, a fronte delle censure di incostituzionalità rivolte alla suddetta disciplina “nel limitare alle sole cooperative sociali la partecipazione alle gare per l'affidamento della gestione di servizi socio-sanitari, sarebbe viziata di incostituzionalità per contrasto con l'art. 117 della Costituzione e per violazione dei principi di uguaglianza (art. 3), di tutela del lavoro (art. 35), di libertà dell'iniziativa economica (art. 41) e di tutela del diritto di proprietà (art. 42) dalla stessa Costituzione sanciti”.

Ciononostante il Consiglio di Stato dichiarava tali eccezioni comunque manifestamente infondate.

“In ordine alla presunta violazione dell'art. 117”, evidenziano i Supremi Giudici amministrativi, “non possono che condividersi le considerazioni svolte dal giudice di primo grado, quando rileva come la materia dell'assistenza sociale non rientra fra quelle di legislazione regionale concorrente e non è compresa nell'elenco delle materie attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato. La potestà legislativa della Regione in materia, e pertanto anche per quanto attiene alla scelta dei soggetti più idonei per la gestione dei servizi socio-assistenziali, deve considerarsi quindi esclusiva e piena, con il solo limite del "rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” (art. 117, c. 1, Cost.).

Il primo limite è evidentemente rispettato se è la stessa Carta fondamentale, nel suo art. 45, ad affermare che “la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata” e ad imporre che la legge ne promuova e favorisca l'incremento con i mezzi più idonei, assicurandone, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità.

Inoltre, se la funzione sociale della cooperazione costituisce un valore di rango costituzionale alla stregua di una previsione compresa nello stesso titolo III dedicato ai principi relativi ai rapporti economici, essa ed il suo sviluppo appaiono godere della stessa tutela assicurata dalla Costituzione agli altri valori di rilevanza economica, quali il lavoro, la libera intrapresa economica e la proprietà, contemplati negli articoli precedenti, dei quali, in conseguenza, va esclusa la prospettata violazione.

Sempre i Giudici del Consiglio di Stato, affrontano i limiti derivanti alla potestà legislativa regionale dagli ordinamenti diversi da quello statale, escluso (ma la ricorrente neppure vi accenna) che ne

Oggi, la disciplina è regolata come detto dalla L.r. Basilicata n. 4/07 s.m.i., la quale prevede all’articolo 22 -Affidamento dei servizi: “1. L'erogazione dei servizi all'interno della rete regionale integrata è assicurata in forma diretta, da parte dell'ente pubblico titolare delle funzioni di gestione, o in forma indiretta, da parte di soggetti appositamente accreditati, in conformità con le indicazioni stabilite dalla programmazione regionale. 2. L'affidamento dei servizi a soggetti accreditati avviene mediante la stipula di contratti, secondo gli schemi-tipo predisposti dalla Regione e nell'ambito dei volumi di attività, delle risorse finanziarie rese disponibili e delle prescrizioni qualitative determinati in sede di programmazione regionale e locale. 3. L'affidamento del servizio viene disposta previo confronto tra una pluralità di offerte secondo modalità e procedure conformi alle normative nazionali e comunitarie vigenti in materia negoziale. Nell'esame delle proposte vengono adottati criteri che bilancino il perseguimento della convenienza economica con la valutazione dei requisiti di esperienza e qualificazione professionale, di capacità organizzativa e di conoscenza del contesto sociale, oltre che con l'applicazione di standards relativi ai livelli di efficacia e appropriatezza delle prestazioni e con la relativa certificazione di qualità di rilevanza comunitaria. 4. Nell'affidamento dei servizi vengono comunque verificate ed assicurate le condizioni afferenti all'osservanza dei principi ed al possesso dei requisiti richiamati ai precedenti artt. 5, 6 e 7. 5. Per l'affidamento dei servizi ai soggetti del terzo settore si applicano le disposizioni contenute nel D.P.C.M. 30 marzo 2001, nella legge 13 giugno 2005 n. 118 e nelle connesse norme di attuazione, nonché le specifiche disposizioni normative in materia di cooperazione sociale, di volontariato e di associazionismo di promozione sociale. A tal fine la Regione emana appositi atti di indirizzo per la valorizzazione delle funzioni specifiche delle diverse componenti del terzo settore e per la definizione di convenzioni, intese ed accordi con esse, ivi comprese le forme partecipate di progettazione e sperimentazione gestionale. 6. Per l'affidamento di servizi integrati di particolare complessità, espressamente indicati dalla programmazione regionale, tra i quali l'assistenza domiciliare anche a carattere tutelare, i servizi residenziali di riabilitazione e recupero a carattere socio-educativo, i servizi semiresidenziali per la riabilitazione educativa e sociale, i servizi socio-educativi a carattere assistenziale all'infanzia e all'adolescenza, le comunità familiari richiedenti interventi di continuità professionale, i gruppi appartamento, i servizi e le attività sociosanitarie residenziali e semiresidenziali rientranti nel campo di applicazione della presente legge, l'assistenza educativa territoriale, i nidi per l'infanzia, le attività dirette all'inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati, si procede all'indizione di un appalto-concorso o di altra procedura ad evidenza pubblica tra imprese sociali, cooperative sociali, loro raggruppamenti o consorzi di cui alla legge 8 novembre 1991 n. 381”

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sussistano in forza di "obblighi internazionali", occorre verificare se, nello specifico campo che qui interessa, la legge regionale sopra menzionata non contrasti con la normativa comunitaria. Un confronto che muove dalla disciplina recepita dalla direttiva del Consiglio 92/50/CEE del 18 giugno 1992 (recepita con D. Lgs. 17 marzo 1995 n. 157- i servizi esclusi della precedente disciplina).

In proposito rilevano i Giudici che il servizio oggetto della gara di cui si tratta – “aiuto personale ai cittadini portatori di handicap” - rientra indubbiamente nella categoria dei servizi sociali e, pertanto, nella categoria n. 25 “servizi sanitari e sociali” compresa nell'allegato 2 al menzionato D. Lgs. n. 157 del 1995.

Orbene, a norma del combinato disposto dell'art. 1, c. 3, e dell'art. 3, c. 2, dello stesso Decreto, questo si applica limitatamente ai soli articoli 8, comma 3, (forme di pubblicità), 20 (prescrizioni tecniche) e 21 (deroghe in materia di prescrizioni tecniche), in conformità dell'art. 9 della citata Direttiva. Non si ravvisa, pertanto, alcuna incompatibilità della legge regionale n. 25 del 1997 della Basilicata con le disposizioni dell'ordinamento comunitario specificamente applicabili alla materia da essa disciplinata.

Come si può agevolmente notare l’opera esegetica dei giudici ricalca pedissequamente quella oggi vigente con il D. Lvo n. 163/06 s.m.i., ossia la normativa di recepimento delle direttive 17 e 18 del 2004, le quali hanno lasciato intatta la disciplina dei c.d. servizi esclusi (cfr. Tar Piemonte sentenza n. 153 del 2012).

Invero, a normativa oggi vigente, ai servizi esclusi si applicano esclusivamente alcuni articoli in base all’articolo 20 [che sono identici a quelli previsti dalla disciplina pregressa: art. 68 (specifiche tecniche); art. 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento); art. 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati)].

Secondo i Giudici, dunque, le regole del mercato unico europeo, tra le quali il principio di concorrenza invocato, presuppongono e sono concepite per un mercato ossia per un ambito in cui si confrontano operatori commerciali, soggetti costituiti per l'esercizio professionale dell'attività di scambio di beni e servizi a fini di lucro. Esse, pertanto, non possono valere per soggetti che tali fini non si prefiggono ovvero in ambiti nei quali i valori prevalenti e normativamente privilegiati sono quelli della solidarietà sociale e della mutualità.

L’orientamento meno favorevole ad una ‘specificità’ anche soggettiva dei partecipanti alle procedure di gara per l’affidamento di servizi sociali è venuto a partire proprio dalla configurazione imprenditoriale delle cooperative sociali.

Infatti, l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (in avanti solo AVCP) già con il Parere AG 24/10 dell’8 luglio 2010, ha incominciato a sfumare le differenze correnti tra i soggetti profit e no profit.

Osserva l’AVCP, nel citato parere: “Nell’applicazione della disciplina del Codice, non rileva – in linea di principio - la distinzione tra soggetti profit e soggetti no profit, giacché anche i soggetti no profit rivestono la qualità di imprese (in tal senso, cfr. Tar Veneto, I, sentenza 26 marzo 2009, n. 881). Ai fini della disciplina della concorrenza, è infatti pacifico che la nozione di impresa sia più ampia di quella sottesa all’art. 2082 cc, tale per cui vi rientra qualunque entità che svolga un’attività economica, consistente nell’offerta di beni e servizi su un determinato mercato, a prescindere dalla sua natura giuridica, e anche se questa non persegua uno scopo di lucro (Corte di giustizia CE, V, 18 giugno 1998, n. 35)”.

Con la Deliberazione n. 73 Adunanza del 20 luglio 2011, poi, l’AVCP venne chiamata a pronunziarsi su un Bando ricognitivo con il quale l’Amministrazione per individuare i soggetti da invitare alla gara informale, aveva condotta un’indagine di mercato, dalla quale sarebbe emerso che le strutture socio sanitarie presenti sul territorio regionale (comunità alloggio e strutture ad esse assimilabili) sono “quasi esclusivamente” gestite da cooperative sociali di tipo “A”.

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Sebbene il tema giuridico riguardasse un aspetto specifico legato alla natura della cooperativa istante29, l’Authority ha comunque avuto modo di evidenziare il rapporto tra la massima partecipazione alle gare e la specificità dei soggetti no profit.

Afferma l’AVCP: “si ritiene necessario chiarire che sebbene l’affidamento di che trattasi riguarda una concessione di servizi, fattispecie che esula dall’ambito di applicazione del Codice dei contratti, tuttavia, il relativo affidamento non può essere sottratto ai principi del Trattato in tema di tutela della concorrenza. Ciò viene codificato dallo stesso art. 30 ai sensi del quale: “La scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi”.

In generale, quindi, si considera che la necessità di osservare i principi di non discriminazione e parità di trattamento, non consente di apporre riserve di partecipazione nei bandi di gara a determinati soggetti, riserva consentita solo nei limiti di quanto espressamente previsto dall’art. 52 del codice dei contratti.

Inoltre, si precisa che, diversamente da quanto stabilito dal Comune di Riccia, la specializzazione nel campo dei servizi sanitari e sociali non costituisce prerogativa assoluta delle cooperative sociali di tipo “A”. Essa potrebbe ritrovarsi anche in capo ad altri operatori economici presenti sul mercato e potenzialmente interessati a prendere parte alla procedura selettiva, come, peraltro, emerso dalla stessa indagine del Comune di Riccia, la quale ha rilevato che nella prestazione dei servizi, oggetto dell’affidamento, accanto alle cooperative sociali, vi sono anche altri soggetti. Si potrebbe quindi affermare che la restrizione alla possibilità di partecipare alla gara, operata dall’Amministrazione, ha contribuito, a limitare la platea dei concorrenti ad un solo operatore”.

Per cui, la specificità soggettiva delle cooperative nulla aggiungerebbe alla capacità – di qualsiasi altro operatore – di prestare quei determinati servizi.

“Neanche può condividersi” aggiunge l’AVCP, “l’assunto contenuto nelle controdeduzioni della Stazione Appaltante, secondo cui i "servizi sanitari e sociali", rientrando nell’Allegato II B, sfuggono all’applicazione del Codice dei Contratti. Sulla questione questa Autorità si è più volte pronunciata, evidenziando che essi restano soggetti, oltre che all’art. 20, anche all’art. 27 del d.lgs. n. 163/2006 in base al quale l’affidamento di contratti pubblici, sottratti in tutto o in parte all’applicazione del codice, deve avvenire nel rispetto di principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità (da ultimo, Deliberazioni n.4 del 14 gennaio 2010 e n. 102 del 5 novembre 2009)”.

Ne risulta quindi, un quadro abbastanza incerto circa la possibilità di riservare alle Cooperative sociali la partecipazione alle gare per l’affidamento di servizi sociali, salvo la previsione di cui all’articolo 52 del Codice, che però, come è noto, si applica esclusivamente ai laboratori protetti e ai programmi di lavoro protetti.

3.2. QUADRO GENERALE DEL RECEPIMENTO IN SEDE REGIONALE DELLA L. N. 328/2000.

Da ultimo, una volta affrontato il quadro normativo nazionale in tema di servizi sociali, ed aver delineato i caratteri salienti che identificano il ruolo dei soggetti (pubblici e privati) nel settore dei servizi sociali, offriamo ora una breve panoramica delle modalità di recepimento in sede regionale.

29 In buona sostanza, una cooperativa di tipo B, mediante avvalimento con una Cooperativa di tipo A – l’unica a poter prestare servizi socio-assistenziali e socio-sanitari – lamentava la sua esclusione poiché il suo oggetto sociale era eterogeneo rispetto ai servizi richiesti.

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Un recepimento avvenuto da parte delle regioni in ordine sparso30.

Al momento della emanazione della Legge quadro, pertanto, vi erano regioni che avevano già una normativa di sistema in cui si prevedevano modalità di progettazione interistituzionali e aperture al privato sociale o integrazioni tra i servizi sociali e sanitari.

È il caso del Lazio, del Molise, della Valle d'Aosta e dell'Abruzzo; queste regioni avevano programmato e organizzato i loro servizi socio assistenziali secondo modalità da considerarsi non in contraddizione con i principi espressi dalla L. n. 328/2000, e di conseguenza preferirono non elaborare una nuova normativa di sistema, limitandosi, invece, a ulteriori e aggiornate versioni di Piani sociali regionali e Piani di zona in linea con la riforma.

Altre regioni ritennero che, riconoscendo la riforma del Titolo V della Costituzione una potestà legislativa assoluta in materia socio assistenziale, non dovessero più considerarsi tenute a emanare una normativa di attuazione di una Legge quadro nazionale.

La maggior parte delle regioni alcune prima (Emilia Romagna, Calabria, Piemonte, Puglia, Sardegna) e altre dopo (Basilicata, Campania, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Umbria) hanno fatto formale riferimento alla Legge quadro dandone attuazione sul territorio di competenza, spesso caratterizzando il proprio sistema di welfare regionale; alcune, proprio in virtù della nuova potestà legislativa esclusiva, hanno costruito i Piani sociali regionali prendendo in considerazione maggiormente le indicazioni emergenti dai Piani di zona di riferimento comunale (Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia), altre (Piemonte, Toscana e Lombardia) hanno optato per una integrazione più forte tra sociale e sanitario.

Alcune regioni, pur non inserendo nelle loro normative espliciti riferimenti, si sono conformate alle principali enunciazioni della Legge quadro. È il caso di Veneto, Sicilia e delle Province autonome che non hanno formalmente recepito la Legge quadro ma che hanno Piani sociali regionali e indirizzi dei Piani di zona che prevedono sia esperienze di integrazione delle politiche socio-sanitarie e sia esperienze di programmazione integrata con i rappresentanti del Terzo settore e della cittadinanza.

Il quadro normativo generale mostra come nell'ambito della conservazione di un minimo grado di omogeneizzazione degli interventi e dei servizi sociali la programmazione/pianificazione delle politiche e dei servizi e alcune scelte di politica sociale, insite nelle diverse fonti normative regionali, hanno dato vita a modelli istituzionali e organizzativi decentrati e (giocoforza) differenziati, con prassi gestionali fortemente caratterizzate dai singoli contesti locali.

Invece, la integrazione tra pubblico e privato, le cui modalità di attuazione devono essere disciplinate dalla regione (normalmente con il Piano sociale), si realizza con la previsione della offerta dei servizi sociali tramite meccanismi di accreditamento a soggetti privati che soddisfano determinati requisiti, e con una pianificazione di zona aperta all'apporto del Terzo settore.

30 Alcune regioni, infatti, mostrarono una iniziale ritrosia nel seguire le nuove indicazioni ritenendole di contenuto non particolarmente innovativo. La istituzionalizzazione che la L. n. 328/2000 fa del Piano sociale regionale e del Piano di zona, quali strumenti di analisi dei bisogni e di pianificazione degli interventi locali in materia sociale dove far confluire l'apporto delle istituzioni pubbliche e del privato sociale, ratifica una modalità di programmazione già da tempo in atto, che aveva avuto ulteriore impulso con la L. n. 285/1997 con la quale si prevedevano, su tutto il territorio nazionale, modalità di progettazione sociale basate sulla sussidiarietà verticale e orizzontale. Anche per quanto riguarda l’integrazione delle politiche socio-sanitarie, già la L. n. 833/1978 attribuiva il compito al legislatore regionale di stabilire norme per la gestione coordinata e integrata dei servizi dell'USL con i servizi sociali comunali esistenti. Secondo la legge, la distinzione tra ruoli e compiti dello Stato, delle regioni e degli enti locali comportava la redazione di tre livelli di programmazione (Piano sanitario nazionale Piani regionali Piani di zona), mentre la gestione integrata tra servizi sociali e sanitari era incentivata con la previsione dei medesimi ambiti territoriali tra USL e servizi sociali, con la gestione dei servizi da parte dei comuni e tramite il coordinamento e l'integrazione dei servizi delle USL con i servizi sociali esistenti nel territorio.

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Il Piano di zona è, infatti, la sede naturale dove valorizzare la partecipazione dei soggetti del Terzo settore e istituire sistemi locali di welfare con il concorso dei soggetti privati sociali, che, oltre a partecipare ai diversi livelli di programmazione, possono direttamente erogare i servizi ai cittadini.

Solo 12 regioni hanno dato piena attuazione alla L. n. 328/2000 approvando, seguendo i principi della Legge quadro stessa, normative regionali volte alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, mentre altre regioni (e le province autonome) continuano ad affidarsi a normative antecedenti che, sebbene non ne contraddicano i principi generali, costruiscono un sistema di servizi in parte diverso da quello proposto dalla legge di riforma del settore.

La normativa Lombarda è l'unica, tra quelle impostate dopo la L. n. 328/2000, a discostarsene per quanto concerne i principi generali: essa colloca al centro del sistema la rete delle unità di offerta sociali e socio-sanitarie alle quali viene affidato il compito di garantire il diritto alla esigibilità delle prestazioni stesse (art. 1, comma 3, L.R. n. 3/2008). In particolare, la Lombardia si è distinta prevedendo una assegnazione ai comuni delle risorse relative alle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria da parte delle ASL.

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Gli affidamenti di servizi sociali dell’allegato IIB: dai principi all’applicazione Aldo Coppetti

1. PREMESSA.

Il tema degli affidamenti dei servizi sociali costituisce una materia vasta e composita.

Come è stato organicamente illustrato nella relazione dell’Avv. Gallo che ha preceduto questo intervento, il quadro delle fonti normative ed il riparto delle competenze (legislative ed amministrative) tra i soggetti istituzionali preposti presentano tratti di indubbia complessità, senz’altro acuita dalla modifica all’assetto costituzionale introdotta dalla riforma del Titolo V della Costituzione (L. Costituzionale n. 3/2001), che ha devoluto i servizi sociali alla competenza esclusiva delle Regioni. Riforma che ha preso corpo proprio allorquando era stata da poco emanata la “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” (L. 8 novembre 2000, n. 328), che aveva ampiamente ridefinito, per la prima volta nell’età repubblicana, il complessivo assetto della materia.

Nel sopravvenuto quadro tracciato dall’art. 117 della Carta costituzionale, la maggior parte delle Regioni ha legiferato, approvando proprie Leggi sul “welfare” e sulla rete di interventi e servizi in materia sociale, pur rimanendo incardinate, in via esclusiva, presso il Legislatore statale sia la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, sia la “tutela della concorrenza” [rispettivamente, art. 117, lett. m) e lett. e) della Costituzione]; materia, quest’ultima, a sua volta assoggettata ad una costante e pervasiva influenza del diritto comunitario.

La cornice normativa entro la quale si trovano ad agire gli operatori economici nel settore dei servizi sociali è, dunque, marcatamente eterogenea, rinvenendo i propri principi nel Trattato UE e nella disciplina regolatrice della concorrenza, per arrivare sino alla legislazione regionale di settore, pur rimanendo sovente priva di puntuali disposizioni legislative destinate a disciplinare nel dettaglio lo svolgimento delle procedure di affidamento.

Peraltro, non si può sottacere che, nel contesto sopra descritto, l’esternalizzazione mediante contratto d’appalto di servizi sociali costituisce, in molte realtà territoriali, un fenomeno pressoché residuale e “recessivo” rispetto ad altri, più innovativi e, in molti casi, più pregnanti, moduli gestionali (concessione di servizi, co-progettazione, partenariati publico-privati, accreditamento nelle sue varie declinazioni, ecc.), atti a consentire alla Cooperazione sociale – ed in genere al Terzo Settore – di esprimere pienamente la propria capacità progettuale, nonché la propria capacità di lettura dei (e di risposta ai) ‘bisogni’, in attuazione del principio di sussidiarietà (orizzontale).

Le caratteristiche dei sopra evocati, diversi, moduli gestionali verranno illustrate, anche mediante l’esposizione di “buone prassi”, negli interventi che seguiranno.

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Nondimeno è stato richiesto di soffermarsi sullo strumento dell’affidamento mediante appalto dei servizi sociali, che presenta caratteri del tutto peculiari secondo la stessa linea tracciata dalle Istituzioni comunitarie.

Il tema viene affrontato avendo riguardo al quadro desumibile dal Codice dei contratti pubblici, così come interpretato ed applicato nella prassi giurisprudenziale, non potendo, in questa sede, essere affrontato l’eterogeneo quadro delle disposizioni regionali.

La presente analisi prenderà, dunque, le mosse da un’illustrazione dei principi dettati dal Codice dei contratti pubblici in materia di affidamenti di servizi sociali, per poi tratteggiare una concreta casistica desunta da un’osservazione degli orientamenti giurisprudenziali (e dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici) maturati nella prassi applicativa.

Una sintesi della casistica viene allegata a questa relazione di cui costituisce parte integrante.

2. GLI APPALTI DI SERVIZI SOCIALI COME APPALTI SOGGETTI AD UN REGIME DI APPLICAZIONE ATTENUATO DEL D. LGS. N. 163/2006. GLI ARTICOLI 20 E 21 DEL D. LGS. N. 163/2006 E LE DISPOSIZIONI DI

APPLICAZIONE OBBLIGATORIA.

Nel vigente quadro normativo, è stata confermata, anche in seguito al recepimento delle direttive “unificate” 2004/18/CE e 2004/17/CE, avvenuta con il D. Lgs. n. 163/2006 (“Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”), l’inclusione dei servizi sociali nell’elenco dei servizi c.d. “sotto osservazione” (oggi individuati dall’allegato IIB del D. Lgs. n. 163/06), soggetti all’applicazione obbligatoria di un limitato numero di disposizioni di derivazione comunitaria31.

In precedenza, con analoga scelta legislativa, i servizi sociali risultavano compresi nell’omologo elenco di cui all’allegato II del D. Lgs. n. 157/1995, con il quale era stata recepita la direttiva 92/50/CEE in materia di procedure di affidamento di appalti pubblici di servizi.

È stata, quindi, mantenuta la scelta di suddividere il regime normativo applicabile agli appalti di servizi, a seconda della tipologia del servizio, secondo un criterio discretivo imperniato sulle peculiari caratteristiche che contraddistinguono determinate tipologie di servizi, nonché sulla maggiore o minore rilevanza che il servizio riveste per il mercato comune transfrontaliero.

Agli appalti di servizi elencati nell’allegato IIB32 sono dedicate tre disposizioni contenute nel Titolo II della Parte I (Principi e disposizioni comuni e contratti esclusi in tutto o in parte dall’ambito di applicazione del Codice) del D. Lgs. n. 163/2006: gli articoli 20, 21 e 27.

In particolare:

o l’art. 20 detta la specifica, ma molto scarna, disciplina degli appalti di servizi elencati nell’allegato IIB;

o l’art. 21 individua la normativa di riferimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti di servizi ad oggetto “misto”, cioè aventi ad oggetto sia servizi elencati nell’allegato IIA

31 Si legge nel IX considerando della direttiva 2004/CE/18: “Per quanto concerne gli appalti pubblici di servizi, l'applicazione integrale della presente direttiva dovrebbe essere limitata, per un periodo transitorio, agli appalti per i quali le disposizioni della direttiva stessa consentiranno il pieno sfruttamento del potenziale di crescita degli scambi con l'estero. Gli appalti degli altri servizi Gazzetta ufficiale dell'Unione europea IT 30.4.2004 L 134/117 dovrebbero essere sottoposti a osservazione durante tale periodo transitorio prima che una decisione venga presa su una piena applicazione della presente direttiva. A questo proposito è opportuno definire le modalità di tale osservazione. Tali modalità devono nel contempo consentire agli interessati di avere accesso alle informazioni in materia.”. 32 L’elenco dell’allegato IIB comprende: i servizi alberghieri e di ristorazione; i servizi di trasporto per ferrovia; i servizi di trasporto per via d’acqua; i servizi di supporto e sussidiari per il settore dei trasporti; i servizi legali; i servizi di collocamento e reperimento del personale; i servizi di investigazione e di sicurezza; i servizi relativi all’istruzione, anche professionale; i servizi sanitari e sociali; i servizi ricreativi, culturali e sportivi.

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(soggetti all’integrale applicazione delle norme del Codice dei contratti pubblici), sia servizi elencati nell’allegato IIB (soggetti ad una circoscritta applicazione delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici);

o l’art. 27 costituisce una vera e propria “norma di chiusura” del sistema, declinando i principi generali applicabili alle procedure di aggiudicazione dei contratti esclusi dal campo di cogente applicazione del D. Lgs. n. 163/06.

* * *

Gli appalti di servizi elencati nell’allegato IIB sono, anzitutto, assoggettati alle specifiche disposizioni indicate nell’art. 20, 1° comma, del D. Lgs. n. 163/200633, secondo cui: “L’aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell’allegato II B è disciplinata esclusivamente dall’articolo 68 (specifiche tecniche), dall’articolo 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento), dall’articolo 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati).”.

Si tratta, in sostanza, negli ultimi due casi, di disposizioni in materia di obblighi di “post-informazione” e, nel primo caso, di prescrizioni tecniche, in perfetta aderenza con l’analoga disciplina desumibile dal previgente quadro normativo34.

Per i restanti profili, fatto salvo quanto verrà precisato nel prosieguo della trattazione per quanto attiene ai principi generali applicabili, sono destinate a trovare applicazione le singole normative di settore, che tengono conto della peculiarità di ogni singola fattispecie35, che lo stesso Legislatore comunitario riconosce ed intende salvaguardare, nonché le disposizioni del Codice dei contratti che, di volta in volta, ciascuna Stazione appaltante, in virtù di propria discrezionale scelta, intenda richiamare e recepire nella “lex specialis” della gara, rendendole applicabili nella specifica procedura di affidamento, in forza del c.d. principio dell’autovincolo (sul punto, si opera rinvio alla casistica giurisprudenziale allegata alla presente relazione).

Per inciso, giova evidenziare che, nella specifica materia dei servizi sociali, è molto probabile che una tale quadro venga confermato nella nuova direttiva comunitaria sugli appalti pubblici che verrà approvata entro la fine del 2012.

Infatti, la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sugli appalti pubblici approvata il 20 dicembre 2011, pur abolendo la distinzione tra c.d. servizi prioritari e non prioritari (servizi di tipo “A” e di tipo “B”), mantiene un regime specifico per i servizi sociali (nonché per i servizi sanitari e scolastici), stabilendo, nel contempo, una soglia di rilevanza più elevata (500.000 euro, in luogo di quella generale di 200.000 euro valevole per i servizi affidati da Amministrazioni aggiudicatrici non governative) in dipendenza della “dimensione limitatamente transfrontaliera” che caratterizza i servizi alla persona, nonché del riconoscimento che “i servizi di questo tipo sono prestati all’interno di un particolare contesto che varia notevolmente da uno Stato membro all’altro a causa delle diverse tradizioni amministrative, organizzative e culturali”.

Se ciò verrà confermato al momento della definitiva emanazione della nuova direttiva sugli appalti pubblici, verrà mantenuto un regime specifico per i contratti aventi ad oggetto i servizi sociali, imponendo l’obbligo di applicare, in tale settore, solamente i principi fondamentali di trasparenza e di parità di trattamento.

La prima norma di cui l’art. 20, 1° comma, del D. Lgs. n. 163/2006 esige l’applicazione anche alle procedure di affidamento degli appalti di servizi compresi nell’allegato IIB è costituita dall’art. 68 del D. Lgs. n. 163/2006.

33 La corrispondente disposizione comunitaria si rinviene nell’art. 21 della direttiva 2004/18/CE. 34 Anche l’art. 3, 2° comma, del D. Lgs. n. 157/1995 prevedeva: “Per gli appalti di servizi di cui all'allegato 2 e per quelli in cui il valore di tali servizi prevalga rispetto a quello dei servizi di cui all'allegato 1, il presente decreto si applica limitatamente ai soli articoli 8, comma 3, 20 e 21.”. 35 S. GATTO COSTANTINO, in “Codice dell’appalto pubblico”, a cura di BACCARINI – CHINÉ - PROIETTI, Giuffré 2011, pag. 263.

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Tale disposizione è particolarmente articolata, sicché viene riportata in nota per consentirne un’integrale lettura36.

Basti, in questa sede, indicare che ratio della disposizione è, anzitutto, quella di garantire un adeguato livello di trasparenza e concorrenzialità della procedura comparativa e la par condicio tra i partecipanti, predeterminando, in modo preciso, specifico e non discriminatorio, i contenuti della prestazione e, quindi, delle offerte, il cui oggetto deve essere verificabile ed apprezzabile in virtù di requisiti e prescrizioni tecniche oggettivi e predefiniti ex ante, ferma la possibilità di offrire prodotti o prestazioni equivalenti, al fine di scongiurare ostacoli ingiustificati alla massima apertura alla concorrenza.

In secondo luogo, la medesima disposizione persegue l’obiettivo di consentire all’Ente aggiudicatore, nella fase di esecuzione del contratto, di disporre di adeguati parametri per poter verificare l’esatto ed effettivo adempimento delle obbligazioni contrattuali dell’appaltatore.

36 1. Le specifiche tecniche definite al punto 1 dell’allegato VIII, figurano nei documenti del contratto, quali il bando di gara, il capitolato d’oneri o i documenti complementari. Ogniqualvolta sia possibile dette specifiche tecniche devono essere definite in modo da tenere conto dei criteri di accessibilità per i soggetti disabili, di una progettazione adeguata per tutti gli utenti, della tutela ambientale. 2. Le specifiche tecniche devono consentire pari accesso agli offerenti e non devono comportare la creazione di ostacoli ingiustificati all’apertura dei contratti pubblici alla concorrenza. 3. Fatte salve le regole tecniche nazionali obbligatorie, nei limiti in cui sono compatibili con la normativa comunitaria, le specifiche tecniche sono formulate secondo una delle modalità seguenti: a) mediante riferimento a specifiche tecniche definite nell’allegato VIII, e, in ordine di preferenza, alle norme nazionali che recepiscono norme europee, alle omologazioni tecniche europee, alle specifiche tecniche comuni, alle norme internazionali, ad altri sistemi tecnici di riferimento adottati dagli organismi europei di normalizzazione o, se questi mancano, alle norme nazionali, alle omologazioni tecniche nazionali o alle specifiche tecniche nazionali in materia di progettazione, di calcolo e di realizzazione delle opere e di messa in opera dei prodotti. Ciascun riferimento contiene la menzione «o equivalente»; b) in termini di prestazioni o di requisiti funzionali, che possono includere caratteristiche ambientali. Devono tuttavia essere sufficientemente precisi da consentire agli offerenti di determinare l'oggetto dell'appalto e alle stazioni appaltanti di aggiudicare l'appalto; c) in termini di prestazioni o di requisiti funzionali di cui alla lettera b), con riferimento alle specifiche citate nella lettera a), quale mezzo per presumere la conformità a dette prestazioni o a detti requisiti; d) mediante riferimento alle specifiche di cui alla lettera a) per talune caratteristiche, e alle prestazioni o ai requisiti funzionali di cui alla lettera b) per le altre caratteristiche. 4. Quando si avvalgono della possibilità di fare riferimento alle specifiche di cui al comma 3, lettera a), le stazioni appaltanti non possono respingere un'offerta per il motivo che i prodotti e i servizi offerti non sono conformi alle specifiche alle quali hanno fatto riferimento, se nella propria offerta l'offerente prova in modo ritenuto soddisfacente dalle stazioni appaltanti, con qualsiasi mezzo appropriato, che le soluzioni da lui proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche. 5. Può costituire un mezzo appropriato una documentazione tecnica del fabbricante o una relazione sulle prove eseguite da un organismo riconosciuto. 6. L’operatore economico che propone soluzioni equivalenti ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche equivalenti lo segnala con separata dichiarazione che allega all’offerta. 7. Quando si avvalgono della facoltà, prevista al comma 3, di definire le specifiche tecniche in termini di prestazioni o di requisiti funzionali, le stazioni appaltanti non possono respingere un'offerta di lavori, di prodotti o di servizi conformi ad una norma nazionale che recepisce una norma europea, ad un’omologazione tecnica europea, ad una specifica tecnica comune, ad una norma internazionale o ad un riferimento tecnico elaborato da un organismo europeo di normalizzazione se tali specifiche contemplano le prestazioni o i requisiti funzionali da esse prescritti. 8. Nell’ipotesi di cui al comma 7, nella propria offerta l'offerente è tenuto a provare in modo ritenuto soddisfacente dalle stazioni appaltanti e con qualunque mezzo appropriato, che il lavoro, il prodotto o il servizio conforme alla norma ottempera alle prestazioni o ai requisiti funzionali prescritti. Si applicano i commi 5 e 6. 9. Le stazioni appaltanti, quando prescrivono caratteristiche ambientali in termini di prestazioni o di requisiti funzionali, quali sono contemplate al comma 3, lettera b), possono utilizzare le specifiche dettagliate o, all'occorrenza, parti di queste, quali sono definite dalle ecoetichettature europee (multi)nazionali o da qualsiasi altra ecoetichettatura, quando ricorrono le seguenti condizioni: a) esse siano appropriate alla definizione delle caratteristiche delle forniture o delle prestazioni oggetto dell'appalto; b) i requisiti per l'etichettatura siano elaborati sulla scorta di informazioni scientifiche; c) le ecoetichettature siano adottate mediante un processo al quale possano partecipare tutte le parti interessate, quali gli enti governativi, i consumatori, i produttori, i distributori e le organizzazioni ambientali; d) siano accessibili a tutte le parti interessate. 10. Nell’ipotesi di cui al comma 9 le stazioni appaltanti possono precisare che i prodotti o servizi muniti di ecoetichettatura sono presunti conformi alle specifiche tecniche definite nel capitolato d'oneri; essi devono accettare qualsiasi altro mezzo di prova appropriato, quale una documentazione tecnica del fabbricante o una relazione di prova di un organismo riconosciuto. 11. Per «organismi riconosciuti» ai sensi del presente articolo si intendono i laboratori di prova, di calibratura e gli organismi di ispezione e di certificazione conformi alle norme europee applicabili. 12. Le stazioni appaltanti accettano i certificati rilasciati da organismi riconosciuti di altri Stati membri. 13. A meno di non essere giustificate dall'oggetto dell'appalto, le specifiche tecniche non possono menzionare una fabbricazione o provenienza determinata o un procedimento particolare né far riferimento a un marchio, a un brevetto o a un tipo, a un'origine o a una produzione specifica che avrebbero come effetto di favorire o eliminare talune imprese o taluni prodotti. Tale menzione o riferimento sono autorizzati, in via eccezionale, nel caso in cui una descrizione sufficientemente precisa e intelligibile dell'oggetto dell'appalto non sia possibile applicando i commi 3 e 4, a condizione che siano accompagnati dall’espressione «o equivalente».

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Sotto tale profilo, la disposizione è di interesse anche per gli appalti di servizi, nella misura in cui si esige una esatta specificazione delle misure e della qualità dei risultati attesi dalla prestazione del servizio37, evitando l’introduzione nel rapporto contrattuale di prestazioni di contenuto vago o generico.

L’art. 65 del D. Lgs. n. 163/2006 (Avviso sui risultati della procedura di affidamento)38 e l’art. 225 (Avvisi relativi agli appalti aggiudicati) obbligano le Stazioni appaltanti, rispettivamente, in caso di aggiudicazione di un contratto pubblico nei settori ordinari o nei settori speciali, ad inviare alla Commissione europea un avviso contenente le informazioni circa i risultati della procedura di aggiudicazione.

L’obbligo di post-informazione persegue la finalità di informare delle aggiudicazioni intervenute la Commissione europea, affinché elabori le informazioni ricevute, anche con la predisposizione di dati statistici.

Peraltro, proprio in relazione all’aggiudicazione degli appalti di servizi elencati nell’allegato IIB, il 4° comma dell’art. 65 consente una deroga, in quanto è riconosciuta alle stazioni appaltanti la facoltà di indicare “nell’avviso se acconsentono o meno alla sua pubblicazione”.

Rimane, comunque, inderogabile anche per tali appalti l’obbligo di compilare ed inviare alla Commissione l’avviso conforme al modello di cui all’allegato IXA.

* * *

L’art. 21 del D. Lgs. n. 163/2006 individua la disciplina applicabile in caso di appalti di servizi di tipo ‘misto’, che abbiano, cioè, ad oggetto sia servizi elencati nell’allegato IIA, sia servizi elencati nell’allegato IIB, stabilendo che tali appalti siano aggiudicati “conformemente all’articolo 20, comma 1 se il valore dei servizi elencati nell’allegato IIB sia superiore al valore dei servizi elencati nell’allegato IIA”.

In questo caso, il Legislatore ha, dunque, scelto di ricorrere ad un criterio di tipo puramente quantitativo, attribuendo esclusivo rilievo alla prevalenza del valore economico dei servizi.

Analogo criterio è stabilito dall’art. 14, 2° comma, lett. b), del D. Lgs. n. 163/2006 in caso di appalto “misto” di servizi e forniture39.

37 S. GATTO COSTANTINO, in “Codice dell’appalto pubblico”, a cura di BACCARINI – CHINÉ - PROIETTI, Giuffré 2011, pag. 264. 38 Dispone l’art. 65 del D. Lgs. n. 163/2006: “Le stazioni appaltanti che hanno aggiudicato un contratto pubblico o concluso un accordo quadro inviano un avviso secondo le modalità di pubblicazione di cui all'articolo 66, conforme all’allegato IX A, punto 5, relativo ai risultati della procedura di aggiudicazione, entro quarantotto giorni dall'aggiudicazione del contratto o dalla conclusione dell'accordo quadro. 2. Nel caso di accordi quadro conclusi in conformità all'articolo 59, le stazioni appaltanti sono esentate dall'invio di un avviso in merito ai risultati della procedura di aggiudicazione di ciascun appalto basato su tale accordo. 3. Le stazioni appaltanti inviano un avviso relativo al risultato dell'aggiudicazione degli appalti basati su un sistema dinamico di acquisizione entro quarantotto giorni dall'aggiudicazione di ogni appalto. Esse possono tuttavia raggruppare detti avvisi su base trimestrale. In tal caso, esse inviano gli avvisi raggruppati al più tardi quarantotto giorni dopo la fine di ogni trimestre. 4. Nel caso degli appalti pubblici di servizi elencati nell'allegato II B, le stazioni appaltanti indicano nell'avviso se acconsentono o meno alla sua pubblicazione. 5. L’avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene gli elementi indicati nel presente codice, le informazioni di cui all’allegato X A e ogni altra informazione ritenuta utile, secondo il formato dei modelli di formulari adottati dalla Commissione.6. Talune informazioni relative all'aggiudicazione del contratto o alla conclusione dell’accordo quadro possono essere omesse qualora la loro divulgazione ostacoli l'applicazione della legge, sia contraria all'interesse pubblico, pregiudichi i legittimi interessi commerciali di operatori economici pubblici o privati oppure possa recare pregiudizio alla concorrenza leale tra questi.”. 39 Dispone l’art. 14, 2° comma, lett. b), del D. Lgs. n. 163/2006: “Un contratto pubblico avente per oggetto prodotti e servizi di cui all’allegato II è considerato un «appalto pubblico di servizi» quando il valore dei servizi supera quello dei prodotti oggetto dell'appalto.”. Diversamente, il Legislatore interno e quello comunitario prevedono il ricorso al diverso criterio “qualitativo” dell’accessorietà per individuare la disciplina applicabile in caso di appalti misti di lavori e servizi (o di lavori e forniture).

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3. I PRINCIPI GENERALI RICHIAMATI DALL’ART. 27 DEL D. LGS. N. 163/2006.

L’art. 27 costituisce una disposizione di “chiusura” del Titolo II della Parte I del Codice dei Contratti pubblici, volta a dettare i principi generali delle procedure di aggiudicazione, applicabili anche ai “contratti esclusi in tutto o in parte dall’ambito di applicazione del codice”.

Esiste, infatti, un insieme di principi fondamentali che, secondo il consolidato insegnamento della Corte di Giustizia CE espressamente recepito nel II “considerando” della direttiva 2004/18/CE , derivano direttamente dall’applicazione delle disposizioni del Trattato40 e che esigono che le Amministrazioni aggiudicatrici degli Stati membri salvaguardino la libera circolazione delle merci, il diritto di stabilimento, la libera prestazione di servizi, la non discriminazione e l’uguaglianza di trattamento, la trasparenza, la proporzionalità e il riconoscimento reciproco41.

In particolare, prevede il 1° comma (prima parte) dell’art. 27: “L’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità.”.

Aggiunge il successivo 2° comma dell’art. 27 del D. Lgs. n. 163/2006: “Si applica altresì l’articolo 2, commi 2, 3 e 4.”.

In sostanza, quindi, anche gli appalti di servizi dell’allegato IIB devono rispettare un nucleo essenziale di principi fondamentali di derivazione comunitaria, che costituiscono altrettanti principi cardine dell’attività amministrativa42, quale corollario dei canoni costituzionali dell’imparzialità e del buon andamento dell’Amministrazione.

Peraltro, il Legislatore ha omesso di definire il contenuto e l’esatta portata di tali principi con specifico riferimento al settore che ci occupa, sicché spetta all’interprete individuarne il nucleo essenziale43. In sintesi:

- il principio di economicità evoca l’obbligo dell’Amministrazione di perseguire un risultato determinato attraverso l’ottimale impiego delle risorse disponibili, senza che, tuttavia, tale concetto trovi una sua più specifica declinazione nell’ambito della contrattualistica pubblica, con sostanziale inutilità di tale richiamo44;

- il principio di efficacia è correlato all’idoneità del procedimento a realizzare lo scopo perseguito dall’Amministrazione;

- il principio di imparzialità costituisce un principio cardine dell’agire amministrativo (direttamente discendente dall’art. 97 Cost.) oltre che delle procedure di affidamento;

- il principio della parità di trattamento (par condicio) è un risvolto essenziale dei principi di imparzialità e di non discriminazione, che non soltanto vieta qualsiasi forma di

40 B. RAGANELLI, L’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione del Codice, in I Contratti di appalto pubblico, a cura di C. FRANCHINI, UTET, 2010, pag. 174. 41 Comunicazione interpretativa della Commissione relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive “appalti pubblici”, 23.6.2006, n. 2006/C-179/02, in GUCE, 1.8.2006 (§ 1). 42 Si rammenta che anche l’art. 1, 1° comma, della L. 7.8.1990, n. 241 assoggetta, in linea generale, l’attività amministrativa a “criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste … dai princìpi dell'ordinamento comunitario”. 43 Per tale rilievo B. RAGANELLI, L’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione del Codice, in I Contratti di appalto pubblico, a cura di C. FRANCHINI, cit., pag. 177, il quale evidenzia che tutti tali principi possono ritenersi un’esplicazione del principio del buona andamento dell’Amministrazione: “Efficienza, economicità ed efficacia costituirebbero le tre ‘e’ su cui si fonda il principio di buon andamento della pubblica ammnistrazione”. 44 GENNARO FERRARI, Commento all’art. 27, in Codice degli appalti pubblici, a cura di R. GAROFOLI e G. FERRARI, IV edizione, Neldiritto editore, 2011.

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discriminazione palese o dissimulata, ma impone anche il rispetto dell’obbligo di preventivamente definire in modo chiaro ed equo le condizioni di una “fair competition”;

- il principio di trasparenza esige che tutti gli offerenti dispongano delle stesse possibilità nella formulazione delle offerte, assicurando “un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura del mercato alla concorrenza ed il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione” (Corte di Giustizia CE, 7.12.2000, Teleaustria; Corte di Giustizia, 13.10.2005, Parking Brixen)45;

- il principio di proporzionalità (centrale nel diritto pubblico comunitario e, da esso, refluito, per via giurisprudenziale, anche nell’ordinamento interno) evoca l’adeguatezza del mezzo adoperato e del fine da perseguire, imponendo il minimo sacrificio possibile al privato nel perseguimento degli scopi dell’Amministrazione.

Inoltre, per effetto del richiamo all’articolo 2, comma 2, 3 e 4, del D. Lgs. n. 163/2006 sono resi applicabili anche nel settore degli appalti di servizi dell’allegato IIB le seguenti disposizioni:

- “Il principio di economicità può essere subordinato, entro i limiti in cui sia espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti dal bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute e dell’ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile” (articolo 2, comma 2, del D. Lgs. n. 163/2006);

- “Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, le procedure di affidamento e le altre attività amministrative in materia di contratti pubblici si espletano nel rispetto delle disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni” (articolo 2, comma 3, del D. Lgs. n. 163/2006);

- “Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, l’attività contrattuale dei soggetti di cui all’articolo 1 si svolge nel rispetto, altresì, delle disposizioni stabilite dal codice civile” (articolo 2, comma 4, del D. Lgs. n. 163/2006).

Ad ogni buon conto, l’importanza di tutti i principi ora richiamati risulterà percepibile una volta che si sarà riguardata la loro possibile declinazione nella concreta prassi applicativa. Il che avverrà, nell’esposizione che seguirà tra breve, con opportuni riferimenti alla casistica giurisprudenziale.

Prima di affrontare una tale disamina, occorre, tuttavia, evidenziare che l’art. 27, nel secondo periodo del 1° comma, delinea, per gli appalti esclusi dall’applicazione del “Codice dei contratti pubblici”, una procedura di affidamento, di tipo negoziato, preceduta da “invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l’oggetto del contratto”.

Procedura molto simile a quella prevista dall’art. 30, 3° comma, del D. Lgs. n° 163/06 per la scelta del concessionario di servizi.

Il tenore disposizione in esame potrebbe indurre l’interprete a ritenere che, in mancanza di limiti espressamente desumibili dalla norma, ad essa possa attribuirsi una portata generale che ne consenta l’applicazione anche agli affidamenti di appalti di servizi di valore superiore alla soglia di rilevanza comunitaria.

Occorre, tuttavia, precisare che, secondo il più rigoroso orientamento giurisprudenziale, il rispetto dei principi e delle disposizioni direttamente desumibili dal Trattato – ed in particolare, l’obbligo di trasparenza come sopra declinato (cioè la necessità di assicurare “un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura del mercato alla concorrenza ed il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione”) – implica la necessità di dare preventiva notizia dell’indizione della procedura di affidamento a tutti i possibili interessati (da ultimo, con ampi richiami alla “Comunicazione interpretativa della Commissione relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o 45 Sul punto, in termini, anche la Comunicazione interpretativa della Commissione relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive “appalti pubblici”, cit. (§ 1.2).

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solo parzialmente disciplinate dalle direttive appalti pubblici”, pubblicata nella GUCE del 1.8.2006, si veda T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 1.3.2012, n. 2108, afferente l’affidamento del servizio di gestione dei micro-nidi aziendali del Ministero delle Infrastrutture).

Nel solco di tale orientamento si colloca anche l’AVCP46, la quale ha rilevato che: “Sebbene i servizi rientranti nell'allegato II B del d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163 siano soggetti, a stretto rigore, solo alle norme richiamate dall'art. 20 del D.Lgs. 163/2006, quando il valore dell'appalto è decisamente superiore alla soglia comunitaria è opportuna anche una pubblicazione a livello comunitario, in ossequio al principio di trasparenza (cui è correlato il principio di pubblicità), richiamato dall'art. 27 del D.Lgs. 163/2006 come applicabile anche ai contratti c.d. esclusi.”.

In definitiva, fermo l’eventuale sindacato da parte del Giudice amministrativo, spetta alle singole Amministrazioni aggiudicatrici decidere se l’aggiudicazione di un determinato appalto possa avere rilevanza per il mercato interno, sulla scorta di una valutazione delle circostanze specifiche del caso, da effettuarsi tenendo conto dell’oggetto dell’appalto, dell’importo stimato, delle particolari caratteristiche del settore (dimensioni e struttura del mercato, prassi commerciali, ecc.), nonché del luogo geografico di esecuzione dell’appalto47.

In particolare, poi, l’obbligo di garantire un adeguato livello di pubblicità implica la necessità che le Amministrazioni aggiudicatrici ricorrano ad una forma di pubblicità (pubblicazione sul profilo di committente della stazione appaltante, pubblicazione su siti internet dedicati, pubblicazioni su quotidiani a diffusione locale, regionale o nazionale, pubblicazione sulla GURI o sulla GUCE) consona all’importanza dell’appalto per il mercato interno, garantendo una copertura tanto maggiore quanto più interessante possa essere il rilievo del contratto per i potenziali offerenti.

* * *

Per completezza, si rammenta, infine, che il 3° comma dell’art. 27 del D. Lgs. n. 163/2006 rimette, infine, alle Stazioni appaltanti la scelta circa l’ammissibilità del ricorso al subappalto, stabilendo: “Le amministrazioni aggiudicatrici stabiliscono se è ammesso o meno il subappalto, e, in caso affermativo, le relative condizioni di ammissibilità. Se le amministrazioni aggiudicatrici consentono il subappalto, si applica l’articolo 118.”.

La disciplina generale in materia di subappalto (art. 118) è, quindi, resa applicabile, solamente per l’eventualità in cui le Stazioni appaltanti ammettano il ricorso al subappalto.

4. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.

Alla luce delle considerazioni che sono state sopra esposte, appare evidente come, ai fini dell’affidamento degli appalti di servizi elencati nell’allegato IIB del D. Lgs. n. 163/2006, le Stazioni appaltanti godano di una discrezionalità molto più ampia di quella ordinariamente concessa in caso di aggiudicazione di appalti di servizi.

Il quadro delle norme contenute nel D. Lgs. n. 163/2006 di obbligatoria applicazione è, infatti, alquanto scarno.

È, quindi, rimesso alle Amministrazioni aggiudicatrici il compito di plasmare, nella lex specialis della gara, il confronto concorrenziale secondo le modalità ritenute più adeguate alle proprie esigenze, con

46 AVCP, deliberazione 5.11.2009, n. 102. 47 Comunicazione interpretativa della Commissione relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive “appalti pubblici”, 23.6.2006 cit. in GUCE, 1.8.2006 (§ 1.3)

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i soli vincoli derivanti dal rispetto dei principi di ordine generale enumerati nell’art. 27 del D. Lgs. n. 163/2006 e dalle disposizioni del Trattato che sono state ricordate nella disamina che precede.

In assenza di un espresso richiamo volto a recepire all’interno della lex specialis della gara, in virtù del principio dell’autovincolo, le disposizioni del D. Lgs. n. 163/2006 diverse da quelle di applicazione obbligatoria, spetta all’interprete individuare quali siano le disposizioni del “Codice dei contratti pubblici” da ritenersi, comunque, applicabili, in quanto espressive di principi generali.

Ciò implica un incessante e non sempre agevole sforzo ermeneutico finalizzato ad individuare quali tra le disposizioni contenute nel Codice dei contratti pubblici siano da ritenere applicabili alla procedura di affidamento; sforzo ermeneutico il cui esito è reso talora instabile dall’esistenza di contrastanti orientamenti giurisprudenziali.

Nel contempo, tuttavia, è auspicabile che lo spazio riservato all’apprezzamento discrezionale delle Amministrazioni aggiudicatrici venga colmato con il precipuo obiettivo di assicurare che lo svolgimento della procedura di affidamento, da un lato, sia ancorato alle peculiari esigenze che indubbiamente caratterizzano il settore dei servizi sociali ed (esigenze che giustificano proprio l’inclusione dei servizi sociali nell’allegato IIB) e, dall’altro lato, tenga conto della peculiare natura degli operatori economici (in primis, le cooperative sociali ed i loro consorzi) destinati a competere per l’aggiudicazione.

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Sulle disposizioni del Codice dei contratti pubblici applicabili in caso di affidamento di appalti di servizi elencati nell’allegato IIB

Le applicazioni giurisprudenziali e i pareri dell’AVCP

LA POSSIBILITÀ DI ESTENDERE L’APPLICAZIONE DELLE DISPOSIZIONI DEL CODICE E IL C.D.

“PRINCIPIO DELL’AUTOVINCOLO”

TAR ABRUZZO, Pescara, 22.10.09, n. 615

Quaestio juris: se la Stazione appaltante, relativamente ad un appalto avente per oggetto i servizi elencati nell'allegato II B, possa prevedere nella lex specialis della gara l’applicazione anche di norme del Codice in aggiunta a quelle indicate nell’art. 20 del D. Lgs. n. 163/06 Nella fattispecie, l’ATI tra cooperative sociali ricorrente lamentava che illegittimamente era stata indetta una procedura aperta da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (OEPV), secondo la disciplina dettata dal D. Lgs. n° 163/06. Nella tesi della ricorrente, l’Ente appaltante avrebbe dovuto limitarsi a far precedere l’affidamento da un invito a 5 concorrenti. In modo condivisibile, il TAR Abruzzo ha ritenuto che il riferimento operato dall’art. 27 del D. Lgs. n° 163/06 al rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità “sta a significare che l’Amministrazione, pur non essendo obbligata ad applicare tutte le norme del codice, ben può inserire nei bandi di gara previsioni tendenti a garantire il rispetto dei predetti principi ed indire una procedura aperta, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa”.

AVCP, del. 5.11.2009, n. 102

Nelle procedure di affidamento di appalti di servizi elencati nell’allegato IIB, le disposizioni del Codice degli Appalti diverse da quelle richiamate nell’art. 20 del D. Lgs. n° 163/06 possono operare in forza del c.d. principio dell’autovincolo, che consente alla Stazione appaltante di richiamare espressamente negli atti di gara anche disposizioni diverse da quelle indicate nell’art. 20.

AVCP, del. 14.1.2010, n. 4

L’orientamento della più recente giurisprudenza è quello di ritenere che la stazione appaltante debba seguire anche le norme generali che, sebbene non richiamate nell’art. 20, siano state espressamente inserite nel bando e negli altri documenti di gara, poiché in questo caso la stazione appaltante si “auto vincola” al rispetto delle stesse norme.

INOPERATIVITA’ DELLE DISPOSIZIONI DEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI CHE NON SIANO RICHIAMATE NELLA LEX SPECIALIS DELLA GARA E CHE NON COSTITUISCANO ESPRESSIONE DI

PRINCIPI GENERALI

APPLICAZIONE IN TEMA DI REQUISITI DI PARTECIPAZIONE DI CONSORZI DI COOPERATIVE

CONS. STATO, SEZ. V, 8/10/2010, N. 7346

Nella sentenza appellata (TAR Sardegna 7646/10), relativa a procedura di affidamento di servizio assistenza domiciliare, si era ritenuto che un Consorzio di coop. sociali avrebbe dovuto provare il possesso, in proprio, dei requisiti previsti dal bando ai sensi dell'art. 35 del D. Lgs. n° 163/06, senza poter fare riferimento a quelli posseduti dalle consorziate designate per l'esecuzione del servizio L’art. 35 del D. Lgs. n° 163/06 prevede che: “I requisiti di idoneità tecnica e finanziaria per l'ammissione alle procedure di affidamento dei soggetti di cui all'articolo 34, comma 1, lettere b) e c), devono essere posseduti e comprovati dagli stessi, secondo quanto previsto dal regolamento, salvo che per quelli relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d'opera, nonché all'organico medio annuo, che sono computati cumulativamente in capo al consorzio ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate”.

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• Dal momento che il bando di gara non richiamava l’art. 35 del D. Lgs. n° 163/06, l’art. 20 rendeva possibile, senza limitazioni, il cumulo dei requisiti, in forza del rapporto organico che regola le società cooperative.

• Pertanto, al Consorzio appellante andava applicata la disciplina specialistica (art. 8 L. n. 381/91), a prescindere da qualsivoglia rapporto di avvalimento atteso che, nella fattispecie, si è in presenza di un rapporto organico in conseguenza del quale l'attività posta in essere da ciascuna cooperativa, nella sua qualità di consorziata, è immediatamente imputabile al Consorzio (Cons. St. n. 3477/07, n. 2183/03), con conseguente irrilevanza della mancanza dei requisiti di capacità tecnica e di fatturato nell'ultimo triennio in capo al "Consorzio ", atteso il possesso di tali requisiti da parte delle consorziate.

APPLICAZIONE IN TEMA DI VERIFICA DEI REQUISITI DI CAPACITÀ ECONOMICO-FINANZIARIA

CONS. STATO, SEZ. V, 16/12/2010, N. 8932

Nel caso in cui il servizio oggetto dell’appalto abbia un oggetto ricompreso tra quelli dell’allegato II B codice appalti (di vigilanza armata) esso è soggetto all'applicazione degli artt. 68, 65 e 225 del Codice appalti, sicché la stazione appaltante non sarà tenuta né in virtù del diritto comunitario, né in virtù della legge nazionale, a procedere ad una verifica sulla capacità economico – finanziaria mediante indagine sui bilanci o sugli altri elementi indicati nell’art. 41, codice appalti, essendo tenuta, invece, a dare unicamente applicazione a quando previsto dal bando di gara che richiedeva solo la condizione formale che negli ultimi tre esercizi l’impresa avesse un fatturato globale non inferiore a quello minimo indicato nel bando

APPLICAZIONE IN MATERIA DI OFFERTE ANOMALE

TAR Lombardia, MI, sez. I, 8.5.2008, n. 1380

Secondo TAR Lombardia, MI, sez. I, 8.5.2008, n. 1380, “in materia di appalti di servizi elencati nell’allegato II B del Codice dei Contratti pubblici, l’esistenza di un obbligo di procedere alla verifica di anomalia dell’offerta può trovare il suo fondamento esclusivamente nella legge di gara e, quindi, nella scelta della stazione appaltante di autovincolarsi in tal senso.” (Fattispecie in materia di appalto di servizi di ristorazione).

TAR Umbria (1.12.2011, n. 389)

Anche una recente sentenza del TAR Umbria (1.12.2011, n. 389) ha sostenuto che, in caso di aggiudicazione di appalto di servizi elencati nell’allegato IIB (nella specie si trattava di servizi culturali e turistici), “non trova applicazione, in linea di principio, la normativa sull’anomalia dell’offerta”.

Consiglio di Stato (sez. V, 8.9.2008, n. 4270)

Il Consiglio di Stato (sez. V, 8.9.2008, n. 4270) ha, invece, ritenuto che le disposizioni in materia di offerte anormalmente basse, in considerazione della loro ratio, è espressione di un principio generale. Sicché, la “stazione appaltante può decidere, anche in assenza di un’espressa previsione nella lex specialis della gara, di effettuare la verifica dell’anomalia delle offerte, specialmente se le offerte si rivelano singolarmente basse”. Il Giudice d’appello ha sottolineato che la portata di ordine generale delle disposizioni che regolano la materia dell’anomalia si desume, tra l’altro, dall’art. 86, 3° comma, D. Lgs. n° 163/06, secondo cui: “In ogni caso le stazioni appaltanti possono valutare la congruità di ogni altra offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa.”.

TAR Umbria, 3.2.2010, n. 47

Anche secondo TAR Umbria, 3.2.2010, n. 47, in caso di aggiudicazione di servizi di cui all’allegato II B (nella specie: servizi di ristorazione), non si applica direttamente l’art. 86 né alcun’altra disposizione in materia di anomalia, sicché si deve escludere che l’ente fosse tenuto a procedere alla verifica in applicazione della disposizione concernente l’anomalia presuntiva. Nondimeno, è sostenibile che qualora si abbia ragione di sospettare, in concreto, dell’anomalia di una offerta, la verifica della sua congruità risponda a canoni di buona amministrazione e di ragionevolezza, sicché tale verifica

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sarebbe dunque doverosa a norma dell’art. 27, quant’anche non si applichi direttamente l’art. 86.

APPLICAZIONE DEI PRINCIPI GENERALI IN MATERIA DI AFFIDAMENTI PUBBLICI

IL PRINCIPIO DI IMPARZIALITÀ

(T.A.R. REGGIO CALABRIA, 6.7.2011, N. 572)

Pur non essendo direttamente applicabile nelle procedure di affidamento di un appalto di servizi di cui all’allegato IIB (nella specie, servizio domiciliare anziani) la disposizione dell’art. 84, co. 8, del D. Lgs. n° 163/06 (secondo cui i commissari devono essere docenti universitari o professionisti con almeno 10 anni di iscrizione all’albo), trova, invece, applicazione l’art. 84, co. 10, secondo cui: “La nomina dei commissari e la costituzione della commissione devono avvenire dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte.”

T.A.R. REGGIO CALABRIA, 6.7.2011, N. 572

Si è, infatti, ritenuto che tale disposizione sia “espressiva di una generale esigenza di tutela della imparzialità della PA, la quale è tenuta a individuare i componenti di una commissione di gara da espletarsi con il meccanismo dell’OEPV, dopo la presentazione delle offerte, in modo da garantire che non possano sussistere commistioni di interesse o altre interferenze tra i potenziali candidati e i componenti esterni che devono concorrere ad aggiudicare la gara”. Principi analoghi sono stati affermati anche da T.A.R. Umbria, 27.11.2009, n. 739.

CONS. STATO, SEZ. III, 17.10.2011, N. 5547

Anche il Consiglio di Stato, con riferimento all’affidamento di un appalto di assistenza domiciliare e presso casa di riposo comunale, ha ritenuto non persuasiva “l’affermazione secondo cui l’articolo 84 dovrebbe essere comunque applicato anche agli appalti esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito operativo del codice, in quanto ritenuto espressivo di principi generali di derivazione comunitaria e nazionale, in base alla previsione dell’articolo 27 del codice dei contratti pubblici.”. Nella fattispecie, il Consiglio di Stato ha, altresì, puntualizzato che:

• La scelta di bandire una gara, ai sensi dell’articolo 83 non determina alcun vincolo alla osservanza delle regole racchiuse nell’articolo 84, perché riguarda la sola opzione del metodo di individuazione della offerta migliore e non anche il procedimento da seguire;

• La circostanza che la nomina della commissione abbia potuto precedere di qualche ora soltanto la scadenza del termine per la presentazione delle offerte non sembra concretamente idonea ad influire in modo significativo sulla trasparenza e imparzialità delle operazioni di gara

In senso parzialmente opposto si è recentemente espressa la Sez. IV del CdS (10.1.2012,

n. 27), che ha ritenuto che l’art. 84, commi 1, 2 e 3 (numero dispari di componenti esperti nello specifico settore, presidenza attribuita ad un dirigente della stazione appaltante), nonché il comma 8 (scelta dei commissari in base a rotazione tra elenchi formati da professionisti con almeno 10 anni di iscrizione segnalati dagli ordini e professori universitari di ruolo segnalati dalle facoltà), costituiscano espressione di principi generali volti ad assicurare il buon andamento e l’imparzialità. Vi è, tuttavia, da precisare che, al di là dell’apparente assolutezza del principio affermato dai Giudici di secondo grado, la controversia in esame, concernente procedura d’appalto indetta da CONSIP per servizi di tipo sanitario (fornitura “in service” di servizi di dialisi), si era appuntata sulla, incontestata, mancanza di idonee professionalità ed esperienza in capo a due componenti della Commissione giudicatrice.

TAR UMBRIA, 14.3.2012, n. 96

Sulla portata delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici in materia di aggiudicazione con il criterio OEPV (artt. 83 e 84) di appalti di servizi elencati

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nell’allegato IIB si è molto recentemente espresso anche il TAR Umbria, che ha sostenuto che, pur non trovando diretta applicazione l’art. 83, 4° comma (che prevede che il bando ripartisca i criteri di valutazione in sub-criteri e sub-punteggi), una tale regola trova comunque fondamento nell’art. 12 della L. n° 241/90, essendo preordinata a limitare la discrezionalità della P.A. ed essendo posta a presidio della trasparenza dell’azione amministrativa.

T.AR. LOMBARDIA, MI, SEZ. I, 11.1.2010, N. 11)

La circostanza che la procedura ricada nell’ambito di applicazione dell’art. 20 del D.lvo n. 163/2006, come servizio appaltato all’All. II B, non esonera le amministrazioni aggiudicatici dall’applicazione dei principi generali in materia di affidamenti pubblici desumibili dalla normativa comunitaria e nazionale, con particolare riferimento, al principio di pubblicità, espressione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. (

IL PRINCIPIO DI PUBBLICITÀ

T.A.R. LOMBARDIA, MI, SEZ. I, 11.1.2010, N. 11

Ne deriva che è principio inderogabile in qualunque tipo di gara quello secondo cui devono svolgersi in seduta pubblica gli adempimenti concernenti la verifica dell’integrità dei plichi contenenti l’offerta, sia che si tratti di documentazione amministrativa che di documentazione riguardante l’offerta tecnica ovvero l’offerta economica, e conseguentemente è illegittima l’apertura in segreto dei plichi (fattispecie in tema di affidamento del C.I.E. di Via Corelli a Milano)

CONS. STATO AD. PLENARIA, 28.7.2011, n. 13

Negli appalti pubblici da aggiudicare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, il principio della pubblicità delle operazioni da svolgere in seduta pubblica trova applicazione con specifico riferimento all'apertura della busta dell'offerta tecnica. La pubblicità delle sedute di gara risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza e all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato.

T.A.R. VENETO, SEZ. I, 5.12.2011, N. 1805

Anche il T.A.R. Veneto ha ritenuto che “la seduta pubblica per l’apertura delle buste contenenti le offerte (tecniche ndr) costituisce una regola generale rispondente ai principi di trasparenza ed imparzialità” espressamente richiamati anche dall’art. 27 del D. Lgs. n° 163/06 (fattispecie in tema di affidamento di appalto di servizi sociali).

ADEGUATEZZA DEL LIVELLO DI PUBBLICITA’

T.A.R. LAZIO, SEZ. II, 21.3.2011, N. 2417

La circostanza che il servizio rientri nell’ambito della categoria n. 25 di cui all’allegato IIB del Codice dei contratti e sia sussumibile nella speciale disciplina di cui all’art. 20 del decreto legislativo n. 163 del 2006, che esclude per le procedure di affidamento di siffatti servizi l’applicazione delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici che debbono essere rispettate per l’affidamento degli appalti c.d. ordinari, limitando tale applicazione alle sole regole fissate dagli artt. 68, 65 e 225 del ridetto Codice, non autorizza il soggetto aggiudicatore a disinteressarsi totalmente del rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dalle disposizioni europee in tema di affidamento di appalti pubblici, indipendentemente dalla specifica tipologia

T.A.R. LAZIO, SEZ. II, 21.3.2011, N. 2417

In altri termini, i principi fondamentali del Trattato impongono a tutte le stazioni appaltanti l'obbligo di rispettare determinate regole nell'aggiudicazione degli appalti, regole queste che sono dettagliatamente indicate dal Codice per i contratti rientranti nel suo ambito di applicazione e che, invece, devono di volta in volta essere adeguate alla specifica situazione concreta, in ossequio dei

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più volte citati principi del Trattato, quando non vi è una normativa che li disciplina direttamente. Pertanto, pur non sussistendo “l’obbligo di rispettare pedissequamente tutte le regole fissate dal Codice, pur sempre debbano mantenersi integri i principi di origine comunitaria che costituiscono l’estremo baluardo rispetto ai tentativi di violare le regole poste a salvaguardia della legittima aspirazione degli operatori di mercato ad essere posti nella condizione di partecipare alle procedure di affidamento di appalti pubblici”. Occorre, quindi, “garantire, in favore di ogni potenziale offerente, un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura degli appalti dei servizi alla concorrenza, nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione”. Sulla base di tali principi, ha concluso il TAR del Lazio nel senso di ritenere insufficiente, ai fini dell’aggiudicazione di un appalto di servizi assistenza domiciliare e fisioterapia per anziani del valore di 1.016.000 €, la pubblicazione del bando di gara per 18 giorni sull’albo pretorio e sul sito istituzionale dell’Ente. Una tale modalità è stata ritenuta inidonea a garantire un’adeguata pubblicità in relazione al valore dell’affidamento.

T.A.R. LAZIO, SEZ. III, 1.3.2012, N. 2108

Molto recentemente il TAR Lazio ha censurato la scelta del Ministero delle Infrastrutture di procedere all’affidamento del servizio di gestione dei micro-nidi aziendali mediante procedura negoziata ex art. 27 D. Lgs. n° 163/06, mediante invito rivolto a 12 operatori, ritenendo “tale modus procedendi non pienamente rispettoso dei principi di pubblicità e trasparenza stabiliti dagli artt. 2 e 27 del D. Lgs. n° 163/06, nonché dei principi di concorrenzialità e par condicio rivenienti dalle norme suddette”. A sostegno della decisione, il TAR ha richiamato la comunicazione della Commissione Europea 1.8.2006 e la giurisprudenza comunitaria, secondo cui “i principi di uguaglianza di trattamento e di non discriminazione comportano un obbligo di trasparenza che consiste nel garantire, in favore di ogni potenziale offerente, un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura del mercato alla concorrenza”. Pertanto, si è ritenuto che, trattandosi si appalto di valore superiore alla soglia comunitaria (390.000 euro) imponesse il ricorso a mezzi di comunicazione largamente diffusi (portali internet, quotidiani, gazzette ufficiali.

CONS. GIUST. AMM., 28.8.2009, N. 731

Una gara di appalto per l’affidamento di servizi elencati nell’allegato IIB (nella specie: servizio di sorveglianza degli uffici giudiziari), non è soggetta alle forme di pubblicità prescritte dall’art. 66 del d.lgs. n. 163/06 (pubblicazione sulla G.U.R.I e sulla G.U.C.E. nonché su almeno due quotidiani a diffusione nazionale ed altrettanti a maggiore diffusione locale). Nella specie (valore appalto = € 270.000), si è ritenuta sufficiente la pubblicazione del bando, oltre che sull’albo pretorio, sulla GURS e su quotidiani locali

CONS. GIUST. AMM., 30.3.2011, N. 282

E’ da escludersi che la sola preventiva pubblicazione di un bando di gara avente ad oggetto l’affidamento di un servizio elencato nell’allegato IIB (nella specie: servizi di soccorso presso il centro di prima assistenza e il C.I.E. di Lampedusa) obblighi l’Amministrazione al rispetto dei termini di presentazione delle offerte indicati nell’art. 70 del D. Lgs. n° 163/06, essendo rimessa alla Stazione appaltante ogni opportuna valutazione circa il suddetto termine.

SULL’APPLICAZIONE DELL’ISTITUTO DELL’AVVALIMENTO

(T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 23.11.2011, n. 2174)

Secondo una recente pronuncia (relativa ad una procedura di affidamento del servizio di interventi domiciliari integrati per minori ed adulti con disagio psichico), “l’avvalimento è un istituto di carattere generale che ha come finalità quella di consentire la massima partecipazione possibile alle gare ad evidenza pubblica, permettendo alle imprese, non in possesso dei necessari requisiti speciali, di sommare le proprie capacità tecniche ed economico-finanziarie con quelle di altre imprese; tale istituto trova applicazione anche se non espressamente richiamato in sede di gara” .

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SULLA PORTATA GENERALE DEI PRINCIPI PROCESSUALI ED IN MATERIA DI EFFETTIVITA’ DELLA TUTELA

T.A.R. SICILIA, Palermo, 7.12.2011, n. 2304

Secondo una recente pronuncia (relativa ad un appalto di servizi socio-assistenziali), “l’art. 79 del D. Lgs. n° 163/06, relativo all’obbligo della comunicazione dell’aggiudicazione definitiva ai fini del decorso del termine per impugnare (oggi ridotto a soli 30 giorni ex art. 120 C.P.A.; ndr), costituisce un principio di ordine processuale” , avente portata generale ed applicabile anche alle procedure di aggiudicazione di appalti di servizi elencati nell’allegato IIB.

T.A.R. LOMBARDIA, Brescia, sez. II, 10.4.2012, n.

Punto di vista analogo è stato accolto dal TAR Brescia in occasione di un’impugnativa concernente l’aggiudicazione di una concessione di servizi. I Giudici bresciani hanno riconosciuto l’applicabilità del termine dilatorio di 35 giorni dall’invio dell’ultima delle comunicazioni dell’aggiudicazione definitiva (c.d. “stand still”) previsto dall’art. 11, co. 10, D. Lgs. n° 163/10 per la stipula del contratto, tenuto conto della collocazione della disposizione di legge nel titolo I recante i principi e le disposizioni comuni e della correlazione con i principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento.

SULL’OBBLIGO DI AGGIUDICAZIONE CON IL CRITERIO DELL’OEPV

T.A.R. PIEMONTE, SEZ. I, 6.2.2012, N. 153

In una recentissima sentenza è stata sancita l’illegittimità del ricorso al criterio di aggiudicazione del prezzo più basso in un caso di aggiudicazione di servizio socio-sanitario (gestione attività assistenza a tossicodipendenti) sulla scorta non solo del DPCM 30.3.2001, ma anche di conformi previsioni di legge regionale (art. 31 L.R. n.1/2004). E’ interessante rilevare come, tra l’altro, i Giudici piemontesi abbiano ricavato argomenti a favore della tesi accolta non solo dallo specifico divieto imposto dalla L.R., ma anche dal fatto che si trattava di appalto di servizi elencati nell’allegato IIB, per il quale, ai sensi dell’art. 20 del D. Lgs. n° 163/06, non vi era l’obbligo di applicare l’art. 81 del Codice dei Contratti pubblici. In passato il principio era già stato affermato ad esempio TAR Sardegna, con sentenza del 15 aprile n. 500/2004.

SULLA POSSIBILITA’ DI RISERVARE LA PARTECIPAZIONE ALLE PROCEDURE DI AFFIDAMENTO DI

SERVIZI SOCIALI ALLE COOP. SOCIALI Cons. Stato, sez. V, 17/4/2002, n. 2010

Risalente insegnamento giurisprudenziale aveva ammesso che, in presenza di conforme previsione di legge regionale, la partecipazione alla gara volta all’affidamento di un servizio socio-assistenziale possa essere limitata alle cooperative sociali e loro consorzi iscritte all’Albo regionale.

• Così ha ritenuto, per esempio, Cons. Stato, sez. V, 17/4/2002, n. 2010 con riferimento ad un appalto per l’affidamento della gestione dell’asilo nido di un Comune potentino, sulla base della L.R. Basilicata n. 39/93;

• Così ha ritenuto, con riferimento alla medesima legge, anche T.A.R. Basilicata, 29.11.2003, n. 1022, con riferimento all’affidamento di un servizio di assistenza a persone disabili.

T.A.R. Liguria, sez. II, 22/4/2004, n. 514

Così ha ritenuto T.A.R. Liguria, sez. II, 22/4/2004, n. 514 con riferimento all’affidamento del servizio di agenzia per la domiciliarità, in cui il G.A. si è mostrato incline a riconoscere la legittimità della riserva di partecipazione alla gara alle sole coop. sociali (e loro consorzi) e ad altri organismi del terzo settore. I Giudici Liguri hanno, in particolare, ritenuto che, vertendosi in tema di affidamento di un servizio elencato

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nell’allegato IB del D. Lgs. n° 157/95 (oggi all. IIB del D. Lgs. n° 163/06; ndr), non fosse illegittima una limitazione della partecipazione ai soli soggetti senza scopo di lucro.

AVCP, parere sulla normativa 8.7.2010, n. AG24/10

Di diverso avviso si è mostrata AVCP, che, richiesta di esprimere un parere in ordine alla possibilità di riservare ai soggetti no profit la partecipazione ad un gara per l’affidamento di servizi sociali, ha ritenuto che ostasse ad una tale eventualità la disposizione di cui all’art. 52 del D. Lgs. n° 163/06, che disciplina gli appalti riservati ai “laboratori protetti”, precisando, altresì, che la disciplina del Codice non opera distinzione tra soggetti profit e no profit.

Guida relativa all’applicazione ai servizi sociali d’interesse generale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici (Comm. Europea 7.12.2010)

La Commissione Europea ha precisato che “le Amministrazioni aggiudicatrici non possono decidere autonomamente di limitare la partecipazione a una procedura di aggiudicazione di appalti ai soli prestatori di servizi non a scopo di lucro. La direttiva "appalti pubblici" è basata sui principi di parità di trattamento e di non discriminazione degli operatori economici. In base alla direttiva non è quindi possibile riservare appalti a categorie specifiche di imprese come gli organismi senza scopo di lucro, a prescindere dal fatto che si tratti di servizi rientranti nell'allegato II A o nell'allegato II B della direttiva (come i servizi sociali)”. Tuttavia, il diritto nazionale che disciplina un'attività particolare potrebbe, in casi eccezionali, prevedere un accesso limitato a taluni servizi a favore di organismi non a scopo di lucro. In questo caso, le autorità pubbliche sarebbero autorizzate a limitare la partecipazione a una procedura di aggiudicazione di appalti agli organismi non a scopo di lucro, a condizione che il diritto interno sia conforme al diritto dell'Unione. La nozione di diritto nazionale comprende anche la legislazione regionale. Il diritto interno costituirebbe una limitazione agli articoli 49 e 56 del TFUE relativi alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei servizi che dovrebbe essere giustificata caso per caso. Sulla base della giurisprudenza della Corte di giustizia, tale limitazione potrebbe essere giustificata, in particolare, se fosse necessaria e proporzionata rispetto all'esigenza di conseguire determinati obiettivi sociali perseguiti dal sistema nazionale di previdenza sociale.

SULLE CLAUSOLE PREFERENZIALI PER LE IMPRESE LOCALI

T.A.R. SARDEGNA 30.3.2007, N. 586

Astrattamente, possono darsi due tipologie di clausole “preferenziali” per le imprese “stabilite” in un determinato ambito territoriale:

1. Clausole che consentono la partecipazione esclusivamente agli operatori economici stabiliti in un determinato ambito territoriale o che abbiano operato in un determinato ambito territoriale;

2. Clausole che, nel contesto di una gara da aggiudicarsi con il criterio OEPV, prevedono l’assegnazione di punteggi premianti per le imprese che abbiano conoscenza del contesto locale

La legittimità della prima tipologia di clausola preferenziale è stata esclusa dalla giurisprudenza amministrativa, che ne ha rilevato la natura discriminatoria ed il contrasto con il principio della libera prestazione di servizi di derivazione comunitaria. Nel caso deciso, il bando di gara prevedeva che potessero essere ammessi alla procedura indetta per l’affidamento del servizio di assistenza tecnica all’elaborazione e attuazione dei piani locali dei servizi alla persona solamente gli operatori che avessero maturato esperienza nella Regione Sardegna. Si è ritenuto che la regola di gara “violi, ancorché dissimilutamente, il divieto di discriminazione, posto che, senza alcuna plausibile ragione, agevola i prestatori di servizio localizzati in Sardegna o che, comunque, abbiano con essa uno stabile collegamento”. Ciò senza che, in senso contrario, potesse valere, la legge regionale che valorizzava la “conoscenza dei problemi sociali del territorio”, inidonea a consentire l’introduzione di una clausola di esclusione, “svincolata dalle caratteristiche strutturali delle imprese dalla loro efficienza e dalle loro capacità di rendere il servizio”.

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CDS, sez. VI, 25.1.2008, n.195

Più complesso e variegato è il giudizio espresso dalla giurisprudenza in ordine alla legittimità della clausole preferenziali. Il Consiglio di Statoha censurato il criterio che, ai fini dell’aggiudicazione di servizi previsti dal piano di zona per i servizi sociali, prevedeva l’assegnazione di punteggi (da 2 a 7 punti) in favore delle cooperative che avessero sede nei comuni dell’ambito. Un tale criterio è stato censurato per l’idoneità a favorire, in spregio alla libertà di circolazione, imprese locali “sulla base di un criterio irrilevante ai fini della affidabilità dei soggetti chiamati a svolgere i servizi di assistenza”.

CONS. STATO, SEZ. V, 11.1.2006, N. 28

In altra fattispecie, il Supremo Consesso ha escluso la legittimità di un criterio che prevedeva l’attribuzione fino ad un massimo di 20 punti per le cooperative che vantassero “esperienza pluriennale nella gestione dei servizi del’Ambito”. Ciò sulla base di argomentazioni articolate. Infatti, il CDS ha affermato che “l’attribuzione di un punteggio che miri a valorizzare in maniera differenziale un determinato nesso di collegamento con il territorio di riferimento dell’amministrazione indicente può considerarsi ammissibile soltanto se non preponderante rispetto agli altri criteri”. Nel caso scrutinato ha, quindi, concluso il CDS che “la sensibile preferenza accordata alle sole imprese localizzate su un determinato territorio a scapito di tutte le altre partecipanti non è giustificata da alcun nesso di strumentalità necessaria rispetto al conseguimento dell’interesse pubblico primario alla selezione del concorrente provvisto della migliore capacità operativa”. Il CDS ha, infine, escluso che la clausola del bando potesse essere sorretta dall’art. 4 del DPCM 30.3.2001 (che consente di valorizzare “la conoscenza degli specifici problemi sociali del territorio e delle risorse sociali della comunità”), in quanto la direttiva ricavabile non legittima “l’attribuzione di punteggio, percentualmente assai consistente, destinato a premiare il semplice fatto di aver in pregresso stretto rapporti contrattuali all’interno dell’ambito”.

Parere AVCP, 10.12.2008, n. 251

Tema analogo è stato affrontato anche da AVCP in un caso in cui, ai fini dell’aggiudicazione di un servizio di assistenza, si prevedeva l’attribuzione di 15 punti per la “partecipazione ai tavoli di concertazione a livello di ambito socio-locale-territoriale”. L’AVCP ha escluso la legittimità di un tale criterio di aggiudicazione, in quanto “non marginale” e “restrittivo”, potendo essere assegnato solo con riferimento all’ambito locale.

Parere AVCP, 6.10.2011, n. 275

In epoca recente l’AVCP ha affrontato nuovamente il tema, su sollecitazione di Confcooperative Catania, censurando un appalto per centri aggregazione giovanili da aggiudicare all’OEPV che prevedeva, tra l’altro, i seguenti criteri :

- Presenza di sedi operative nell’ambito del distretto; - Esperienze documentate nel distretto; - Stipula di protocolli con enti del distretto.

AVCP ha escluso la legittimità di tali criteri, assumendo che criteri di valutazione così come requisiti di partecipazione che privilegiano, direttamente o indirettamente, imprese locali violano i principi comunitari in tema di concorrenza e parità di trattamento, nonché di libera circolazione. AVCP ha, altresì, escluso che le previsioni del bando potessero trovare giustificazione nel DPCM 30.3.2001, che premia la “conoscenza degli specifici problemi sociali del territorio”, in quanto avulse da tale criterio.

TAR MARCHE, 19.7.2005, N. 931

Ad opposte conclusioni è pervenuto il TAR Marche con riferimento al bando che, ai fini dell’affidamento della gestione di SAD per anziani, prevedeva l’assegnazione di 3 punti le attività di coprogettazione in ambito locale. Ha ritenuto il TAR che “il riconoscimento di 3 punti per l’attività di progettazione/coprogettazione in ambito locale appare, per un verso, irrilevante ai fini dell’aggiudicazione dell’appalto, stante la sua marginalità, e per altro verso deve essere ritenuta legittima, avuto riguardo alla particolare natura dei servizi socio assistenziali oggetto dell’appalto, per i quali l’effettuazione delle relative prestazioni non può non tenere conto anche del contesto socio ambientale di riferimento, e postula che i soggetti cooperatori, che intendono assumere i medesimi servizi, abbiano una apprezzabile conoscenza del suddetto contesto”.

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OBBLIGO DI RISPETTARE IL REQUISITO DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’ESERCIZIO TAR Veneto n. 285/2012

E’ stato contestato l’affidamento dei servizi residenziali territoriali del Dipartimento di salute mentale dell’ASL mediante gara d’appalto da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta più vantaggiosa, senza aver previsto l’autorizzazione dell’attività assistenziale come requisito necessario per la partecipazione. Il TAR per il Veneto ha riconosciuto la legittimità dell’istanza e stabilito l’annullamento del bando. Per il TAR i servizi assistenziali delle ASL regionali devono essere assicurati dalle aziende ospedaliere o dagli istituti di ricovero o cura oppure proprio da soggetti – pubblici o privati come le cooperative sociali – accreditati e autorizzati secondo il DLGS 502/1992. L’autorizzazione all’esercizio del servizio assistenziale oggetto del bando emesso dall’ASL 13 doveva quindi essere un requisito di ammissione preesistente.

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Le concessioni di servizi e il project financing Pietro Moro

Le concessioni come strumento del partenariato pubblico

privato

Cosa vedremo

� Le Concessioni come strumenti del partenaritopubblico privato:

� concessioni di servizi (art. 3 comma 12 e art. 30 del cod. app. )

� concessioni di costruzione e gestione (art.3comma 11 e artt. 143 e ss cod. app.)

� finanza di progetto (art. 153 cod. app.)

� La distinzione tra appalti e concessioni

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Cosa non vedremo

� Le concessioni di servizi pubblici locali (artt. 3 bis e 4 del D.l. 138/2011 così come modificati dal D.L. 1/2012 )

� L’accreditamento: che secondo una buona parte della dottrina e giurisprudenza ha natura concessoria ed è in ogni caso una delle massime espressioni del partenariato pubblico privato.

Le concessioni e il parternariatopubblico privato

� Le concessioni sono il principale strumento con cui attuare il PPP.

� Nel “libro verde”della Commissione Europea relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni si afferma che il termine PPP si riferisce in generale a “forme di cooperazione tra le autorità pubbliche e il mondo delle imprese che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un’infrastruttura o la fornitura di un servizio”.

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Le concessioni e il parternariatopubblico privato

� Il PPP di tipo “puramente contrattuale” è quello “basato esclusivamente su legami contrattuali tra i vari soggetti. Esso definisce vari tipi di operazioni, nei quali uno o più compiti più o meno ampi - tra cui la progettazione, il finanziamento, la realizzazione, il rinnovamento o lo sfruttamento di un lavoro o di un servizio -vengono affidati al partner privato”.

� Il principale modello di partenariato di tipo puramente contrattuale è la concessione.

Le concessioni e il partenariatopubblico privato

� I partenariati di tipo istituzionalizzato: quelli che implicano una cooperazione tra il settore pubblico e il settore privato in seno a un’entitàdistinta e che comportano, quindi, la creazione di un’entità detenuta congiuntamente dal partner pubblico e dal partner privato, la quale ha la “missione” di assicurare la fornitura di un’opera o di un servizio a favore del pubblico.

� Il modello di partenariato di tipo istituzionalizzato più conosciuto è quello della società mista.

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Le Concessioni e il parternariatopubblico privato

� Caratteristiche dei PPP secondo il libro verde:

� a. La durata relativamente lunga della collaborazione tra il partner pubblico ed il partner privato relativamente ai vari aspetti di un progetto da realizzare.

� b. La modalita� di finanziamento del progetto, garantito da parte del settore privato. Spesso quote di finanziamento pubblico, a volte notevoli, possono aggiungersi ai finanziamentiprivati.

� c. Ruolo centrale dell’operatore economico, che partecipa a varie fasi del progetto. Il partner pubblico si concentra principalmente sulla definizione degli obiettivi da raggiungere in termini di interesse pubblico, di qualita� dei servizi offerti, di politica dei prezzi, e garantisce il controllo del rispetto di questi obiettivi.

� d. La ripartizione dei rischi tra il partner pubblico ed il partner privato. Tale ripartizione dei rischi si effettua caso per caso, in funzione della capacita� delle parti di valutare, controllare e gestire gli stessi.

Le Concessioni e il parternariatopubblico privato

� PPP inteso come una manifestazione del principio della sussidiarietà orizzontale, (art. 118 Cost.) che favorisce l'autonomia iniziativa dei cittadini singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

� La sussidiarietà non deve essere intesa come una sostituzione dei privati all'amministrazione, bensì come un incontro di volontà tra soggetti pubblici e privati che concorrono su un piano almeno tendenzialmente, paritario a realizzare iniziative di pubblico interesse.

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Le Concessioni e il partenariatopubblico privato

� Art 3 comma 15 ter codice dei contratti “i contratti di partenariato pubblico privato" sono contratti aventi per oggetto una o più prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un'opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti. Rientrano, a titolo esemplificativo, tra i contratti di partenariato pubblico privato la concessione di lavori, la concessione di servizi, la locazione finanziaria, il contratto di disponibilità, l'affidamento di lavori mediante finanza di progetto, le società miste.

Le Concessioni: nozione

� Nozione classica: affidamento a mezzo di provvedimento amministrativo al soggetto privato dell’esercizio di una attività o di un bene inerente alla sfera di azione dell’amministrazione pubblica. Figure tipiche:

� Concessioni di beni demaniali (spiagge)

� Concessioni di servizi pubblici (ferrovie, frequenze) / servizi pubblici locali (reti idriche, gas, raccolta e smaltimento dei rifiuti)

� Concessioni di costruzione e gestione di opere pubbliche (autostrade)

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Le Concessioni: nozione

� La normativa comunitaria (Direttiva 2004/18 e Libro Verde) “detipiciza” i rapporti concessori passando da una concezione tutta centrata sul provvedimento amministrativo e sull’oggetto dello stesso (che nel caso di servizi ènormalmente il trasferimento di una funzione pubblica) a quella contrattualistica fondata sulle modalità di funzionamento del rapporto che si caratterizza per essere trilaterale: amministrazione concedente, gestore del sevizio, collettività che fruisce del servizio.

Concessione di servizi

� Definizione art. 3 comma 12 Cod. App.: La "concessione di servizi" e' un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità all'art. 30.

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Concessione di servizi

� Elemento qualificativo: la modalità di remunerazione del concessionario .

� La remunerazione consiste nel diritto di gestire il servizio.

� Il concessionario in via ordinaria non è remunerato dalla amministrazione aggiudicatrice ma ha diritto di riscuotere un corrispettivo presso terzi (rispetto alla amministrazione concente) (C.206/08 del 10/09/2010).

Concessione di servizi

� “L’appalto di servizi concerne dunque prestazioni rese in favore dell’Amministrazione, mentre la concessione di servizi riguarda sempre un articolato rapporto trilaterale, che interessa l’Amministrazione, il concessionario e gli utenti del servizio. Ciò comporta, di regola, ulteriori conseguenze sull’individuazione dei soggetti tenuti a pagare il corrispettivo dell’attivitàsvolta; normalmente nella concessione di servizi il costo del servizio grava sugli utenti, mentre nell’appalto di servizi spetta all’Amministrazione l’onere di compensare l’attività svolta dal privato”. (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, n. 1622/2011)

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Concessioni di servizi

� Rischio di impresa legato alla gestione del servizio deve essere a carico del concessionario.

� Rischio inteso come esposizione all’ alea del mercato che può tradursi nel rischio di concorrenza da parte di altri operatori, nel rischio di uno squilibrio tra domanda e offerta, nel rischio di insolvenza dei soggetti che devono pagare il prezzo dei servizi forniti, nel rischio di mancata copertura delle spese di gestione mediante le entrate o ancora nel rischio di responsabilità di un danno legato ad un carenza del servizio ( C.297/90 del 10/03/2011)

Concessioni di servizi

� “La concessione di servizi prevede il trasferimento in capo al concessionario della responsabilità della gestione, da intendersi come assunzione del rischio, che dipende direttamente dai proventi che il concessionario può trarre dalla utilizzazione economica del servizio”. (Consiglio di Stato, sez. V, n. 3377/2011)

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Concessioni di servizi

� Il prezzo previsto dalla normativa (art. 30 comma 2) èda intendersi come compartecipazione finanziaria della amministrazione concedente:� è una eccezione che non può mai giungere a

rendere insussistente il rischio di impresa a carico del concessionario.

� è possibile solo nei casi previsti dalla norma “Il soggetto concedente stabilisce in sede di gara anche un prezzo, qualora al concessionario venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile di impresa, ovvero qualora sia necessario assicurare al concessionario il perseguimento dell’equilibrio economico - finanziario degli investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare”.

Concessioni di servizi

� Amministrazione che voglia pervenire alla concessione di servizideve organizzare una gara informale (art .30 commi 1 e 3, 4 e 7):

� alla quale sono invitati almeno cinque concorrenti (se individuabili in tal numero in relazione all'oggetto della concessione; la particolarità del servizio e delle sue modalità di gestione potrebbe comportare per l'Amministrazione concedente l'invio dell'invito ad un numero più ristretto di potenziali affidatari);

� che deve essere realizzata rispettando i principi di trasparenza(quindi con necessaria definizione delle regole di sviluppo in un disciplinare di gara), adeguata pubblicità (quindi con possibile pubblicizzazione mediante avviso a presentare manifestazione d'interesse), non discriminazione (non consente di apporre riserve di partecipazione nei bandi di gara a determinati soggetti giuridici), parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità (quindi con definizione di requisiti di partecipazione alla selezione adeguati);

� con predeterminazione dei criteri selettivi.

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Concessioni di servizi

� In relazione alla gestione del processo selettivo, all'art. 30 si collegano peraltro:� l'art. 83 del codice app., il quale dispone che per selezioni

con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa siano considerati, tra gli elementi ulteriori al prezzo, "in caso di concessioni, altresì la durata del contratto, le modalità di gestione, il livello e i criteri di aggiornamento delle tariffe da praticare agli utenti”.

� l'art. 143 comma7 (espressamente applicabile ex art. 30 comma 7 in quanto compatibile), il quale prevede che l'offerta e il contratto debbano contenere il piano economico-finanziario di copertura degli investimenti e della connessa gestione per tutto l'arco temporale prescelto e devono prevedere la specificazione del valore residuo al netto degli ammortamenti annuali, nonchél'eventuale valore residuo dell'investimento non ammortizzato al termine della concessione.

Concessioni di servizi

� La gara informale e � strutturata nel rispetto dei principi di non discriminazione, parita� di trattamento, proporzionalita � e trasparenza, quindi con:

� a) regole precise, da rendere note a tutti gli operatori invitati;

� b) garanzia degli stessi flussi informativi e delle stesse possibilita� di confronto a tutti i partecipanti;

� c) impostazione del percorso selettivo in termini razionali e chiari.

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Concessioni di servizi

� La gara informale costituisce un modulo procedimentale caratterizzato da amplissima discrezionalità dell’Amministrazione nella fissazione delle regole selettive, con conseguente non soggezione alle regole interne e comunitarie dell’evidenza pubblica, ferma restando la sola necessitàdel rispetto dei principi di logicità e parità di trattamento tra i concorrenti (TAR Puglia-Bari, sez. I, sentenza 21.11.2007 n° 2768)

� La gara informale (o “ufficiosa”) è da intendersi come procedura da realizzarsi seguendo le regole per essa definite nell’avviso con cui e �stata indetta o nella lettera di invito (in tal senso Tar Puglia– Lecce, sez. II, sent. n. 404 del 11 febbraio 2008). L'applicazione di norme, non direttamente richiamate dall'art. 30, D.Lgs.n. 163/2006, non può che rientrare nella discrezionalità della stazione appaltante, la quale può decidere di autovincolarsi ed assoggettarsi al sub procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta: laddove la legge di gara non abbia fatto nessun richiamo alla procedura di valutazione dell'anomalia dell'offerta, gli art. 86 e 88 del codice dei contratti non possono trovare diretta applicazione (Cons. Stato Sez. V, Sent., 24-03-2011, n. 1784, T.A.R. Sicilia Palermo, sez. III, 11/01/2010, n. 232).

Concessioni di servizi

� Per gara informale od ufficiosa la giurisprudenza intende in particolare quel procedimento attraverso il quale la stazione appaltante non tratta con un unico soggetto, ma invita determinate ditte a proporre le offerte e, sulla base di criteri obiettivi predeterminati, giunge poi alla individuazione dell'aggiudicatario (Tar Lazio – Roma, sez. II-ter, sentenza n. 8046 del 3 settembre 2008

� L’informalita� della gara non puo� dar luogo ad arbitri, poiche � la scelta del contraente deve comunque rispondere a criteri di logicita � ed attenersi a principi di trasparenza, imparzialita� e buon andamento.

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Concessione di costruzione e gestione di opera pubblica

� In base all’art. 3 comma 1 (n. 11), del Cod. App., le concessioni di costruzione e di gestione di lavori pubblici sono "contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta, aventi ad oggetto, in conformità al presente codice, l'esecuzione, ovvero la progettazione esecutiva e l'esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica, che presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo. (si veda anche l’art.143)

Concessione di costruzione e gestione di opera pubblica

� L'amministrazione: � approva il progetto delle opere e le eventuali varianti,

� esercita sulla concessione compiti di vigilanza nel corso dell'esecuzione dei lavori,

� provvede al collaudo finale dell'opera,

� otterrà al termine della concessione le opere realizzate.

� Il concessionario � predispone il progetto definitivo e/o esecutivo (ma il

progetto può essere circoscritto anche al solo completamento della progettazione ovvero alla revisione della medesima da parte del concessionario) delle opere da realizzare,

� provvede all'esecuzione dei lavori a propria cura e spese direttamente o mediante appalto a terzi,

� provvede alla gestione del servizio.

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Concessione di costruzione e gestione di opera pubblica

� Il concessionario: � assume il rischio connesso alla realizzazione dell'opera e alla

gestione del servizio,

� effettua le spese di investimento per la progettazione e l'esecuzione delle opere (che dovranno tornare gratuitamente al concedente al termine della concessione)

� sostiene gli oneri di gestione,

� in cambio del diritto a riscuotere i corrispettivi presso gli utenti beneficiari del servizio.

� Il concessionario beneficia come controprestazione del diritto - eventualmente accompagnato da un prezzo -di gestire e sfruttare l’opera per un tempo tale da consentirgli il perseguimento dell'equilibrio economico finanziario.

Concessione di costruzione e gestione di opera pubblica

� Gli articoli 144, 145, 146, 147, 149 cod. app. disciplinano le procedure di affidamento dei lavori pubblici prevedendo che :

� necessario l'espletamento di una procedura aperta o ristretta,

� utilizzo il criterio dell'offerta economicamente piùvantaggiosa,

� sempre pubblicazione di un bando,

� stabiliscono poi i termini per la presentazione delle candidature e delle offerte,

� gli obblighi e le facoltà del concessionario in relazione all'affidamento a terzi di una parte dei lavori.

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Concessione di costruzione e gestione di opera pubblica

� Il concessionario non può decidere indifferentemente nel corso dell’esecuzione dell’opera o servizio se affidare appalti alla propria organizzazione di impresa o a terzi ma deve stabilirlo preventivamente entro i margini che gli sono consentito dal concedente.

� Il concedente può imporre di affidare a terzi almeno il 30 % degli appalti o di indicare nell’offerta la percentuale di lavori che intende affidare a terzi.

� I lavori/servizi che il concessionario svolge con la propria organizzazione di impresa (intendendosi anche quelle delle imprese che si sono raggruppate o consorziate per ottenere la concessione o le imprese controllate) possono essere assegnati liberamente.

� I lavori/servizi che si affidano a soggetti terzi devono essere appaltati per il tramite di procedure di evidenza pubblica.

Concessione di costruzione e gestione di opera pubblica

� Sinergia tra:

1. ente pubblico che ha necessità dell’opera, a costo vicino allo zero, e del servizio e regola i rapporti con gli altri attori per mezzo della concessione,

2. le imprese interessate alla realizzazione delle opere che mirano a rientrare dell’investimento (con annesso guadagno),

3. le imprese interessate alla gestione del servizio o di parte diesso normalmente diverse da quelle sub 2,

4. 2 e 3 regolano i loro rapporti in via contrattuale per retrocedere parte dei proventi del servizio da 3 a 2 (passando da schemi semplici es. affitto, associazione in partecipazione a molto complesse operazioni di contratti misti/atipici o societarie) il più delle volte dentro la cornice di raggruppamenti di impresa o consorzi.

5. il sistema bancario ( comma 3 bis del 144 cod.app: i bandi e il piano finanziario “sono definiti in modo sono assicurare adeguati livelli di bancabilità”) .

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Distinzione tra concessione di opera e gestione e concessione

di servizi� Nel caso della concessione di costruzione e

gestione di lavori pubblici la "gestione funzionale ed economica" dell'opera si traduce in un servizio a favore dell'utenza del tutto simile all'attività oggetto della concessione di servizi

� Nella concessione di costruzione e gestione l'opera diventa l'oggetto principale del contratto, mentre il servizio rappresenta uno strumento accessorio di remunerazione dell'esecuzione dei lavori.

Distinzione tra concessione di opera e gestione e concessione

di servizi� Come evidenziato dalla Commissione CE nella comunicazione

interpretativa sulle concessioni nel diritto comunitario del 29 aprile 2000 (2000/C 121/02), la distinzione tra le due tipologie di concessione si basa su un criterio di prevalenza funzionale, percui se un contratto ha come oggetto principale la costruzione di un'opera o l'esecuzione e realizzazione di lavori per conto del concedente si tratta di una concessione di lavori, se invecei lavori sono meramente accessori rispetto all'oggetto principale del contratto si tratta di una concessione di servizi.

� In particolare quando l'aspetto gestionale ha rilievo predominante e contempla la realizzazione di lavori solo a titolo accessorio, si tratterà di una concessione di servizi che sarà disciplinata secondo l’art.30.

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Project Financing

� Non è un istituto autonomo ma è riconducibile al “genus” delle concessioni di costruzione e gestione pur con alcune caratteristiche peculiari.

� E’ un procedimento volto all’affidamento di una concessione.

� E’ disciplinato dall’articolo 153 del cod. appalti.

Project Financing

� Sistema di finanziamento per la realizzazione di infrastrutture pubbliche che attinge a risorse progettuali e a capitali privati, recuperabili grazie al flusso di denaro generato dalla infrastruttura stessa una volta che questa sia entrata in gestione.

� Project financing e� quindi un’operazione di finanziamento che e � valutata da azionisti e banche finanziatrici principalmente per le sue capacita� di generare ricavi e dove i flussi di cassa connessi alla gestione sono la fonte primaria per ilrimborso del debito e la remunerazione del capitale di rischio.

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Project Financing

� L’iniziativa economica e � realizzata attraverso la costituzione di una societa� di progetto(Special Purpose Vehicle– Spv) che consente la separazione economica e giuridica dell’investimento.

� Applicazione del principio “ring fence” cioe� la separazione economica e giuridica fra il patrimonio di coloro che promuovono l'iniziativa ed il patrimonio della societa� di progetto; anche se vi sono particolari forme contrattuali (cosiddetto limited recourse), che prevedono una qualche attenuazione di questo principio.

� Da una parte i creditori non hanno accesso al patrimonio degli sponsor (per esempio l'ente pubblico che ha sollecitato il progetto e le imprese che si fanno carico della costruzione), se non nella misura in cui questo patrimonio sia stato conferito alla societa� di progetto; dall'altra i soggetti conferenti conservano intatta, almeno in prima istanza, la loro capacita� di indebitamento, per il fatto che non appaiono, nel loro bilancio, i finanziamenti assunti dalla spv per la realizzazione dell'opera, ma solo gli attivi conferiti.

Project Financing

� L’investimento e� valutato da banche ed azionisti principalmente per la sua capacita� di generare ricavi.

� I flussi di cassa connessi alla gestione delle opere realizzate sono la fonte primaria per la copertura del debito e la remunerazione del capitale di rischio.

� Cio� che viene valutato e� il merito del progetto, e non quello del soggetto proponente.

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Project Financing

� OPERE “CALDE”� Progetto che si ripaga autonomamente, in quanto dotato di una

intrinseca capacità di generare reddito attraverso ricavi da utenza, che consentono al settore privato un integrale recupero dei costi di investimento nell’arco della vita della concessione (es. autostrade)

� OPERE “FREDDE”� Progetto che si ripaga attraverso pagamenti effettuati dalla

Pubblica Amministrazione (es. carceri, scuole, ospedali)

� OPERE “TIEPIDE”� Progetto che richiede una componente di contribuzione pubblica,

in quanto i ricavi da utenza non sono sufficienti a ripagare interamente le risorse impiegate per la loro realizzazione ed incui, per consentirne la fattibilità

Project Financing procedure

� La prima procedura consiste in una gara che l’amministrazione bandisce sulla base dello studio di fattibilità inserito nella programmazione triennale, invitando i concorrenti interessati a presentare proposte di progetto preliminare dell’opera. Sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ex art. 83 del Codice, si procede all’individuazione dell’offerta migliore e, correlativamente, all’individuazione del promotore nell’autore di essa.

� La procedura si conclude con l’affidamento della concessione allo stesso promotore risultato vincitore della gara, laddove l’amministrazione non ritenga che il progetto proposto necessiti di modifiche (in caso contrario, si farà luogo alla seconda fase “negoziata” con il promotore, e, in caso di mancata accettazione delle modifiche richieste, a una terza fase in cui la negoziazione avrà come interlocutori i concorrenti successivi in graduatoria).

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Project Financing

� La seconda procedura è una gara duplice: la prima gara è finalizzata, con i medesimi meccanismi di cui alla prima procedura, all’individuazione del promotore; tuttavia, questi non potrà mai essere automaticamente aggiudicatario, in quanto si apriràuna seconda gara tesa all’affidamento definitivo dell’opera, nell’ambito della quale la posizione di vantaggio del promotore si concretizza nel diritto di prelazione che egli può far valere nei confronti dell’eventuale vincitore diverso;

� entrambe le procedure, peraltro, costituiscono vere e proprie gare, da espletarsi col criterio dell’offerta piùvantaggiosa, e previa pubblicazione di un bando ai sensi degli artt. 66 o 122 del Codice.

Project Financing

� Presupposto della terza procedura è che l’amministrazione, dopo aver proceduto all’approvazione dell’elenco annuale delle opere incluse nella programmazione di cui all’art. 128, sia rimasta inerte per sei mesi, non procedendo a bandire alcuna gara. Nei quattro mesi successivi, i soggetti in possesso dei requisiti indicati al comma 8 dell’art. 153 per acquisire la veste di promotore possono presentare “proposte” per la realizzazione di opere incluse nell’elenco annuale: tali proposte devono avere il medesimo contenuto delle “offerte” descritte dal comma 9 a proposito della prima procedura (e, quindi, devono contenere, tra le altre cose, il progetto preliminare dell’opera), e sulla base di esse l’amministrazione provvede a pubblicare un avviso, dando avvio a una procedura selettiva nella quale non solo le imprese che hanno già presentato proposte possono opportunamente variarle, ma possono farsi avanti con proprie offerte anche altre imprese. Individuato così il promotore, si avvia la gara vera e propria, che, per espressa previsione normativa, può svolgersi nelle forme del dialogo competitivo (art. 58), ove il progetto selezionato necessiti di modifiche, ovvero nelle forme “ordinarie” dell’art. 143 o ancora in quelle della seconda procedura sopra esaminata.

� Si tratta dunque di una procedura che nasce con modalità autonome e originarie, ma è destinata poi, dopo la individuazione del promotore, a confluire in una delle altre forme procedimentali.

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Project Financing e Concessione di opere

� Sia nel caso del project finance che in quello della concessione di costruzione la remunerazione del capitale investito avviene normalmente tramite la gestione funzionale ed economica dell’opera realizzata data a tale scopo in concessione.

� Nella concessione la PA deve disporre del progetto preliminare (o addirittura definitivo) che definisce l’insieme degli obiettivi da raggiungere oltre alle caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori.

Project Financing e Concessione di opere

� Nella concessione di opere l’onere di strutturazione del progetto è tutto interno all’amministrazione.

� Nel P.F. sia li progetto preliminare ( relativo a costi e impiego di risorse) che il piano economico finanziario sono predisposti del promotore.

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Project FinancingeConcessione di opere

� Ai sensi dell’Art. 153 le offerte devono contenere:

� Un progetto preliminare

� Una bozza di convenzione

� Un piano economico finanziario asseverato da una banca comprendente anche l’importo delle spese sostenute per la predisposizione delle offerta e della proposta

� La specificazione delle caratteristiche del servizio e della gestione

Project Financing e Concessione di opere

� Il P.F. assegna alla progettazione privata una ruolo centrale demandandole le scelte strategiche dell’intervento seppur nell’ottica di un quadro dell’intervento parzialmente disegnato dal disciplinare di gara (ubicazione, sommaria descrizione dell’intervento, destinazione urbanistica, tipologia del servizio da gestire).

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Project Financing e Concessione di opere

� Altra differenza tra il P.F e la Concessione è il requisito della richiesta dell’asseverazione di una banca.

� Il promotore dell’iniziativa deve ottenere (con o senza garanzie) la fiducia della banca e dei finanziatori ( che può essere la stessa banca asseveratrice) sul fatto che il progetto sia reddivo.

� Servono banche in grado di valutare i progetti.

Project finance di servizi

� Introduzione della finanza di progetto anche nell'ambito dei servizi.

� L'articolo 278 del DPR 207/2010 (Regolamento di esecuzione Cod.App. ) prevede la possibilitàche soggetti privati, ai fini dell’affidamento in finanza di progetto di contratti di concessione di servizi, presentino proposte contenenti uno studio di fattibilità, una bozza di convenzione, un piano economico-finanziario asseverato da un istituto di credito, la specificazione delle caratteristiche del servizio e della gestione.

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Project finance di servizi

� Il comma 3 indica quali sono i profili che l'amministrazione aggiudicatrice deve tenere in considerazione ai fini della valutazione delle proposte di finanza di progetto: la funzionalita�, la fruibilita� del servizio, l’ accessibilita� al pubblico,il rendimento,il costo di gestione e di manutenzione, la durata della concessione, le tariffe da applicare, la metodologia di aggiornamento delle stesse,il valore economico del piano e del contenuto della bozza di convenzione.

Project finance di servizi

� Nel caso di una pluralità di proposte, ai fini della scelta del promotore le stesse devono essere valutate comparativamente “nel rispetto dei principi di cui all'articolo 30, comma 3, del codice”(gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all'oggetto della concessione, con predeterminazione dei criteri selettivi e rispetto dei principi del Trattato)

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Projet finance di servizi

� Una volta scelto il promotore ai fini della scelta del concessionario, le amministrazioni aggiudicatrici procedono ad indire una gara informale ai sensi dell'articolo 30, comma 3, del codice (quindi, sempre gara informale), cui viene invitato anche il promotore, ponendo a base di gara la proposta presentata dallo stesso. Nella fase di scelta del concessionario, il promotore puo� adeguare la propria proposta a quella giudicata dall'amministrazione piu�conveniente. In tal caso il promotore risultera�affidatario della concessione (prelazione).

Project finance di servizi

� Per tutto quanto non espressamente regolato dall’ articolo 278 si applicano al projet finance di servizi le disposizioni del codice e del regolamento in quanto compatibili ed in particolare le norme sul projet finance di opere

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La coprogettazione: declinazioni territoriali e strumenti Franco Dalla Mura

1. funzioni e servizi

2. i recenti indirizzi in tema di servizi pubblici locali

3. il DPCM 30 marzo 2011 (fra strumentalizzazioni e sottovalutazioni)

4. la proposta di nuova Direttiva Appalti COM(2011) - 896

5. il principio di sussidiarietà

a. il senso b. gli spazi c. gli strumenti

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1. FUNZIONI E SERVIZI la funzione pubblica: doveroso perseguimento di un valore giuridico i SPL: strumenti per l’esercizio della funzione art. 112 T.U.O.E.L: Gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali. i servizi strumentali: supporto all’esercizio delle funzioni

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2. LA GESTIONE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI • la questione della rilevanza economica

• la questione dei “servizi a rete) • le possibili modalità di “gestione” (dal DL 138/2011 al DL 1/2012) ordinarie:

� liberalizzazione e gestione concorrenziale (universalità ed accessibilità)

� gestione concorrenziale con imposizione di obblighi di pubblico servizio (accreditamento)

� gestione concorrenziale con imposizione di obblighi di pubblico servizio e trasferimenti a compensazione (accreditamento ed accordo contrattuale)

straordinarie

� diritti di esclusiva a più gestori (anche come soci operativi)

� diritti di esclusiva ad unico gestore (anche come soci operativi)

� gestione in house

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3. IL DPCM 30 MARZO 2011 (fra strumentalizzazioni e sottovalutazioni) Art. 1 (...) Le regioni, sulla base del presente provvedimento, adottano specifici indirizzi per: (...) c) favorire l'utilizzo di forme di aggiudicazione o negoziali che consentano la piena espressione della capacità progettuale ed organizzativa dei soggetti dei terzo settore; d) favorire forme di coprogettazione promosse dalle amministrazioni pubbliche interessate, che coinvolgano attivamente i soggetti del terzo settore per l'individuazione di progetti sperimentali ed innovativi al fine di affrontare specifiche problematiche sociali; Art. 7 Al fine di affrontare specifiche problematiche sociali, valorizzando e coinvolgendo attivamente i soggetti del terzo settore, i comuni possono indire istruttorie pubbliche per la coprogettazione di interventi innovativi e sperimentali su cui i soggetti del terzo settore esprimono disponibilità a collaborare con il comune per la realizzazione degli obiettivi. Le regioni possono adottare indirizzi per definire le modalità di indizione e funzionamento delle istruttorie pubbliche nonché per la individuazione delle forme di sostegno. v. nuova direttiva appalti (12° e 15° considerando) v. sussidiarietà

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4. LA PROPOSTA DI NUOVA DIRETTIVA APPALTI 12° considerando • regime specifico per i servizi sociali, sanitari e scolastici (solo i

principi fondamentali) • libertà di fornire i servizi direttamente o con modalità che non

comportino la conclusione di contratti di appalto pubblici; es: o semplice finanziamento o concessione di licenze o autorizzazioni a tutti gli operatori

economici aventi i requisiti, senza limiti o quote (pubblicità sufficiente, trasparenza, non discriminazione)

15° considerando • maggiore flessibilità nelle procedure di affidamento con negoziati • a condizione che si rispettino i principi fondamentali � articolo 27 (procedura competitiva con negoziato)

• avviso (manifestazione interesse) • manifestazione interesse • invito

o requisiti minimi o criteri aggiudicazione o specifiche tecniche

• domanda di partecipazione e offerta scritta(minimo 30 gg. di tempo)

• negoziati o restano fissi:

� descrizione appalto � specifiche tecniche che definiscono i requisiti minimi � criteri di aggiudicazione

o parità di trattamento o anche fasi (di eliminazione) successive

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17° considerando • ricerca e innovazione (sociale): motori della crescita • utilizzare strategicamente gli appalti per stimolare l’innovazione ed

affrontare le sfide a valenza sociale • specifica procedura per partnership a lungo termine per lo sviluppo

ed il successivo acquisto di servizi

� articolo 29 ((partenariati per l’innovazione)

• bando di gara per partenariato strutturato per lo sviluppo di servizi innovativi e successivo acquisto degli stessi (a condizione che essi corrispondano alle prestazioni e ai costi concordati)

• solo per soddisfare le esigenze individuate dall'amministrazione aggiudicatrice, che non possono essere soddisfatte con soluzioni esistenti

• fasi successive (secondo la sequenza delle fasi del processo di ricerca e di innovazione)

• obiettivi intermedi con rate di remunerazione • possibile risoluzione ad ogni fase • aggiudicazione con procedimento competitivo con negoziato • no per ostacolare, limitare o distorcere la concorrenza

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5. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’ Costituzione della Repubblica Italiana – art. 118: Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà Costituzione della Repubblica Italiana – art. 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale T.U.O.E.L. – art. 3: I comuni e le province svolgono le loro funzioni anele attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali. L. 59/1997 (Bassanini): I conferimenti di funzioni di cui ai commi 1 e 2 avvengono nell'osservanza dei seguenti princìpi fondamentali: c) il principio di efficienza e di economicità, anche con la soppressione delle funzioni e dei compiti divenuti superflui; g) il principio di adeguatezza, in relazione all'idoneità organizzativa dell'amministrazione ricevente a garantire, anche in forma associata con altri enti, l'esercizio delle funzioni;

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La sussidiarietà: dal “principio” alla pratica: a. senso

• realizzare la funzioni pubbliche in modo quantitativamente e qualitativamente migliore

• realizzare il principio democratico per cui singoli e formazioni sociali possono svolgere pubbliche funzioni

• salvaguardare la titolarità istituzionale delle funzioni b. spazi

� disponibilità delle persone e delle formazioni sociali

� adeguatezza

� sostenibilità c. strumenti

� strumenti “sostanziali”: art. 11 L. 241/1990

� procedure: art. 1 L. 241/1990

� compensazioni

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art. 11 L. 241/1990: In accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell'articolo 10, l'amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo. Al fine di favorire la conclusione degli accordi di cui al comma 1, il responsabile del procedimento può predisporre un calendario di incontri cui invita, separatamente o contestualmente, il destinatario del provvedimento ed eventuali controinteressati. Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga altrimenti. Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i princìpi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. Gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l'amministrazione recede unilateralmente dall'accordo, salvo l'obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato. A garanzia dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa, in tutti i casi in cui una pubblica amministrazione conclude accordi nelle ipotesi previste al comma l, la stipulazione dell'accordo è preceduta da una determinazione dell'organo che sarebbe competente per l'adozione del provvedimento.

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art. 1 L. 241/1990: L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità , di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell'ordinamento comunitario. L.59/1997 (Bassanini): I conferimenti di funzioni di cui ai commi 1 e 2 avvengono nell'osservanza dei seguenti princìpi fondamentali: c) il principio di efficienza e di economicità, anche con la soppressione delle funzioni e dei compiti divenuti superflui; g) il principio di adeguatezza, in relazione all'idoneità organizzativa dell'amministrazione ricevente a garantire, anche in forma associata con altri enti, l'esercizio delle funzioni; Decisione CE del 20.12.2011 applicazione delle disposizioni dell’articolo 106, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea agli aiuti di Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico, concessi a determinate imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale

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PUBBLICI POTERI E COOPERAZIONE SOCIALE COOPERAZIONE SOCIALE E WELFARE:

STRUMENTI CONSOLIDATI E NUOVI MODELLI ORGANIZZATIVI 30 maggio 2012 Palazzo della Cooperazione – Roma, Via Torino, n. 146

Ore 10.00

Registrazione dei partecipanti

SESSIONE I VALORIZZARE LE CITTÀ

Ore 10.30 Intervengono

Giuseppe Guerini - Presidente Federsolidarietà Giacomo Bazzoni - Presidente Commissione Affari sociali e welfare Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI)

Il progetto di investimento per il recupero della ex polveriera a Reggio Emilia: strategie alternative alla alienazione per la valorizzazione del patrimonio - Ugo Baldini (Cooperativa Caire Urbanistica)

SESSIONE II GLI AFFIDAMENTI DI SERVIZI SOCIALI:

DALL’ESPERIENZA ITALIANA ALLA PROPOSTA DI DIRETTIVA COMUNITARIA

Ore 11.15 I servizi sociali di interesse generale nel quadro normativo comunitario - Concetta Cultrera (Direzione Generale occupazione, affari sociali ed inclusione della Commissione Europea)

Ore 11.45 La cornice ordinamentale: fonti e soggetti istituzionali - Luciano Gallo (Mariani, Menaldi & Associati) Gli affidamenti di servizi sociali dell’allegato IIB: dai principi all’applicazione - Aldo Coppetti (Studio Legale Coppetti) Le concessioni di servizi e il project financing - Pietro Moro (Unicaf)

Ore 13.30 Dibattito

Ore 14.00 Pausa pranzo

SESSIONE III TERRITORI E STRUMENTI

Ore 15.00

La coprogettazione: declinazioni territoriali e strumenti - Franco Dalla Mura (Studio Legale Dalla Mura)

Ore 15.45 Le partnership con gli enti pubblici: alcune buone prassi territoriali I “patti per la sussidiarietà” in Liguria - Valerio Balzini (Segretario Generale Confcooperative Liguria) La coprogettazione a Lecco - Gabriele Marinoni (Presidente Consorzio Consolida) Il partneriato nell’assistenza domiciliare a Perugia - Carlo Di Somma (Presidente Federsolidarietà Umbria)

Ore 16.30

Dibattito

Ore 17.00 Conclusione dei lavori

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Secondo una stima del WWF per produrre un chilo di carta comune (quella utilizzata normalmente nelle stampanti) sono necessari 0,7 kg di cellulosa. Per produrre un kilogrammo di cellulosa servono 0,0036 metri cubi di legno. Una risma da 500 fogli di carta formato A4 (21 x 29,7 cm) da 80 grammi, al metro quadro pesa 2,494 kilogrammi. Per produrla servono quindi 2,494 x 0,7= 1,7458 kg di cellulosa, equivalenti a 0,00628 metri cubi di legno. Da un pino di diametro medio e alto 15 metri si ricava un metro cubo di legno, che secondo questi calcoli si traduce in 159 risme di carta, ossia 79.500 fogli.