Pubblicazioni dell’I.S.U. Università Cattolicaislamica, come - per certi aspetti - anche i paesi...

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Pubblicazioni dell’I.S.U. Università Cattolica

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Pubblicazioni dell’I.S.U. Università Cattolica

PAOLO BRANCA

LA STRATEGIA DELLA MOSCHEA

L'Islam radicale tra miti e realtà

Milano 1996

Ai miei genitori

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INDICE

NOTA ............................................................................................................5

PREMESSA ..................................................................................................7

1. ISLAM: RELIGIONE E SOCIETÀ......................................................9

1.1 Origine e limiti della "globalità" islamica ..................................10

1.2 Caratteristiche del modello islamico: più che una"religione" .......................................................................................20

1.3 Fattori di coesione e di diversificazione.....................................26

1.4 Fattori di continuità e di cambiamento ......................................29

2. GLI OPPOSTI ESITI DEL RISVEGLIO ISLAMICO...................33

2.1 Le premesse....................................................................................33

2.2 I grandi temi e i maggiori esponenti del primoriformismo......................................................................................35

2.3 Il riformismo islamico al bivio.....................................................442.3.1 Riformare l'Islam.................................................................44

2.3.1.1 Opere di rottura......................................................502.3.2 Ritornare all'Islam...............................................................542.3.3 Una questione emblematica: l'esegesi coranica ..............62

3. IL VERSANTE POLITICO .................................................................69

3.1 La fase nazionalistica ....................................................................69

3.2 La fase rivoluzionaria ...................................................................74

3.3 La fase islamica..............................................................................77

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4. ALCUNE ESEMPLIFICAZIONI .......................................................93

4.1 Il quadro generale .........................................................................93

4.2 Le strategie .....................................................................................95

4.3 Egitto ...............................................................................................99

4.4 Iran.................................................................................................103

4.5 Maghreb........................................................................................109

5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE .............................................115

BIBLIOGRAFIA ......................................................................................119

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NOTA

Per i termini arabi è stata adottata una trascrizione semplificata. Levocali lunghe sono indicate con l'accento circonflesso (â, î, û), mentrele consonanti sono rappresentate da un singolo carattere latino dalsuono corrispondente, senza però distinguere le enfatiche. Neiseguenti casi si è fatto ricorso a due caratteri latini per una singolalettera araba:

th per la lettera thâ'kh per la lettera khâ'dh per la lettera dhâlsh per la lettera shîngh per la lettera ghaynL'apice corrisponde all'hamza e l'apice inverso alla `ayn.Alcuni nomi di personaggi noti sono stati lasciati nella grafia

corrente, per renderli immediatamente riconoscibili.

La traduzione del Corano adottata è quella di Alessandro Bausani.

Desidero ringraziare quanti hanno contribuito alla maturazionedelle riflessioni esposte in queste pagine stimolando e incoraggiandonel tempo il mio lavoro di ricerca. Ricordo in particolare il PontificioIstituto di Studi Arabi e di Islamistica, punto di riferimento ideale einesauribile fonte di documentazione nonché il Centro Alti Studi perla Difesa e il Centro Militare di Studi Strategici che, proponendomi dicollaborare alle loro iniziative, mi hanno dato l'occasione diapprofondire tematiche di particolare interesse e attualità. Esprimoinfine sincera gratitudine ai Professori Valeria Piacentini e SergioNoja Noseda, per i loro utili consigli e le loro preziose critiche.

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PREMESSA

L'Islam è oggi una realtà più che mai viva e vitale. L'Islam èanzitutto religione, una religione rigidamente monoteistica,trascendente e metafisica, robustamente etica. L'Islam è anche Leggereligiosa, regola di vita totalizzante e totalitaria, il cui seducenterichiamo alla solidarietà e alla carità non manca di sollevare echi inaltre società, non islamiche e in aperta crisi di transizione, alla ricercadi valori nuovi e nuovi modelli di eguaglianza e giustizia sociale.

Lo studio di Paolo Branca è un prezioso contributo allaconoscenza di queste realtà, nuove e antiche al tempo stesso, in unaconcezione dell'Universo, della Vita, dell'Uomo e della sua Storia che,nella speculazione islamica, hanno una dimensione "circolare" e a-cronologica al tempo stesso.

Arpeggiando con competenza e piena padronanza filologica da unlato, e solido metodo di indagine storiografica dall'altro, Brancapercepisce e riesce a far percepire al lettore la sottile trama di questopassaggio della storia dell'Islam nel suo nuovo incontro e impattocon le culture dell'Occidente. L'originalità e il pregio di questa ricerca– che altrimenti rimarrebbe soltanto una delle tantissime vocisull'argomento – sta proprio nella lettura che Branca dà di questofenomeno, generalmente e troppo genericamente definito"fondamentalismo islamico".

Lo studio di una ricca documentazione in lingua araba, spessoancora sconosciuta anche agli stessi specialisti, pazientementeraccolta, analizzata con sensibilità e correttezza filologica neicontenuti e nelle forme, ha consentito all'Autore una disanima cheparte "dall'interno" e si muove "all'interno", rivede e mette a fuocotalune "versioni ufficiali" (come quando si sofferma sui maggioriesponenti del primo riformismo), si distacca dagli schemiinterpretativi tradizionali e più consueti (Il riformismo islamico albivio), si snoda seguendo categorie e modelli di valore non

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occidentali quando affronta il versante politico; sine ira sed multo cumstudio, egli cerca di individuare dei temi, che in questo saggiodivengono altrettante preziose chiavi di lettura di un fenomenoestremamente complesso, tutt'altro che monolitico, fortementevariegato nelle sue molteplici sfaccettature ideologiche e nelle suevarianti anche geografico-culturali.

Al centro della trama della storia, nell'Islam vi è sempre Dio e laMoschea; intorno a questa si muovono i miti, risvegliati dagli ideali edalle ideologie degli uomini, e si agitano le infinite realtà cui questeideologie talvolta danno vita, saldandosi così il cerchio "Islam:religione e società".

Valeria F. Piacentini

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1. ISLAM: RELIGIONE E SOCIETÀì

I paesi arabi e, più in generale, l'intero mondo musulmanosembrano interessati da una progressiva crescita e affermazione dicorrenti e movimenti che puntano decisamente all'islamizzazioneintegrale della società, proponendo questa opzione come l'unica ingrado si risolvere, insieme ai molti problemi che affliggono questaparte del mondo, la sua stessa crisi di identità e di rispondereall'ansia di riscatto che la pervade. Così facendo essi pretendono diriproporre semplicemente il giusto rapporto tra religione e politicache l'Islam implicherebbe necessariamente e che sarebbe stato allabase della straordinaria espansione e fioritura dei secoli d'oro dellaciviltà musulmana. Fino a che punto questa ideologia si riallacciaeffettivamente alla tradizione islamica e in che misura è invece unasua reinterpretazione funzionale a situazioni recenti e contingenti?Parole d'ordine e strategie dei gruppi che se ne fanno promotoriappartengono veramente a un presunto modello islamico originario oriproducono in chiave religiosa qualcosa di analogo a quanto fino apoco tempo apparteneva ai movimenti di tipo nazionalistico orivoluzionario?

Perché queste due ultime impostazioni, prevalenti fino a nonmolto tempo fa, sembrano inesorabilmente entrate in crisi e qualisono i motivi della grande fortuna incontrata dal radicalismomusulmano che ne ha preso il posto?

Riesaminando lo sviluppo e l'impasse del riformismo islamico,dopo alcune indispensabili considerazioni introduttive di caratteregenerale, tenteremo di fornire una chiave di lettura di questofenomeno, cercando soprattutto di far parlare i protagonisti e diricostruire quindi un dibattito interno che, come si vedrà, è più

ì Questo testo riprende in parte, con molte modifiche e ampie integrazioni, una

ricerca condotta dall'autore per il Centro Militare di Studi Strategici nel 1995.

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intenso e vivace di quel che potrebbe apparire all'osservatore esterno,assordato spesso da chi fa la voce più grossa, scarsamenteragguagliato a proposito di chi si esprime invece in toni più pacati equasi del tutto ignaro della gran massa di chi non ha voce in capitolo.

La nuova polarizzazione internazionale che sembra decisa adassegnare all'Islam il ruolo di grande antagonista dell'Occidenteimpone una valutazione più attenta di quella realtà articolata ecomplessa che troppo spesso viene sbrigativamente qualificata come"fondamentalista", "intollerante" e "fanatica", mentre rappresentasoltanto uno dei volti attraverso i quali una grande civiltà torna afarcisi incontro, in una stagione di rinnovati e inediti contatti, caricadi oscure minacce non meno che di affascinanti opportunità.

1.1 Origine e limiti della "globalità" islamica

Una delle caratteristiche della civiltà musulmana che emergonocon maggiore evidenza nelle tormentate vicende che travagliano ilmondo arabo e islamico contemporaneo sembrerebbe la mancanza diuna netta separazione tra spirituale e temporale, fede e politica,religione e società.

Questa sorta di assunto di base - diventato ormai un luogocomune per quanto frequentemente e insistentemente ribadito - sepure in parte dipende da concezioni e atteggiamenti diffusi, non devecomunque indurre a considerare come un'entità indistinta i paesi diun'immensa area che si estende dalle coste occidentali dell'Africa finoall'Estremo Oriente e che, nel corso della sua storia plurisecolare, havisto svilupparsi - anche nella sfera politica - una straordinariavarietà di situazioni, spesso non molto dissimili da quelle che siproducevano altrove, quando non addirittura, particolarmente nelperiodo coloniale e post-coloniale - ispirate direttamente a modellioccidentali1. Se il superamento e talvolta l'eclissi quasi totale di questi

1 Sulle forme in cui nelle due civiltà si è configurato il rapporto tra fede e politica

cf. G.R.I.C., Etat et Religion, «Islamochristiana», 1986, 12, pp. 49-72. Testi classici diriferimento per il pensiero politico musulmano sono W. Montgomery Watt, IslamicPolitical Thought, Edinburgo 1968; E.I.J. Rosenthal, Political Thought in Medieval Islam,

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ultimi, che troppo affrettatamente ci eravamo abituati a ritenereconsolidati se non addirittura del tutto scontati, potranno essereconsiderati da un lato come la prova della loro precarietà e del loroscarso radicamento nelle società musulmane, dall'altro il fatto cheessi abbiano avuto una stagione di non trascurabile affermazionesegnala la complessità di una situazione che mal sopporta di essereridotta a semplificazioni eccessivamente schematiche.

In altre parole, chi voglia considerare l'attuale diffusione e ilcrescente successo dei movimenti musulmani radicali come unanecessaria e ineluttabile conseguenza degli stessi principi insitinell'Islam, dovrebbe almeno tenere presente che lungo quattordicisecoli di storia e in un'area compresa tra il Marocco e l'Indonesia imusulmani hanno avuto occasione di dar vita a forme moltodiversificate di relazioni tra la loro fede religiosa e le strutturefondamentali delle società di rispettiva appartenenza.

Bisogna dunque resistere alla tentazione di considerare fenomenie manifestazioni legati a una specifica epoca e a particolaricircostanze come inevitabilmente determinate da premesse di tipoideologico.

«Se infatti, complessivamente, i paesi arabo musulmani nonsembrano presentare attualmente tutte le condizioni favorevoliall'instaurazione di autentici sistemi laici e se la transizione verso lademocrazia urta contro un insieme di ostacoli di temibile entità,sarebbe comunque troppo superficiale darne la colpa alla solareligione, imputandole la responsabilità dell'incapacità che le societànelle quali essa si trova ad essere maggioritaria mostrano nelrisolvere i loro problemi, attribuendo ciò a una pretesa intrinsecaincompatibilità con la modernità. Come vedremo, la laicità in sensomoderno è indissolubilmente legata alla democrazia, cioèall'esistenza di una vera società civile nella quale i principi chedeterminano l'organizzazione, l'iniziativa, l'azione, la creatività, ilpensiero e il credo emanano dal corpo sociale stesso, invece di essere Cambridge 1988. Si vedano anche i più recenti B. Badie, I due stati, Genova 1990 e B.Lewis, Il linguaggio politico dell'Islam, Bari 1991.

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imposti da quanti detengono l'autorità, religiosa o politica che sia, oche esercitano il potere politico. Non sono quindi tanto la mancanzadi tolleranza e d'apertura imputate alla religione, quanto l'assenza didemocrazia in un contesto di crisi economica e di disagio sociale adeterminare la scarsa laicità dei paesi musulmani. È innegabile chel'atteggiamento spiccatamente dogmatico della maggioranza deiteologi, così come i discorsi e la prassi dei gruppi radicali o l'utilizzodella religione come strumento di legittimazione politica finisconoper dar conferma di tale percezione negativa dell'Islam. Tuttavia ciònon giustifica l'analisi che individua nella resistenza al cambiamentoda parte della religione la causa della decadenza politica e culturalecome del sottosviluppo economico. Salvo rare eccezioni, infatti, tutti ipaesi del Sud del mondo, e non soltanto quelli a maggioranzaislamica, come - per certi aspetti - anche i paesi dell'Europa orientale,sono affetti attualmente dai medesimi fattori di disgregazioneinterna, degli stessi mali e pericoli e affrontano eguali ostacoli cheimpediscono loro di raccogliere le sfide della modernità, dello Statodi diritto e della laicità. Per quanto riguarda i legami tra teologia epolitica, religione e Stato, spirituale e temporale, l'Islam non presenta,tra le fedi monoteistiche, peculiarità tali che possano far ritenere lacrisi attualmente attraversata dai paesi musulmani come esitoineluttabile di una religione che, impregnando di sé società e politica,abbia profondamente e strutturalmente segnato tali società con unmarchio di arretratezza rendendole fatalmente inabili a qualsiasievoluzione»2.

Nello stesso momento, però, alcune premesse di tipo ideologiconon vanno trascurate poiché di molti fenomeni sono, oltre che unadelle cause remote, molto spesso la principale e immediatagiustificazione teorica che soltanto alcuni e con grande sforzogiungono a mettere in discussione, mentre dai più viene data perscontata, per quanto spesso in forma implicita e quasi inconsapevole:

2 A. Lamchichi, Islam, Islamisme et Modernité, L'Harmattan, Parigi 1994, pp. 52-53.

Sul ruolo della società civile, oltre a numerosi articoli dedicati a singoli paesi suriviste specializzate quali The Middle East Journal o Maghreb-Machrek, cf. Gh. Salamé,Démocraties sans démocrates, Parigi 1994.

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«È "possibile", in base al Corano, fare dell'Islam una religione delforo interno e lasciare le questioni terrene alla politica? Di fronte auna simile domanda si è tentati, in un primo momento, di risponderenegativamente. L'Islam è una religione di questo mondo non menoche dell'altro. Esso determina un quadro costituzionale nel quale nonv'è alcuna separazione tra politica e religione. Esso unifica leistituzioni. La legge è la concretizzazione della fede, lo Stato sioccupa della preghiera e protegge la religione così come regola gliaffari della società civile. Ma, si tratta davvero di un dogma, opotrebbe essere piuttosto un habitus mentale? Se si osserva la storiapiù da vicino si ha la netta sensazione di trovarsi di fronte a unainterpretazione dominante più che alla vera natura delle cose»3.

Una breve analisi di quanto, nell'esperienza del Profeta e dellaprima Comunità di credenti, possa costituire il precedente sul qualesi fonda la pretesa totalizzante di molti movimenti islamicicontemporanei non sarà quindi inutile, né rischierà di risultarefuorviante, se si terrà opportunamente conto di quanto abbiamo finqui richiamato4.

Tra i beduini dell'Arabia antica la religione aveva spiccatefunzioni sociali che l'Islam avrebbe conservato, pur introducendolenel quadro di una fede monoteistica radicalmente alternativa rispettoal paganesimo idolatrico precedente.

I templi infatti, tra i quali primeggiava quello della Mecca cheestendeva la propria sacralità a tutto il territorio circostante, nonerano luoghi deputati esclusivamente al culto, ma costituivano centridi aggregazione nei quali venivano elaborate e sancite complesse

3Yadh Ben Achour «Islam et laïcité. Propos sur la recomposition d'un système de

normativité», in Pouvoirs n. 62 (1992), p. 15.4 Tra le molte opere relative alla figura e all'opera di Maometto si vedano S. Noja,

Maometto profeta dell'Islam, Milano 1985; M. Rodinson, Vita di Maometto, Torino 1973;più in generale sul periodo delle origini dell'Islam F. Gabrieli, Maometto e le grandiconquiste arabe, Milano 1967; Id., Gli Arabi, Firenze 1975; A. Hourani, Storia dei popoliarabi, Milano 1991; I.M. Lapidus, Storia delle società islamiche. I: Le origini dell'Islam,Torino 1993; S. Noja, Storia dei popoli dell'Islam. L'Islam dell'espansione, Milano 1993.

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forme di mediazione necessarie alla regolazione dei rapporti tra idifferenti gruppi tribali.

Nel quadro estremamente frammentato della società nomade,ignara di strutture gerarchiche e di forme consolidate di autorità, lareligione fungeva da sistema di riferimento comune in forza delquale era possibile stabilire la validità e la permanenza di un certonumero di regole fondamentali. Non a caso i concetti che stanno allabase tanto della religiosità preislamica quanto della stessa fedemusulmana hanno una marcata connotazione di tipo giuridico-istituzionale: halâl (lecito) e harâm (proibito) presiedono infatti allaripartizione dei comportamenti dei singoli e delle collettività nelledue categorie di atti considerati rispettivamente accettabili oinammissibili all'interno di una logica ove il valore del gruppomantiene una decisa prevalenza su quello dell'individuo5.

Uomini dotati di particolare abilità oratoria, custodi dellatradizione dei padri e assistiti da una speciale grazia celeste (baraka)svolgevano essenzialmente il ruolo di mediatori tra differentiinteressi nel precario equilibrio che caratterizzava la società beduinaparticolarista e conflittuale quanto altre mai.

Non diversa da queste figure, per funzioni e tipologia, fu quelladel Profeta: anch'egli depositario di un messaggio destinato a imporsiper la sua forma eloquente e innestato nel solco di un'antica eautorevole tradizione, riconosciuto dai suoi seguaci quale arbitrosuper partes non soltanto per le sue doti personali ma anche a motivodel suo rapporto privilegiato con la divinità.

Quanto queste prerogative della figura di Maometto (in araboMuhammad), agli occhi dei musulmani, siano sempre apparseessenziali e per niente secondarie risulta evidente dall'enfasi che essihanno voluto attribuire alla migrazione (egira) compiuta dal Profetadalla Mecca a Medina nel 622 d.C., significativamente consideratol'anno zero dell'era islamica.

5 Sulla costante dialettica individualismo/olismo cf. O. Carré, L'Islam laique ou le

retour à la grande tradition, Parigi 1992, in particolare il cap. VII «La pierre angulairedu communautarisme». Più in generale cf. L. Dumont, Homo aequalis, Milano 1984.

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L'autorità anche religiosa di Maometto era infatti rimastaincompleta alla Mecca dove, a causa dell'opposizione incontrata, eglinon aveva potuto che raccogliere attorno a sé un piccolo gruppo difedeli, distinti dal resto della popolazione dalle nuove dottrine allequali aderivano. Nel quadro del tribalismo esasperato che dominavaallora la scena sociale, un gruppo che si configurasse come una setta eaggiungesse pertanto ulteriori e non essenziali ragioni didifferenziazione ideologica alle ataviche articolazioni della parentelae alle più contingenti ma altrettanto inevitabili alleanze diconvenienza, pareva destinato al fallimento.

Per quanto traumatico e inaudito, l'abbandono della città d'originefu quindi la premessa indispensabile per il passaggio della figura delProfeta alla pienezza del suo ruolo e per la completa maturazione delsuo messaggio.

Quest'ultimo non si limitò a inserirsi nel quadro della cultura delproprio ambiente d'origine, ma introdusse anche alcune novità chesarebbero state di fondamentale importanza nel determinare i futurisviluppi della civiltà arabo-musulmana.

Nella celebre Carta di Medina6 - documento nel quale venivanostabilite le norme che regolavano i rapporti tra i differenti gruppi chepopolavano la città nella quale il Profeta era emigrato coi suoiseguaci - si precisa il concetto di Comunità dei credenti o Umma cheda allora costituisce per i musulmani di ogni tempo e luogo ilmodello sociale di riferimento alternativo ad ogni concezione cheprivilegi legami di carattere etnico (ius sanguinis) o territoriale (iussoli) rispetto a quelli religiosi.

Questa "svolta universalista" non si realizzò una volta per tuttema, come vedremo più avanti, dovette costantemente fare i conti conla permanenza delle tendenze proprie del particolarismo beduino.

6 Cf. L. Caetani, Annali dell'Islam, Milano 1905, vol. I, pp. 391 ss.; M. Gil, «TheContitution of Medina: a reconsideration», in Israel Oriental Studies n. IV (1974), pp.44-66; U. Rubin, «The "Constitution of Medina". Some notes», in Studia Islamica n. 62(1985), pp. 5-23; R.B. Serjeant, «The "Constitution of Medina"», in Islamic Quarterly n.8 (1964), pp. 3-16, Id., «The Sunna Jâmi`a, pacts with Yathrib Jews, and the Tahrim ofYathrib: analysis and translation of the document comprised in so-called"Constitution of Medina"» in Bulletin of the School of African and Oriental Studies n. 41(1978), pp. 1-42.

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Nel complesso essa comunque finì per imporsi e portò a compimentol'ambizione unificatrice che già la religione pagana aveva cercato direalizzare, ma lo fece a un livello superiore, determinando ilsuperamento dell'ordine tribale che la fede precedente aveva cercatosoltanto di regolamentare e non aveva invece inteso metteresostanzialmente in discussione.

Inoltre, essendo l'Islam a tutti gli effetti una religione rivelata, ilrapporto con la trascendenza aveva fatto con esso un deciso salto diqualità: non erano più gli dei a dover avallare i patti conclusi tra gliuomini, ma gli uomini a doversi uniformare alla legge dell'unico Dio.

A Medina l'Islam era diventato adulto e pretendeva di costituirel'elemento fondante di un nuovo ordine sociale. Con la suaaffermazione politica e militare riuscì a unificare gli arabi e a stornarele loro energie dalle sterili lotte intestine e dalle effimere razzie perorientarli verso obiettivi esterni oggetto di ben più sistematiche edurature opere di conquista.

Lo scontro ideologico con gli altri monoteisti, particolarmentecontro gli ebrei di Medina, gli consentì di percepirsi comeprolungamento e compimento delle precedenti rivelazioni e nonsoltanto come loro riedizione a uso privilegiato se non esclusivo deisoli arabi7.

La sua travolgente espansione che da qui prese le mosse locostrinse infine a maturare tutti i semi di universalismo che in modoancora implicito o impreciso erano contenuti nel suo messaggiooriginario.

Gli anni della vita e della predicazione del Profeta e il periodo deiprimi Califfi sono dunque di enorme importanza per comprenderecome l'Islam abbia costituito anche una rivoluzione socialenell'ambiente dell'Arabia antica e quanto alcune premesse posteproprio in quegli anni fossero destinate a influenzare profondamentela futura evoluzione della storia degli arabi e della comunitàmusulmana. E ciò non soltanto nei primi e decisivi secoli che viderola nuova civiltà svilupparsi e raggiungere, insieme alla massima

7 Cf. S. Noja, «Islam e Giudaismo: il problema delle origini», in I problemi di Ulisse,

XIV (1977), pp. 21-30.

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espansione territoriale, anche la compiuta fioritura culturale, maanche per le epoche successive e fino ai giorni nostri.

Quel passato infatti è costantemente riletto e recuperato da ognigenerazione non tanto per averne una più completa ed esattaricostruzione storica, quanto per costituire la lente attraverso la qualepoter interpretare le vicende del presente e orientare quelle future.

Nonostante le profonde trasformazioni che il loro mondo hasubito, l'aurea "età delle origini" non ha mai perso infatti per imusulmani il suo carattere di modello ideale e paradigmatico e ilrichiamo ad essa e agli insegnamenti e ai principi che vi avrebberotrovato compiuta espressione conserva un carattere di autorevolezzache il tempo non ha sostanzialmente ancora alterato.

I personaggi e le vicende che le sono propri non hanno subitopresso le grandi masse gli effetti corrosivi della critica storica equindi nessuna relativizzazione ha potuto comprometterne il valoresimbolico che rimane di conseguenza intatto e dotato di una forza disuggestione talmente efficace da risultare insostituibile.

A questo proposito è però necessario distinguere tra quella che ful'esperienza del Profeta e dei suoi Compagni e il modello che da essa èstato tratto: «il contenuto del Modello ripreso nel corso dei secoli [...]è al tempo stesso più ampio e più povero rispetto all'Esperienza; èpiù vasto in quanto consiste in una ricostruzione collettiva compiutasotto l'impulso delle mutevoli necessità storiche; ma èintrinsecamente anche più povero, poiché isolato da quella creativitàsimbolica che garantiva il dinamismo spirituale e l'aperturametafisica dell'Esperienza...»8.

A questa ricostruzione "mitica" delle origini dell'Islamcontribuiscono tanto le istituzioni culturali ufficiali quanto lapropaganda dei movimenti religiosi di opposizione.

Da un lato la scuola e i mass media, direttamente controllati daigoverni, celebrano le glorie del passato alimentando un diffusodesiderio di rivalsa che si unisce ai gravi problemi relativi alsottosviluppo economico e sociale in una miscela potenzialmente

8 M. Arkoun, L'Islam, morale et politique, Parigi 1986, p. 58.

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esplosiva, senza favorire per lo più la maturazione di una coscienzaconsapevole del carattere evolutivo dei processi avvenuti nel corsodel tempo.

Dall'altro la contestazione islamica ha buon gioco a far leva suquesti stessi sentimenti denunciando l'ipocrisia di quanti, purriempiendosi la bocca di lodi e celebrazioni della grandezza passatadell'Islam, non operano poi coerentemente per riportarlo all'anticadignità e assicurargli di nuovo i successi dei suoi secoli d'oro.

In sede storica sarebbe facile contestare il carattere idilliacouniversalmente attribuito al periodo delle origini: molte conversioniall'Islam prodottesi sulla scorta del suo successo militare rivelarono illoro carattere effimero e opportunistico; ben tre dei quattro Califfidefiniti "ben diretti", che seguirono il Profeta alla guida dellacomunità dei credenti, morirono inoltre di morte violenta, vittime dirisorgenti e indomiti conflitti particolaristici o di nuove rivalità; inquegli anni si produssero infatti le prime grandi scissioni all'internodella Umma, come quella tra sunniti e sciiti, i cui protagonisti nonesitarono a ricorrere ad argomenti religiosi per giustificare dissididalle motivazioni spesso in realtà ben più contingenti9.

Non si tratta però banalmente di sfatare un mito, quanto direndersi conto di una profonda trasformazione avvenuta:

9 Non è comunque da sottovalutare il fascino che tuttora le grandi personalità

dell'Islam delle origini esercitano anche sugli spiriti più anticonformisti.L'intellettuale egiziano Khâlid Muhammad Khâlid, che negli anni '50 si era fattopaladino della separazione tra religione e politica con opere quali Min hunâ nabda'(Cominciamo da qui), suscitando dure reazioni degli ambienti tradizionalisti, neisuoi libri più recenti - al-Dawla fî-l-Islâm (Lo stato nell'Islam) - si è fatto sostenitoredella tesi opposta. È significativo che questo rovesciamento di posizioni sia statopreceduto da numerose monografie da lui dedicate, nel corso degli anni '60, allemaggiori personalità dell'antico Islam, come i primi quattro Califfi e il pio Califfoomayyade `Umar ibn `Abd al-`Azîz o i Compagni del Profeta. Per i titoli di questeopere rimandiamo alla bibliografia. Sull'autore cf. P. Branca, "Riformismo e identitàislamica nel pensiero di Khalid Muhammad Khalid", in Islam: storia e civiltà, n. 2/3,aprile-settembre 1986, pp. 97-107 e la recente autobiografia Qissatî ma`a al-hayât, IlCairo 1993.

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«Dopo la morte del Profeta - ma, per i suoi discepoli, già durantela sua vita - i versetti coranici, gli atti e le parole dell'Esperienza diMedina sono altrettanti supporti su cui si regge una rappresentazioneche oltrepassa la realtà vissuta assegnandole contenuti paradigmaticiper l'intera esistenza umana: è il processo sociale, storico epsicologico attraverso il quale ciascun gruppo costruisce lasimbologia della propria identità. Proibendo le immagini e gli idoli,la tradizione islamica, come la Bibbia, ha favorito un simbolismoverbale molto denso che ha come supporto appunto i versetti coranicie i hadîth, i quali non hanno mai cessato di alimentare un'abbondanteespansione simbolica...»10.

La consapevolezza di tutto questo rimane appannaggio di unaristretta cerchia di intellettuali che spesso non osano e comunque nonriescono a opporla alla versione semplificata molto più facilmente edefficacemente utilizzabile per legittimare tanto le politiche deigoverni quanto la mobilitazione delle opposizioni11.

Gli uni e le altre tentano di avallare la propria immagine dicustodi o promotori di un autentico sistema islamico.

Il fatto che i due contendenti si confrontino ormai su questocampo dimostra ampiamente quanto si sia ormai affermata l'idea chedi questo e non di altro vi sia bisogno: ridare all'Islam la possibilità diplasmare la società umana, non soltanto come remoto punto diriferimento ideale, ma come preciso modello alternativo a ogni altro ecapace di fornire risposte puntuali per ogni problema della vita

10 M. Arkoun, op. cit., pp. 172-173.11 Non mancano tuttavia opere che cercano di sviluppare e diffondere una

consapevolezza critica dell'evoluzione storica specialmente di alcune fasi crucialidella storia dell'Islam. Tra esse ricordiamo alcune delle più recenti apparse in Egitto:Sayyid Mahmûd al-Qimnî, al-Hizb al-hâshimî wa ta'sîs al-dawla al-islâmiyya (Il partitohascemita e la fondazione dello stato islamico), Il Cairo 1990; Khalîl `Abd al-Karîm,al-Giuzûr al-ta'rîkhiyya li-l-sharî`a al-islâmiyya (Le radici storiche della legge islamica),Il Cairo 1990; Nasr Hâmid Abû Zayd, al-Imâm al-Shâfi`î wa ta'sîs al-îdyûlûgiyya al-wasatiyya (L'Imâm al-Shâfi`î e la nascita dell'ideologia intermedia), Il Cairo 1992. Aproposito di quest'ultimo autore cf. C. Van Nispen, E. Farahian, «È possibile unrinnovamento del pensiero islamico?», in La Civiltà Cattolica, n. I (1994), pp. 220-232.

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individuale e di gruppo, in tutte le epoche della storia, compresa lanostra.

1.2 Caratteristiche del modello islamico: più che una "religione"

Il forte influsso che la filosofia ha avuto sullo sviluppo delpensiero religioso e l'abitudine a considerare l'evoluzione diquest'ultimo come il confronto dialettico tra differenti concezioni edottrine potrebbero indurci a farci un'idea del periodo formativodell'Islam piuttosto lontana dalla realtà.

La fissazione dei principi del credo musulmano non avvenneinfatti obbedendo principalmente a un'astratta necessità disistematizzazione teorica completa e coerente.

Furono piuttosto finalità pratiche e impellenti, legate all'urgenzadi fornire a un vastissimo impero una guida autorevole e sicura, adeterminare l'elaborazione di un sistema ideologico di riferimento.Come e più di altre religioni l'Islam dovette presto dare delle rispostea problematiche del tutto inedite rispetto a quelle che si ponevanocomunemente nell'ambiente in cui aveva avuto origine.

Il nuovo credo dei beduini d'Arabia si trovò pertanto ad assolverea una quantità di funzioni per le quali l'antica tradizione locale nonoffriva che scarsi e incerti punti di riferimento.

Pur senza voler ridurre l'intero fenomeno alla sua sola dimensionesociale e politica a scapito dei suoi contenuti più squisitamentespirituali e degli aspetti più propriamente speculativi, in questa sededobbiamo segnalare le linee lungo le quali si è andato strutturando econsolidando il delicato rapporto tra Islam e potere.

«Dal punto di vista sociologico le grandi religioni possono esseredescritte come istanze supreme di legittimazione dell'ordine socialeprodotto dall'azione storica degli uomini. Tale azione diventa tantopiù credibile quanto più si iscrive in una prospettiva d'immortalitàdell'uomo e di obbedienza a una Volontà trascendente. Proclamandoche "l'uomo è il vicario di Dio sulla terra" (2, 30), il Corano introduceun nuovo principio di legittimazione presso tutti quei popoli che,

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come gli arabi, non conoscevano ancora che un tipo di potere legatoai meccanismi socio-politici propri delle società arcaiche»12.

Non è infatti un caso che, subito dopo la morte del Profeta, l'Islamabbia prodotto una delle sue istituzioni più classiche (benché ilCorano non la preveda), cioè il Califfato, né che attorno allalegittimità di quest'ultimo si sia formato il nucleo fondamentale deiproblemi che anche la teologia si sarebbe trovata a dover affrontare erisolvere con i mezzi che le erano propri.

Se l'appartenenza a pieno titolo alla Umma musulmana dipendeva,come si è visto, dall'adesione alla fede islamica, occorreva stabilirequali requisiti fossero indispensabili per potersi a giusto titolodefinire dei "credenti". Tale qualifica, prima ancora che interessare ildestino ultraterreno di ciascuno, risultava infatti determinate perstabilirne lo status all'interno della società, con tutte le conseguenzeche ne derivavano tanto per i diritti che gli erano riconosciuti quantoper i doveri che gli erano imposti.

Poco incline a scandagliare gli intimi convincimenti dei singoli escarsamente incoraggiato tanto dai dettami coranici quanto dagliinsegnamenti profetici a indagare sul mistero divino pretendendo diricondurlo nelle incerte formulazioni della logica umana, l'Islamsviluppò di preferenza la legge rispetto alla speculazione teologica evide nell'obbedienza ai precetti la strada maestra alla qualeprincipalmente orientare i propri seguaci e sulla quale verificarnel'effettiva appartenenza.

In ciò si perpetuava l'antico principio che a ciascuno imponeva diuniformarsi alla tradizione (sunna) della propria comunità peresserne membro effettivo e ricevere quindi da essa le conseguentiforme di assistenza e di garanzia.

Essere un autentico musulmano era dunque fondamentale perogni individuo, ma tale qualifica diventava irrinunciabile per chiintendesse accedere al rango di Califfo, ossia di vicario del Profeta,custode dei principi dell'Islam e guida suprema della Comunità.

12 M. Arkoun, La pensée arabe, Parigi 1985, p. 30.

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Fin da quegli anni, pertanto, la religione funse da supremostrumento di legittimazione del potere politico il quale traeva da essala sua stessa ragion d'essere.

Quando, alla morte del Profeta, si pose il problema della suasuccessione, il fatto stesso che si fosse avvertita con tanta urgenza lanecessità di dare continuità all'opera da lui iniziata dimostrò l'entitàdei cambiamenti introdotti nella società araba antica dall'avventodell'Islam. Alle disgreganti forze centrifughe del tribalismopreislamico si opponevano ormai un ordine sociale e una concezionedell'autorità completamente nuovi, che trovavano nella religione illoro fondamento.

Era in funzione della conservazione e della promozione della fedeche il Califfo poteva pretendere di essere ascoltato e obbedito. Non sitrattava più della scelta temporanea di un capo che, come avvenivanelle tribù dell'Arabia pagana, sapesse mantenere grazie al propriocarisma un precario equilibrio tra interessi contrastanti. Occorrevapiuttosto garantire continuità a un sistema che traeva la propriagiustificazione non dalle contingenti convenienze del gruppo ma daun immutabile ordine superiore.

Se questi principi trovavano nei dettami coranici e negliinsegnamenti del Profeta il loro fondamento, le grandi tradizionidegli imperi via via conquistati non mancarono di influenzareprofondamente il modo in cui la Umma islamica venne governata. Lapiù clamorosa di queste innovazioni fu il passaggio dal carattereelettivo a quello ereditario del potere califfale, del tutto estraneo allamentalità araba tradizionale che anche su molti altri punti dovettelasciar spazio agli apporti dei popoli di recente islamizzazione i qualicontribuirono così alla creazione di una nuova civiltà che non puòessere considerata il mero prodotto della cultura araba né dei principicoranici, ma il frutto di un ben più complesso e sofisticato processo dielaborazione culturale.

Sbaglieremmo però se considerassimo la religione soltanto unfattore di stabilizzazione e di mantenimento dell'ordine.

Fino alla sua affermazione l'Islam era stato anche un movimentorivoluzionario nel quale la contestazione del vigente ordinamento

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sociale aveva anzi in un primo tempo addirittura prevalso: «Durantela predicazione alla Mecca il Corano chiama alla fede in un unico Diocome impegno personale in contrasto con la comunità d'origine che èpoliteista. Bisogna riflettere in proprio e non accontentarsi di seguireciò che dicevano gli antenati. Occorre rompere i legami sociali epersino quelli familiari, come fece Abramo lasciando suo padre, sequesti costituiscono un ostacolo per la fede»13.

È però altrettanto vero che il nuovo criterio di appartenenza -quello religioso - pur ponendosi a un livello superiore rispetto alprecedente di carattere essenzialmente tribale, e quindi particolarista,assunse, com'era inevitabile che accadesse, anche la funzione difattore di esclusione: «A Medina invece la nuova comunità è fondatasul monoteismo e non più sui vincoli di parentela. Essa costituisce uninvolucro sociale che protegge la fede e le permette di informare di séla vita del credente a tutti i livelli, dai più intimi a quelli pubblici.Allo stesso tempo però, questo involucro protettivo rischia diimprigionarla: il Corano tollera la sopravvivenza di comunità non-musulmane (giudei e cristiani) all'interno della società islamica, macondanna a morte i musulmani apostati. La fede rischia di essereridotta al suo aspetto sociale: appartenenza a una comunità di fattomusulmana, quale che sia la realtà della fede personale»14.

Non soltanto le istanze del potere ufficiale, ma anche ogni formadi opposizione trovarono così nella religione il referente principalesul quale fondare le proprie rivendicazioni: le prime risalendo allafigura e alla funzione del Profeta quale capo di stato, le seconderiallacciandosi al suo altrettanto innegabile ruolo di innovatore e dicontestatore dell'ordine costituito.

Sostenere che l'Islam contenga nelle sue fonti una precisa ecompleta forma di organizzazione della società e dello stato sarebbesenz'altro una forzatura, ma è innegabile che fin dalle origini essocostituì l'elemento cardine in base al quale ciascuno avrebbe pretesodi fondare le proprie concezioni politiche: «Poiché nella società

13R. Caspar, "L'Islam et la Secularisation", in Comprendre n. 96 (1970), pp. 23.14 Ibidem.

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tradizionale l'ordine socio-politico riceveva la sua legittimazionedall'Islam, ogni suo mutamento non poteva non investire anche lareligione: per questo nell'Islam ogni conflitto prese la forma dimovimento religioso»15.

Che dunque la religione costituisca un fattore fondamentale nellatrasformazione della società o che almeno ad essa si ispirino tuttiquanti sono coinvolti nel conflitto che vede opporsi l'autoritàcostituita e i suoi contestatori non è un fatto nuovo, ma piuttosto unacostante nella storia del mondo musulmano.

Ogni epoca ha però interpretato questa stessa partitura concaratteristiche proprie, senza limitarsi a riproporre un medesimocopione con attori e ambientazioni differenti.

Quel che è certo è che la questione della natura e delle forme deirapporti che possono e devono sussistere tra religione e politica tornaa riproporsi costantemente nel tempo non come un problemasecondario, ma come uno dei punti cruciali che rivelano la percezioneche l'Islam ha di se stesso e il ruolo che intende svolgere in ogniepoca sulla scena della storia.

Un esempio significativo in tal senso - dotato oltretutto di unacarica emblematica particolare poiché si situa nel periodo delle"origini" e si presta quindi ad essere costantemente ripreso ereinterpretato in chiave simbolica - è quello delle differenti attitudiniassunte rispetto al problema della legittimità del potere, da parte deidiversi gruppi "dissidenti" che si formarono durante il conflitto tra ilquarto califfo `Alî e i suoi avversari. Due modalità opposte diintendere la questione sono quelle degli sciiti e dei kharigiti: piùteocratica quella dei primi, più legata alla cultura beduina quella deisecondi, entrambe fondate su presupposti preislamici e tuttaviacuriosamente ripresentate spesso e fino a oggi dai contestatoridell'ordine costituito come le più "genuinamente" musulmane.

Dato il successo di alcune "parole d'ordine" mutuate dalmovimento kharigita da parte di molte formazioni islamiche radicali,tra le quali quella che uccise il presidente egiziano Sadat basandosi

15 P. Minganti, I movimenti politici arabi, Roma 1971, pp. 63-64.

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sul "dovere" di combattere i falsi credenti16, ritenuto un vero eproprio precetto appunto dai kharigiti, vale la pena di spenderequalche parola di più a loro riguardo:

«Dal punto di vista storico generale, gli avvenimenti legati aikharigiti sono di scarso rilievo. Nonostante ciò le idee implicitamentepresenti all'interno di questo movimento sulla vita politica islamicahanno un'influenza maggiore di quella che potrebbe sembrare sulleprime. In sostanza, si tratta qui di come i movimenti sciita e kharigitaabbiano rappresentato due risposte opposte a una stessa situazione,ossia quella che risultava dalla trasformazione degli arabi nomadi inélite militare di un impero. Quando si sentirono minacciati, gli sciiticercarono rassicurazione presso un capo carismatico a motivo delloro attaccamento all'idea della regalità divina originaria del suddell'Arabia. Allo stesso modo, i kharigiti in pericolo si rivolsero aquella che possiamo definire la comunità carismatica. Molti capikharigiti provenivano da tribù del nord dell'Arabia che non avevanomai conosciuto regalità divine, ma nelle quali tribù e lignaggiogodevano sicuramente di grande prestigio.

A riprova del fatto che i kharigiti cercassero la sicurezza cheoffriva loro una comunità carismatica, si può sottolineare la lorotendenza a formare dei piccoli gruppi - che richiamavano isottoinsiemi tribali e i clan dei nomadi - come per cercare diricostituire i piccoli gruppi in seno ai quali avevano vissuto,facendolo però su base islamica. La rassomiglianza tra i gruppi deinomadi e le bande dei kharigiti è accentuata dall'abilità di questiultimi nella poesia e nell'eloquenza, settori nei quali alcune antichetribù del deserto si erano rese celebri. Comunque, la principale provadell'influsso che la nozione ci comunità carismatica ebbe su di loro èla pratica consistente nell'escludere dal gruppo chiunque simacchiasse di un peccato grave. Ciò dipende dal fatto che essidefinivano se stessi "popolo del paradiso", qualificando tutti gli altricome "popolo dell'inferno". Poiché, secondo loro, colui che avesse

16 Cf. G.C. Anawati, "Une résurgence du Kharijisme au XXe siècle: l'obligation

absente", in Mélanges de l'Institut Dominicain d'Etudes Orientales n. 16 (1983), pp. 191-228; J.G. Jansen, The Neglected Duty: The Creed of Sadat's Assassins and IslamicResurgence in the Middle East, New York 1986.

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commesso un peccato grave sarebbe andato all'inferno, mantenereall'interno del gruppo chi era destinato a ciò avrebbe messo i pericolotutta la comunità, che avrebbe cessato così di essere "popolo delparadiso" e non avrebbe più garantito a quanti vi si fossero associatidi entrare in paradiso. In termini moderni, si potrebbe dire che lacredenza fondamentale era che appartenere alla comunitàcarismatica avrebbe dato senso alla vita dell'individuo. Sul pianopolitico i kharigiti non accettavano di obbedire a un capo ritenendoche, se il capo avesse sbagliato, tutti sarebbero stati in errore. Nonsembra d'altra parte che abbiano difeso una dottrina esprimibile conla formula vox populi vox Dei. È vero che si attribuisce a Maomettouna frase che afferma: "la mia Comunità non concorderà mai su di unerrore", in base alla quale l'accordo o il consenso all'interno dellacomunità sarebbe diventato uno dei fondamenti della legge. Tuttaviaper i kharigiti l'idea di fondo si riallacciava piuttosto a concezionipreislamiche legate al concetto di nobiltà. La comunità islamica era"nobile" poiché di istituzione divina e dotata di una regola di vitadivina, non poteva dunque sbagliare. Il che equivale a dire che è lacomunità carismatica ad evitare gli errori e a confermare se stessanella misura in cui rispetta le regole che Dio le ha donato»17.

1.3 Fattori di coesione e di diversificazione

Se l'avvento e l'affermazione dell'Islam possono essere consideratisul piano socio-politico come un graduale e non sempre facilesuperamento del particolarismo beduino e l'inizio di un nuovo corsodella storia degli arabi, basato su principi di portata potenzialmenteuniversale, non è meno vero che per lungo tempo sopravvisseroanche antiche attitudini le quali seppero spesso trasfigurarsiall'interno del vasto processo evolutivo di cui erano entrate a farparte, ma talvolta vi si opposero, più o meno consapevolmente, invarie e persistenti forme.

Come abbiamo detto, le energie precedentemente disperse nellostillicidio delle lotte intestine e nell'effimero susseguirsi di razzie

17 W. Montgomery Watt, La pensée politique de l'islam, Parigi pp. 66-67.

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finalizzate meramente a conquistarsi temporanei mezzi disussistenza, vennero unificate e orientate verso l'esterno in vista diuna più sistematica opera di conquista che probabilmente superò benpresto per dimensioni e sviluppi le stesse aspettative di quantil'avevano intrapresa.

Nuove responsabilità e prospettive inedite contribuirono atrasformare profondamente la mentalità di quanti si trovaronocoinvolti in questa grandiosa impresa.

Antiche fratture e nuovi motivi di contrapposizione misero peròcostantemente alla prova l'ancora non consolidata e mai pienamenteperfezionata coesione della nuova compagine che si era creata e lastoria dell'Islam è anche, fin dalle sue origini, quella di un difficile eprecario equilibrio tra le ragioni dell'unità e quelle della divisione.

Non si tratta soltanto dell'atavica conflittualità tra nomadi esedentari, peraltro ancora attiva per secoli e per certi aspetti nonancora del tutto superata ai giorni nostri, ma di un più generaleconfronto tra le potenzialità universaliste della civiltà islamica e lesue radici che affondano in profondità in una determinata tradizionelinguistica e culturale che mantiene saldamente tutto il suo prestigioe la sua assoluta centralità.

La supremazia degli arabi e della loro cultura visse la sua stagioned'oro durante il Califfato omayyade, ma già con la fine di questo -poco più di un secolo dopo la morte del Profeta - si vide decisamenteridimensionata dalla rivoluzione abbaside. Fu proprio la capacità divalorizzare l'apporto dei popoli di recente islamizzazione chepermise alla dinastia di Baghdad di portare la civiltà musulmana alsuo apogeo.

Il percorso non fu però affatto lineare e l'impero islamico puòessere rappresentato molto più efficacemente con l'immagine di unmosaico piuttosto che con quella di un blocco monolitico.

Si era infatti già prodotta la lacerante spaccatura tra sunniti e sciitiche avrebbe continuato ad alimentare nel corso dei secoli ogni sortadi conflitti, mentre ciascuno dei due campi vedeva nascere al propriointerno ulteriori correnti e ramificazioni concorrenti.

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Inoltre intere etnie, gruppi linguistici e culturali e persinocomunità religiose, pur assoggettate dall'inarrestabile moto dellaconquista e talvolta associate ad esso, mantennero o svilupparonocaratteristiche proprie determinando un'articolazione regionale dellaquale è ancor oggi indispensabile tener conto per comprendere ledinamiche che stanno alla base delle relazioni tra le moderne entitànazionali che si sono formate in questa parte del mondo.

Se l'Islam arabo conserva infatti una certa supremazia in forza diuna sorta di diritto di primogenitura, non è meno vero che differentiaree sono ormai chiaramente individuabili: quella persiana, conaddentellati linguistici e religiosi che vanno ben oltre i confini dellostato iraniano; quella turca, comprendente anche la maggior partedelle province asiatiche dell'ex Unione Sovietica; quella indo-pakistana, segnata dal complesso rapporto tra Islam e antichetradizioni religiose da esso radicalmente differenti; quelladell'estremo oriente, di islamizzazione più recente, generalmentemeno conosciuta, ma probabilmente destinata a giocare un ruoloimportante nel prossimo futuro e quella dell'Africa sub-sahariana,caratterizzata da uno spiccato sincretismo che ne fa, per l'Islam comeper altre religioni, un laboratorio culturale di grande interesse.

In un quadro tanto frammentato sussistono però alcuni elementiche garantiscono un certo grado di coesione: in particolare unavisione del mondo fortemente caratterizzata dall'atteggiamentoreligioso e una radicata mentalità profondamente legata allatradizione.

Su questa si fonda il mito dell'unità della Umma islamica, fortequanto quello dell'aurea epoca delle origini.

Esso è mantenuto in vita tanto dai musulmani, che vagheggianouna ritrovata egemonia in forza della solidarietà religiosa, quanto dacoloro che dipingono il "blocco" islamico come nuovo e temibileantagonista dell'Occidente.

Tuttavia, nonostante la suggestione che sa esercitare sia all'internoche fuori del mondo musulmano, l'ideale panislamico non saprodurre all'atto pratico molto più di qualche sussulto e si deveconstatare che tra gli stessi arabi le aspirazioni unitarie servonospesso più a rimettere in discussione confini e suddivisioni mai

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completamente accettate che a promuovere iniziative più realistichedelle velleitarie federazioni o addirittura delle fusioni di più stati chefino a non molto tempo fa venivano annunciate e rinnegate con lastessa facilità nel volgere di brevissime stagioni.

1.4 Fattori di continuità e di cambiamento

L'irrigidimento e la decadenza che hanno progressivamenteinteressato la cultura arabo-musulmana e in particolare il pensieroreligioso dopo la caduta degli Abbasidi hanno contribuito arafforzare nell'immaginario occidentale l'idea della civiltà islamicacome antitetica ai principi della razionalità e agli ideali del progresso.

Se le cose stessero davvero in questi termini non si spiegherebbecome, per secoli, proprio dalle sfarzose corti dei Califfi e dalle lororicchissime biblioteche siano giunti in Europa gli elementi di base dimoltissime discipline, né come mai, nonostante il declino culturale, ilmondo musulmano abbia potuto ancora a lungo rappresentare perl'Occidente un avversario di tutto rispetto.

Se la civiltà islamica corrispondesse veramente allo stereotipo chela vuole ripiegata su se stessa, ostile a ogni innovazione e incapace diprodurre alcunché di originale, gran parte della nostra stessa storiaculturale resterebbe sostanzialmente inspiegabile.

Ciò che ha contribuito a distorcere lo sguardo che ciascuno deidue rivolge all'altro sono i tempi e le modalità differenti con cuiprocessi simili si sono verificati nelle nostre rispettive civiltà.

L'Islam ha infatti vissuto prima il proprio Rinascimento e soltantoin seguito ha conosciuto un'involuzione che ha avuto manifestazionianaloghe a quelle comunemente considerate espressionidell'"oscurantismo" medievale.

Nei primi tre secoli della sua storia infatti esso ha saputo congrande elasticità produrre una mirabile sintesi mediando tra idifferenti influssi culturali che subì durante la sua straordinariaespansione.

Animato da una grande fiducia in se stesso e senza dover fare iconti con una troppo ingombrante tradizione ancora in fase di

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codificazione, l'Islam diede vita a una nuova civiltà dosandosapientemente elementi propri e prestiti ripresi dall'esterno.

La rinascita culturale dell'Europa iniziò proprio quando laparabola dell'Islam, dopo aver dato i suoi frutti migliori, imboccavala sua fase discendente.

Gli storici non hanno ancora saputo dare pienamente ragione deimotivi che stanno alla base di questa inversione di tendenza, né sipuò dire che sia stata trovata una spiegazione soddisfacente delperché proprio l'Europa occidentale abbia costituito l'ambiente in cuiil moderno sviluppo scientifico e tecnologico abbia presodecisamente l'avvio.

Ciò che va rilevato nell'ambito delle finalità del presente studio èche l'Islam non sembra mostrare attualmente le stesse doti diadattabilità che ha avuto in passato proprio nella fase in cui glisarebbero maggiormente utili.

L'influsso determinate che l'Occidente sta giocando ormai da unpaio di secoli sulle società musulmane riesce ad essere assimilato daqueste soltanto parzialmente, mediante giustapposizioni di elementiche non sanno trovare il modo di amalgamarsi organicamente.

Stabilire il perché di una simile impasse non è semplice: i motivistorici (difformità dei due percorsi di sviluppo culturale) e psicologici(mancanza di autostima derivante dalla perduta supremazia) sin quiricordati possono giustificarla soltanto parzialmente.

Con maggiore probabilità la crisi appare di più difficilesuperamento perché non sembra possibile affrontarla con collaudatetecniche di mediazione e all'interno di consuete strategie diadattamento. Lo stringente confronto con la modernità parrebbeimporre una logica estranea e difficilmente assimilabile.

Le ambiguità di fondo che permangono nel modo di concepire irapporti tra assoluto e storia, tra verità rivelata e interpretazioneumana, tra principi permanenti e loro contingenti realizzazionistoriche precludono il passo a effettive formulazioni originali elasciano che i dilemmi si dipanino lungo un circuito apparentementesenza sbocco.

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In questa situazione chi si dichiara rivoluzionario non ha unreferente sostanzialmente diverso da quello del potere costituito chedice di voler combattere.

All'uno e all'altro dei due contendenti si offrono legittimazioniteoriche del tutto analoghe, tanto che diventa spesso difficile stabilirese un movimento sia rivoluzionario o restauratore e in definitiva siassiste a una gara in cui ciascuno pretende di presentarsi tanto piùcredibilmente innovativo quanto più autenticamente edefficacemente interprete del perduto ordine originario.

Eppure, come torneremo a dire, questo Islam politico è unprodotto del mondo moderno, anche se chi lo utilizza - vuoi permantenere lo status quo vuoi per rovesciarlo - sembra nonavvedersene, insistendo anzi nel proporsi come il più genuinoportatore di una tradizione immutabile.

Paradossalmente, dopo aver tanto proclamato di voler introdurrecambiamenti prendendo a prestito di volta in volta le ideologie laichepiù alla moda, senza in realtà riuscire a modificare sostanzialmenteconcezioni e strutture di base del pensiero e della società, imusulmani potrebbero trovarsi ad assorbire inconsapevolmentealcune caratteristiche tipiche della modernità - non necessariamentele migliori - proprio attraverso il movimento che a parole vi sioppone con maggiore determinazione.

Gli osservatori più attenti hanno già segnalato che si è ormaipassati dalla fase che cercava di "modernizzare l'Islam" a quella chemira a "islamizzare la modernità"18. Nell'uno e nell'altro caso siassiste comunque a imponenti tentativi di trasformazione che nonconsentono di liquidare il mondo musulmano come un'area statica,bloccata nelle secche di un tradizionalismo immobilista.

Il percorso lungo il quale questo sta avvenendo è però tutt'altroche lineare. Ciò è dovuto, come si è detto, al mancato chiarimento dialcune premesse a all'ambiguità delle dinamiche in atto che sonoanimate allo stesso tempo da spinte di attrazione e di repulsioneverso i modelli acculturanti e il mondo dal quale provengono. Talidinamiche sono in atto ormai da tempo e non sono monopolizzate da

18 Cf. B. Etienne, L'islamismo radicale, Milano 1988, pp. 94 ss.

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un unico orientamento. Per comprenderne meglio gli esiti più recentivale la pena di analizzarne dunque, per grandi linee, l'origine e losviluppo.

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2. GLI OPPOSTI ESITIDEL RISVEGLIO ISLAMICO

Le attitudini che oggi si manifestano all'interno del mondomusulmano non sono che le espressioni più recenti di un vastoprocesso di rinascita che si è prodotto negli ultimi due secoli.

Come cercheremo di illustrare nelle pagine che seguono, talerisorgimento (Nahda) sta alla base di tutte le correnti che si sonosuccessivamente sviluppate, anche di quelle che, a un primo esame,sembrerebbero escludersi a vicenda. Proprio nelle ambiguità e nellapolivalenza delle premesse poste durante la prima fase di questo"risveglio", trovano infatti un'unica origine tanto le posizioni diquanti sostengono la necessità di un sostanziale rinnovamentomediante l'emancipazione dalla tradizione islamica anche su puntidelicati ed essenziali, quanto quelle di coloro che, al contrario, diquella stessa tradizione intendono riproporre contenuti e forme,rifiutando ogni altro modello e concependo la "riforma" più come un"ripristino" di quanto è stato accantonato o inadeguatamenteapplicato che come un effettivo cambiamento, ambivalenza peraltroriscontrabile in ogni movimento modernista e non certo prerogativaesclusiva soltanto di quello islamico19.

2.1 Le premesse

La stagione più dinamica e creativa del pensiero musulmanocoincise con i primi secoli del Califfato quando, in concomitanza conla sua grande espansione militare, l'Islam seppe creare sintesi diampio respiro tra i suoi valori e l'eredità delle tradizioni culturali cheandava via via inglobando. Terminata questa fase, già prima

19 Cf. A. Di Nola, «Per una tipologia dei modernismi», in Annali dell'Istituto

Universitario Orientale di Napoli, n. 35/2 (1975), pp. 1-8.

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dell'abbattimento degli Abbasidi da parte dei Mongoli nel 1258, si eraassistito a un progressivo impoverimento ed irrigidimento dottrinaleche accompagnò l'Islam fino alle soglie dell'era moderna, con unosviluppo inverso rispetto a quello conosciuto dall'Occidente cristiano:al periodo della massima fioritura, avvenuta appunto nei secoli checorrispondono a quelli del nostro Medioevo, seguì un lento mainesorabile declino che interessò i più diversi settori della cultura,proprio mentre l'Europa viveva il suo Rinascimento.

I primi segnali di rinnovamento si possono rintracciare già nelXVIII secolo, con l'anticipazione di alcune tematiche che sarannoriproposte sistematicamente dal successivo riformismo islamico.Ricordiamo a questo proposito il movimento dei Wahhabiti, fondatoin Arabia da Muhammad ibn `Abd al-Wahhâb (1703-1792),esponente di un puritanesimo intransigente teso a riportare l'Islamalla sua formulazione originaria, liberandolo da principi e pratiche diorigine spuria che ne avevano alterato la purezza e indebolito laforza20. La fortuna del Wahhabismo si deve alla sua alleanza conl'emergente dinastia saudita, ma al di fuori dell'Arabia la suainfluenza fu assai limitata: la necessità di riformare l'Islamriportandolo alle origini e la contestazione di alcune parti delledottrine e delle pratiche tradizionali anticiparono comunque alcunetesi che successivamente avrebbero avuto grande fortuna. Qualcosadi analogo avvenne più o meno nello stesso periodo in Cirenaica, conil movimento dei Senussi. All'opposto dei Wahhabiti costoro nonerano ostili alle pratiche mistiche, ma si organizzarono addiritturacome una specie di confraternita. Il loro fine era comunque simile aquello dei puritani d'Arabia: essi infatti si proponevano di riprenderelo stile di vita austero e devoto dei primi credenti e rifuggivanol'esempio dei musulmani occidentalizzati che avevano abbandonatole antiche tradizioni e l'autentica dottrina islamica21.

20 Cf. J. S. Habib, Ibn Sa`ud's Warriors of Islam. The Ikhwan of Najd and their role in

the creation of the Sa`udi Kingdom, 1910-1930, Leida 1978; Th. Khoury, Un Modèle d'Etatislamique: l'Arabie Saoudite, Monaco 1982.

21 Cf. E. E. Evans-Pritchard, The Sanusi of Cyrenaica, Londra 1949; F. Gabrieli,«Puritanismo e modernismo musulmano», in Aspetti della civiltà arabo-islamica, Roma1956, pp. 145-155.

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2.2 I grandi temi e i maggiori esponenti del primo riformismo

Una trasformazione più profonda e generalizzata in grado diinvestire formulazioni dottrinali classiche e radicate tradizioni si ebbeperò soltanto quando il più diretto confronto e scontro conl'Occidente, non più limitato soltanto o principalmente alla sferapolitico-militare, condusse a una drammatica svolta. Si presecoscienza della necessità di acquisire nuove conoscenze e tecnichemoderne, di rinnovare apparati e istituzioni e di sollevarsi dalla"stagnazione" (gumûd) che caratterizzava la vita culturale, ma ciòavvenne come d'improvviso e non al termine di un graduale processoevolutivo, quando la decadenza dell'Impero Ottomano e la politicaespansionista delle potenze europee costrinsero i paesi arabo-musulmani a prender coscienza del loro "ritardo" in molti settori edell'urgenza di porvi rimedio22. La data che viene solitamenteindicata come punto di partenza di questo processo è quella del 1798,corrispondente alla campagna di Bonaparte in Egitto. In realtà giàl'Impero Ottomano aveva introdotto significative novità (come lastampa, nel 1727, e - a metà dello stesso secolo - la riformadell'esercito) ma non si può negare che tale processo fu stimolato edaccelerato dalla presenza francese in Egitto e che esso continuò adopera dei governanti e degli intellettuali locali anche dopo che quellaebbe fine.

Un annalista del tempo, `Abd al-Rahmân al-Gabartî (1754-1825), ciha lasciato pagine significative a proposito degli effetti di questoincontro ravvicinato tra le due civiltà:

«Ci presentarono poi altri esperimenti scientifici di questo genere,basati sulla combinazione di corpi semplici e il loro avvicinamentol'uno all'altro. Ci fecero anche vedere una macchina nella qualegirava un vetro che, all'avvicinarsi di un corpo estraneo emettevadelle scintille producendo dei crepitii. Se una persona teneva con unamano un oggetto che comunicava con la macchina, fosse anche statoun filo, e con l'altra toccava il vetro che girava, il suo corpo ricevevauna scossa istantanea che gli faceva scricchiolare le ossa della spalla edel braccio. La stessa cosa accadeva nel corpo di un'altra persona che

22 A. Merad, L'Islam contemporain, Paris 1984. pp. 33-44.

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toccasse la prima o anche solo il l'orlo dei suoi indumenti o persinol'oggetto comunicante con lei. In questo modo mille persone e piùpotevano ricevere istantaneamente la scossa. Fecero ancora altriesperimenti tutti straordinari come i primi e che delle menti come lenostre non potevano né concepire, né spiegare»23.

Il desiderio di acquisire le conoscenze e le tecniche cheassicuravano ai paesi europei la superiorità determinò, negli annisuccessivi, l'invio da parte dei governatori d'Egitto, a cominciare dalcelebre Muhammad `Alî (1769-1849), di apposite missioni di studio24

che non limitarono il proprio interesse alle scienze, ma siappassionarono all'insieme della cultura occidentale e, una voltatornate in patria, furono determinati nella promozione di innovativiistituti di formazione, destinati a creare la futura classe dirigente allaquale furono offerti in arabo non soltanto manuali di studio, maanche opere filosofiche e letterarie dei maggiori autori europei25.

Inestimabile fu il contributo dato in questo senso da un'appositacommissione presieduta da Rifâ` al-Tahtâwî (1801-1873) il qualetradusse dal francese autori come Voltaire, Montesquieu e Fénelon eche ci ha lasciato un interessantissimo diario del suo lungo soggiornoparigino(1826-1831)26.

In particolare si pose il problema della lingua, che dovevaadeguarsi alla funzione di strumento di comunicazione di massa edotarsi di un lessico rinnovato e di una struttura più elastica perpoter esprimere nuove realtà.

23 El-Djabarti, Merveilles biographiques et historiques, Cairo 1891, ed. Hraus-

Thomson, Nendeln, 1970, tomo VI, pp. 74ss.24 Cf. G. Delanoue, Moralistes et politiques musulmans dans l'Egypte du XIXème siècle

(1798-1882), Lilla 1980.25 Per una lettura critica degli avvenimenti di questo periodo da parte dei

musulmani radicali, propensi a considerarli espressioni di un'aggressione culturaleparagonabile all'aggressione militare dei Crociati cf. Muhammad Qutb, Wâqi`unâ al-mu`âsir (La nostra situazione contemporanea), Gedda 1987, in particolare pp. 195ss.Sul colonialismo culturale seguito a quello politico e sulle mancanze dei musulmani,corresponsabili della loro debolezza, cf. anche Muhammad Qutb, al-`Azwu al-thaqâfîyamtaddu fî farâghinâ (L'invasione culturale si insinua nel nostro vuoto), Amman1985.

26 Cf. R. Tahtawi, L'Or de Paris, relation de voyage 1826-1831, Parigi 1988.

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Il problema linguistico non si limitava alla pur centrale questionedella diglossia (vale a dire la differenza tra la lingua scritta, rimastafedele alle regole dell'arabo classico, e quella parlata) ma investivaaltri importanti temi quali quello dell'evoluzione lessicale, avvertitocon particolare acutezza da intellettuali di doppia formazione, comeSalâma Mûsâ (1887-1958): «Non so come indicare in arabo i mobiliche arredano la mia stanza, mentre non ho difficoltà a farlo ininglese»27.

L'argomento non era del tutto nuovo, già al-Tahtâwî ne avevatrattato, sollevando anche delicati interrogativi sugli aspettistrutturali della lingua come veicolo efficace di trasmissione e disviluppo del pensiero: «Tra i fattori che favoriscono i Francesi nelprogredire nelle scienze e nelle arti, vano menzionate la semplicità ela perfezione della loro lingua.

Impararla non richiede molta fatica: un uomo di intelligenzamedia, una volta che l'abbia appresa, sarà in grado di leggerequalsiasi libro, poiché questa lingua è completamente priva diambiguità ed esclude ogni equivoco. Quando un professore volessespiegare un libro, non dovrà prima chiarire i termini che essocontiene, poiché questi sono già perfettamente intellegibili di per sestessi. Non occorre insomma ricorrere all'ausilio di una disciplinaparticolare solo per poter leggere un libro di qualsivoglia argomento.Esattamente il contrario di quanto avviene in arabo dove, per leggereun libro di una data materia, si deve prima studiarne il lessico,verificando minuziosamente il significato delle parole e completandole frasi dando ad esse un senso che non è esattamente quello cherisulta dall'espressione.

Niente di tutto questo avviene per i libri francesi, che noncomportano né commentari né glosse, salvo nei rari casi in cui siaaggiunta un'annotazione destinata a completare la frase,delimitandone il senso o precisandola in altro modo. Il solo testo auna prima lettura basta a far comprendere quanto si vuol

27 S. Mûsâ, "al-Taraddud bayna al-Sharq wa-l-Gharb" (L'indecisione tra Oriente e

Occidente"), in al-Yawma wa-ghadan (Oggi e domani) riportato in Aa.Vv., Fî-l-qawmiyya al-`arabiyya (Sul nazionalismo arabo), Beirut 1980, p. 340.

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comunicare. Accostandosi a un libro di qualsiasi disciplina ci si puòinteramente consacrare alla comprensione dei problemi e delle regoledi tale materia, senza perdersi in vane discussioni terminologiche. Cisi dedica esclusivamente alla materia di studio, ridotta ai concetti dibase, alle argomentazioni e alle conclusioni che si intendono trarre.Fare diversamente da così significa perdere il proprio tempo»28. Dallaconsapevolezza teorica del problema si passò in seguito a nuove esignificative esperienze nel campo letterario: uno dei maggioriprotagonisti ne fu Muhammad Taymûr (1892-1921) che, con spiritoda pioniere, compose opere teatrali in dialetto:

«I suoi personaggi egli li fa parlare in volgare (...) con l'intento diriprodurre con la maggiore aderenza alla realtà il materialed'osservazione. Se il teatro, egli afferma, è lo specchio della natura,bisogna raffigurare questa il più fedelmente possibile, senza alcunabbellimento. I personaggi che osserviamo nella vita parlano ildialetto: questa è dunque la lingua che anche sulla scena essi devonoparlare. Né è a dire che il dialetto non è un mezzo completod'espressione, perché questo, come qualsiasi altra lingua, puòesprimere tutto quel che si vuole»29. Dopo la sua prematurascomparsa però si può dire che «Il tentativo di Muhammad Taymûrdi creare con l'uso spregiudicato del dialetto una commedianazionale egiziana non ha avuto il seguito che se ne potevasperare»30. La questione della diglossia rimase del tutto irrisolta equella dell'ammodernamento della lingua restò comunqueproblematica, tanto che più avanti Ahmad Amîn potrà riproporla intermini sostanzialmente analoghi a quelli appena visti: «Coloro checonoscono due lingue o più, sono avvezzi a questo sentimento: seutilizzano una lingua straniera evoluta si accorgono che il lorodiscorso e le loro argomentazioni si orientano verso un obiettivochiaro e preciso e che in forza di ciò essi sono in grado di elaborareprogetti ben definiti simili a piani di battaglia (...) Se una stessa

28 R. al-Tahtawi, L'Or de Paris, Sindbad, Parigi 1988, pp. 185 ss.29 R. Rubinacci, introduzione a M. Taymûr, `Abd al-Sattâr Effendi, Napoli 1960, p.

XIII.30 R. Rubinacci, op. cit., p. XIV-XV.

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persona invece ricorre all'arabo non individua l'obiettivo altrettantochiaramente né sa organizzare le sue argomentazioni allo stessomodo; l'esempio che illustra meglio questa situazione è il fatto che chiconosce due lingue formula spesso il proprio pensiero nella linguastraniera per tradurlo poi in arabo; raramente succede l'inverso,nonostante l'arabo sia la sua lingua materna...»31.

Tuttavia in quest'epoca si posero le basi per la nascita diquell'arabo letterario "medio" che ancora oggi è utilizzato nellastampa quotidiana, nei libri e nelle riviste.

Il ruolo dei giornali e della pubblicistica fu fondamentale a questoriguardo32 e ad essa diedero un contributo inestimabile intellettualicristiani, quali il linguista e lessicografo Bûtrus al-Bustânî (1819-1883)del Syrian Protestant College (fondato nel 1866 e divenuto nel 1919l'American University di Beirut), il poligrafo Gurgî Zaydân (1861-1914), il poeta e pittore Khalîl Gubrân (1883-1931) (il Kahlil Gibrannoto in occidente soprattutto per la celebre opera in versi Il Profeta,composta in lingua inglese), lo scrittore Mikhâ'îl Nu`ayma (1889-1988) che, grazie al rapporto privilegiato che univa la Chiesaortodossa libanese alla Russia, poté attingere anche alla tradizioneslava, oltre che a quella anglosassone, e gli scientisti libanesi - tra iquali Farah Antûn (1874-1922), influenzato da B. de Saint-Pierre e A.Comte e traduttore di E. Renan e F. Nietzsche33.

Non meno significative furono le trasformazioni nel settoregiuridico, dove modelli di stampo occidentale cominciarono ainfluire sulla codificazione del diritto, emancipandolo largamentedalle forme e dalle disposizioni tradizionali mediante un «processodi acculturazione che nel campo del diritto si è prevalentementemanifestato con la ricezione di modelli normativi stranieri»34 già

31 A. Amin, "Logique et langage", in A. Abdel-Malek, Anthologie de la littérature

arabe contemporaine, II Les Essais, Parigi 1965, p. 93.32 Cf. E. Hanna Elias, La Presse arabe, Paris 1993.33 Cf. D.M. Reid, The Odyssey of Farah Antun, Minneapolis-Chicago 1975.34 F. Castro, «La codificazione del Diritto privato negli Stati arabi

contemporanei», in Rivista di Diritto Civile, n. 4 (1985), pp. 388. Cf. anche S. Noja, «Larecente evoluzione del diritto nei Paesi musulmani del Vicino Oriente», in OrienteModerno, n. 9-10 (1968), pp. 689-708.

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evidente nelle riforme avviate da Adbul Magîd I (1839-1861)nell'Impero Ottomano, le celebri Tanzîmât.

Nel Maghreb, e più precisamente in Tunisia, si adoperò in talsenso particolarmente lo statista Khayr al-Dîn (1820-1889) il quale siavvide che l'acquisizione di tecniche e strumenti di guerra piùaggiornati e perfezionati non avrebbe potuto garantire alla lungal'indipendenza e lo sviluppo dei paesi arabo-musulmani se non fosseandata di pari passo con una radicale revisione del potere autocraticodei loro principi e con l'evoluzione delle istituzioni e delle finanzepubbliche sul modello dei moderni stati europei35.

L'apertura alle suggestioni del pensiero europeo fu in un primotempo entusiastica e incondizionata, ma la fase ricettiva non potevadurare a lungo in modo acritico, non soltanto a motivo del rischio diperdita d'identità che un simile processo comportava, ma anche acausa degli avvenimenti politici che vedevano nella politica diaggressione coloniale dell'Occidente il principale ostacolo sullastrada della realizzazione di quegli stessi ideali che il contatto con lacultura europea aveva contribuito a diffondere.

Le tematiche del risveglio culturale, il recupero della propriatradizione, nella quale l'Islam giocava un ruolo di primo piano, el'anelito al riscatto politico presero dunque a muoversi di pari passo.

Ciò è evidente già in Gamâl al-Dîn al-Afghânî (1838-1897),ispiratore di gran parte delle correnti innovative del pensieromusulmano moderno36. Il grave stato di decadenza in cui versavano ipaesi musulmani - a suo parere - non soltanto non era degno del loroglorioso passato, ma neppure conforme allo spirito genuinodell'Islam che vede nel successo anche temporale un segno dellapropria autenticità e della benevolenza divina.

Riprendendo una celebre affermazione coranica secondo la quale"Iddio non cambia il favore di cui ha favorito un popolo fin quando

35 Cf. J. Fontaine, «Khéreddine, réformiste ou moderniste?», in Institut Belles

Lettres Arabes, 1967, 30, pp. 75-81; Kh. al-Tounsî (a cura di M. Morsy), Essai sur lesréformes nécessayes aus Etats musulmans, Parigi 1987.

36 Cf. N. R. Keddie, An Islamic Response to Imperialism: Political and ReligiousWritings of Sayyid Jamâl al-Dîn al-Afghânî, Berkeley 1968; Id. Sayyid Jamâl al-Dîn al-Afghânî. A Political Biography, Berkeley 1972.

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essi non cambiano quel che hanno in cuore" (VIII, 53; XIII, 11) al-Afghânî si fece impietoso censore di quegli atteggiamenti cheavevano reso i musulmani corresponsabili della crisi che li affliggeva.L'ignoranza e la pedissequa imitazione della tradizione nelle sueformulazioni più tarde e decadenti; le divisioni interne alla Comunitàche opponevano le une alle altre sette ed etnie chiamate invece adessere solidali in nome della fede comune; il carattere dispotico delpotere della maggior parte dei principi musulmani e la loroinclinazione verso le più opportunistiche alleanze furono oggettodella sua critica; ma non meno deciso e combattivo egli si dimostrònel prendere le difese dell'Islam nei confronti dei suoi detrattori.Ribattendo alla tesi espressa da Ernest Renan nella celebre conferenzatenuta alla Sorbona nel 1883 secondo la quale l'Islam sarebbe "lanegazione della scienza" al-Afghânî diede l'avvio a un filoneapologetico destinato a svilupparsi enormemente negli annisuccessivi e che tenderà a dimostrare non soltanto la perfettacompatibilità tra scienza e fede, ma addirittura la superioritàdell'Islam rispetto alle altre religioni quanto ad apertura verso leesigenze della razionalità, imputando i mali di cui il mondomusulmano soffriva anzitutto a un'incompleta o non correttaadesione agli ideali della propria fede da parte dei suoi seguaci.

La constatazione del "ritardo" accumulato nei confronti dei paesioccidentali e lo scandalo per i mutati rapporti di forza con gli antichiavversari infedeli diventerà un motivo ritornante nella riflessione dimolti, fino agli esponenti del recente radicalismo musulmano, i qualiesprimono senza esitazione lo stupore per la perduta supremazia chetendono però a far dipendere essenzialmente da cause morali:«Essendo l'Islam la forza di progresso leader che guida sulla retta viaed essendo la civiltà occidentale affetta da tanta decadenza daregredire verso lo stato animale... saremmo noi musulmani a doverdetenere forza, capacità, progresso, civiltà e autorità, così come laperfetta rettitudine morale e nei rapporti sociali, mentre l'Occidentedovrebbe essere in stato di debolezza, abiezione e umiliazione.

Eppure in realtà accade l'inverso. L'Occidente non è solo forte e"civilizzato", ma nelle relazioni individuali è equo e retto in modo

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lampante: raramente uno di loro inganna un altro, lo imbroglia, loraggira o gli mente nei rapporti quotidiani, per di più si dedica al suolavoro facendolo al meglio e applicandosi al massimo, mentre noimusulmani facciamo tutto il contrario»37.

Se da un lato si avvertiva dunque la necessità di svincolarsi dagliaspetti statici del pensiero religioso tradizionale e di una più generalematurazione, dall'altro maturava la consapevolezza che proprio esso- benché diversamente interpretato - poteva fornire quegli elementidi continuità che garantissero la conservazione della propria identitàin un momento di tanto vaste e radicali trasformazioni.

Qualcosa di simile allo spirito della Riforma protestante si puòrintracciare nel pensiero di al-Afghânî, il quale sosteneva la necessitàdi un contatto diretto con l'autorità della Scrittura (il Corano), senzafermarsi all'interpretazione tradizionale. Di qui la condanna dellospirito di "imitazione" (taqlîd) e l'invito a riaprire la "portadell'igtihâd", cioè dello "sforzo interpretativo" indebitamenteinterrotto ormai da molti secoli.

Alcuni temi teologici, come quello del rapporto fede-opere equindi la questione della predestinazione, e fenomeni religiosi dirilevo, quali quello delle confraternite mistiche molto diffuse a livellopopolare, venivano implicitamente messi in discussione da questonuovo modo di vedere le cose.

Chi sviluppò in tal senso lo spirito del riformismo musulmano fusoprattutto il dotto egiziano Muhammad `Abduh (1849-1905). Dopouna formazione tradizionale e il fondamentale incontro con al-Afghânî, di cui fu stretto collaboratore durante un breve esilioparigino, `Abduh si dedicò completamente agli studi eall'insegnamento38. Ebbe così occasione di dare un importantecontributo al rinnovamento del pensiero religioso islamico.Soprattutto nel suo celebre trattato teologico Risâla al-tawhîd (Epistola

37 Muhammad Qutb, al-Tatawwur wa-l-thabât fî hayât al-bashariyya (Evoluzione e

stabilità nell'esistenza umana), Il Cairo 1986, p. 263.38 Cf. O. Amin, Mohammed Abdouh: essai sur ses idées philosophiques et religieuses, Il

Cairo 1944; Ch. C. Adams, Islam and Modernism in Egypt: A study of the Modern ReformMovement inaugurated by Muhammad Abduh, Londra 1933; M.H. Kerr, Islamic Reform:The Political and Legal Theories of Muhammad Abduh and Rashid Rida, Berkeley 1966.

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sull'unicità divina)39 egli riprese lo spirito dell'antica scuolamu`tazilita (IX secolo) che si era adoperata per armonizzare su basirazionali il sapere scientifico - allora rappresentato dall'eredità dellafilosofia classica - e quello religioso.

Nel pensiero di `Abduh l'accordo tra ragione e fede, lungi dalridursi a un semplice argomento apologetico, sta alla base di unnuovo rapporto tra natura e rivelazione, con importanti conseguenzesul piano etico. Accordando all'uomo la capacità di conoscere da séalcune fondamentali verità, prima che la rivelazione venga acompletarle, egli ammetteva l'esistenza di una morale naturale,indispensabile alla rivalutazione della responsabilità individuale econtraria a ogni tendenza fatalista: «Lo spirito umano [...] ha ripartitole azioni in nocive e utili chiamando malvagie le prime e buone leseconde. È su questa ripartizione che si basa la distinzione tra vizio evirtù, anche se sono stati pochi gli autori che hanno dato unadefinizione di questi termini e ancor meno quelli che hanno saputofarlo adeguatamente: ciò è avvenuto in ragione dell'intelligenza diquanti se ne sono occupati. Su tale distinzione si basano la felicità ol'infelicità, il progresso o la decadenza, l'affermazione ol'indebolimento dei popoli e delle nazioni. Si tratta di verità primeper la ragione e non vi sono pensatori o filosofi di parere divergentesu di esse. Possiamo riassumerle affermando che le azioni sonobuone o malvagie in se stesse, a motivo delle loro conseguenzeparticolari o generali; la ragione e i sensi dell'uomo pertanto sono ingrado di distinguere le une dalle altre, come abbiamo spiegato, senzaaver bisogno di fondarsi su una rivelazione. Il comportamento dialcuni animali, dei bambini che ancora non conoscono i doveri moralie la storia dell'uomo primitivo ce ne danno ampia conferma»40.

Anche sul piano pratico `Abduh si distinse per iniziativecoraggiose, come le riforme che propose per la moschea-università dial-Azhar relativamente sia ai contenuti degli insegnamenti(introduzione dello studio delle lingue straniere e di materiescientifiche) sia all'organizzazione della vita degli studenti (didattica,sussidi, alloggi...), e contribuendo coi suoi insegnamenti alla

39 M. Abdou, Rissâlat al Tawhîd. Exposé de la religion musulmane, PariGI 1965.40 M. `Abduh, Risâlat al-Tawhîd, Algeri 1989, pp. 53ss.

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formazione di una nuova generazione di intellettuali destinati agiocare un ruolo di rilievo nelle future vicende del mondo arabo-musulmano.

2.3 Il riformismo islamico al bivio

Dopo la sua scomparsa, il movimento che a lui si rifaceva venneguidato dal siriano Rashîd Ridâ (1865-1935) e prese il nome diSalafiyya41, con riferimento alle "prime generazioni" (salaf) di seguacidel Profeta che più fedelmente ne avevano seguito l'esempioattuando gli insegnamenti dell'Islam.

Questa stessa ambigua denominazione rivela comeprogressivamente, all'impulso realmente innovativo, si andavaaffiancando e talvolta sostituendo la tendenza a ripristinare l'Islamnelle sue forme originarie, privilegiando il filone apologetico erevivalista che fu proprio anche dei primi movimenti islamiciradicali, sorti appunto in quegli stessi anni, come quello dei FratelliMusulmani42.

2.3.1 Riformare l'Islam

Non per questo si può dire che la spinta al rinnovamento siavenuta del tutto a mancare. Anzi, alcune delle voci più significative edelle proposte più audaci in questo senso dovevano ancoraesprimersi, come estrema conseguenza della consapevolezza dellanecessità di un sostanziale cambiamento, già espressacompiutamente dagli spiriti più acuti.

41 H. Laoust, «Le Réformisme orthodoxe des 'Salafiya' et les caractères généraux

de son orientation actuelle», in Revue des Etudes Islamiques, n. VI/2 (1932), pp. 385-434.

42 Concependo la rinascita islamica anche come una ripresa di vigore delleistituzioni classiche R. Ridâ si adoperò per la restaurazione del Califfato (Cf. H.Laoust, Le Califat dans la doctrine de Rashîd Ridâ, Parigi 1986), abolito nel 1924 inTurchia da Mustafa Kemal, partecipando ai congressi panislamici del Cairo e dellaMecca (entrambi nel 1926) che si conclusero con un nulla di fatto, come del restoanche i successivi tenutisi a Gerusalemme (1931) e di nuovo al Cairo (1937).

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Riferendo di un immaginario un congresso panislamico allaMecca, il siriano `Abd al-Rahmân al-Kawâkibî (1854-1902), esule inEgitto dal 1899, per bocca degli ipotetici delegati aveva da tempoespresso le sue valutazioni sulla situazione del mondo musulmano ele sue proposte di riforma43. Accanto ad alcuni temi tipici, quali ilsuperamento delle divisioni interne, l'abbandono dello spirito diimitazione, l'accordo tra fede e scienza e la critica del misticissimo, al-Kawâkibî avanzava osservazioni e proposte originali, come lanecessità di procedere a una nuova e sistematica codificazione dellalegge islamica (sharî`a) ridotta ormai a un farraginoso ed eterogeneoammasso di norme spesso obsolete e contraddittorie o l'opportunitàdi introdurre nella concezione islamica tradizionalmente totalizzanteuna netta distinzione tra spirituale e temporale. Osservazioni eproposte più puntuali in campo politico-sociale furono avanzatedallo stesso autore in un'altra opera che raccoglie una serie di articolisul tema del dispotismo e nella quale si ravvisano influssi diRousseau e dello stesso Alfieri44. Tra gli altri esponenti di rilievo delriformismo islamico in Siria45 ci limitiamo a citare Tâhir al-Gazâ'irî(1850-1920), autore di un fortunato catechismo nel quale cercò direndere accessibili in forma piana gli articoli del credo musulmanocombattendo allo stesso tempo forme devianti della religiositàpopolare; `Abd al-Qâdir al-Maghribî (1868-1956) fautore di riformenel settore dell'istruzione e della cultura; Muhammad Kurd `Alî(1876-1953) intellettuale e uomo politico di grande apertura.

In Libano emerge sulle altre la figura dell'intellettuale drusoShakîb Arslân (1869-1946): soprannominato amîr al-bayân (principedell'eloquenza) mise la sua abilità di scrittore al servizio della causadella rinascita araba, non solo sul piano della cultura, maimpegnandosi anche a livello politico. Nel 1921 a Ginevra si feceinfatti promotore di un Congresso Siro-palestinese di cui furappresentante presso la Società delle Nazioni e diresse la prestigiosarivista La Nation Arabe. Nel 1939 pubblicò un'acuta analisi delle cause

43 Cf. N. Tapiero, Les idées réformistes d'al-Kawâkibî, Paris 1956.44Cf. S.G. Haim, Alfieri and al-Kawâkibî, «Oriente Moderno», 1954, 34, pp. 321-334.45Cf. A. Pellitteri, Il riformismo musulmano in Siria (1870-1920), supplemento agli

«Annali dell'Istituto Universitario Orientale», n. 46/4 (1986).

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del "ritardo islamico" col significativo titolo Limâdhâ ta'akhkhara al-muslimûn wa limâdhâ taqaddama ghayruhum (Perché i Musulmani sonoarretrati mentre gli altri progrediscono):

«I musulmani che si lasciano andare all'inerzia non capiscono chequesto loro atteggiamento porta alla rovina della loro nazione, al suosvilimento rispetto alle altre e non si accorgono del male che fanno ase stessi, trascurando le scienze fino a ridursi allo stato di miseria incui si trovano e a dipendere dai loro nemici che li trattano senzaalcun riguardo. Quando constatano questa situazione la giustificanoparlando del destino e del decreto divino, come fanno tutti gliindolenti di questo mondo. È questo atteggiamento che ha reso moltimusulmani propensi alla pigrizia e ha prodotto la congrega deidervisci senz'arte né parte che sono un arto infermo del corpo dellasocietà islamica. È questo atteggiamento che ha indotto gli occidentalia definire l'Islam fatalista e rinunciatario: quello che è è e non si puòfarci niente. (...) Ripetiamo che sono stati i musulmani di questo tipoad aver spianato la via ai nemici dell'Islam, fornendo loro anche ilpretesto che la loro religione non si addice al progresso e ostacola laciviltà. In realtà sono le idee di quei musulmani a non adattarsi allaciviltà e ad opporsi al progresso, l'Islam non è responsabile della lororigidezza. Esso ha anzi rappresentato una rivolta contro un passatoiniquo e un taglio netto con ogni bassezza e menzogna: comepotrebbe essere la religione dell'inerzia? Coloro che comprendonorettamente l'Islam accolgono anzi di buon grado ogni innovazioneche non si opponga alle verità della fede e non provochi guasti.D'altra parte non riesco ad immaginare che nulla di quanto puòessere utile alla società islamica possa trovarsi in contrasto con unareligione che ha per fine la felicità dei suoi fedeli»46.

I maggiori esponenti del pensiero riformista nel Maghreb furonodegli algerini47. Sulla scorta delle tesi di M. `Abduh, che avevavisitato il paese nel 1903, essi si impegnarono contro il culto dei

46 Shakîb Arslân, Limâdhâ ta'akhkhara al-muslimûn wa limâdhâ taqaddama ghayruhum

(Perché i Musulmani sono arretrati mentre gli altri progrediscono), Beirut 1969, pp.107ss.

47 Cf. A. Merad, Le Reformisme musulman en Algérie de 1925 à 1940, Parigi 1967.

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marabutti e le altre forme di pietà deteriore diffuse tra il popolo, manello stesso tempo reagirono all'influenza occidentale facendo dellalingua e della cultura i punti di forza per la promozione dell'identitànazionale algerina opponendosi al diffondersi dei modelli di vitaeuropei.

Capofila del movimento fu `Abd al-Hamîd Ibn Bâdîs (1889-1940)48

che dopo un solido corso di studi tradizionali completati a Tunisi,ricevette suggestioni e stimoli determinati per la sua futura carrieradurante il pellegrinaggio alla Mecca e un soggiorno al Cairo.Dapprima insegnante, volle in seguito poter indirizzare il propriomessaggio a un pubblico più vasto: fu pertanto un pioniere delnascente giornalismo algerino e fondatore della rivista al-Shihâb (Lameteora), portavoce delle idee della Salafiyya e di posizioninazionaliste moderate.

Attorno a lui si costituì nel 1931 l'Associazione degli ulemaalgerini49 che raccolse gli spiriti più aperti dell'intellighenzia religiosaquali Bashîr al-Ibrâhîmî (1889-1965) che si batté perché la formazionereligiosa potesse avvenire in moschee e madrase libere, indipendentidalle istituzioni tradizionali che trasmettevano formule ormai vuote einefficaci, e Mubârak Mîlî (1897-1945), apostolo del riformismoislamico nel sud del paese, regno delle confraternite dominato da untribalismo semifeudale. Anche se dal punto di vista più strettamentedottrinale la corrente algerina è stata meno audace di quella egiziananel recupero di orientamenti teologici originali, l'importanza delmovimento fu enorme per la rinascita sociale e culturale del paese,ben sintetizzata dallo slogan dell'Associazione: "L'Islam è la miareligione, l'arabo è la mia lingua, l'Algeria è la mia patria".

Alcune voci significative di questo periodo esprimono meglio dialtre il profondo disagio e la drammaticità di un dibattito che nonopponeva soltanto gli uni agli altri esponenti di differentiorientamenti, ma lacerava al loro interno le coscienze.

48 Cf. Merad, A., Ibn Bâdîs commentateur du Coran, Parigi 197149 Cf. J. Carret, «L'Association des Olama Reformistes d'Algerie», in L'Afrique et

l'Asie n. 43 (1958), pp. 23-44.

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Emblematica è a questo proposito la figura del già citatointellettuale egiziano Salâma Mûsâ che diede voce alle contraddizionilasciate aperte dal processo di apertura ai modelli occidentali, tantoentusiasticamente intrapreso quanto rapidamente incagliatosi sualcune grandi questioni di fondo: «Sono trascorsi più di 130 anni (ilriferimento è alla campagna di Bonaparte in Egitto, N.d.T.) e ancoraci troviamo nell'incertezza, non sappiamo se siamo orientali edobbiamo seguire la via dell'Asia o se invece siamo occidentali edobbiamo unirci anima e corpo all'Europa assumendone le usanze,adottandone l'abbigliamento, il cibo, gli stili di governo, di vitafamiliare e sociale, i sistemi di produzione e di coltivazione»50.

Molte istituzioni si erano già andate uniformando a modellioccidentali: Salâma Mûsâ riconosceva in Isma`îl colui che si eraavveduto che «non c'era alternativa all'occidentalizzazione(tafarnug)»51 nello stesso tempo però esprimeva le sue riserve su unprocesso ancora precario e incompiuto, dove il vecchio e il nuovoandavano accostandosi e giustapponendosi invece di unirsi in unasintesi armonica: «Abbiamo un governo di stile europeo, ma visopravvivono entità orientali quali il ministero degli awqâf(fondazioni pie, N.d.T.) e i tribunali sciaraitici che frenano ilprogresso del paese. Abbiamo un'università che diffonde tra noi lacultura del mondo civilizzato, ma al suo fianco al-Azhar propagaquella dei secoli oscuri»52.

Questa preoccupazione fu una delle costanti del pensieroriformista: già nel 1926 così si esprimeva in proposito Abd al-Razzâqal-Sanhûrî, uno tra i più eminenti uomini di diritto del mondo arabocontemporaneo: «Le diversità attualmente esistenti in Egitto tra idifferenti sistemi d'istruzione non può certo contribuire all'unitànazionale. Il sistema religioso e quello laico sono semplicementegiustapposti: il primo a sua volta segue tanto programmi tradizionali(come ad al-Azhar) quanto procedimenti più moderni (come lascuola dei Cadi, o giudici, o quella per insegnanti di lingua araba,

50 S. Mûsâ, op. cit., p. 332.51 Ibidem, p. 33352 Ibidem, p. 334.

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Dâr al-`Ulûm). Un sistema scolastico unificato è indispensabileall'Egitto ancor più che alla Francia»53. Dieci anni dopo, nel suocelebre Mustaqbal al-thaqâfa fî Misr (Il futuro della cultura in Egitto),Taha Husain tornava sull'argomento: «Siamo convinti che lafunzione di al-Azhar nella formazione della cultura è di maggioreimportanza e di più ampia portata nella vita egiziana in particolare ein quella del mondo islamico in generale di quanto non credano glistessi azharisti. Ciò per diverse ragioni. Fra esse che al-Azhar è fra gliistituti d'istruzione dell'Egitto e dell'oriente islamico quello che hamaggiore numero di studenti, ed è quindi necessario che tale grandenumero di giovani egiziani e musulmani vi riceva una cultura noninferiore a quella che ricevono i giovani nelle università e negliistituti pubblici di istruzione sia per qualità sia per quantità, comesuol dirsi. (...) Non è quindi bene che al-Azhar sia in guerra contro lavita moderna: tale guerra non è utile e non giova. (...) Il malepeggiore è che l'uomo di religione parli alla gente e questa non locomprenda perché egli è antico e essa è moderna, che la gente parliall'uomo di religione e questo non la comprenda perché essa èmoderna ed egli è antico. Al-Azhar non deve lasciarsi ingannare dalfatto che oggi la gente l'ascolta e comprende qualcosa. Lamaggioranza degli Egiziani è ancora influenzata da una mentalitàmedievale, ma la vita stessa li trarrà domani o dopodomani da questostadio, e le generazioni che sorgono assumeranno moderni aspettieuropei...»54.

La coscienza di questi lati della fase critica attraversata dal propriopaese e dalla cultura araba in generale indusse Salâma Mûsâ aconsiderare necessaria una sorta di scelta di campo, nella quale egliespresse chiaramente il proprio orientamento. Egli dichiarava: «noinon siamo affatto orientali» e riteneva che «definire orientale l'Egittoè un errore madornale», pensando che: «l'attaccamento di alcuni dinoi per l'oriente è in realtà attaccamento per il passato»55.

53 Cf. A. Sanhoury, Le Califat, Parigi 1926, pp.342-343.54 T. Husain, Mustaqbal al-Thaqâfa fî Misr (Il futuro della cultura in Egitto), Il Cairo

1936, citato in P. Minganti, "Taha Husein e l'insegnamento in el-Azhar" nel volumeTaha Husein, Napoli 1964, pp. 82-83.

55 S. Mûsâ, op. cit., pp. 334-336.

50

Se questa posizione appare diametralmente opposta a quella deipromotori del "panorientalismo", propugnato fra gli altri anche da al-Sanhûrî, l'idea della specificità dell'Egitto era invece un tema comunea molti nazionalisti: da al-Sanhûrî stesso, il quale riteneva questopaese il «più adatto a costituire una nazione nel senso occidentale deltermine»56,fino a Taha Husain, sostenitore di una tesi più articolata eprudente, nella quale predominavano comunque l'eredità e lavocazione mediterranee della cultura egiziana. (Sensibilmentediversa sarà la posizione che si affermerà in seguito, basti pensarealle vibranti pagine della Filosofia della Rivoluzione di Nasser, dovel'Egitto viene collocato anzitutto nella compagine araba, quindi inquella africana e infine nella comunità islamica internazionale).

2.3.1.1 Opere di rottura

Salâma Mûsâ concepiva la religione come fatto privato: «Lareligione oggi non è più un fattore di aggregazione, ma un credomediante il quale l'individuo si lega all'universo. (...) Le religioni delfuturo saranno un fatto individuale e non collettivo...»57.

In questo egli si avvicinava alle tesi di altri intellettuali - anch'essicristiani - di quel periodo, come i già citati "scientisti libanesi"58, iquali avevano espresso la propria adesione alle teorie evoluzioniste,entrando in conflitto col loro ambiente d'origine fino a incorrere inun'aperta accusa di miscredenza, benché non avessero contestato idati della Rivelazione, se non nelle interpretazioni letterali chediscordavano con le acquisizioni della scienza moderna, né fosserogiunti al rifiuto della religione in quanto tale.

In campo islamico un orientamento simile appare in Taha Husain,quando afferma che «la storia ha stabilito da molto tempo che l'unitàreligiosa o di lingua non può costituire una valida base per l'unità

56 A. Sanhoury, op. cit., p.342.57 S. Mûsâ, op. cit., p. 343.58 Cf. J. Fontaine, «Les 'scientistes' libaneis de la nahda devant leur foi», in Institut

Belles Lettres Arabes, n. 128 (1971), pp. 225-258 e «Le désaveu chez les écrivainslibanais chrétiens de 1825 à 1940», in Proche Orient Chrétien, n. 23 (1973) pp. 3-32.

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politica, né un fondamento per la costituzione degli stati»59 e più ingenerale nella rimessa in discussione di concezioni tradizionali -quali lo stretto legame tra religione e politica - e quindi delleistituzioni musulmane classiche che su di esse si fondavano: primafra tutte il Califfato.

A questo tema è direttamente collegato uno dei due libri destinatia suscitare grande scalpore proprio a metà degli anni venti. Si trattadi al-Islâm wa usûl al-hukm (L'Islam e le basi del potere) di `Alî `Abdal-Râziq, apparso nel '25, nel quale è sostenuta la necessità diintrodurre una netta distinzione tra religione e politica poiché,secondo l'autore, la confusione tra i due campi è stata voluta daidetentori del potere soltanto in funzione dei loro propri interessi. NelCorano e nell'insegnamento del Profeta non vi sarebbero infattielementi sufficienti per sostenere che l'Islam porti necessariamentecon sé una determinata organizzazione della società con una specificaforma di potere: «Cerchi il lettore nel Corano un indizio esplicito oimplicito di quel carattere politico della religione islamica che costorovorrebbero erigere a dogma. Si sforzi quanto è possibile di trovaretali indizi tra i hadîth del Profeta. Sono queste le fonti genuine dellareligione, a portata di mano, cui attingere. Cerchi dunque di trarneuna prova o una parvenza di prova; non troverà nessun argomentoserio, ma solo materia di congetture»60.

Il Califfato si sarebbe quindi arrogato indebitamente il carattere digoverno islamico per eccellenza e lo studio degli avvenimenti storicidimostrerebbe al contrario quanto gli effetti negativi derivati da taleistituzione abbiano compromesso il destino della Comunità deicredenti.

Se si tien conto che il mondo musulmano era ancora sotto choc perla recente dissoluzione dell'impero ottomano e per la soppressionedel Califfato ad opera del presidente turco Mustafa Kemal, avvenutasolo un anno prima, non stupirà che quest'opera, accanto a qualche

59 T. Husain, «Les Egiptiens sont des Arabes», in A. Abdel-Malek, op. cit., p. 127.60 `Alî `Abd al-Raziq, L'Islam e le basi del potere, a cura di E. Panetta, in Studi

Politici, anno V, II serie, fasc. 4, Firenze 1925, p. 391.

52

consenso, suscitò soprattutto violente critiche e compromise lacarriera dell'autore.

Ancora non si erano spenti gli echi delle polemiche sorte attorno allibro di `Abd al-Râziq che, l'anno successivo, un altro volume fuoggetto di discussione: il famoso saggio di Taha Husain Fî al-shi`r al-gâhilî (Intorno alla poesia preislamica) nel quale l'autore metteva indubbio l'autenticità di gran parte del patrimonio poeticotradizionalmente attribuito ad autori arabi antichi, precedenti allanascita dell'Islam: «la stragrande maggioranza di quanto chiamiamopoesia preislamica non è per nulla tale, ma una contraffazione cherisale a dopo l'Islam ed è quindi islamica in quanto rappresenta lavita, le tendenze e le passioni dei musulmani molto di più di quantonon faccia per l'epoca precedente. Non ho quasi dubbi che quantoresta della vera poesia preislamica sia pochissimo, sia pocorappresentativo e che non vi ci si possa basare per farsi un'immagineautentica della letteratura di quel tempo»61.

Il carattere forse troppo drastico delle critiche mosse da TahaHusain verso il patrimonio letterario tradizionale e la violentareazione degli ambienti conservatori contribuirono a rendere lapolemica incandescente e il libro poté liberamente circolare solo dopoalcune rettifiche e non senza che l'autore, per qualche tempo, avessedovuto tenersi lontano da cariche pubbliche.

Anche sul piano della storia religiosa dell'Islam e in particolarerelativamente alla riabilitazione del Mu`tazilismo si ebbero nuoveprese di posizione62.

Già nel 1912 Gamâl al-Dîn al-Qâsimî (1866-1914) di Damasco,discepolo di M. `Abduh, aveva pubblicato uno breve studio cheaffrontava esplicitamente le tesi dell'antica scuola teologica in unospirito ben diverso da quello di condanna tradizionalmente seguito.Più importante fu però in questo senso l'opera dell'egiziano AhmadAmîn (1886-1954): facendo tesoro dei contributi dell'orientalismo

61 T. Husain, Fî al-shi`r al-gâhilî (Intorno alla poesia preislamica), Il Cairo 1926,

introduzione.62 R. Caspar, «Le renouveau du Mo'tazilisme», in Mélanges de l'Institut Dominicain

d'Etudes Orientales, n. 4 (1957), pp. 141-201.

53

europeo e con un uso diretto delle fonti originali egli redasse in piùvolumi una storia del pensiero islamico nella quale si occupòdiffusamente della dottrina mu`tazilita. Pur senza ignorare i rischiinsiti nel voler limitare la realtà divina nella logica umana l'autoreconsiderò favorevolmente gli sforzi di quei primi sistematizzatoridella teologia musulmana e sottolineò a più riprese le analogie tra laloro epoca e quella attualmente vissuta dai paesi islamici. Il suorammarico per la sconfitta del Mu`tazilismo da parte deitradizionalisti fu senza riserve63.

Non sono mancate, soprattutto in seguito, posizioni ancora piùcritiche nei riguardi della religione, ma in questo caso non si può piùparlare di riformismo musulmano, bensì di vero e proprio distaccodalla fede islamica. Ci limitiamo a segnalare il caso del siriano SâdiqGalâl al-`Azm (n. 1934) il quale, contrariamente a quanto avevanofatto coloro di cui ci siamo fin qui occupati, non cercò di comporre ildissidio tra scienza e fede ma, sviluppando le premesse razionalistedel suo pensiero, giunse al rifiuto delle religioni in generale, tanto neiloro principi costitutivi quanto nelle espressioni storiche che hannoassunto nel corso dei secoli64.

Le sue tesi, espresse nel 1969 nel libro Naqd al-fikr al-dînî (Criticadel pensiero religioso), benché non nuove né originali, ma forse perla prima volta tanto decisamente sostenute e ampiamente divulgateda un intellettuale di origine musulmana, fecero scalpore.

Questa impostazione, che ha il merito di uscire dalle secchedell'apologetica, non ha però contribuito positivamenteall'evoluzione del dibattito riformista non trovando seguito in unambiente culturale ove anche la contestazione più radicale tende ariallacciarsi comunque ai valori della tradizione religiosa, sia purereinterpretati ma quasi mai apertamente rifiutati.

63 Cf. M.L. Fitzgerald, «Critique et analyse des principes des Mu`tazilites par

Ahmad Amîn», in Etudes Arabes, n. 31 (1971), pp. 8-14; Id. «Est-ce que la mort duMu`tazilisme et la victoire des Traditionnistes ont turné à l'avantage desMusulmans? Par Ahmad Amîn», in Etudes Arabes, n. 32 (1972), pp. 24-28; AhmadAmîn, Duhâ al-Islâm (Gli albori dell'Islam), 3 voll., Il Cairo 1933-36.

64 CF. M. Lelong,«Pensée religieuse et culture moderne chez Sâdiq Jalâl al-`Azm»,in Se Comprendre, n. 85 (1972), pp. 1-14.

54

2.3.2 Ritornare all'Islam

Lo sviluppo del pensiero riformista, in Egitto come altrove, non siè mosso lungo la linea tracciata da Salâma Mûsâ, benché egli ne fossestato l'anticipatore sotto vari aspetti: la sua impostazione e il suolinguaggio risultarono infatti inadatti a quell'epoca «in cui il processonazionale e le ideologie politiche non avevano avuto modo didispiegarsi pienamente ed in cui, per alcuni intellettuali laici,l'importanza attribuita alla conoscenza della cultura occidentale forseoffuscava o rendeva difficile comprendere del tutto la realtà egizianae di conseguenza intervenire per trasformarla»65.

Tale considerazione vale in generale per l'insieme dei paesi arabi eriguarda in una certa misura anche per le opere di rottura cheabbiamo brevemente analizzato: esse esprimevano certamente unmalessere, ma nuove esigenze andavano trasferendo l'attenzione efocalizzando i conflitti su campi diversi.

L'erede di questa impostazione laica fu quella parte delnazionalismo destinato a prolungarsi, non senza travaglio, nellanascita del socialismo arabo, mentre il pensiero religioso si mostravaincline a sviluppare in un'altra direzione le medesime premesse.

Proprio nel periodo di cui ci stiamo occupando prendeva corpoinfatti una corrente, anch'essa a suo modo riformista - orientata peròin un senso diverso e talora opposto a quello fin qui delineato -, cheallo stesso tempo riprendeva antiche attitudini del pensiero islamicoe rappresenta l'ultima fase del problematico rapporto tra due civiltàvenute a più stretto e diretto contatto: «Quando due culture siincontrano, la cultura vincente impone i suoi concetti, valori,archetipi e caratteristiche alla cultura vinta, il cui ruolo è, in quelmomento, passivo, cioè di acconsentimento: essa si lascia prenderedalle apparenze di forza e di novità della cultura vittoriosa, mentrene ignora i tratti specifici e la verità, e non valuta né le influenze chequella avrà su di sé, né il posto che occuperà. Questo è ciò che èavvenuto, storicamente, al momento dell'espansione europea,

65 G. Contu, «Gli aspetti positivi e limiti del laicismo in Salâma Mûsâ» in Annali

dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli, suppl. 24, vol. 40/1980, p. 15.

55

durante i quattro secoli trascorsi, quando i modi di governo, i metodidi produzione e l'arte militare europea si diffusero negli altricontinenti.

A questa succede una seconda fase, nella vita delle culture vinte,una fase positiva, in cui queste culture si rivolgono verso le modeculturali e ne adottano le apparenze, pensando che questi modicostituiscano la fonte della loro potenza, che la loro adozionepermetterà alle culture vinte di pervenire ad eguagliare le culturevittoriose, così che esse potranno ormai scuoterne il giogo. (...)

Una terza fase dell'illusione culturale comincia subito dopo questaseconda fase, cioè quella dell'"età dell'oro" o del ritorno al passato,dell'orgoglio nazionale delle società in via di sviluppo»66.

Capofila di quest'ultimo orientamento fu, come abbiamo dettoRashîd Ridâ, col quale la componente apologetica divennepreponderante nel quadro di un confronto con l'Occidente che, tantodal punto di vista politico quanto da quello culturale, andavaassumendo toni sempre più aspri. Il momento più ricettivo delriformismo era ormai superato e gli sguardi si rivolgevano alla gloriaperduta dei secoli passati.

Il tema del ritorno alle origini e dell'eliminazione delle influenzeesterne che avrebbero alterato la primitiva purezza dell'Islam eradeterminato da una volontà di affermazione della propria originalitàe indipendenza culturale come forma di resistenza all'aggressioneoccidentale.

«Questa reazione sunnita non è che la riformulazione, adeguataalle condizioni presenti, della teoria classica per eccellenza checoncepisce l'evoluzione dell'Islam, a partire dalle sue origini e nonsolo nel campo del dogma ma anche in quello della lingua, come unprogressivo allontanamento da uno stato iniziale di purezza, disemplicità, d'unità dottrinale, liturgica e politica, sotto la spintaconcomitante di elementi persistenti della Gâhiliyya, dell'ignoranza

66 Mohi al-Din Saber, «Specificità nazionale e universalità», in A. Abdel-Malek,

op. cit., pp. 156-157.

56

del testo [sacro] e delle tradizioni [profetiche], degli eccessi insiti intalune interpretazioni e, soprattutto, di influssi stranieri»67.

La scuola della Salafiyya, si orientò così essenzialmente verso ladifesa apologetica dell'Islam contro i suoi detrattori, la purificazionedella religione da quelle pratiche e credenze di origine spuria che neavevano alterato la purezza e svilito la vitalità e si votò alla ricerca disoluzioni islamiche per i grandi problemi che emergevano sul pianopolitico e sociale.

Dando invece al termine Salafiyya un'accezione più ampia, nonlimitata a questo specifico movimento formatosi in un bendeterminato momento storico e in un particolare clima culturale, sipossono riscontrare a suo riguardo valutazioni più articolate:«Questo ritorno alle origini è detto Salafiyya, termine chesfortunatamente suona male all'orecchio di molti intellettualiilluminati e progressisti di orientamento laico... Essi infatti credonoche esso sia sinonimo di primitivismo, arretratezza, conservatorismo,inerzia e così via. Questo fraintendimento, a nostro avviso, impediscedi comprendere che in realtà la Salafiyya nel pensiero islamico nonrappresenta un'unica corrente. In effetti, tutti i movimenti dirinnovamento e di riforma all'interno dell'area araba e del mondomusulmano sono iniziati come appelli per il ritorno alle origini.Questo perché nella religione, nei valori, nei fondamenti, nellecredenze, nelle disposizioni legali, nelle cose relative all'ignoto e allavita futura, il ritorno alle origini è indispensabile... Taleatteggiamento però, se si limita a fermarsi a quanto "sta scritto",senza considerarlo attraverso una mente illuminata e le sueargomentazioni, è una Salafiyya letteralista e quanti la sostengonoconducono al conservatorismo e alla stagnazione. Costoro, nontenendo conto delle trasformazioni del mondo, fanno del loroprogramma un modello di inerzia che suscita preoccupazione, se nonaddirittura compassione. Quando invece la Salafiyya ha significato sìil ritorno alle origini, ma intese con mente aperta, limitatamente aivalori, ai fondamenti e alle credenze, coniugate con uno spirito di

67 Cf.H. Laoust, art. cit., pp. 396-97.

57

progresso per quanto attiene ai mutamenti della vita terrena, è stataallora il sistema di rinnovamento migliore»68.

Per il periodo di cui ci stiamo occupando è comunque innegabileche, con la Salafiyya, il movimento riformista si trovò infine reinseritonella concezione islamica tradizionale, la quale prevede, per boccastessa del Profeta, un ciclico rinnovamento, inteso essenzialmentecome restaurazione della primitiva purezza della fede69.

Così, in modo ambiguo se non contraddittorio, la Salafiyyarappresentò il punto di maturazione delle premesse poste dairiformisti del periodo precedente e la dilatazione della coscienzacritica della propria condizione in più ampi strati della società araba,ma contemporaneamente costituì anche il momento in cui le spinte ditrasformazione subirono un profondo mutamento di rotta: «taleritorno al passato nella dottrina e nel sentimento nazionale, cometutti i movimenti di questo genere, testimonia un istinto vitalesovraeccitato che si manifesta quando un ambiente accumula apportiesterni fino alla saturazione»70.

68 Muhammad `Ammâra, al-Istiqlâl al-hadârî (L'autonomia culturale), Beirut 1986,

pp. 158-159. Questo autore è tra i migliori conoscitori della storia del pensieroislamico, particolarmente delle correnti moderne, ed ha pubblicato in propositonumerosissime opere tra le quali ricordiamo al-Islâm wa-l-sulta al-dîniyya (Islam epotere religioso), Il Cairo 1977; Nazariyya al-khilâfa al-islâmiyya (La concezioneislamica del Califfato), Il Cairo 1977; al-Islâm wa-l-thawra (Islam e rivoluzione), IlCairo 1979; al-Mu`tazila wa-l-thawra (Mu`tazilismo e rivoluzione), Il Cairo 1984; al-Mu`tazila wa usûl al-hukm (Mu`tazilismo e basi del potere), Il Cairo 1984; Tayyârât al-fikr al-islâmî (Le correnti di pensiero islamiche), Beirut 1985.

69 Cf. art. "Islâh" (di A. Merad) nell'Encyclopédie de l'Islam; G. Hamza, «al-Mugaddidûn `abra al-qurûn» (Les rénovateurs à travers les siècles), testo arabo etrad. francese in Etudes Arabes (Roma), n. 55-56, pp. 1-10; E. Landau-Tasseron, «The'cyclical reform': a study of the mujaddid tradition» in Studia Islamica, n. LXX (1989),pp. 79-117.

70 H. Laoust, art. cit., p. 432. Nonostante il ruolo giocato dai modelli occidentali,specialmente nella fase della lotta per l'indipendenza nazionale e dell'edificazionedegli stati sorti con la fine del colonialismo, si è avuta in seguito una sorta di crisi dirigetto: «L'eredità (del pensiero) occidentale è divenuta una delle basi fondamentalidella nostra coscienza nazionale e una delle fonti per la conoscenza diretta della

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È in questa situazione che si gettano le basi per il sorgere deimovimenti islamici radicali, a partire da quello dei FratelliMusulmani, nato proprio in Egitto nel 1928 e destinato a raccogliereampi consensi e un vasto seguito. La formula è appunto quella cheripropone la concezione islamica tradizionale nelle sue forme ritenutecanoniche: quella globalità, quella stretta connessione tra religioso epolitico, spirituale e temporale, che avrebbe caratterizzato l'Islam sindalle sue origini; il permanente valore normativo della tradizione inogni settore della vita e della cultura; l'idea di "riforma" come

nostra stessa cultura. L' altro è continuamente stato presente nella nostra coscienzanazionale e nella nostra situazione culturale: dagli antichi greci fino ai modernistioccidentali. Non v'è stata frattura tra noi e l'altro se non con il movimento dellaSalafiyya. Finora è mancata un'azione di critica nei confronti dell'altro che non fosselimitata e non restasse sul piano del confronto verbale e della polemica, piuttosto chericorrere alla critica e alla logica dimostrativa. Perciò si continua a gravitare suquest'unica origine e vi si fondano la nostra cultura scientifica e laica, i nostrimovimenti riformatori e modernisti, il nostro sistema di insegnamento attuale e lenostre istituzioni moderne, vuoi per convinzione voui in difesa degli interessi deigovernanti» (Hasan Hanafî, Muqaddima fî `ilm al-istighrâb (Introduzioneall'"Occidentalismo"), Il Cairo 1991, p. 15). Quanto questa dipendenza si ormai malsopportata si è potuto vedere anche nelle recenti polemiche attorno all'Orientalismo,al quale, l'autore appena citato propone di rispondere promuovendo un'analogostudio sistematico dell'Occidente da parte degli orientali: «A partiredall'Orientalismo classico, che si è sviluppato ed è giunto a maturità al culminedell'espansione coloniale europea, raccogliendo la maggior quantità possibile diconoscenze circa i popoli colonizzati, l'Occidente ha assunto il ruolo dell'io ed èdiventato il soggetto, considerando chi non era occidentale l'altro, che pertanto èdivenuto l'oggetto. L'Orientalismo classico è lo sguardo dell'io europeo sull'altro noneuropeo, in un rapporto tra soggetto che studia e oggetto che viene studiato. Si sonoformati di conseguenza presso il primo un complesso di superiorità e presso ilsecondo un complesso di inferiorità legati ai loro rispettivi ruoli. Questi ultimi e irapporti di forza si ribaltano grazie all'"Occidentalismo". L'io europeo, che ieri era ilsoggetto dello studio, è diventato ora l'oggetto e l'altro non europeo, che ieri eraoggetto di studio è il soggetto che studia (ibidem, p. 29) (Sul complesso di inferiorità ela necessità di «Liberarsi dalla dipendenza dall'Occidente» cf. tra gli altri Yûsuf al-Qardawî, Sharî`a al-Islâm sâliha li-l-tatbîq fî kull zamân wa makân (La sharî`a islamicapuò essere applicata in ogni tempo e luogo), Il Cairo 1977, pp. 182ss).

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costante aspirazione a ripristinare gli antichi insegnamenti nella loroforma originale71.

Sono significative a questo proposito le affermazioni di Hasan al-Bannâ (1906-1949), fondatore del movimento dei FratelliMusulmani72.

«Il nostro appello è più comprensivo rispetto a quanto si dicedefinendolo "islamico": questa parola ha infatti un significato piùampio rispetto al senso ristretto che le viene comunemente attribuito.Noi crediamo che l'Islam abbia una portata globale che regge tutte lequestioni della vita, che ha voce in capitolo in ogni suo aspetto,proponendo a riguardo un preciso sistema di gestione, senza restareinerte di fronte ai problemi quotidiani e agli ordinamenti di cui c'èbisogno per sistemare le cose. È un errore credere che l'Islam si limitia certe forme di culto o agli aspetti spirituali: chi lo pensa ha unavisione ristretta della quale resta prigioniero. Noi invece ne abbiamouna diversa concezione, più vasta e di ampio respiro, che abbraccia lecose della vita terrena come di quella futura, né si tratta di una nostrapretesa o esagerazione, bensì è quanto comprendiamo dal Libro diDio e dalla condotta dei primi musulmani...»73.

«L'Islam in cui credono i Fratelli Musulmani ha tra i suoifondamenti la questione del potere, al quale intende darecompimento e non soltanto orientare [...]. Di esso si parla nei nostrilibri di diritto nel quadro degli articoli di fede e dei fondamenti, nonin quello della giurisprudenza o delle questioni secondarie, infattil'Islam riguarda il potere e la sua realizzazione quanto la legislazionee l'insegnamento, i codici e la magistratura, senza che uno dei duetermini sia separabile dall'altro. Se dunque un riformatore islamicoche, come dottore della legge e guida, si compiace di emetteresentenze, di impartire insegnamenti e di discettare di principi e di

71 Cfr. R.P. Mitchell, The Society of The Muslim Brothers, Oxford 1969; O. Carré e G.Michaud, Les Frères Musulmans, Parigi 1983.

72 Si veda l'interessante parallelo tra lui e uno dei maggiori esponenti della scuolagiuridico-teologica hanbalita in: Muhammad `Abd al-Halîm Hâmid, Ma`an `alâ tarîqal-da`wa: Shaykh al-Islâm Ibn Taymiyya wa-l- imâm al-shahîd Hasan al-Bannâ (Insiemesulla via della missione: Ibn Taymiyya e Hasan al-Bannâ), Il Cairo 1988.

73 Hasan al-Bannâ, Magmû`a rasâ'il al-imâm al-shahîd (Epistolario), Il Cairo 1992, p.18.

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quanto ne deriva... lascia poi che si emanino leggi che Dio non avallae con la forza del potere esecutivo si spinga la nazione acontravvenire a ciò che Egli ordina, quello che dice saràinevitabilmente una voce che grida nel deserto»74.

Benché fosse nato con intenti moralizzatori e si fosse assuntoanche fini assistenziali il movimento ebbe dunque da subito unavocazione anche politica che, nella situazione dell'Egitto e del mondoarabo di quegli anni, ebbe un notevole rilievo e portò la Fratellanza aentrare in attrito con il potere costituito. Si giunse così al suoscioglimento nel 1948 e alla morte dello stesso fondatore nel corso discontri con la polizia.

Già alla fine degli anni Trenta i Fratelli Musulmani avevano datovita a loro ramificazioni anche in Siria, mentre in Egitto ebbero unanuova stagione favorevole dopo la rivoluzione del 1952, a causa dellesimpatie che godevano fra i suoi promotori, compreso lo stessoNasser. Una nuova e durissima repressione fece però seguitoall'attentato subito due anni dopo dal rais egiziano, del quale furonoritenuti responsabili i seguaci del movimento. Di tale epurazione unadelle vittime più note fu Sayyid Qutb (1906-1966), uno dei principaliteorici del radicalismo islamico, ideologia che - proprio l'annoseguente alla sua morte - con la sconfitta subita dagli arabi durante laguerra contro Israele, vide crearsi le condizioni ideali per una nuovae ancor più ampia diffusione: «La terribile disfatta militare del '67 hadistrutto, insieme alle forze armate egiziane, la compattezza moraledella popolazione, in sei ore si è dissolto il complesso di valoripositivi messi insieme in decine di anni. Si è così preso a interrogarsiinsistentemente circa l'esattezza dell'impostazione (seguita) e diquanto si era pensato a proposito del conflitto, del nazionalismo edella rivoluzione. La religione ha rappresentato allora un rifugio chela storia offriva, in grado di dare quelle spiegazioni di cui non eracapace la ragione. [...] Le organizzazioni egiziane si sono divise ingruppi e fazioni che, di quell'orribile disfatta, davano diverseinterpretazioni. Tra queste scarseggiavano però quelle razionali,come la mancanza di democrazia, la concentrazione del potere nelle

74 Ibidem, p. 136.

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mani di un solo individuo, la marginalizzazione delle masse,l'inadeguatezza dell'apparato militare di fronte ai suoi compiti...spiegazioni che restavano appannaggio delle persone istruite e diun'élite. Tra la gente invece si imponeva un'altra lettura che ciriteneva incorsi nell'ira celeste a motivo del nostro allontanamentodalla legge di Dio. Questo modo di vedere le cose ha trovato baseideologica e sostegno pratico presso i "giovani leoni" del movimentodei Fratelli Musulmani, sui quali il ricordo delle carceri di Nasser edelle pene patite aveva influito come su nessun'altra forzanazionale»75.

Così, non soltanto i Fratelli Musulmani, ma anche molti altrimovimenti islamici radicali, hanno incontrato una crescente fortunagrazie alla crisi delle ideologie importate dall'occidente, giungendo adominare se non a monopolizzare il campo delle forze di opposizionealle classi dirigenti al potere che vedevano il loro prestigiocompromesso dagli insuccessi sul piano internazionale e dallamancata realizzazione dello sviluppo interno dei paesi chegovernavano.

Questa dunque è la traiettoria che, dal punto di vista piùstrettamente culturale e ideologico, ha condotto all'attuale situazione.

Se da un lato è innegabile che il dibattito e il confronto in attosiano pesantemente condizionati da fattori storico-politici, si puòconstatare con altrettanta evidenza come alcune questioni di fondo edi grande rilievo stiano riproponendosi al pensiero religioso, come ilproblema cruciale dell'interpretazione del Testo rivelato al quale siriallacciano orientamenti più generali rispetto a tematichefondamentali quali il rapporto spirito-lettera, permanente-transitorioe assoluto-storia.

75 Muhammad Nûr Farhât, al-Mugtama` wa-l-Sharî`a wa-l-Qânûn (Società, sharî`a e

legge), Il Cairo 1986, pp. 151-152.

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2.3.3 Una questione emblematica: l'esegesi coranica

Non si deve credere che l'ideologia del radicalismo islamico siadominata da una rozza interpretazione letterale delle fonti e dallamera tensione ad applicare acriticamente e pedissequamente quantoè stato fissato dalla tradizione.

Un reale intento riformista muove i suoi sostenitori, benché ilsenso del rinnovamento da essi propugnato sia spesso da intendereessenzialmente come la purificazione e il ripristino del modelloislamico originario. All'interno di quest'ultimo però, essi stessioperano delle interessanti distinzioni, come appare da queste paroledel principale leader islamico sudanese: «Alcune persone devote siimmaginano che la religione, dato il suo legame con l'Eterno, nondipenda per nulla dai tempi e dalle circostanze, né concepiscono chein essa si possa distinguere il vecchio dal nuovo, come noi facciamoparlando di rinnovamento. I materialisti invece, immaginano che lareligione o addirittura l'intera esistenza siano relative e che tutto siacontingente e fuggevole, mentre il modo giusto di intendere lareligione è quello che la considera l'unione tra la posizione dell'uomoin questa vita e nell'altra, tra il permanente e l'assoluto da un lato e ilrelativo e il transitorio dall'altro»76.

Sulla base di questo principio evolutivo egli rimprovera quantinon sanno distinguere le due polarità di cui parla: «V'è incertezza neldistinguere all'interno dell'eredità islamica quanto è prescrittivo,essendo relativo alla Sunna di Dio, del Suo Inviato e dei credentidell'epoca della rivelazione del Corano, e quanto è invece storia chesi riallaccia alla successiva Sunna delle prime pie generazioni (Salaf).Il primo è un paradigma esemplare che è necessario seguire, poichédi diretta ispirazione di Dio ed espressione dell'autorità del Suoimpeccabile Inviato. Le cose che storicamente sono seguitecostituiscono tentativi di interpretazione e di azione tendenti auniformarsi a quel primo paradigma, necessariamente inadeguati eche a quello si avvicinano o meno a seconda che siano buoni o no e

76 Hasan al-Turâbî, Qadâyâ al-tagdîd (Problemi di rinnovamento), Khartum 1990,

p. 33.

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rappresentano un'esperienza alla quale chi vuole uniformarsi (a quelmodello) può attingere o meno e non un fattore vincolante»77.

La contestazione della validità di quelle parti della tradizione chetrovano la loro giustificazione nell'autorità umana piuttosto che suidiretti insegnamenti divini e profetici non è sostanzialmente diversacomunque dalla critica al taqlîd (spirito di imitazione) già avanzata daal-Afghânî e `Abduh e permane il rischio che tutto si riduca allariedizione di un'apologetica tesa ad attribuire ogni fallimento allacattiva interpretazione e applicazione da parte dell'uomo di unmodello in sé perfetto e immutabile78.

Quando invece si giunge a operare all'interno di quello stessomodello divino-profetico una distinzione tra principi permanenti eloro concretizzazioni provvisorie ci si trova ad affrontare il problemacruciale del rapporto tra assoluto e storia "nella" rivelazione.

Il pensiero islamico moderno ha dovuto in effetti porsi il problemadi un'esegesi del Testo sacro che rispondesse a nuovi criteri e a nuoviintenti79.

In questo quadro va ricordato il commentario coranico pubblicatosulla rivista al-Manâr sulla base di una serie di lezioni tenute da M.`Abduh dal 1899 al 1905, riviste e completate dal discepolo R. Ridâche si distingue dagli eruditi commentari del passato ponendosisoprattutto finalità pedagogiche e apologetiche80.

Riprendendo le numerose esortazioni del Corano rivolte a "gentedotata d'intelletto" esso rivalutava il ruolo della ragione perun'adesione alla fede non di sola abitudine, ma vissuta con maggiorconsapevolezza e responsabilità. Non del tutto chiara tuttavia restavala distinzione di campi tra ragione e rivelazione, per cui il

77 Ibidem, p. 35.78La consapevolezza della differenza tra ideale e realtà - noi diremmo tra

Cristianesimo e Cristianità - espressa in formule quali «La religione è stabile, lareligiosità si evolve» (ibidem p. 122) è comunque significativa.

79 Cf. Baljon, J.M.S., Modern Muslim Koran Interpretation 1880-1960, Leiden 1961 e«Dossier: Le Commentaire coranique: le tafsîr moderne et contemporain», in EtudesArabes, n. 69 (1985).

80 Cf. Jomier, J., Le commentaire coranique d'al-Manâr, Parigi 1954.

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commentario si attarda talvolta nel cercare di spiegarescientificamente i prodigi narrati dal Corano, nel forniregiustificazioni igienico-sanitarie delle prescrizioni e dei divieti dellalegge divina o nel proporre audaci concordismi tra le più recentiteorie relative all'origine dell'universo e le narrazioni che ne fa ilTesto sacro. La parte più innovativa resta dunque quella morale,dove veniva dato ampio rilievo ai doveri sociali e si giungeva persinoa sconsigliare la poligamia81 per i suoi effetti negativi sulla stabilità el'armonia delle famiglie. In generale le disposizioni giuridichetradizionali erano considerate con larghezza di vedute e siavversavano in particolare gli atteggiamenti fatalistici ederesponsabilizzanti. In quest'ultima direzione troviamo allineatoanche il commentario del già menzionato leader riformista algerinoIbn Bâdîs, apparso sulla rivista al-Shihâb dal 1929 al 193982, impegnatonel tentativo di contrastare l'autorità dei marabutti, sorta di santoniche godevano di ampio consenso e seguito popolare e promuovevanoforme di religiosità spurie se non eterodosse.

Il filone della cosiddetta esegesi "scientifica", che abbiamo giàincontrato come aspetto collaterale nel commentario di al-Manâr,ebbe anche un grande sviluppo autonomo, dando vita a una riccaletteratura apologetica che si proponeva di risolvere la controversiafede-ragione attraverso un ingenuo concordismo tra rivelazione escienza, cercando di scoprire nel Testo sacro la prefigurazione dimoderne scoperte e invenzioni. Tra i primi a seguire questa strada vasegnalato l'egiziano Tantâwî al-Gawharî (1862-1940)83 seguito damolti altri: negli anni settanta sono apparse le opere di MustafâMahmûd84, Béchir Torki85 e soprattutto quella del francese MauriceBucaille86, che hanno incontrato uno straordinario successo, ma anche

81 Cf. H. Gätje, The Qur'an and its exegesis, Londra 1971, pp. 248-261.82 Cf. A. Merad, Ibn Bâdîs commentateur du Coran, Parigi 1971.83 Cf. J. Jomier, «Le Cheikh Tantâwî Jawharî (1862-1940) et son commentaire du

Coran» in Mélanges de l'Institut Dominicain d'Etudes Orientales, n. 5 (1958), pp. 115-174.

84 Cf. J. Jomier, «Quelques livres égyptiens moderns sur le problème religieux»,in Mélanges de l'Institut Dominicain d'Etudes Orientales, n. 11 (1972), pp. 255-260.

85 B. Torki, L'Islam religion de la science, Algeri 1978.86 M. Bucaille, La Bible, le Coran et la science, Parigi 1976.

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valutazioni decisamente critiche da parte di esponenti di spicco delpensiero musulmano da Amîn al-Khûlî (1895-1966) fino all'algerinoMuhammad Arkoun (n. 1928)87.

A parte il filone apologetico, non mancano interessanti tentativi diintrodurre nell'esegesi del Corano moderni criteri storico-critici. Giàil tunisino Tâhir al-Haddâd (1899-1935) parlava di una distinzione traintenti e spirito generale del Testo da un lato e disposizioni legate allecondizioni specifiche della società araba antica dall'altro. Il discorsofu portato avanti dall'egiziano Muhammad Ahmad Khalaf Allâh(1916) che, nel 1947, affrontò il problema dell'arte narrativa nelCorano88, rilevando l'intento essenzialmente pedagogico dellenarrazioni coraniche e riconoscendone quindi senza problemi lediscrepanze con altre fonti storiche. A suo modo di vedere ciò noncomprometteva la validità del Testo sacro poiché le scelte di stile e dicontenuto, nel Corano come in qualsiasi altro libro, seguono le leggiche regolano la comunicazione tra narratore e uditori e sono statequindi influenzate dalle relazioni che sussistevano tra il Profeta e isuoi contemporanei. Ovviamente questa tesi sembrò a moltiun'inaccettabile relativizzazione del Testo rivelato e un attentato allatrascendenza e alla libertà di Dio.

La distinzione tra il livello formale e quello contenutisticocomportava quindi delicati problemi, ma la cosa poteva diventareancora più grave se si fosse operato qualcosa di analogo addiritturanella parte normativa, come è avvenuto più di recente con ilsudanese Mahmûd Muhammad Taha (1908-1985), il quale ha osatoproporre un Islam non già compiuto definitivamente con la sua"prima missione", svolta dal Profeta presso gli Arabi del VII secolo,ma come una realtà dinamica, tesa a una più piena realizzazione.

87 M. Arkoun, Lectures du Coran, Parigi 1982; Bint al-Shati', «La foi et la science. Lalogique de la science entre l'authenticité et la pretention», in Comprendre, n. 61 (1972),pp. 1-9; K. Hussein, «Le commentaire scientifique du Coran: une innovationabsurde», in Mélanges de l'Institut Dominicain d'Etudes Orientales, n. 16 (1983), pp. 293-300; J. Jomier, «L'exégèse scientifique du Coran d'après le Cheikh Amîn al-Khûlî», inMélanges de l'Institut Dominicain d'Etudes Orientales, n. 4 (1957), pp. 269-80.

88 Cf. M. Chartier, «Muhammad Ahmad Khalaf Allâh et l'exégèse coranique», inInstitut Belles Lettres Arabes, n. 137 (1976), pp. 1-31 e P. Branca, «Comment interpreterle Coran», Se Comprendre, n. 3 (1986), pp. 1-8;

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L'aspetto permanente del messaggio coranico sarebbe da rintracciare,a parere di questo autore, nello spirito e nei contenuti della primapredicazione del Profeta alla Mecca. La parte normativa che si èsviluppata a Medina dopo l'egira sarebbe invece da considerare unaparziale e transitoria forma di applicazione di quei principi, oggi nonpiù riproponibile poiché legata a quei tempi e quei luoghi particolari.L'audacia di una simile proposta, sfociata drammaticamente nellacondanna a morte del suo promotore, rivela quanto aspro possaessere il confronto su un tema tanto cruciale89.

Altri orientamenti sono quelli di una lettura del Corano piùinteriorizzata, meditativa e contemplativa, come quella propostadall'egiziano Kamel Hussein (1901-1977)90 o l'approccio diMuhammad Arkoun, strettamente collegato alla semiologia e allescienze antropologiche.

Vi sono infine quanti propendono per una rilettura socio-politicadel Corano in chiave rivoluzionaria, come quella di Sayyid Qutb,ideologo del movimento dei Fratelli Musulmani, che nel suocommentario coranico propone soprattutto l'Islam come "sistema"fondato sull'esclusiva legittimità dell'autorità divina e quindiradicalmente alternativo a ogni altro91.

Come si vede, l'aspetto politico sta acquistando progressivamentesempre maggior peso nel pensiero religioso, influenzandolo anchenelle questioni più propriamente teologiche. Crediamo pertanto che

89 Cf. E. Renaud, «Mahmud Taha et la 'seconde mission' de l'Islam», in Se

Comprendre, n. 7 (1985), pp. 1-13.90 Cf. J. Jomier, «Un regard moderne sur le Coran», in Mélanges de l'Institut

Dominicain d'Etudes Orientales, n. 12 (1974), pp. 49-64.91 Cf. O. Carré, Mystique et Politique, Lecture révolutionnaire du Coran par Sayyid

Qutb, Frère Musulman radical, Parigi 1984.

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sia opportuno soffermarsi brevemente sulle tappe che, nella storiarecente di questa parte del mondo, hanno fatto da sfondo allaformazione e alle alterne fortune delle scuole di pensiero e deimovimenti di cui ci stiamo occupando.

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3. IL VERSANTE POLITICO

Per quanto ogni periodizzazione rischi di semplificare processiche nella realtà si sovrappongono piuttosto che susseguirsi insequenza lineare, crediamo sia proponibile - a patto di non seguirlain modo schematico - l'individuazione di tre grandi momenti neiquali ripartire lo sviluppo storico di quest'area nell'etàcontemporanea.

3.1 La fase nazionalistica

Nel secolo scorso e nella prima parte del '900, come gran parte deipaesi dell'Asia e dell'Africa, anche quelli nei quali la popolazione eraprevalentemente o comunque in buona misura musulmana visserol'intensa stagione della loro emancipazione politica.

Il concetto stesso di nazionalismo, oltre alle forme assunte nellamaggior parte dei casi dai movimenti che se ne fecero portavoce, eraun prodotto del pensiero occidentale moderno. La sua affermazionepresso popoli abituati a concepire i rapporti tra etnia, lingua e stato inaltri termini non fu quindi del tutto priva di problemi.

Nel mondo musulmano in particolare, dove l'appartenenzaall'unica Umma si fondava essenzialmente su basi religiose, per uncerto periodo l'ideale panislamico costituì un'alternativa allapenetrazione del nazionalismo: «Nel mondo occidentale tendiamo aconsiderare la nazione come l'unità essenziale che può esseresuddivisa in diverse comunità religiose. Da un punto di vistaislamico tradizionale, è piuttosto la religione o la comunità religiosal'unità essenziale suddivisa in stati. Durante il confronto secolare tragli stati d'Europa e l'impero ottomano, gli europei hanno semprevisto e discusso le loro relazioni in termini di austriaci, francesi,

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tedeschi, inglesi, e altre nazionalità, e turchi; i turchi le hannoconcepite in termini di musulmani contro cristiani»92.

Non a caso i maggiori esponenti del radicalismo islamico hannospesso richiamato la sostanziale incompatibilità tra nazionalismo eIslam: «Il musulmano non ha altra patria che quella in cui vige laLegge di Dio (sharî`a) e dove i legami tra lui e gli altri sono fondatisulla base della dipendenza da Dio, egli non ha altra nazionalità chela sua fede, la quale lo rende membro della Umma musulmana,all'interno della Dimora dell'Islam (Dâr al-Islâm) ed egli non haparentela che quella che deriva dalla fede e che rende lui e i suoiparte di un'unica famiglia in Dio»93.

Nonostante ciò il nazionalismo finì per avere fortuna anche neipaesi musulmani per diverse ragioni.

Intere aree del grande impero islamico avevano infatti conservatonel corso dei secoli una propria specificità nella quale sussistevanomolti elementi che potevano essere interpretati come costitutivi diuna particolare identità nazionale. Inoltre, con il progressivoindebolimento del potere centrale si era assistito alla rinascita ditradizioni letterarie e culturali locali che, pur non mettendo indiscussione l'adesione alla comunità islamica, rappresentavano lamanifestazione più recente dell'antica insofferenza nei confronti vuoidi un'arabizzazione mai definitivamente compiuta (come nel caso deipersiani o dei berberi), vuoi dell'egemonia di una determinata etniaall'interno della Umma stessa (come nel caso degli arabi nei confrontidei turchi). Essendo infine parte integrante della cultura di quei paesieuropei che stavano progressivamente mostrando la loro potenza eimponendo la propria egemonia sul resto del mondo, il nazionalismosembrava il mezzo più adatto sia per mettersi alla scuoladell'occidente nella speranza di colmare il distacco accumulato negliultimi secoli, sia per affrontarlo in prospettiva sul suo stesso terreno.

Le concezioni e gli ideali propri del nazionalismo hanno così fattoil loro ingresso anche nel mondo arabo e musulmano e sono stati

92 B. Lewis, La rinascita islamica, Bologna 1991, p. 103.93 Sayyid Qutb, Ma`âlim fî al-tarîq (Pietre miliari), Beirut 1995 (ristampa), p. 151.

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paradossalmente tanto più assimilati da ciascun paese quantomaggiormente esso ha dovuto penare per vederli riconosciuti erealizzati grazie a un'aspra lotta per ottenere l'indipendenza proprioda quanti avevano contribuito a far conoscere e a diffondere queglistessi concetti e ideali.

L'ambiguità del rapporto con l'Occidente, ritenuto nello stessotempo un modello e un ostacolo, ha origine appunto in questoparadosso, pur essendosi arricchita di altri fattori nel corso delle fasisuccessive.

Queste ultime a loro volta non sarebbero comprensibili se non sitenesse conto del fatto che, per quanto innovativi, gli elementiprovenienti dalla cultura occidentale non furono in grado di scalzaredel tutto quelli tradizionali, né seppero amalgamarsi con essi in unasintesi compiuta, sovrapponendovisi piuttosto come un'ulteriorestratificazione tutto sommato piuttosto precaria.

Si può così dire che: «nella maggior parte dei paesi musulmanil'Islam costituisce ancora il supremo criterio di lealtà e di identità digruppo. (...) Sia nazione sia paese sono naturalmente fatti antichi nelmondo dell'Islam, ma in quanto definizioni di identità e lealismopolitico sono nozioni moderne e non autoctone. In alcuni paesi, certo,queste nozioni sono più o meno acclimatate, ma per i musulmani siriscontra una ricorrente tendenza a ritrovare, in tempo di crisi e diemergenza - quando ciò che giace in profondità riprende piede -, lapropria identità essenziale nella comunità religiosa, cioè in un'entitàdefinita dall'Islam piuttosto che da una origine etnica, dalla lingua odal paese di residenza. (...) L'Islam è ancora la più accettabile, anzi, intempi di crisi, la sola accettabile base di autorità. Una dominazionepolitica può anche essere mantenuta con la forza, ma nondefinitivamente, non su vaste aree e non per lunghi periodi. Perquesto la legittimità di un governo è per i musulmani maggiormentegarantita dall'Islam che non quando deriva da rivendicazionimeramente nazionalistiche, patriottiche, o anche dinastiche, o peggioda nozioni occidentali quali sovranità nazionale o popolare»94.

94 B. Lewis, Il Linguaggio politico dell'Islam, Bari 1991, pp. 7-8.

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La priorità dell'obiettivo della conquista dell'indipendenza fece sìche comunque la contraddizione restasse latente per un certoperiodo, ma preso o tardi sarebbe risultato evidente che ilnazionalismo comportava necessariamente anche una certa dose dilaicizzazione: «poiché rappresenta un tentativo di separare l'islamdalla politica, escludendolo dalle questioni temporali. Esso postula laseparazione tra religione e politica, tra religione e stato, o comunquenega all'Islam la centralità del suo ruolo nella gestione degli affaripolitici terreni dei musulmani»95.

Il fatto che tanti arabi cristiani abbiano contribuito alla fortuna diquesto movimento parrebbe dimostrare che, almeno ai loro occhi, lenuove opportunità offerte da una comunità nazionale basata sucriteri non confessionali non doveva sfuggire.

Anche i movimenti islamici aderirono alla lotta anticoloniale, manon avrebbero tardato a prendere le distanze dalle classi dirigentiche, all'indomani dell'indipendenza, dimostrarono il carattere laicodell'ideologia che le aveva portate alla vittoria.

Si deve inoltre tener conto che, per quanto epica ed esaltante, lalotta di liberazione nazionale aveva ottenuto risultati soltantoparziali.

Occorreva infatti renderla sostanziale con scelte che garantisserol'emancipazione economica, senza la quale quella politica sarebberestata puramente formale, così come restavano irrisolte altredelicatissime questioni: il nazionalismo che aveva avuto ragione deicolonialisti non aveva paradossalmente allo stesso tempo legittimatoproprio quelle entità territoriali che essi avevano creato spartendosile spoglie dell'Impero Ottomano in vista dei loro interessi? Qualiistanze avrebbero dovuto avere la precedenza nella politica dei nuovistati indipendenti? Quelle che miravano al superamento di unacondizione di frammentazione giudicata comunque innaturale conopzioni in chiave panarabista o addirittura panislamica? Oppureulteriori autonomie avrebbero dovuto essere concesse a queiraggruppamenti che non avevano ancora goduto dei benefici dellabattaglia indipendentista (etnie, come berberi e curdi, o comunitàreligiose come drusi e maroniti)?

95 P. J. Vatikiotis, Islam: stati senza nazioni, Milano 1993, p. 17.

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In tal modo, come i movimenti islamici non avevano potuto nonaderire alle campagne nazionaliste pur rifiutandone l'ideologia, dopol'indipendenza i governi dei nuovi stati, nonostante la loro più omeno esplicitamente dichiarata laicità, si trovarono a fare appelloall'Islam come fattore di legittimazione e di coesione più efficace esicuro di altri di fronte alla complessità e alla delicatezza dellasituazione che dovevano affrontare.

Tra le numerose ed annose questioni che travagliano questa partedel mondo alcune sono veramente emblematiche: le incertezze e leincoerenze dell'appoggio fornito ai palestinesi dai loro "fratelli" arabi,ad esempio, sono forse la dimostrazione più dolorosa e lampantedelle contraddizioni irrisolte dell'ideologia nazionalistica la qualenon a caso sarebbe entrata definitivamente in crisi, come si è visto,proprio dopo la cocente sconfitta del '67.

Mentre accumulava insuccessi e manteneva ambiguità irrisolte96 ilnazionalismo perdeva progressivamente anche la sua maggior fontedi legittimazione: il prestigio di aver conquistato l'indipendenza. Seper gli adulti infatti quest'ultimo restava intatto, le nuovegenerazioni, non avendo memoria diretta di quegli eventi, avrebberosentito maggiormente la delusione per le loro speranze disattese chela soddisfazione per i successi riportati, ormai troppo lontani neltempo.

L'importanza della stagione nazionalistica non va però tropporidimensionata, poiché sembra conservare comunque un valore nondel tutto svilito. Non a caso gli esponenti dell'attuale radicalismoislamico si affannano molto di più nel contestare il valore delnazionalismo che non nel criticare le concezioni più tipiche della fasesuccessiva, ossia quella rivoluzionaria.

Quest'ultima infatti non ha interessato tutti i paesi arabo-musulmani, ma soltanto una parte di essi, è stata inoltre più breve eha avuto un carattere più intellettuale ed elitario.

D'altra parte, come quest'ultimo scorcio del XX secolo sembradimostrare con fin troppa evidenza, tra le ideologie che lo hanno

96 Cf. S. Noja, "I due livelli del nazionalismo arabo", in Politica Internazionale n. 11-12 (1990), pp. 61-68.

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caratterizzato quella del nazionalismo non sembra la più indebolita,ma anzi quella capace di trarre alimento dalla crisi delle altre cheappare molto più grave e irreversibile.

3.2 La fase rivoluzionaria

Assorbiti completamente dal compito di opporsi efficacemente aldominio straniero i nazionalisti non pensarono troppo a quale tipo disocietà avrebbero edificato dopo essersi liberati dal giogo coloniale,illudendosi probabilmente che la caduta stessa di quest'ultimoavrebbe rimosso tutti gli ostacoli sul cammino del progresso.

L'estrema varietà dei sistemi politici che si imposero nelle diversesituazioni, una volta conquistata l'agognata indipendenza, dimostraquanto il movimento nazionalista avesse rappresentato soprattuttouna forma di contestazione che sapeva bene contro quale nemico, manon altrettanto a favore di quale progetto mobilitarsi.

Quello che prevaleva in ciascun caso erano alleanze e forme dilealtà di tipo tradizionale, soltanto superficialmente influenzate dallecategorie politiche implicite in un movimento di tipo moderno, né lefuture classi dirigenti avevano coscienza dei delicati problemi che sisarebbero trovate a dover affrontare.

«Tutte le energie erano impegnate nella lotta per l'indipendenza,ogni difficoltà interna era accantonata, a prezzo di compromessi,rimandandone la soluzione al giorno in cui gli stranieri nonavrebbero più impedito allo stato una azione efficace. Si precedevacome a tentoni, senza piani, senza impegnarsi in provvedimentiradicali: il popolo seguiva la classe dirigente, rispondendo ai suoiappelli, ma questa non si rendeva conto delle sue necessità enemmeno sentiva il bisogno di accertarne le condizioni, i problemisociali ed economici erano affrontati in modo frammentario einorganico. Si veniva formando una frattura fra gli uomini politici ela massa, in quel momento ancora colmabile ma ignorata. Ilproblema, che il passare del tempo non fece che aggravare, era in

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realtà quello di conciliare la struttura sociale con il progresso e dieliminare le troppo forti sperequazioni fra i vari strati della società»97.

L'emergere di queste problematiche segnò la nascita e lo sviluppodella fase rivoluzionaria in cui molti paesi arabo musulmani siimpegnarono a fondo sui temi dell'uguaglianza e della giustiziasociale.

Ancora una volta furono le suggestioni provenienti dall'Occidentea imporsi e i leader di questa stagione si fecero portatori dell'idealesocialista, pur se in una forma riveduta e corretta ad uso delle lororealtà locali.

Alcuni aspetti salienti della dottrina marxista, quali l'ateismo, lacontestazione della proprietà privata o l'internazionalismo furonoignorate o mitigate per renderla accettabile in un ambientefortemente influenzato dalla tradizione islamica.

Quale che sia stata l'effettiva penetrazione del socialismo nellesingole realtà nazionali, si può affermare che in generale si diffuseun'ideologia militante che pervase ogni espressione della vitaculturale e sociale.

Al fine di mantenere elevato il grado di coinvolgimento dellemasse nel perseguimento degli obiettivi individuati dalleavanguardie si promosse una visione semplificata della realtà,decisamente più funzionale e di più facile gestione rispetto allaconoscenza critica e consapevole delle problematiche in atto.

I regimi instauratisi all'indomani delle indipendenze, anche quellidi matrice non socialista, si impegnarono a fondo in questa direzione.

Eredi del nazionalismo modernista, esplicitarono nella loro azionel'opzione laica che in quello era rimasta latente, giungendo talvolta ascontrarsi apertamente con i movimenti di ispirazione religiosa chenon condividevano invece questo orientamento.

Nello stesso tempo però, dovendo dare sostanza alla riconquistadella propria identità culturale che era stata uno degli obiettivi dellalotta di liberazione nazionale, essi perseguirono risolutamente unapolitica di arabizzazione.

97 P. Minganti, op. cit., p. 56.

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Quest'ultima alla lunga si sarebbe ritorta contro quanti l'avevanopromossa, costituendo la via d'accesso diretta alla tradizione islamicache avrebbe consentito alle nuove generazioni di attingervi senzadover passare attraverso la mediazione delle istituzioni religiosecontrollate dallo stato.

Per ironia della sorte proprio coloro che avevano condotto la lottadi liberazione portarono alle estreme conseguenze la penetrazionedelle ideologie di origine occidentale che avevano incominciato ainfiltrarsi nel mondo islamico appunto grazie agli ideali delnazionalismo. Ancor più paradossalmente, la loro volontà diconservare e di promuovere gli aspetti originali della propria culturaha garantito ai loro antagonisti islamici di trovare un terrenofavorevole alla loro affermazione. Ma queste apparenticontraddizioni si spiegano probabilmente interpretando quest'ultimafase come il "terzo stadio del razzo della decolonizzazione"98.

Va da sé che le due prime fasi meriterebbero una ben piùarticolata e approfondita analisi che andrebbe però molto al di là deilimiti e delle finalità del presente studio.

Non possiamo tuttavia evitare almeno di segnalare alcunequestioni di grande rilevanza che hanno influito pesantemente sullevicende del mondo arabo e musulmano negli ultimi decenni,contribuendo in misura non secondaria nel determinare la crisi e ilsuperamento delle due stagioni che abbiamo qui brevementedelineato.

L'eccezionale incremento demografico, favorito dal miglioramentodelle condizioni igienico-sanitarie, ha fatto sì che problemi qualil'occupazione e lo sviluppo abbiano assunto dimensioni imponenti difronte alle quali i governi, indipendentemente dai loro orientamentiideologici, si trovano spesso incapaci di trovare delle soluzioniadeguate.

I persistenti squilibri nel settore agrario, velleitaristiche politichedi industrializzazione e inefficaci impieghi delle risorse derivantidalla produzione petrolifera hanno spesso mantenuto l'economia dimolti paesi fortemente dipendente dall'estero e minata da distorsionie fragilità strutturali.

98 F. Burgat, Il fondamentalismo islamico, Torino 1995, p. 7.

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La fine del bipolarismo sulla scena internazionale ha nel frattempofatto venir meno alcuni fattori stabilizzatori contribuendo a liberare oad accelerare dinamiche di trasformazione fuori dalle collaudatecanalizzazioni, inaugurando un periodo carico di nuove opportunitàma anche di profonda incertezza.

3.3 La fase islamica

Anche se per esigenze di chiarezza espositiva e a motivo di unareale preponderanza di un determinato orientamento sugli altril'articolazione della nostra analisi in tre momenti successivi e distintipuò essere giustificata, come si è detto essi non devono tuttaviaessere considerati isolati né in rigida successione.

Basterebbe a dimostrarlo ricordare che la fondazione delmovimento dei Fratelli Musulmani uno dei più diffusi e influentiraggruppamenti islamici radicali, risale al 1928 e che il suo maggiorteorico, Sayyid Qutb (1906-1966), ha composto le sue operefondamentali nel periodo nasseriano.

Questo filone del pensiero musulmano, si inserisce in effetti nelpiù vasto fenomeno del riformismo che ha rappresentato uno sforzodi adattamento dell'Islam al mondo moderno. Partendo dallemedesime premesse, ma al contrario dei modernisti che cercavanouna soluzione nei modelli occidentali, i gruppi islamici avevanopresto optato piuttosto per il recupero sistematico degli elementifondanti della propria tradizione, innalzando «la bandieradell'"autenticità" (asâlah), dell'attaccamento alle radici e della difesadell'identità, tutte nozioni interpretate come l'essenza stessadell'Islam: "l'Islam vero", non l'Islam quale era vissuto a quei tempidai musulmani. Si trattava quindi di una lettura ideologica polemica,giustificata per un periodo nel quale essa si risolveva effettivamentein un mezzo per affermare la propria identità e per far rinascere lafiducia. Tale lettura rappresenta un'espressione del normalemeccanismo di difesa, e conserverebbe quindi una sua legittimitàqualora venisse inserita nel quadro di un progetto globale di ritorno aquell'epoca. Ma è stato proprio il contrario ad accedere. Il mezzo èdivenuto fine: è il passato, frettolosamente ricostruito per servire da

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trampolino allo "sviluppo", che è divenuto la finalità stessa delprogetto di rinascita. A partire da quel momento, il futuro sarebbestato sottoposto a una lettura che avrebbe avuto come strumento diinterpretazione il passato, non il passato che realmente fu ma "ilpassato quale avrebbe dovuto essere". Tuttavia, dal momento chequel passato non è mai esistito se non nella sfera degli affetti edell'immaginazione, la concezione del futuro-a-venire rimase sempreincapace di distaccarsi dalla rappresentazione del futuro-passato»99.

Un aspetto fondamentale di questo orientamento è il recupero delruolo del fattore religioso: «Nel mondo arabo la religione - in primoluogo l'Islam, ma analogamente il Cristianesimo orientale - nel corsodelle successive generazioni si è costituita come una sorta di corazzaa protezione della nostra esistenza politica nazionale e della nostraspecifica civiltà nei confronti degli assalti del colonialismo: dallecrociate all'imperialismo e fino al sionismo. È evidente quindi che ilfattore religioso abbia da noi quel posto che la storia e la coscienzainsieme gli hanno assegnato, facendone il quadro di riferimentogenerale del nostro patrimonio intellettuale nel corso del tempo»100.

Il successo conosciuto da tale movimento già nei primi decenni diquesto secolo non ha immediatamente assunto dimensioni econseguenze paragonabili a quelle attuali. Gli osservatori si sonoinizialmente limitati a metterne in luce i legami con la correntehanbalita, ossia la più rigorista delle scuole di pensiero dell'Islamclassico, intransigente in materia di dottrina e spesso implicata neimoti di piazza nei quali periodicamente si esprimeva il malcontentopopolare nei confronti delle classi dirigenti inique e corrotte.

Gli stessi governi dei paesi nei quali i gruppi islamici radicalioperano da più tempo sembrano aver compreso tardi le potenzialitàdel fenomeno, a lungo considerato tra le tante frangedell'opposizione interna da gestire alternativamente con politiche diavvicinamento o di repressione, cercando di trarre vantaggio dal

99 M. Abed al-Jabri, La ragione araba, Milano 1996, pp. 34-35.100 Anwar `Abd al-Malik, al-Fikr al-`arabî fî ma`raka al-nahda (Il pensiero arabo

nella battaglia del Risorgimento), Il Cairo 1981, p. 17.

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gioco di equilibri tra differenti gruppi politici, etnici o religiosi chefossero.

Una riflessione più approfondita e sistematica sulle origini e sullecaratteristiche di questo tipo di movimenti si è avuta in epocarelativamente recente, quando si è reso evidente che l'opzioneislamica sarebbe stata la favorita tra quelle che si apprestavano acolmare il vuoto ideologico e di potere prodottosi progressivamente apartire dalla fine degli anni sessanta.

Trovandosi nella necessità di definire un fenomeno appartenente aun mondo poco conosciuto che stava guadagnando velocemente glionori della cronaca, i mezzi di comunicazione di massa occidentalisono ricorsi alla terminologia che meglio conoscevano, senzainterrogarsi troppo sulla sua adeguatezza101.

L'integralismo cattolico e il fondamentalismo protestante avevanoalcuni punti di contatto con le teorie dell'islamismo militante e i loronomi finirono fatalmente per essere utilizzati per parlare diquest'ultimo.

Il fatto che il termine "fondamentalismo" sembri ormai prevalenterispetto a "integralismo" non riflette una sua maggior aderenza allarealtà cui viene abbinato, ma semplicemente la preponderanza dellalingua inglese nel settore della comunicazione.

Gli specialisti sono poco favorevoli a entrambi i vocaboli cherisultano difficilmente esportabili in un contesto culturale diverso daquello che li ha visti nascere e che rischiano inoltre di avere effettifuorvianti102.

Infatti, tanto la mancata storicizzazione delle sacre Scritture checaratterizza il fondamentalismo protestante quanto il caratteretotalizzante dell'integralismo cattolico trovano atteggiamenti

101 Cf. A.J. Lane, «What is Radical Islam? One answer», in Encounter, n. 216

(1995), pp. 1-27; P. Branca, "Il radicalismo islamico: problemi di definizione e dicomprensione del fenomeno", in Recueil d'articles offerts à Maurice Borrmans par sescollègues et amis, Roma 1996, pp. 41-53.

102 Cf. G. Kepel, Le Prophète et Pharaon, Parigi 1984, pp. 213 ss.; B. Etienne, op. cit.,p. 144 ss.; W. Montgomery Watt, Islamic Fundamentalism and Modernity, Londra 1988,p. 2; B. Lewis, Il Linguaggio politico dell'Islam, Bari 1991, p. 136.

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corrispondenti non soltanto nelle posizioni dei musulmani radicali,ma in certi aspetti della stessa tradizione islamica "classica".

Se dunque non vi è stata una reale emancipazione rispetto a questiultimi, che senso ha attribuire ai nuovi movimenti definizioniincentrate su punti ancora non sostanzialmente superati?

Tutto sommato, visto che ciò di cui si discute è la pretesa dellareligione di influenzare direttamente la vita della società in tutti isuoi aspetti, tra "fondamentalismo" e "integralismo" sarebbe dapreferire il secondo, anche se ha molte meno chances si imporsirispetto al concorrente anglosassone.

Ricorrere a termini quali puritanismo o tradizionalismo sembradar scarsa ragione del carattere rivoluzionario di questi movimenti,mentre maggior successo pare aver incontrato il vocabolo"radicalismo", abbastanza appropriato e comodo da usare, se nonaltro poiché dispensa dal dover introdurre laboriose distinzioni,come ci si trova costretti a fare quando si ricorre alle discussedefinizioni di cui si è appena detto. Non sembra invece opportunoutilizzare un corrispettivo del termine francese islamistes: "islamisti"infatti, in italiano, sono gli studiosi di islamologia ed è meglio nonallargare il significato della parola onde evitare che, alle confusioniche già esistono, se ne aggiungano altre.

Questa digressione terminologica non va però sottovalutata. Essainfatti esprime più di quanto potrebbe sembrare a prima vista alcuniaspetti cruciali della questione.

Il fatto che gli esponenti del radicalismo musulmano abbianoadottato il nome di islamiyyûn (letteralmente: islamici) al posto delcomune muslimûn (musulmani) sta a significare l'importanza che essiattribuiscono all'aspetto istituzionale della religione.

Se infatti si può parlare di crisi all'interno dell'Islam, non sarebbeaffatto appropriato configurarla come una crisi di fede. Non sono iprincipi del credo o i precetti del culto ad essere messi in discussione.Non l'esistenza di Dio né la pratica religiosa si trovano ad essereminacciate. È piuttosto la religione come sistema a doverriconquistare il diritto e gli spazi che le sarebbero stati indebitamentesottratti da un tipo di società ispirata ai modelli occidentali. Non "Dioè morto", ma l'Islam ha perduto forza e vitalità.

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D'altra parte, se spesso persino tra i musulmani finiscono perimporsi termini occidentali per definire quanto sta accadendoall'interno dei loro paesi, ciò dimostra quanto i conti con la modernitàsiano tutt'altro che chiusi anche in questa fase che, apparentemente,sembrerebbe la più determinata a eliminare ogni influsso esterno peruna presunta riappropriazione del proprio modello originario nellasua forma più pura e incontaminata.

Quest'ultima osservazione ci introduce a una serie diconsiderazioni sull'effettiva originalità di questi movimenti i quali,mentre a parole rappresentano la definitiva forma di emancipazionedell'Islam rispetto a tutto quanto gli sarebbe estraneo, di fattoconservano e sviluppano nei loro principi e nelle loro forme alcunitratti tipici della cultura propria del mondo che dicono di volercombattere103.

Se infatti è innegabile che «un numero sempre maggiore dimusulmani ha cominciato a guardare al proprio passato - almeno aquanto è sentito come tale - per diagnosticare i problemi attuali e pertrovare rimedi atti a procurare un futuro benessere»104 è altrettantoinnegabile che «un passato rivisto e ricostruito non è mai la stessacosa che il passato quale effettivamente fu (...). E nei circolifondamentalisti d'Iran, d'Egitto e d'altri paesi, sta attualmenteemergendo un nuovo linguaggio politico islamico, enormemente indebito con l'occidentalizzazione non meno che con l'Islam profetico eclassico»105.

Questa operazione avviene attraverso la rielaborazione di alcuniconcetti che appartengono alla tradizione musulmana.

Sono soprattutto gli eventi "fondatori" dell'Islam che si prestano aessere riletti in chiave di paradigmi universali.

Tipico è il caso del termine arabo Gâhiliyya, che indica il periododell' "ignoranza" precedente all'avvento della vera fede, ossia l'epocadel paganesimo preislamico.

103 Cfr. S.N. Eisenstadt, Fondamentalismo e modernità, Bari 1994.104 B. Lewis, Il Linguaggio politico dell'Islam, Bari 1991, p. 132.105 Ibidem.

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La lotta tra il Profeta e la prima comunità di credenti contro i loroavversari idolatri, e più in generale l'opposizione che ha vistocostantemente confrontarsi gli inviati di Dio con quanti li hannorifiutati, diventa agli occhi dei seguaci dei movimenti radicali ilmodello per la loro azione contestataria.

Il mondo moderno, che trova nell'Occidente la sua massimaespressione, non sarebbe cioè sostanzialmente diverso da quellocontro il quale il Profeta e i suoi si trovarono a combattere106.

La necessità di staccarsi da esso, così come i primi musulmaniavevano abbandonato la Mecca, viene teorizzata da alcuni gruppi chesi fanno promotori di una nuova egira, sia in senso metaforico, comeemancipazione da modelli di vita incompatibili coi principidell'Islam, sia in senso reale, con la costituzione di comunità separate,generalmente situate in zone desertiche le quali, agli occhi degliarabi, hanno mantenuto un particolare fascino legato ai valori tipicidella loro cultura tradizionale107.

Questa opzione implica un passaggio non immediatamenteevidente, ma di importanza cruciale nella dinamica del radicalismoislamico contemporaneo. Mentre infatti l'egira del 622 d.C. è stata lamigrazione dalla città pagana della Mecca a Medina, luogo dicostituzione della Umma, proporre una nuova egira ai giorni nostricomporta un sostanziale giudizio di non-islamicità nei confronti dellasocietà in cui si vive e il conflitto con quanti non condividono talescelta apre una spaccatura interna alla comunità islamica tramite laquale una parte di fedeli vengono più o meno esplicitamente e

106 Questa tesi è sviluppata soprattutto da Muhammad Qutb, Gâhiliyya al-qarn al-

`ishrîn (La Gâhiliyya del XX° secolo), Beirut 1975. In particolare le caratteristichecomuni tra l'età pagana preislamica e la società moderna sono individuabili nellamancanza di autentica fede in Dio, nel dominio delle passioni, nel potere dispoticoesercitato da parte di alcuni e nello smodato attaccamento ai beni terreni, cf. pp. 47ss.

107 Cfr. I. Camera d'Afflitto, "At-takfîr wa al-higra e l'integralismo musulmano inEgitto", in Oriente Moderno, n. 4-6 (1978), pp. 145-153. Cf. anche Muhammad al-Ghazâlî, `Ilal wa adwiya (Mali e rimedi), Alessandria d'Egitto 1984, pp. 148ss. Non èperò del tutto inedito il quesito che si chiede se l'egira sia da considerarsi unavvenimento storico compiuto o una condizione permanente: cf. W. Madelung, "Hasthe Hijra come to an end?", in Revue des Etudes Islamiques t. LIV (1986), pp. 225-237.

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direttamente accusati di essere dei falsi musulmani e quindiequiparati ai miscredenti.

Per poter compiere questo passaggio, il riferimento non puòrimanere l'epoca del Profeta, ma piuttosto quella dei primi Califfi edella nascita delle sette islamiche, durante la quale alcuni gruppi nonesitarono a considerare la lotta contro i credenti insinceri altrettantoimportante se non addirittura prioritaria rispetto a quella contro inon musulmani, verificando la legittimità dei governanti in base alloro grado di islamicità:

«Quanti governano i musulmani in questi anni si possonodividere in due gruppi: uno fedele alla propria religione, consapevoledei suoi doveri e che fa della politica che adotta un percorso coerenteper la loro realizzazione. Dobbiamo rispettare costoro e aiutarli nelraggiungere il loro scopo. C'è poi un altro gruppo che ignora o fingedi ignorare il nostro passato e il nostro presente, la nostra religione ela nostra storia, tutto preso da se stesso e dai propri interessi,inconsapevole di ciò che va oltre a questi, desideroso di conservare ilpotere a qualsiasi costo e che non sa né cosa sia il Libro, né cosa sia lafede. Gli importa solo di legarsi all'uno o all'altro dei due blocchi chedominano il mondo: i comunisti e i crociati! Credendo, in questomodo, di vivere al passo coi tempi e di lasciarsi alle spallel'arretratezza del passato... Anche costoro sono di due tipi: alcuni nonconoscono l'Islam, anche se sono nati in terra musulmana [...] altrihanno abbandonato l'Islam, sono ostili ai suoi principi e alle sueapplicazioni, irritati da quanti richiamano ad essi, avversi allapreghiera e alla probità...»108

Questo atteggiamento rende ragione della maggior virulenza chesi può spesso constatare nelle azioni rivolte contro quanti sonoconsiderati rinnegati o nemici interni dell'Islam rispetto a quelle chehanno per obiettivo stranieri o comunque infedeli.

108 Muhammad al-Ghazâlî, Gihâd al-da`wa bayna `agz al-dâkhil wa kayd al-khârig

(L'impegno della missione tra incapacità interna e ostacoli esterni), Il Cairo 1977, pp.125-126.

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Il gihâd109 esce pertanto dal suo quadro classico di guerraessenzialmente rivolta all'esterno dell'Islam per riprendere il taglioche gli fu dato dalla setta dei kharigiti, dissidenti puritani eintransigenti del primo raggruppamento sciita. Non a caso, come si èvisto, proprio alle teorie di questo movimento si sono direttamenteispirati, tra gli altri, gli stessi assassini di Anwar Sadat110.

Sempre uno slogan kharigita sta alla base di un'altra concezionefondamentale dei musulmani radicali, elaborata dall'intellettualepachistano al-Mawdudi (1903-1976) e dall'egiziano Sayyid Qutb. Sitratta dell'affermazione che non riconosce altro potere (hukm) chequello di Dio, da cui viene fatto derivare il principio dell'esclusivitàdell'autorità divina (hâkimiyya).

Sebbene i suoi sostenitori la presentino come semplice e direttaespressione della visione islamica tradizionale, si tratta di unneologismo ed anche le spiegazioni che ne vengono date sono spessolargamente dipendenti da ideologie politiche contemporanee: non èraro ad esempio che il riconoscimento esclusivo dell'autorità divinavenga giustificato come rifiuto di ogni forma di "potere esfruttamento dell'uomo sull'uomo".

Allo stesso tempo però si mette in evidenza la differenza di questosistema da quello teocratico: «Il carattere divino (rabbânî) rende ilsistema islamico unico rispetto a tutti gli altri sistemi che haconosciuto l'umanità, compreso quello teocratico nel quale chigoverna riceve la propria autorità dagli uomini di religione o perdiritto divino, in base al quale egli viene definito l'ombra di Dio sullaterra! Il carattere divino nell'Islam è riferito al sistema stesso e nonall'autorità e a chi governa. Quest'ultimo, nel sistema islamico, nonriceve il proprio potere dagli uomini di religione né lo pretende perdiritto divino, ma lo assume in base a una libera investitura (bay`a),

109 Cf. M. Khadduri, War and peace in the law of Islam, Baltimora 1955; B. Scarcia

Amoretti, Tolleranza e guerra santa nell'Islam, Firenze 1974; V. Fiorani Piacentini, Ilpensiero militare nel mondo musulmano, 3 voll., Milano 1996; A. Morabia, Le Gihad dansl'Islam médiéval, Parigi 1993.

110 Cf. nota 16.

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così come l'obbedienza che gli è dovuta si fonda esclusivamentesull'applicazione della sharî`a da parte sua»111.

Si tratta di qualcosa di ben più significativo del semplice ricorso aespressioni "alla moda", né d'altra parte si può dire che sia unasemplice riproposizione di concetti classici: una nuovainterpretazione della tradizione, non priva di forzature, si vadiffondendo tramite questo tipo di discorso che finisce per imporsianche tra i portavoce della religione istituzionale, determinando laformazione di quella che è stata efficacemente definita una sorta di"ortodossia deviante"112.

Contro i rischi insiti in un simile processo ha messo in guardia unodei più originali intellettuali egiziani contemporanei, che per la suaaudacia ha subito pesantissime pressioni che lo hanno indottorecentemente ad allontanarsi dal proprio paese con la sua famiglia:«È indispensabile, prima di arrivare al nocciolo e all'essenza dellaquestione, mettere in luce alcune corrispondenze tra le due correnti"moderata" ed "estremista", per quanto attiene ai presupposti teorici,che emergono dal dialogo attraverso i mezzi di comunicazioneinaugurato e condotto dalle autorità che si occupano della sicurezzain Egitto, dopo l'uccisione dell'ultimo presidente della repubblica.Chi segue questo dialogo, almeno in parte, tramite quanto vienetrasmesso via etere o pubblicato dalla stampa, capisce subito che sitratta di un impossibile colloquio tra sordi o, in alcuni casi, tra unavoce e la sua eco. In una di queste occasioni, un professoreuniversitario - già preside di una facoltà "filosofica" - finì perimbrogliarsi tenendo testa a un leader di un'organizzazione islamicaquando fu maliziosamente interrogato sul significato dei tre versettirelativi alla hâkimiyya che compaiono nella Sura della Mensa (si trattapresumibilmente dei vv. 42, 48 e 49 della quinta sura del Corano,N.d.T.) e rispose asserendo con assoluta certezza: "Sì, il potere

111 Sayyid Qutb, Nahwa mugtama` islâmî (Verso una società islamica), Beirut 1995

(ristampa), p. 152. Sul concetto di rabbâniyya cf. Id., Khasâ'is al-tasawwur al-islâmî wamuqawwamâtuhu (Specificità della concezione islamica e sue istituizioni), Beirut 1995(ristampa), pp. 45ss.

112 Cf. O. Carré, L'Islam laique ou le retour à la grande tradition, Parigi 1992, pp.29ss.

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appartiene soltanto a Dio" e ripetendolo per ben tre volte,aggiungendo, dopo qualche esitazione "però..." e finendo conenumerare le espressioni di fede della società egiziana, facendosiprendere talmente dall'entusiasmo nel provare la religiosità degliegiziani e il loro attaccamento all'Islam da affermare che - durante lapreghiera del venerdì - centinaia di studenti affollano la moscheadella facoltà, dimenticando - che Dio lo perdoni - che il venerdì è ungiorno di vacanza durante il quale le forze dell'ordine nonconsentono agli studenti di entrare in università, quand'anche vifossero - in quella o in altre facoltà - moschee in grado di accogliernein tale numero. C'è dunque accordo nel credere in un principio -quello della hâkimiyya - e per questo il professore non ha avutoincertezze né esitazioni nel confermarlo, mentre si è trovato inimbarazzo quando si è trattato di tacciare di miscredenza la società,accusa che implica un analogo giudizio sull'autorità politica e suigovernanti che tale società dirigono. [...] La differenza tra "moderati"ed "estremisti" sta dunque nell'accusa di miscredenza rivolta a chigoverna, ma vedremo che si tratta di una differenza marginale e nonessenziale. [...] Essere in disaccordo sul ricorso alla forza percambiare ciò che non va riguarda le strategie, non la legittimità delprincipio»113.

Naturalmente il recupero di simboli in chiave rivoluzionaria puòvariare a seconda delle situazioni locali: esemplare in questo senso èstato l'Iran in cui il progetto della Repubblica islamica ha trovatonello sciismo imamita non soltanto le ragioni del suo successo maanche le forme della sua espressione.

L'esportazione di questo modello in area sunnita non è pertantosempre pacifico, come dimostrano alcune osservazioni critichecontenute nel seguente passo, il quale ritorna anche su altreproblematiche di fondo di cui abbiamo appena parlato: «Se laquestione consistesse solamente nel distinguere "terroristi fanatici" e"moderati" si tratterebbe di una differenza di stile (e forse di tattica),ma il fine di entrambi sarebbe lo stesso: il potere politico religioso. In

113 Nasr Hâmid Abû Zayd, Naqd al-khitâb al-dînî (Critica del discorso religioso), IlCairo 1992, pp. 14ss.

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questo modo si perderebbe la distinzione tra lo stato islamico - cioèuno stato che applica la sharî`a e quanto essa suggerisce - e lo statoteocratico del principio della hâkimiyya. In questo modo poi, quasi siperderebbe anche la differenza tra la visione sunnita e quella sciitadei rapporti col potere politico. Il fatto è che i movimenti politiciislamici radicali inoculano qualcosa di sciita nella concezione sunnita.L'Islam sunnita non conosce la wilâyat al-faqîh (governo delgiusisperito)114, né parla di potere religioso. Il Corano non invita agovernare attraverso quanto Iddio ha rivelato tout-court, ma,facendolo, distingue l'aspetto giuridico con le sue varie realtà, senzamirare al potere politico. Oltretutto l'esperienza secolare della storiadell'umanità in generale e di quella arabo-islamica in particolare,offre un drammatico ed eloquente esempio di quanto convengaassolutamente evitare che qualsiasi sorta di sacralità o di valoreassoluto rappresenti una fonte di legittimazione del poterepolitico»115.

Nonostante questi distinguo si può constatare in generalel'efficacia che in ambito politico i simboli religiosi islamici hanno nonsoltanto conservato ma abbondantemente riguadagnato negli ultimitempi.

In questo quadro ha incontrato recentemente una certa fortuna lariproposizione di istituzioni quali la hisba, una sorta di censura

114 Occorre però rilevare che neppure in Iran questo principio haun'interpretazione univoca. Il primo Presidente della Repubblica islamica Bani Sadrne ha indicato almeno due antitetiche: «la prima d'ispirazione autoritaria, mirante aistaurare un regime islamico imponendolo al popolo attraverso l'apparato statale; laseconda, antiautoritaria, collegata alla volontà e alla sovranità popolare. In base aquesta seconda concezione il capo della nazione dovebbe essere liberamentedesignato dal popolo, cioé dall'intera comunità, in modo da ottenere al tempo stessoda quest'ultima e dal volere divino la legittimità propria e del suo governo» (C.Vaziri, «La République Islamique en Iran», in Comprendre, n. 11 (1980), p. 7).

115 Muhammad Amîn al-`Alim, «al-Fikr al-`arabî al-mu`âsir bayna al-usûliyya wa-l-`ilmâniyya (Il pensiero arabo contemporaneo tra fondamentalismo e laicismo)» in Aa.Vv. al-Usûliyyât al-islâmiyya fî `asrinâ al-râhin (I fondamentalismi islamici nell'epocacontemporanea), Il Cairo 1993, p. 12. Non mancano, d'altro canto, forme di"sunnitizzazione" dello sciismo, cf. G. Scarcia, «I tratti "neo-bàbi" del khomeinismo»,in Oriente Moderno n.s. n.1-12 (1982), p. 97.

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moralizzatrice, che taluni invocano a difesa dei costumi e per lapromozione dell'islamizzazione della società, mentre altri rifiutanocome anacronistica: «Attualmente l'interesse per la hisba non va oltrequello del suo aspetto storico... Ogni altra considerazione deriva daben determinati moventi politici che ci riportano indietrovagheggiando di reintrodurla. In realtà la sua funzione si è del tuttoesaurita e la storia l'ha definitivamente archiviata. [...] Essa è sorta,come altre istituzioni, in determinate condizioni ed è terminata con ilvenir meno di esse. Dio l'abbia in gloria per i suoi meriti e la perdoniper il sangue versato in suo nome e sotto la sua copertura. Nei sistemiodierni il musulmano esercita il suo dovere coranico di "incitare albene" attraverso la scheda elettorale, scegliendo tra i programmi chegli vengono proposti, il migliore e quello più vicino alla sua fede ealle sue convinzioni. Nulla poi gli impedisce di fare il bene, diinvitare a ciò che egli ritiene sia vero, scrivendo, parlando,comportandosi rettamente e testimoniando la sua fede nel modo chepreferisce, rispettando nello stesso tempo chi è diverso da lui»116.

Un filone molto seguito di questo recupero dell'Islam e dei suoiinsegnamenti in funzione politica è quello che tenta di dimostrarecome alcune idee chiave del pensiero politico moderno siano giàcomprese nella tradizione musulmana, la quale le presenterebbe anzinella loro forma più compiuta. Ecco ad esempio il parere espressocirca il concetto di "democrazia" nell'Islam da parte dell'ex Guidasuprema dei Fratelli Musulmani: «Per definire il rapporto tra chigoverna e chi è governato, l'Islam ha stabilito che la "consultazione"(shûrâ) ne sia la base. Disse infatti l'Altissimo al Suo Inviato"consigliati con loro sul da farsi" (Corano 3, 159). Non importa quiche si tratti di un parere vincolante o meno, ciò che conta è che ilSignore ha ordinato al Suo Inviato di consultarsi con la gente su ogniquestione, salvo quelle a proposito delle quali vi sia un testo rivelato:non c'è spazio allora per alcuna consultazione, poiché vi è uncomando dell'Onnipotente e Onnisciente che bisogna accettare con

116 Muhammad Talbi, `Iyâl Allâh. Afkâr giadîda fî `alaqât al-muslim binafsihi wa bi-l-

âkharîn (Figli di Dio. Nuove riflessioni sulle relazioni tra il musulmano con se stessoe con gli altri) Tunisi 1992, pp. 79-80.

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obbedienza e di buon grado. Ma per il resto Iddio, fondandol'autorità di chi governa sulla consultazione, l'ha messa al riparo dallevalutazioni arbitrarie e dal dispotismo che consiste nell'ingiungerlealla gente, ch'essa voglia o no, come fanno i governanti di oggi cheimpongono il proprio volere ai popoli senza che questi acconsentanoe concludono trattati e accordi internazionali che riguardano ildestino di quegli stessi popoli, incuranti del fatto che essi necomprendano il fine, mentre Iddio ha stabilito chiaramente aproposito del governo nei paesi islamici il principio che "delle lorofaccende decidono consultandosi fra loro" (Corano 42, 38). Vale a direche l'Islam ha definito chiaramente il sistema consultivo(democratico) secoli prima che lo conoscessero l'Europa el'America»117.

Accanto a posizioni apologetiche come questa, altre esprimonouna maggior consapevolezza delle specificità proprie di ciascunatradizione di pensiero: «Benché alcuni propongano la "consultazione"(shûrâ) islamica come sostituto della "democrazia", se si esaminaoggettivamente il rapporto tra le due non si può arrivare aconsiderarle né radicalmente opposte, né completamente coincidenti,mentre è più corretto caratterizzarle in base a quanto hanno incomune e a quanto invece le differenzia [...] La sovranità e il potere,in democrazia, appartengono all'uomo, alla nazione e al popolo. Nelsistema consultivo islamico il potere legislativo appartiene in linea diprincipio a Dio ed esso si è concretizzato nella sharî`a, la quale è statada Lui stabilita e non è un prodotto umano o naturale. [...] Pertanto,nella concezione islamica, è Iddio il legislatore e non l'uomo, mentrel'uomo, e non Dio, è il faqîh (giurisperito). I fondamenti della sharî`a, isuoi principi, i suoi valori e la sua filosofia sono divini: in essi simanifesta l'autorità (hâkimiyya) di Dio. Ciò che su di essi viene erettonel dettaglio e progressivamente, in modo articolato e mediante losforzo interpretativo in vista di nuove applicazioni è giurisprudenza

117 `Umar al-Tilmisânî, al-Islâm wa-l-hayât (L'Islam e la vita), Il Cairo 1992, pp. 17-

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e codificazione: in esse si esprimono le prerogative dell'uomo stabilitedall'autorità di Dio»118.

Anche i sostenitori dell'orientamento opposto a quello radicalecercano talvolta di trovare giustificazioni teoriche delle loro posizioninella tradizione islamica, non limitandosi quindi a ispirarsi a modellidi pensiero importati. Uno dei detti del Profeta più citati da quantipropendono per la separazione tra religione e politica è quellorelativo all'osservazione che Maometto fece a propositodell'opportunità di impollinare alcune palme in un determinatoperiodo. Egli infatti avrebbe detto: «Voi ne sapete di più (di me) diqueste faccende terrene». Ovviamente le possibili interpretazioni diquesta come di altre frasi simili possono essere molto diverse equindi non mancano i contestatori di tale lettura "laicista": «Vi sonoalcuni che la vogliono interpretare diversamente da come laintendeva il Profeta e da come egli l'ha definita. Essi mirano infatti adestenderla fino a farle comprendere l'intera vita terrena, con tutte lerelative prescrizioni e applicazioni, le questioni economiche e sociali,politiche e istituzionali. Essi non lasciano alla religione che lafunzione di "purificazione e guida del cuore dell'uomo" nel sensopuramente spirituale che non ha nulla a che fare con la realtà dellavita quotidiana, l'ordinamento della società e la conduzione dellequestioni politiche. [...] Questo ci viene inconsapevolmente spacciatosotto la pressione delle concezioni europee - occidentali o orientali -che mettono da un lato la religione e dall'altro, separate da essa, le"scienze" economiche e sociali»119.

118 Muhammad `Ammâra, «al-Islâm wa-l-siyâsa (Islam e politica) in Aa. Vv., Fikr

al-muslim al-mu`âsir: mâ allâdhî yushghiluhu? (I grattacapi del musulmano moderno),Il Cairo 1992, p. 51. Tra le innumerevoli opere dedicate al principio dellaconsultazione (shûrâ) e al suo confronto con il sistema rappresentativo-parlamentaresi vedano in particolare Sayyid Qutb, Tafsîr sûrat al-shûrâ (Commento alla sura dellaConsultazione), Beirut 1983 (ristampa) e `Adnân `Alî Ridâ al-Nahwî, al-Shûrâ (LaConsultazione), Riyad 1988.

119 Muhammad Qutb, Qabasât min al-Rasûl (Insegnamenti del Profeta) Beirut1992, p. 174.

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Questo autore pensa piuttosto che l'affermazione del Profeta sia daintendere restrittivamente riferita alle sole questioni "tecniche", doveè la competenza specifica in materia a prevalere.

Va comunque infine rilevato che, nella maggior parte dei casi,l'islamismo radicale resta confinato nell'area della protesta e ciò fa sìche esso non debba misurarsi con la soluzione dei problemi concreti,restando perennemente sul piano astratto dell'ideologia, dove gli èpiù congeniale muoversi e dove non emergono le contraddizioni chei suoi critici gli rimproverano: «La completa astoricità el'atteggiamento di chi chiude gli occhi davanti alle lezioni che larealtà ci propone non caratterizza i movimenti islamici soltanto difronte agli attuali esperimenti di applicazione della sharî`a, ma è ilsegno che contraddistingue la loro posizione rispetto a tutte leesperienze del passato, lungo la storia dell'Islam. Essi ci presentanoun'immagine di quest'ultima basata sui soli testi religiosi. Se si parla,per esempio, della posizione dell'Islam rispetto alla giustizia sociale,ecco un discorso pieno di versetti coranici e detti del Profeta cheesortano a questa forma di giustizia o che possono essere interpretatiin tal senso. Essi si fermano qui, immaginandosi di avere con ciòsistemato la questione principale dimostrando che l'Islam richiamaalla giustizia sociale e che questa si realizza nell'Islam meglio che inogni altro sistema. Ma, è sufficiente far riferimento ai testi perrisolvere la questione? Prendiamo un esempio che tutti conosciamobene: la stragrande maggioranza delle costituzioni dei paesi delTerzo Mondo è piena di magnifici passi sul diritto alla giustizia eall'uguaglianza, sulla garanzia delle libertà e il rispetto dei dirittiumani... ma basta attingere ai testi costituzionali in un paesedell'America Latina, dove una dittatura militare sanguinaria se ne fabeffe, per dire che giustizia e libertà vi sono garantite in quantol'articolo tale della costituzione prescrive la giustizia sociale edeconomica e le libertà fondamentali?»120.

120 Fu'âd Zakariyyâ, al-Haqîqa wa-l-wahm fî-l-haraka al-islâmiyya al-mu`âsira (Verità

e illusione nel movimento islamico contemporaneo), Il Cairo 1986, pp. 8-9.

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È interessante passare dunque dal piano del dibattito ideologicoalle situazioni concrete nelle quali, talvolta drammaticamente, idiversi orientamenti di pensiero si affrontano come opposte opzionidi governo all'interno di una dialettica i cui esiti saranno determinatisia per l'assetto interno delle società islamiche sia per le loro relazioniinternazionali. Non è nostra intenzione ricostruire dettagliatamentela situazione dei singoli paesi e delle aree di cui parleremo,intendiamo piuttosto semplicemente individuare alcune linee ditendenza che emergono con particolare evidenza in determinati casi eche segnalano più generali tendenze sulle quali riflettere.

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4. ALCUNE ESEMPLIFICAZIONI

4.1 Il quadro generale

Prima di analizzare brevemente la situazione di determinati paesi,particolarmente significative come espressioni dei processi in atto,conviene richiamare alcune considerazioni generali che riprendiamodalla sintesi recentemente proposta da uno dei maggiori esperti delsettore: «La disfatta del 1967 ha modificato i rapporti di forza,all'interno dello stesso campo arabo, tra "progressisti" e"conservatori": mentre sbiadiva il riflesso dei primi cresceva la forzaattrattiva dei secondi, col rinforzo della diplomazia finanziariapromossa dagli stati più ricchi, quali l'Arabia Saudita. La monarchiawahhabita ha contribuito a minare l'ideologia dell'arabismo, ch'essadomina male, a vantaggio di una concezione rigorista e conservatricedell'Islam che essa si impegna a diffondere attraverso leorganizzazioni che controlla, come la Lega islamica mondiale,fondata nel 1962 per combattere il nasserismo. Questo paeseapprofitta inoltre della sovranità che esercita sulla Mecca e Medinaper tentare di canalizzare a proprio vantaggio il legame che unisce imusulmani devoti all'Umma della quale essa occupa il centrosimbolico. Il fattore determinante che ha portato alla minor presa chel'arabismo ha rispetto alla società va ricercato nella vasta crisi socio-economica e culturale che si manifesta con gli anni settanta erappresenta il banco di prova per i regimi nati dall'indipendenza. Ineffetti è a quest'epoca che raggiunge l'età adulta una generazione chenon ha conosciuto la dominazione coloniale, che - per la prima voltanella storia - ha ricevuto in massa un'alfabetizzazione in arabo e chenasce da un'inedita esplosione demografica, plasticamenterappresentata dall'esodo dalle campagne verso le periferie urbanesovrappopolate e dalle condizioni di vita precarie. Il test decisivo per

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i regimi nati dall'indipendenza è quello dell'occupazione. Con lagenerazione successiva a quella di cui abbiamo parlato il mercato dellavoro si sarebbe rivelato incapace di assorbire i milioni di giovanialfabetizzati o diplomati che cercano di guadagnarsi da vivere. Piùche la disfatta militare del 1967 è quella sociale a dare il colpo digrazia alle ideologie attraverso le quali, dopo l'indipendenza, si eradata legittimazione al potere. I giovani, dopo aver accumulato, grazieall'istruzione, un capitale culturale del quale i loro genitori erano perlo più privi, devono affrontare la disoccupazione. Delusi nelle loroaspettative, essi rimettono in causa i fondamenti e le finalità esplicitedella cultura che hanno acquisito sui banchi di scuola e gli ideali chel'accompagnavano, poiché tutto ciò appare loro come un discorsomenzognero. All'inizio degli anni settanta, questa cultura era ancorafinalizzata a legittimare le élites al potere in una prospettivaautoritaria ed essa sarebbe stata la prima vittima della crisi. Lacoesione sociale che essa sapeva creare, mobilitando la popolazioneal seguito dello Stato e riducendo al silenzio le opposizioni, lascia ilposto all'espressione di vaste sfaldature politico-sociali che la retoricadell'islamismo radicale saprà cogliere ed esprimere alla sua maniera.Si può domandarsi perché, nei paesi arabi interessati da talisconvolgimenti socioculturali, il potere autoritario che aveva fattodell'arabismo la sua principale ideologia di legittimazione non ceda ilposto a rivendicazioni democratiche che si traducano in elezionilibere, com'è avvenuto nella transizione conosciuta nel corso deglianni settanta dai regimi dittatoriali dell'Europa del sud. La risposta aquesta domanda non risiede nella "natura" dell'Islam cheimpregnerebbe ogni musulmano dal midollo rendendolo restioall'espressione democratica. Essa sta piuttosto, a nostro parere,nell'estrema difficoltà con cui la maggioranza degli intellettuali delmondo arabo sanno prender le distanze dall'autoritarismodell'arabismo al suo apogeo, mantenendo nei suoi confronti leesigenze della democrazia. Per molti di loro la lotta control'imperialismo e contro Israele, sua "testa di ponte in Medio Oriente",e la mobilitazione delle società al seguito dei loro Stati giustificanoche tali esigenze democratiche siano messe tra parentesi. Non eracerto facile fare altrimenti: la repressione si abbatteva senza pietà

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sulle voci dissidenti e il bipolarismo tendeva a classificare come filo-imperialista e a isolare chiunque osasse criticare l'autoritarismo,corollario dell'ideologia arabista dominante. In questo modo perònessuna vera alternativa democratica credibile ha preso vita,proponendosi per il dopo; oltretutto le correnti laiche che vedevanocon favore ogni formulazione ideologica che si sostituisseall'egemonia della religione, sembravano essersi allineate, senzasaper far emergere le loro specificità, alla causa che stava per esseresommersa. Dal canto loro, i movimenti di reislamizzazione eranoriusciti a porsi come un polo di opposizione irriducibile, pronti apagare col martirio il prezzo della loro intransigenza dottrinale»121.

4.2 Le strategie

Da sempre la moschea, luogo di riunione e di socializzazioneprimaria, ha uno stretto legame con la dimensione politica, non fossealtro perché, durante la preghiera comunitaria del venerdì, labenedizione divina è invocata sull'autorità costituita.

Non è quindi un fatto nuovo che proprio nella moschea simanifesti il disagio che precede i rivolgimenti politici, né che questiricevano durante le celebrazioni che vi si svolgono una sorta dilegittimazione ufficiale e definitiva. È stato così in occasione di molterivolte e per i cambi di guardia al vertice della Umma nel corso deisecoli.

L'epoca contemporanea non fa eccezione, ma sembra anzi averaccentuato il fenomeno sia per mancanza di alternative (possibilità dilibera associazione ed espressione sono infatti spesso molto limitatenei paesi islamici), sia a causa dell'azione corrosiva che lamodernizzazione ha esercitato sulle strutture tradizionali dellasocietà, alla quale gli spazi e i simboli religiosi sembrano aver saputoresistere meglio di altri.

Il controllo dello stato, generalmente riservato alle grandiistituzioni, ha cercato di estendersi negli ultimi anni fin nelle

121 G. Kepel (a cura di), Exil et Royaumes. Les appartenences au monde arabo-musulman aujourd'hui, Parigi 1994, pp. 25-27.

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ramificazioni più periferiche delle sale di preghiera edell'insegnamento religioso, in un'affannosa rincorsa che non sempreha dato i risultati sperati e talvolta con controproducenti azionirepressive le quali hanno fatto lievitare ancor più la popolarità dialcuni predicatori liberi e il valore simbolico di determinati luoghi.

Non è un caso che, proprio circa il ruolo della moschea, un'asprapolemica opponga quanti ne enfatizzano la funzione sociale e politicaa coloro che, al contrario, la rifiutano.

La posizione di questi ultimi è chiaramente riassunta nelle paroledell'intellettuale egiziano Farag Foda, assassinato da un commandodi musulmani radicali nel 1992: «Prima di ammettere che la moscheapossa essere luogo di dibattito dovremmo addurre dellegiustificazioni circa il suo ruolo politico. Il pulpito della moschea hacarattere piuttosto religioso: è in questo ambito che ne accettiamo lafunzione. Le questioni religiose sono infatti consensuali e nonopinabili, per questo ci rechiamo alla moschea tutti assieme, concordisui fondamenti religiosi, mentre esporre e discutere dal pulpitoquestioni opinabili, ossia "politiche", porterebbe dissenso e discordiae costituirebbe un attentato alla libertà di chi, seduto sotto il pulpito,sentirebbe un punto di vista diverso dal suo il quale, provenendo dalà, verrebbe accresciuto di una sacralità che di per sé, in quantoparere politico, non avrebbe e di un carattere religioso che gli èestraneo. Bisogna convenire che, in generale, le questioni politiche, alcontrario di quelle religiose, sono opinabili. Per questo il pulpito siaddice alle seconde e non alle prime e sono quindi i partiti, leassemblee rappresentative, la pubblica piazza e non le moschee iluoghi adatti per trattare di politica»122.

Di diverso parere è, ad esempio, il celebre predicatore Shaykh`Abd al-Hamîd Kishk, che auspica l'uso degli altoparlanti perché lavoce di chi insegna o tiene il sermone giunga anche all'esterno dellamoschea e invita l'officiante a mantenersi in contatto con il quartiere

122 F. Foda in Ahmad Gawda, Hiwârât hawla al-sharî`a (Dibattito circa la sharî`a), Il

Cairo 1990, p. 13; v. anche «Lâ li-tasyîs manânir al-masâgid (No alla politicizzazionedei pulpiti delle moschee» in F. Foda, Hattâ lâ yakûn kalâm fî-l-hawâ' (Perché nonsiano parole al vento) raccolta di articoli, Il Cairo 1992, pp. 11-21.

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che circonda il luogo di culto per conoscere i problemi di quanti viabitano123.

In un secondo momento la protesta islamica ha trovato nelleuniversità uno dei luoghi privilegiati della sua espressione, tra legenerazioni che avvertono maggiormente il peso della crisi e nesopportano più direttamente le conseguenze.

Per quanto possa sembrare strano, è tra gli studenti iscritti allefacoltà scientifiche che il radicalismo islamico recluta il maggiornumero di adepti, probabilmente perché essi sono segnati da unadicotomia più marcata nella loro formazione di quanto non accada aquelli del settore umanistico.

L'importanza di quanto avviene nell'ambito universitario è legatainoltre a un altro fattore: negli atenei si sono talvolta duramenteconfrontate le formazioni di estrema sinistra e i nascentiraggruppamenti islamici radicali.

Il loro scontro ha rappresentato il momento più acuto della crisidelle ideologie che si erano imposte nelle fasi precedenti(nazionalismo, socialismo...), ma il contatto fra i due schieramenti hacontribuito anche a una certa compenetrazione di linguaggi etematiche di non scarso rilievo.

Talvolta i governi hanno ceduto alla tentazione di favorirel'opposizione islamica per contrastare quella marxista. L'utilizzo diun Islam addomesticato da parte dell'Occidente e dei suoi alleati infunzione anticomunista è stato denunciato dallo stesso SayyidQutb124 che peraltro intendeva l'opzione islamica alternativa anche alsocialismo: «Il vero e profondo conflitto è quello tra l'Islam e i dueblocchi occidentale e orientale insieme»125. Si inaugurò così laconcezione dell'Islam come "terza via" destinata a incontrare tantosuccesso sia nella Rivoluzione iraniana, sia più in generale, come per

123 `Abd al-Hamîd Kishk, Dawr al-masgid fî al-mugtama` al mu`âsir (Il ruolo della

moschea nella società moderna), Il Cairo, s.d., p. 48.124 Sayyid Qutb, Dirâsât islâmiyya (Studi islamici), Beirut 1995 (ristampa), pp.

119ss.125 Sayyid Qutb, al-`Adâla al-igtimâ`iyya fî-l-Islâm (La giustizia sociale nell'Islam),

Beirut 1995 (ed. orig. 1954), p. 214

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esempio nelle teorie del colonnello Gheddafi che con la suaGamâhiriyya, o repubblica delle masse, pretende di aver realizzato untipo di governo alternativo rispetto ad ogni altro modello (liberale osocialista), benché in essa non manchino aspetti problematici rispettoalla visione islamica classica: nel settore giuridico infatti il leaderlibico sembrerebbe intendere la legge islamica (sharî`a) una sorta didiritto positivo del quale non esita quindi a tralasciare alcune parti126,attirando così le critiche dei musulmani radicali127.

Quanti hanno incoraggiato l'islamismo radicale perridimensionare l'opposizione di sinistra, temendo che quest'ultimafosse in grado di scavalcarli sul terreno laico che era loro proprio,finirono per attardarsi in una battaglia di retroguardia esottovalutarono fatalmente le potenzialità di crescita del radicalismomusulmano.

Quest'ultimo invece si è dimostrato più capace di adattarsi alletrasformazioni in atto, penetrando nella società tramite varie forme diassistenza e di solidarietà che gli hanno permesso di radicarsisaldamente nel territorio, specialmente nelle zone di emarginazionedelle grandi città.

Il sostegno ideologico alla loro azione è garantito dalla diffusionesemi clandestina di letteratura e materiali propagandistici nei qualiprimeggiano ancora i grandi teorici del movimento dei FratelliMusulmani: il fondatore Hasan al-Bannâ e il martire Sayyid Qutb,accanto al pachistano al-Mawdûdî. Oltre a questi "classici" sonomolto diffuse opere apologetiche e soprattutto i sermoni infuocati difamosi predicatori, spesso registrati su nastri facili da riprodurre ediffondere capillarmente.

126 M. Harbi, L'Islamisme dans tous ses Etats, Parigi 1991, pp. 215-219127 Cf. Yûsuf Kamâl, al-`Asriyyûn (I modernisti), al-Mansûra 1986, pp. 15ss. È

significativo notare il sottotitolo di questo libello che definisce i modernisti gliodierni Mu`taziliti, con riferimento all'antica scuola teologica islamica di tendenzarazionalista.

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Con il prodursi di graduali aperture democratiche da parte dimolti regimi anche i movimenti islamici radicali hanno potutoparzialmente uscire della clandestinità.

All'azione destabilizzante, mai completamente abbandonata, si èaffiancata la ricerca di una legittimazione ufficiale e della possibilitàdi essere rappresentati dalle istituzioni.

L'inaugurazione di questo nuovo corso è stata di grandeimportanza poiché ha indotto l'islamismo radicale ad accettarealmeno implicitamente le regole del sistema democratico portandoalcune prestigiose formazioni a prendere le distanze dalla lottaarmata e dal terrorismo.

Il sospetto che tale evoluzione sia di tipo tattico e non garantiscada tentazioni autoritarie, una volta che costoro abbiano ottenuto ilpotere per vie legali, non può certo essere considerato soltanto unpretesto da parte delle attuali classi dirigenti per rallentare unprocesso che sta loro sfuggendo dalle mani. Bisogna tuttaviaconsiderare che, proprio mentre si stavano aprendo nuovi spazipolitici, l'azione repressiva da parte dei governi si è intensificatadeterminando grande incertezza nello stabilire responsabilitàdell'attuale spirale di violenza.

4.3 Egitto

Paese cerniera tra il Nordafrica e il Medio Oriente, dotato digrande prestigio culturale e di un peso politico di primo piano,l'Egitto rappresenta anche nell'ambito dei movimenti musulmaniradicali un punto di riferimento fondamentale.

In particolare, come si è detto, ha visto nascere, nel 1928,l'associazione dei Fratelli Musulmani che, pur nel pullulare di sigle eraggruppamenti, conserva ancor oggi un eccezionale carisma.

Anche se il suo ruolo guida si è relativamente ridotto negli ultimitempi, l'ideologia della Fratellanza rimane straordinariamente vitalee contribuisce a mantenerne vivo il mito presso i militanti di ogniparte del mondo islamico.

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I suoi burrascosi rapporti con il potere politico avevano raggiuntoil momento più critico durante il periodo nasseriano, nel quale ilmovimento ha subito la repressione più dura.

Con l'avvento di Sadat le cose erano migliorate, ma sulla base diun apertura opportunistica da parte del nuovo presidente che nonavrebbe tardato a mostrare le sue contraddizioni.

La liberazione di molti "Fratelli" e l'appoggio fornito alle loroattività sono servite infatti essenzialmente a controbilanciare leopposizioni laiche, senza che si sia giunti mai al riconoscimentodell'associazione come formazione politica autorizzata. Anzi, propriomentre si utilizzavano le correnti islamizzanti per gestire gli equilibripolitici interni, non si esitava a ribadire l'impossibilità di ammetterela costituzione di partiti su base religiosa.

I nuovi orientamenti in politica economica e internazionale nelfrattempo generavano consensi e resistenze: «Tutto questo ebbe unnotevole effetto sulla borghesia egiziana, che costituiscetradizionalmente la principale fonte di vitalità politica e dinamismosociale per il regime: dalla borghesia nacquero sia l'opposizionepolitica al regime sia la sua principale base di sostegno. Dopo tutto, sitrattava della classe maggiormente toccata dalle nuove politicheavviate da Sadat nella seconda metà degli anni settanta. La piccolaborghesia era colpita in modo particolare e non traeva alcunbeneficio, al contrario dell'alta borghesia, dalle nuove politiche diSadat. Perciò essa divenne instabile e ansiosa: era scontenta delleattività del regime negli ambiti politico ed economico, che, negli stadiiniziali di attuazione delle nuove politiche, non appagavano le sueaspirazioni e neppure le sue minime aspettative. In tale contesto, leorganizzazioni politiche militanti islamiste emersero comeespressione di una protesta sociale che era collegata alla frustrazionedella piccola borghesia. Questa protesta esprimeva tensioni sociali,incertezza, mancanza di autostima e perdita di ruolo dovute allecircostanze costantemente mutevoli e alla mancanza di stabilitàsociale. [...] In questo periodo, l'opposizione al regime di Sadatrappresentata dall'Associazione dei Fratelli musulmani assunse laforma di una pressione politica non violenta volta a costringere il

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regime a fare concessioni che avrebbero potuto servire agli interessidi lungo periodo dell'Associazione stessa. La strategia adottata daiFratelli musulmani nella loro opposizione al regime si svolgeva a duelivelli: la costituzione di uno stato e di un sistema sociale islamicobasati sull'applicazione della Sharî`a, in sostituzione dell'esistentesistema legale laico. Il secondo livello era tattico, relativo ai mezzi perconseguire l'obiettivo di lungo termine; questi mezzi privilegiavanocanali e meccanismi politici legittimi per esercitare pressione sulregime, e si concentravano sulla fascia popolare e sull'ambito sociale,al fine di sensibilizzare maggiormente la coscienza sociale dellemasse al pensiero dell'Associazione. I rapporti tra Sadat el'Associazione dei Fratelli musulmani nei primi tempi della suapresidenza furono caratterizzati da una certa collaborazione; tuttaviale tensioni sotterranee cominciarono ad affiorare da allora. Lacontrapposizione emerse quando i Fratelli musulmani si schieraronocon l'opposizione rispetto alle politiche di Sadat.»128.

Sono state soprattutto le scelte filo occidentali del governo especialmente la pace con Israele a mettere a dura prova ladeterminazione dei Fratelli Musulmani nel perseguire la strada delloro inserimento nelle istituzioni, ma la moderazione infine haprevalso e ha determinato il distacco dal movimento di alcune frangeestremiste che non condividevano tale linea e optavano invece per lalotta armata.

Sadat è caduto vittima proprio di una di queste ultime, in una fasedi confronto esasperato tra istituzioni e opposizione islamica, ma ilpercorso intrapreso dalla Fratellanza non si è comunque interrotto.

Alleandosi a partiti minori, allettati dal consenso su cui possonocontare nella base elettorale, i Fratelli Musulmani sono riusciti nelcorso degli anni '80 a portare in parlamento i loro rappresentanti cheavanzano in quella sede numerose rivendicazioni dell'islamismoradicale, tra le quali primeggia quella relativa all'applicazione dellasharî`a.

Anche nelle associazioni di categoria e nei sindacati i lorocandidati hanno ottenuto vasti consensi, benché una legge del '92

128 H. Mustafa, «I movimenti islamisti sotto Mubarak» in L. Guazzone (a cura di),Il dilemma dell'Islam, Milano 1955, pp. 191-192.

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abbia rallentato questo processo imponendo che, per considerarevalida l'elezione dei rappresentanti, partecipasse almeno la metàdegli aventi diritto. Nonostante ciò l'affermazione dei FratelliMusulmani resta rilevante in questi ambiti, dove la sua azione si èabilmente spostata dal piano politico a quello sociale, nel quale è ingrado di raccogliere i favori di un'ampia area di protesta senza doveraffrontare il potere costituito in un confronto troppo diretto.

Quest'ultimo è rimasto appannaggio di una galassia di piccoligruppi duramente combattuti dalle forze di sicurezza e spessoaccusati di connivenze con paesi stranieri (come è avvenuto anchenel caso dell'attentato a cui è scampato il presidente Mubarak nel1995, la cui paternità è stata attribuita al Sudan), benché la loro forzasembri derivare anzitutto dal non ancora risolto problema deirapporti tra istituzioni e opposizione islamica sempre aperto sulpiano della cultura e della società, anche quando non sfociaclamorosamente sul versante politico.

Il problematico passaggio a un sistema pluralistico incontra anchein Egitto forti resistenze e numerose difficoltà: «La caratteristica piùdurevole di questa transizione è data dal fatto che il sistema politicomantiene ancora saldamente molti dei tratti ereditati dal periodo diNasser, nonostante i numerosi mutamenti politici introdotti sottoSadat e Mubarak. Il sistema politico egiziano è ancora caratterizzatodalla tradizionale natura autoritaria, che si manifesta nello stato enelle sue istituzioni. Al vertice del sistema statale si trovanol'istituzione presidenziale, il sistema burocratico e l'esercito; lastrutturazione del sistema statale contrasta con la relativa debolezzadella società civile, e, in ciascun settore i rapporti personali e diprotezione politica giocano un ruolo importante nella tutela enell'espressione degli interessi. Tale natura del sistema politicoegiziano ha fortemente condizionato il processo di transizioneliberale e democratico. I criteri ispiratori per il cambiamento eranorappresentati dai modelli occidentali, ma i fattori tradizionalirestavano dominanti e si svilupparono nonostante i fattori dimodernizzazione, che, anzi misero in ombra. La cultura politica eraancora governata dai valori tradizionali, come l'obbedienza e laprotezione politica alcuni dei quali sono addirittura rafforzati. Si

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manteneva anche un legame tra religione e politica, come pure lafiducia nelle fonti tradizionali di legittimità politica, tra le quali avevaun ruolo primario la religione, e non il razionalismo costituzionale,che è determinato dalle attività e dai risultati conseguiti dal regime.Inoltre, secondo l'assetto tradizionale, il rango sociale è determinatodal retroterra di classe familiare, fatto che continuava a riflettersinelle organizzazioni e nelle istituzioni politiche, che restarono debolie non riuscirono ad acquisire i necessari caratteri propri di uncontesto moderno»129.

4.4 Iran

Al contrario di molti altri paesi, l'Iran rappresenta un caso in cuil'islamismo radicale non è rimasto un movimento di opposizione, maha conquistato il potere attraverso l'azione rivoluzionaria.

Attribuire le caratteristiche di quest'ultima a una pretesa maggioreintransigenza dello sciismo rispetto alla corrente sunnita,maggioritaria nel resto del mondo musulmano, è del tutto scorretto efa parte di alcune gravi distorsioni che i mezzi di comunicazione dimassa hanno contribuito a diffondere nell'opinione pubblicainternazionale a proposito dell'Islam.

Il ruolo che gli sciiti attribuiscono all'interpretazione umana deitesti rivelati e gli stretti legami da loro sviluppati tra teologia efilosofia hanno infatti spesso favorito presso di loro una circolazionedi idee migliore rispetto a quella riscontrabile in ambienti sunniti.

Inoltre non si può neppure sostenere che lo sciismo implichinecessariamente una stretta dipendenza della politica dalla religione.

Se da un lato è vero che l'unica forma legittima di autoritàriconosciuta è quella dell'imâm, non bisogna dimenticare che costui -secondo la corrente imamita o duodecimana, prevalente tra gli sciitiin genere e maggioritaria in Iran - è ormai da secoli "nascosto" e che ilsuo ritorno è atteso soltanto per la fine dei tempi.

Pertanto l'atteggiamento del credente verso le questioni politichepuò attenersi a due principi del tutto contrastanti: il primo considera

129 Ibidem, pp. 192-193.

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qualsiasi tipo di potere inaccettabile poiché non fondato sulleprerogative proprie soltanto all'imâm, il secondo ammette qualsiasiforma di governo come necessità pratica temporanea e contingente inattesa dei tempi messianici.

Contrariamente a quanto si potrebbe credere, è questa secondaposizione ad aver a lungo prevalso tra gli sciiti imamiti.

La partecipazione delle autorità religiose ai conflitti internidell'Iran è stata tuttavia rilevante e, in epoca moderna, si è espressapiù apertamente in base al seguente principio: «tenendo conto che,dopo l'occultamento del dodicesimo Imâm, la direzione spirituale si èprovvisoriamente separata da quella temporale, non si può esigeredal potere temporale l'applicazione perfetta della "Legge religiosa".Sarà compito dell'Imâm nascosto, dopo il suo ritorno, riunificare i duepoteri e metter fine alla separazione tra Sharî`a (la legge islamica) e`Urf (la legislazione basata sul diritto naturale e consuetudinario) eridare al potere temporale la sua legittimità tramite il totale rispettodella legge religiosa. Secondo i religiosi progressisti dunquel'eliminazione del dispotismo, il controllo del "clero" in campolegislativo e l'esercizio da parte del popolo dei suoi dirittifondamentali sono altrettanti passi verso l'instaurazione dellagiustizia islamica»130.

Il conflitto tra religiosi e monarchia, già marcato durante irivolgimenti politici di inizio secolo131, si è radicalizzato specialmentecon l'occidentalizzazione forzata del paese promossa dall'ultimo Scià.

In questo periodo possiamo reperire anche in Iran alcuni trattitipici delle posizioni moderniste già incontrate nel mondo islamicosunnita, quali la teoria della perfetta compatibilità tra scienza e fede,opposta alle tendenze positivistiche e materialistiche in netto

130 C. Vaziri, «Le Shi'isme dans les luttes nationales en Iran», in Comprendre, n.

1/1981, p. 12.131 Cf. N.R. Keddie, Iran: Religion, Politics and Society, Londra 1980; V. Fiorani

Piacentini, «`Ulemâ' e costituzione persiana (1905-1909)», in CLIO, n. 2 (1988), pp.211-249; S.A. Arjomand, (ed.), Authority and Political Culture in Shi'ism, New Tork1988, pp. 178-209; H. E. Chehabi, Iranian Politics and Religious Modernism, Londra1990, pp. 44ss.

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contrasto con la religione. A questo proposito fu notevole l'influsso diautori occidentali132 quali Alexis Carrel (1873-1944) e Pierre Lecomtede Noüy (1883-1947), sostenitori del pieno accordo tra scienzenaturali e credenze religiose. A tale apologetica si affiancava latendenza a ristabilire un contatto diretto con le fonti originarie dellafede, con una certa ripresa dell'esegesi del Corano che produsse uncommentario di nuova concezione con l'ayatollâh Taleqâni133, il cuipensiero è caratterizzato da un'impostazione moderna tesa adattribuire autonomia e responsabilità all'azione umana, in contrastocon la visione di tendenza mistica che non considera il mondo che unriflesso dell'unica autentica realtà: quella divina. Nonostanti il forteteocentrismo islamico e l'idea dell'assoluta trascendenza di Dio,Taleqâni enfatizzò il ruolo dell'individuo, inserito in un processovitale che ha come leggi fondamentali quelle del cambiamento edell'evoluzione. Da tali premesse derivava una posizione di impegnopolitico antiautoritario da parte dell'autore.

Un ruolo decisivo nell'evoluzione del pensiero islamico in Iran loebbe anche `Alî Shari`ati (1933-1977)134, al quale si deve soprattutto ladivulgazione dell'idea dell'Islam come "terza via" tra capitalismo ecomunismo, contenente in sé i vantaggi dei due sistemi, senza averneperò i difetti. Di fronte al profondo cambiamento che la societàreclamava, si proponeva pertanto non più l'acritica imitazione di altrimodelli, ma una rinnovata consapevolezza della propria identità.Questa non si riduceva però al mero recupero dell'Islam nelle sueforme canoniche, ma mirava piuttosto a una nuova intepretazionedei suoi principi e ideali. In particolare Shari`ati attinse allatradizione sciita, cioè alla forma di Islam più direttamente collegataalla storia e alla mentalità del suo popolo, distinguendo però loSciismo dei Safavidi, diventato dottrina di stato e quindi strumentodi oppressione nelle mani di uomini di religione arretrati e corrotti, elo Sciismo originario dei tempi di `Alî, movimento dinamico e di

132 H. E. Chehabi, op. cit., pp. 56-52.133 S. Akhawi, «Islam, Politics and Society in the Thought of Ayatullah Khomeini,

Ayatullah Taliqani and Ali Shariati», in Middle East Studies, n. 4 (1988), pp. 404-431.134 H. E. Chehabi, H. E., op. cit., pp. 187-198.

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contestazione del potere costituito135. Le analogie con l'idealizzazionedell'epoca aurea dei primi Califfi "ben diretti" da parte dei riformistimusulmani in ambito sunnita sono più che evidenti.

Il vocabolario e i riti dello sciismo acquistarono quindi nuovevalenze e significati all'interno di un processo rivoluzionario dove lareligione fungeva da catalizzatore delle differenti forzed'opposizione, abbandonando il tradizionale quietismosimboleggiato dall'antica pratica della taqiyya o kitmân("dissimulazione"): «Tale principio, al tempo stesso sciita e iraniano,regolava i rapporti tra fede e opere (intese come manifestazione dellafede) presso i credenti. In base ad esso, quando si trova in unasituazione di pericolo o di repressione, il fedele ha l'obbligo di nonrivelare la propria fede mediante il suo comportamento. Questapratica era dovuta in parte alla condizione minoritaria degli Sciiti,considerati eretici e quindi perseguitati - se riconosciuti - nel mondoislamico (soprattutto da parte dei Califfi), dall'altra dipendeva dallanecessità avvertita dai dignitari sciiti, che in Iran vivevano sotto unpotere dispotico, di preservare la comunità dalle aggressioni dellostato. [...] Insistendo perché i dignitari e i credenti prendesseroposizione politicamente contro il regime dello Scià e control'imperialismo, l'ayatollâh Khomeini ruppe con la pratica delkitmân»136. Più in generale «in un sussulto più grandioso che nelpassato, l'islam persiano esprime la sua stanchezza nei confronti diuna profezia suggellata, di un occultamento ad infinitum dell'Imamequivalente a un'eterna rassegnazione»137.

Com'è noto la situazione andò aggravandosi sempre piùcoinvolgendo ogni strato della popolazione iraniana specialmentenelle ricorrenze religiose che, ricordando il martirio degli Imâm delpassato, confermavano e accrescevano la determinazione dei

135 Cf. A.Bausani, «Sciismo 'alide' e sciismo 'savafide' in un libro di `AliShari`ati», in Oriente Moderno n. 1-12 (1989), pp. 83-89. Mehrchid, Ali Shariati: unethéologie de la liberation?, in Harbi, M., L'Islamisme dans tous ses Etats, Paris 1991. pp.97-111.

136 C. Vaziri, «La République Islamique en Iran», in Comprendre, n. 11 (1980), p.15.

137 G. Scarcia, «I tratti "neo-bàbi" del khomeinismo», in Oriente Moderno n.s. n.1-12 (1982), p. 97.

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rivoluzionari i quali, con il ritorno di Khomeini, ottennero la finedella monarchia e l'avvento della Repubblica islamica nel 1979.

Bisogna rilevare però che il pensiero del leader religioso di questarivoluzione sembra meno sensibile a quelle esigenze che avevanoportato altri esponenti del riformismo islamico di questo secolo arivalutare le posizioni di antiche scuole teologiche come quellaMu`tazilita, rimaste più vitali presso gli sciiti, dopo esser state deltutto accantonate dall'ortodossia sunnita.

La tendenza di Khomeini sembrerebbe invece di tipo più gnostico-teosofico e comunque meno aperta a simili suggestionimodernistiche138. Ciò non gli impedisce tuttavia di aderire allaconcezione totalizzante della dottrina islamica dalla quale deriva lanecessità che la legge religiosa costituisca il fondamento essenzialedella vita del paese. L'aspetto istituzionale dell'Islam è posto quindiin primo piano, come avviene presso tutti i movimenti radicalimusulmani che infatti hanno salutato con entusiasmo il successodella rivoluzione iraniana quale modello originale e alternativo aogni altro: «il regime islamico è quello della legge divina. Ladifferenza tra esso e i governi costituzionali, monarchici orepubblicani che siano, è che in questi ultimi sono i rappresentantidel popolo o del re a legiferare, mentre nel primo il potere legislativoappartiene soltanto a Dio e a nessun altro, né alcuno ha il diritto digovernare al di fuori di quanto Egli ha rivelato. Per questo motivo ilregime islamico ha sostituito l'assemblea legislativa con un organo dipianificazione che coordina l'azione dei vari ministeri e i lorointerventi ai vari livelli. [...] Il regime islamico è invece governatodalla legge e il suo capo è solo Iddio che ne è anche l'unicolegislatore»139.

138 Cf. S. Akhawi, Islam, Politics and Society in the Thought of Ayatullah Khomeini,

Ayatullah Taliqani and Ali Shariati, «Middle East Studies», n. 4 (1988), pp. 404-431 e V.Martin, «Religion and State in Khumainî's Kashf al-asrâr», in Bulletin of the School ofOrientals and African Studies, n. LVI-1 (1993), pp. 34-45.

139 R. Khomeini, al-Hukûma al-islâmiyya (Il governo islamico), Teheran 1980, pp.41ss.

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In questo senso va quindi interpretata l'azione di sistematicaislamizzazione della vita del paese in tutti i suoi aspetti140, dagli usi ecostumi fino all'economia, con la creazione di banche islamicherispettose delle interdizioni previste dalla legge musulmana. Inquesto modo e in concorrenza con altri paesi musulmani l'Iran mira aproporsi come modello di stato integralmente e coerentementeislamico, ponendosi come alternativa ai regimi arabi moderatidell'area del Golfo e opponendosi a quelle che considera le sfidedell'Occidente contro la fede musulmana, non soltanto politiche, maanche culturali, come è avvenuto in occasione della pubblicazione delromanzo Versetti satanici di Salman Rushdie, condannato daKhomeini nel 1989.

Se l'Islam ha dimostrato di poter essere il fattore unificante dellevarie forze di opposizione e ha fornito i simboli e il linguaggio adattia rivolgersi con successo alle masse, non è meno vero che dopo larivoluzione sono riemersi antichi motivi di contrasto non soltanto trale due componenti che avevano unito i loro sforzi contro lo Scià,quella laica e quella religiosa, ma anche all'interno di quest'ultima.

Le concezioni meno autoritarie, come quelle sostenute dagliayatollâh Taleqâni e Madari e dall'intellettuale `Ali Shari'ati hannodovuto cedere alla concezione teocratica mediante la quale l'imâmKhomeini ha cercato di imporre il proprio ruolo guida anche nelcampo più strettamente religioso, dove avrebbe dovuto misurarsi conaltri candidati la cui autorevolezza era almeno pari, se non maggiorealla sua.

Alcune rigide misure di islamizzazione imposta, non piùsostenute dall'entusiasmo della fase rivoluzionaria, accanto alleaspettative deluse e all'asprezza delle condizioni di vita determinatedall'estenuante guerra con l'Iraq hanno suscitato un profondo disagioche ha indotto la classe dirigente di Teheran a scelte ispirate a unmaggiore pragmatismo, mentre anche a livello internazionale lachimera di un fronte islamico compatto sotto la leadership almeno

140 Mayer, A. E., The Fundamentalist Impact on Law, Politics, and Constitutions in

Iran, Pakistan and Sudan, in Martin E. Marty, Scott Appleby, R., (ed.), Fundamentalismand the State, Chicago-Londra, 1993, pp. 110-123.

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morale dell'Iran lasciava il posto alla frustrante consapevolezza dellapersistenza di profonde divisioni che emergevano con ancormaggiore virulenza dopo la fine del bipolarismo.

4.5 Maghreb

Anche per quanto riguarda il Maghreb, lasciamo la parola a unospecialista per alcune considerazioni preliminari che offriranno ilquadro di riferimento generale nel quale inserire quanto saràaggiunto in seguito:

«Nonostante la sua origine coloniale, lo Stato nel Maghreb hasaputo resistere alle tensioni subite dopo le indipendenze. Esso harealizzato una modernizzazione della società che si è tradotta inrapida urbanizzazione, sviluppo dell'istruzione, istituzione di servizipubblici di massa e innalzamento del tenore di vita di cui èbeneficiaria soprattutto la classe media, mentre una parte crescente dipopolazione giovanile resta esclusa da questi vantaggi. Questatrasformazione sociale è stata in genere accompagnata da una svoltapolitica autoritaria. Gli esiti del nazionalismo hanno fatto confluire igovernati al seguito delle autorità di fatto, senza che si ponesse laquestione della spartizione del potere. Il conflitto del Saharaoccidentale per il Marocco, il mito della resistenza nazionale del FLNper l'Algeria, la figura del Supremo Combattente per la Tunisiahanno simboleggiato questi processi di allineamento passibili dirimandare sine die la domanda di pluralismo e democratizzazione daparte della classe media urbana.

L'autoritarismo politico ha però saputo scarsamente fronteggiarela spinta della contestazione islamica che certamente attaccadeterminati simboli dello Stato, ma soprattutto tende a prendersicarico della difesa degli esclusi dalla modernità (particolari settoridella classe media e della gioventù scolarizzata) piuttosto checontestare globalmente il funzionamento del sistema. La fine deiconflitti esterni per il Marocco, i mutamenti imposti in Tunisia, lapressione popolare il Algeria impediscono il mantenimento deimodelli autoritari nella loro forma tradizionale, d'altra parte gli Statidel Maghreb non sanno risolversi per un pluralismo reale e per

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meccanismi politici di tipo democratico, basati su libere elezionicapaci di determinare un autentico cambio della classe dirigente»141.

«Di fronte al fallimento di quanto ha trovato la propriaincarnazione nello Stato e nel partito unico, il discorso religioso èsembrato la sola forma di contestazione credibile. Il successo dellarivoluzione iraniana, la semplicità di un programma politico che nondeve sottoporsi alla prova dei fatti, le reazioni di allarme che essogenera nei privilegiati e sulla stampa occidentale, tutto ciòcontribuisce a rendere il radicalismo islamico la manifestazioneambigua di un'opposizione che non trova altro modo di esprimersi.Attraverso il linguaggio impiegato, tuttavia, si distinguono diversestrategie di forze sociali nei confronti dello Stato: le attese dei giovanidisoccupati non sono infatti le stesse degli imprenditori o degliintellettuali frustrati. Oltre il discorso unificatore e semplificatore alivello religioso, i musulmani radicali si impongono anche comeorganizzazione che fa proprio un modello intermedio tra movimentosociale e partito di massa, seguendo schemi che non sono poi tantocambiati rispetto agli anni '30, quando in Egitto si costituì ilmovimento dei Fratelli Musulmani.

Di fronte alla crescita di questa corrente islamica radicale chevuole tradurre la sua forza nella presa del potere legittimata dalleurne l'esercito sembra l'ultimo baluardo di una forma moderna diStato. Ciò è quanto avviene effettivamente soltanto nel caso algerino,mentre si dovrebbero fare dei distinguo per il Marocco e anche per laTunisia. Infatti non pare che la difesa dello Stato sia sempre affidataai soli militari. Questi ultimi possono addirittura in certi casipresentarsi come una minaccia per le istituzioni molto più credibilerispetto a quella dei musulmani radicali. In Marocco e in Tunisia ladifesa del potere è affidata più decisamente all'apparato delMinistero degli Interni e della polizia, che possono essere incaricati disorvegliare anzitutto proprio i militari. Né si può evitare diprefiguarsi differenti forme di patti e di alleanze che, in vista delcontrollo sociale, potrebbero unire militari e radicali, in grado diessere, nel lungo periodo, tanto soci quanto avversari»142.

141 R. Leveau, La sabre et le turban. L'avenir du Maghreb, Parigi 1993, pp. 10-11142 ibidem pp. 14-15.

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Dunque anche i paesi del Maghreb hanno conosciuto il successodei movimenti islamici radicali in epoca relativamente recente eattraverso percorsi differenziati.

In Tunisia e in Algeria la modernizzazione è stata più spinta e hacomportato una certa marginalizzazione dei valori tradizionali, tracui quelli religiosi, considerati frenanti in vista dello sviluppoeconomico e sociale.

Anche se alcune iniziative di troppo duro impatto, come laproposta del presidente Burghiba di eliminare il digiuno di Ramadanper sostenere più efficacemente l'attività produttiva, si sonodimostrate fughe in avanti prive di qualsiasi possibilità di successo,in altri delicati settori, come le disposizioni relative al matrimonio eal divorzio, sono state introdotte significative innovazioni che unabuona parte della popolazione sembra considerare conquisteconsolidate e non negoziabili.

Le difficoltà economiche e il discredito caduto sulle classi dirigentifacilita comunque il compito del revival islamico, che trova un facilebersaglio nella politica dei governi di questi paesi tanto a lungoispirata a modelli stranieri, socialisti o liberali che fossero.

Al contrario, Libia e Marocco, grazie a una struttura sociale o auna forma istituzionale più arcaiche, sembrano avere maggioripossibilità non soltanto di resistere alla corrosione dellacontestazione religiosa ma addirittura, paradossalmente, consentonoa valori più laici - quali il nazionalismo - o alle stesse opposizioni disinistra di conservare un ruolo altrove ormai ampiamentecompromesso.

Il caso di questi due paesi è interessante per vari motivi.La Libia infatti promuove una politica simile nelle modalità e negli

effetti a quella di molti stati che si presentano come i campionidell'Islam, pur non riservando alla religione una funzione primaria eaddirittura nonostante alcune "aperture" originali del suo leader nelcampo dottrinale, come il tentativo di relativizzare il valorenormativo della Sunna a vantaggio del solo testo coranico, in nettocontrasto con la preponderanza da sempre accordata dai dotti

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musulmani alla Tradizione rispetto alla Rivelazione nelle questionigiuridiche143.

Per quanto riguarda il Marocco, va rilevata l'abilità con la quale ilre utilizza per legittimare la propria autorità la sua appartenenza allastirpe del Profeta, il titolo di "principe dei credenti" che ancoraconserva e soprattutto il controllo che esercita sulle espressionidell'Islam istituzionale, riuscendo così a limitare drasticamentel'efficacia delle forme di contestazione su base religiosa, pur presentinel suo paese.

Queste ultime si sono trovate in tal modo costrette ad accettare ilsovrano come interlocutore - come nel caso di A. Yacine che, nel1974, gli indirizzò una lettera aperta significativamente intitolata"L'Islam o il diluvio" - o comunque a fare i conti con un discorsoislamico ufficiale che mantiene un grado di autorevolezza nontrascurabile144.

Tunisia e Algeria sono invece, come si è detto, due paesi in cui lacredibilità degli stati eredi della lotta per l'indipendenza risultamaggiormente compromessa, anche se l'affermazione della correnteislamica radicale si è avuta soltanto gradualmente e in maniera nonuniforme.

In Tunisia il Movimento della Tendenza Islamica si è mobilitato inun primo tempo essenzialmente contro le sinistre, particolarmenteattive verso la fine degli anni '70, e ha goduto di una sorta di libertàvigilata da parte del regime che però, dopo la crescita del movimentoalla quale ha contribuito non poco la suggestione della rivoluzioneiraniana, ha adottato nei suoi confronti una politica repressiva.

Tuttavia il dialogo tra MTI e governo non è del tutto interrotto,similmente a quanto avviene in Egitto per i Fratelli Musulmani, e leposizioni più radicali restano appannaggio di alcuni gruppiminoritari.

Da segnalare è inoltre la presenza in Tunisia di un gruppo diradicali "progressisti", raccolti attorno alla rivista 15/21, vicini allacorrente della "sinistra islamica" dell'egiziano H. Hanafî, i quali nonrisparmiano critiche agli altri gruppi dell'opposizione religiosa,

143 Cf. note 126 e 127.144 A. Lamchichi, Islam et contestation au Maghreb, Parigi 1989, pp. 122-126.

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preferendo all'azione politica un impegno culturale non privo diinteressanti spunti per un'evoluzione dottrinale su alcuni aspetticruciali del rapporto Islam-modernità145.

Questa pluralità di voci ed esperienze contribuisce a rendere loscenario tunisino meno esasperato di altri: alcune acquisizioni"laiche" sembrano essersi conquistate un consenso non effimero e si èvista addirittura la collaborazione tra musulmani radicali e la Legaper i diritti dell'uomo.

L'irrigidimento del periodo precedente la caduta di Burghiba hacosì potuto lasciare il posto a una fase di allentamento della tensioneche è però tornata ad alzarsi dopo che l'esperimento didemocratizzazione del 1989 ha dimostrato la capacità del radicalismoislamico di giungere al potere per vie legali, prospettiva alla quale chigestisce la transizione in atto non si era evidentemente ancorapreparato, come del resto sta accadendo anche altrove.

La repressione preventiva e la strategia dello scontro mediante ilquale si cerca di screditare il prestigio dell'opposizione religiosa agliocchi dell'opinione pubblica interna e internazionale è quindi tornataa prevalere, ma con il solo risultato di rimandare un confronto tantorischioso quanto inevitabile.

Molto meno sfumata è la situazione algerina, dove il carattere piùesclusivo del potere costituito ha mantenuto più a lungo una facciatatranquilla, ma allo stesso tempo ha contribuito alla maggioreradicalizzazione del movimento islamico la cui crescita è statafulminea e ha monopolizzato l'intero campo dell'opposizione all'attodelle prime aperture democratiche.

Voci contrarie agli orientamenti ideologici assunti dallo stato dopol'indipendenza non sono comunque mancate e già nel '74 A. Soltânîpubblicava un libello contro la dottrina ufficiale del "socialismoislamico", paragonato a una deviazione sostanzialmente eretica146.

Per altri aspetti però il governo algerino è stato meno risoluto nelportare avanti riforme laicizzanti, facendo ad esempio maggioriconcessioni al diritto tradizionale rispetto a quanto è avvenuto invecein Tunisia.

145 A. Lamchichi, op. cit., pp. 128-132.146Cf. M. Harbi, op. cit., pp. 135-143.

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Non si può quindi attribuire la drammaticità della situazioneattuale alla mancanza di un discorso ufficiale teso a mantenere ilegami col patrimonio islamico classico, poiché questo si è sviluppatoin Algeria forse più che altrove. Determinante è stato piuttostoproprio il monopolio nel controllo sociale che lo stato ha a lungoconservato e che la crisi della classe dirigente ha trascinato con sé inblocco e irreversibilmente.

Le concessioni fatte alle rivendicazioni dei musulmani radicalisono state per certi aspetti maggiori in Algeria che altrove: comel'adozione del venerdì quale giornata di riposo settimanale o lanomina di M. Ghazâlî, già esponente di spicco dei Fratelli Musulmaniegiziani, in qualità di rettore dell'Università islamica di Costantina,ma ciò non è servito a cambiare i termini della questione: la forza deimolteplici fattori che reclamano un cambio della guardia, favoritinella loro legittimazione dalle aperture al pluralismo politico, vedononell'opposizione islamica l'unico candidato che possa realisticamentesostituire gli attuali governanti, benché esso sia contemporaneamenteanche quello che sembra offrire minori garanzie.

La "riesumazione" di alcuni personaggi prestigiosi del periododella lotta di liberazione nazionale non ha sostanzialmente cambiatola situazione che le opposte violenze dell'opposizione islamica e dellarepressione poliziesca contribuiscono a trasformare sempre più inuna sorta di guerra civile.

I timori che, una volta al potere, i musulmani radicali possano nonrispettare le regole democratiche che oggi invocano a propriovantaggio non può far dimenticare che queste stesse siano del tuttodisattese da chi non gradisce il probabile esito della loroapplicazione.

La relativa lontananza dell'Algeria dall'instabile cuore del MedioOriente potrebbe far supporre che un esperimento di governoislamico sia più probabile qui che nel Mashreq, ma la forteoccidentalizzazione di una buona parte della popolazione potrebberendere la cosa a livello interno ben più traumatica che altrove.

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5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

L'inasprimento del confronto tra governi e opposizione islamicache travaglia molti paesi arabi e musulmani contribuisce, oltre che aesasperare la conflittualità interna a quelle società, a confermarenell'immaginario collettivo l'Islam quale nuovo antagonista epocaledell'Occidente.

La fondatezza, oltre che l'opportunità, di una simile visione,nonostante essa sia ormai ampiamente accreditata, dovrebbe esserebilanciata, alla luce di quanto abbiamo sin qui esposto, almeno daalcune riflessioni che proponiamo alla considerazione del lettoresenza pretendere di esaurire un argomento tanto delicato, complessoe in pieno divenire.

Per quanto ormai generalizzata, l'affermazione del radicalismomusulmano non può essere semplicemente considerata conseguenzadiretta e necessaria dei principi islamici classici, benché trovi in essiin parte alcuni fattori predisponenti e soprattutto forti elementiutilizzabili efficacemente per la sua giustificazione ideologica.

Le cause del fenomeno risiedono piuttosto nel contraddittoriorapporto delle società arabe e musulmane con i modelli di vita e dipensiero di stampo occidentale che la fine dell'epoca coloniale non harisolto, ma semplicemente trasferito su altri piani e che si sono per dipiù aggravati a causa della situazione sociale ed economica moltoprecaria.

I movimenti islamici radicali non costituiscono un bloccomonolitico e compatto, ma presentano caratteristiche diverse earticolazioni sulle quali la storia e gli orientamenti dei singoli paesihanno un peso determinante e intrattengono con le istituzionirapporti di natura variabile.

Benché la maggioranza della popolazione sia spesso nondirettamente coinvolta nel contrasto tra le due parti e nonostante una

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larga parte dell'elettorato si sia astenuta nelle elezioni che hannovisto affermarsi i radicali, il recupero della tradizione religiosa inchiave politica per rispondere allo smarrimento determinato dallacrisi in atto non sembra un fenomeno passeggero, ma rivela piuttostouna tendenza di fondo ormai generalizzata.

Non è però detto che l'opzione islamica comporti effetti piùdevastanti di quelli che sta producendo l'estrema polarizzazione allaquale in alcuni casi si sta giungendo e che virtualmente esclude ognisoluzione di compromesso, arte non del tutto ignota invece ai regimi-simbolo dell'Islam politico (Iran, Pakistan, Sudan, Arabia Saudita...) icui orientamenti sono del resto notevolmente diversificati.

Come abbiamo visto il radicalismo musulmano è figlio dellamodernità non meno dei suoi oppositori, anche se impropriamente sene considera l'antagonista assoluto e sia spesso percepito come tale.Non è quindi da escludere che possa contribuire a mediarne alcunivalori in ambito islamico, anche se la fase della contrapposizione persua natura non favorisce certo quelli della moderazione e dellatolleranza.

Da parte occidentale, se sono state messo in atto politichepreventive di condizionamento internazionale tese a otteneregaranzie democratiche in cambio di cooperazione troppo raramente ocon scarsa determinazione, potrebbero essere adottate nuovestrategie in tal senso, la cui praticabilità ed efficacia sono certamenteancora tutte da dimostrare, ma non per questo vanno escluse a priori.

Per quanto abbia ormai ampiamente superato i livelli di guardia,la situazione attuale non è infatti soltanto gravida di forti rischi, mapresenta anche qualche interessate prospettiva.

Così come la seconda e la terza generazione di immigratimusulmani in occidente potrebbero essere gli artefici di una sintesiculturale ancora incompiuta, il radicalismo islamico, una voltaottenuta l'integrazione politica che tanto reclama e in un contestointernazionale meno esacerbato, avrebbe forse qualche possibilità inpiù di giocare su altri registri della modernità che non siano quelli

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schematicamente rivoluzionari del resto già profondamente usurati emantenuti in vita da un'impasse ormai più utile a far degenerare ancorpiù situazioni già compromesse che a favorire la maturazione disoluzioni alternative.

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BIBLIOGRAFIA

Data la natura e la finalità di questo scritto ci limitiamo a dare iriferimenti delle opere in lingua araba che sono state citate nel testoin quanto particolarmente significative per contenuto e diffusione,viceversa forniamo una serie di titoli più ampia delle opere in lingueoccidentali, le quali riflettono inoltre le diverse correnti interpretativedei fenomeni qui considerati.

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