PSICOLOGIA DELL’EDUCAZIONE E DELLA FORMAZIONE · Laura Palmerio Università di Roma Tor Vergata...

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volume 9

Numero 3 – anno 2007

SIPEFSOCIETÀ ITALIANA DI PSICOLOGIA

DELL’EDUCAZIONE E DELLA FORMAZIONEwww.sipefitalia.net

PSICOLOGIA DELL’EDUCAZIONE

E DELLA FORMAZIONE

SIPEF

Società Italiana di Psicologia

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PSICOLOGIA DELL’EDUCAZIONE

E DELLA FORMAZIONE

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INDICE

volume 9 numero 3 anno 2007

Francesco Pisanu Franco Fraccaroli

Il transfer dalla formazione al lavoro: modelli teorici e misurazione

Pag. 7

Gabriella Pavan De Gregorio

Processi cognitivi della lettura e prove di valutazione. Alcuni risultati degli studi internazionali IEA PIRLS sui bambini di scuola primaria Parte prima: Come si comprende il testo nell'indagine internazionale IEA PIRLS

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Donatella Cesareni Francesca Martini

“Secondo te abbiamo realizzato una comunità di apprendimento?”. Le opinioni di studenti partecipanti ad un’attività didattica in rete

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Maria Serena Veggetti Vera Marzi Cesare Accattatis

Processi cognitivi superiori e ansia: una possibile interferenza

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Roberto Baiocco Recensione

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Materiale informativo SIPEF 105

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Rivista di Psicologia dell’Educazione e della Formazione 2007, Vol. 9, n. 3, 7-31

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Il transfer dalla formazione al lavoro: modelli teorici e misurazione Francesco Pisanu Franco Fraccaroli Dipartimento di Scienze della Cognizione e della Formazione Università di Trento

Nell’ambito della ricerca e dell’attività applicativa nella Psicologia della Formazione degli ultimi decenni la tematica del transfer dalla formazione al lavoro ha vissuto una costante sottovalutazione. Questo contribu-to si inserisce all’interno della tradizione di ricerca sta-tunitense che ha prodotto una consistente mole di studi sui costrutti coinvolti nel processo di transfer e sulla lo-ro applicazione nella realtà dei contesti di lavoro. Nello specifico, verranno presi in considerazione i principali modelli teorici presenti in letteratura e l’unico strumen-to attualmente validato in una prospettiva cross-culturale, il Learning Transfer System Inventory (LTSI). Le implicazioni organizzative, legate al rapporto tra formazione e apprendimento sui luoghi di lavoro, chiu-deranno l’ultima parte del lavoro.

Introduzione1

Negli ultimi decenni si è assistito ad un incremento costante dell’interesse, da parte delle organizzazioni, nel divenire “organizzazioni che apprendono”, creando al proprio interno delle cosiddette “corporate univer-sities”, delle “famiglie professionali” o delle “comunità professionali”, per

1 Nonostante il presente lavoro sia da intendersi come frutto di una riflessione condivisa tra gli autori, i primi due paragrafi, “Introduzione” e “Valutazione della formazione e efficacia formativa” possono essere attribuiti a Franco Fraccaroli, mentre i restanti paragrafi sono attri-buibili a Francesco Pisanu.

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sviluppare maggiore proattività e partecipazione nella forza lavoro, nell’affrontare programmi di formazione professionale e di apprendimento continuo. La globalizzazione e le continue innovazioni tecnologiche sono tra le principali ragioni che spingono le organizzazioni a migliorare l’efficacia di tali proposte formative, per supportare una migliore performance nei luo-ghi di lavoro e allo stesso tempo per consolidare la competitività in un mer-cato sempre più instabile e dinamico.

Nel contesto europeo, anche le indicazioni comunitarie vanno in questa direzione. Basti pensare alla gamma di progetti formativi di varia natura, finanziati attraverso il Fondo Sociale Europeo in questi ultimi anni, che han-no contribuito al consolidamento, ad esempio, del concetto di formazione continua come elemento essenziale per lo sviluppo delle persone, su basi soprattutto culturali ed educative (Bellini, Di Lieto, Morgagni, 2002).

È facile immaginare come le organizzazioni, nel sistema pubblico così come nel settore privato, investano una significativa quantità di tempo e ri-sorse finanziarie nella formazione professionale. Nel contesto statunitense, ad esempio, l’insieme delle organizzazioni con più di cento dipendenti spen-dono complessivamente 58,6 miliardi di dollari ogni anno in programmi di sviluppo e formazione (Dolezalek, 2005). Cifra che si quadruplica se si prendono in considerazione anche le aziende di piccole dimensioni e i costi indiretti, legati alla formazione informale on the job (Holton, Bates, Ruona, 2000). Secondo l’ultimo rapporto ISFOL, per focalizzare l’attenzione sul contesto italiano, la spesa pubblica per la formazione professionale è quasi raddoppiata nel decennio 1995-2005, mentre la spesa pubblica complessiva per l’istruzione e la formazione professionale rappresenta ormai, secondo le ultime rilevazioni, quasi il 5% del PIL (ISFOL, 2006).

Molto spesso questo investimento non ripaga in termini di competenze acquisite e produttività. Negli Stati Uniti, in base a recenti rilevazioni empi-riche, solo una percentuale che varia tra il 10 e il 15 per cento dei programmi di formazione professionale è caratterizzata da una ricaduta operativa consi-stente nei luoghi di lavoro (Burke, Baldwin, 1999). Questo basso livello nel-la performance formativa costringe molto spesso i professionisti delle risorse umane, o in genere gli organizzatori/progettisti di percorsi formativi, a delle faticose attività di legittimazione del proprio lavoro e delle attività da loro proposte, soprattutto in termini di procedure di valutazione di efficacia. Que-sto aspetto denota una scarsa attenzione per questioni multilivello (indivi-duo, gruppo, organizzazione) nell’analisi del processo formativo (Kozlo-wski, Salas, 1997), e focalizza un’attenzione separata su due aspetti che in linea teorica dovrebbero costantemente integrarsi, cioè l’efficacia formativa e lo sviluppo organizzativo.

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L’obiettivo principale del presente lavoro consiste, dunque, in un appro-fondimento sui più recenti sviluppi teorici e metodologici inerenti un aspetto fondamentale dell’esperienza post-training che può supportare l’integrazione tra i due aspetti precedentemente indicati, cioè il processo di transfer tra la formazione e il lavoro, allargandone la prospettiva anche a fasi pre-training e in-training. In prima battuta il training transfer è definibile come “l’uso delle capacità e delle competenze acquisite nella formazione per migliorare la prestazione nello specifico contesto di lavoro” (Fraccaroli, 2007, p. 177). Come vedremo in seguito, il dibattito sul transfer ha vissuto una decisa im-pennata dalla fine degli anni ‘80, e oggi continua a rivestire un'importanza fondamentale per le organizzazioni. Nonostante il focus della ricerca sia sta-to prevalentemente su aspetti individuali, legati alla generalizzazione di ap-prendimenti e comportamenti dalla formazione ai contesti lavorativi, un altro ambito di rilievo è rappresentato dall'impatto della formazione sulla vita produttiva delle organizzazioni.

Una prima parte della presente rassegna sarà, dunque, dedicata ai due a-spetti principali che fanno da sfondo al concetto di transfer, il primo legato al processo di valutazione della formazione e il secondo legato all’efficacia formativa. Nella seconda parte si esplorerà in maniera più approfondita il concetto di transfer della formazione, seguendo principalmente le indicazio-ni provenienti dalla letteratura statunitense. A seguire, una terza parte sarà dedicata alla presentazione di due modelli di transfer: uno dei primi e più noti in letteratura, di Baldwin e Ford (1988) e un modello più recente di Hol-ton e collaboratori (Holton et al., 2000). Una quarta parte focalizzerà l’attenzione su modalità e strumenti di misura delle dimensioni del transfer, e in particolare verrà introdotto lo strumento diagnostico basato fedelmente sul modello di Holton e collaboratori, il Learning Transfer System Inventory (LTSI), di cui siamo intenzionati a proporre una versione italiana. Nella par-te conclusiva si indicheranno le principali prospettive di ricerca e applica-zione in questo ambito, con una rilettura di alcune tematiche classiche della formazione nelle organizzazioni, alla luce delle recenti acquisizioni teoriche e empiriche.

Valutazione della formazione e efficacia formativa

Per affrontare in maniera più chiara il concetto di efficacia della forma-zione, può risultare utile la distinzione tra valutazione formativa ed efficacia della formazione (Alvarez, Salas, Garofano, 2004). La valutazione formati-va, soffermandosi su elementi “micro” del processo formativo, tende a co-gliere i benefici del training a livello individuale e di piccolo gruppo. Essa può essere considerata come un approccio metodologico per rilevare gli esiti in termini di apprendimento e di modifica del comportamento lavorativo.

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L'efficacia formativa, abbracciando una prospettiva maggiormente “macro”, analizza il sistema formativo nel suo complesso e ne esamina le ricadute or-ganizzative. L’efficacia formativa prende in considerazione le caratteristiche individuali, del programma formativo e organizzative che influenzano il pro-cesso formativo prima, durante e dopo la formazione stessa. In sintesi, l'effi-cacia formativa si occupa del “perché” e del “come” i risultati conseguiti con la formazione sono stati ottenuti.

Per quanto riguarda la valutazione formativa, Fraccaroli (2007) sottolinea come i primi livelli del classico modello di Kirkpatrick (1959), cioè la soddi-sfazione dei partecipanti nei confronti del programma formativo e gli ap-prendimenti individuali conseguiti, siano ancora privilegiati nella maggior parte dei disegni valutativi, mentre le analisi più approfondite, relative al cambiamento nel comportamento lavorativo e del livello organizzativo, con-tinuano a rimanere episodiche e non sistematiche. Questa mancanza è attri-buibile in buona misura a difficoltà nella definizione del costrutto e nella relativa mancanza di strumenti di rilevazione adeguati (Baldwin, Ford, 1988; Burke, Baldwin, 1999).

La situazione italiana, con i dovuti distinguo, non si differenzia sostan-zialmente da questo trend. Sempre in base al rapporto ISFOL, in riferimento alla gestione dei processi formativi intra-aziendali, il 64% delle aziende di piccole e medie dimensioni ha effettuato delle valutazioni degli effetti della formazione, soprattutto attraverso strumenti informali, mentre il 78% ha ri-scontato il trasferimento di conoscenze e abilità acquisite dall’attività forma-tiva ai luoghi di lavoro. Nonostante questi dati, non è, ad oggi, del tutto chia-ra la modalità di gestione di queste valutazioni e soprattutto l’affidabilità degli “strumenti informali” utilizzati per i monitoraggi.

La tendenza di questi ultimi anni, anche in seguito alla spinta degli obiet-tivi europei, è rappresentata principalmente da un’enfasi sullo sviluppo di modalità di certificazione formale, ma statica, delle competenze, piuttosto che da un lavoro di consolidamento e standardizzazione delle metodologie di valutazione del passaggio tra la formazione e il luogo di lavoro.

È questa, per centrare ancora l’attenzione sul contesto italiano, la situa-zione descritta da una ricerca promossa da Isvor Fiat nel 2004, e realizzata in collaborazione con venticinque grandi aziende presenti in Italia in diversi settori economici (Vergeat, 2005). Anche in questo caso il focus delle attivi-tà di valutazione risulta sbilanciato verso la percezione di gradimento, seppur ad ampio raggio (utilità, docenti, organizzazione, dinamiche di aula, ambien-ti fisici, ecc.) e su poche verifiche degli apprendimenti, soprattutto per alcu-ne tipologie di contenuti (come corsi di lingue e di informatica) e nelle ini-ziative di e-learning. Alcune aziende inseriscono un giudizio di valutazione

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globale sulla formazione nelle indagini di clima, mentre non sono affatto valutati i ritorni economici della formazione (il cosiddetto ROI, Return of Investment).

Questa breve ricognizione bibliografica tra le principali problematiche inerenti la valutazione della formazione e le sue applicazioni operative, sot-tolinea una necessità pressante. Cioè la riconfigurazione delle attività di training non come realtà chiuse e impermeabili ai fattori esterni, ma come complesse e dinamiche esperienze sociali e organizzative influenzate da nu-merose variabili pre-training e post-training che possono dirigerne il percor-so e determinarne gli esisti. Le persone accedono ai momenti formativi non come delle “lavagne vuote”, ma con un patrimonio di conoscenze e abilità già acquisito nell’esperienza di lavoro e in precedenti programmi formativi. In più, molto spesso, l’attività lavorativa e formativa procedono di pari pas-so, anche per brevi periodi di tempo, ed è facile intuire le reciproche influen-ze e integrazioni, molto spesso “tacite”, tra queste due realtà. Il termine dell’attività formativa coincide con un “ritorno al lavoro”, nel quale la co-stante interazione con i colleghi, i superiori e il personale esperto, gli scambi con i clienti e gli utenti, ma anche l’interazione con supporti tecnologici di vario tipo, comporta costanti processi di apprendimento e di cambiamento (si veda a questo proposito l’approccio di matrice sociologica denominato “practice-based studies”; ad esempio Gherardi, 2006).

Le attività formative istituzionalizzate vengono frequentemente conside-rate come esclusivamente basate sulla teoria, e quindi come processi astratti, generali e formali, spesso difficili, per gli individui in formazione, da utiliz-zare nei contesti di lavoro. Dall’altra parte, gli apprendimenti basati sulle pratiche lavorative, considerati più concreti, specifici e informali, hanno maggiori possibilità di essere applicati immediatamente nel lavoro quotidia-no (si veda a questo proposito l’approccio “Workplace Learning”; ad esem-pio Illeris, 2003). La necessità di una “terza via” tra apprendimenti formali e istituzionalizzati e apprendimenti legati al lavoro è sempre più sentita nella letteratura di settore. Illeris (2004), in base a questa prospettiva, propone un modello interpretativo dedicato alla formazione nei luoghi di lavoro compo-sto da tre dimensioni generali disposte agli estremi di un triangolo: le carat-teristiche individuali (relative al processo di apprendimento), organizzative (in termini di caratteristiche tecniche e sociali del lavoro) e il processo for-mativo (in una visione olistica nella quale la dimensione individuale è conti-nuamente connessa a multipli contesti sociali e lavorativi). I tre vertici del triangolo non sono da intendersi in termini isolati o di contrapposizione reci-proca. La “terza via” si situa proprio nelle continue interconnessioni tra que-ste dimensioni, che vanno a caratterizzare un processo complesso di acquisi-zione delle competenze nelle organizzazioni, che integra, ad esempio, pro-cessi cognitivi e risorse psicosociali, analisi delle persone e partecipazione a

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gruppi di lavoro, struttura degli interventi formativi e clima e cultura orga-nizzativi.

Se il contributo di Alvarez et al. (2004), citato in precedenza, traccia delle precise connessioni tra l’efficacia formativa e il training transfer, il contribu-to di Sonnentag, Niessen e Ohly (2004) può essere altrettanto valido per chiarire i confini tra l’azione organizzativa, in termini di sviluppo delle risor-se umane al suo interno, e l’efficacia formativa. Declinando le attività di training e di sviluppo rispetto al grado di formalità versus informalità dell’attività di apprendimento, Sonnentag e colleghe sottolineano come l’apprendimento non sia semplicemente una diretta conseguenza dell’attività svolta nei luoghi istituzionalmente deputati all’insegnamento, ma una que-stione di continui e complessi rimandi tra la formalità dei contenuti dell’aula e le potenzialità di sviluppo dei luoghi di lavoro. Questo contributo può esse-re, dunque, un’ottimale “road-map”, per i professionisti e per i ricercatori, per evitare facili dicotomie e contrapposizioni.

Il training, secondo questa prospettiva, è rivolto tendenzialmente al qui ed ora del compito, mentre le attività di sviluppo sono concepite in una prospet-tiva di crescita dell’individuo a medio e lungo termine. Le attività formali sono frutto di una precisa proposta progettuale da parte dell’organizzazione, mentre quelle informali hanno spesso origine dalle pratiche quotidiane non pianificate di lavoro e relazione a livello individuale e di gruppo. Nella tab. 1 vengono indicati gli esiti di questi incroci. A questo punto è opportuno chie-dersi quanto dell’efficacia formativa e del relativo transfer sia esclusivamen-te riconducibile all’attività formativa stessa o se ci possano essere degli ef-fetti congiunti provenienti da situazioni non completamente pianificate.

Tabella 1. Incroci tra attività di training e sviluppo in modalità formale e informale. Adattata da Sonnentag, Niessen e Ohly (2004, p. 253). Fonte: Fraccaroli (2007). TRAINING SVILUPPO

FORMALE

1. Partecipazione ad attivi-tà formative (corsi, semi-nari, workshop, ecc.)

3. Programmi di sviluppo di carriera (counselling, mentoring, coaching, rotazione compiti; «feedback a 360 gradi»)

INFORMALE

2. Socializzazione orga-nizzativa e adattamento a nuovi ruoli

4. Apprendimento continuo

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Visto in questa prospettiva, il processo formativo non risulta più un’attività fine a se stessa, limitata nel “semplice” processo di acquisizione di nuove conoscenze e abilità, bensì come un’attività costantemente a contat-to con altri processi di confine, come la socializzazione organizzativa, i pro-grammi di sviluppo di carriera, le attività di mentoring e l’apprendimento continuo che sarebbe utile comprendere nel processo più ampio di valutazio-ne dell’efficacia delle attività formative.

Come sottolineato da Sarchielli (2003), la formazione può essere inter-pretata come uno strumento strategico di gestione delle risorse umane nelle organizzazioni, garantendo non solo una funzione di mantenimento della qualità e quantità delle prestazioni professionali, ma anche e soprattutto sup-portando il processo di socializzazione organizzativa e di motivazione al la-voro. Essa, essendo fortemente condizionata dai vincoli e dalle risorse, dal clima e dalla cultura, dalla struttura e dal sistema sociotecnico dell’organizzazione, può favorire lo sviluppo di abilità e competenze, ma può anche divenire un elemento chiave nello strutturarsi del contratto psico-logico tra lavoratore e organizzazione. Da questo punto di vista, il transfer può essere considerato come uno snodo fondamentale non solo, e non tanto, per un monitoraggio di tipo “econometrico” degli output formativi, ma anche e soprattutto come strumento che, integrando i livelli individuo-gruppo-organizzazione, può rivelarsi un facilitatore dello sviluppo organizzativo.

Il transfer della formazione

Per rispondere alla carenza di una letteratura teorico-empirica di rilievo su questi aspetti fortemente strategici per le organizzazioni, dalla seconda metà degli anni ’80, una serie di studi in ambito statunitense ha cercato di focalizzare l’attenzione sulla gamma dei fattori del processo formativo che influenzano la performance individuale e organizzativa. Questi studi hanno riproposto l’attenzione sul concetto di transfer della formazione, non nuovo nella tradizione degli studi sull’apprendimento nella psicologia di matrice cognitiva, ma con, all’epoca, un basso impatto operativo nell’attività dei pro-fessionisti della formazione impegnati a massimizzare gli effetti positivi del-la formazione nei contesti organizzativi (Baldwin, Ford, 1988).

Il transfer della formazione può essere definito come la misura in cui un soggetto che ha seguito una attività formativa, applica effettivamente le nuo-ve conoscenze, abilità e competenze nel proprio lavoro (Tannenbaum, Yukl, 1992, p. 420).

Come sottolineano Baldwin e Ford (1988), il transfer formativo è qualco-sa di più del semplice prodotto dell’apprendimento stimolato da un pro-gramma formativo. Per realizzarsi pienamente, i comportamenti appresi de-vono essere contestualizzati nel luogo di lavoro e protratti, in una sorta di

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processo di consolidamento, per un certo periodo di tempo nel procedere dell’attività lavorativa successiva ai percorsi di formazione professionale (Broad, Newstrom, 1992). Dal 1988, anno di una prima sistemazione organi-ca della letteratura teorico-empirica su questo tema da parte dei due ricerca-tori americani, si è sviluppata una mole di ricerche consistente che ha portato ad una migliore comprensione dei meccanismi e dei fattori che caratterizza-no ed influenzano il transfer della formazione. Oltre al lavoro di Baldwin e Ford, anche quelli successivi di Ford e Weissbein (1997), e più recentemente di Holton e collaboratori (2000), hanno dato preziose indicazioni a riguardo.

Buona parte della ricerca sul transfer, secondo questi lavori, si è concen-trata sugli elementi di progettazione della formazione, cioè sul “training de-sign” (Warr, Bunce, 1995). Un secondo filone ha focalizzato la propria at-tenzione sui fattori presenti nei contesti organizzativi che influenzano le abi-lità e le opportunità individuali nel processo di transfer (Tracey, Tannen-baum, Kavanaugh, 1995). Una terza corrente ha studiato le differenze indi-viduali che influenzano la natura e il livello del transfer (Gist, Stevens, Ba-vetta, 1991). Recentemente, un quarto filone si è aggiunto ai precedenti, svi-luppando indicatori e strumenti di rilevazione per misurare il transfer e i suoi antecedenti sui luoghi di lavoro (Holton et al., 2000).

In quasi un ventennio di riflessione teorico-empirica, il transfer è stato considerato con differenti accezioni e declinazioni. Mantenendo ferma la rappresentazione “processuale”, che è stata sempre presente, anche nelle raf-figurazioni maggiormente basate sul “trasferimento” di informazioni che sulla “trasformazione” delle stesse nel passaggio tra formazione e lavoro, l’attenzione sul transfer si è principalmente rivolta alla definizione del co-strutto e delle relative dimensioni coinvolte e solo in seconda battuta su a-spetti legati alla misura e alla validazione, anche cross-culturale, di strumenti di misura, e all’applicazione di questi elementi nella realtà organizzativa.

L’impressione recente, espressa da alcuni ricercatori statunitensi, è che un’enfasi eccessiva sulla definizione del costrutto ha allontanato, parados-salmente, la modellizzazione teorica dalla prassi e realtà organizzativa. Con-cordiamo con l’invito di Holton e Baldwin (2003) ad una maggiore propen-sione “action-oriented” della ricerca empirica: “i ricercatori che hanno stu-diato il transfer della formazione non si sono focalizzati sufficientemente sugli interventi per migliorare questo processo nelle organizzazioni […] i tempi sono quindi maturi per strategie di ricerca maggiormente orientate all’azione” (Holton, Baldwin, 2003, p. 3). Questa raccomandazione risulta più pressante se si pensa alle cifre precedentemente esposte sui livelli di transfer “dichiarati” dalle organizzazioni. Sempre Holton, in collaborazione con Chen e Naquin (2003), afferma come questi bassi livelli di transfer non

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dipendano semplicemente dalla carenza di attività di supporto organizzativo, ma anche da un apparentemente semplice problema di misura, che può por-tare a riconoscere delle tracce di transfer quando in effetti non è presente (fermandosi, ad esempio, ad una semplice valutazione degli apprendimenti o del gradimento dei percorsi formativi), oppure a non valutare le effettive ri-cadute dei percorsi formativi “alla prova” dei contesti di lavoro. Ancora Hol-ton, questa volta in collaborazione con Bates e Ruona (Holton et. al., 2000), sostiene come la tendenza all’utilizzo sempre più frequente di scale “perso-nalizzate” in base alle caratteristiche del contesto di ricerca, provochi una serie di problemi per quanto riguarda la generalizzabilità dei risultati, e in seconda battuta sulla bontà delle caratteristiche psicometriche delle scale stesse, che spesso difettano di una validazione dei costrutti ipotizzati. Obiet-tivo del presente lavoro sarà proprio questo focus integrativo tra una maggio-re chiarificazione delle componenti del costrutto evidenziate dalla letteratura, e delle relative misure che solo recentemente hanno iniziato un processo si-stematico di validazione.

Modelli di transfer della formazione

Il modello di Baldwin e Ford

Secondo Lim e Morris (2006), la tradizione di ricerca in questo ambito si è consolidata maggiormente sulla definizione del costrutto e su una precisa modellizzazione, più che in riferimento a teorie generali sul transfer. Kirwan e Birchall (2006) forniscono una lista dei modelli più noti di training transfer presenti in letteratura, con le caratteristiche principali di ogni model-lo e i punti di forza e di debolezza di ciascuno, così come riportato nella tab. 2. Come si può notare dalla tabella, uno dei modelli più noti in letteratura è quello proposto dai già citati Baldwin e Ford nel 1988. In seguito ad una comprensiva analisi della letteratura all’epoca disponibile, i due ricercatori americani hanno sviluppato un costrutto di transfer della formazione compo-sto dalle seguenti dimensioni principali.

a) Caratteristiche del soggetto in formazione (trainee characteristics), come tratti di personalità, abilità pregresse, livello di trainability, fattori motiva-zionali. Secondo Baldwin e Ford (1998), sono proprio i fattori motivazionali, tra quelli individuali, a dare origine agli effetti positivi più consistenti nel processo di transfer. Kozlowski e Salas (1997) includono tra i principali fat-tori motivazionali presenti in letteratura la trainee confidence (Ryman, Bier-sner, 1975), il job involvement (Rouiller, Goldstein 1993), le self-expectancies (Cannon-Bowers, Salas, Converse, 1990) e la self-efficacy (Bandura, 1994).

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b) Caratteristiche della progettazione formativa (training design), come i principi dell’apprendimento utilizzati per la struttura didattica del program-ma formativo, la sue sequenza e i contenuti. Da questo punto di vista, un a-spetto importante sottolineato da Kozlowski e Salas (1997) è l’integrazione tra caratteristiche nella struttura della formazione individuale e di quella di gruppo, in un’ottica multilivello, nella quale lo sviluppo individuale influisce sullo sviluppo di gruppo e viceversa (Salas, Dickinson, Converse, Tannen-baum, 1993). Tabella 2. Modelli di training transfer (adattata da Kirwan e Birchall, 2006).

Modello Caratteristiche principali Punti di forza Punti di debolezza

Baldwin e Ford (1988)

Panoramica sulle caratteristiche del transfer

Chiarezza

Molto generale; rife-rimenti poco specifici sulle interazioni tra le dimensioni

Broad e Newstrom (1992)

Identifica il contribu-to del formando, del trainer e del supervi-sore nel processo di transfer

Focus su aspetti applicativi

Concentra poche spiegazioni sul pro-cesso di transfer

Kozlowski e Salas (1997)

Indica gli effetti del transfer a livello in-dividuale, di gruppo e organizzativo

Riconosce la com-plessità del transfer e le relazioni tra differenti livelli

Manca un approfon-dimento sui fattori legati al tranfer

Machin (2000)

Indica gli effetti del transfer su differenti livelli e collega gli esiti del tranfer con gli esiti della forma-zione

Integra un approc-cio multi-livello e indica relazioni tra input e output del modello

Sviluppato per conte-sti molto specifici (gruppi di lavoro nell’aviazione)

Thayer e Teachout (1995)

Include una serie di fattori discussi in letteratura

Individua i fattori a livello organizzati-vo che influenzano i risultati a livello individuale

Nessuna indicazione sulla consistenza dei fattori e/o delle inte-razioni tra essi

Colquitt et al. (2000)

Una meta-analisi dei principali fattori le-gati al formando pre-senti in letteratura

Identifica interazio-ni tra i fattori che influenzano il transfer; copertura ottimale dei fattori riferiti al formando

Non include fattori legati al training de-sign

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c) Variabili di contesto riferite all’ambiente di lavoro (work environment), come un clima organizzativo supportivo, particolari stili di comunicazione con i supervisori, possibilità e opportunità nell’utilizzo delle conoscenze e delle abilità durante il lavoro, definizione di obiettivi post-training e presen-za di feedback. La dimensione legata alle caratteristiche sociali supportive dei luoghi di lavoro è quella che sta riscuotendo maggiore interesse nei re-centi sviluppi della letteratura sul transfer, soprattutto nella chiarificazione del concetto di transfer climate (Tracey, Tannenbaum, Kavanagh, 1992), nelle potenzialità del supporto dei supervisori (van der Klink, Gielen, Nauta, 2001) e dei colleghi di lavoro (Russ-Eft, 2002), nella disponibilità di un mentore e nella percezione positiva dei propri risultati (Holton, 1996).

Questo modello, come evidenziato in fig. 1, intende spiegare il processo

di transfer attraverso 3 fasi: (1) input del processo formativo; (2) output del processo formativo; (3) condizioni del transfer. La fase di input del processo formativo include il design del programma formativo, le caratteristiche del soggetto in formazione e le caratteristiche del contesto organizzativo. Gli esiti della formazione si riferiscono all’apprendimento derivante dalla parte-cipazione più o meno attiva ad un programma formativo, e alla ritenzione dello stesso apprendimento al termine del completamento del programma di formazione. Nelle condizioni del transfer le dimensioni che influenzano il processo sono comprese nella generalizzazione dell’apprendimento nel con-testo di lavoro e nel mantenimento del materiale appreso per un certo perio-do di tempo, sempre in una situazione on the job.

Figura 1. Modello del transfer della formazione proposto da Baldwin e Ford (1988).

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Questo insieme di differenti input è considerato come principale influen-za nell’apprendimento e nella ritenzione, che a loro volta influenzano diret-tamente la generalizzazione e il mantenimento. Le caratteristiche del for-mando e del contesto di lavoro influenzano la generalizzazione e il mante-nimento, anche al di fuori di qualsiasi influenza dall’attività formativa di per se stessa. Sono proprio le implicazioni delle relazioni tra questi fattori ad aver diretto l’attenzione dei ricercatori, secondo Kozlowski e Salas (1997), verso una concettualizzazione del transfer più sistemica e dinamica.

Il modello di Holton e collaboratori Un modello più recente è quello proposto da Holton e collaboratori

(2000), sviluppato per indirizzare il focus della ricerca in questo ambito oltre una semplice fase descrittiva delle caratteristiche del costrutto del transfer, cioè per investigare come questi fattori possano essere effettivamente gestiti e modificati (Holton, Baldwin, 2003). Un aspetto rilevante, nella concettua-lizzazione di Holton e dei suoi collaboratori, è un esplicito riferimento a quello che loro definiscono transfer system, cioè l’insieme dei fattori indivi-duali, del programma formativo e dell’organizzazione che influenzano il transfer sui luoghi di lavoro (Holton et al., 2000).

Questo modello, marcatamente action-oriented, è basato su un frame-work teorico precedentemente sviluppato da Holton sulla valutazione dello sviluppo delle risorse umane nelle organizzazioni (Human Resources Deve-lopment Research and Evaluation Model, Holton, 1996). La struttura genera-le di questo modello prevede che gli esiti di un processo formativo siano strettamente legati alle capacità degli individui, al livello motivazionale e alle influenze del contesto organizzativo. Queste tre dimensioni sono consi-derate su tre livelli: l’apprendimento, la performance individuale e la per-formance organizzativa. Una dimensione ulteriore, definita dagli autori come “influenze secondarie”, rappresentate da caratteristiche di auto-efficacia per-cepita e dalla “prontezza” percepita dal soggetto nell’intraprendere il percor-so formativo, è considerata come direttamente correlata al livello motivazio-nale. La fig. 2 riassume le caratteristiche principali del modello.

Dimensione “Capacità”

Partendo dalla parte bassa dello schema, la dimensione “capacità” rac-

chiude l’insieme delle opportunità nell’utilizzo di capacità personali nel transfer, la validità di contenuto del processo formativo e la relativa utilità

IL TRANSFER DALLA FORMAZIONE AL LAVORO: MODELLI TEORICI E MISURAZIONE 19

percepita dal soggetto, il design proposto per il transfer e la possibilità di mettere in pratica successivamente gli apprendimenti sul luogo di lavoro.

Per quanto riguarda la possibilità di utilizzo degli apprendimenti, una se-rie di ricerche hanno suggerito come il livello di opportunità messe a dispo-sizione dall’organizzazione agli individui, per l’utilizzo dei nuovi apprendi-menti sul lavoro, può influenzare il transfer (Baldwin, Ford 1988). Alcune ricerche hanno dimostrato la presenza di differenze sistematiche nella tipo-logia di queste opportunità, e che caratteristiche individuali e contesto di la-voro sono connessi a tali differenze (Ford, Quiñones, Sego, Sorra, 1992). Per semplificare, generalmente le opportunità messe a disposizione degli indivi-dui variano in maniera considerevole da organizzazione a organizzazione, ma una situazione “supportiva” per il transfer è quella in cui le opportunità sono “tarate” sulle caratteristiche del percorso formativo appena concluso, sulle caratteristiche individuali e sul contesto di lavoro. Un esempio di Hol-ton et al. (2000) descrive in maniera ottimale questa mancanza di opportuni-tà: “un contabile, al rientro da un percorso di aggiornamento per un nuovo sistema gestionale, confida ai suoi colleghi che il nuovo sistema non funzio-nerà all’interno della loro cultura organizzativa” (Holton et al., 2000, p. 333).

Una variante di questo esempio può essere una situazione in cui, una vol-ta concluso il percorso di formazione sul nuovo sistema, il nuovo sistema non venga effettivamente utilizzato a supporto dell’attività organizzativa, ma venga preferito il precedente, perché percepito come più vicino alla cultura organizzativa da parte dei lavoratori. Un altro aspetto di rilievo è la perce-zione di utilità dei contenuti, da parte dei formandi, del percorso formativo proposto, cioè il fatto che ci sia una precisa corrispondenza tra i contenuti e le richieste del lavoro. Molti studi hanno ipotizzato questo legame (Baldwin, Ford 1988), ma minori sono state le ricerche empiriche a proposito. Ad e-sempio gli studi sugli aspetti motivazionali della formazione hanno indicato come la motivazione sia strettamente legata alla percezione di utilità da parte dei partecipanti, cioè che la formazione sia in grado di migliorare la qualità della performance lavorativa o che possa consentire futuri avanzamenti di carriera (Facteau, Dobbins, Russell, Ladd, Kudisch, 1995).

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Figura 2. Modello di transfer della formazione proposto da Holton et al. (2000).

Come fa notare Holton (2003), queste caratteristiche possono rivelarsi, in alcuni casi negativi, un ostacolo sul lavoro o durante il processo formativo. Due fattori principali, secondo Holton, possono influire negativamente sulla capacità di utilizzo degli apprendimenti: la carenza di opportunità fornite dall’organizzazione nel mettere in pratica gli apprendimenti on the job e la carenza di una capacità personale, riferita principalmente ai processi cogniti-vi, come supporto allo stesso processo. Su questo ultimo punto, Ford, Smith, Weissbein, Gully e Salas (1998) indicano come siano principalmente le stra-tegie di apprendimento e l’attività metacognitiva a influire sull’acquisizione di nuova conoscenza e sulla qualità della relativa competenza esperta sui luoghi di lavoro.

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Dimensione “Contesto”

Il raggruppamento dei fattori di contesto (che sostanzialmente è rappre-sentato dalle caratteristiche sociali e organizzative dell’ambiente di lavoro) è caratterizzato da un coaching a supporto della performance, da un supporto dei supervisori, dalle sanzioni dei supervisori, dal supporto tra pari, dalla resistenza o apertura al cambiamento e dai risultati personali positivi e nega-tivi.

Il supporto è considerato da molti autori come lo snodo principale per l’utilizzo degli apprendimenti nei luoghi di lavoro (Rouiller, Goldstein 1993). Il concetto non è nuovo nella letteratura sulla formazione, ma più re-centemente Pea (1987) ha sostenuto un concetto interessante, la “cultura del transfer”, riferito al supporto per l’apprendimento da parte dei supervisori e dei pari, essenziale per integrare lo sviluppo individuale supportato dalla formazione, con i cambiamenti nell’intero sistema organizzativo.

L’evidenza empirica in questo ambito ha dimostrato come tali fattori pos-sano rivelarsi delle vere e proprie barriere, nei casi negativi, nel mettere in pratica gli apprendimenti sul luogo di lavoro (Mathieu, Tannenbaum, Salas, 1992). Tre tipologie di fattori sono centrati nella relazione tra lavoratori e supervisori: il feedback e il coaching a supporto di un buon utilizzo degli apprendimenti, il supporto socio-emotivo nell’utilizzo degli apprendimenti e il livello di “limitazione” che i supervisori mettono in atto nell’utilizzo di nuova conoscenza e expertise da parte dei lavoratori. Due fattori si riferisco-no al gruppo di lavoro: il supporto tra pari nell’introduzione di nuovi ap-procci e il grado in cui le norme di gruppo sono aperte ai cambiamenti. Due fattori, infine, sono ricondotti al sistema di ricompense posto in essere dall’organizzazione e riguardano la percezione di positività o negatività dei risultati ottenuti da parte degli individui.

Dimensione “Motivazione”

Il raggruppamento dei fattori motivazionali riguarda la motivazione al transfer, lo sforzo nel transfer, le aspettative sulla performance e le aspetta-tive sui risultati. In questo modello la motivazione ha due componenti prin-cipali: una è riferita al grado in cui i lavoratori confidano nel cambiamento sollecitato dal loro impegno, e la seconda crea uno stretto legame tra l’ottenimento di risultati più significativi e il cambiamento nella performance (Facteau et al., 1995).

Un aspetto interessante nella dimensione motivazionale è rappresentato dal ruolo giocato dalla motivazione pre-training (Mathieu et al, 1992). La motivazione pre-training viene considerata come strettamente legata alla qualità dell’apprendimento sviluppato durante il percorso formativo, e so-

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prattutto alla qualità della performance successiva alla formazione, nei luo-ghi di lavoro (ibidem, 1992). Nello specifico, i formandi che percepiscono la formazione come rilevante manifestano un alto livello di trasferimento im-mediato delle conoscenze e delle abilità sui luoghi di lavoro (Axtell, Maitlis, Yearta, 1997).

Dimensione “Influenze Secondarie”

Il raggruppamento di fattori “influenze secondarie” include due fattori che influenzano la motivazione: la “prontezza” degli individui in formazio-ne, che è legata al bisogno, da parte dell’organizzazione, di preparare al me-glio gli individui per una maggiore significatività dell’esperienza formativa (Warr, Bunce, 1995); l’auto-efficacia percepita dagli individui sulla perfor-mance, o la loro convinzione di poter utilizzare gli apprendimenti per cam-biare il proprio livello di performance.

Come si può notare, si tratta di un modello più sofisticato del precedente, nelle intenzioni onnicomprensivo, visto che cerca di prendere in considera-zione i complessi rapporti tra fattori personali (the learners), caratteristiche della formazione (the learning event) e dell’organizzazione (the organizatio-nal context) che influenzano il transfer. Lo stesso Holton, già dalle prime formulazioni del suo modello (Holton, 1996), ammetteva come il modello descrivesse una singola sequenza delle influenze sugli esiti del transfer in un’unica esperienza formativa, senza indicare meccanismi di feedback che potessero influenzare una sequenza successiva. Come fanno notare Kirwan e Birchall (2006), questo punto potrebbe essere una delle direzioni di sviluppo e di potenziamento delle euristiche del modello. Un altro aspetto poco evi-denziato nel modello, e in genere nella maggior parte dei modelli presenti in letteratura (e sicuramente tra quelli presentati in tab. 2), è caratterizzato dalla mancanza di specifiche sui rapporti e le interazioni tra fattori facenti parte della stessa dimensione, come ad esempio i fattori della dimensione “conte-sto” (Kirwan, Birchall, 2006).

Una caratteristica interessante del modello, sottolineata da Holton e Bal-dwin (2003), è il riferimento più complesso alla nozione di soggetto in for-mazione: in questo concetto vengono compresi individui singoli e gruppi in una sorta di processo circolare, nel quale il formando è sia una fattore di in-put in un determinato tempo 1, all’inizio del processo formativo, apportando le proprie caratteristiche individuali o di gruppo, ma è anche un’unità del modello che può essere configurata in base alla dinamica del modello stesso. Questo modellamento avviene principalmente attraverso attività di supporto, dai supervisori o dai pari, a livello individuale, di gruppo e organizzativo,

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che hanno come obiettivo principale il mantenimento nel tempo degli effetti del processo di transfer. Per concludere, questo modello è uno dei pochi pre-senti in letteratura che ha un focus specifico sulla motivazione al transfer e, soprattutto, sui fattori legati al design del transfer.

Il Learning Transfer System Inventory (LTSI)

Accanto ad una funzione prettamente descrittiva del modello preceden-temente esposto, gli autori ne sottolineano principalmente un’altra, quella diagnostica (Holton, 2003), concretizzata nel relativo strumento, il Learning Transfer System Inventory (LTSI), sviluppato da Holton e dai suoi collabora-tori a partire dalla seconda metà degli anni ’90 (Holton, 1996; Holton et al., 2000). Questo strumento deriva da una serie di ricerche esplorative che han-no portato ad una prima versione dello strumento basata su un precedente lavoro di Rouiller e Goldstein (1993). La “versione due” della scala (Holton et al., 2000), che presentiamo in questo lavoro, e le cui dimensioni principali sono già state introdotte nella sezione dedicata al modello da cui è stato trat-to, è uno strumento diagnostico utile sia per la ricerca empirica che per atti-vità di intervento organizzativo. L’attuale processo di validazione, in diverse realtà culturali come quella francofona (Devos, Dumay, Bonami, Bates, Hol-ton, 2006), taiwanese (Chen, Holton, Bates, 2005), tailandese (Yamnill, McLean, 2005) e giordana (Samer, Zarqa, Bates, Holton, 2006), l’utilizzo sempre più diffuso nell’ambito organizzativo statunitense, ne fanno uno strumento utile e affidabile per tracciare con precisione le principali caratte-ristiche del transfer formativo nei contesti lavorativi, e per verificare l’efficacia delle azioni formative proposte dall’organizzazione (Holton, 2003).

Attualmente non è nota una versione italiana dello strumento, o quanto-meno non è stata rilevata alcuna pubblicazione con questo obiettivo da parte di autori italiani nelle principali banche dati di area psicologica, come PsycINFO e PsycARTICLES. Il presente lavoro si situa, dunque, all’interno di un percorso di futura traduzione e di successiva validazione dell’inventario dalla lingua inglese e dal contesto statunitense alla lingua e contesto italiani.

Lo strumento di misura è composto da sedici fattori principali, di cui un-dici specifici (nei quali viene chiesto ai soggetti di pensare allo specifico programma formativo che hanno appena concluso) e cinque generali (nei quali viene invece chiesto di pensare in generale alla formazione nella loro organizzazione di appartenenza). La versione a sedici fattori deriva da un’analisi fattoriale su una popolazione di 1616 individui provenienti da un’ampia gamma di contesti organizzativi e di programmi formativi.

I fattori definiti come specifici compresi nel questionario sono:

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- la percezione di prontezza del soggetto prima dell’attività formativa, cioè il livello di preparazione percepita dagli individui per la partecipazione ad un percorso formativo; - la motivazione al transfer, definita come la direzione, l’intensità e la per-sistenza dell’impegno nell’utilizzo, nel contesto lavorativo, di abilità e cono-scenze apprese nella formazione; - i risultati personali positivi, cioè gli esiti positivi sul lavoro derivanti dall’attività formativa; - i risultati personali negativi, cioè il grado in cui gli individui percepisco-no che una mancata applicazione delle abilità e conoscenze apprese in for-mazione porterà a dei risultati negativi; - le capacità personali per il transfer, definite come l’intensità di tempo, energia e spazio mentale che gli individui possono dedicare per supportare il trasferimento degli apprendimenti dalla formazione al lavoro; - il supporto tra pari, cioè il livello di supporto agli individui attraverso cui i pari rinforzano l’uso degli apprendimenti al lavoro; - il supporto dei supervisori, cioè il livello di supporto agli individui attra-verso cui i superiori rinforzano l’uso degli apprendimento al lavoro; - le sanzioni dei supervisori, definite come l’intensità della percezione delle risposte negative dei supervisori nel momento di applicazione degli appren-dimenti al lavoro; - la validità di contenuto percepita, definita come l’intensità con la quale i soggetti giudicano il contenuto della formazione come rispondente in modo adeguato alle loro necessità formative e lavorative; - il transfer design, cioè la percezione, da parte degli individui, di un’ottimale progettazione della formazione a supporto di successivi trasfe-rimenti degli apprendimento al lavoro; - le opportunità di utilizzo, cioè l’intensità con la quale i soggetti sono do-tati di, o ottengono successivamente, risorse per utilizzare gli esiti della for-mazione nelle situazioni di lavoro. I fattori generali sono: - le aspettative nell’impegno alla performance nel transfer, definite come le aspettative sui cambiamenti derivanti da uno sforzo dell’individuo nel tra-sferimento degli apprendimenti; - le aspettative nella performance per i risultati, cioè le aspettative rivolte ai cambiamenti nella performance di lavoro che consentiranno di valutare i risultati individuali al lavoro; - la resistenza o l’apertura al cambiamento, cioè il grado in cui le norme di gruppo prevalenti sono percepite dagli individui come incoraggianti o ini-benti l’uso degli apprendimenti nei luoghi di lavoro;

IL TRANSFER DALLA FORMAZIONE AL LAVORO: MODELLI TEORICI E MISURAZIONE 25

- l’autoefficacia nella performance, definita come una credenza generale dell’individuo rivolta alle sue capacità nell’influire sul livello della sua per-formance nel lavoro; - la performance nel coaching, cioè gli indicatori formali e informali dell’organizzazione riferiti ad una performance di lavoro individuale.

Complessivamente gli item sono 68 e sono strutturati attraverso una scala likert a 5 punti (da completamente in disaccordo a completamente d’accordo) per l’attribuzione dei punteggi.

Conclusioni

In questa rassegna essenziale si è cercato di indicare le principali linee te-orico-empiriche sul costrutto di transfer della formazione. Cheng e Ho, in una rassegna del 2001, si propongono di fornire una sorta di mappa in grado di dare delle indicazioni per la futura ricerca in questo ambito. Le indicazioni riguardano principalmente le variabili su cui basare la ricerca e l’applicazione operativa futura sui luoghi di lavoro, e cioè le variabili indivi-duali (soprattutto per quanto riguarda caratteristiche di personalità e espe-rienze pregresse), i fattori motivazionali e riferiti al contesto organizzativo, in termini principalmente di clima supportivo e di cultura dell’apprendimento continuo.

I due autori, da un punto di vista metodologico, propongono un processo di differenziazione per quanto riguarda i campioni utilizzati nelle ricerche (lavoratori vs studenti, ad esempio) e le differenti tipologie di programmi formativi (la formazione cosiddetta superiore, che si focalizza principalmen-te su aspetti creativi e riflessivi, rispetto a quella centrata sull’apprendimento di compiti precisi, manuali e ripetitivi). Holton et al. (2000) riprendono que-ste indicazioni, e si spingono oltre nel proporre la necessità di strumenti di misurazione validati e potenzialmente generalizzabili su più livelli di etero-geneità (tipologia formativa, caratteristiche dei soggetti in formazione, carat-teristiche e tipologie organizzative, per citare le principali). Nello spostare l’attenzione dal chiedersi se la formazione ha degli effetti al perché ha una certa tipologia di effetti (Tannenbaum, Yukl, 1992), Holton et al. (2000), stanno portando avanti un processo sistematico di validazione del loro stru-mento standardizzato (il Learning Transfer System Inventory, LTSI) in con-testi culturali differenti, comprendendo, oltre agli Stati Uniti, anche campio-ni provenienti da organizzazioni del medio oriente e di paesi asiatici, contesti in cui lo stesso concetto di sviluppo delle risorse umane appare come una conquista recente (Chen, Holton, Bates, 2005).

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Figura 3. Modello multilivello per l’implementazione della formazione e del transfer (adattato da Kozlowski e Salas, 1997, p. 264).

Un’ulteriore indicazione, proveniente da Kozlowski e Salas (1997), è di

tipo organizzativo. Essi propongono una piena integrazione della ricerca sul transfer con la teoria organizzativa, per arrivare ad un livello più sofisticato di produzione teorica, fino ad ora mancante, che prenda in considerazione le interazioni multilivello dei differenti fattori implicati nel processo. Il model-lo da loro proposto parte dal livello individuale per arrivare al livello orga-nizzativo, passando per il livello di gruppo, attraverso dei continui confronti di “congruenza” tra i differenti livelli, per garantirne un’omogeneità ottima-le. Ciascun livello è caratterizzato da un lato da fattori che i due autori defi-

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niscono tecno-strutturali, cioè legati alla struttura tecnologica “incorporata” in ogni livello (la conoscenza tecnica del livello individuale, la struttura del compito a livello di gruppo e l’apparato tecnologico a livello organizzativo), e dall’altro da cosiddetti fattori “scatenanti il processo” (la conoscenza dei processi sociali a livello individuale, il lavoro di gruppo e la leadership a livello di gruppo e la cultura organizzativa e il clima a livello organizzativo). In quest’ottica, il transfer viene considerato come un fattore mediatore che facilita la congruenza all’interno di ciascun livello, il passaggio di contenuto dal livello individuale a quello organizzativo e la “congruenza di ritorno”, dal livello organizzativo al livello individuale. L’enfasi non è più, dunque, quella tradizionale che vedeva il transfer come il risultato dell’unione oriz-zontale tra contesto formativo e contesto lavorativo. Si tratta, in questo caso, non di un fine, ma di un mezzo per lo sviluppo del sistema organizzativo, come mostrato in fig. 3.

In base a queste considerazioni, la nostra concezione del transfer della formazione non può e non deve essere vista come una modalità econometri-ca di verifica del rendimento della formazione e la sua successiva trasforma-zione lineare in produttività o innovazione. Il rischio principale di questa visione meccanicistica è, infatti, di considerare valida o positivamente valu-tata solo la formazione professionale che trova applicazione diretta nell’esperienza di lavoro, considerando le organizzazioni come delle entità iper-razionali in grado di governare il processo formativo e lo sviluppo delle persone in ogni suo aspetto. Sappiamo invece che vi è formazione che va nella direzione dello sviluppo della persona e che può avere delle ricadute a più lungo termine sulla produttività. Il già citato contributo di Sonnentag e colleghe (2004), integrando aspetti formali e informali di attività di forma-zione e di sviluppo nelle organizzazioni, descrive in modo ottimale questi aspetti con un riferimento alla serendipità, cioè all’insieme di tutte le prati-che di interazione e di apprendimento spesso non previste, non formalizzate, ma allo stesso tempo significative dal punto di vista dello sviluppo della co-noscenza. Il nostro proposito non è pertanto quello di inseguire una visione lineare utilitaristica che prenda in considerazione solo gli aspetti formali rife-riti al design e all’implementazione della formazione. L’aspetto che noi rite-niamo interessante nella nostra proposta è legato alla scoperta della “dimen-sione nascosta” dell’efficacia formativa, che non è semplicemente legata agli apprendimenti individuali, ma si configura in un rapporto dinamico tra svi-luppo individuale, di gruppo e organizzativo. Il transfer può essere, dunque, un modo interessante per riesaminare alcune tematiche di rilievo nello studio della formazione nelle organizzazioni, come la relazione tra formazione e apprendimento, il significato dell’apprendimento sui luoghi di lavoro e so-prattutto le modalità attraverso le quali le competenze individuali vengono integrate nel comportamento organizzativo (Fraccaroli, 2007).

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Abstract

The learning transfer from training to workplace: theory-driven models and a quantitative measure.

The transfer of training is one of the most undervalued topics in the field of Vocational Training Psychology and even in the everyday organizational life. Our article is com-pletely based on the U.S. research tradition on this matter, the only which has produced a huge amount of studies on transfer constructs and their application in organizational

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contexts. We will discuss a set of the main models created and tested in twenty years of psychology-based research and the first, and the only one at the moment, cross-culturally va-lidated quantitative measure of training transfer, the Lear-ning Transfer System Inventory (LTSI). A discussion on the organizational issues, related to the link between training and workplace learning will be the closing part of our paper.

Résumé

Le Transfert de la formation au travail: modèles théori-ques et une mesure quantitative

Dans le domaine de la recherche et des pratiques de tra-vail de la Psychologie de la Formation, le sujet du transfer de la formation a vécu une constante sous-estimation pendant les décennies dernières. Cette contribution s’inscrit à l’intérieur de la tradition de recherche américaine, qui a produit de nombreuses études sur les dimensions impliquées dans le processus du transfer et sur leur application à la ré-alité des contextes de travail. Notamment, on prendra en considération les principaux modèles théoriques développés en ce domain et le seul instrument actuellement validé dans une perspective cross culturelle, le Learning Transfer System Inventory (LTSI). La dernière partie de l’article est consa-crée aux implications organisationnelles, liées au rapport en-tre la formation et l’apprentissage sur les lieux de travail.

Parole chiave-Keywords Transfer della formazione; efficacia della formazione; valutazione della formazione; apprendimento sul lavoro; sviluppo organizzativo. Training transfer; training effectiveness; training evaluation; workplace learning; organizational development.

Ricevuto: settembre 2007 Revisione ricevuta: novembre 2007

Per comunicazioni: Francesco Pisanu, tel. +393498180464, [email protected].