Provincia Latina n.1

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Periodico della Provincia di Latina

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PROVINCIA LATINAPeriodico della Provincia di Latina | Anno I n° 1 - I Trimestre 2007

Registro Stampa n°848 del 18/02/2006 Trib. Ord. LatinaTiratura 200.000 copie

Direttore Armando CusaniDirettore Responsabile Everardo Longarini

Direzione e Redazione Via Costa,1 04100 LatinaTel 0773.401.231 Fax 0773.401.251Sito Internet www.provincia.latina.it

Stampa Global Stampa SRL Via Angelo della Pergola 00100 RomaCopertina Cerimonia di conferimento della Medaglia d’Oro al

Merito Civile al Gonfalone della Provincia di LatinaFoto: Quirinale, Imperial War Museum - Londra,

Archivio fotografico Pier Giacomo Sottoriva, Archivio fotografico Mauro Lottici

E’ consentita la riproduzione dei testi purchè ne sia citata la fonte3

Anno I n° 1

SOMMARIO

4 IL SIMBOLO DELL’UNITA’

56TRIBUTO A MARIAE ALLE ALTRE6 LE TAPPE DELLA MEDAGLIA

59VITE DISPERSE9 UN RICONOSCIMENTOSIGNIFICATIVO PER TUTTI

65IL RITORNO DELLA MALARIA13 L’AQUILA NELLA LEGGENDA

72IL VIAGGIO IN PROVINCIA DILATINA DI DE NICOLA NEL ‘4720 UN FISCHIO, UNA BOMBA,

UN EROE

79SESSANT’ANNI DI LIBERTA’23 IL “SANTO” DAL CAPPELLOPIUMATO

27 LA BANCARELLA DEI LIBRIDELLA MEMORIA

29 L’URLO E IL SILENZIO DELLA «PICCOLA CASSINO»

51BOTTINO DI GUERRA

35 IL FRONTE DEL NORD

47 LA GUERRANEI CENTRI LEPINI

Progetto e Coordinamento EditorialeDOMENICO TIBALDI

EditingCLAUDIA PAOLETTI

Progetto GraficoFABRIZIO CARDINALE

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Medaglia d’Oro Anno I n° 1

di ARMANDO CUSANI*

ochi mesi fa, al Quirinale, il Presidente della

Repubblica ha decorato il Gonfalone della Provincia

di Latina della Medaglia d’Oro al Merito Civile. E’ un

risultato molto importante e di grande portata per simboli e

valori che esso porta con sé. Ne sono orgoglioso non tanto

per la mia persona o per il ruolo che umilmente ricopro, ma

per le generazioni passate e presenti di una provincia nata

da una volontà imperiosa e totalizzante e, per il tragico

inganno di una vittoria rivelatasi presto impossibile, costretta

a subire, ad appena nove anni dalla sua istituzione, le

tragiche conseguenze (migliaia di morti, abitazioni distrutte,

miseria, fame, malattie e stupri) della guerra. Dopo Littoria, i

cittadini dei 33 Comuni della provincia di Latina hanno

ricostruito paesi e vite, laboriosi e con lo sguardo proteso al

futuro hanno prestato braccia e intelligenze perché questo

territorio potesse rinascere in democrazia ed essere

destinatario di sviluppo sociale, economico e culturale.

Idealmente, un frammento di questa nostra medaglia

appartiene a ciascuno di loro. E viene tramandata nei suoi

significati ai giovani di oggi che, mi si perdoni la franchezza,

poco consapevoli appaiono di ciò che è costato, nella carne

e nell’anima, quanto attualmente essi hanno, ma, per quel

che accade nel mondo, potrebbero perdere se la ragione e il

rispetto delle altrui identità si perdessero nuovamente in una

nuova tragedia planetaria.

Sono grato alla Giunta e al Consiglio per aver condiviso

questo impegno. Sono, tuttavia, convinto, che il

conseguimento di un obiettivo così rilevante sia solo una

tappa di un percorso più ampio che nei miei pensieri aspira

ad entrare nelle case dei cittadini e nelle scuole perché padri

e madri, insegnanti e studenti siano dal basso i protagonisti

dell’affermazione di due grandi valori – culturali ed etici ad

un tempo – che colgo nella Medaglia d’Oro al Gonfalone

della Provincia e propongo a tutti: l’Unità della popolazione

dinanzi ai nefasti eventi di più di sessant’anni fa come base

dalla quale partire per affermare e consolidare l’Unità

presente e futura del territorio e della comunità che su di

esso vive e lavora; la riscoperta della Memoria come la più

fedele alleata della Pace e dell’uguaglianza tra gli uomini.

Viene così naturale affidare l’esordio di “Provincia Latina” ad

un numero monografico, sicuramente particolare e

comunque non esaustivo della materia che fa da sfondo

all’alta onorificenza, per portare la Medaglia d’Oro nelle

case dei cittadini con i significati che sento di attribuire ad

essa con il programma di iniziative che l’ente sta portando

avanti nei luoghi-simbolo di quei terribili mesi (ottobre-

novembre 1943 - maggio-giugno 1944) di storia

contemporanea; con articoli di approfondimento sui

personaggi che, protagonisti di gesta d’impronta

deamicisiana, possono essere motivo di riflessione per i

giovani in un momento in cui la società della comunicazione

veloce, tempesta loro di messaggi non sempre sani o modelli

comportamentali talvolta distorti; con “pezzi” attraverso i

IL SIMBOLO DELL’UNITA’

P

IL SIMBOLO DELL’UNITA’

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Medaglia d’OroAnno I n° 1

quali si tenta di offrire un quadro di ciò che avvenne in quei

giorni fino al viaggio del primo Capo dello Stato, Enrico De

Nicola, tra le macerie di paesi e cittadini desiderosi di

ricominciare. C’è molto di inedito nelle pagine che seguono

ed apprezzo lo sforzo di ricerca di ciascun autore. E, ancora,

spero che questo numero speciale del periodico possa

entrare nelle case e nelle classi insieme ai libri della collana

“Per non dimenticare” che la Provincia sta promuovendo

insieme alla “Herald Editore” di Roma, suscitare riflessione,

discussione e approfondimenti ulteriori, contribuire a

maturare e radicare l’orgoglio di essere cittadini della

Provincia di Latina con questa sua Medaglia d’Oro, calando

esso in un impegno – rinnovato, costante, profondo - per

migliorare, nella vita d’ogni giorno, lo spaccato di società

italiana della quale facciamo parte e per aiutare a

progredire il territorio sul quale viviamo da 70 anni,

accorciando il divario tra le diverse velocità delle aree (costa,

collina, pianura) e le distanze che ancor oggi si vivono tra

nord e sud ma che non possono essere motivo per

avventurarsi in progetti per l’istituzione di nuove province, tra

l’altro di frontiera.

Da questo sforzo complessivo trarrà alimento, inoltre, la

Memoria, segnando, in modo mi auguro non rituale o

retorico, l’impegno di una Istituzione sovracomunale che nel

ricordo di fatti ed eventi di 60 anni fa, desidera rinvigorire lo

sforzo pacificatorio di cui si avverte impellente il bisogno nel

nostro Paese. George Santayana ha scritto che chi non ha

memoria del passato è destinato a riviverlo. Niente di più

attuale e di vero. Le pagine di questo numero vogliono essere

come un piccolo soffio per alimentare la fiaccola della Pace,

perché tedofori convinti e partecipi ne conducano la fiamma

benefica e piena di speranza nei lidi più lontani dove ancora

l’uomo uccide i suoi simili nel contesto di guerre

sbrigativamente catalogate come “conflitti regionali”.

Infine, su altro piano, questo numero di “Provincia Latina”

anticipa il “taglio” che il periodico seguirà nei numeri futuri.

In un contesto in cui cinque quotidiani e varie emittenti

radiotelevisive danno egregiamente conto dei fatti d’ogni

giorno, questo periodico può coprire uno spazio diverso e

dar conto compiutamente dei problemi che un ente

complesso come il nostro affronta nel medio e lungo

periodo e delle soluzioni che esso ricerca nell’interesse dei

cittadini. “Provincia Latina”, tenterà attraverso

l’approfondimento tematico ed una impronta

rigorosamente istituzionale, con semplicità e senza enfasi,

lo sforzo di un Ente verso un nuovo progresso sociale,

economico e culturale che la gente ed il territorio, da

Aprilia al Garigliano, aspettano da tempo. Giustamente!

*Presidente della Provincia

5

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n 29 anni di servizio ho avuto tante

soddisfazioni, ma mai ne avrei immaginato

una cosi grande. E’ stato emozionante trovarmi

dinanzi al Presidente della Repubblica …….. Quel brivido

lungo la schiena, quando, fatto un passo indietro, abbassai

lo stendardo per il gesto solenne del Capo dello Stato non

lo dimenticherò mai. Ma ero teso, temevo di sbagliare, di

dimenticare i movimenti che il giorno prima, il personale

addetto aveva meticolosamente spiegato a tutti noi. Per

fortuna, tutto è andato bene”.

Seduto dinanzi ad un caffè, Armando Mazzucco, 56 anni,

maresciallo della Polizia Provinciale, si lascia andare ai

ricordi. Sono passati diversi mesi da quel 25 aprile quando,

nel cortile d’onore del Quirinale, è stato l’alfiere del

Gonfalone della Provincia fregiato di Medaglia d’Oro al

Merito Civile dal Presidente della Repubblica. “Ma

l’emozione dura ancora – riprende Mazzucco - ed è stato

un grande onore per me svolgere un compito così delicato

in rappresentanza, dopo il Presidente Armando Cusani,

della popolazione della Provincia di Latina per un evento

di grande valore simbolico e forte spessore morale”.

In effetti è sì. Cerimonie cosi solenni come quella della

Medaglia d’Oro al Merito Civile segnano chi ne è

protagonista o anche semplicemente spettatore, come il

Prefetto Alfonso Pironti, i Sindaci delle cittadine pontine, già

destinatarie di medaglie al valore e al merito (d’oro,

argento e bronzo), gli Assessori e Consiglieri provinciali, i

rappresentanti delle Associazioni Combattentistiche che

componevano la delegazione ammessa alla Presidenza

della Repubblica nell’occasione descritta.

Non sono molte le Province italiane che hanno ricevuto

un’onorificenza prestigiosa. E Latina, con quelle di Torino e

Bologna, rientra sicuramente tra le più importanti per il

triste primato di unica Provincia d’Italia a trovarsi – tra il

l’autunno del 1943 e la primavera inoltrata del ’44 –al

centro di due grandi fronti: la Linea Gustav al sud, il fronte

Anzio-Littoria-Cisterna-Aprilia al nord. Cosa sia costato in

termini di vite e distruzioni è noto: circa 7 mila morti, oltre

10 mila feriti, senza contare il sacrificio della vita degli

uomini in armi nei diversi teatri di combattimento; interi

paesi rasi al suolo, altri gravemente danneggiati, miseria,

fame, deportazione, stupri.

La storia della Medaglia d’Oro era iniziata con due lettere

del dottor Pier Giacomo Sottoriva. La sensibilità del

Presidente della Provincia Armando Cusani nel convocare

un pool di storici ed esperti assistiti dal personale dell’Ente

è stata immediata. Intorno ad un tavolo, lo stesso Pier

Giacomo Sottoriva, Direttore dell’Apt di Latina, il Dott. Aldo

Lisetti, Sindaco di Campodimele, il prof. Luigi Zaccheo ed il

Dott. Agostino Attanasio, Direttore dell’Archivio di Stato di

Latina. Sono loro i firmatari della relazione di base

approvata all’unanimità dal Consiglio provinciale a

conclusione di un dibattito appassionato e denso di

contenuti.

Era il 9 maggio 2005. Pochi giorni più tardi, ecco la visita

ufficiale a Latina del Presidente della Repubblica Carlo

Azeglio Ciampi: un evento straordinario per la città-

capoluogo e per le altre cittadine del territorio, per la gente

6

Medaglia d’Oro - La Storia Anno I n° 1

LE TAPPE DELLA MEDAGLIALE TAPPE DELLA MEDAGLIA

“I

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e i giovani. E’ l’occasione buona. Al Palazzo della Cultura,

dopo l’esordio emotivamente partecipe del Sindaco della

città, On. Vincenzo Zaccheo, il Presidente della Provincia

Armando Cusani pronuncia un discorso appassionato e

coinvolgente, dove valori ed argomentazioni si alternano in

un crescendo di dati e storie a sostegno dell’attesa della

Medaglia d’Oro che colpiscono sia il Presidente della

Repubblica, che la gentile consorte, Donna Franca. Alla

fine, il pubblico che riempie il Palazzo della Cultura è in

piedi e segna con un caloroso, scrosciante, interminabile

applauso la condivisione per la richiesta formulata dal

Presidente Cusani all’indirizzo del Capo dello Stato.

I giorni ed i mesi successivi alla visita di Ciampi saranno di

costante ed intenso lavoro per gli uffici del Cerimoniale

della Provincia. E, oltre l’inoltro della Delibera n. 21 del

09.05.2005 contenente la richiesta della più alta

onorificenza, rappresentando peraltro la Provincia l’insieme

dei Comuni (decorati e non) colpiti dalla guerra, esso

comporterà la lettura di 28 libri, l’allestimento di cinque

faldoni di atti e documenti inviati in altrettante occasioni alla

speciale Commissione presso il Ministero dell’Interno per

costituire la mole di prove indispensabili per l’istruttoria e il

parere positivo dell’organismo.

Quando arriva la comunicazione formale dell’esito

favorevole della richiesta è già dicembre, ma per

correttezza verso il Capo dello Stato, si preferisce attendere

il comunicato ufficiale del Quirinale. Quattro mesi più tardi,

nell’imminenza della Festa della Liberazione, ecco

l’annuncio ufficiale: la Provincia di Latina è Medaglia d’Oro

al Merito Civile. La cerimonia presso il cortile d’onore della

Presidenza della Repubblica è storia di ieri. E’ il 25 aprile

2006.

Ma come la Provincia sta celebrando la così alta

onorificenza conferita dal Capo dello Stato?

Il Presidente Cusani lo ha spiegato in occasione

dell’annuncio ufficiale. E’ un programma che segue due

filoni distinti, ma il loro punto di congiunzione è

rappresentato dal desiderio di lasciare sul territorio

Medaglia d’Oro - La StoriaAnno I n° 1

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testimonianze tangibili ed ammonitrici perché i giovani

facciano tesoro della Memoria e comprendano che essa è

la più fedele compagna della Pace e della Democrazia che

è necessario consolidare nel nostro Paese e portare nei

Paesi lontani dove l’uomo uccide ancora suo fratello.

Cinque steli in bronzo realizzate dall’Antica Fonderia

Pontificia Marinelli di Agnone ricorderanno per sempre due

ufficiali decorati di Medaglia d’Oro al Valor Militare alla

memoria: il Tenente pilota dell’Aeronautica Alfredo Fusco

(Castelforte) e il Tenente dei Bersaglieri Mario Musco

(Ponza); un carabiniere, decorato di Medaglia d’Argento al

Valor Militare alla memoria: Angelo Di Tano (SS.Cosma e

Damiano); l’esodo e la deportazione della popolazione

pontina (Cisterna); le Donne che subirono violenza da parte

delle truppe del Corpo di Spedizione Francese

(Campodimele): proprio la stele a “Maria e alle Altre” è

stata la prima ad essere inaugurata nel corso di una

solenne cerimonia che ha avuto luogo nel caratteristico

borgo aurunco lo scorso 27 luglio alla presenza del Vice

Presidente della Camera, On. Giorgia Meloni, seguita da

quella a ricordo di Alfredo Fusco (Castelforte, 6 ottobre

2006, alla presenza del sottosegretario On. Marco

Verzaschi) e di Angelo Di Tano (SS. Cosma e Damiano, 18

novembre 2006).

In altra parte di “Provincia Latina”, al pari dei personaggi,

si illustra la collana editoriale che la Provincia ha promosso

in collaborazione con la Herald Editore di Roma: testi e

memorie di chi, nei luoghi più significativi della Gustav, del

Fronte Anzio-Littoria-Cisterna-Aprilia e del resto del

territorio che visse la tragedia della guerra.

Tra i monumenti di Marinelli ed i testi della Herald, un filo

sottile ma resistente lega storie, uomini, donne e luoghi in

un valore che la Medaglia d’Oro al Merito Civile ha

appena contribuito a far scoprire: l’unità della popolazione

e del territorio. E forse, proprio da questo valore è possibile

ripartire per costruire il futuro di una provincia nata sì da

una volontà imperiosa, ma che in democrazia la gente

seppe ricostruire e rendere prospera nonostante tutto.

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Medaglia d’Oro: La Storia Anno I n° 1

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MICHELE FORTE

Presidente del Consiglio (UDC)

Tenere viva la memoria storica è un dovere.

Soprattutto verso le nuove generazioni.

Si registra nei giovani un interesse sempre

più limitato per gli avvenimenti del passato. Eventi come quelli

relativi al secondo conflitto mondiale fanno fatica a sfuggire al

processo insieme di oblio e di omologazione dominante.

La Provincia di Latina, allora ancora Littoria, in quei mesi terribili

a cavallo tra il 1943 ed il 1944 è stata, suo malgrado, una

protagonista assoluta. Il Garigliano ed Anzio ne hanno segnato

emblematicamente, limiti geograficamente esterni, il dramma.

Lutti, miserie, distruzioni. Due grandi eserciti a fronteggiarsi. Ed in

mezzo il nostro territorio e la nostra popolazione. Alla fine un

bilancio dolorosissimo. Città distrutte, agricoltura devastata,

economia regredita, condizioni igieniche precarie. E morti e feriti.

Malattie e povertà. Umiliazione e disperazione. Giorni atroci ed

oscuri affrontati con coraggio e dignità, forza e speranza

nell’avvenire. Dopo la nottata, che inevitabilmente passa, Eduardo

docet, finalmente l’alba. E con essa la pace, la libertà, le

democrazia e quindi il progresso. Economico e sociale.

Con la stessa dignità e lo stesso indomito coraggio della nottata si

è dispiegata all’alba del riscatto la capacità di lavoro, il senso

civico, l’umana solidarietà, l’adesione ai valori della riconquistata

democrazia, l’ingegnoso operare degli abitanti della Provincia di

Latina. Questo è il significato della Medaglia d’Oro.

Alle nuove generazioni che “vivono” questo progresso è nostro

dovere trasmettere col ricordo la “memoria storica” di quei tempi.

PAOLO GRAZIANO

Capogruppo Forza Italia

Ero Sindaco di Minturno il 3 agosto 1998,

quando il Presidente della Repubblica Oscar

Luigi Scalfaro ed il Ministro dell’Interno

Giorgio Napolitano firmarono il decreto per il conferimento della

Medaglia d’Oro al Merito Civile alla mia Città. Si trattava del

primo Municipio pontino ad essere insignito di questo massimo

riconoscimento che premiava gli sforzi profusi dal Comitato

minturnese. L’Amministrazione Comunale, da me guidata, si

impegnò a rendere solenne la Cerimonia di consegna della

prestigiosa ricompensa che si svolse in Piazza Porta Nova, davanti

a circa tremila persone, il 10 gennaio 2000. Una grande

emozione, un evento memorabile vissuto insieme al Presidente del

Senato, Nicola Mancino, ed alle massime Autorità della Regione.

Nel mio breve intervento accennai alle tante storie di dolore, patite

dalla nostra laboriosa gente e a quel patrimonio ideale da

consegnare alle nuove generazioni, unitamente all’impegno per la

costruzione di una società sempre più ispirata ai valori della

solidarietà e della fratellanza. Il mio pensiero andò al sacrificio

degli oltre 700 concittadini, tra civili e militari, periti nell’ultimo

conflitto mondiale e alla testimonianza dei sopravvissuti, alcuni dei

quali segnati anche fisicamente dalle barbarie della guerra. In

seguito altri municipi pontini, come Santi Cosma e Damiano e

Castelforte, ottennero il massimo riconoscimento in ricordo

dell’olocausto subito dalle popolazioni in una zona tormentata sia

dalla linea “Gustav” (lungo la valle del Garigliano), sia dal fronte

di Anzio.

Il 25 aprile scorso il Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi ha

conferito la Medaglia d’Oro al Merito Civile al Gonfalone della

Provincia di Latina. Un attestato che ha reso omaggio al sangue

versato allora da tante persone di questa meravigliosa terra,

arricchita dalla bonifica delle paludi. Un nobile metallo per

ricordare le drammatiche vicende vissute dalla gente di Littoria –

Latina e dagli altri centri della provincia. Questa significativa

ricompensa ha contribuito a sintetizzare e a rappresentare

univocamente la tragedia umana di quel triste periodo, senza

distinzioni geografiche e temporali, senza differenze tra il nord e

il sud dell’area pontina. Una medaglia che unisce la varie “facce”

della provincia, già teatro di dure battaglie e di violenti

bombardamenti, poi protagonista della rinascita economica ed

oggi proiettata verso un prospero futuro.

MAURIZIO LUCCI

Capogruppo Alleanza Nazionale

Il giorno del conferimento della Medaglia

d’Oro al Merito Civile al Gonfalone della

Provincia di Latina può considerarsi

sicuramente un evento storico. Questo importante riconoscimento

premia il sacrificio ed il dolore patito da numerosi cittadini che

trovarono la morte durante il secondo conflitto mondiale. Il

significato di questo avvenimento è nella sublimazione dei valori

dell’unità nazionale fondati sul principio universale che ogni forma

9

UN RICONOSCIMENTO SIGNIFICATIVO PER TUTTI

Medaglia d’Oro - CommentiAnno I n° 1

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di sopraffazione dell’uomo sull’uomo va condannata

incondizionatamente.

Il valore simbolico di questa Medaglia d’Oro è quello di

allontanare lo spettro delle guerre che non potrà mai essere il

mezzo per risolvere o dirimere le controversie fra i popoli. Il

prezzo di sangue di questa provincia è un prezzo pagato alla

guerra che deve essere allontanata, estirpata affinché i

riconoscimenti che verranno saranno per eventi di grande gioia, il

viatico per conseguire risultati di eccellenza, nella pace. Questi

messaggi, uniti agli atti eroici ed al sacrificio della popolazione

pontina sono alla base del conferimento della Medaglia da parte

del capo dello stato Carlo Azeglio Ciampi.

Una data memorabile quella del 25 aprile che rappresenta il

superamento di qualsiasi barriera razziale ed ideologica a favore

della libertà di ogni individuo. Ed è proprio la libertà individuale

che racchiude il patrimonio di ideali, valori e dignità umana. Per

questi motivi, il Gruppo di Alleanza Nazionale ringrazia il

Presidente Armando Cusani per essersi impegnata nel dare risalto

a questi principi.

MAURO CARTURAN

Capogruppo UDC

Ho provato grande commozione nel seguire

le immagini televisive (in quanto ero

impegnato all’estero per motivi personali)

della consegna della Medaglia d’Oro al Merito Civile al

Gonfalone della nostra Provincia. E’ un evento di grande

significato simbolico per chiunque abbia a cuore i temi della

democrazia e dell’unità nazionale. Un giusto tributo nel quale si

riconoscono tutti i cittadini della nostra Provincia di Latina, uniti

dall’immane sofferenza subita nel II conflitto bellico, in particolar

modo nell’area del nord pontino dove l’asse Anzio – Cisterna -

Aprilia ha fatto del nostro territorio un terreno di scontri

violentissimi che hanno mietuto migliaia di vittime innocenti.

Come non ricordare i drammi e le sofferenze che la popolazione

civile di Cisterna ha patito durante quei quattro tragici mesi dello

sfollamento del 1944 e l’orgoglio e l’operosità, al rientro, nell’aver

fatto rinascere una città completamente distrutta. Cisterna, con

sacrifico, dolore, operosità ed orgoglio ha sofferto la guerra ed è

saputa rinascere dalle sue ceneri a dimostrazione che il coraggio

della vita prevale oltre ogni dolore. Questo il valore della

medaglia, questo il sacrificio di tanta gente da non dimenticare.

Ogni anno Cisterna ricorda degnamente i bombardamenti bellici

subiti dalla popolazione civile dal 22 gennaio 1944 sino all’inizio

della Primavera dello stesso anno, quando gli alleati sbarcano a

Anzio. Ma soprattutto l’esperienza drammatica di migliaia di

uomini, donne e bambini che si sono rifugiati nelle grotte di

Cisterna, vivendo per quasi due mesi nel sottosuolo.

D’ora in poi ogni comune della nostra Provincia parteciperà al

ricordo di quei tragici eventi perché questa Medaglia è il

riconoscimento delle nostre identità comuni, delle medesime radici,

del senso di appartenenza al territorio.

CLAUDIO CARDOGNA

Capogruppo Lista Cusani

Il conferimento della Medaglia d’Oro al

Gonfalone della Provincia di Latina, in

occasione del sessantunesimo anniversario

del giorno della Liberazione, è l’adeguato riconoscimento ai

sacrifici e al sangue versato dall’intera cittadinanza nel secondo

conflitto bellico per rendere questo territorio libero dai soprusi e

dagli invasori. La solenne cerimonia di consegna al Quirinale alla

presenza del Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi ha riportato

alla mente quei tragici eventi bellici affinché nessuno possa

dimenticare. Un particolare riconoscimento agli storici e a tutti

coloro che hanno contribuito a reperire ogni documento e

testimonianza del passato e che sono stati alla base delle

motivazioni che hanno portato al giusto conferimento della

medaglia ed al riconoscimento del sacrificio della popolazione

civile e militare.

La totalità del territorio pontino, tormentato dal conflitto nell’ultimo

periodo, forse non ha uguali nel resto del territorio nazionale, in

quanto la Provincia è stata stretta in una morsa di piombo: al nord

dal fronte della Linea Anzio – Nettuno – Cisterna – Aprilia ed al

sud dalla Linea Gustav. Ma la terra pontina è anche la terra che

racchiude quell’isola, Ventotene, nel quale confino personaggi

come Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni

concepirono e scrissero quel “Manifesto per l’Europa libera ed

unita”, dimostratosi non un sogno ma una realtà.

Un particolare merito alla perseveranza dell’Amministrazione

provinciale che ha fortemente voluto questo riconoscimento perché

crede nell’importanza che questi valori storici sanno trasmettere

alle future generazioni: l’unità, la tolleranza, la non belligeranza,

il riconoscimento delle diversità nel rispetto di un quadro

democratico e di pacifica convivenza.

Medaglia d’Oro - Commenti Anno I n° 1

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MARIO CAPPONI

Capogruppo Provincia Condivisa

Il conferimento della Medaglia d’Oro al

Merito Civile al Gonfalone della Provincia di

Latina è stato il coronamento dell’enorme

sacrificio fatto da tutta la popolazione dell’agro pontino. Più che

un sacrificio è stata una vera e propria sofferenza vissuta anche

da me tesso in prima persona. Durante il Consiglio provinciale nel

quale abbiamo espresso l’attesa che il Gonfalone fosse insignito

della Medaglia d’oro al Merito Civile, accogliendo all’unanimità la

proposta del Presidente Armando Cusani, sono intervenuto

personalmente su un avvenimento accaduto a me personalmente

di quando venni colpito durante il secondo conflitto mondiale. E’

ancora vivo in me il ricordo della fucilata di un cecchino tedesco

sulle pendici del Monte Circeo, dove ero sfollato coni miei genitori.

Parlo di sofferenza vera perchè oltre al dolore fisico, abbiamo

vissuto sulla pelle le atrocità della guerra, abbiamo sofferto la

fame, la farina era talmente scarsa che non bastava a sfamare

nessuno, mangiavamo cicoria cruda, si beveva negli abbeveratoi

degli animali. L’agro pontino era isolato, i tedeschi avevano fatto

saltare i ponti, la gente veniva depredata. Per questo il

riconoscimento della Medaglia D’Oro mi ha davvero toccato il

cuore. La provincia di Latina lo meritava fino in fondo, non tanto

come Provincia di Latina ma quanto come Provincia di Littoria ed

è giusto che la storia venga ricordata.

FEDERICO D’ARCANGELI

Capogruppo DS

E’ stato forse il momento più alto nella storia

della nostra giovane Provincia quello vissuto

lo scorso 25 Aprile nel cortile del Quirinale.

La consegna da parte del Presidente Ciampi della massima

onoreficienza al Merito Civile, al di là di ogni facile retorica, ha

rappresentato per la nostra comunità provinciale un momento

esaltante di orgoglio e di unità; orgoglio per il riconoscimento del

dolore e del sacrificio vissuti da parte delle nostre comunità nel

corso del secondo conflitto mondiale e insieme profondo senso di

unità da parte di una popolazione che tutta intera, da nord a sud

della Provincia ha saputo affrontare con coraggio e dignità quelle

prove drammatiche. Coraggio e dignità del resto già ampiamente

attestati dalle numerose onoreficienze che singoli Comuni avevano

ricevuto negli anni passati. Resta il monito, nella sofferenza degli

uomini e nelle ferite del paesaggio, a non accettare mai più nella

nostra storia l’orrore della guerra , a essere ancora e sempre

comunità orgogliosa e generosa, ospitale terra di pace e di civile

convivenza.

FRANCESCO AVERSA

Capogruppo La Margherita

Il Gruppo della Margherita è fortemente

motivato a plaudire il conferimento della

Medaglia d’Oro al Merito civile al Gonfalone

della Provincia di Latina. Il nostro territorio, e in particolare quello

dei lepini di cui sono rappresentante, è stato teatro di violenti

scontri nell’ultimo conflitto mondiale. I nostri cittadini hanno

conosciuto i dolori, gli stenti e la dignità di ricominciare.

Questa guerra infatti non ha risparmiato nessuno, donne e uomini

dell’intera provincia hanno saputo difendere i valori della libertà e

della Patria con il proprio sacrificio ed è per questo che la

Medaglia d’Oro assume un valore ancora più grande del simbolo

stesso. In questa Medaglia infatti si riconoscono tutti i cittadini del

territorio, accomunati da un unico principio: la difesa della libertà.

E’ senza dubbio quindi un riconoscimento meritato quello che il

Presidente della Repubblica ha voluto conferire a questa nostra

Provincia. Iniziative del genere vanno quindi sostenute perché non

hanno nessun colore politico, se non quello della pace e della

libertà.

LUCIO PAVONE

Capogruppo PRC

Sicuramente è un avvenimento di grande

rilievo che dà il giusto riconoscimento alla

nostra provincia di quanto subito durante la

seconda guerra mondiale. Viene dopo quello ottenuto da molti

comuni della provincia e mantiene viva la memoria sulle atrocità

della guerra e del regime nazifascista.

Il grande merito di questo straordinario evento è quello di dare un

tributo indiretto alla resistenza fatta dalle popolazione civili. La

nostra provincia era attraversata nella sua parte meridionale dalla

cosiddetta linea Gustav, che univa Gaeta con Termoli

sull’Adriatico, zona di atroci scontri dove si sono registrati gli

avvenimenti più tragiche dopo l’avanzata delle truppe

angloamericane con stupri e saccheggi in larga massa nei comuni

di Castelforte, Lenola, Minturno e SS. Cosma e Damiano. Stessa

sorte anche sull’asse del nord pontino Anzio – Aprilia – Cisterna

interessato dallo sbarco delle truppe alleate: la popolazione si

ritrovò al centro di uno spaventoso conflitto e le conseguenze

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Medaglia d’Oro - CommentiAnno I n° 1

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furono devastanti.

L’augurio è che il ricordo serva in futuro ad evitare l’insorgere

delle ostilità tra le nazioni e a privilegiare il dialogo e il confronto

per le risoluzioni delle controversie tra i popoli conformemente a

quanto previsto dall’art. 11 della nostra Costituzione. In tal senso

è visto di buon auspicio il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq come

vuole il provvedimento adottato dal nuovo governo italiano.

FABRIZIO VITALI

Capogruppo Verdi per la pace

Il Gruppo provinciale dei Verdi per la Pace

plaude l’iniziativa del Presidente Armando

Cusani che ha portato alla consegna della

Medaglia d’Oro al Merito Civile alla Provincia di Latina ma anche

a persone del nostro territorio che hanno pagato un prezzo

altissimo per la lotta di liberazione dalle crudeltà mosse dalle

dittature: il Tenente Pilota Alfredo Fusco, il Carabiniere Angelo Di

Tano ed il Tenente dei Bersaglieri Mario Musco. Ritengo che

inducano a riflessione le motivazioni che stanno alla base

dell’onorificenza: “l’eroico coraggio e la profonda fede nella

libertà ed altissima dignità morale”.

La libertà e la dignità dell’uomo sono diritti inviolabili: eventi come

il conferimento della Medaglia sono qui a ricordarcelo e noi

abbiamo il dovere di ricordarlo alle generazioni future. La libertà

non si conquista con le guerre ma con la pace, l’uguaglianza, il

rispetto delle diversità tra i popoli. La “fiera popolazione pontina”

ha pagato un prezzo altissimo per la difesa di questi valori. Spero

che il sangue versato allora e che continua a scorrere oggi serva

a tingere le coscienze di ognuno, a ricordare, a farci capire

quanto sia sbagliato guerreggiare. In ugual misura dovrà essere

uno stimolo in più a professare tra la gente il significato e il valore

della pace, unico vero balsamo che allontana il male. Non è

pensato sbagliare che in altri tempi fossero altri gli stimoli che

muovevano le genti.

Oggi gli atti di coraggio vanno e andranno costruiti in ambiti di

pace e cooperazione tra i popoli, trasformando atti militari in

grandiose opere di solidarietà.

ALESSANDRA MUSSOLINI

Capogruppo Alternativa Sociale

Il conferimento della Medaglia d’Oro al

Merito Civile conferita alla cittadinanza della

Provincia di Latina il 25 aprile scorso dal

Presidente Ciampi riveste un significato rivelante. E ciò non tanto

per le specifiche motivazioni che hanno accompagnato

l’onorificenza, quanto per il significato che ho inteso leggere in

questo atto. Ritengo un alto riconoscimento a tutta la popolazione

vedere riconosciuto dallo Stato il peso, sopportato con coraggio,

di un conflitto che ha punito il territorio pontino con sofferenza,

morte e distruzione.

Tutti i cittadini hanno sofferto, tutti i cittadini meritano onore.

Troppo spesso l’aver appartenuto ad una parte ha determinato un

privilegio anche nel vedere riconosciute sofferenza e dolore. In

questa circostanza, invece, il merito che lo Stato ha riconosciuto è

andato ad una intera comunità, espressione di tanti ideali, di tanto

modi di essere, di tanti modi di interpretare la propria scelta.

I cittadini della Provincia di Latina, tutti e di ogni parte, vissero

eventi sconvolgenti conseguenza di una guerra combattuta senza

limiti da tutti gli attori. Dopo l’8 settembre, infatti, l’evoluzione del

conflitto comportò perdite di vite umane e atti di violenza cieca e

barbara portati da ogni parte e verso ogni parte.

A quale punto gli italiani, quindi, decisero di ricominciare, di

riprendere la via della rinascita e dell’uscita da una guerra, le cui

motivazioni non erano a quel punto più in discussione.

La pace, la libertà, la voglia di riprendere a vivere erano la loro

ragione d’essere.

Prevalsero, allora, sentimenti di conciliazione e di solidarietà, che

costituirono lo stato d'animo propulsivo della nuovo Italia che

stava nascendo.

Ecco, la Medaglia d’Oro conferita ai cittadini della Provincia di

Latina accompagna l’impulso ideale che personalmente interpreto

quando parlo di “pacificazione”, una pacificazione che molti

ancora oggi, dimentichi dei sacrifici e delle sofferenze da tutti da

ogni parte patiti, si rifiutano di voler accettare e condividere. Ciò

che allora costruì morte e sofferenza deve costituire un costante

monito per noi, per i nostri figli e per le generazioni a venire per

non ripetere la erezione di odio e di conflitti politici e sociali.

Pur nella diversità di opinioni è la comunione di intenti che deve

portare tutti gli italiani a riconoscersi nei cittadini della Provincia

di Latina, oggi come allora, luminoso esempio di coraggio, di

spirito e di orgoglio nazionale, sopra a tutte le violenze, sopra a

tutte le divisioni.

Medaglia d’Oro - Commenti Anno I n° 1

Page 13: Provincia Latina n.1

13

Anno I n° 1 Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Alfredo Fusco

di DOMENICO TIBALDI

a, dottore?”, disse Mario, uno dei

commessi, poco prima di lasciare il Sacrario

dei Caduti d’Oltremare dove riposano i

caduti italiani sul fronte greco-albanese nel corso

dell’ultima guerra. Era la primavera di due anni fa.

“Expovacanze”, la Borsa del Turismo Mediterraneo che

ha luogo annualmente a Bari, avrebbe aperto i battenti

solo nel pomeriggio. Nella mattinata di libertà, la

proposta di visitare quel luogo solenne per rendere

omaggio ad Alfredo Fusco, pilota da caccia della Regia

Aeronautica, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla

Memoria, aveva messo tutti d’accordo. Appena dentro, il

silenzio e la sacralità del luogo venivano interrotti da tre

squilli di tromba e da una voce perentoria che annunciava

gli onori al giovane tenente del 154° Gruppo Caccia

Terrestri (361^ Squadriglia), abbattuto il 20 febbraio

1941 in un duello impari contro sei Hurricanes. “Succede

– spiegò Mario – solo quando si tratta di decorati di

Medaglia d’Oro”. Nel frattempo, le note del “Va’

Pensiero”, accompagnavano il passo dell’anziano

commesso verso il luogo in cui Alfredo Fusco riposa dalla

fine della guerra. “Ecco – aggiunse sommesso – e lì, in

alto, tra gli «accertati, ma non identificati»”. E, dinanzi

all’incredulità del gruppo, una spiegazione ulteriore: “ in

Albania, Fusco venne sepolto nella stessa fossa dei militari

dei quali state leggendo i nomi, ma al momento della

esumazione nessuno riuscì ad identificarne i miseri resti”.

Poi, il tragitto verso l’uscita quasi in punta di piedi e il

commiato mentre, eccezionalmente, la campana del

Sacrario anticipava i nove rintocchi d’ogni sera in

suffragio delle migliaia di soldati che vi riposano per

L’AQUILA NELLA LEGGENDAL’AQUILA NELLA LEGGENDA

“S

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14

Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Alfredo Fusco Anno I n° 1

sempre. “Sa, dottore – riprese Mario. Ma dal suo paese,

dalla sua provincia non viene mai nessuno a far visita alla

tomba di questo ragazzo… aveva solo venticinque anni e

ha dato la vita per proteggere i suoi compagni”.

La “frustata” di quell’uomo dai baffi appena accennati e

dal portamento dimesso “brucia” ancora oggi, ma è stata

essenziale, perché nel contesto delle celebrazioni per il

conferimento della Medaglia d’Oro al Merito Civile al

Gonfalone della Provincia, la volontà prima, la spinta poi

del Presidente della Provincia,

Armando Cusani rendessero

possibili la realizzazione di un

monumento, di una mostra e di un

libro dedicati ad Alfredo Fusco nel

quadro di una positiva

collaborazione con il Comune di

Castelforte, l’Aeronautica

Militare, l’Archivio di Stato di

Latina, i nipoti ed i parenti

dell’ufficiale scomparso.

La storia

La ricerca della Provincia è stata

difficile, ma entusiasmante, ricca

di spunti ed è custodita in un

consistente faldone di atti,

documenti, immagini di

settant’anni fa, raccolti tra Bari (il

Sacrario), Castelforte (Laura Dalla

Croce Capolino), Roma (Col.p.

Euro Rossi, Direttore dell’Archivio Storico dell’Aeronautica

Militare), Rimini (il Maresciallo A.A. Nicola Malizia ora in

pensione), Liverpool (Nunzia Bertali, Console d’Italia),

Cambridge (Maresciallo dell’Aria Sir Edward Gordon

Jones, Comandante dell’80° R.A.F. Squadron), Pozzuoli

(Gen. B.A. Luigi Domini, Comandante dell’Accademia

Aeronautica), ancora Roma (Archivio Centrale dello

Stato) per concludersi nello studio di Anna Fusco di

Ravello, scrittrice e giornalista, nipote di primo grado

dell’ufficiale scomparso, nata e cresciuta in una casa

dove il ricordo di “zio Alfredo” scandiva la vita di ogni

giorno, fino ad accompagnarne, oggi, i ricordi più teneri

ed affettuosi anche verso il luogo natiò dei genitori che lo

stesso pilota raggiungeva nei periodi di vacanza:

Castelforte.

Figlio di Sebastiano (Colonnello dell’Esercito) e di

Marianna Fusco, due fratelli maggiori (Ulderico, ufficiale

dell’Esercito e Matteo, valente avvocato), nato a Tripoli

(Libia) il 5 luglio 1915 dove la famiglia aveva seguito il

padre di stanza nella colonia, Alfredo Fusco aveva

appena conseguito il diploma

magistrale presso l’Istituto

“Regina Margherita” di Torino,

quando decise di entrare in

Accademia Aeronautica. Agli

esami di maturità, se l’era cavata

con la sufficienza in tutte le

materie, brillando solo in Scienze

(otto), frutto probabilmente delle

appassionate lezioni del nonno.

Nei sogni del ragazzo, c’era ben

altro: il volo, quel mito

affascinante rappresentato da

Francesco Baracca, la carriera

militare. “Il papà era morto e la

famiglia non era d’accordo –

rammenta Anna Fusco di Ravello

– ma zio Alfredo era un

irriducibile ed andò avanti

ugualmente per la sua strada”.

Correva l’anno 1936. Alfredo

Fusco entrò nella Regia Accademia Aeronautica allora

dislocata nella Reggia di Caserta, per frequentare il Corso

“Rex” insieme ad altri giovani che ancor oggi vengono

ricordati con rispetto per l’altruismo, il senso dell’onore

personale e dell’Italia che essi dimostrarono in battaglia,

armati più di coraggio, che di aerei in grado di

competere per velocità e volume di fuoco contro quelli

avversari. Lo dimostra l’albo d’oro del “Rex”: dei 312

ammessi in Accademia, solo 238 furono promossi

Sottotenenti. Di loro, 103 risultano caduti o dispersi, 6

sono le Medaglie d’Oro al valor militare, di cui 5 alla

Alfredo Fusco

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Medaglia d’Oro - Le steli della Memoria: Alfredo FuscoAnno I n° 1

memoria, 206 le medaglie d’argento, 131 le medaglie di

bronzo, 57 le croci di guerra, 29 gli avanzamenti per

merito di guerra, 5 le promozioni per merito di guerra.

Una lunga lista di punizioni

Le note caratteristiche di Alfredo vergate in elegante

corsivo sul suo diario scolastico da un paziente scritturale

e recuperato grazie all’allora Comandante

dell’Accademia, Gen. B.A. Luigi Domini, descrivono un

giovane dal “carattere franco e leale, ma non ancora

formato” (“a

casa- interviene

Anna Fusco di

Ravello- era per

tutti «il bimbo»),

“ i n t e l l i g e n z a

normale”, “scarsa

a p p l i c a z i o n e

nello studio”,

“molto educato e

sensibilissimo ai

richiami”. Quello

scritturale doveva

essere d’indole

buona, perché a

scorrere la lunga

lista di punizioni

accumulate nei tre

anni di corso si matura il convincimento che proprio

disciplinato Alfredo non fosse: 101 turni di consegna, 45

giorni di consegna semplice e 33 giorni di «tavolaccio»,

cioè di cella di rigore. E se le andava proprio a cercare.

Come quando ai primi di marzo del ‘38 si prese tre

giorni di consegna per la sua ennesima ragazzata:

“chiedeva visita medica credendo che il Corso non

andasse a volare, giunto invece l’ordine da Capua di

partenza, si depennava arbitrariamente dal quaderno

della visita medica”.“ Di solito si ama ricordare – ha

scritto il Gen. Giulio Cesare Graziani, uno dei miti,

insieme ad Adriano Visconti, del Corso Rex, tra i pochi

che ebbero la fortuna di riportare a casa la pelle e con

essa una medaglia d’oro al valor militare, 6 medaglie

d’argento al v.m., 1 una medaglia di bronzo al v.m. 2

avanzamenti e 1 promozione per merito di guerra – gli

episodi più lieti dei quali si fu attivi protagonisti. Rientrano

fra questi anche i ricordi di cella. La continua altalena di

noi allievi tra i dormitori e le celle, sempre affollate, risultò

meno dura dato che non mancò mai la buona

compagnia”. Come dire: finire «dentro» era quasi

d’obbligo per essere considerati dagli altri cadetti.

E «dentro», Fusco si comportava esattamente come gli

altri: fumava quando era proibito; leggeva riviste, quando

avrebbe dovuto

aprire i libri della

cultura fascista,

mettendo a

disagio il

personale di

sicurezza e quel

Bove e quel

Mirabella che

proprio quando

lo riprendevano

al pari degli altri

« g u a s c o n i »

ristretti dietro le

grate, non

trascuravano di

elargire razioni

di cibo più

abbondanti del consueto. I risultati conclusivi del corso,

per uno come Alfredo che pensava esclusivamente al

volo, non potevano essere entusiasmanti: 45° su 72 il

primo anno; 46° su 51, il secondo; 128° su 213 il terzo.

Il duello fatale

Promosso sottotenente, Fusco venne assegnato al 52°

Stormo caccia terrestri di stanza a Ciampino Sud. Era il

28 agosto 1939. In Europa, il dissidio internazionale

sarebbe sfociato presto in guerra totale e per i ragazzi del

“Rex” la vigilia ansiosa del combattimento sgombro’

subito i sogni di una vita brillante. Abilitato al pilotaggio

del “Breda 25”, del “Ro 41”, del Caproni “Ca 111”, e

del “G50”, Fusco,promosso nel frattempo tenente, fu

Cartolina commemorativa

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Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Alfredo Fusco Anno I n° 1

trasferito al 24° Gruppo, 361^ squadriglia e con essa

inviato a Tirana sul fronte greco-albanese. Il 26 ottobre

del 1940, la 361^ venne rischierata nel 154° Gruppo

Autonomo Caccia Terrestri costituito direttamente in

Albania. La mattina del 20 febbraio del 1941, il tenente

Fusco decollò dall’aeroporto di Berat insieme alla

formazione comandata dal Maggiore Angelo

Mastragostino per una missione di scorta al IV e all’VIII

Corpo nella zona di Klisura, quando ecco apparire 30

caccia Gloster (inglesi) e P.Z.L. (greci).

Il diario storico del 154° descrive un

“combattimento furioso” durante il quale,

la squadriglia di Fusco riuscì ad

abbattere “10 P.Z.L. e 8

probabilmente”. Lui, pur ferito,

se la cavò egregiamente, ma il

suo G.50, già ridotto male

dai colpi delle mitragliatrici

avversarie risultò inservibile

dopo l’atterraggio. Al

pomeriggio, Fusco, era in

turno di riposo in infermeria,

quando ecco comparire sulla

verticale di Berat 18 bombardieri

inglesi “Bristol Blenheim” scortati da sei

temibilissimi caccia hurricanes dell’80° Raf

comandati dal Lt. John Marmaduke Pattle, detto

“Picchiatello”, un asso della R.A.F. (primo in classifica per

abbattimenti). Erano le 15.35. Scattato l’allarme, Fusco

si precipitò sulla pista fangosa, balzando sul primo G.50

disponibile. “Era quello del comandante”, dice Anna

Fusco di Ravello, ricordando il racconto del padre. Dalla

motivazione della medaglia d’oro al valor militare, si

deduce che Fusco decollò per primo per attaccare i

Blenheim, mentre la ricostruzione del maresciallo Nicola

Malizia, autore di numerosissimi saggi sull’Arma

Aeronautica di cui uno, impietoso, proprio sul G.50 (un

“ferro da stiro con le ali”) sottolinea il decollo in pattuglie

strette degli altri aviatori italiani in una formazione

comandata dal Capitano Scafetta.

Il rapporto di quel pomeriggio inoltrato a Superaereo

descrive una battaglia furibonda, ma l’ingaggio del

combattimento con i sei hurricanes di scorta per

consentire ai compagni di prendere quota e

scompaginare la formazione nemica avrebbe avuto esiti

letali per Alfredo Fusco. Incrociando la ricostruzione del

combattimento riportata negli annali dell’80° R.A.F. con

quella del Maresciallo Nicola Malizia e la testimonianza

del Maresciallo dell’Aria Sir Gordon Jones si arriva ad

una sigla: V7724. E’ quella del caccia del Comandante

Pattle. Proprio dall’ hurricane dell’asso dell’aviazione

britannica partì la prima delle raffiche dei sei monoplani

(alla cloche, tra gli altri: i tenenti George Kettwell

ed Eldon Trollip, il sergente maggiore

Charles Casbolt) della R.A.F. contro

il G50 “Freccia” di Alfredo Fusco

in un duello che il pilota

italiano, pur tentando di

giostrare con abilità, sapeva

essere senza scampo. In tal

senso, depone il raffronto tra

il “Freccia” e l’”Hurricane”:

meno veloce e maneggevole

dell’inglese, l’aereo italiano

era armato di due mitragliatrici

Breda calibro 17,7 contro le otto

armi alari Colt Browning di quello

avversario in grado di sviluppare un volume

di fuoco di 1000 colpi calibro 303 al minuto.

Il G.50 di Fusco esplose in volo, provocando la morte

istantanea del pilota per poi scomparire tra i monti

circostanti l’aeroporto di Berat, mentre il tenente Livio

Bassi tentava invano di accorrere in suo aiuto con uno dei

G.50 della 395^ squadriglia.

Nel fascicolo personale esistente presso l’Archivio

centrale dello Stato sono custodite le testimonianze di due

avieri che descrivono il recupero della salma sul greto del

fiume Devoli: di Alfredo restava un ammasso informe

completamente carbonizzato, tumulato qualche giorno

dopo a Tirana.

Amici fino alla morte

Fusco e Bassi erano amici dai tempi del “Rex” e non si

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Medaglia d’Oro le Steli della Memoria: Alfredo FuscoAnno I n° 1

lasciarono nemmeno dinanzi alla morte. Anche Bassi ha

venduto cara la pelle (due aerei abbattuti nelle

circostanza da aggiungere alla quattro vittorie

precedenti), ma, nell’atterrare, il suo caccia, già

mitragliato in più punti, prese fuoco avvolgendo il pilota,

peraltro ferito, in un rogo dal quale il personale della

base riuscì a sottrarlo in condizioni disperate: sarebbe

morto due mesi più tardi all’ospedale “Celio” di Roma per

la gravità delle ustioni. Alla sua memoria è stata concessa

una medaglia d’oro al valor militare.

Ad Alfredo Fusco, invece, la concessione della medaglia

d’oro al valor militare proposta proprio dal suo

comandante risultò complessa. Anna Fusco di Ravello

ricorda nitidamente i discorsi dei genitori e dice che le

iniziali riserve derivavano dal fatto che «zio Alfredo»

decollò senza autorizzazione a bordo di un aereo non in

dotazione a lui, compiendo così un atto di

insubordinazione. Ma, nella valutazione della

commissione prevalse il valore del gesto, l’abnegazione e

il coraggio dimostrato dal giovane ufficiale che, pur a

riposo, non esitò un attimo ad andare in battaglia e

morire.

“Bella figura, bella storia – commenta il Presidente della

Provincia. Armando Cusani. Esse riconducono a valori

che la Memoria deve riscoprire e indicare ai più giovani

perché si possa costruire una società migliore all’insegna

della pace e della tolleranza: sessant’anni dopo la

tragedia della guerra, pur nell’immutato giudizio della

storia, è ora che vincitori e vinti si stringano la mano,

testimoniando alle nuove generazioni l’assurdità di una

avventura che sconvolse il mondo e che mai più si dovrà

ripetere.

Ricordando Alfredo Fusco e i ragazzi del Rex, abbiamo

inteso inviare questo messaggio, così sottolineando

l’enorme portata morale della Medaglia d’Oro al

Alfredo Fusco, secondo da sinistra, nella mensa dell’Accademia Aeronautica

Page 18: Provincia Latina n.1

18

Gonfalone della Provincia e del luogo che ha ospitato il

monumento e la mostra dedicata al giovane ufficiale

morto in combattimento: Piazza della Medaglia d’Oro a

Castelforte, cittadina simblolo, con Santi Cosma e

Damiano, della Linea Gustav”.

Gianpiero Forte, Sindaco di Castelforte, ascolta ed

annuisce. “Per il nostro paese – dice -Alfredo Fusco è una

figura importante e l’iniziativa che ha visto la Provincia e

il Comune collaborare in piena sintonia contribuirà ad

evitare che il giovane pilota possa essere dimenticato

nonostante a lui siano stati intitolati la nostra scuola media

e la via più importante del paese. In più essa costituisce

un rilevante stimolo verso il progetto di un Parco della

Memoria al quale stiamo pensando fin da quando il

Presidente della Repubblica concesse al nostro Gonfalone

la Medaglia d’Oro al Valor Civile”

Il monumento consiste in un bassorilievo in bronzo

elaborato e realizzato dalla Fonderia Marinelli di

Agnone. Avviato in occasione del 60° anniversario della

fine della guerra, esso è stato finalmente completato con

la realizzazione di un basamento in travertino che, nei

tratti, ricorda il timone di un aereo da caccia e sulla parte

centrale, oltre il bassorilievo e la targa con i loghi della

Provincia e del Comune, accoglie una sezione composta

da flap ed alettone di una semiala di un caccia-

bombardiere F 104S.

Su ciascuno dei due lati, una coccarda tricolore ed altri

due loghi: quello del 154° Gruppo ai tempi di Fusco (un

Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Alfredo Fusco Anno I n° 1

Il labaro del Corso REX

Page 19: Provincia Latina n.1

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gallinaccio coi i colori della bandiera inglese trafitto da

una freccia), quello del 154° Gruppo di oggi (un

diavoletto ghignante in procinto di ghermire la preda): il

segno di una storia di coraggio e di amore per l’Italia che

continua, perché proprio ad Alfredo Fusco l’Aeronautica

Militare ha intitolato uno dei suoi reparti di pronto

impiego, comandato dal Col. p. Silvano Frigerio: il 6°

Stormo «Tornado» di stanza a Ghedi (Brescia) del quale

il 154° Gruppo fa parte.

Monumento e Mostra (in collaborazione con l’Archivio di

Stato di Latina) dedicati al pilota sono stati inaugurati il 6

ottobre venturo alla presenza del Sottosegretario di Stato

alla Difesa, On. Marco Verzaschi, dei vertici dello Stato

Maggiore Aeronautica, delle Autorità civili, militari e

religiose della provincia, dei 33 sindaci dei comuni della

provincia accompagnati dai rispettivi gonfaloni, 15 dei

quali decorati di medaglie d’oro (quattro), d’argento

(nove), di bronzo (due).

Con un seguito in occasione del 66° anniversario della

morte di Alfredo Fusco: la presentazione del libro che

Anna Fusco di Ravello ha scritto anche sulla base della

ricerca della Provincia e la ripetizione della mostra

perché essa possa essere visitata dagli studenti delle

scuole del circondario.

Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Alfredo FuscoAnno I n° 1

Alfredo Fusco dopo il giuramento da ufficiale

Page 20: Provincia Latina n.1

20

di DOMENICO TIBALDI

essuno sa dove esattamente sia sepolto. Forse

è tra le migliaia di ignoti che non avranno mai

un nome e una croce al Sacrario dei Caduti

d’Oltremare di Bari, luogo solenne dal quale lo sguardo

insegue l’orizzonte del mare che separa dalle coste slave

e da quel fronte greco-albanese dove l’ubriacatura

totalitaria sognava di spezzare le altrui reni. O, forse, i

resti di Angelo Di Tano, Carabiniere reale del Battaglione

“Albania”, Medaglia d’Argento al Valor Militare alla

memoria, è ancora laggiù in un improvvisato sepolcro di

Guri i Capit, dove il 18 novembre del 1940 una granata

ne stroncò l’esistenza dopo che, per tutto il giorno,

nonostante la ferita alla mano sinistra, s’era battuto da

leone contro l’avversario che difendeva la propria terra

dall’invasione delle truppe dell’Asse.

Pratica: 64034, Cognome: Di Tano; Nome: Angelo;

Arma: Carabinieri. Il computer del Sacrario collegato al

Dipartimento di Onorcaduti del Ministero della Difesa è

avaro di dati. C’è della Medaglia d’Argento e giù in

fondo alla “maschera” poco altro. A seguire il documento

si sarebbe indotti a ritenere che ciò che resta di quel

Carabiniere, dai capelli lisci e castani, alto circa un metro

e sessantacinque, ottantotto centimetri di torace, dal naso

dritto e il mento rotondo, nato il 22 ottobre 1907 a Santi

Cosma e Damiano, epicentro come Castelforte della Linea

Gustav ed al pari di esso Medaglia d’Oro al Valor Civile,

sia ancora in terra straniera. Ma gli ufficiali dell’Esercito

che hanno cura del Sacrario paiono sicuri che da quel

fronte “sono stati presi tutti”.

Arduino Di Tano, l’anziano professore di educazioni

tecniche e vice preside della Scuola media di Castelforte

dalla mente ancora lucida ed imparziale testimone di ciò

che avvenne da queste parti quando – era il maggio del

’44 – tedeschi ed algerini e goumiers del Corpo di

Spedizione Francese si sbudellarono a colpi di baionetta,

non ha mai smesso di cercare il corpo del congiunto e la

sua ultima richiesta di notizie risale all’anno 1998. Non

sono riusciti a dirgli nulla, ma lui ha continuato ad

impegnarsi perché ad Angelo venisse intestata la

Caserma del luogo d’origine, lasciato a vent’anni in cerca

di un avvenire diverso dalla povertà contadina che aveva

vissuto fino a poco prima nella casa, umile ed onesta, di

contrada Sellitti, a Santi Cosma e Damiano, con papà

Sabatino, mamma Giovannina ed altri nove tra fratelli e

sorelle.

E così è stato. Così è stato perché Arduino Di Tano in

qualche modo ha raggiunto le persone giuste: il

Colonnello Domenico Libertini, già Comandante

provinciale dei carabinieri che ha avviato la pratica per

l’intitolazione della moderna Stazione di Santi Cosma e

Damiano realizzata qualche anno fa dal Comune; e il

Presidente della Provincia, Armando Cusani, già ufficiale

dei Carabinieri, che a quella pratica ha impresso una

svolta ottenendo dal Ministero della Difesa il tanto atteso

provvedimento. Di più: Ad Angelo Di Tano la Provincia,

con la collaborazione del Comune di Santi Cosma e

Damiano, ha dedicato una stele in bronzo posta sulla

Anno I n° 1Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Angelo Di Tano

UN FISCHIO, UNA BOMBA, UN EROEUN FISCHIO, UNA BOMBA, UN EROE

N

Page 21: Provincia Latina n.1

21

Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Angelo Di TanoAnno I n° 1

parete esterna della Caserma. Come quella per Alfredo

Fusco e per Mario Musco, è stata realizzata dall’Antica

Fonderia Marinelli di Agnone. Accanto ad essa una targa

in marmo con la motivazione della Medaglia d’Argento al

Valor Militare alla memoria e l’intitolazione a Di Tano.

L’iniziativa è stata apprezzata con particolare

compiacimento anche dal nuovo Comandante Provinciale

dei Carabinieri Colonnello Leonardo Rotondi. Raggiunta

ad Oakland, California (Usa), dove vive da tantissimi

anni insieme al marito Benedetto, conosciuto nel 1960

durante le Olimpiadi di Roma, e ai figli Damiano Angelo,

Anna ed Ivana e tre bellissimi nipotini (Simona, Benedetto

ed Alessandra), Antonietta Di Tano, l’unica

figlia di Angelo, è finalmente felice e si

lascia andare ai ricordi appresi dalla

mamma, dai nonni, dagli zii che le

parlarono sempre “di questo uomo

che per me non era altro che un

sogno”. “Non ho mai avuto la

fortuna di conoscere mio padre -

dice - Mi ha potuto prendere in

braccio solo due volte e quando

nacqui gli diedero una licenza di tre

giorni. Era il 13 giugno del 1940,

l’Italia era appena entrata in guerra. I

Treni erano sempre in ritardo e quella

licenza per papà si ridusse a pochissime ore che

egli trascorse vicino al letto per non lasciare neanche un

attimo sia mia madre, che me. La seconda volta che ho

avuto la fortuna di essere presa in braccio da mio padre,

avevo solo un mese. Doveva partire per la guerra in

Albania”.

Era il 23 luglio del 1940. Negli anni precedenti, il

Carabiniere Angelo Di Tano aveva prestato servizio in

varie Legioni Territoriali e in Eritrea, dove, insieme ad altri

commilitoni e al suo comandante di plotone, il Tenente

Armando Valle si distinse in varie operazioni meritandosi

un encomio solenne: “Durante il ciclo operativo nella

regione del Cassem si prodigò instancabilmente in

fruttuose azioni di rastrellamento contribuendo con la sua

opera ad assicurare alla giustizia elementi pericolosi. 1°

giugno-5 luglio 1938”.

Il profumo della salsedine e la brezza dell’Adriatico

accompagnarono la notte insonne di Angelo nel tragitto

da Bari a Durazzo e verso quel destino senza ritorno che

si sarebbe compiuto quando Antonietta aveva cinque

mesi. Arrivato a destinazione, Angelo venne inquadrato

nel Battaglione Carabinieri Reali “Albania” costituito a

Tirana il 31 luglio 1940 (22 ufficiali, 71 sottufficiali e

500 militari) comandato dal maggiore Bruto Bixio

Bersanetti e sciolto il 13 dicembre successivo. Poco dopo,

egli venne assegnato alla seconda compagnia che, con le

altre, si distinse in operazioni militari molto brillanti a

Bregu e Vraces (5 novembre 1940), nella difesa di

Corizza (il 9 novembre) e per il disarmo del

battaglione “TOMORI” composto da

militari albanesi e interessato da

frequenti diserzioni. Per quest’ultima

operazione, ancora un

riconoscimento ma direttamente dal

comandante del Corpo d’Armata

“il quale volle fare accompagnare

l’encomio da una gratificazione da

ripartirsi tra i militari più

meritevoli”.

Poi, venne il giorno fatale. Era il 18

novembre del 1940, un lunedì. “Il

nemico – scrisse nel Diario Storico del

Battaglione, il colonnello addetto Gino Riccioni

– preme fortemente su tutto il fronte. Coriza è già sotto il

tiro delle artiglierie di medio calibro. Le popolazioni

italiane e gran parte di quella musulmana evacuano la

città. Il nemico attacca violentemente la posizione di

Guri i Capit tenuta dalla 2^ compagnia. Il combattimento,

con alterne vicende, dura tutto il giorno. Sull’imbrunire, il

nemico riesce a serrare sotto, ma viene ribattuto dal fuoco

preciso delle armi automatiche.

Il carabiniere Di Tano, estremo difensore dell’ala sinistra,

mentre falciava il nemico, colpito da una bomba di

mortaio muore con la sua arma infranta”.

“Mi hanno raccontato – riprende il racconto dalla sua

casa di Okland, la signora Antonietta – che papà,

quando aveva bisogno di qualcosa o d’aiuto, era solito

fischiare e, subito, le sorelle si precipitavano. Anche nel

Page 22: Provincia Latina n.1

22

Anno I n° 1

giorno e nell’ora in cui egli morì, una di loro, zia Giulia

corse concitata da sua madre, dicendo di aver sentito il

fischio del fratello: «Mamma, Angelo è finalmente tornato

dalla guerra», esclamò”.

Non era così. Il destino, oltre che amaro, è cinicamente

beffardo. Angelo era morto tra le pietraie di Guri i Capit

“per ferite multiple endocavitarie” e non sarebbe più

tornato per prendere in braccio la sua piccola Antonietta.

La notizia arrivò nel piccolo borgo di Santi Cosma e

Damiano alcuni giorni più tardi, lasciando sgomenti la

moglie Gilda, congiunti e conoscenti. “Per mia madre –

aggiunge Antonietta – fu una scossa tremenda e per un

anno non lasciò la casa materna. Il primo giorno in

cui mise piede fuori di casa andò al cimitero a

piangere sulla tomba del padre. Era

disperata, temeva di non farcela a

portarmi avanti da sola…” .

Ad Antonietta, nel frattempo cresciuta, la

madre Gilda, i fratelli e le sorelle di

Angelo dissero, con delicatezza, il vero,

dissero che il papà era un eroe, dissero

che il papà era morto per l’onore

dell’Italia e dell’Arma dei Carabinieri,

dissero che il papà era “molto bravo, gentile

e che aveva un cuore grande come il mare”.

“Pensi – spiega la signora Di Tano –

che uno degli zii mi raccontava

sempre tante storie ed in particolare teneva a ricordare

che con il suo primo stipendio da carabiniere, papà gli

comprò il primo paio di scarpe, e a sua cognata, che

aspirava a diventare insegnante, dava mensilmente dei

soldi per aiutarla negli studi”. E aggiunge: “d’estate, mi

piaceva andare a casa dai nonni di là dal fiume (il

Garigliano,n.d.r.), perché si mangiava al fresco sotto un

grandissimo albero di gelsi. Sapevo che anche mio padre

si era seduto sotto lo stesso albero per tanti anni e mi

sembrava di stare con lui: E’ stata molto dura la vita da

orfana, ma io sono orgogliosa del suo atto d’eroismo e ne

ho parlato costantemente ai miei figli. Quando guardo il

primogenito e paragono a lui la fotografia di papà vedo

una grande somiglianza. Mio padre è stato un esempio

ed un faro di luce per me, come lo sarà per i suoi

discendenti. Ora mia madre vive in Australia, con la sua

nuova famiglia, ma sono sicuro che non passa giorno in

cui non pensa cosa avrebbe potuto essere la sua vita con

papà”.

Ad aggiungere altri particolari è il prof. Almerindo

Ruggiero, dirigente scolastico di un istituto di scuola

media superiore in quel di S. Giorgio a Liri (Frosinone),

che è un cugino della signora Di Tano. “Mi pare – dice –

che Antonietta abbia dimenticato di aggiungere che

conserva gelosamente la medaglia d’argento al valor

militare alla memoria e che, di tanto in tanto, la tira fuori

per mostrarla ai suoi figli e nipoti. Inoltre lei,

giustamente, non ne ha parlato per pudore,

ma da ragazza e anche dopo,

specialmente quando tornava in vacanza

in Italia, spesso si è chiesta come forse

diversa sarebbe stata la sua vita se

un’assurda guerra non le avesse

portato via il padre. Questa domanda

se l’è fatta centinaia di volte ed è

rimasta sempre senza una risposta.

Forse – aggiunge il professor Ruggiero –

la risposta è proprio negli avvenimenti di

questi anni: il sacrificio del padre e le sue

sofferenze di bimba trovano un

significato profondo perché,

conservandone la memoria, divengano patrimonio di

valori condivisi di un popolo, delle vecchie e delle nuove

generazioni”. Alla fine della storia, Armando Cusani, il

giovane presidente che con le celebrazioni per la

medaglia d’oro conferita al Gonfalone della Provincia, ha

voluto fermare per sempre nella memoria l’esempio di

Angelo Di Tano accenna un sorriso e, con lo sguardo

pensoso, si allontana senza dire una parola. “Non ce n’è

bisogno”, dice con una voce improvvisamente strozzata.

Già, qualsiasi cosa è di troppo nella storia del

carabiniere Angelo Di Tano morto 66 anni fa a Guri i

Capit. Era il 18 novembre 1940, un lunedì. “Tempo

bello”, annotava il colonnello Riccioni nel Diario del

Battaglione Carabinieri Reali “Albania”.

Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Angelo Di Tano

La figlia di Angelo Di Tano

Page 23: Provincia Latina n.1

23

di DOMENICO TIBALDI

iso rigato dalle lacrime, Don Bordignon ne

stringeva al petto il corpo esanime, impartendo

con la mano destra l’ultima benedizione. Poi ne

prese il portafoglio e lo strinse tra le mani come una

reliquia. Più tardi , il cappellano militare l’avrebbe spedito

ai genitori, insieme ai pochi, intimi ricordi di quel figlio

esemplare: “Cippo 33”, Borgo Tellini, Fronte greco-

albanese, non molto lontano da Argirocastro. La scena è di

sessantasei anni fa e “racconta” l’ultima, estrema difesa

dell’avamposto che il Tenente Mario Musco teneva insieme

al plotone di fanti piumati del 5° Reggimento Bersaglieri-

24° Battaglione e al quale la Provincia dedicherà una stele

in bronzo nell’isola dove nacque: Ponza.

Nell’avere tra le mani, oggi, quel portafoglio perforato

dalle schegge di bombarda che stroncarono la vita

dell’ufficiale, toccare la bandiera che avvolse la cassetta

contenente i resti dell’ufficiale nel tragitto, avvenuto dopo il

1956, dal cimitero di guerra poco lontano da Argirocastro

al Verano, significa provare emozioni intense e irripetibili,

mentre quella medaglia d’oro al valor militare alla

memoria, la croce di guerra italiana e quella tedesca,

l’onorificenza di cavaliere custodite nella sobria teca in

legno al Museo Nazionale di Porta Pia a Roma, aiutano ad

immaginare un giovane, eroe suo malgrado, semplice,

buono, assennato e con uno spiccato senso dell’onestà e del

dovere espressi prima come funzionario di polizia, poi

come primo segretario di prefettura, infine da ufficiale dei

bersaglieri come la madre, Lucia De Rienzo, osservando

dall’alto di una terrazza dell’abitazione di Ponza

l’andatura marziale e le penne al vento della “vaira” (lo

speciale cappello a falda rotonda che si usa ancora nelle

parate) di un giovane ufficiale del Corpo di La Marmora

appartenente alla guarnigione sull’isola, avrebbe voluto

“vedere un mio figliuolo”.

Erano gli anni in cui l’Italia si apprestava a vivere il primo

dei due grandi orrori del Novecento: la Grande Guerra.

Nazzareno Musco e Lucia Di Rienzo avevano messo al

mondo Mario il 26 dicembre 1912 (“padrini furono –

annotò il parroco di Ponza, Don Giuseppe Vitiello –

Gaetano Ponto e sua moglie Angelina Pantinato”).

Raccontano i documenti - avuti grazie alla sensibilità

dell’avv. Franco Musco, oltre che del Museo di Porta Pia

diretto dal Ten. Col. Romano Alessandrini - che quella

donna esemplare non avrebbe provato la gioia del figlio

bersagliere, né il tormento per la sua perdita in battaglia:

un brutto male la rapì alla vita, quando Mario era ancora

in tenera età. Fu la signora Rosina Fiocca, donna altrettanto

colta e distinta, a prenderne il posto accanto a Nazzareno

trasferitosi a Roma negli anni dell’adolescenza di Mario,

colmando così il vuoto d’affetto lasciato dalla scomparsa di

una madre che mai fece rimpiangere, distribuendo amore e

sani insegnamenti in eguale misura allo stesso Mario e ai

suoi fratelli Arturo (Questore di Roma), Iolanda, Ugo

V

IL “SANTO” DAL CAPPELLO PIUMATOIL “SANTO” DAL CAPPELLO PIUMATO

Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Mario MuscoAnno I n° 1

Page 24: Provincia Latina n.1

24

Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Mario Musco Anno I n° 1

Corrado (diventato Generale), Gabriele (nel 1970 aveva il

grado di Maggiore) e Laura.

Un ragazzo modello

Il giovane crebbe nella serenità, affermandosi presto “per

vivacità d’ingegno, serietà di studi, austerità di costumi,

fermezza di carattere ed elevato senso del dovere in ogni

suo compito”. Terminate le medie superiori in quel Liceo

«Torquato Tasso» che intitolò alla sua memoria la sala di

ginnastica, Mario Musco intraprese gli studi universitari di

giurisprudenza per laurearsi a pieni voti ad appena 21

anni. Nel frattempo, il giovane isolano non aveva trascurato

il servizio militare. A lui non dissero mai del desiderio di

mamma Lucia, ma appena dopo la Scuola Allievi Ufficiali

di Complemento a Milano, eccolo, quasi fosse predestinato,

al 2° Reggimento Bersaglieri.

Era il 17 novembre 1932. Due anni di leva, il congedo,

richiamato per l’addestramento il 29 settembre 1935

presso il 1° Reggimento Bersaglieri, ancora in congedo, di

nuovo alle armi presso il 5° reggimento Bersaglieri in Siena

con il grado di tenente. Era il primo giugno del 1940,

ancora nove giorni e “gli otto milioni di baionette”

sarebbero finite nel vortice della seconda tragedia del

Novecento: un’altra Guerra Mondiale, ancor più crudele e

devastante della prima. Il 28 settembre di quell’anno, ecco

il dispaccio del Ministero della Guerra: Mario deve partire

per raggiungere il 5° reggimento sul fronte greco-

albanese. Appena il tempo di salutare i genitori e i fratelli,

l’imbarco a Bari il 5 ottobre, l’arrivo a Durazzo il giorno

successivo, il ricongiungimento ai suoi bersaglieri il 7

ottobre.

Tra il servizio militare universitario, il servizio di

complemento e i frequenti richiami per l’addestramento,

Mario Musco ebbe il tempo di vincere due concorsi indetti

dal Ministero dell’Interno: come vice commissario di Polizia

a Roma nel 1935, poi come funzionario di prefettura a

Firenze dove conseguì, ad appena 26 anni, il grado di

Primo Segretario.

Una nota del Dicembre 1935 del Comando Agenti di P.S.

descrive Mario Musco così: “….Di ottima condotta,

disciplinato, dotato di ampia e superiore cultura generale e

giuridica……...è di carattere franco e leale, di animo mite

ma fermo ..è molto serio ed ha tratto corretto e signorile

…sa ben trattare, dirigere, indirizzare, istruire gli inferiori

sui quali ha molto ascendente”. Tre anni più tardi – era il 20

maggio – il Prefetto di Firenze proponeva per lui la

concessione dell’onorificenza di Cavaliere della Corona

d’Italia, definendolo “ottimo funzionario ed un elemento

prezioso sul quale si può contare moltissimo anche in

circostanze eccezionali. Le sue qualità intellettuali e

personali lo renderanno indubbiamente meritevole di

ascendere presto ai maggiori gradi della carriera”.

La partenza per il fronte

La guerra non permise quel luminoso futuro

nell’amministrazione dell’interno pronosticato dal Prefetto.

La stanza delle Medaglie d’Oro al Museo dei Bersaglieri di Roma

Page 25: Provincia Latina n.1

25

Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Mario MuscoAnno I n° 1

C’era un dovere da compiere per Mario e in quel dovere

egli aveva incluso rischi, disagi, ogni genere di sacrificio,

compreso quello della vita. Con molta serenità lo disse,

poco prima di partire alla volta di Durazzo, a papà

Nazzareno che gli raccomandava prudenza. Giunto al 5°

Reggimento e assegnato al 24° Battaglione – 6^

compagnia si distinse nella battaglia del 5 novembre al

ponte di Kalamas e in quella del 19 sulla rotabile di

Argirocastro. Ma Mario non amava parlarne nei brevi

scritti dal fronte diretti ai genitori. Luigi Stazi, primo

maresciallo dei Bersaglieri in servizio prima alla Brigata

“Garibaldi” ed oggi al Museo Nazionale di Porta Pia,

mostra quelle lettere e quei biglietti che il giovane ufficiale

di Ponza scriveva soprattutto per dare loro

tranquillità. “Siamo da alcuni giorni in zona

di operazioni – annotava in uno di essi

con una matita blu il tenente Musco

- ed abbiamo avuto il battesimo

del fuoco. Ora però sono

comandante di un piccolo

presidio fuori dei tiri – quindi

non vi preoccupate di

me………”. “…nel nostro

settore da alcuni giorni c’è calma

– aggiungeva in un altro biglietto –

Io ho partecipato ad alcuni

combattimenti ….siamo ormai dei

veterani e non ci fanno più impressione le

pallottole ed il rombo dei motori. Ho anche in corso

una proposta per una ricompensa al valore……”. Quando

i brevi silenzi dei cannoni e delle mitraglie lo permettevano,

Mario Musco era leggermente più prolisso. Come in questa

lettera: …….oggi il nostro reparto è passato in seconda

linea….Un mese di guerra in primissima linea, che come

avrete appreso dai giornali, è dura, ha messo alla prova i

reparti dei bersaglieri che si sono mostrati, come sempre,

magnifici per resistenza e ardimento. Sono stati impiegati

dovunque…….ma abbiamo superato tutte le fatiche e le

ansie per lo spirito che ci anima…”. E, più avanti, una

riflessione: “Questa guerra è stata per il mio sistema

nervoso una prova di bomba….Non solo ho sopportato le

fatiche senza risentirne affatto; anzi mi sento meglio di

prima, ma mi sono meravigliato con me stesso, per la

calma, tranquillità e sangue freddo che ho conservato in

ogni circostanza”.

Il contrassalto fatale

Poi venne il momento dell’ultimo assalto. Era il 26 novembre

1940. Quel giorno, Mario Musco era alla guida di una

compagnia dislocata su un caposaldo di Borgo Tellini,

considerato importantissimo per le sorti dell’intero 5°

reggimento. Lui e i suoi bersaglieri si batterono lealmente e

con coraggio contrastando in ogni mondo l’offensiva greca.

Non solo essi diedero vita a “superba resistenza”, ma

contrattaccarono continuamente, ristabilendo “una

situazione decisamente compromessa”.

Mario Musco e i pochi bersaglieri

rimasti ce l’avevano fatta ancora

una volta, ma proprio nel

momento in cui i greci avevano

iniziato il ripiegamento, ecco

quel colpo di bombarda fatale

per il giovane ufficiale che

cadde “sull’arma da lui stesso

manovrata”. Ricorda Egidio

Lavoratori, operaio al servizio del

Genio militare, in un’altra delle

tantissime lettere ricevute da papà

Nazzareno, di avere appreso dai bersaglieri

“che il tenente Musco era l’ufficiale più amato di tutto

il battaglione……il giorno in cui cadde, tutti gli ufficiali e

soldati piangevano, era un valoroso come ufficiale e un

angelo come uomo”. Lo conferma lo scritto del cappellano

militare Don Bordignon : “conoscevo troppo bene il tenente

Mario, ancora da quando eravamo al campo attendati, per

non ricordarlo con rimpianto. Era sempre lui: mi riceveva,

compitissimo, nella sua tenda, sorriso sulle labbra, poche e

misurate parole, perfetto signore…” Lo stesso cappellano,

durante le funzioni religiose al campo, indicava il giovane

ufficiale di Ponza come “un Santo Eroe che aveva scritto

una delle più belle pagine d’oro nella storia della Patria. I

suoi bersaglieri (….) lo adoravano come un Dio”.

Page 26: Provincia Latina n.1

26

Medaglia d’Oro - Le Steli della Memoria: Mario Musco Anno I n° 1

Queste parole suscitarono commozione in un giovanissimo

Sottotenente del Genio di cognome Bournes che, alcuni mesi

dopo quel 26 novembre , incaricato di eseguire lavori dalla

parte di Borgo Tellini, si sentì in “dovere di sistemare nella

maniera più dignitosa la tomba” di Mario Musco “

proteggerla dai danni delle intemperie e conservarla finchè

non potrà essere trasportata in Patria”. Il Ten. Col. Romano

Alessandrini e il Primo Maresciallo Luigi Stazi ne mostrano

le immagini , insieme a quelle successiva del piccolo cimitero

di guerra di Argirocastro dove la

salma del giovane fu traslata

qualche anno più tardi,

prima di tornare in

Italia dopo un’attesa

durata più di

trent’anni. I famigliari

di Mario Musco

consegnarono tutti i

cimeli e i ricordi,

compresi gli atti

i n e r e n t i

a l l ’ in t i to laz ione

alla memoria del

congiunto del

molo di

Ponza, di

u n a

via in Roma, della Sezione provinciale di Latina dell’Unione

Nazionale Ufficiali in Congedo, di una targa nella Prefettura

di Firenze, al Museo Nazionale dei Bersaglieri il 26

novembre del 1970, nel trentesimo anniversario della morte.

Dodici anni più tardi (la lettera è del primo giugno 1982), un

nipote, l’avvocato Mario affidò al Museo la custodia

definitiva della sciabola appartenuta allo zio.

A Ponza, il nome di Mario Musco è ricordato dai più

anziani, ma i giovani non sanno nulla di lui e della sua

esistenza. E’ così anche altrove. “Il tempo – riflette il

Presidente della Provincia Armando Cusani – lenisce il

dolore, ma rischia di cancellare esempi di grande valore

educativo come quello di Mario Musco. La storia di questo

giovane, esemplare studente, ufficiale e funzionario dello

Stato va testimoniata e raccontata ai più giovani perché il

recupero della memoria costituisce un momento determinante

nella costruzione di una società migliore e all’insegna della

pace”. Ecco il progetto della stele in bronzo in corso di

realizzazione presso la Fonderia Marinelli di Agnone e della

mostra che saranno inaugurati a Ponza il 14 aprile 2007, in

una cerimonia alla quale sarà presente, tra l’altro, un reparto

d’onore della Brigata Bersaglieri Garibaldi, attualmente in

Iraq, quegli stessi fanti piumati che di Musco proseguono il

valore e la tradizione nelle missioni di pace che da più di

dieci anni svolgono sullo scacchiere internazionale. Il

Sindaco di Ponza Pompeo Rosario Porzio e l’Assessore

Musella apprezzano e condividono l’iniziativa della

Provincia: “sarà un giorno della memoria che l’isola non

dimenticherà mai”.

La stele sarà collocata sul molo che prende il nome di Musco,

mentre la mostra che si spera di allestire insieme all’Archivio

di Stato e al Museo Nazionale dei Bersaglieri sarà ospitata

per sempre nel museo civico dell’isola che il giovane ufficiale

lasciò appena adolescente verso un destino luminoso. Fino a

quel giorno terribile del 26 novembre 1940, a “Cippo 33”,

Borgo Tellini, fronte greco-albanese.

Page 27: Provincia Latina n.1

27

Medaglia d’Oro - La collana editoriale “Per non dimenticare”Anno I n° 1

di ROBERTO BOIARDI

a Casa editirice “HE - Herald Editore” di Roma,

facente parte dell’azienda “I.P.I. – Informazione

Promozione Immagine”, si impegna da alcuni anni

nella realizzazione di prodotti editoriali legati sia a

progetti, manifestazioni ed eventi di carattere socio-

culturale anche in collaborazione con Enti Locali e varie

istituzioni territoriali, sia in ricerche e studi di carattere

scientifico al fine di diffondere cultura e conoscenza.

Essendo inoltre particolarmente attenta e impegnata nel

sociale, la Casa editrice, in collaborazione con

l’associazione culturale no-profit G.I.S.CA. (Gruppo

Italiano Scuola Carceraria) e la Cooperativa sociale a r.l.

Infocarcere, promuove il recupero e il reinserimento di

individui socialmente deboli e di soggetti appartenenti alle

cosiddette categorie svantaggiate quali detenuti, ex-

detenuti, donne sole con bambini a carico, donne che

hanno subito violenze, ecc.

Nell’ambito delle varie iniziative promosse dalla nostra

Casa editrice, lo scorso anno ha visto la luce in particolare

la collana “Per non dimenticare” con un intento ben

specifico: portare a conoscenza dei cittadini, ed in

particolare delle giovani generazioni, episodi legati a

vicende di forte impatto sociale che hanno caratterizzato

un’epoca ormai lontana, i cui aspetti salienti altrimenti

correrebbero inevitabilmente il rischio di perdersi nel più

oscuro oblio, di venire irrimediabilmente inghiottiti

nell’abisso inesorabile del Tempo. Pertanto essa non ha

trascurato la disamina dei tragici avvenimenti che hanno

drammaticamente solcato il secolo scorso, ma ha inteso

riproporli secondo un taglio ed uno spirito del tutto

peculiari, ove non si impongono all’attenzione del lettore le

grandi manovre strategiche né i classici scenari tipici dei

manuali di storia, ma occupano la ribalta le testimonianze

dirette di un’umanità modesta, lacerata e straziata dalla

realizzazione dei folli disegni di potenza perpetrati da

governanti dispotici e spietati. Le vicende degli eroi

sconosciuti, infatti, l’eroismo della quotidianità,

costituiscono la quinta davanti alla quale si rappresenta la

grande storia, quella dei politici e dei generali. Tuttavia,

così come la vita è unica, per cui la morte non è mai di

massa, ma è sempre un evento individuale, allo stesso modo

anche i dolori sono unici e inconfondibili per chi li ha

vissuti, per quanto simili possano apparire i fatti narrati. In

questo senso le testimonianze dirette o indirette che

abbiamo raccolto rappresentano un dono prezioso che ci è

stato fatto e che abbiamo voluto a nostra volta allargare ad

altri. Non è solo voglia di storicizzare, documentare o

LA BANCARELLA DEI LIBRI DELLA MEMORIALA BANCARELLA DEI LIBRI DELLA MEMORIA

L

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2828

Medaglia d’Oro - La collana editoriale “Per non dimenticare” Anno I n° 1

rammentare, ma è soprattutto desiderio di ripercorrere col

ricordo un difficile cammino, perché attraverso la sua

durezza si possa apprendere a cercare altre strade per

scrivere le pagine della storia.

La collana “Per non dimenticare” andrà annoverando

soprattutto scritti ad andamento quasi diaristico, nei quali

gli autori hanno messo a nudo esperienze patite nello spirito

e nella carne, lacerazioni e forzate separazioni sofferte dai

loro nuclei familiari, vicende altamente drammatiche di

profondi sconforti e di speranze tragicamente sconvolte.

Resoconti accorati, ove è privilegiata un’angolazione

‘locale’, che restituiscono con piena aderenza ai fatti

l’autentica storia di come la gente, i civili vissero le diverse

fasi della guerra, non esclusi i momenti di ritrovata, fraterna

solidarietà umana.

È un’operazione non facile, perché spesso i protagonisti

delle “storie”, proprio per il loro diretto coinvolgimento,

manifestano una sorta di pudore, di riservatezza e hanno

reticenza a parlare, anche per non rivivere la sofferenza

patita. Spesso capita che abbiano rimosso gli episodi più

dolorosi della loro vita e, quindi, ne ricordano soltanto

frammenti e flash che faticano a ricostruire e a narrare.

Accanto a tutto ciò, figureranno nella collana anche

rappresentazioni di vicende che documenteranno i profondi

mutamenti sociali che hanno intaccato in maniera incisiva,

e talora irreversibile, comunità e tradizioni secolari; e

inoltre odissee individuali contrassegnate da fasi

particolarmente infelici ma riabilitate da una mai dimessa

propensione alla speranza ed al riscatto morale e materiale

infine conseguito.

Alla nostra proposta editoriale non mancherà neppure la

collaborazione diretta di nuclei di scolaresche impegnatesi

in indagini locali tese al recupero del passato. Pregevoli

iniziative indubbiamente queste ultime che alimentano e

vivificano il percorso della memoria e instillano nelle ultime

generazioni una solida coscienza storica che ne agevolerà

il culto dell’Amor patrio, della Pace tra gli uomini e

dell’irrinunciabile passione per la Libertà.

Si ricordi, infatti, che: “chi non fa memoria, è condannato

a rivivere la storia nelle sue manifestazioni le più tragiche e

le più disumane”, come ebbe ad affermare il 16 ottobre

2003 a Roma il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio

Ciampi, ricordando la razzia del ghetto ebraico del 1943.

Per promuovere i libri della memoria e sollecitare persone

che hanno diari e storie di particolari eventi a renderli noti

al grande pubblico affinché questo immenso patrimonio

storico e umano non vada disperso, è stata ideata

l’iniziativa denominata la “Bancarella della memoria” che si

è inaugurata il giorno 6 agosto 2006 a Campodimele in

occasione della manifestazione “Incontri con gli scrittori”

organizzata dal Comune. Una sorta di tour itinerante della

cultura storica, che toccherà tutte le province del Lazio, in

cui si contatteranno gli amministratori locali, entrando in

contatto con i ricercatori di storia locale e parlando con

persone che hanno vissuto in prima persona episodi che

sono rimasti impressi nella memoria caratterizzando la loro

esistenza.

È infine con particolare orgoglio che annunciamo

l’avvenuto accordo di collaborazione con la Provincia di

Latina in merito alla pubblicazione di libri selezionati dalla

stessa Provincia i quali escono con il Logo dell’Ente e la

presentazione del Presidente Armando Cusani.

Un sentimento di orgoglio che ci riporta a quello provato nel

ricevere il telegramma da parte dell’ex Presidente della

Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, con cui si

complimentava della nostra iniziativa editoriale su “La

Bandiera Italiana”, rivolta alle scolaresche proprio per non

disperdere gli ideali della patria ed ideata per rispondere

all’auspicio dello stesso Presidente di far sì che in ogni

famiglia fosse presente il nostro amato Tricolore.

Page 29: Provincia Latina n.1

29

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Fronte del Garigliano 1944

di DUILIO RUGGIERO

enerdì 12 maggio 1944, ore 18.30. La 10a

Compagnia del capitano Louisot, del 3°

battaglione del 4° reggimento Tiragliatori tunisini,

dopo averne snidato i soldati tedeschi che vi si erano

asserragliati per una estrema difesa, occupava le prime

case di Castelforte poste sul lato orientale del paese.

Castelforte, una delle pietre angolari del fronte fortificato

tedesco, era il primo obiettivo da raggiungere nell’offensiva

degli Alleati iniziata alle ore 23.00 dell’11 maggio.

Occupata da un nemico valoroso, ben deciso a difendersi e

impegnato a mantenerlo a qualsiasi costo.

A questo bastione naturale il genio militare tedesco aveva

apportato integrazioni e miglioramenti che ne avevano

maggiormente rafforzato le difficoltà per espugnarlo e

conquistarlo.

I tedeschi del generale Raapke, battezzarono la posizione

fortificata degli odierni Comuni di Castelforte e SS. Cosma

e Damiano “la piccola Cassino” ed i suoi difensori ne

menavano vanto: un castello forte, una vera fortezza, un

bastione, una piazzaforte.

I tedeschi consideravano questa posizione così forte e

vantaggiosa che avevano finanche disdegnato di occupare

di fronte all’abitato, il fondo valle sino alle rive del

Garigliano dove, però, crearono una palude di mine.

Gli abitati di Castelforte e SS. Cosma e Damiano, allora

uniti in un solo Comune, Castelforte appunto, erano difesi

dal 2° battaglione del 194° reggimento della 71a divisione

fanteria tedesca, che resistette accanitamente agli attacchi

dei reparti della 3a Divisione Algerina.

Per Juin, comandante del Corpo di Spedizione Francese,

schierato in questo settore, la conquista di Castelforte era di

Anno I n°1

L’URLO E IL SILENZIO DELLA «PICCOLA CASSINO»L’URLO E IL SILENZIO DELLA «PICCOLA CASSINO»

V

Page 30: Provincia Latina n.1

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Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Fronte del Garigliano 1944 Anno I n° 1

una imperiosa necessità per l’insieme della manovra del

piano predisposto dal Comando Francese.

Improvvisamente, la situazione di Castelforte si chiarì con la

conferma del successo del capitano Louisot.

Un’avanzata difficile

All’inizio dell’ offensiva, il 4° reggimento Tiragliatori

Tunisini e i Raggruppamenti blindati di Lambilly e di

Dodelier, cui era stata affidata la conquista di queste

posizioni, incominciarono la loro marcia di avvicinamento

a SS.Cosma e Damiano e a Castelforte con difficoltà.

L’avanzata era stentata, gli attaccanti venivano investiti dal

fuoco nemico di fronte e di fianco e solo dopo violenti

scontri, anche all’arma bianca, riuscirono ad aver ragione

dei difensori.

L’operazione «Diadem» scattata alle ore 23.00 dell’11

maggio avrebbe portato allo sfondamento della Linea

Gustav, proprio a Castelforte e SS.Cosma e Damiano ad

opera delle truppe del C.E.F., determinando il crollo delle

difese tedesche su tutto il fronte Garigliano-Cassino.

L’Armata Francese del generale Juin comprendeva la 2a

Divisione Fanteria Marocchina agli ordini del generale

Dody, la 4a Divisione Marocchina da Montagna

comandata dal generale Sevez, la Prima Divisione Francia

Libera del generale Brosset, la 3a Divisione Fanteria

Algerina (truppe algerine e tunisine), comandata dal

generale de Monsabert e i Goums marocchini agli ordini

del generale Guillaume. Nella fase iniziale del suo impiego

in Italia la consistenza del C.E.F. era di circa 65.000

uomini; durante le battaglie di Cassino e del Garigliano

passò a 112.000 effettivi ed alla fine del maggio 1944

raggiunse i 130.000 uomini, di cui 12.000 goumiers.

Erano soldati in gran parte provenienti dal Nord Africa con

alla testa ufficiali quasi tutti francesi, quadri di prim’ordine,

comandante capace, valoroso, dinamico; generali provetti

e tutti animati d’amor patrio e ben preparati

professionalmente.

Per i tedeschi la grande sorpresa fu lo spirito combattivo di

queste truppe, dopo l’ombra sinistra della disfatta da loro

subita nel 1940.

Dal marzo alla vigilia dell’offensiva di maggio, i francesi

sostituirono nel corso superiore del Garigliano le truppe

inglesi. Il comando alleato era molto scettico sull’impiego

delle truppe francesi specialmente sui Monti Aurunci dove

era assolutamente impossibile l’impiego degli imponenti

mezzi di un esercito moderno.

Oltre una schiacciante superiorità aerea e il dominio

assoluto del cielo, anche sulle linee del fronte era notevole

la sproporzione delle forze in uomini e mezzi. Per due

settimane di seguito (notte e giorno) dal 27 aprile al 5

maggio 1944, vennero accumulati nella testa di ponte del

Garigliano quantità tali di munizioni, di vettovagliamenti,

combustibili, attrezzature, per permettere alle truppe

operanti sullo scenario un’autonomia di quattro giorni.

Sul fronte di Castelforte e degli Aurunci era schierata,

integrata da altri diversi reparti, la 71a Divisione del

generale Raapke, fanatico ancora convinto della vittoria

della Germania nazista, e autore della direttiva emanata ai

suoi uomini di resistere sino all’ultimo.

Al sorgere del sole del giorno 12, dopo sei ore di accaniti

combattimenti, le notizie non erano affatto buone. Solo il

Faito era stato conquistato in seguito a duri scontri e con

pesanti perdite. Altrove, ovunque, l’avanzata era stata

bloccata su tutto il fronte.

Alle ore 4.00 del 13 maggio, dopo un intenso

cannoneggiamento di oltre tre quarti d’ora dell’artiglieria

del C.E.F. rafforzata da un raggruppamento americano, i

combattenti francesi ripresero l’attacco alle posizioni

tedesche sui Monti Aurunci. Malgrado la violenta reazione

tedesca alle ore 11.30 del 13, il Monte Feuci veniva

conquistato come poco prima erano stati conquistati il Colle

Cerasole e il Monte Girofano. Alle ore 15.00 veniva

occupato Monte Maio, sommità principale, punto forte,

vitale, strategico della difesa tedesca, precipitosamente

sgomberato dal nemico in rotta.

I tedeschi che avevano resistito vittoriosamente a

Castelforte, sul Cerasole e sul Girofano, credendo di aver

scongiurato il pericolo di sfondamento della loro linea,

erano stati battuti dalle truppe francesi.

Gli attacchi dei giorni 11, 12 e 13 maggio aprirono una

breccia larga nove chilometri e profonda sei nella linea

Gustav.

La rottura del fronte che aveva resistito per quasi sei mesi,

per l’armata francese fu il successo tattico determinante

Page 31: Provincia Latina n.1

31

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Fronte del Garigliano 1944Anno I n° 1

della vittoria degli Alleati in Italia. L’audace sfruttamento

strategico del generale Juin fece crollare tutto il fronte

germanico e condusse le armate alleate a Roma e poi a

Firenze.

Il II Corpo d’Armata US. che aveva sostituito il X C.A.

Britannico era schierato da S.Lorenzo in Castelforte al

mare, alla sinistra del Corpo di Spedizione Francese.

Comandato dal maggior generale Goffrey S. Keyes,

comprendeva l’85a Divisione fanteria (chiamata divisione

“Custer”) agli ordini del generale J.B.Coulter e l’88a

Divisione “Buffalo” del generale J.E.Sloan, oltre al 1°

Gruppo corazzato. Erano truppe appena arrivate dagli

Stati Uniti e non avevano ancora partecipato ad operazioni

belliche.

Appena iniziata l’offensiva dell’11 maggio, gli americani

progredirono sensibilmente sulle alture di SS.Cosma e

Damiano, conquistando Monte Cianelli e il villaggio di

Ventosa, occupato alle ore 14 del 12 dal 350° reggimento.

Si scontrarono invece con le difese tedesche poste a

copertura delle frazioni Pulcherini e S.Maria Infante nella

zona di Minturno. L’abitato di S.Maria Infante, difeso del 1°

battaglione del 267° reggimento (94a Divisione) e dal 94°

battaglione della 71a Divisione, venne attaccato dal 2°

battaglione del 351° reggimento fanteria dell’88a Divisione

US, appoggiato dal 1° e 3° battaglioni. Questo centro nel

corso dell’offensiva fu perduto e riconquistato dai tedeschi

per ben 17 volte e solo alla sera del 14 maggio gli

americani riuscirono ad occuparlo definitivamente. Durante

i combattimenti per il possesso di questa borgata

completamente distrutta, entrambe le parti subirono

pesantissime perdite ed alla fine i tedeschi superstiti furono

solo cinque, benché nelle ore precedenti avessero fatto

prigioniero un intero battaglione americano.

Un forte appoggio alle truppe americane venne dal fuoco

degli incrociatori HMS Did, Brooklin e Philadelphia, che a

turno si avvicinavano alla spiaggia per bombardare le

posizioni tedesche e le loro retrovie non raggiungibili

dall’artiglieria terrestre alleata.

Il generale De Gaulle, Presidente provvisorio della

Repubblica Francese, arrivato in Italia il 17 maggio 1944,

visitò la zona della battaglia il 18 maggio, accompagnato

dal generale de Lattre de Tassigny, comandante dell’Armata

B), dal generale Bèthomart, capo di Stato Maggiore della

Difesa Nazionale e da André Diethel, Commissario alla

Difesa del governo provvisorio francese. Dopo una breve

sosta tra le rovine di Castelforte, si recò al fronte di Esperia

e dal comando avanzato del generale De Monsabert, nei

pressi di S.Oliva, seguì direttamente i combattimenti delle

truppe francesi. Presso il quartiere generale francese ad

Ausonia ebbe le congratulazioni del generale Clark per

l’ardore e la combattività delle truppe di Juin. E, nella stessa

giornata, prima di rientrare ad Algeri, visitò nella zona di

S.Clemente la 2a Divisione marocchina vincitrice dei Monti

Aurunci e poi le formazioni sanitarie di M.me Catroux,

della contessa du Luart e di Lady Spears.

L’Attacco di gennaio dei «tommies»

La vittoria degli Alleati sul Garigliano nel maggio 1944, fu

Goumiers marocchini attraversano il Garigliano

Page 32: Provincia Latina n.1

32

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Fronte del Garigliano 1944 Anno I n° 1

possibile principalmente per i risultati della prima offensiva

avvenuta il 17 gennaio precedente .

Tra la metà di gennaio e i primi di febbraio del 1944 si

ebbero due tentativi di sfondare la Linea Gustav: nei pressi

di Cassino e sul Garigliano. Completamente fallito quello

nella zona di Cassino, si ebbe un parziale successo solo nel

settore del Garigliano che portò alla creazione della testa di

ponte nel territorio dei comuni di Castelforte e di Minturno.

L’offensiva alleata del gennaio 1944, genialmente

concepita e meticolosamente organizzata, anche se nel

quadro generale della condotta della guerra in Italia, non

aveva raggiunto completamente gli

obiettivi, con l’azione di forzatura del

Garigliano e la conseguente

costituzione di un’ampia testa di ponte,

è da ritenersi che abbia raggiunto

ugualmente un risultato positivo per le

favorevoli condizioni create per il

successivo attacco della primavera in

questa zona.

L’Attacco di gennaio alla «Gustav»

Queste operazioni, eseguite dal X

Corpo d’Armata Britannico, presero il

nome di Panther .

Il Corpo Britannico, facente parte della

V Armata Alleata, comprendeva la

56a Divisione Fanteria comandata dal maggior generale

Gerald W.R.Templer, la 46a Divisione Fanteria comandata

dal maggior generale J.L.I. Hawhesworth e la 23a Brigata

Corazzata comandata dal brigadiere generale

R.H.E.Arkwright, tenuta in riserva nella zona di San Carlo-

San Martino alle falde dei monti di Roccamonfina. Alla

vigilia dell’inizio delle operazioni vi era stata aggiunta la

5a Divisione Fanteria comandata dal maggior generale

Gregson Ellis, rilevata dal settore adriatico che durante la

notte tra il 15 ed il 16 gennaio 1944, con tutta segretezza

e molta precauzione , si spostò nel settore costiero a cavallo

della strada nazionale Appia e tra questa ed il mare,

schierandosi a poca distanza dal Garigliano.

Il Corpo d’Armata Britannico, comandato dal tenente

generale Richard McCreery, aveva raggiunto il fronte del

Garigliano il 2 novembre 1943 e fino al 15 successivo i

suoi reparti avevano gradualmente preso contatto con le

prime posizioni tedesche. Erano soldati che avevano

partecipato alla battaglia di El Alamein, alla campagna

libica e tunisina contro le truppe italo germaniche ed allo

sbarco di Salerno avvenuto l’indomani della firma

dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati dell’8 settembre 1943.

Il fronte del Garigliano che costituiva l’ala destra del XIV

Corpo Corazzato tedesco, comandato dal generale Fridolin

Von Senger und Etterlin, era tenuto dalla 94a Divisione

Fanteria del maggiore generale Bernard Steinmetz con

posizioni di resistenza nelle colline di

Castelforte e Minturno che avevano

davanti una zona pianeggiante quasi

tutta minata e con avamposti, anche in

riva sinistra del fiume in territorio di

Sessa Aurunca, occupati dal 194°

battaglione di ricognizione della

medesima divisione e che costituivano

la Linea Burkhard.

Questa divisione era schierata in un

settore considerato secondario ma

sicuro dal comando tedesco, però

esposto sia ai cannoneggiamenti

terrestri che ai bombardamenti navali

ed a possibili sbarchi. Oltreché

difendere il Garigliano aveva anche il

compito di proteggere la costa del Golfo di Gaeta-Formia,

ritenuta punto di probabili sbarchi alleati. Le sue posizioni

erano state difese da 24.000 mine poste sulle rive del

Garigliano e lungo le coste. In questa zona, gli uomini della

94a Divisione, erano schierati lungo il Garigliano sino a

sud di Sant’Andrea Vallefredda (oggi Sant’Andrea sul

Garigliano). Il 274° reggimento presidiava il settore di

Minturno dalla costa al torrente Ausente (il 1° battaglione

nella zona Scauri-Monte d’Argento, il 3° intorno a Minturno

e Tremensuoli, il 2° in riserva nella zona di S.Vito- S.Maria

Infante. Nella zona di Castelforte era schierato il 276°

reggimento (il 1° battaglione tra Monte Castelluccio e

Monte Purgatorio alle spalle dell’abitato di Suio); il 2°

battaglione tra gli abitati di Suio e di Castelforte-SS.Cosma

e Damiano, Ventosa, S.Lorenzo sino al torrente Ausente; il

Bernard Steinmetz

Page 33: Provincia Latina n.1

33

3° battaglione tenuto in riserva nella sona di Ceracoli. Il 3°

battaglione del reggimento (367°) presidiava la costa da

Scauri a Terracina.

Le istruzioni del piano del generale Clark, comandante

della V armata alleata, stabilivano che l’obiettivo della 5a

divisione britannica era Minturno con la frazione Tufo e

aprire la valle dell’Ausente. Quello della 56a divisione

invece era quello di conquistare la roccaforte di Castelforte,

mentre la 46a divisione doveva attraversare il Garigliano a

S.Ambrogio per appoggiare il 2° Corpo d’Armata USA il

cui attacco sul basso Rapido era previsto per il 20 gennaio.

Con una vigorosa penetrazione nella

Valle dell’Ausente in direzione di

Ausonia e S.Giorgio a Liri, gli Alleati si

proponevano la destabilizzazione

delle forze tedesche sulla parte

meridionale della Linea Gustav.

La 5a divisione britannica attaccò

senza preparazione di artiglieria

sorprendendo la 94a divisione

germanica.

Ogni divisione iniziò l’attacco con due

brigate.

Il 2° Royal Scots Fusilier della 17a

brigata aveva la missione della

conquista di Monte d’Argento, una

modesta altura sul mare a circa due

chilometri dal capoluogo Minturno, fortificata dai tedeschi

che col fuoco delle loro armi potevano battere tutto il corso

del Garigliano dall’Appia alla foce. L’operazione riuscì

parzialmente perché i mezzi anfibi impiegati, partiti dalla

base di Mondragone, ad una ventina di chilometri di

distanza, nell’oscurità sbagliarono rotta e sbarcarono alle

spalle della linea alleata. La resistenza accanita dei tedeschi

nella zona di Monte d’Argento arrestò qualsiasi ulteriore

avanzata lungo la costa verso Scauri e sulla destra verso

l’interno del territorio minturnese.

Il 2° Wilthire della 13^ brigata attraversò il Garigliano

nella località Grottelle, seguito dal 2° Royal Inniskilling, al

quale non era riuscito il passaggio del fiume più a nord a

causa della reazione nemica, che puntava sulla Masseria

Pantanello in territorio di Castelforte , diretto a Tufo e con la

missione di occupare Minturno, per proseguire poi verso

S.Maria Infante e Tremensuoli e le alture che dominano tali

località.

Tufo venne occupata il 19 gennaio ma venne subito

riconquistata dai tedeschi con un poderoso contrattacco.

Nella sera venne conquistata Minturno e fortemente difesa

contro gli attacchi tedeschi che cercavano di rioccuparla.

Solo il 23 gennaio Tufo venne stabilmente occupato. Il

giorno 29, con l’appoggio del fuoco dell’incrociatore

Penelope e del cacciatorpediniere Inglefield, il 6° Granadier

Guards e il 3° Coldstream Guards della 201a brigata

ripresero l’offensiva nella zona di

Tremensuoli ed il 30 conquistavano a

nord ovest del paese tutto il complesso

collinare di Monte dei Pensieri.

La 5a Divisione Britannica per la

spossatezza dei suoi reparti che si

erano impegnati e battuti

strenuamente, dopo queste azioni ed

avere sostenuto duri contrattacchi

nemici, prese a stabilizzare le posizioni

occupate difendendole dagli accaniti e

ripetuti tentativi di riconquista da parte

dei tedeschi. Non potendo

intraprendere ulteriori operazioni di

avanzata, le truppe inglesi rimasero

sulla difensiva sino alla loro

sostituzione da parte degli Americani alla vigilia

dell’offensiva di maggio.

Nel settore di Castelforte e Suio, le operazioni erano state

affidate alla 56a divisione del generale Templer che attaccò

con due brigate ed avevano come obiettivo di conquistare

i due centri abitati di Castelforte e Suio ed occupare i rilevi

che li circondavano con le zone elevate che dominano la

Valle dell’Ausente: Colle Salvatito ad ovest di SS.Cosma e

Damiano, il Ceschito e Monte Siola alle spalle di

Castelforte, Monte Valle Martina e le aree circostanti nella

zona di Suio.

La 167a Brigata, che aveva come obiettivo immediato il

triangolo fortificato S.Lorenzo, SS.Cosma e Damiano con

Ventosa e Castelforte. Attraversato il Garigliano in località

Vignali Scafa D’Orvé, nei pressi del ponte distrutto della

Fridolin Von Senger und Etterlin

Anno I n° 1 Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Fronte del Garigliano 1944

Page 34: Provincia Latina n.1

34

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Fronte del Garigliano 1944 Anno I n° 1

vecchia linea ferroviaria Gaeta-Sparanise, dopo il primo

tentativo non riuscito, verso la sera del giorno 18 raggiunse

ed occupò Colle Salvatito col 9° Royal Fusilier. L’8° Royal

Fusilier che aveva attraversato il fiume nella località Grotte,

dopo duri combattimenti lungo il percorso di avvicinamento

e nell’attacco al Monte Cianelli di cui conquistarono la cima

che domina Ventosa, subì gravi perdite e la reazione

tedesca costrinse gli inglesi ad arretrare sino al Colle

Salvatiti, rimanendovi sino alla sucessiva offensiva della

primavera.

Sull’ala destra dello schieramento britannico, la stessa notte

del 17 gennaio, dopo un massiccio fuoco dell’artiglieria

alleata, la 56a Divisione di

fanteria britannica, comandata dal

maggiore generale G.W.R.

Templer, attacca nella zona di

Suio: Il superamento riuscito del

fiume Garigliano della 169a

brigata, pur avendo subito

sensibili perdite a causa del fuoco

del 1° battaglione del 276°

reggimento tedesco schierato sul

Monte Castelluccio posto di fronte

all’area del guado, nella mattina

del 18 porta alla conquista

dell’abitato di Suio, del Monte

Castiello posto alle sue spalle,

estendendo l’occupazione per oltre

due chilometri verso la parte

occidentale del Monte Valle Martina. Malgrado i

contrattacchi scatenati dai tedeschi nei giorni successivi, gli

inglesi dopo aver occupato Monterotondo riescono a

sfondare nel settore Monte Fuga-Furlito, ma la loro

avanzata viene contenuta dalla resistenza accanita dei

reparti germanici. Il 2 febbraio reparti di Commandos

Britannici e Belgi, dopo averne scacciati i tedeschi,

conquistarono l’Ornito, ma fallirono il tentativo di occupare

il Faito. I contrattacchi tedeschi non ottennero successo per

l’intenso fuoco dell’artiglieria alleata che costrinse le truppe

della Wermacht ad abbandonare alcune posizioni dalle

quali però riuscrino a contenere e respingere le spinte delle

truppe inglesi, nel frattempo integrate con la 46a Divisione

ritirata da S.Ambrogio sul Garigliano.

Tra il 19 e il 20 gennaio 1944 il 1° London Frish, che aveva

il compito di conquistare Castelforte , attaccò l’abitato,

riuscendo verso le ore 11.00 ad occupare alcune case nella

periferia del paese. Dopo due giorni di sanguinosi

combattimenti, i reparti britannici che pur non avendo

conquistato Castelforte si erano spinti ed avevano superato

il centro abitato, tra il 21 ed il 23 gennaio furono

contrattaccati dalla 29a Divisione Panzer Grenadier che,

passando per Castelforte, mirava a separare le forze che

tenevano la testa di ponte infiltrandosi fra le due brigate di

prima schiera. La 29^ Divisione Panzer colse gli inglesi

proprio nel momento in cui

scemava l’impeto del loro attacco,

quando gli uomini erano stanchi e

la loro artiglieria stava

riorganizzandosi su nuove

posizioni. McCreery per evitare il

travolgimento della brigata di

centro della sua 56a divisione

lanciò nella mischia parte del 40°

Commando dei Royal Marines

per rinforzare i combattenti

britannici di fronte a Castelforte,

riuscendo così ad arginare la

violenta reazione tedesca. Mentre

il generale Templer, riorganizzate

le sue truppe, si apprestava a

sferrare un nuovo e definitivo

attacco contro Castelforte, alla fine di gennaio la 167a

brigata della 46a Divisione , venne ritirata dal fronte del

Garigliano ed inviata nella testa di sbarco di Anzio. Subito

dopo venne inviata nel settore di Anzio tutta la 46a

Divisione, seguita nel mese successivo anche dalla 5a

divisione britannica.

Per i tedeschi il ritiro di queste truppe dal Garigliano,

significava che il pericolo paventato sul fronte di Castelforte,

era per il momento sventato definitivamente e la tensione

scemata, quindi questo settore non presentava alcuna

preoccupazione. Non era così: l’11 maggio successivo,

l’attacco dei francesi si rivelò epico e risolutore.

L’avanzata continua

Page 35: Provincia Latina n.1

35

di PIER GIACOMO SOTTORIVA

i sono voluti 60 anni perché le nuove generazioni

cominciassero ad rimpadronirsi della esperienza

della seconda guerra mondiale in provincia di

Latina. Questo da un lato non deve sorprendere, se è vero

che ancora oggi, 90 anni dopo, continuano a pubblicarsi

libri e si celebrano ricordi sull’altra grande tragedia della

prima guerra. Evidentemente l’Uomo ha bisogno di una

lunga macerazione, ha bisogno delle nuove generazioni

per digerire il suo dolore, ha bisogno di tempo per

elaborare la memoria di quel dolore per consegnarlo ad

altri, ma depurato delle angosce dell’immediatezza e

trasformato in memoria consapevole, in memoria civica,

come accade a Cisterna che ha sintetizzato la sua

esperienza bellica nel ricordo dell’esodo forzato dell’intera

sua popolazione avvenuto il giorno 19 marzo 1944.

Quel ricordo inizia nella notte del 22 gennaio 1944,

quando 374 navi da guerra alleate scaricano sulla costa tra

Littoria, Nettuno, Anzio e Tor San Lorenzo, migliaia di

uomini per uno degli sbarchi più fulminei e sorprendenti

della seconda guerra mondiale. La molteplicità del ricordo

inizia a Cisterna con la discesa nelle grotte, cominciata già

dalla domenica 23 gennaio. Ma la guerra in Agro pontino

era iniziata già nell’estate del 1943.

La Gazzetta Ufficiale n. 165 del 19 luglio 1943 pubblicava

il Regio Decreto 14 luglio 1943, n. 630, che disponeva che

"su proposta del Duce del Fascismo, lo stato di guerra è

dichiarato anche nel territorio della Provincia di Littoria". Il

Regio Decreto entrò in vigore il giorno successivo. Lo stesso

giorno della pubblicazione Roma subiva il primo

bombardamento aereo. Cinque giorni dopo veniva

affondato il piroscafo Santa Lucia che collegava Napoli,

Gaeta e le isole di Ponza e Ventotene, con la morte di forse

un centinaio di persone. E sei giorni dopo il Re defenestrava

Mussolini a Villa Savoia.

La provincia di Littoria era stata istituita meno di nove anni

prima, con Regio decreto legge 4 ottobre 1934, n.1682.

Questo significa che la giovanissima Provincia affrontava la

guerra nelle peggiori condizioni possibili. La bonifica delle

Paludi Pontine non era consolidata (i tedeschi, dopo l'8

settembre 1943, avrebbero impiegato pochi giorni per

sabotarne i punti vitali); la malaria non era stata sradicata,

non era consolidato il quadro sociale che nasceva dalla

bonifica, né quello amministrativo che scaturiva dal nuovo

assetto istituzionale: la provincia di Littoria, insomma,

viveva una vita che ancora non le apparteneva. Le sue sorti

erano decise altrove: nel gabinetto di Mussolini (confini da

ritoccare, città da fondare, borghi da creare), negli uffici

tecnici e di vigilanza dell'ONC (gestione delle aziende

IL FRONTE DEL NORDIL FRONTE DEL NORD

C

Anno I n° 1 Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, Aprilia

Page 36: Provincia Latina n.1

36

agrarie e dei poderi assegnati), e nelle stanze del Pnf, dove

si decideva quali contadini fossero affidabili, giacché nei

contratti colonici, dopo il 1936, tra le cause di rescissione

del contratto in danno del colono, fu introdotto il parametro

della "indegnità politica", il cui giudizio era rimesso ai

"competenti organi di partito".

La giovanissima Provincia, soprattutto la parte più nuova,

quella settentrionale, affrontava insomma la guerra in

condizioni se possibili anche più gravi.

Subito dopo l'8 settembre, i tedeschi predisposero un piano

per contenere un prevedibile sbarco alleato, con la

creazione di una linea di difesa fatta di postazioni costiere

in cemento armato o trasformando strutture o edifici

c o l l o c a t i

s t r a t e g i c a m e n t e ;

vennero depositate

centinaia di migliaia di

mine antiuomo e

anticarro lungo la fascia

litoranea e

n e l l ' i m m e d i a t o

retroterra; fu decisa ed

eseguita la distruzione

di tutte le strutture

portuali e

l'affondamento di tutto il

naviglio non utilizzabile,

inclusi i pescherecci;

venne attuata la sistematica demolizione con l'esplosivo, di

tutti gli edifici - palazzi, antiche torri costiere, fabbriche -

che avrebbero potuto costituire punto di riferimento per lo

sbarco o ostacolo per la difesa.

Poi, in vista di una risalita via terra, in conseguenza del

fatto che in qualche settimana dallo sbarco di Salerno gli

Alleati avevano raggiunto e liberato Napoli, con l’aiuto

dela rivolta cittadina delle “Quattro Giornate”, venne anche

disposto l'allagamento della Piana di Fondi- Monte San

Biagio e di ampie aree della Pianura Pontina, appena

bonificate. Furono tagliati gli argini, sabotate le centrali

idrovore, asportati i motori, stravolto scientificamente il

sistema che aveva permesso di ristabilire l'equilibrio

idraulico nelle zone paludose.

L’operazione di devastazione e di sabotaggio fu così vasta

che persino le poche autorità fasciste rimaste, pur con tutte

le cautele che le circostanze imponevano, giudicarono

eccessive e non spiegabili militarmente molte delle

distruzioni. Ciò ha indotto a sospettare che esse fossero, in

realtà, un atto di vera e propria vendetta contro gli Italiani,

rei di “tradimento”. Una vendetta da consumare attraverso

una vera e propria azione di terrorismo biologico,

l’impaludamento finalizzato a selezionare le zanzare

portatrici di malaria e a provocare una disastrosa

pandemia, che effettivamente avvenne tra il 1944 e il 1946.

E’ una tesi sostenuta da autori italiani (Corbellini,

Merzagora, A. Coluzzi, che fu malariologo in zona) e

americani (Snowden,

Paul Russel).

Mentre il sabotaggio

progrediva, la

popolazione veniva

fatta evacuare prima a

5 poi a 10 chilometri di

distanza dalla costa. La

popolazione dell’area

settentrionale della

provincia, che contava

oltre 133 mila persone,

tra Aprilia, che

all'epoca registrava

appena 2237 residenti, e Terracina, il centro più popoloso

con i suoi 23.559 abitanti, si disperse parte nella pianura

di Pontinia, e parte nella retrostante collina, zona che

godeva di una situazione di relativo vantaggio, piuttosto

defilata dalle operazioni tattiche e logistiche, ma non da

quelle militari, visto il tributo che anche Cori, Sezze,

Priverno, Sonnino, Maenza pagarono alla guerra. I centri

collinari divennero casa ospitale per centinaia di profughi.

A sollecitare lo spostamento, oltre agli ordini tedeschi c’era

la paura dei bombardamenti, che avevano dato inizio a

quella “guerra contro i civili” che caratterizzò anche

quest’area. Il 4 settembre viene bombardata Terracina (un

centinaio di morti), l’8 settembre Gaeta, il 10 settembre

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, Aprilia Anno I n° 1

Una formazione di aerei da caccia italiani

Page 37: Provincia Latina n.1

37

Formia (una settantina di morti e pesanti distruzioni). Il 13

ottobre 1943 il Governo del Sud presieduto da Badoglio,

dichiarò guerra alla Germania. La provincia di Littoria

divenne l’estremo lembo della Repubblica sociale fascista,

ma comandavano solo i tedeschi.

Lo sbarco di Anzio-Nettuno

Gli Alleati raggiunsero la linea Gustav - tra Castelforte e il

mare di Minturno - a metà novembre, e vennero inchiodati

dalla organizzata difesa tedesca. Per aggirare lo scoglio fu

progettata l’Operazione Shingle, uno sbarco in profondità

dietro le linee di difesa, preceduto da un attacco sulla

Gustav per richiamare forze. La sera del 21 gennaio

salparono dal golfo di Napoli 374 mezzi navali, che

trasportavano 50 mila

uomini e 5 mila

automezzi. Formavano

il VI Corpo posto sotto il

comando del generale

americano John P.

Lucas, 54 anni compiuti

da una settimana. Il

contingente era

composto dalla 3^

divisione, dal 504° e

509° reggimento

paracadutisti di fanteria

e da tre battaglioni di

Rangers, tutti americani;

dalla 1^ divisione e da due battaglioni di Commandos

britannici. La flotta compì una lunga manovra per

ingannare eventuali osservatori nemici, poi, col favore della

notte invernale, puntò sull’arco di costa tra Terracina e Ostia

per sbarcare nel tratto compreso tra Tor San Lorenzo-fosso

della Moletta, a ovest, e Anzio-Nettuno-Foglino, a est. L’ora

H fu fissata alle ore 2 di sabato 22 gennaio. All’1.53 due

navi aprirono il fuoco rovesciando sulla costa 792 razzi in

circa 90 secondi e devastando un’area di circa 15 ettari.

Una decina di minuti dopo dai primi mezzi da sbarco

scendevano in acqua, a pochi metri dalla costa, i fanti.

In quella notte, nella zona di Anzio-Nettuno si trovavano

soltanto due unità tedesche, il LXXI battaglione e il

battaglione Esploratori della 29^ divisione

Panzergrenadier, reduci dalla Gustav per un periodo di

riposo, e una sessantina di uomini del presidio costiero. Lo

sbarco, dunque, avveniva in una zona priva di presidio, e

nel giro di poche ore americani e inglesi conquistavano

l’obiettivo che si erano prefissi senza vittime (solo gli inglesi

a Tor San Lorenzo persero qualche uomo finito su un campo

minato).

Per sostenere lo sbarco gli alleati lanciarono, appena sorse

l’alba, una serie di attacchi dall’aria, sia a difesa della

flotta, sia per terrorizzare, anche col tiro dei grossi calibri

delle navi da guerra, i centri attorno alla testa di ponte:

Aprilia, Cisterna, Velletri, S. Felice Circeo, i paesi della

collina, in special modo

Cori e Priverno.

L’attacco su Sezze fu tra

i più gravi: tra le 8.30 e

le 9, ora del mercato,

rimasero uccise alcune

persone e distrutte

alcune case. Il 23

gennaio, domenica, i

primi abitanti di

Cisterna scendevano

nelle “grotte”, le

profonde cantine

scavate nel sottosuolo di

pozzolana e tufo, dove

avrebbero vissuto per due mesi. Altre duemila persone

presero la strada per Torrecchia, Le Castella e per la

campagna più interna, ai piedi dei monti Lepini.

Cisterna a est, Aprilia a ovest: erano i due ostacoli che il VI

Corpo alleato doveva superare per accedere a Roma. Il

primo significava il controllo della Statale 7 Appia e,

attraverso esso, anche di Valmontone, nodo della Statale 6

Casilina, da Cassino a Roma; il secondo apriva la via ai

Colli Albani.

Esplorazioni alleate

L’unica iniziativa che Lucas assunse subito dopo lo sbarco

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, ApriliaAnno I n° 1

Rovine della Chiesa di Cisterna

Page 38: Provincia Latina n.1

38

fu l’invio di pattuglie in esplorazione: quella diretta verso

Littoria, al comando del maggiore Crandall, cade in mano

ai tedeschi all’altezza di Borgo Podgora. Nel settore

occidentale, gli inglesi inviano una pattuglia automontata

che raggiunge le prossimità di Campoleone, prima di

essere intercettata dai tedeschi e rientrare. La facilità con la

quale la pattuglia era penetrata, convinse il comandante la

1^ divisione britannica, generale Penney a tentare una

esplorazione in forze su Aprilia il mattino del 25 gennaio.

La penetrazione ebbe buon esito e l’abitato di Aprilia cadde

temporaneamente in mano inglese. Nella stessa giornata

Littoria subì le prime vittime a causa di un

cannoneggiamento dal mare che raggiunse il centro urbano

poco dopo le 12.30. Subito dopo i colpi raggiunsero anche

Cisterna, e le case del Corso.

Sulla testa di sbarco erano ormai presenti più di 50 mila

uomini, comprese la 1^ divisione corazzata e la 45^

divisione di fanteria americane, ma i tedeschi erano riusciti

in poche ore a fare affluire circa 40 mila uomini raccolti

nella XIV armata sotto il comando del generale Eberhard

Von Mackensen, e il 26 gennaio, il generale tedesco

Westphal considerava che “il pericolo acuto di uno

sfondamento in direzione di Roma o di Valmontone era

passato”. Cancellata la sorpresa, i due avversari

cominciarono a studiarsi.

La prima operazione importante tentata dal generale Lucas

la notte tra il 30 e il 31 gennaio, fu una penetrazione da

Isolabella a Cisterna, affidata a 3 battaglioni di Rangers

appoggiati da elementi della 3^ divisione, ma si concluse

con una catastrofe per gli americani: sorpresi dai tedeschi

che essi avrebbero dovuto, a loro volta, sorprendere, dei

767 Rangers che presero parte all’attacco tornarono alla

base di Anzio solo in 6. Circa il 60% dei reparti furono

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, Aprilia Anno I n° 1

Rovine del Municipio di Cisterna di Latina/Foto Emilio Sottoriva - Coll. P.G. Sottoriva

Page 39: Provincia Latina n.1

39

uccisi o feriti, gli altri finirono prigionieri. I tedeschi li

avrebbero fatti sfilare qualche giorno dopo per Roma, come

segnale del fallimento alleato.

Le battaglie per Aprilia-Campoleone

Non andò meglio sul settore occidentale, tra Anzio, Aprilia

e Campoleone, dove, tra il 29 gennaio e il 4 marzo si

svolsero quattro sanguinose battaglie tra i due schieramenti,

che costarono migliaia di morti e comportarono il rischio

che gli Alleati venissero rigettati in mare. La prima battaglia

si svolse tra il 29 e il 31 gennaio; la seconda dal 3 al 12

febbraio (e in questa circostanza scesero in campo anche

300 parà della Repubblica sociale italiana), la terza tra il

16 e il 19 febbraio, e mise ripetutamente in crisi il

dispositivo alleato. I tedeschi furono arrestati al cavalcavia

di Campo di Carne. La

quarta battaglia durò

circa cinque giorni, dal

29 febbraio al 4 marzo,

e fu l’ultimo tentativo

tedesco di respingere a

mare gli alleati. Poi

iniziò una fase di

stanca, con i due eserciti

intenti a recuperare le

pesantissime perdite, e

le popolazioni

sottoposte ad ulteriore

martirio. Quella di

Aprilia venne per la quasi totalità trasferita dagli Alleati, via

mare, in Campania, Calabria e Sicilia; quella di Cisterna, a

Roma Officine Breda, Narni, in provincia di Terni, o

Cesano. L’esodo forzoso fu completato il giorno di San

Giuseppe, il 19 marzo 1944, dalle prime ore pomeridiane.

La pausa fu intervallata da episodi bellici che potrebbero

definirsi di routine, se non fossero costellati da una serie di

tragici eventi, che possono essere simbolicamente

riepilogati nella fucilazione avvenuta a Borgo Montenero, il

4 maggio, quando furono trucidati, come punizione per

non aver abbandonato l’area secondo gli ordini del

comando tedesco, cinque civili, tratti a sorte al termine di

una drammatica decimazione. Nei tre mesi di sosta

relativa, inoltre, tanto gli Alleati che i tedeschi posero tra sé

e i rispettivi nemici uno sbarramento di mine che avrebbe

reso ancor più difficile la vita del dopoguerra. Secondo il

generale Puddu, ne vennero “seminate” ben 966: 385, da

parte degli alleati, e 581 da parte tedesca, per complessive

194 mila mine (121 mila alleate e 73 mila tedesche).

Borgo Sabotino, intanto, era diventato base per un corpo

d’élite alleato, la 1st Special Service Force, una unità

americano-canadese di circa 2000 uomini, specializzata in

azioni che si potrebbero definire di guerriglia, per le quali

furono battezzati col nome di Diavoli Neri: formavano una

struttura militare forte e compatta, capace anche di

muoversi in campo aperto, come avrebbe dimostrato nella

battaglia di Cisterna. La 1st SSF aveva ribattezzato Borgo

Sabotino col nome di Gusville, aveva dato nomi americani

alle principali vie, aveva

creato anche un

bollettino a stampa.

L’offensiva finale

L’arrivo della primavera

riaccese le azioni, L’11

maggio 1944 gli Alleati

lanciano l’offensiva

finale contro la Gustav e

riescono a sfondare nel

settore di Castelforte,

iniziando la risalita

della provincia. Quando

ormai la ritirata tedesca stava imboccando le porte

dell’Agro Pontino, il VI Corpo decise di liberarsi

dall'accerchiamento che stava subendo nella testa di ponte

di Anzio-Nettuno, puntando allo sfondamento della linea

che faceva perno su Cisterna. Per la verità, si era discusso

a lungo presso lo Stato Maggiore alleato su quale direttrice

imprimere all'ultima battaglia nell'area pontina, ed erano

stati esaminati quattro possibili piani: il Grasshopper

(Cavalletta), che prevedeva l'attacco principale su Littoria e

la prosecuzione su Sezze, per tagliare la ritirata tedesca; il

Turtle (Tartaruga), che doveva svilupparsi lungo la via

Nettunense, Carroceto, Aprilia, Campoleone; il Crawdad,

(che ipotizzava una penetrazione più a ovest, su Ardea, la

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, ApriliaAnno I n° 1

Il corso di Cisterna di Latina/Foto Emilio Sottoriva - Coll. P.G. Sottoriva

Page 40: Provincia Latina n.1

40

costa e Roma); e il Buffalo, per il quale l'obiettivo principale

dell'attacco era Cisterna e, subito dopo, Cori, Artena e

Valmontone, punto in cui la X Armata tedesca che ripiegava

da Cassino avrebbe dovuto essere intercettata e bloccata. Il

piano prescelto fu il piano Buffalo.

Esso prevedeva un attacco frontale su Cisterna e attacchi

contemporanei avvolgenti sui due lati della cittadina. Il

primo fu affidato alla 3^ divisione US del generale ‘O

Daniel; gli altri, alla 1^ divisione corazzata del generale

Harmon (a ovest) e alla 1^ S.S.F. del generale Frederick (a

est). Aggredire il paese equivaleva a tagliare la SS 7 Appia

e la linea ferroviaria Roma-Napoli, che lo attraversano. Per

garantirsi una difesa più morbida, gli alleati attuarono un

piano diversivo, che avrebbe dovuto attirare l'attenzione

tedesca altrove, risucchiando uomini ed unità: era la

Operation Hippo, che venne lanciata dagli inglesi nel

settore di Carroceto-Aprilia-Ardea, con le divisioni, 1^ e

5^.

Per gli inglesi l’ora X scattò fra le 23.15 del 21 maggio e le

03.15 del 22, quando fu lanciato nella zona di Moletta-

Ardea-Buonriposo-Carroceto un furioso bombardamento di

preparazione, seguito dall’assalto alle difese germaniche.

Contemporaneamente la 45^ divisione US attaccava lungo

la ferrovia Anzio-Campoleone e la strada Anzio-Carano.

Le unità tedesche comprendevano il 1° Corpo parà del

generale Schlemm, la 3^ divisione P.G. e la 4^ divisione

parà, affiancati dal reggimento italiano Folgore

(ridottissimo) schierato sui battaglioni Folgore, Nembo e

Azzurro. L’Operation Hippo convinse i tedeschi che il

tentativo di sfondare la testa di ponte sarebbe passato per

la zona di Aprilia, e quando si accorsero, invece, che

l’attacco principale era su Cisterna, ormai non esistevano

possibilità di rafforzare quella difesa.

L'attacco su Cisterna iniziò, invece, 24 ore dopo, alle 5.45

del 23 maggio, quando le batterie schierate fra Spaccasassi

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, Aprilia Anno I n° 1

Campo della Croce Rossa ad Anzio

Page 41: Provincia Latina n.1

41

e canale Mussolini, circa 500 cannoni, aprirono, come già

facevano da alcuni giorni, il solito terribile fuoco di

artiglieria. Per 40 minuti piovvero sulle posizioni tedesche

migliaia di proiettili. Alle 6.25 iniziò la seconda fase, col

martellamento aereo affidato a 60 bombardieri del 12°

Tactical Air Command. Verso le 8.30 gli aerei allargarono

il loro raggio di azione a Sezze, he colpirono facendo

strage nella piazza antistante la chiesa di S. Andrea, dove

era in corso il mercato degli ortaggi. Morirono 94 persone

e altre 116 rimasero ferite. Nelle stesse ore anche Priverno

fu bombardata, accusando una trentina di morti.

Alle 6.30 gli americani iniziavano l'attacco da terra con la

3^ divisione fanteria, la 1^ divisione corazzata e la 45^

divisione. La difesa germanica era affidata al LXXVI

Panzercorps (generale Herr), che comprendeva due

divisioni: la 362^ di fanteria (generale Heinz Greiner) a

ovest, e la 715^ di fanteria (generale Hans-Georg

Hildebrandt), sostenuta da un reggimento corazzato, a est.

Mentre quest'ultima si spingeva fino a coprire il settore più

orientale (quello di canale Mussolini, che gli alleati avevano

affidato alla 1^ S.S.F.), nel settore occidentale, di seguito

alla 362^ operava la 3^ divisione Panzergrenadier. Il

sistema difensivo germanico era ben organizzato: la città

aveva la propria linea di difesa organizzata su plotoni di

fanteria costituiti “a caposaldo” con 4-8 mitragliatrici. Ogni

caposaldo faceva sistema con quello vicino, in modo da

creare una forte linea di sbarramento. A 500-800 metri alle

spalle di questa prima linea erano di riserva i primi rincalzi.

La prima giornata di battaglia si concluse con risultati

positivi per gli alleati, anche se con dure perdite. Alle 5.30

del 24 maggio, secondo giorno di battaglia, la l^ divisione

corazzata americana riprese l'attacco a ovest di Cisterna,

ma solo alle 14 si riuscì a superare la strada Appia,

tagliando in tal modo i collegamenti fra Cisterna e i Colli

Albani. Sulla spinta gli americani fecero avanzare un

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, ApriliaAnno I n° 1

Page 42: Provincia Latina n.1

42

battaglione di carri armati leggeri, in direzione di

Torrecchia, per minacciare direttamente Giulianello. A sera

Torrecchia era in mano alleata. Analogo risultato si riuscì

ad ottenere entro la sera nella zona di Le Castella, a circa

3 Km. a ovest di Cisterna: l'abitato fu raggiunto e superato

da un battaglione che si spinse fino a circa 6 Km. da

Velletri. A quel punto la linea di sbarramento della 362^

divisione germanica era spezzata in due e Cisterna isolata

da Roma. A est, intanto, la 1^ S.S.F. si spingeva in

direzione di Cori.

La giornata del 25 maggio, si apriva con l’attacco portato

poco prima dell'alba, dalla 3^ divisione (colonnello Everett

W. Duvall) direttamente su Cisterna, attraverso le strade

ingombre di macerie, nidi di mitragliatrici, franchi tiratori.

“Era evidente - scrisse Vaughan-Thomas che seguì la

battaglia per la BBC - che non c'era altro da fare che

impadronirsi di un mucchio di macerie dopo l'altro, di una

cantina dopo l'altra e accettare le perdite inevitabili nei

combattimenti per le strade. Per rastrellare l'abitato di

Cisterna occorsero due giorni. Gli americani gettavano

bombe a mano nelle inferriate delle cantine e poi entravano

nell'oscurità puzzolente dove armi automatiche erano forse

in agguato per falciarli, puntate sul rettangolo di luce che

segnava l’entrata della cantina. Così avanzarono

combattendo lentamente fino al centro della città, sinché

non raggiunsero il mucchio di macerie che segnava il

palazzo della piazza principale [palazzo Caetani].

Duecento uomini della guarnigione tedesca uscirono

strascinando i piedi dai nascondigli, con le mani in alto e

coperti dalla polvere delle mura crollate. Quando

scendemmo nella grande cantina sotto il palazzo dove i

tedeschi si erano riparati durante il bombardamento, vi

trovammo un mucchio puzzolente di morti e feriti, coperti di

sporcizia e di vestiti sudici”.

L'avvicinamento a palazzo Caetani era stato lunghissimo:

poche centinaia di metri di centro urbano furono percorse

in molte ore e con grande impiego di mezzi. “I tedeschi

avevano preparato l'estrema resistenza in quello che

apparentemente era stato il Municipio, circondandolo di

mine anticarro e guarnendone tutti gli accessi con

mitragliatrici protette da piazzole di macerie. A ovest, un

cannone anticarro ben appostato controllava l'ingresso del

cortile interno”. In realtà, non fu il Municipio l'estremo

baluardo della guarnigione tedesca, ma il cinquecentesco

palazzo Caetani. Contro di esso si svolse un vero e proprio

assedio che durò fino al tardo pomeriggio del 25 maggio.

Era il crepuscolo quando le pattuglie americane snidarono

dai sotterranei gli ultimi tedeschi, compreso il comandante

del 955° reggimento, il colonnello Annacker. “Fu un

momento di gioia e di euforia - commentarono gli alleati -.

I GI della 3^ divisione trovarono delle bici, le inforcarono e

cominciarono a correre per le strade del paese piene di

rovine; colsero fiori e li attaccarono agli elmetti, mentre i

prigionieri li guardavano stupiti. Tutto attorno c'erano

veicoli ed equipaggiamenti distrutti, rovinati,

abbandonati... I soli abitanti di Cisterna ora erano i

prigionieri e pochi gatti mezzi morti di fame”.

Con la caduta di Cisterna si chiudevano praticamente

quattro mesi di battaglia per la testa di ponte e si

concludeva il “lungo assedio”.

Contemporaneamente si svolgeva senza altri ostacoli la

risalita da Sud del II Corpo, che, superata Fondi, imboccò

due direzioni: quella interna, attraverso i monti Ausoni; e

quella che passava attraverso l'Agro Pontino. Il 23 maggio

viene raggiunta Roccasecca dei Volsci, il 24 Priverno e

Sonnino. La direttrice di pianura fu battuta, invece, con

maggiore cautela. Il 24 maggio alle 10 le retroguardie

tedesche abbandonavano Terracina dopo una battaglia

notturna combattuta anche nel cimitero. Alle 11 una

pattuglia americana del 91° esploratori raggiungeva San

Felice Circeo e poco dopo Sabaudia. La stessa sera del 24

maggio unità del VI Corpo provenienti dalla litoranea si

spinsero in ricognizione per contattare il II Corpo che

avanzava da Terracina: l’incontro tra le due pattuglie

avvenne alle ore 7.31 del 25 maggio, a Borgo Grappa. Il

collegamento fra i due Corpi segnava la saldatura fra il

fronte di Anzio e quello del Sud.

Il 25 maggio, alle ore 7 del mattino, anche Pontinia veniva

raggiunta dagli americani. In quello stesso giorno altri

reparti americani completavano l'occupazione dei borghi e

delle località costiere, spingendosi fino al lido di Littoria. Da

qui iniziarono a risalire verso l'interno, puntando sulla città.

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, Aprilia Anno I n° 1

Page 43: Provincia Latina n.1

Il primo carro armato entrò a Littoria alle 14.30,

proveniente da Fogliano-Borgo Isonzo.

Le truppe americane che avevano seguito il percorso

interno, la sera del 25 maggio si erano fermate a Sezze

Scalo, ma preferirono attendere il giorno seguente, quando,

verso le 8, i carri armati raggiunsero il paese e

proseguirono per Bassiano, dove giunsero attorno alle 10.

La 1^ S.S.F., si era, intanto, diretta verso la collina,

scalando monte Arrestino, a est di Cori, e isolando il centro

lepino, verso il quale si stava dirigendo il 3° battaglione del

15° reggimento, che aveva aggirato Cisterna da est e che

raggiunse Cori a valle la sera del 25 maggio: anche qui gli

americani lasciarono trascorrere la notte prima di entrare in

paese. Era una prudenza motivata, giacché un reggimento

della 92^ divisione tedesca era stato inviato nella notte del

24 maggio lungo la strada Giulianello-Cori. Fu proprio su

questa strada che, nottetempo, esso incrociò le unità della

715^ divisione tedesca che lasciavano Cisterna per non

essere tagliate fuori dall'avanzata americana. La

Giulianello-Cori è una strada stretta e tortuosa, per cui

quando i reparti tedeschi della 92^ e della 715^ divisioni

si incrociarono da direzioni opposte ne nacque un

inestricabile groviglio di mezzi. I ricognitori del XII Corpo

Aereo Tattico alleato che seguivano le operazioni, si resero

conto di quanto accadeva e pilotarono sul posto i caccia-

bombardieri. Fu un vero e proprio tiro al bersaglio, che si

risolse con la perdita da parte tedesca di centinaia di mezzi

e con un massacro di uomini.

Il 26 maggio anche Roccamassima venne raggiunta da un

battaglione del 30° reggimento di fanteria americana, che

catturò l'intera guarnigione tedesca, composta da una

compagnia di fanteria. Il 27 maggio i centri di Maenza e

Roccagorga furono cannoneggiati a lungo e il 28 maggio,

giorno del patrono di Maenza, S. Eleuterio, i goumiers

coloniali si avviarono verso la montagna lepina, superando

Pisterzo, Prossedi e allargandosi verso Maenza, Monte

Calvello, Monte Acuto, Selvapiana, dove si erano rifugiati

circa tremila civili. La fama delle truppe coloniali era già

terribilmente nota. Maenza veniva a trovarsi al confine di

quella “linea rossa” che separava il Corpo di spedizione

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, ApriliaAnno I n° 1

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Soldati tedeschi

Page 44: Provincia Latina n.1

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marocchino dalla 88^ divisione US: alcuni ufficiali alleati

radunano le donne in un unico luogo, che venne affidato

alla sorveglianza di un plotone di truppe coloniali sotto il

comando di sottufficiali francesi. E furono salve.

Sempre il 27 maggio, il 15° reggimento di fanteria

americana raggiungeva Artena. Quello stesso giorno

riprendeva movimento il fronte nella zona di Aprilia. Alle

10 le divisioni 35^ e 45^ attaccarono in direzione di

Aprilia, Campoleone e Lanuvio, raggiungendo Carano il 28

maggio. Nello stesso giorno alcune pattuglie di Gordon

Highlanders entrarono in Aprilia senza colpo ferire.

La lunga attesa era ripagata da un susseguirsi di rapidi

avanzamenti. Il 29 maggio la l^ divisione corazzata di

Harmon rilevava la 45^ divisione US e alle 15.30

raggiungeva la stazione di Campoleone, per tanti mesi

imprendibile obiettivo. La tortuosa strada per Albano si

apriva agli attaccanti che entravano in contatto con la

ormai inutile Linea Cesar.

Azioni partigiane

I1 riflusso delle truppe germaniche dalla collina non era

avvenuto tranquillamente. Al naturale nervosismo suscitato

dagli avvenimenti si accompagnava qualche iniziativa da

parte di piccoli gruppi resistenziali. All'alba del 24 maggio

il gruppo Roncuzzi era sceso verso il vallone tra Bassiano e

Norma per tentare di far saltare il ponte Pio IX, a qualche

centinaio di metri di distanza dall'Abbazia di Valvisciolo,

che fino allora i tedeschi avevano utilizzato come ospedale

militare. La piccola pattuglia era formata da Italo e

Giuseppe Ficacci, dal giovane Nullo Cicognani,

dall'ingegnere Piazza e da due russi, un ingegnere e un

contadino, che da qualche mese dividevano con gli altri la

vita di montagna. Erano proprio i due russi a trasportare a

spalla l'esplosivo fatto filtrare attraverso le linee dai

comandi partigiani dei colli Albani. Qualche giorno prima

il gruppo aveva cercato di far saltare un ponte sulla

Carpinetana, ma aveva dovuto rinunciarvi.

La zona era battuta dalle truppe tedesche che andavano

44

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, Aprilia Anno I n° 1

Civili tra le macerie

Page 45: Provincia Latina n.1

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ripiegando verso Velletri-Artena-Valmontone. Giunto

all'altezza dell'abbeveratoio lungo la provinciale di

Bassiano, il gruppo Roncuzzi si arrestò fra gli alberi,

trattenuto dall'improvviso rumore di un blindato tedesco. Gli

uomini decisero di intercettare il mezzo militare e dal

boschetto spararono i primi colpi. L'equipaggio

dell'autoblinda reagì al fuoco con la propria mitragliera,

proseguendo la corsa. L'episodio si esaurì a quel punto per

il sopraggiungere di altri mezzi tedeschi (18).

Quello stesso 24 maggio, ma stavolta nelle primissime ore

del pomeriggio, un gruppo inquadrato nel Corpo Volontari

della Libertà come Formazione Monti Lepini, e formato da

Giulio Giovannoli, Gilberto e Biagio Marchioni, Candido

Zaccheo, Bruno Piazza, Renato Bertollini, Mario

Manciocchi, Glicerio Rossi e altri decise di attaccare un

distaccamento tedesco che si era accampato nel vivaio della

Forestale, sotto Sermoneta, fra la stazione ferroviaria e

Piedimonte. Gli uomini erano armati di mitra, fucili, bombe

a mano e pistole.

Dopo avere accerchiato il distaccamento, richiamarono

l'attenzione dei militari, facendoli uscire allo scoperto, e a

quel punto aprirono il fuoco. Nello scontro, durato circa

dieci minuti, morirono un soldato tedesco e Biagio

Marchioni (al quale fu poi intestata la lunga scalinata posta

sulla sinistra di chi entra a Sermoneta); Candido Zaccheo fu

leggermente ferito, tre tedeschi furono fatti prigionieri e gli

altri fuggirono attraverso gli oliveti, in direzione di Latina

Scalo.

Il giorno dopo Candido Zaccheo (che poi, su segnalazione

americana, fu promosso maresciallo per meriti di guerra),

Glicerio Rossi, Antonio Ceccarini, detto Tonino, e altri

guidarono una colonna di autoblindo americane nei pressi

dell'Abbazia di Valvisciolo per snidare i tedeschi che si

erano nascosti nell'edificio e nella retrostante montagnola.

Il cannoneggiamento fu intenso e durò a lungo. I tedeschi

furono snidati e ne furono fatti prigionieri 105. Rimasero

uccisi un ufficiale americano e tre soldati tedeschi.

Sermoneta venne presa subito dopo dagli americani.

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, ApriliaAnno I n° 1

Giovane donna con bambini sfollati

Page 46: Provincia Latina n.1

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Dopo la guerra

Il dopoguerra ebbe due strascichi negativi: una forte

recrudescenza della malaria e l’allagamento di 10-11 mila

ettari di agro pontino. Il ritorno delle febbri fu notevole in

tutta la provincia, ed ebbe picchi anche al di fuori delle aree

un tempo paludose, come Formia, Gaeta e Minturno.

Secondo una relazione del 12 giugno 1950 dall'ingegner

Pietro Ballerini, presidente della Camera di Commercio, in

occasione dell'insediamento della Consulta economica

provinciale, la malaria aveva colpito addirittura il 95 per

cento della popolazione.

I danni non sono mai stati quantificati in maniera definitiva.

Diverse fonti, tuttavia, illuminano su alcuni valori. Una carta

dell'Opera nazionale Combattenti parla di 5966 ettari

minati nell'area di bonifica, di 299 poderi distrutti, 507

fortemente danneggiati e 954 danneggiati. La relazione

dell'ingegner Ballerini, fornisce questo consuntivo generale:

10.468 ettari di superficie allagata per due anni (1944-

45), 12.259 ettari di terreno minato e improduttivo per tre

anni, 4.205 vani colonici totalmente distrutti e più di 8.000

danneggiati; 71 mila metri cubi di stalle e magazzini

distrutti e circa 100 mila danneggiati; il 50 per cento dei

macchinari agricoli o di mezzi di trazione distrutti. Oltre

6.500 ettari di superficie boschiva vennero distrutti o

danneggiati, e l'agricoltura accusò anche la perdita totale

di 8,5 milioni di viti e quella parziale di altri 4 milioni; 220

mila olivi perduti e 150 mila danneggiati, 600 mila

alberature diverse distrutte o danneggiate. E ancora, con

riferimento alle scorte vive perdute: 47.491 bovini, l'83,4%

del patrimonio anteguerra; 6495 equini, 59.303 ovini,

11.000 suini.

Nel campo delle opere pubbliche e di bonifica, fu messo

fuori uso il 50% degli impianti idrovori e andarono distrutti

o furono gravemente danneggiati 30 ponti in cemento

armato. In complesso, infine, la Relazione Ballerini dava

59.052 vani civili distrutti o inabitabili in 16 dei Comuni che

avevano maggiormente patìto la presenza della guerra.

(*) Questo saggio deriva per larga parte da quanto è

raccontato nei libri I giorni della guerra in provincia di

Littoria, Cipes, Latina 1974, ried. nel 1984; e Cronache da

due fronti, Meganetwork, Latina 2004.

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: Anzio, Littoria, Cisterna, Aprilia Anno I n° 1

Donne e bambini sfollati

Page 47: Provincia Latina n.1

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di LUIGI ZACCHEO

e operazioni di guerra nei lunghi mesi dal gennaio

al maggio 1944 interessarono quasi tutti i centri

antichi dei Monti Lepini, con massicci

bombardamenti e cannoneggiamenti degli Alleati e con la

dura repressione degli occupanti tedeschi. Finita la guerra,

le popolazioni hanno cercato in tutti i modi di dimenticare

le sofferenze, le morti, le violenze subite, mettendo ogni

energia per ricominciare una nuova vita di lavoro e di

pace. Dopo molti anni dalla fine della Seconda Guerra

Mondiale si è registrata una importante fioritura di studi e

di ricerche su questo tragico periodo.

Nel 1974 abbiamo la pubblicazione del primo importante

libro “I giorni della guerra in provincia di Littoria. Luglio

19473 – maggio 1944” scritto in modo eccellente da Pier

Giacomo Sottoriva. Sono narrate in forma chiara le

operazioni belliche avvenute nei centri lepini e soprattutto

sono ascoltati numerosi testimoni degli eventi bellici. Lo

stesso Sottoriva nel 1994 ha pubblicato il bel volume

“1943-1944 tra la Gustav e l’Agro pontino. Immagini di

una guerra”, nel quale vengono narrate le più importanti

azioni belliche avvenute nella zona, corredate da efficaci e

rare fotografie, che da sole trasmettono tutto il senso del

dolore e della tragedia.

Nel 1975 la Regione Lazio ha pubblicato una serie di

volumi “Quaderni della Resistenza Laziale”, per ricordare il

30° anniversario della Liberazione dall’occupazione

nazista. Il sesto volume, curato da Linda La Penna, ha per

titolo “La provincia di Latina dal 1940 al 1945”. Il libro,

ben fatto e ricco di notizie, utilizza soprattutto i documenti

del tempo conservati presso la Prefettura di Latina.

Interessante è il piccolo volume di Giuseppe Intersimone

“Cattolici nella Resistenza Romana” del 1976, in quanto in

modo occasionale ha modo di parlare di cittadini lepini

impegnati in atti di resistenza ai Tedeschi, sia essa attiva che

passiva. Forte è la figura del sacerdote setino don Renato Di

Veroli attivo nell’aiutare la popolazione inerme e quella del

tenente Alfredo Roncuzzi, capo del gruppo di resistenti di

Sezze e di Bassiano.

Nel 1981 Franco Caporossi, originario di Carpineto

Romano, ha pubblicato l’importante libro “Monti Lepini

1943-1945. Occupazione, Resistenza, Liberazione”.

L’autore, ascoltati numerosi testimoni oculari, ci racconta la

guerra nei centri lepini pontini, ciociari e romani, dandoci

un grande affresco sulle operazioni dell’esercito tedesco

occupante e di quello alleato, il tutto tra le sofferenze e le

Anno I n° 1

L

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo

LA GUERRA NEI CENTRI LEPINILA GUERRA NEI CENTRI LEPINI

Page 48: Provincia Latina n.1

48

Medaglia d’Oro: Il quadro di sfondo Anno I n° 1

tragedie quotidiane della povera gente.

Nel 1996 il Gruppo Culturale Roma e Lazio, a cura della

nota casa editrice Newton e Compton Editori, ha pubblicato

il corposo volume “Il Lazio in guerra 1943-1944” con gli

interessanti contributi di Luigi Zaccheo “La guerra vissuta a

Sezze”; Franco Caporossi “I giorni della liberazione sui

Monti Lepini”; Francesco Berti “Guerra nelle paludi

redente”; Francesco D’Erme “La Guerra a Sermoneta”. Gli

autori ci raccontano i terribili mesi trascorsi dalla

popolazione lepina costretta a vivere e a convivere tra due

eserciti che quotidianamente si scontravano, utilizzando

armi potenti e distruttive.

Gli alunni della scuola elementare e media di Sonnino, con

il patrocinio del Comune, nel 2002 hanno pubblicato un

libro molto importante per le numerose informazioni che

contiene “Giorni di storia… Sonnino racconta”. Il centro

storico di Sonnino ha subito violenti bombardamenti alleati:

in quello del 22 aprile 1944 morirono sotto le bombe ben

35 civili e altri nove feriti gravi dopo due giorni.

Successivamente il 17 maggio, durante la messa della

Coroncina, ci fu il secondo bombardamento seguito dal

mitragliamento con 12 persone morte. La gente non riuscì a

darsi ragione di un così pesante bombardamento (i soldati

tedeschi non erano presenti nel paese), alimentando le

congetture più strane: uno sbaglio nel bombardare i nemici

oppure un aereo colpito e costretto ad alleggerirsi del

carico di bombe. Il libro ha il pregio di raccontare le

vicende dei numerosi testimoni oculari, che riferiscono le

loro sensazioni, i loro drammi, le loro sofferenze. Siamo di

fronte ad una grande pagina di vita vissuta.

Nel 2004 il Consorzio Biblioteche Monti Lepini ha

pubblicato il libro “La Resistenza a Norma e nei Monti

Lepini” riportando integralmente gli articoli scritti per il

quotidiano Il Tempo dal comandante partigiano Tito

Gozzer, che dal Trentino era stato inviato nell’area Lepina

per facilitare l’avanzata dell’esercito alleato. Tito Gozzer ha

operato con il suo piccolo gruppo per qualche mese a

Norma e ci ha lasciato nel suo diario bellissime descrizioni

dell’area Lepina e di Norma in particolare. Una lapide

epigrafica posta nella centrale piazza della Vittoria di

Artena ricorda con orgoglio l’attiva presenza di Tito Gozzer

nei centri lepini e il fatto che il nostro sia entrato per primo

Un carro armato tedesco

Page 49: Provincia Latina n.1

49

Medaglia d’Oro: Il quadro di sfondoAnno I n° 1

con l’esercito americano a Roma attraversando Porta

Maggiore.

Norma è tra le poche cittadine lepine che non ha subito

bombardamenti, probabilmente perché essa non è

attraversata da un reticolo stradale, importante ai fini

strategico-militare. Tuttavia a Norma i soldati tedeschi

uccisero a freddo, perché ritenuto collaboratore degli

Alleati, il povero padre di famiglia Giovanni Viola. Il

parroco di Norma don Vincenzo Zaralli nell’atto di morte

del Viola scrisse con molto coraggio “Ucciso nella sua

abitazione dai Tedeschi”. Durante l’uccisione del Viola fu

ferito a morte anche Vittorio Dionigi. I due erano dipendenti

della famiglia Caetani e si erano rifugiati a Norma

ritenendo che fosse un luogo sicuro.

Interessante è il libro di Luigi Zaccheo “La Comunità ebraica

di Sezze” pubblicato dal Consorzio Biblioteche Monti Lepini

nel 1987. In esso alcuni capitoli sono dedicati alla fuga

della piccola comunità ebraica di Sezze per sfuggire al

rastrellamento e alla successiva deportazione dei Tedeschi.

Nessuno degli ebrei di Sezze (le famiglie Di Veroli,

Veneziani, Spagnoletto) grazie all’aiuto generoso di molti

setini è finito nei campi di sterminio nazista. Giustamente la

popolazione setina è ancora orgogliosa di aver salvato da

sicura morte numerosi ebrei “nati e cresciuti a Sezze”.

Nel 1995 è stato pubblicato l’importante libro di Francesco

Moroni “Per non dimenticare gli anni della guerra a Cori”.

L’autore con dovizia di particolari e con appropriata

documentazione descrive la dura vita dei Coresi durante

l’occupazione tedesca e soprattutto i terribili giorni dei

bombardamenti, quando circa 220 persone rimasero

uccise, moltissime ferite e tante altre rimaste senza casa,

senza beni e senza viveri. L’autore in modo diligente ci dà

l’elenco di tutti i Coresi rimasti uccisi durante la guerra.

Nel 1999 si è tenuto a Maenza un convegno per ricordare

i bombardamenti avvenuti sull’abitato tra il 14 e il 27

marzo del 1944, con ben sette morti, tutti civili. In quella

occasione lo storico privernate Edmondo Angelini ha

parlato dei bombardamenti subiti dalla città di Priverno il

31-1-1944 con 12 morti e il 25-5-1944 con ben 29 morti.

In altri bombardamenti ci furono altri 28 morti per un totale

complessivo di 69, di cui 32 forestieri e con 20 feriti ed

invalidi. Il centro abitato di Priverno, lungo la via Consolare

e nella zona di via Garibaldi - via Bixio ancora presenta

ferite profonde, causate dai bombardamenti alleati.

Non è cosa simpatica elencare il numero dei morti civili dei

bombardamenti nei primi mesi del ’44 anche se il numero

è considerevole, basta ricordare che nel solo

bombardamento della chiesa di S. Andrea a Sezze, ben 72

persone (per lo più donne, bambini, vecchi) rimasero sotto

le macerie.

Purtroppo con la cacciata delle truppe tedesche occupanti le

sofferenze e i dolori per la popolazione non finirono, anzi

peggiorarono. L’arrivo delle truppe amiche dei soldati

francesi e marocchini è ancora ricordato con raccapriccio

Soldati si preparano all’attacco

Page 50: Provincia Latina n.1

50

dalla popolazione lepina. Lo stupro e la violenza brutale

sulla giovane ragazza Elide Rosella di Sezze e la successiva

morte è ancora una delle pagine più tragiche della Seconda

Guerra Mondiale.

Nel 2005 è stato pubblicato il libro di Tommaso Bartoli

“Prossedi con amore… dall’antichità ad oggi”. Interessanti

sono i capitoli sulla Seconda Guerra Mondiale. Nei

sotterranei del massiccio castello di Prossedi i tedeschi

avevano in funzione alcuni forni per la panificazione del

pane, col quale rifornire le truppe di stanza a Cassino. Vi

lavoravano con alacrità personale tedesco, aiutato da

prigionieri russi e da prossedani disposti a rimediare un po’

di pane fresco per la famiglia.

Il mese di maggio 1944 rimarrà a lungo nella memoria dei

Prossedani sia per i continui bombardamenti e

cannoneggiamenti avvenuti nell’intera zona, sia per le gravi

difficoltà alimentari, sia per la nefasta presenza dei francesi

“liberatori” con al loro seguito le truppe marocchine.

Nel mese di aprile in seguito ad un bombardamento

alleato, in contrada Pantano, rimasero uccise quattro

persone (tre donne e un uomo) mentre innaffiavano un

campo di cipolle.

Per la frazione di Pisterzo abbiamo la fortuna di conoscere

le pagine del diario, curato nei dettagli, del parroco don

Carlo Ceccanese. Veniamo a sapere della morte di tre

persone in momenti e situazioni diverse, ma soprattutto il

diligente parroco riporta le malefatte delle truppe di colore

marocchine. “Notte 29 – maggio, si presentano in paese

(Pisterzo) alcuni francesi e marocchini. Col pretesto di

scovare i tedeschi nascosti, entrarono in più di qualche

casa, ma il loro scopo era di sfogare le sozze voglie perché

ben sapevano che i tedeschi non ve ne era nessuno.

Lo stupro… le altre due figlie si attardarono un poco ed una

riuscì a fuggire dalla parte dell’orto, ma l’altra fu presa,

disonorata, malmenata da tutte quelle bestie e lasciata a

terra con la faccia e il corpo tutto contuso e col cuore

spossato e ridotta in uno stato da non sembrare una faccia

umana. Io al mattino fui chiamato per amministrargli i SS.

Sacramenti, ma potetti darle solo l’Olio Santo perché

appena respirava e non poteva in alcun modo rispondere…

Arrivò un capitano con soldati americani che presero subito

il servizio di sorveglianza, mandano via i 16 soldati

francesi che, mentre erano venuti per difenderci dai

marocchini, tenevano loro mano perché a prima sera,

soldati marocchini scassarono tre case e chissà che cosa

avrebbero fatto nella notte. La venuta degli americani

provocò un grido di gioia e di gratitudine alla Madonna e

a S. Michele. Moltissimi andarono a dormire alle loro case

e tornò la calma. Dio sia ringraziato!”

I sodati marocchini fecero violenza sugli uomini, sulle donne

di tutte le età, sugli animali; il loro sfrenato desiderio di

sesso a distanza di anni ancora viene ricordato con orrore

dalla popolazione del Lazio Meridionale.

50

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo Anno I n° 1

Soldati tedeschi trasportano un ferito

Page 51: Provincia Latina n.1

51

di ALDO LISETTI

aggio 1944: gli abitanti e gli sfollati sui Monti

Aurunci incominciarono ad uscire dai

nascondigli per andare incontro ai liberatori,

incrociando qualche tedesco in fuga che atterrito gridava:

Sono neri. Tanti neri! Al momento non compresero, storditi

da azioni di fuoco da ogni parte. Dopo ore di

combattimenti e di scontri tra i contrapposti eserciti

belligeranti, le truppe del Corpo di Spedizione Francese

(C.F.S.) avevano avuto la meglio e i poveri, indifesi, denutriti

fuggiaschi dei paesi aurunci pensarono che era finalmente

giunta la tregua, la pace. Ma marocchini, algerini e tunisini,

nell’esaltazione delle battaglie vinte, ubriachi di bestialità,

consumarono azioni violente ed inumane nei confronti delle

donne e dei bambini. Nelle case e nelle capanne presero e

trascinarono via soprattutto le più giovani oppure le

violentarono sul posto in presenza degli stessi familiari:

genitori, mariti, figli.

Le esecuzioni degli atti di violenza – si legge in una

relazione ufficiale del dopoguerra – quasi sempre si

svolgevano di giorno ma più particolarmente all’imbrunire

(quando) numerosi gruppi di soldati marocchini, ciascuno

dai tre agli otto uomini, si spargevano in tutto il territorio del

paese e con la scusa di dover cercare i tedeschi nascosti,

frugavano tutti i luoghi abitati. La ricerca non era

preordinata, ogni gruppo si dirigeva a caso, talché lo stesso

abitato, lo stesso pagliaio, nello stesso giorno, aveva

cinque, dieci, fino a quindici violazioni operate da

altrettanti gruppi diversi. Il totale di queste violazioni per

taluni casolari di più facile accesso ha superato il centinaio.

Agli uomini, sotto la minaccia delle armi, veniva intimato di

uscire, mentre altri all’interno violentavamo le donne e

portavano via tutto. A volte non finivano di andare via che

ecco si presentava un altro gruppo che si comportava come

i precedenti. (...) Era il loro un feroce istinto di distruzione

perché spesso le cose asportate venivano trovate distrutte a

poche centinaia di metri dal luogo di sottrazione.

Sulle pendici del Faggeto, in località Ramontana, una

madre, che chiamo Maria per convenienza, tentò in ogni

modo di opporsi ad alcuni militari che trascinavano la

M

BOTTINO DI GUERRABOTTINO DI GUERRA

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondoAnno I n° 1

Page 52: Provincia Latina n.1

52

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo Anno I n° 1

giovane figlia. Li aggredì, tentò di colpirli, di graffiarli, alla

fine respinta e gettata a terra, li insultò, li maledisse finché

uno di essi le sparò un colpo di fucile alla gola uccidendola.

Un’altra tragedia fu vissuta da Titina (nome di opportunità),

una bella ragazza formiana di 25 anni, rifugiatasi tra i

monti Aurunci. Denudata e legata ad un albero dovette

subire le più nefande bassezze che la lussuria possa

immaginare. La giovane non smise un attimo, pur essendo

legata, di dimenarsi, di urlare, di piangere, implorare. Sul

suo corpo straziato il segno delle corde lasciarono strisce e

solchi di sangue. I suoi occhi spenti di dolore smisero anche

di piangere. Fu a questo punto che un soldato la sventrò con

una baionetta.

Altre terribile violenza si apprendono da testimonianze e

relazioni raccolte da vari autori sulla memoria degli stupri

nel corso dell’avanzata del Corpo di Spedizione Francese

sui monti dopo lo ronfamento della linea Gustav.

Le truppe coloniali provenienti da Castelforte e da Esperia

scesero dalle alture verso Campodimele, Lenola, Pastena,

Pico, lungo la valle che conduce da Gaeta a Ceprano, oggi

unita da una strada statale. Fecero violenze e stupri di

massa, alcune donne vennero uccise. Ricordo una bella

donna di Lenola - racconta una intervistata che allora aveva

tredici anni – era fidanzata e u fidanzatu era partitu a fa u

militare; bhè chella non se vuleva sta, la mettinnu a zampe

all’aria e culla baionetta a squarciannu (da Guerra Totale di

Gabriella Gribaudi).

Io avevo undici anni – ha raccontato un’altra vittima cui non

diamo nome – mi presero sotto i miei genitori. Mia madre

aveva un altro bambino piccolo che ci dava il latte e aveva

un’altra sorella sotto i vestiti per non la fare prendere.

Allora mi presero a me la prima volta…… mamma e papà

li cacciarono, a me fecero rimaner dentro…… però io

piangevo e allora papà piangeva appresso a me ……. A

papà li abbiarono ‘na bottiglia appresso, n’ato poco o

accedevano. Poi mi misero il fucile vicino a me, le botte, le

mazzate….. mi menavano, mi hanno fatto del male,

tutto……Dopo scesa dalla casetta, tutta piangente non

potevo neanche camminare, per come mi avevano

rovinata….. Ecco che vennero gli altri, mi presero, l’ c’era

il grano alto, era notte mi portarono in mezzo al grano,

erano cinque o sei, mi trascinarono come una cosa……

Dopo aver fatto i fatti loro mi lasciarono lì in mezzo. Mio

padre piangendo andava cercando la figlia: andò stai ? e

io, piangendo, chiamavo: papà, mamma, tutti quanti…..

Era notte, era buio, non ci vedevo affatto…. Non potevo

nemmeno camminare per come mi avevano rovinata... Così

papà venne a prendermi in mezzo al campo di grano,

L’Artiglieria Francese batte i tedeschi in ritirata

Page 53: Provincia Latina n.1

piagnenne… mi misero dentro una capanna di fieno,

perché erano venuti un’altra volta pe’ me pijà, però non mi

trovanno affatto. Quella buona anima di mio fratello

Pasquale e papà, mi presero, mi misero n’cionciu ( in

spalla), mi portarono mezzu na vallata di pietre in modo

che là non potevano venire….. Dopo che fu fatto giorno mio

padre e mio fratello mi portarono sulla Madonna del Colle

e chiedemmo un’ostetrica e mi visitò e mi disse: figlia mia ti

hanno rovinata! N’saccio come sei viva…. Dopo un anno

andai girando per l’ospedali, perché mi avevano infettato il

sangue…. Sono stata al San Camillo di Roma, a parecchi

ospedali…. Ho dovuto subire a parecchi interventi” (da

Guerra totale della citata Gribaudi).

Solo poche donne riuscirono a sfuggire alle violenze, come

racconta Ilda Paduano in una lettera a me diretta a

proposito della manifestazione commemorativa del 3

settembre 2003, innanzi al monumento dei Caduti di

Campodimele: Per un momento mi sono lasciata prendere

dai ricordi, sono tornata bambina ed all’improvviso tutto è

riaffiorato alla mia mente. Ho ricordato mio padre che mi

stringeva forte prima di lasciare me e la mia famiglia per

andare in guerra. Quando ho udito questa parola terribile

nel suo significato che non va mai dimenticata, perché i

giovani sappiano i sacrifici fatti dai nonni e soprattutto

perché non si ripeta più, ho rivisto il suo volto triste (…)

Quel tempo così lontano eppure così presente. In pochi

attimi ho rivissuto la mia vita sconvolta da eventi che

modificarono la mia giovane età. Per la grave situazione

che affrontavo in quei momenti, turbata psicologicamente,

correndo su per le montagne, capeggiata da una francese

che decise di salvare me ed il mio gruppo di sole donne

dalla malvagità dei marocchini che più tardi devastarono il

mio paese compiendo atti atroci verso tutte le donne. Infatti

quando tornai in paese vidi donne distrutte dalla fame e

dalla dura realtà, ma nei loro sguardi leggevo il dolore, lo

sconforto, e la rabbia di chi non era riuscito a salvarsi da

quei maledetti mostri.

Purtroppo la maggioranza delle donne presenti sul territorio

aurunco non sfuggì all’orda barbarica, non ebbe alcuna

protezione. Una ragazza di diciannove anni, abitante nella

valle fondana, fu seviziata a lungo da tre marocchini che le

trasmisero una grave malattia e dovette curarsi per molti

anni: annessite – attestò un certificato medico del tempo –

di presumibile natura gonococcica, da allegata violenza

carnale e stato nevrotico consecutivo.. Un’altra giovinetta

morì per le conseguenze di una malattia venerea contratta

attraverso lo stupro. In paese si racconta anche di una

giovane che fu torturata nel corso di oltre cento rapporti

sessuali violenti, subiti in più giorni, durante i quali fu tenuta

segregata in una casa colonica.

53

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondoAnno I n° 1

Illustrazione raffigurante i Goumiers marocchini

Page 54: Provincia Latina n.1

54

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo

Molte altre donne subirono la vile e turpe aggressione dei

liberatori, anche quelle che si rifugiarono in chiese. In

alcuni luoghi ne furono radunate anche venti – trenta. A

qualcuna costò caro fare resistenza perché – ha raccontato

una madre – quando mia figlia si ribellò, un soldato

estrasse un coltello e la colpì tre volte: vicino l’occhio, al

seno e nel basso ventre.

Il medico condotto Oreste Liguori, che curava i malati di

Lenola e Campodimele, in un rapporto al Medico

Provinciale in data 5 Luglio 1944, scrisse: Nella terza

decade di maggio decorso con l’arrivo della truppa di

colore del corpo di spedizione francese, si verificarono

alcune centinaia di casi di violenza carnale a danno di

persone appartenenti ad ambo i sessi ed a diverse età. Non

è possibile stabilire con esattezza il numero poiché solo un

centinaio si è presentato alla visita….. E’ pertanto urgente

che si provveda all’invio a questo comune di preparati

disponibili per la cura delle malattie veneree e sifilitiche.

Furono circa duemila, alla fine, i casi documentati di

violenza; ma presuntivamente in tutti i paesi aurunci i casi

furono circa dieci mila.

Anche il Presidente del Consiglio dei Ministri, Pietro

Badoglio, inviò il 24 Maggio 1944 alla Commissione

Alleata di Controllo una lettera di immediate proteste“

contro le violenze delle truppe alleate. Fece seguito il nuovo

Presidente, Ivanoe Bonomi, con altre due lettere datate 1

luglio ed 8 agosto dello stesso anno per il riprodursi di fatti

deplorati con scoraggiante uniformità di frequenza e di

circostanza.

La Regia Questura di Littoria trasmise al Comando

Generale Alleato, il 10 agosto 1944 un Rapporto circa i

delitti perpetrati da soldati delle truppe marocchine in

danno della popolazione della provincia di Littoria.

Da questi documenti si rileva che le truppe di colore non si

limitarono a violentare le donne ed a volte gli uomini ma

derubavano le loro vittime. Ne troviamo conferma nella

stessa relazione della Questura, nella quale al numero 241

dell’elenco degli episodi di violenza viene citata una donna

di 38 anni, madre di quattro figli, avvicinata da due soldati

di colore che dopo averle offerto denaro e cibarie allo

scopo di unirsi a lei carnalmente, al rifiuto della donna che

si dette alla fuga, ne individuarono la casa in contrada

Pisciarello di Roccagorga e “ alle ore 24 dello stesso giorno

sette marocchini armati di fucili si presentarono

nell’abitazione della stessa e dopo aver messo alla porta il

marito, il fratello (…) incominciarono a rovistare ogni cosa

e dopo essersi impossessati della somma di lire 9.700 in

biglietti di banca di vario taglio, di un orologio di tasca

Anno I n° 1

Soldati algerini tra le rovine di una chiesa

Page 55: Provincia Latina n.1

55

Omega di metallo, di una catenina e di due medagliette

d’argento, di due materassai di piuma, di otto lenzuola di

canapa e di altri effetti di biancheria e di vestiario per un

valore complessivo di 40.000 lire, alla presenza della

madre e dei quattro figlioli la violentavano in modo crudele,

tanto da farla riparare i ospedale di Priverno ove tuttora

trovasi in cura. Per lo spavento la madre della (cognome e

nome) decedeva il 18 giugno ultimo scorso.

Il Questore in prima persona così concludeva il suo

rapporto: Faccio presente a codesto Comando che il

numero delle denunzie presentate da persone che ebbero a

subire atti di violenza da parte delle truppe marocchine

specialmente per quanto riguarda i comuni di Lenola e

Campodimele, non rappresentano neppure il terzo di quello

reale, perché per questione di onore la maggioranza s è

astenuta dal produrre denunzie del caso.

Alle proteste ufficiali che da più parti giungevano agli Alti

Comandi Francesi spesso veniva data la laconica risposta:

C’est la guerre!

Senza dubbio era una fase della guerra che vedeva le

truppe anglo-americane contro quelle tedesche; ma perché

il prezzo più alto ed umiliante doveva pagarlo una

popolazione neutrale ed inerme costituito soprattutto da

donne e bambini denutriti e terrorizzate? Furono stupri

spesso definiti marocchinate facendoli apparire, anche per

assonanza, birichinate dei marocchini. Di fatto furono

delitti, assassini, atti di una crudeltà efferata che non hanno

alcuna giustificazione anche se fossero state commessi nei

confronti di un popolo nemico – e gli italiani non lo erano

– per un preteso diritto di preda. Essi sono terribili atrocità

che devono costituire monito per le future generazioni. Non

possono e non devono essere dimenticate.

Le donne sopravvissute hanno condotto la loro esistenza

con grande dignità e non possono che essere considerate

martiri di una guerra truce e crudele e, quindi, rispettate

come Sante nel silenzio dei ricordi di chi ne fu testimone

oltre sessanta anni addietro.

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondoAnno I n° 1

Soldato algerino

Page 56: Provincia Latina n.1

56

di VINCENZO TESTA

aria” ha la pelle scavata dal trascorrere

del tempo, le rughe disegnano sul suo

volto una serie di linee armoniche che non

lasciano intravedere minimamente il viso di quella che,

sessant’anni fa, è stata una giovane e bella donna degli

Aurunci o degli Ausoni o, ancora dei Lepini. La sua sorte è

stata analoga a quella che ha toccato, in maniera

incancellabile, anche “le altre” come lei, tutte oggetto di un

destino crudele e violento. Un destino che ha segnato la sua

esistenza in maniera profonda. Di tanto in tanto quel

dramma subito ritorna ad occupare i pensieri mentre la

mente scoppia immersa in una ridda di urla disumane e i

muscoli delle braccia e delle gambe si irrigidiscono.

La brutalità e la violenza di quegli uomini che, fino a

qualche minuto prima aveva creduto amici, si scaglia su di

Lei (Maria); il sorriso beffardo, la voce potente e un intreccio

di mani che si aggrovigliano tutt’intorno al corpo, sembrano

volerla soffocare. Oppone resistenza Maria, altrettanto

fanno “le altre”. Il corpo a corpo è inizialmente violento poi

la resistenza viene vinta da chi, non solo più forte ma,

sostenuto da altri, compie la più turpe e la più disonorevole

delle azioni. Una violenza orrenda; una forza animalesca

si scaglia sul corpo di “Maria” e su quello delle “altre” e

trova la sua lucida realizzazione in gesti assurdi e indegni

della razza umana.

Proprio a “Maria e alle altre”, a distanza di tanti anni, è

stato eretto un monumento nella piazza principale

dell’antico centro storico di Campodimele. Là in quella

piazza dove si concentra la vita della comunità più longeva

d’Italia e ogni cosa evoca una storia; in quella piazza cuore

pulsante della comunità e luogo principe dal quale si

dipanano le strade e le viuzze che fanno di Campodimele

una delle “bomboniere” degli Aurunci, la Provincia di

Latina, ha iniziato il suo percorso celebrativo della

Medaglia d’Oro al Merito Civile. Un riconoscimento che gli

Medaglia d’Oro - Eventi: A Maria, alle altre Anno I n° 1

“M

TRIBUTO A MARIA E ALLE ALTRETRIBUTO A MARIA E ALLE ALTRE

Page 57: Provincia Latina n.1

5757

abitanti della Provincia di Latina hanno conquistato sul

campo nel corso della eroica resistenza civile alla violenza

e alla barbarie della seconda guerra mondiale e che il

Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha voluto

consegnare direttamente nel corso di una suggestiva

cerimonia tenutasi nel cortile d’onore del Quirinale lo

scorso 25 aprile. Il monumento che porta il nome di

“Maria” ed è dedicato a tutte le donne degli Aurunci degli

Ausoni e dei Lepini che hanno subito la violenza da parte

di uomini animati da istinti bestiali ora ricorda quei tragici

avvenimenti elevando un monito ai posteri affinché la

memoria di cosa accadde non abbia mai ad essere

cancellata, come mai si è cancellata l’esperienza tragica di

“Maria” e delle altre che, per tutta la vita, si sono portare

dentro con dignità e coraggio il segno di quelle violenze.

La manifestazione celebrativa voluta dal Presidente

Armando Cusani e accolta dal sindaco di Campodimele

Aldo Lisetti ha visto la partecipazione del Vice Presidente

della Camera dei Deputati On. Giorgia Meloni, dei sindaci

e dei gonfaloni dei comuni della provincia che insieme

hanno reso omaggio a quelle donne che con coraggio e

dignità, per sessantanni si sono portate dentro la memoria

di una tragedia umana. La cicatrice scolpita nelle carni di

queste donne orgogliose e forti brucia ancora tra le poche

viventi e rappresenta il segno della sconfitta dell’umanità di

fronte all’emergere degli istinti più primitivi che trovano

spazio quando la follia si impossessa della mente e del

cuore dell’uomo.

Quella follia umana che si è espressa in maniera così

brutale ha trovato, oggi, finalmente, chi la condanna e la

mostra quale pessimo esempio alle nuove generazioni. Il

tempo ha permesso che la vergogna cedesse il passo al

Medaglia d’Oro - Eventi: A Maria, alle altreAnno I n° 1

Arrivo delle autorità: da sinistra l’On. Giorgia Melonivice Presidente della Camera, il Sindaco Aldo Lisetti, ilPrefetto Alfonso Pironti e il Presidente Armando Cusani

Page 58: Provincia Latina n.1

58

racconto e le grida soffocate per tanti, troppi anni, salissero

fino ai piani più alti dei Palazzi e delle Istituzioni pronti a

fare luce su fatti e avvenimenti celati e nascosti.

Una nuova cultura, una diversa valutazione e una forza

potente si esprime ora anche attraverso le motivazioni che

fanno da supporto ai riconoscimenti che il Presidente della

Repubblica ha saputo valorizzare nell’assegnazione delle

varie medaglie d’oro concesse a molti gonfaloni della

nostra provincia.

Quel monumento, che gode della manifattura prestigiosa

della Pontificia Fonderia Marinelli di Agnone, collocato

nella piazza centrale di Campodimele è il segno di questa

nuova forza che ha trovato il modo di emergere dall’oblio

della storia per scrivere una pagina diversa e più vera.

Documenti, racconti, testimonianze e lacrime ancora piene

di vergogna, sono li a rendere ragione di questo nuovo

capitolo che apre squarci di luce in un racconto storico che

oggi possiamo leggere con maggiore libertà e più

coraggio. E’ il segno anche questo di una lucida ragione

che, oggi, sa scrutare tra le pieghe di racconti che nel

passato sono stati troppo oscuri e reticenti.

Non è ancora un lavoro concluso certamente c’è ancora

dell’altro che potrà emergere delineando il dramma di un

popolo, quello degli abitanti dei monti pontini che, nelle

varie situazioni hanno saputo interpretare il proprio

momento storico con la fierezza di eroi della resistenza. Si,

della resistenza;.perché la resistenza non è stata solo quella

armata ma è stata anche quella di chi, forte solo della

propria coerenza, ha saputo ergere un muro di opposizione

non violenta e passiva di fronte alla follia delle armi che

hanno distrutto intere cittadine.

Tra le pieghe dei racconti sono emerse, perciò, non solo la

descrizione delle macerie e delle morti incolpevoli, ma

anche quella della distruzione morale di uomini e donne, di

bambini e di anziani che sono stati segnati da ferite

profonde che hanno scavato solchi nei cuori e nelle menti.

Quel monumento a “Maria e alle altre” che ora si affaccia

sulla piazza di Campodimele è allora un omaggio corale a

quelle protagoniste femminili anonime della seconda guerra

mondiale che in questi comuni degli aurunci, degli ausoni e

dei lepini hanno contribuito a scrivere una pagina di storia

che non dovrà trovare ripetizione mai più. Mai più la

guerra. Mai più…

58

Medaglia d’Oro - Eventi: A Maria, alle altre Anno I n° 1

Il parterre delle Autorità

Page 59: Provincia Latina n.1

59

di EZIO D’APRANO

orse non è sufficientemente evidenziato, nei

reportage di guerra e nei manuali di storia, che la

provincia di Littoria è stata teatro di importanti

avvenimenti bellici ed ha pagato il suo non trascurabile

tributo di sangue e di rovine. Neppure il dramma della sua

popolazione, trovatasi al centro dei combattimenti, ha

meritato la giusta attenzione da parte degli studiosi dei fatti

di guerra. La gente di Littoria, in quel tragico periodo, è

stata costretta ad abbandonare la propria casa e la propria

terra, volontariamente o d’autorità, a seguito dell’incalzare

dei tragici eventi e dei conseguenti ordini di sgombero o dei

numerosi rastrellamenti attuati dai soldati tedeschi. Per

diverse zone si è trattato di un esodo biblico.

***

Con la disfatta delle forze dell’Asse in Nord-Africa e il

successivo sbarco degli Alleati in Sicilia, avvenuto il 10

luglio 1943, la situazione del Paese diviene drammatica. In

precedenza gli effetti della guerra erano visibili solo con i

bombardamenti aerei sulle grandi città; ora il nemico è

giunto sul territorio nazionale. Il 19 luglio il quartiere di San

Lorenzo di Roma è sottoposto ad un violento

bombardamento. Nel Paese lo scoramento è generale; si

diffonde la convinzione che la guerra ormai è persa e che

bisogna evitare ulteriori distruzioni ed inutili lutti,

sollecitando la caduta del Fascismo, colpevole della disfatta

militare. Sull’onda di tale convinzione, il 25 luglio 1943

Mussolini è destituito. Cade il Regime fascista dopo circa un

ventennio. Il re affida l’incarico di formare il Governo al

Maresciallo Badoglio. La situazione del Paese peggiora con

il passare dei giorni. Gli Alleati intensificano i

bombardamenti delle città, per fiaccare ulteriormente il

morale della popolazione e indurla ad esercitare una forte

pressione sul Governo, per convincerlo a chiedere la resa.

Nel Paese il caos è indescrivibile e la situazione diviene

sempre più insostenibile con l’incalzare degli avvenimenti.

Al Governo non resta che chiedere l’armistizio

incondizionato agli Alleati. L’armistizio, firmato non troppo

segretamente a Cassibile (Siracusa), cinque giorni prima, è

annunciato l’8 settembre 1943. Il giorno successivo, gli

Alleati sbarcano a Salerno e si dirigono verso Napoli. Alle

prime ore del mattino del 9 settembre, il re, con la sua

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: L’esodoAnno I n° 1

VITE DISPERSEVITE DISPERSEF

Page 60: Provincia Latina n.1

60

famiglia e il suo Governo, fugge da Roma e si rifugia a

Brindisi, sotto la protezione degli Alleati. Il Paese è allo

sbando e regna l’anarchia completa. In pratica, è

consegnato ai tedeschi, i quali, da alleati, divengono

dominatori. In pochi giorni essi assumono il controllo del

territorio frettolosamente abbandonato, impossessandosi

dei comandi militari, delle industrie, delle infrastrutture e dei

punti strategici; sono decisi ad arrestare la risalita delle

forze angloamericane nella piana del Garigliano. A tale

proposito approntano sul fiume Volturno una linea di difesa,

denominata Bernhard, per ritardarne la risalita e avere,

così, il tempo di predisporre, più a nord, un fortificato

baluardo difensivo: la linea Gustav. Questa linea si estende

dal Mar Tirreno al Mare Adriatico, da Gaeta ad Ortona,

lungo le valli dei corsi dei fiumi Garigliano, Rapido e

Sangro; comprende i Monti Aurunci situati a sud della

provincia di Littoria. Con questo sbarramento difensivo il

territorio nazionale è diviso in due. Sulla zona a nord della

linea Gustav, i tedeschi ormai esercitano il dominio

assoluto, con l’avallo della Repubblica Sociale Italiana. In

pratica è un territorio di occupazione, su cui vige la legge

di guerra. In conseguenza di tali eventi, la provincia di

Littoria per i tedeschi assume un ruolo strategico di grande

rilevanza; infatti, nel suo ambito si svolgeranno epici e

cruenti scontri tra i contrapposti eserciti, che porteranno,

dopo otto lunghi mesi, alla liberazione di Roma e alla svolta

decisiva della guerra in Italia a favore degli Alleati.

La provincia di Littoria, situata a nord di tale linea, che

comprende anche parte del suo territorio, costituito dai

Monti Aurunci, subisce pesanti conseguenze con gli scontri

che vi si svolgono, divenendo importante teatro di guerra.

I tedeschi, intanto, si insediano in tutti i punti strategici della

provincia. Nei giorni precedenti lo sbarco di Salerno, gli

Alleati effettuano bombardamenti aerei e navali su vari

centri, tra i quali Castelforte, Minturno, Fondi, Formia,

Gaeta, Itri, Spigno Saturnia e Terracina. I bombardamenti,

soprattutto terrestri nelle zone di prima linea, nel corso delle

ostilità sono estesi a tutti i paesi della provincia, con pesanti

distruzioni e gravi perdite di vite umane. Gli Alleati, che

hanno la supremazia incontrastata del mare e del cielo e

dispongono di enormi mezzi di distruzione e di morte,

possono colpire ogni angolo della provincia. La

popolazione cerca di mettersi al sicuro, si allontana dai

centri abitati e si trasferisce in campagna, nelle zone

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: L’esodo Anno I n° 1

60

Le miserevoli condizioni dei sopravvissuti

Page 61: Provincia Latina n.1

61

collinari e montane. E’ un segnale eloquente che la guerra

è giunta in provincia di Littoria, coinvolgendo l’intera

popolazione.

A Roma, divenuta città aperta il 15 agosto 1943, sono

istituiti centri di raccolta e accoglienza per profughi e sfollati

presso la Caserma Lamarmora in Trastevere, Caserma

Vespucci in Santa Croce in Gerusalemme, nell’ex

Stabilimento Breda al quartiere Casilino, nello Stabilimento

cinematografico di Cinecittà, nonché a Cesano e Narni. Il

Comando militare tedesco mette a disposizione della

popolazione, che intende allontanarsi dalla zona e

trasferirsi a Roma, camion militari e treni. Purtroppo,

rispetto alla popolazione interessata, in pochi approfittano

della possibilità. E’ difficile abbandonare la propria casa e

i propri beni con la consapevolezza di non trovare nulla al

ritorno! Infatti, il fenomeno dello sciacallaggio, del

saccheggio dei beni incustoditi, è molto diffuso in

concomitanza di guerre e di calamità naturali.

I Monti Aurunci, che fanno da cornice alla piana del

Garigliano, che è solcata con grandi anse dall’omonimo

fiume e attraversata dalla strada statale Appia, per la loro

conformazione orografica e per la morfologia del territorio,

costituiscono l’ambiente ideale per i Tedeschi per sbarrare

la strada alle forze alleate dirette a Roma. In questa zona le

poderose forze alleate rimangono impantanate fino a metà

maggio 1944, nonostante lo sbarco di Anzio avvenuto il 22

gennaio 1944. Gli eventi bellici incalzano. Nella fase

iniziale delle ostilità, la guerra investe in particolar modo la

zona sud della provincia, subendo le prime gravi

conseguenze.

I tedeschi il 9 settembre occupano i comandi militari di

Sabaudia, Littoria, la piazza di Gaeta, nonché le località

strategicamente rilevanti della provincia. Il giorno 12

settembre 1943 il Comando militare tedesco ordina

l’evacuazione di Minturno, Formia e Gaeta. L’ordine si

estende il 20 settembre a Sperlonga e Terracina, il 4 ottobre

a Lenola, il 17 ottobre a Castelforte (all’epoca era

aggregato il comune di SS. Cosma e Damiano), il 10

gennaio 1944 a Campodimele, il 10 e 11 febbraio a

Littoria. I tedeschi, in base all’accordo stipulato con il

Governo Fascista, emanano un proclama con il quale

ingiungono a tutti gli uomini appartenenti alle classi 1900-

25 che sono capaci a portare le armi e lavorare di

presentarsi al locale Comando militare, minacciando gravi

provvedimenti nei confronti dei disubbidienti. Il giorno 11

settembre 1943 eseguono a Gaeta e Formia un massiccio

rastrellamento degli uomini civili e militari. Tali

rastrellamenti si attuano anche negli altri comuni della

provincia: 23 settembre a Castelforte, 4 ottobre a Lenola e

Campodimele, 8 ottobre a Priverno e Roccagorga, 10

ottobre a Littoria, 25 ottobre a Cori e nei paesi dei Monti

Lepini; degli altri comuni mancano riscontri sulla loro

effettuazione. Questa operazione è da considerare come

primo esodo forzato dei cittadini della provincia di Littoria.

Gran parte degli uomini catturati sono condotti in

Germania e internati nei lager per essere impiegati nei

lavori lasciati liberi dagli operai tedeschi, chiamati ad

integrare gli organici della Wehrmacht, dopo la defezione

dell’esercito italiano a seguito dell’armistizio. Gli altri,

invece, sono adibiti ai duri lavori di approntamento della

barriera difensiva, soprattutto nella zona di Cassino.

Intanto la Quinta Armata americana attacca la linea

Bernhard, sul Volturno, tra il 7 e il 14 ottobre 1943; poi si

dirige verso la piana del Garigliano, completandovi lo

schieramento intorno alla metà di novembre. Da questa

data gli scontri si fanno durissimi con gravi perdite da ambo

le parti. E’ una anacronistica guerra di posizione, tipica

della prima guerra mondiale, combattuta con gli strumenti

moderni di morte. I paesi che si affacciano sul Golfo di

Gaeta si trovano in prima linea e sono i più esposti alle

azioni di guerra. La popolazione, pur di fronte all’ordine di

sgombero, tranne sporadici casi, non abbandona la

propria terra, decide di restare. D’altronde, è facile

indulgere all’ottimismo, vista la travolgente avanzata delle

forze alleate fino alla piana del Garigliano, dopo lo sbarco

in Sicilia del 10 luglio 1943. La popolazione cerca di

mettere al sicuro i propri beni e quanto ha di prezioso e si

allontana dai centri abitati, esposti ai bombardamenti, per

trasferirsi nelle colline e, soprattutto, nei monti adiacenti.

Ora tali località brulicano di gente, che si sistema nelle

poche casupole dei contadini, nelle capanne, negli stazzi,

negli ovili, nelle grotte, se non occupate dai soldati; si

costruiscono capanne e rifugi di fortuna. Purtroppo la

sistemazione, che si auspicava temporanea, col passare dei

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: L’esodoAnno I n° 1

Page 62: Provincia Latina n.1

62

giorni si prospetta lunga, con inimmaginabili conseguenze;

vivere in quelle condizioni è impossibile in un autunno

inoltrato, che peraltro si manifesta inclemente e rigido, con

abbondanti piogge accompagnate da scrosci di grandine.

Inoltre, la sistemazione in montagna degli abitanti dei paesi

dei Monti Aurunci è anche pericolosa; infatti, tali zone,

come i centri urbani, sono sottoposte a frequenti

cannoneggiamenti da parte degli Alleati per demolire le

fortificazioni e le postazioni dei tedeschi. Per tale motivo, ai

disagi della vita all’addiaccio si aggiungono i pericoli dei

bombardamenti in un territorio, il quale, tranne le grotte,

non offre alcuna protezione. Pertanto, escluso gli uomini,

che sono soggetti ai continui rastrellamenti dei Tedeschi, gli

altri ritornano in paese.

Il Governo si rende conto che la popolazione, se

caparbiamente rimane in zona operativa, rischia lo

sterminio. Il Ministero degli Interni della Repubblica Sociale

Italiana, di concerto con il Comando militare tedesco in

Italia, predispone un piano di sgombero d’autorità per

allontanare le popolazioni da tutte le zone invase e

sistemarle in appositi luoghi di accoglienza. A tale

proposito, nei comuni dei Monti Aurunci si attuano

improvvisi rastrellamenti di massa della popolazione,

eseguiti dai soldati tedeschi, coadiuvati da civili italiani,

probabilmente repubblichini, che fungono da interpreti.

Dopo la dichiarazione di guerra del 13 ottobre 1943

dell’Italia all’ex alleata Germania, i tedeschi manifestano un

atteggiamento di ostilità, di risentimento e di disprezzo

anche nei confronti della popolazione; infatti, durante le

operazioni di rastrellamento, sono brutali, sbrigativi,

violenti e pronti a ricorrere alle maniere forti e, nei casi di

ritardata esecuzione degli ordini, che spesso la

popolazione non comprende, ad usare anche le armi. In

provincia si registrano casi di persone trucidate durante i

rastrellamenti. L’operazione di sgombero è imponente,

poiché riguarda una popolazione numerosa, residente in

una vasta zona del fronte. E’ anche rischiosa, poiché

durante i rastrellamenti avvengono anche bombardamenti

improvvisi da parte alleata. I rastrellati sono trasferiti nelle

stazioni ferroviarie di Ceprano, Ferentino e Priverno

Fossanova, ove con treni composti di carri merci o

bestiame, dopo lunghi ed estenuanti viaggi, che durano

anche una settimana, sono condotti e sistemati nelle località

del Nord dell’Italia, non potendo essere più ospitati nelle

strutture di Roma, la cui capienza è satura. Il Governo

repubblicano emana disposizioni ai podestà per

organizzare nei loro comuni l’accoglienza e la permanenza

degli sfollati d’autorità dalle zone invase, mediante l’Ente

Comunale di Assistenza, appositamente trasformato in

Assisteza Fascista. A Viadana (Mantova), in base ai

documenti conservati nel suo Archivio Storico Comunale, si

è potuto riscontrare che vi sono stati ospitati ben

quattrocento sfollati di Castelforte, Gaeta, Formia,

Minturno, Spigno Saturnia, Coreno Ausonio (Frosinone) e

di altre località del Sud dell’Italia. Le zone più note di

accoglienza degli sfollati di Littoria, di cui si hanno notizie,

sono: Brescia (Rovato), Mantova (Gonzaga, Ostiglia,

Viadana, Villimpenta), Padova (Montagnana, Saonara),

Reggio Emilia (Boretto, Brescello), Rovigo (Castelmassa,

Castelnovo Bariano), Terni (Narni), Treviso (Altivole, Asolo),

Verona (Casaleone), Vicenza (Mason Vicentino).

Molti cittadini delle zone degli Aurunci, sfuggiti ai vari

rastrellamenti, pochi mesi prima della rottura della linea

Gustav, riescono ad attraversare la pericolosissima linea di

fuoco, rischiando la vita nell’attraversamento dei

pericolosissimi campi minati, e si mettono in salvo oltre il

Garigliano, in territorio alleato, ove la guerra può

considerarsi finita. Raggiunta la salvezza, dopo alcuni

giorni di permanenza nei centri di raccolta predisposti dagli

Alleati a Sessa Aurunca, Mondragone e Capua, sono

trasferiti nelle varie località del Sud Italia, precisamente:

Caltanissetta (Mussomeli), Caserta, Cosenza (Castrovillari,

Corigliano Calabro, Fagnano Castello), Matera (Pisticci),

Messina, Napoli, Palermo, Potenza (Maratea), Reggio

Calabria (Cittanova, Siderno).

Lo sbarco degli Alleati ad Anzio, a nord della linea Gustav,

effettuato il 22 gennaio 1944, coglie i tedeschi di sorpresa,

ma non sortisce l’effetto desiderato, cioè mettere in crisi la

linea Gustav. Dopo l’iniziale sbandamento, i tedeschi

riescono a rintuzzare l’attacco e a predisporre una efficace

linea di sbarramento imperniata su Anzio-Nettunia-Aprilia-

Campoleone-Cisterna. I quattro attacchi, lanciati dagli

Alleati alla predetta linea il 29-31 gennaio 1944, il 3-12

febbraio, il 16-22 febbraio e il 29-4 marzo, non riescono a

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: L’esodo Anno I n° 1

Page 63: Provincia Latina n.1

63

fiaccare l’agguerrita resistenza nemica. Gli scontri finiscono

con pesanti perdite da ambo le parti e con gravi

conseguenze per gli abitanti. Adesso, anche in quest’altro

lembo della provincia, la guerra ristagna, come sul fronte

del Garigliano. Dopo lo sbarco, le Forze alleate,

impiegheranno altri quattro mesi di cruenti scontri, a nord e

sud, per travolgere la linea Gustav a metà maggio 1944 e

liberare l’intera provincia di Littoria. La liberazione di Roma

avviene il 4 giugno 1944. Subito dopo gli Alleati iniziano

l’inseguimento dell’esercito tedesco in ripiegamento verso

l’Italia Settentrionale.

I cittadini di Littoria, Aprilia, Cisterna, con lo sbarco, si

trovano in prima linea, tra due fuochi, nella medesima

situazione della popolazione degli Aurunci. Il Comando

tedesco il 9 febbraio ordina l’evacuazione di Aprilia,

Cisterna, Littoria, dell’Agro Pontino, dei comuni di Cori,

Norma, Sermoneta, Bassiano, Sezze, Pontinia, fino al

confine con Terracina. E’ una operazione di vasta portata,

effettuata in una zona di prima linea, con grave rischio per

l’incolumità della popolazione. Il problema dell’incolumità

della popolazione riguarda anche gli Alleati. Infatti, con lo

sbarco, parte della popolazione di Anzio, Nettunia,

Aprilia, Cisterna e alcuni Borghi di Littoria, si trova tra due

fuochi. L’operazione di sgombero è particolarmente

complicata, poiché la zona è completamente circondata

dall’esercito tedesco e l’unico sbocco è costituito dal mare.

Per tale motivo, lo sgombero può avvenire solo via mare.

Gli sfollati, radunati sulle spiagge di Nettunia ed Anzio,

sono traghettati con le barche fino alle navi ancorate al

largo, con le quali sono condotti nelle località della

Calabria, dove già sono presenti molti profughi volontari

degli Aurunci. Con la liberazione di Roma, terminano le

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: L’esodoAnno I n° 1

Momenti dell’esodo

Page 64: Provincia Latina n.1

64

vicissitudini della guerra per la popolazione della provincia

di Littoria. La guerra, invece, continua a Nord di Roma. I

governatori militari alleati, nei territori liberati, si attivano

per il ripristino dell’attività amministrativa necessaria per

avviare la ricostruzione e la ripresa della vita. I cittadini

della provincia di Littoria, sistemati a Sud, sono i primi a far

ritorno a casa, con la tenue speranza di ritrovare qualcosa

di ciò che frettolosamente avevano abbandonato e con la

volontà di ricominciare. Ma molti paesi sono distrutti, ed è

impossibile viverci, se non si avviano le strutture

amministrative, sociali ed economiche e non inizia la

ristrutturazione delle case danneggiate e la ricostruzione di

quelle distrutte. In tali zone non è possibile accogliere tutti

quelli che rientrano; possono restarvi soltanto le persone

utili alla ricostruzione e alla rinascita. Per tale motivo, la

popolazione non attiva è invitata a trasferirsi a Roma, nei

Centri di raccolta per sfollati, e ritornare quando le

condizioni lo consentiranno.

Con il 25 aprile 1945 termina la guerra sul restante

territorio nazionale. Immediatamente gli sfollati accolti nelle

località dell’Italia Settentrionale rientrano nei loro paesi.

Anche costoro, in gran parte, sono invitati a ripartire. In

pratica, la popolazione non attiva, non utile alla rinascita

dei paesi distrutti, è invitata a trasferirsi nei Centri di

accoglienza di Roma o in quelli di nuova istituzione di

Gaeta e Littoria. E’ un altro allontanamento dalla propria

terra; è un nuovo esodo, sia pure volontario. Molti non

ritornano, rimangono nelle zone di accoglienza; altri, dopo

il rientro a casa, per costruirsi un avvenire migliore, si

trasferiscono nelle città del Nord dell’Italia in cerca di

lavoro nelle industrie e nella pubblica amministrazione, nei

paesi europei, oltreoceano, Stati Uniti, Canada, Australia,

Sud-America. Le zone interne della provincia si spopolano

a causa del flusso di migrazione; quelle costiere e quelle

investite dal processo di industrializzazione del Paese,

invece, con il tempo registrano un intenso sviluppo urbano

e demografico. In pratica, la guerra, oltre a provocare lutti

e distruzioni, che hanno richiesto anni di duro lavoro e

l’impiego di notevoli risorse economiche, ha provocato lo

stravolgimento dell’assetto socio-economico della provincia.

Per dirla con lo storico Annibale Folchi, la guerra ha

determinato la fine di Littoria e la nascita della provincia di

Latina.

* Il 19 marzo 2007 ricorre il 63° anniversario dell’esodo

cisternese che la città, Medaglia d’Argento al Valor Civile,

ricorderà con solenni cerimonie. Nell’occasione la Provincia

inaugurerà una stele in bronzo realizzata dalla Pontificia Fonderia

Marinelli di Agnone.

64

Medaglia d’Oro - Il quadro di sfondo: L’esodo Anno I n° 1

Una breve sosta prima di riprendere il cammino

Page 65: Provincia Latina n.1

65

di PIER GIACOMO SOTTORIVA

armistizio dell’8 settembre 1943 e soprattutto la

dichiarazione di guerra alla Germania del

Governo Badoglio (13 ottobre 1943)

trasformarono i tedeschi da alleati in avversari.

Dopo lo sbarco degli Alleati a Salerno (8 settembre) e il loro

ingresso a Napoli (1° ottobre), grazie anche alla rivolta

popolare iniziata il 27 settembre, essi si prepararono a

fronteggiare la risalita del nemico creando una serie di

linee di difesa, e tra esse quelle che coinvolgevano il

territorio pontino. Già nell’estate del 1943 il generale

Edoardo Minaja, comandante la 221^ divisione costiera

italiana, aveva preavvisato i tecnici del Consorzio di

bonifica di Littoria di prepararsi ad una eventuale

distruzione delle opere di bonifica per riallagare le pianure

un tempo palustri, allo scopo di rallentare la marcia dei

nemici. Ma quando l’eventualità divenne attualità, era

sopravvenuto l’armistizio, con quel che ne era seguìto: gli

Italiani non disponevano più dell’Esercito, e la Rsi – di cui

la provincia di Littoria costituiva l’ultimo territorio

Medaglia d’Oro - Saggi: Il ritorno della malariaAnno I n° 1

UN ATTENTATO BIOLOGICO STUDIATO?UN ATTENTATO BIOLOGICO STUDIATO?

L’

L’ESPLOSIONE MALARICA POST-BELLICA,L’ESPLOSIONE MALARICA POST-BELLICA,

Page 66: Provincia Latina n.1

66

meridionale sul quale, almeno formalmente, esercitava un

qualche controllo – non disponeva né di uomini in armi, a

parte qualche debole unità della Milizia e della GNR, né di

strumenti tecnici per attuare i previsti interventi.

Sul finire di settembre e poi a ottobre e novembre, i tedeschi

posero in essere una serie di sabotaggi, tenendo del tutto

all’oscuro, anzi ostentatamente ignorando le autorità

fasciste della provincia: demolizione di torri costiere

medievali o rinascimentali (di Pandolfo Capodiferro sul

Garigliano, di

Canneto a Fondi,

Gregoriana a

Terracina, di

Fogliano a Littoria,

ecc.), di case

affacciate sul mare

(in particolare a

Formia e Gaeta), di

ponti. E, soprattutto,

attuarono una

s i s t e m a t i c a

distruzione delle

opere di bonifica.

Una impressionante

testimonianza della

r a d i c a l i t à

dell’azione tedesca è

contenuta nella

lettera del 22

novembre 1943 che

G.Laghi, Capo della

Provincia, ossia il

prefetto repubblichino, trasmise al Ministero dell’Interno e a

quello dell’Agricoltura e Foreste, che erano i due dicasteri

referenti per la bonifica. Essa, mentre registra quasi in

diretta le distruzioni attuate, è anche un trasparente

esempio della soggezione degli uomini della Rsi ai

tedeschi, i cui comandi non solo non consultarono le

autorità italiane locali, né le informarono di quanto fecero,

ma non usarono alcun riguardo nella loro azione: né di

ordine tecnico, magari limitandosi a danneggiare o a

“prelevare” le cose che effettivamente avevano un valore

militare, né di ordine psicologico, nei confronti di quella

bonifica che essi ben sapevano essere il fiore all’occhiello

del loro alleato Mussolini.

Laghi manifesta tutta la sua sorpresa per il fatto che il

comando tedesco abbia condotto “un’azione di distruzione

… nel campo della bonifica idraulica, che, se pur in parte

giustificata dalle necessità della guerra, sembra ai tecnici in

gran parte eccessiva ed esorbitante da dette necessità”. E

spera che,

adottando “urgenti

ed opportuni

accordi con le

A u t o r i t à

Germaniche”, si

p o s s a n o

“contemperare le

innegabili necessità

belliche con … le

non meno innegabili

necessità sociali ed

umane”. In caso

contrario “con

distruzione facile

q u a n t o

i n g i u s t i f i c a t a ,

verrebbe ad

annullarsi una [qui

manca una parola:

forse “opera”] di

civiltà che da sola

basta a testimoniare

la feconda attività di un regime”.

Laghi ancora fedele al fascismo, è, dunque, anche la

persona che ingenuamente s’illude che le ragioni ideali

dell’alleanza coi tedeschi possano prevalere sulle necessità

della guerra, e che vengano limitati gli sconvolgimenti che

rischierebbero di cancellare la bonifica. Questo illusorio

auspicio riemerge anche nella puntuale descrizione dei

guasti che i sabotatori tedeschi stanno attuando ai danni di

Medaglia d’Oro - Saggi: Il ritorno della malaria Anno I n° 1

Due tabelle di pianificazione del C.P.A. (Comitato Provinciale Antimalarico)indicanti interventi con il ddt a mezzo di squadre motorizzate e in bicicletta

Page 67: Provincia Latina n.1

67

macchine, impianti, canali, smontando e asportando

idrovore, tagliando argini, intasando foci. Nel fare il lungo

elenco delle demolizioni e degli allagamenti, Laghi auspica

che un intervento del Ministero valga a scongiurare che

motori e trasformatori, già smontati, vengano trasferiti

altrove. Una pia illusione, perché i motori più grossi, quelli

delle idrovore di Mazzocchio, furono caricati su un treno

diretto in Germania: arrivarono fino al Brennero, e qui

furono fortunatamente e abbastanza casualmente bloccati,

per poi rientrare in provincia a fine guerra.

In breve, l’opera di sabotaggio fu scientificamente attuata,

e il poco che si salvò – qualche motore, qualche draga

fluviale – si deve solo al fatto che gli uomini del Consorzio

di Bonificazione Pontina, a loro volta, sabotarono le

macchine, asportandone pezzi vitali che le resero inservibili

e inappetibili ai tedeschi; e affondarono le draghe nei

canali, per recuperarle a guerra finita.

Bioterrorismo?

Lo smantellamento delle strutture e delle infrastrutture della

bonifica, e il conseguente allagamento da 7 a 11 mila ettari

di territorio, soprattutto nella campagna di Terracina, ha

fornito lo spunto per prospettare una tesi che è stata accolta

con qualche comprensibile clamore e che si presta ad un

tentativo di analisi. La tesi è il risultato di una

concatenazione di eventi che appaiono finalizzati allo

scopo che si assume a tesi, anche se la apparente

consequenzialità non trova il conforto definitivo di un

documento che confermi che i fatti fossero davvero

Medaglia d’Oro - Saggi: Il ritorno della malariaAnno I n° 1

Allagamento della pianura pontina da parte dei tedeschi

Page 68: Provincia Latina n.1

68

finalizzati all’evento. Del che, con onestà di studioso, dà

atto anche colui che si è fatto, da ultimo, portavoce di

quella tesi, lo studioso americano Frank M. Snowden in un

libro del dicembre 2005, The Conquest of Malary.

La tesi – che era già apparsa nel 1998 da fonte italiana

(G.Corbellini, L. Merzacora, A. Coluzzi) - individua

nell’opera di sabotaggio degli impianti di bonifica un vero

e proprio episodio di guerra biologica, un atto di

bioterrorismo che sfruttò la malaria secondo un disegno

ricostruito nel modo che segue.

Il 14 novembre del 1943 (il giorno successivo alla

dichiarazione di guerra alla

Germania da parte del

Governo del Sud) giunsero a

Roma, presso il Ministero della

Sanità, due scienziati tedeschi,

studiosi di malaria, i professori

Erich Martini, dell’Università di

Hannover, capo del

Dipartimento di entomologia

dell’Accademia Militare

medica di Berlino; e Ernst

Rodenvaldt, dell’Università di

Heidelberg, direttore del

Dipartimento di medicina

tropicale della stessa

Accademia berlinese. I due

studiosi avevano già lavorato

con i colleghi italiani sia

presso l’Istituto superiore di

Igiene, che alla Scuola di

malariologia di Nettuno. In

particolare, Erich Martini

sapeva bene che una sola

delle diverse specie di zanzare anofele era capace di

sopravvivere in un ambiente acquatico ad alto contenuto

salino, l’Anopheles labranchiae. Snowden è convinto che i

due tedeschi fossero stati mandati in Italia per attuare un

diabolico piano, nel quadro della situazione bellica che si

era aperta dopo l’armistizio del settembre 1943; e per la

verità con questo sospetto concordano Enzo Mosna,

malariologo del Ministero della Sanità, Alberto Missiroli,

uno dei maggiori malariologi dell’epoca, e il dottor Alberto

Coluzzi, che aveva lavorato per circa un anno per il

Comitato Antimalarico di Littoria, nella zona di Fondi, per

poi trasferirsi in Ciociaria. Nel dopoguerra diresse l’area

pontino-ciociara.

In proposito, Snowden commenta duramente: Erich Martini

“era moralmente capace di usare questa conoscenza per un

obiettivo spregevole, perché era un devoto membro del

partito nazista, protetto da Himmler, e una autorità nel

campo dei germi”. Insomma, un “medico nazista ideale”.

Gli studiosi citati sono convinti

che l’occupazione tedesca,

pregna di rancore per il

“tradimento” italiano, ispirò un

piano di guerra biologica nelle

Paludi pontine bonificate, col

duplice obiettivo di ritardare

l’avanzata alleata, frenandola

con l’allagamento, ma

soprattutto, di attuare una

vendetta nei confronti degli

italiani “traditori”. In questo

fosco quadro sarebbe stato

concepito e attuato “il solo

esempio conosciuto di guerra

biologica nell’Europa del XX

secolo”, ossia la salinizzazione

delle rinate paludi: l’habitat, che

sarebbe stato sfavorevole alle

zanzare non malarigene,

avrebbe invece favorito la

selezione e la formazione di

grandi focolai di Anopheles

labranchiae, portatrice della malaria. Per impaludare

nuovamente le aree, soprattutto quelle costiere, i tedeschi

minarono alcuni argini, intasarono le foci dei canali che

sversavano a mare, asportarono o sabotarono le pompe di

livello, e, soprattutto, invertirono il movimento delle pompe

per portare verso l’interno l’acqua salina delle foci dei

canali.

Medaglia d’Oro - Saggi: Il ritorno della malaria Anno I n° 1

La copertina del libro di Frank Snowden

Page 69: Provincia Latina n.1

69

Sei settimane dopo la visita dei due scienziati tedeschi a

Roma, Enzo Mosna, scrisse una lettera al Direttore Generale

dell’Istituto di igiene, ricordando la visita di Martini e

Rodenwaldt e il loro sopralluogo al delta del Tevere per

esaminare gli effetti del ritorno dei luoghi alle condizioni

prebonifica. Mosna ricorda che “grazie alla lunga amicizia

che ci lega a quegli eminenti studiosi”, fu raccomandato

loro, tra le altre cose di non immettere acqua salata nei

campi bonificati perché avrebbe creato più favorevoli

condizioni per lo sviluppo di zanzare portatrici di malaria

e il rischio di serie epidemie; e di evitare danni seri alle

macchine idrovore, per poterle facilmente riparare negli

anni del dopoguerra. Mosna commenta che il professor

Martini riconobbe l’importanza di quei suggerimenti e

promise che avrebbe raccomandato al comando tedesco di

tenerli “nella più benevola considerazione”. Poi assicurò

che gli allagamenti con acqua salata sarebbero stati evitati,

ad eccezione di limitate zone lungo la costa.

Snowden commenta, però, che in realtà le cose andarono

proprio come Mosna aveva temuto: “Non si sa chi nella

catena di comando germanica dette l’ordine letale di

attuare il progetto studiato da Martini e Rodenwaldt” –

commenta lo scrittore americano – “fatto sta che il comando

tedesco non solo fermò le pompe bloccando lo scolo dei

canali, ma invertì deliberatamente il pompaggio delle

acque inviando acqua di mare nei campi”. La tesi

dell’inversione delle pompe e dell’immissione di acqua

salata (oltre tutto deleteria all’agricoltura) è ribadita dal

malariologo americano Paul Russel, che, partecipando alla

campagna d’Italia, scrisse nell’ottobre 1944: “Una delle

grandi tragedie della guerra fu la sistematica distruzione da

parte dell’esercito tedesco delle opere di bonifica.

Distruggendo le pompe, bloccando o minando i canali, e

invertendo deliberatamente il corso delle acque dal mare

nei canali essi incrementarono enormemente le Anofeli…”.

Il più convinto contributo alla tesi della guerra anofelica

viene dal dottor Alberto Coluzzi. Nel diario conservato dal

figlio Mario, anche lui eminente malariologo, vincitore del

Premio Ross per gli studi sulla malaria, Alberto, conoscendo

bene l’area pontina, da una attenta ispezione delle zone

allagate ricavò la precisa impressione “di essere testimone

di un piano accuratamente eseguito che nulla aveva a che

fare con la creazione di una barriera naturale all’avanzata

dell’esercito alleato”. Egli, difatti, scrisse: “La cosa che non

riuscivo a comprendere […] era l’allagamento provocato in

alcuni settori dove non sarebbe stato possibile procedere né

agli uomini né ai mezzi. E nemmeno comprendevo

l’allagamento di vaste zone che non sarebbero servite

neppure a fermare un gatto. Cominciai così a sospettare

che la Todt, che si era occupata insieme alla 14^

Panzerdivision di difendere la linea, in effetti aveva ricevuto

l’invito di provocare l’allagamento per altri scopi. Questo

invito doveva essere venuto da qualcuno che sapeva che la

malaria può causare perdite molto maggiori di quelle

provocate da una battaglia, da qualcuno che aveva una

buona conoscenza della “malaria creata dall’uomo”…”.

Se l’analisi del terreno gli aveva istillato il sospetto, la

constatazione dell’uso invertito delle pompe lo convinse di

trovarsi di fronte ad un episodio di terrorismo biologico:

“Non tutte le pompe situate lungo la costa furono distrutte o

asportate. Alcune di esse sono ancora funzionanti [al

momento del sopralluogo, NdA], ma sono state posizionate

per funzionare al rovescio. Molta gente, inclusi tecnici che

hanno lavorato a riparare gli impianti, mi ha detto che i

tedeschi le usarono in quel modo per incrementare

l’allagamento con acqua di mare. Ma non è così. Il sistema

fu usato solo per dare un certo livello di salinità all’acqua

dolce portata in quelle aree costiere”, allo scopo di “creare

un enorme allevamento di zanzare”.

Snowden aggiunge tre altri eventi che consoliderebbero la

sua tesi, e cioè: la ricordata distruzione delle barche usate

per diserbare i canali, la scomparsa di 9 tonnellate di

chinino, prelevato a Roma e portato a Volterra, lontano da

dove avrebbe potuto essere usato, e l’allontanamento della

gente pontina a 10 km dalla costa, nel settembre 1943, per

evitare, a suo avviso, che ci fossero testimoni oculari. Lo

scrittore americano, però, conclude correttamente che fino

a quando non sia possibile trovare documenti dai quali

trarre conferma di questo atroce sospetto, bisogna

concedere il beneficio del dubbio.

E, tuttavia, se sussistono ragioni per ritenere che la visita di

Martini e Rodenwaldt non fu solo di cortesia, dal contesto in

Medaglia d’Oro - Saggi: Il ritorno della malariaAnno I n° 1

Page 70: Provincia Latina n.1

70

cui l’esplosione malarica maturò emergono alcuni elementi

che possono alimentare anche una tesi diversa: che, cioè,

il “bioterrorismo” sospettato potesse anche essere il risultato

di una disgraziata serie di negative coincidenze. Vedremo

quali elementi concorrono a sostenere una ipotesi di

dubbio.

Prima, però, va ricordato che secondo i dati resi noti nella

riunione del Comitato provinciale antimalarico di Latina –

che dipendeva dalla Provincia - del 19 ottobre 1946, il

dottor Mario Alessandrini, che

era il malariologo

responsabile, la pandemia

malarica negli anni dal 1944

al 1946 ebbe un andamento

catastrofico. A fronte di 1217

casi di febbri registrati nel

1943, nel 1944 se ne ebbero

54.929; nel 1945, 42,712; e

nel 1946, 28.952. Dopo la

paurosa esplosione del 1944,

il regresso fu rapido e totale

grazie al DDT, largamente

usato prima di essere bandìto

per la sua pericolosità anche

per l’uomo.

Proviamo, dunque, a vedere se vi sia qualche ragione per

dubitare che la pandemia sia stata la conseguenza di un

deliberato delitto.

Innanzitutto, l’allontanamento verso l’interno della

popolazione civile per evitare imbarazzanti testimonianze

avvenne in due fasi: prima per 5 km, poi per 10 km , e

riguardò non solo la pianura pontina e quella di Fondi, ma

anche l’area costiera meridionale, dove, però, non venne

praticato alcun allagamento forzoso. L’allontanamento,

invece, rispondeva anche ad esigenze tattiche, per liberare

l’area di un possibile sbarco alleato, a lungo temuto, e per

disporre i piani di difesa senza il rischio di quinte colonne.

Altre possibili ragioni di dubbio sono le seguenti:

1. Nel 1939 il Cap dichiarava che i casi di “primitiva”

erano azzerati rispetto al 1938 in Agro Pontino, ma i nuovi

colpiti in altre zone erano ancora il 47,2%, segno che la

malaria non era mai stata totalmente eradicata. E nel 1938

il dottor Donato Battista, ufficiale sanitario di Littoria,

giudicava “pericolosissimo ogni rallentamento ed esiziale

una eventuale interruzione della campagna”. L’anno

successivo, poi, il presidente del Cap osservava che “è bene

dichiarare fascisticamente che un anno di trascuratezza

potrebbe annullare i sacrifici di ponderoso lavoro di diversi

anni”: era, dunque, un timore ben presente, largamente

motivato dal progressivo prosciugamento dei finanziamenti

per completare la bonifica,

causato dalle guerre (Etiopia,

Spagna, mondiale) in cui il

fascismo si era imbarcato.

2. La situazione di non

raggiunta eradicazione della

malaria, e di instabilità del

quadro sanitario ebbe una

drammatica conferma il 17

settembre 1942: quel giorno,

presso il Ministero dell’Interno,

si svolse una riunione, nel

corso della quale il medico

provinciale presso la

Prefettura di Littoria, dottor

Giuseppe Giustolisi, denunciò la drammatica

recrudescenza malarica, dovuta alla drastica riduzione

della prevenzione e della profilassi.

3. Giustolisi ricordò anche che la presenza nella zona di

alcune migliaia di soldati italiani reduci da Grecia e

Albania aveva provocato focolai di malaria che non erano

stati denunciati. Anzi, già nel 1941 erano state omesse le

denunce di almeno 320 casi, mentre nel 1942 la situazione

era precipitata.

4. La preparazione e poi l’entrata in guerra aveva

progressivamente e drammaticamente ridotto non solo i

mezzi finanziari, ma anche i materiali: nella riunione del 26

ottobre 1942 del Comitato antimalarico lo stesso medico

provinciale denunciò che mancavano “molti prodotti a base

Medaglia d’Oro - Saggi: Il ritorno della malaria Anno I n° 1

Una tenda per dimostrare come si previene la malaria

Page 71: Provincia Latina n.1

71

di rame” che impedivano persino di creare i preparati

chimici necessari alla campagna antilarvale.

5. Nel novembre 1942 il malariologo del Cap denunciava

nuovi casi di “primitiva” in zone che risultavano indenni da

almeno 3 anni: segno che la malaria aveva ripreso vigore

e si espandeva, assai prima dei sabotaggi tedeschi.

6. Un’ultima notazione è di carattere geografico: quali sono

le zone costiere che vennero ri-allagate con acqua salina?

Non risulta che siano state redatte carte delle aree re-

impaludate, ma quelle note e di una estensione adeguata a

quanto si sarebbe progettato di fare sono solo quelle del

comprensorio di Quartaccio e di Borgo Hermada, che sono

sicuramente interne.

C’era infine da considerare che i tedeschi rimasero nelle

zone infette fino a maggio 1944, e pur essendo premuniti

contro i rischi di malaria, vi erano esposti alla pari dei

residenti.

Il quadro che emerge, insomma, potrebbe essere di questo

genere: se attentato biologico vi fu, esso si avvaleva di una

situazione sanitaria che andava progressivamente

degradando, per cui gli allagamenti iniziati nell’ottobre

1943 cadevano in un contesto favorevole ad una rapida

espansione malarica, come in effetti accadde (da ricordare

che alle campagne epidemiche primaverili-estive il Cap

aveva sentito la necessità di accompagnare anche

campagne invernali, dette “interepidemiche”, segno che

quanto si era fin l’ fatto non dava ancora garanzie di

raggiunta sicurezza). E questo avvenne non solo in Agro

pontino e a Fondi, ossia in aree pianeggianti e palustri, ma

anche in tutto il sud della Provincia, a Gaeta, Formia,

Minturno, Castelforte, dove non operavano pompe

idrauliche e dove gli allagamenti non potevano avere

l’estensione dell’area pontina.

In definitiva, per chiarire la storicità dell’evento

“bioterroristico” non resta che sfidare gli archivi e sperare

che salti fuori quell’ordine che solo potrebbe dare tragica

concretezza alla ipotesi formulata.

Medaglia d’Oro - Saggi: Il ritorno della malariaAnno I n° 1

Soldati irrorano le pozze d’acqua con disinfestanti per impedire la formazione delle larve di anofele

Page 72: Provincia Latina n.1

72

Medaglia d’Oro - Saggi Anno I n° 1

di PIER GIACOMO SOTTORIVA

ell’aprile 1947, il Capo Provvisorio dello Stato

Enrico De Nicola (1), compì un viaggio in provincia

di Latina, impegnandosi in un faticosissimo tour de

force che lo portò ad attraversare in auto, in andata e

ritorno e nella stessa giornata, la Provincia di Latina per

l’intera sua lunghezza. Era il primo atto ufficiale che

ricollegava la terra bonificata ad una matrice democratica.

Era stata la notizia di una visita a Cassino e all’area

contermine, programmata nel gennaio 1947, ad innescare

una garbata, ma non di meno efficace polemica da parte

degli Amministratori pontini, che avrebbero desiderato che

il Presidente facesse sosta anche nei loro centri, perché

constatasse di persona l’entità dei danni subiti a causa della

recentissima guerra, conclusasi in quest’area poco più di

due anni e mezzo prima, a fine maggio 1944. Erano stati,

difatti, emanati i provvedimenti destinati a favorire la

ricostruzione di Cassino, Montecassino e dei paesi della

bassa Ciociaria devastati dai cinque e più mesi di sosta del

fronte, nel corso dei quali si erano, tra l’altro, registrati i

micidiali bombardamenti prima dell’Abbazia benedettina,

ridotta ad un cumulo di macerie dagli alleati (15 febbraio

1944); poi della stessa città di Cassino, rasa praticamente

al suolo da un altro feroce quanto militarmente inutile

bombardamento (15 marzo 1944). Cassino era scampata

alle scorrerie delle truppe coloniali inquadrate nel Corpo di

Spedizione Francese, le cui feroci rappresaglie contro le

popolazioni si sintetizzano nel brutale neologismo nato

all’epoca, marocchinare – marocchinato/a, di cui fecero

esperienza sia le popolazioni del versante ciociaro

(Pontecorvo, Pico, ecc.), sia quelle del versante pontino

dell’antiappennino (Campodimele, Lenola, Monte San

Biagio, Sonnino, e via proseguendo). Quella fase della

guerra, com’è noto, è ormai storicamente sintetizzata col

nome di “battaglia di Cassino”, ma in realtà essa coinvolse

tutta l’area che dai contrafforti meridionali delle Mainarde

scende verso il mar Tirreno, accompagnando i corsi

d’acqua del Rapido e del Garigliano, e investendo anche

S.Angelo in Theodice, Pignataro Interamna, San Giorgio a

Liri, Castelnuovo Parano, Ausonia, in provincia di

Frosinone; e Castelforte (all’epoca unita in un solo Comune

con SS Cosma e Damiano), Minturno e Spigno Saturnia,

oltre all’immediato retroterra logistico, che includeva

Formia, Gaeta, Itri, Fondi e i comuni della collina ausona.

Anche nell’area litoranea e immediatamente interna la

battaglia – inizialmente sviluppatasi in aspri quanto

inefficaci attacchi alleati alla tedesca Linea Gustav, tra

dicembre 1943 e gennaio 1944 – aveva avuto uno

N

IL VIAGGIO IN PROVINCIA DEL CAPOPROVVISORIO DELLO STATO NEL 1947IL VIAGGIO IN PROVINCIA DEL CAPOPROVVISORIO DELLO STATO NEL 1947

Page 73: Provincia Latina n.1

73

svolgimento spietato, coinvolgendo i centri in ripetuti raid

aerei, e, soprattutto, in micidiali cannoneggiamenti dal

mare, ai quali aveva fatto da feroce omologia tutto il

complesso di azioni e reazioni che l’occupante tedesco,

affiancato dai pochi elementi che la Rsi mussoliniana

riusciva a mettere in campo, aveva spiegato con cruenta

efficienza: uccisioni di persone singole e di gruppi,

evacuazioni, demolizioni, rastrellamenti, trasferimenti

forzati in Germania.

Non era, pertanto, un caso che la Prefettura di Latina, in

una nota del 22 marzo 1947 (2),

annotasse che ben 14 dei 30

Comuni che allora costituivano la

provincia di Littoria, avevano subito

danni gravissimi alle abitazioni con

percentuali di distruzioni

mediamente superiori al 40%, e

con devastanti punte del 99% a

Castelforte, del 97% ad Aprilia, del

95% a Spigno Saturnia, del 94% a

Cisterna, del 93% a Fondi (3). In

definitiva, la percezione che la

battaglia per lo sfondamento della

Linea Gustav fosse stata soprattutto

l’epicedio funebre di Cassino si era

affermata anche per la forte

emozione suscitata dall’insensato

bombardamento e dalla

conseguente distruzione

dell’Abbazia, per cui il Governo, anche sotto la spinta del

primo sindaco di Cassino del dopoguerra, Gaetano Di

Biasio, aveva, come si è detto, adottato un pacchetto di

provvedimenti per la rinascita dell’intero Cassinate. Pur

nella ovvia solidarietà che i fatti non potevano non

suscitare, è, peraltro, comprensibile che i Sindaci dei

Comuni della provincia di Latina desiderassero attirare

l’attenzione anche sull’elevato grado di partecipazione alla

guerra e sulla notevole razione di danni che anche i loro

paesi avevano patito.

Nacque proprio da questo la piccola polemica cui si

accennava in apertura. Quando dai giornali si apprese del

viaggio che Enrico De Nicola (4) si accingeva a compiere

nella Ciociaria, i sindaci di Cisterna, Terracina, Fondi, Itri,

Formia e Minturno (5) rivolsero richiesta perché il Capo

dello Stato “si compiaccia brevemente sostare nei rispettivi

Comuni per ricevere l’omaggio delle popolazioni” (6). In

una sua lettera al Capo provvisorio dello Stato, il prefetto

ricordava le vicende belliche che avevano interessato il

territorio, ed, in particolare che “Cassino e Cisterna sono

stati il fulcro della grande battaglia combattuta per la

liberazione di Roma e costituiscono un insieme che non può

essere frazionato”. E concludeva: “La richiesta dei Sindaci

è l’espressione del desiderio

spontaneo e ardente delle

popolazioni di questa zona

sinistrata, che attende alla

ricostruzione con alto spirito

patriottico, ed ho, perciò, l’onore di

perorarne caldamente

l’accoglimento”. E con un gesto in

qualche modo audace e

spettacolare in un funzionario

dello Stato, Orrù anticipando la

attesa risposta positiva, “si

permetteva” di allegare anche

“uno schema di itinerario”. De

Nicola era uomo generoso e

intelligente e non fece passare 24

ore per dare la sua risposta

affermativa, trovando anche

un’elegante via d’uscita per

giustificare l’annullamento della visita già programmata nel

Cassinate e rielaborando un diverso e più ampio (e

faticoso) viaggio. Scrisse, infatti, ad Orrù il 17 gennaio che

il viaggio “nella zona Cassinese è stato rinviato per

impedimento dei Ministri che dovevano accompagnarmi”. E

assicurava la visita ai Comuni pontini nella nuova occasione

da programmare (7). E l’occasione fu creata in breve

tempo, perché la visita in provincia di Latina venne fissata

per il giorno 2 aprile (8) . Nell’impartire telegraficamente le

direttive generali in vista di essa, il Ministero dell’Interno,

“per espresso desiderio Personalità” (ossia di De Nicola), si

preoccupava soprattutto di due cose: “evitarsi modo

assoluto largo impiego forze pubbliche” e “non costituire

Civili tra le macerie

Anno I n° 1 Medaglia d’Oro - Saggi

Page 74: Provincia Latina n.1

74

Medaglia d’Oro - Saggi

ostacolo at popolo di liberamente manifestare at Capo

Stato” (9). Altri tempi. Ciononostante, il Questore di Latina,

Giuseppe Salazar, nel predisporre il piano dei servizi, si

preoccupò di assicurare “le misure di vigilanza per evitare

qualsiasi sorpresa”, attraverso controllo “sugli alberghi,

locande ed affittacamere per identificare le persone ivi

alloggiate, sottoponendo a vigilanza stranieri o persone

politicamente sospette” [una frase che era un non

dimenticato stilèma dei tempi appena trascorsi, NdA], e il

preventivo controllo delle strade lungo le quali il corteo

sarebbe passato, comprese le ispezioni delle fognature e

dei chiusini, secondo abitudini mai perdute. Quanto al

popolo, De Nicola si preoccupava che esso potesse

liberamente manifestare, mentre Salazar impartiva la

disposizione di trattarlo “con garbo non disgiunto dalla

dovuta energia” (10). Ogni comune da visitare aveva il

proprio funzionario di polizia responsabile, la propria

forza assegnata, incluso un nucleo di poliziotti di riserva da

tenere pronti ad intervenire in caso di necessità. Il Questore

Salazar aveva qualche motivo per preoccuparsi, perché,

malgrado il clima politico di grande attesa verso colui che,

dopo tanti anni, sostituiva l’ormai dimenticato Mussolini

nella guida del Paese, c’era stato qualche episodio che

denunciava il persistere di nostalgie all’epoca mal tollerate

(11). Malgrado i gravissimi danni subiti, la provincia aveva

iniziato rapidamente la ripresa, che sarebbe divenuta

impetuosa negli anni immediatamente successivi, anche se

nel 1947 si scontavano ancora i traumi della guerra,

manifestatisi sia nei cittadini morti (circa 7000 mila), sia

nelle emigrazioni forzate, temporanee o definitive anche di

interi paesi (Campodimele, Cisterna). Anche il quadro

demografico era in rapida evoluzione. Secondo il

censimento legale del 1936, infatti, la provincia di Littoria

contava 235.074 residenti (12), mentre la Prefettura ne

Anno I n° 1

Gli evidenti segni della guerra in Piazza Costanzo Ciano a Terracina

Page 75: Provincia Latina n.1

75

registrava già 261.060 al 31 dicembre 1946. La guerra

aveva, però, lasciato una scia di malattie, ad iniziare da

una recrudescenza malarica spiegata in diversi modi (13),

che assunse carattere virulento, colpì migliaia di persone

tanto nel nord provincia che nel sud, e che venne,

fortunatamente repressa in tempi ristretti, pur se ricorrendo

anche al DDT, micidiale per gli insetti ma seriamente

pericoloso anche per l’uomo. Quando De Nicola attraversò

l’area, la pandemia era praticamente scomparsa, e la

popolazione era davvero protesa verso il nuovo, che il

Presidente della Repubblica rappresentava. Si comprende,

così, l’affettuosa pressione cui egli venne sottoposto, anche

da parte di frazioni, come Tufo di Minturno, che, attraverso

il sindaco Nicola Bochicchio, democristiano, chiese al

Prefetto di sollecitare una

deviazione. Che non avvenne

perché il viaggio da compiere in

una sola giornata, con una

quantità di soste, di discorsi, di

premure, attraverso gli oltre 120

km di lunghezza della Provincia,

era di per sé una grossa fatica (e

De Nicola aveva già 70 anni). E se

era inevitabile che le isole

restassero fuori itinerario (il

sindaco di Ponza Vincenzo

Mattera, come il suo collega di

Ventotene Fortunato Verde erano

stati, peraltro, impediti dal

maltempo che aveva bloccato la

partenza del piroscafo, a

partecipare), meno gradita fu la

mancata sosta a SS Cosma e

Damiano, Comune che era stato appena ricostituito col

distacco da Castelforte. In una lettera indirizzata allo stesso

Capo dello Stato e ad una sequela di indirizzi, si

recriminava il fatto che “non era stato nemmeno possibile

vederne la figura”, perché De Nicola non venne fatto

scendere dall’auto in cui si trovava, dato il maltempo, “l’ora

tarda e per l’entusiasmo, forse un po’ troppo caloroso”,

circostanze che sconsigliarono di esporlo, con grandissima

delusione dei presenti (14). De Nicola era poi ripartito dal

sud alle 21.30 per Roma. Il viaggio fornì l’occasione ai

Sindaci per esporre la gravità della situazione in cui i

rispettivi paesi versavano, e per sollecitare, quindi,

l’estensione ai centri maggiormente colpiti delle

provvidenze governative riservate all’area del Cassinate.

Nel fascicolo relativo al viaggio, conservato presso

l’Archivio di Stato di Latina, sono rimaste tre relazioni:

quella del Comune di Cisterna, a firma di Felice Leonardi,

quella di Gaeta, che fu presentata dal sindaco Giovanni

Cesarale e quella di Minturno, di Nicola Bochicchio, oltre a

qualche sintetica nota per altri Comuni. Al di là di alcune

enfasi, le tre relazioni fanno riferimento ad altrettante

situazioni drammatiche, perché, sia pure con alcune

diversità, tutti e tre i Comuni erano stati duramente provati

dal passaggio della guerra.

Vediamo rapidamente il quadro

che emerge dai tre documenti.

Cisterna. Il sindaco ricorda che

mentre circa 4000 abitanti erano

ancora nei “centri di raccolta per

profughi di Sabaudia, Latina, Roma

e in altre parti d’Italia”, la metà

circa degli 11 mila cittadini rientrati

dallo sfollamento “sono tutt’ora

ricoverati allo stato primitivo sotto

baracche e tuguri, sia in paese che

in campagna”. Si chiedevano,

perciò, fondi per case popolari, si

sollecitava la liquidazione dei

danni di guerra (l’iniziativa privata

per il ripristino delle case

danneggiate era attivissima, ma il

ritardo nei pagamenti faceva

correre il rischio “che gli interessi pagati alla Cassa di

Risparmio di Latina per le relative anticipazioni riducano

sensibilmente” i pagamenti dello Stato); e, soprattutto, si

cercava di evitare che le numerose case rurali passassero

dalla competenza del Genio Civile a quella dell’Ispettorato

Agrario di Roma, che avrebbe ritardato enormemente

l’attesa liquidazione. Insomma, Cisterna non aspettava

tutori, si era già mossa di buona lena, ma chiedeva quel che

le spettava, inclusa l’approvazione del piano di

Rovine a Castelforte

Medaglia d’Oro - SaggiAnno I n° 1

Page 76: Provincia Latina n.1

76

Medaglia d’Oro - Saggi Anno I n° 1

Ricostruzione, che era fermo all’esame del Ministero dei

Lavori pubblici. Emerge dal promemoria anche l’immagine

dolente dei danni ancora “vivi”: i ponti distrutti della

Cisterna-Aprilia, l’inutilizzabilità di gran parte del palazzo

comunale, la mancanza di aule scolastiche, di fogne, di un

lavatoio pubblico e di “gabinetti pubblici di decenza ed

orinatoi”. Si passava, quindi, ai “desiderata della

Popolazione”: il risarcimento dei danni di guerra per mobili

e biancheria, l’esenzione dal pagamento della sovrimposta

fondiaria, il contenimento degli accertamenti dei redditi di

ricchezza mobile. Insomma, si chiedeva, con grande

dignità, “il minimo indispensabile”.

Gaeta. Tornano anche nella relazione di Cesarale le

richieste per risarcimenti, per il ripristino dell’acquedotto,

per la ricostruzione delle case ridotte in macerie, ma anche

altri segnacoli del passaggio della guerra: la ricostruzione

della casa comunale, delle scuole elementari, del mattatoio,

del tronco ferroviario Gaeta-Formia, interrotto dal crollo di

alcune arcate dei 25 Ponti; delle banchine portuali, minate

dai tedeschi, dell’Episcopio, della cattedrale e delle chiese

parrocchiali distrutte o gravemente danneggiate. E

incalzavano altre istanze: l’esenzione da imposte e tasse, in

quanto comune sinistrato del Garigliano, la bonifica del

pantano di S. Agostino, il ripristino del servizio

trisettimanale Gaeta-Ponza (“che ora funziona solo

saltuariamente”), il “ripristino degli Uffici pubblici aboliti e

trasportati altrove dal passato regime”, come l’Ufficio del

Registro e il Distretto militare.

Minturno. L’emergenza più grave era la mancanza di

acqua potabile, fatta eccezione per la sola frazione di

Scauri. Si procedeva con “acqua non analizzata” derivata

dalla sorgente Genzano, mentre nelle frazioni si beveva

acqua dai pozzi, con tutti i rischi connessi. E l’elettricità

mancava ancora a Tufo, S. Maria Infante, Pulcherini e

Tremensuoli. La Società Elettrica della Campania, alle

sollecitazioni comunali, rispondeva che era in attesa del

legname per la palificazione. Minturno pativa inoltre per le

case pericolanti e la quantità di macerie di edifici demoliti

e non sgomberati, ai quali si faceva anche risalire la

recrudescenza malarica che “da tre anni ha infierito su

questa popolazione”. Concorreva a creare condizioni di

disagio il fatto che tre piccoli rivi, il S. Domenico, il

Capolino e il Capodacqua sboccavano irregolarmente nel

largario di piazza Roma e nei pressi dell’ex cinema

Capolino, formando pozze di ristagno. E mentre si

registrava, finalmente, l’apposizione dei vetri alle finestre

delle scuole, si lamentava ancora lo sfacelo del carcere

mandamentale e dei locali della pretura, degli edifici

comunali, delle case che impedivano il rientro dei cittadini

raccolti ancora nei centri profughi, come per Cisterna,

Le truppe algerine rastrellano Castelforte

Page 77: Provincia Latina n.1

77

Medaglia d’Oro - Saggi

dell’ospedale civile la cui attrezzatura sanitaria era stata

spogliata dai tedeschi. Si chiedeva, poi, la bonifica degli

ordigni bellici: “Dalla liberazione ad oggi – annotava il

sindaco – oltre 250 sono state le vittime cadute sul lavoro”

a causa delle mine e degli esplosivi lasciati nei campi. Al

tutto, poi, si aggiungeva l’inaccettabile imposizione

tributaria fondiaria, sui redditi agrari e sui contributi

unificati: proprio in quei giorni erano stati messi in

riscossione i ruoli 1945 e 1946, fatto che aveva “provocato

un risentimento nella popolazione perché non viene usata

ad essa lo stesso trattamento dei Comuni del Cassinate, con

i quali Minturno forma una cosa sola per le vicende belliche

patite in comune”: il che significava esenzione

quinquennale da tasse e imposte, ed, anzi, una

“legislazione speciale”.

SS Cosma e Damiano. Per il paese appena ricostituito è

conservato un pro-memoria anonimo, che reca come

“firma” la frase “debitamente sottoscritta dalla

Cittadinanza”. Vi si chiede la costruzione della casa

comunale, di case per senza tetto, di villaggi Unrra per

agevolare il rientro dei profughi, la sistemazione della

strada SS Cosma-S. Lorenzo e il collegamento con Ventosa.

Formia. Per la città tirrenica si dispone di un appunto del

Questore Salazar: in occasione della visita che il Ministro

dei Lavori Pubblici Umberto Tupini compì a Gaeta e Formia

il 6 ottobre, l’alto funzionario scrisse in un promemoria che

lo stesso Tupini aveva assegnato “con suo immediato

provvedimento”, 88 milioni di lire per la riparazione di

case, la ricostruzione della chiesa di S. Teresa, dei

marciapiedi, della strada di accesso al porto, per lo

sgombero di macerie [molte delle quali sarebbero andate a

colmare lo specchio d’acqua sul sito dell’attuale Largo

Paone, NdA], e per lavori a Maranola, Trivio e

Castellonorato.

Anno I n° 1

SS Cosma e Damiano dilaniato dai bombardamenti

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Medaglia d’Oro: Saggi

NOTE

(1) De Nicola fu eletto inizialmente Capo provvisorio dello Stato. Divenne

il primo Presidente della Repubblica il 1° gennaio 1948.

(2) Tutti i documenti qui citati, se non diversamente annotati, provengono

dall’Archivio di Stato di Latina - Prefettura di Latina, Busta 185 – Fasc. 9/I.

(3) Va tenuto conto che al momento dell’impatto bellico Aprilia (al centro

di quattro sanguinose battaglie tra gennaio e maggio 1944) e Spigno

Saturnia, demolita a colpi di dinamite dai tedeschi, erano poco più di

piccoli borghi come entità edilizia e demografica. Secondo la Prefettura, i

dati di inabitabilità delle abitazioni negli altri Comuni erano i seguenti:

Cori 43% (ma Giulianello 65%), Formia 75% (ma Castellonorato 84%),

Gaeta 70%, Itri 69%, Latina 46% (ma i Borghi Carso, Piave, Podgora e

Sabotino 100%), Lenola 52%, Minturno 58% (ma Scauri 68%, Simonelli

69%, mentre la coventrizzata S. Maria Infante viene “accreditata” di un

assai poco credibile 43%), Sperlonga 62% e Terracina 49%. Per la cit., v.

nota 1. Quelle valutazioni meritano qualche ritocco, ma esse valgono,

comunque, a dare il senso del “percepito”, come sentimento generale, ma

anche dell’effettualità se si tiene conto da un lato delle denunce dei danni

di guerra e, soprattutto, della richiesta di alloggio che perveniva ai Comuni

e alla stessa Prefettura.

(4) Enrico de Nicola nacque il 9 novembre 1877 e morì il 1 ottobre 1959.

(5) Lettera del prefetto di Latina Gaetano Orrù al Presidente De Nicola, s.d.

nella velina, ma molto probabilmente del 16 gennaio 1947. Questa,

difatti, è la data della lettera che Orrù spedì al Capo di Gabinetto di De

Nicola, avvocato Umberto Collamarino: a questa lettera era allegata la

richiesta indirizzata a De Nicola, secondo intese che i due avevano

concordato. La lettera venne portata a mano a Roma dal vice questore

Marchitto. Per la cit. v. nota 1.

(6) Credo non sia del tutto fuori luogo osservare il tono deferente usato nel

rivolgersi al Capo dello Stato, quando verso le Istituzioni, pur in un intento

vagamente polemico, si usava innanzitutto la regola del Rispetto, oggi

gravemente messa in crisi.

(7) Lettera del Capo provvisorio dello Stato al Prefetto Orrù, 17 gennaio

1947. Per la cit. v. nota 1.

(8) La cronaca dei preliminari registra un paio di programmi diversi: quello

finale comprendeva l’arrivo a Cisterna alle 8.30 e la partenza alle ore 9;

l’arrivo a Latina alle 9.20 e la partenza alle 10.30; arrivo a Terracina alle

11.15 e partenza alle 11.45; a Fondi, rispettivamente, ore 12.15 e ore

12.45; a Itri ore 13.15 e ore 13.30; a Gaeta ore 15.15 e ore 15.45; a

Formia ore 16 e 16.30; a Scauri ore 16.45 e ore 17; a Minturno ore

17.30 e 17.45; a Castelforte ore 18.15 e 18.30. Poi ritorno a Roma. La

giornata sarebbe stata interrotta da una “colazione al sacco”, prevista alle

ore 14.15, tra la visita a Itri e quella a Gaeta. Non è indicato se De Nicola

abbia consumato il suo frugale pasto in macchina. L’onorevole Vittorio

Cervone, all’epoca segretario provinciale della Democrazia Cristiana e

non ancora deputato, ricorda gustosamente le corse che dovette fare per

imbandierare con lo Scudo Crociato, emblema del suo partito, il percorso

del corteo delle auto, man mano che si spostava.

(9) Telegramma del Ministero alla Prefettura di Latina del 27 marzo 1947,

in cifra. Per cit. v. nota 1.

(10) Circolare del Questore di Latina alle autorità locali in data 30 marzo

1947. V. nota 1.

(11) Va ricordato che erano già stati segnalati episodi di risorgenze

fasciste, per le quali rinvio al mio La nascita del Movimento Sociale italiano

a Formia, in Brevi note, sui partiti politici in provincia di Latina. Primi

materiali per un progetto di ricerca storica e di tutela degli archivi, a cura

di A. Attanasio e P.G. Sottoriva, Latina 2005.

(12) Va, tuttavia, considerato che nella popolazione al 1936 non erano

compresi ancora i circa 2000 abitanti che Aprilia aveva subito dopo

l’inaugurazione; inoltre, Ponza annoverava anche i confinati, pur

forzatamente residenti. Infine, fra il 1936 e il 1940 Littoria aveva

incrementato in qualche modo la sua popolazione.

(13) La tesi del ritorno dell’anòfele per effetto dei sabotaggi alle opere di

bonifica e ai conseguenti allagamenti di ampi tratti della pianura è

affacciata da diversi autori, anche malariologi, e da ultimo sintetizzata in

Frank M. Snowden, The Conquest of Malaria, Italy 1900-1962, Yale

University Press, New Haven & London, dicembre 2005, che sostiene la

volontà dei tedeschi di vendicarsi del tradimento italiano reintroducendo la

zanzara portatrice del plasmodium malariae e vi sono le condizioni

causate dalle distruzioni (ristagni d’acqua, putredine, ecc.). V. in questa

stessa Rivista il saggio L’esplosione malarica post-bellica: Fu un attentato

biologico studiato?

(14) Lettera di Franco Sparagna e altri, della Sezione del Pci, in data 3

aprile 1947. Nella lettera ci si rammaricava anche del fatto che,

contrariamente che a SS Cosma, De Nicola aveva fatto una breve sosta

“nel vicino Comune di Castelforte fascista e monarchico”, e che “era sceso

dalla macchina dando piena soddisfazione ai nemici della Repubblica”.

Era dovuto intervenire a placare gli animi il ministro Sereni, che si trovava

al seguito. Un altro piccolo incidente diplomatico era avvenuto la mattina,

in occasione del breve ricevimento presso la Prefettura di Latina, dove il

Presidente del Gruppo di Latina dell’Unione nazionale degli Ufficiali in

congedo, capitano Augusto Lavoriero, per un disguido, era stato trattenuto

all’ingresso e impedito di partecipare all’incontro. Si era rammaricato in

una lettera al prefetto Orrù, e questi si era scusato dell’inconveniente anche

“come vecchio ufficiale in congedo”. Lavoriero fu anche esponente politico

dell’immediato dopoguerra. A proposito si riorganizzazione politica, va

ricordato che il 20 febbraio 1947 il Questore aveva reso noto che in

provincia operavano cinque “partiti di massa”: Dc, Pci, Psi, Pri e Uomo

Qualunque, i cui segretari erano, rispettivamente: Vittorio Cervone,

Severino Spaccatosi, Giuseppe Pompili, Pietro Ballerini e Umberto Bruno.

Operavano, inoltre, il Partito d’Azione (Cornelio Rosati), il Partito

democratico del Lavoro (Vito Tommaso Budelli) e il Pli (Attilio Pilone).

Anno I n° 1

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di AGOSTINO ATTANASIO*

naugurata il 2 giugno nei giardini del Palazzo del

Governo e successivamente ospitata nei Comuni di

Latina, Sermoneta, Gaeta, Terracina, Castelforte e

Fondi, si è conclusa a Ventotene l’otto settembre 2006

l’itinerario della mostra documentaria “La nascita della

Repubblica in provincia di Latina” realizzata dall’Archivio

di Stato in collaborazione con la Provincia di Latina

nell’ambito delle celebrazioni del 60mo anniversario del

referendum istituzionale del 2 giugno 1946 che la

Prefettura di Latina ha promosso e coordinato.

Le finalità della mostra documentaria, che nei prossimi mesi

potrà essere visitata in altri luoghi pubblici e in alcuni istituti

scolastici della provincia sono già implicitamente contenute

nel suo titolo e nel contesto istituzionale in cui essa nasce:

ripercorrere le vicende della nostra provincia nel momento

in cui l’Italia, il 2 giugno di sessant’anni fa, scelse la forma

repubblicana di Stato, con una consultazione referendaria

in cui per la prima volta le donne ebbero diritto di voto.

Fu l’inizio di una nuova storia, su cui tuttavia la mostra

documentaria si affaccia soltanto. Essa dà invece uno

spazio maggiore agli accadimenti che portarono alla

nascita della Repubblica, agli avvenimenti che dalla caduta

di Mussolini giungono all’armistizio, alla fine della guerra,

alla nascita dei primi governi democratici e all’iniziativa dei

partiti politici nell’immediato dopoguerra. Si sofferma in

particolare sui disastri della guerra, gravissimi proprio nella

nostra provincia, che dal 1943 alla liberazione del suo

territorio (maggio ‘44) subì i bombardamenti degli Alleati e

l’occupazione dell’esercito tedesco, e dal gennaio del 1944

fu stretta tra i due fronti del Garigliano e della testa di ponte

di Anzio-Nettuno. Riprendere queste pagine della nostra

storia è peraltro il modo migliore per rendere omaggio alle

sofferenze di quegli anni, che il Presidente Ciampi, il 25

aprile di quest’anno, ha voluto ricordare e onorare

conferendo alla Provincia di Latina la medaglia d’oro al

merito civile.

Ma nei suoi ultimi pannelli la mostra documentaria propone

i temi e i materiali di propaganda dei partiti alla vigilia

della lotta elettorale del 1946: manifesti, volantini e vignette

di rara incisività che evocano con grande forza il clima del

tempo. E riprende i risultati del referendum e delle elezioni

per l’Assemblea costituente, sia a livello nazionale che nei

Comuni della provincia di Latina, mostrando con l’evidenza

Medaglia d’Oro - Saggi: La nascita della RepubblicaAnno I n° 1

I

SESSANT’ANNI DI LIBERTA’SESSANT’ANNI DI LIBERTA’

Page 80: Provincia Latina n.1

80

dei grafici la netta ed omogenea affermazione della scelta

repubblicana nel Centro-Nord, e la vittoria monarchica in

tutto il Meridione, a partire proprio dal nostro collegio di

Roma, Frosinone, Latina e Viterbo: una differenziazione nei

comportamenti elettorali che in qualche modo si riflette

anche nelle nostra provincia dove alla Repubblica va il 55%

delle preferenze e sono tutti collocati nel sud pontino i nove

Comuni ove prevale la Monarchia: Monte San Biagio,

Sperlonga, Gaeta, Formia, Castelforte, Ventotene,

Minturno, Lenola e Spigno Saturnia. Inoltre, un paio di

documenti individuati proprio in occasione della

ricognizione delle fonti realizzata per la mostra

documentaria ha consentito di esporre per la prima volta i

risultati referendari delle ventuno sezioni del Comune di

Latina, facendo vedere la significativa differenzianzione tra

il centro urbano, ove di poco prevale la Monarchia, ed i

borghi, che scelgono la Repubblica con percentuali molto

alte (a Borgo Bainsizza addirittura con l’83%). Infine, la

mostra si conclude raccontando l’episodio che condusse

all’adozione dell’emblema della Repubblica, elaborato da

Paolo Paschetto e poi modificato in collaborazione con

Duilio Cambellotti, autore a Latina e in altri Comuni della

nostra provincia di tante opere di straordinaria bellezza.

Ad una mostra documentaria viene di solito assegnato il

compito di comunicare ad un pubblico il più largo possibile

quanto la ricerca storica e gli studi specialistici hanno già

acquisito. E’ stato così anche per la mostra documentaria

realizzata dall’Archivio di Stato in occasione del 60mo

anniversario della nascita della Repubblica. Essa infatti si

avvale, per la parte dedicata agli avvenimenti storici di

livello nazionale, del catalogo della mostra realizzata

vent’anni fa dall’Archivio Centrale dello Stato in occasione

del 40mo anniversario della Repubblica e, per la parte

dedicata alla storia della nostra provincia, utilizza studi e

ricerche consolidate. In altri casi, tuttavia, la mostra offre

materiale del tutto inedito, com’è soprattutto per la prigionia

di Mussolini a Ponza (28 luglio-7 agosto 1943), o per

l’analisi dei risultati del referendum istituzionale a Latina.

I tredici pannelli che costituiscono la mostra procedono

cronologicamente dal 1943 al 1946 seguendo due paralleli

livelli di narrazione, graficamente contraddistinti da due

loghi diversi: nel primo sono rapidamente sintetizzate le

vicende nazionali (qui con il titolo in tondo), mentre nel

secondo è proposta la lettura dei più significativi documenti

di storia locale (titoli in corsivo).

25 luglio - 8 settembre 1943.

Dalla caduta di Mussolini all’armistizio

Mussolini prigioniero a Ponza

8 settembre 1943 – 4 giugno 1944.

Dall’armistizio alla liberazione di Roma

Dal Garigliano all’area pontina

I disastri della guerra in terra pontina

I giorni della transizione nei Comuni pontini

Medaglia d’Oro - Saggi: La nascita della Repubblica Anno I n° 1

Un ritaglio di giornale contenente i risultati del Referendum del 2 giugno 1946

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4 giugno 1944 – 2 giugno 1946.

Dalla liberazione di Roma alla Repubblica

La propaganda dei partiti politici in Italia

Verso le elezioni del 1946 in provincia di Latina

Liste e propaganda in provincia di Latina

2 giugno 1946.

I risultati elettorali in Italia

1946. I risultati elettorali in provincia di Latina

La Repubblica italiana e il suo emblema

Ma la conclusione del primo itinerario della mostra a

Ventotene non è privo di significato. Nell’isola che ha legato

il suo nome all’europeismo e agli ideali di pace, libertà e

democrazia fissati nel “manifesto di Ventotene” di Altiero

Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, proprio l’8

settembre, in una data di vasta risonanza storica, si è svolto

un incontro pubblico per presentare e discutere le iniziative

che la Provincia di Latina e l’amministrazione degli Archivi

di Stato intendono avviare a partire dal prossimo mese di

ottobre per richiamare il ricordo degli anni che hanno

portato alla nascita della Repubblica e per diffondere tra le

giovani generazioni le idealità che hanno accompagnato

quella storia.

Dopo i saluti del sindaco di Ventotene Giuseppe Assenso,

che durante la fase di organizzazione delle celebrazioni del

60mo anniversario del 2 giugno aveva sollecitato l’approdo

della mostra documentaria a Ventotene proprio allo scopo

di rinsaldare il legame iconico dell’isola con la storia

repubblicana e la vita democratica del Paese, il Prefetto di

Latina, Alfonso Pironti, ha ricordato le tante manifestazioni

che si sono svolte in provincia di Latina per festeggiare la

nascita della Repubblica, recependo a pieno le indicazioni

date nel mese di aprile dal presidente Ciampi, ed ha

sottolineato il particolare valore educativo delle inizative

rivolte ai giovani.

A tale proposito, Alessandro Maracchioni, Assessore alle

politiche della scuola della Provincia, intervenuto anche a

nome del Presidente Armando Cusani, ha avanzato la

proposta di portare la mostra documentaria per la nascita

della Repubblica negli Istituti scolastici superiori della

provincia per richiamare il ricordo di quegli anni decisivi e

per diffondere tra le giovani generazioni le idealità che

hanno accompagnato quella storia, studiando magari

ulteriori forme di comunicazione dei suoi contenuti.

Chi scrive ha ripercoso in breve le tappe più significative

della mostra documentaria e ha impegnato l’Archivio di

Stato di Latina a organizzare quest’anno, con l’apporto di

storici di rilievo nazionale, un convegno di studi che si

avvalga di un insieme significativo di ricerche di prima

mano sulle fonti archivistiche con l’intento di avviare un

Anno I n° 1 Medaglia d’Oro - Saggi: La nascita della Repubblica

Littoria appena liberata dagli alleati

Page 82: Provincia Latina n.1

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ciclo di indagini in settori ancora poco frequentati: i primi

anni della nostra Repubblica ed il periodo della

ricostruzione, l’organizzazione dei partiti politici e la

formazione delle classi dirigenti.

Da parte sua il direttore generale per gli Archivi, Maurizio

Fallace, ha apprezzato e fatto propria l’articolazione della

mostra documentaria, ed ha confermato l’impegno del

Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel promuovere nei

maggiori Archivi di Stato italiani iniziative analoghe che

con il consueto rigore scientifico sappiano connettere alla

storia nazionale di quegli anni la narrazione delle tante,

variegate, e talvolta poco conosciute, vicende locali. Per

giungere infine, a conclusione delle celebrazioni del 60mo

anniversario, ad una mostra documentaria nazionale da

realizzare presso l’Archivio Centrale dello Stato che

conserva le fonti più importati per la storia italiana in età

contemporanea.

I due livelli del racconto storico della mostra – locale e

nazionale -, sono stati infine ripresi nelle relazioni di Pier

Giacomo Sottoriva e di Aldo G. Ricci, cui era richiesto di

tratteggiare, in provincia di Latina e in Italia, il quadro

storico degli anni che dalla caduta di Mussolini giungono

fino alla nascita della Repubblica.

Pier Giacomo Sottoriva, autore di diversi studi sugli

avvenimenti bellici nel territorio pontino (e da ultimo:

Cronache da due fronti, Latina: 2004), si è soffermato in

particolare sulle conseguenze della guerra. Nata come la

più giovane e la più fascista delle province italiane, la

provincia pontina subì non soltanto il sacrificio di tante

vittime civili e di ingenti danni materiali nelle sue strutture

economiche, ma fu pure chiamata a superare,

nell’immediato dopoguerra, una sorta di mutazione

genetica che ebbe forse conseguenze durature sulla

formazione della sua classe dirigente.

Infine Aldo G. Ricci, sovrintendente all’Archivio Centrale

dello Stato ed autore per il Mulino di un volume dedicato

proprio alla Repubblica (La Repubblica, Bologna: 2001),

conoscitore impareggiabile delle fonti storiche di questo

periodo, si è soffermato soprattutto sull’attività e sulla

propaganda dei partiti politici dalla Liberazione al

referendum istituzionale, quasi anticipando i contenuti di

quella che sarà la mostra documentaria che presso

l’Archivio Centrale dello Stato, a Roma, concluderà a

giugno le celebrazioni del 60mo anniversario della nascita

della Repubblica.

Medaglia d’Oro - Saggi: La nascita della Repubblica Anno I n° 1

L’emblema della Repubblica Italiana

* Direttore dell’Archivio di Stato di Latina

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