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 PROTEINE ENZIMATICHE: Laurea Specialistica in Conservazione e R estauro dei BBCC Prof. F. Palla FATTORI CHE NE INFLUENZANO L’ATTIVITA’ Temperatura Gli enz imi , in qua nto cat aliz zato ri bio log ici age nti all ’int erno dei sis temi viv ent i, han no una temperatura ottimale compresa tra i 30- 40° C. Vi sono tuttavia casi, come quelli relativi ad enzimi  pr odo tti da mic ror gan ismi che ven gon o sec reti all ’es tern o del l’orga nis mo stesso, in cui la temperatura ottimale coincide con quella dell’ambiente (20-25° C). Propr io dalla temper atura può dipen dere anche la scelta dell’enzima e le modalità di applicazione dello stesso, è evidente che se si utilizzano enzimi con temperatura ottimale elevata, bisognerà considerare l’i pot esi di un riscal dament o del la mis cel a enz ima tica e della sup erfi cie stessa da trattare.  pH Il valore ottimale del pH della miscela deve essere mantenuto durante la reazione enzimatica, infatti, se il mezzo acquoso in cui l’enzima si trova disperso ha un pH che si discosta dal valore ottimale, l’attività enzimatica potrà esserne compromessa. Il 100% di attività si ha infatti solo entro un preciso intervallo, discostandosi dal quale si può avere una notevole perdita di attività. Se, ad esempio, la soluzione in cui l’enzima è sciolto non è stata tamponata , il contatto con sostanze a carattere acido o basico (per esempio sostanze che a seguito di invecchiamento sono divenute acide, come Oli e Resine naturali) può causare una variazione del pH tale da rallentare o addirittura arrestare l’attività enzimatica.  Inibitori dell’attivita’ enzimatica Alcuni ioni di metalli pesanti come Rame (Cu + ), Mercurio (Hg 2+ ), Piombo (Pb 2+ ), Cadmio (Cd 2+ ), Argento (Ag 2+ ) possono svolgere un ruolo di inibitori dell’attività enzimatica, perché sono in grado di legare reversibilmente l’enzi ma. causa ndo alteraz ioni strut turali nella configuraz ione stessa dell’enzima. Questi metalli sono compresi in una grande varietà di pigmenti sia antichi che recenti: rame: Azzurrite e Malachite; cadmio: la serie dei gialli e rossi di cadmio; mercurio: cinabro;  piombo: biacca e minio; antimonio: giallo di Napoli; cromo: tutta la serie dei verdi di cromo. In realtà, a seconda dei casi, la presenza di uno o più di questi pigmenti in uno strato pittorico, può essere considerata una limitazione o, al contrario, un’eventuale garanzia di “selettività”.

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PROTEINE ENZIMATICHE:

Laurea Specialistica in Conservazione e Restauro dei BBCC Prof. F. Palla

FATTORI CHE NE INFLUENZANO L’ATTIVITA’

Temperatura

Gli enzimi, in quanto catalizzatori biologici agenti all’interno dei sistemi viventi, hanno una

temperatura ottimale compresa tra i 30- 40° C. Vi sono tuttavia casi, come quelli relativi ad enzimi

  prodotti da microrganismi che vengono secreti all’esterno dell’organismo stesso, in cui la

temperatura ottimale coincide con quella dell’ambiente (20-25° C).

Proprio dalla temperatura può dipendere anche la scelta dell’enzima e le modalità di applicazione

dello stesso, è evidente che se si utilizzano enzimi con temperatura ottimale elevata, bisognerà

considerare l’ipotesi di un riscaldamento della miscela enzimatica e della superficie stessa da

trattare.

 pH 

Il valore ottimale del pH della miscela deve essere mantenuto durante la reazione enzimatica,

infatti, se il mezzo acquoso in cui l’enzima si trova disperso ha un pH che si discosta dal valore

ottimale, l’attività enzimatica potrà esserne compromessa. Il 100% di attività si ha infatti solo entro

un preciso intervallo, discostandosi dal quale si può avere una notevole perdita di attività.

Se, ad esempio, la soluzione in cui l’enzima è sciolto non è stata tamponata , il contatto con

sostanze a carattere acido o basico (per esempio sostanze che a seguito di invecchiamento sono

divenute acide, come Oli e Resine naturali) può causare una variazione del pH tale da rallentare o

addirittura arrestare l’attività enzimatica.

 Inibitori dell’attivita’ enzimatica

Alcuni ioni di metalli pesanti come Rame (Cu+ ), Mercurio (Hg 2+), Piombo (Pb2+), Cadmio (Cd2+),

Argento (Ag2+) possono svolgere un ruolo di inibitori dell’attività enzimatica, perché sono in grado

di legare reversibilmente l’enzima. causando alterazioni strutturali nella configurazione stessa

dell’enzima. Questi metalli sono compresi in una grande varietà di pigmenti sia antichi che recenti:

rame: Azzurrite e Malachite; cadmio: la serie dei gialli e rossi di cadmio; mercurio: cinabro;

 piombo: biacca e minio; antimonio: giallo di Napoli; cromo: tutta la serie dei verdi di cromo.In realtà, a seconda dei casi, la presenza di uno o più di questi pigmenti in uno strato pittorico, può

essere considerata una limitazione o, al contrario, un’eventuale garanzia di “selettività”.

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Se, ad esempio, si volesse rimuovere una ridipintura con metodo enzimatico, la presenza di questi

agenti inibitori rappresenterebbe una limitazione.

Se, invece, volessimo togliere una patina sopra lo strato pittorico, la certezza che il pigmento blocca

l’enzima sarebbe una garanzia di selettività dell’intervento, in quanto eviterebbe l’interferenza con

lo strato pittorico.

Diverso è il caso in cui un enzima viene a trovarsi a contatto con uno strato pittorico, in cui le

  particelle di pigmento sono disperse nella matrice filmogena, costituita dal legante pittorico

solidificato. In questo caso, infatti,, non è detto che lo ione metallico possa interagire con l’enzima.

In particolare, in una pittura “grassa”, tipicamente a legante oleoso le particelle di pigmento sono

completamente rivestite da una pellicola di legante idrofobo, idrorepellente. In queste condizioni è

difficile pensare che lo ione metallico possa interagire con l’enzima causandone l’inibizione.

Diverso è il caso di una pittura “magra”, come una tempera a colla (animale) o a gomma

(vegetale), che ha un tipico aspetto “satinato”, proprio perché le particelle di pigmento sono

completamente ricoperte da legante; in queste condizioni, dato il carattere idrofilo del legante, le

 particelle metalliche possono effettivamente arrivare a contatto con l’enzima.

LE IDROLASI

Gli enzimi che interessano il restauro sono gli enzimi Idrolitici o Idrolasi, enzimi in grado di

catalizzare l’idrolisi dei legami C-O o C-N e che, quindi, hanno la capacità di degradare

macromolecole a carattere polisaccaridico (cellulosa, amido, sostanze amilacee), proteico

(collagene e colle animali, albumine, caseine, uovo), lipidico (oli, grassi, cere).

Le Amilasi possono essere:

- di origine animale, ricavate dalla saliva o dai tessuti di alcuni organi come le Amilasi

 pancreatiche;

- di origine microbica: isolati da varie specie di batteri soprattutto  Bacillus e microfunghi

come Aspergillus;

- di origine vegetale, ricavate da tuberi.

Gli enzimi Proteolitici possono avere:

- origine animale, derivati dai tessuti di alcuni organi, principalmente stomaco o pancreas,

come Pepsina, Tripsina, Pancreatina e Proteasi gastriche;

- di origine vegetale, ricavate dai frutti di ananas, papaia e fico;

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di origine microbica, isolati da varie specie di batteri, soprattutto Bacillus e microfunghi come

 Aspergillus;

- di origine animale: estratti dai tessuti del pancreas, come le Lipasi pancreatiche;

- di origine microbica: isolati da varie specie di batteri, soprattutto  Bacillus e funghi, in

 particolare Asperigillus e Penicillum.

Analogamente gli enzimi Lipolitici possono essere:

- di origine animale: estratti dai tessuti del pancreas, come le Lipasi pancreatiche;

- di origine microbica: isolati da varie specie di batteri, soprattutto  Bacillus e funghi, in

 particolare Asperigillus e Penicillum.

A determinare il tipo di Idrolasi da utilizzare è la natura dello “sporco” che deve essere rimosso.

La scelta deve, però, tenere conto anche della composizione degli altri materiali, quelli originari che

devono essere preservati e non alterati dall’operazione di pulitura.

Quindi è necessario ricorrere ad analisi preliminari ed effettuare un’accurata diagnosi al fine di

ottenere informazioni più precise sulla natura di questi materiali e dello “sporco” da rimuovere.

Le amilasi richiedono solitamente un pH neutro, grazie alla loro capacità di degradare la molecola

dell’amido possono essere impiegate per la rimozione di diversi materiali adoperati nel restauro;

amido presente nelle colle d’amido; sostanze amilacee come le farine, presenti in miscela con altri

componenti nelle colle di pasta e nelle colle di farina. Dal momento che è abbastanza infrequente la

  presenza di amido sulla superficie dipinta, spesso si ricorre all’uso delle amilasi per interventi

finalizzati alla rimozione di residui di colle, d’amido o di pasta, utilizzate in interventi di foderatura;

risulta frequente il loro utilizzo su materiale cartaceo o librario.

Le amilasi non hanno invece alcun effetto idrolitico sulla cellulosa e quindi non possono degradare

carta, tela e legno, rendendo sicura la loro applicazione sul retro di un dipinto o sulla carta.

Analogamente le amilasi non interagiscono neppure con altri polisaccaridi, come quelli costituenti

le gomme vegetali (gomma arabica).

Le  proteasi possono richiedere un mezzo alcalino (come alcune proteasi microbiche, la Tripsina);

neutro (la Papaina); acido (la Pepsina).

Per la loro capacità di degradare peptidi, le proteasi sono adatte per la rimozione di materiali quali:

colle e gelatine animali, albumine, caseina e uovo. Le proteasi sono utilizzate per interventi di

 pulitura dell’immagine pittorica, oppure per interventi più “strutturali” quali, la rimozione di colle

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utilizzate per la foderatura. Per quanto concerne la Caseina, se non viene applicata come tale ma

come anione, cioè come caseinato di calcio, che ha una differente suscettibilità all’azione

enzimatica, molto spesso accade su supporti murali, che le Proteasi si rivelano inefficienti

Una valida alternativa può essere rappresentata dall’uso combinato dell’enzima ad un chelante,

tipicamente un sale dell’acido etilendiamminotetracetico (EDTA), che ha la capacità di “chelare”,

cioè legare ioni metallici bi - trivalenti.

 Nel caso della Caseina, quando è utilizzata come legante in combinazione con latte di calce e

dunque nella forma di calcio caseinato, l’EDTA e i suoi sali complessano lo ione calcio e quindi di

fatto aiutano il processo di idrolisi dello strato.

L’aggiunta di EDTA ad una Proteasi non è però sempre ammissibile, perché la solubilità

dell’EDTA in un mezzo acquoso è apprezzabile solo in ambiente basico (quando l’acido inizia a

salificarsi); l’ambiente basico, però, non presenta un pH compatibile con tutte le Proteasi (quelle

gastriche, tipo Pepsina, hanno infatti un pH ottimale in ambiente acido).

Un grande numero di proteine microbiche di solito operanti ad un pH intorno alla neutralità, sono

classificate come “Proteasi neutre sensibili ai chelanti”: la loro attività catalitica è strettamente

dipendente dalla presenza, all’interno dell’enzima, di ioni zinco, e se questi vengono “chelati”

dall’EDTA, l’attività catalitica è notevolmente ridotta o nulla. Appartengono a questa categoria

molte Proteasi derivate da specie di Bacillus, Aspergillus, Streptomyces e Pseudomonas.

Il legante proteico delle tempere e della doratura è aggredibile dalle Proteasi per cui l’uso di questo

tipo di enzima a contatto con questi substrati richiede molta attenzione.

Le lipasi, e in generale le Esterasi, richiedono solitamente un mezzo a pH neutro-alcalino (pH 7-9) e

grazie alla loro azione idrolitica nei confronti dei Trigliceridi, le lipasi possono essere utilizzate per 

interventi di pulitura dell’immagine pittorica che richiedano la rimozione di oli siccativi (vernici

oleo-resinose, “beveroni”, ridipinture). Alcune lipasi, invece, agiscono come Esterasi, capaci cioè di

idrolizzare esteri semplici; possono essere pertanto utilizzate per la rimozione di cere e resine

sintetiche come esteri acrilici o vinilici. Questi tipologia di enzimi è quella che più di tutti richiede

condizioni di temperatura vicine alla temperatura fisiologica di 37° C, perché in caso contrario la

loro azione potrebbe risultare troppo lenta. La ragione sta nel fatto che le due subunità, l’enzima e il

substrato, hanno un carattere completamente opposto, idrosolubile il primo molto lipofilo il

secondo. Per quanto riguarda le ridipinture ad olio bisogna tenere presente la possibile inibizione da

 parte di certi pigmenti che possono rivelarsi resistenti all’azione delle lipasi; altri elementi come il

Ferro (strati pigmentati con ocre e terre), invece, non sembrano comportarsi da inibitori risultando

degradabili da attività enzimatica.

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Il dubbio continua a permanere, invece, per quanto riguarda il Rame (i pigmenti dell’Azzurrite,

Malachite e Verde di Rame), il Cromo (i pigmenti Gialli e Verdi di Cromo), il Cadmio (i Gialli e

Rossi di Cadmio), il Piombo (i pigmenti della Biacca, Minio, Litargirio e Giallorino). L’uso delle

lipasi direttamente sullo strato del colore di un dipinto ad olio deve pertanto essere attentamente

vagliato, invece è raccomandato nel caso in cui l’enzima agisca sopra uno strato di colore ad olio

verniciato. Si possono distinguere due casi: i) il primo in cui ci si trova di fronte ad una ridipintura

ad olio eseguita direttamente sopra lo strato di colore ad olio. In mancanza di un mezzo che

 permetta di agire sulla ridipintura, lasciando inalterato lo strato sottostante, risulta sicuramente più

selettiva la rimozione meccanica (a bisturi). Un certo margine di sicurezza potrebbe aversi soltanto

nel caso in cui il colore originario sia molto più vecchio della ridipintura; ii) nel secondo caso, in

cui ci si trovasse davanti ad una ridipintura eseguita con lo stesso legante dello strato pittorico, ma

da questo isolato da uno strato intermedio di materiale resinoso come da una vernice, l’uso degli

enzimi rappresenterebbe un intervento sicuramente più selettivo rispetto ai metodi tradizionali

(solventi organici ad alta polarità oppure sostanze a carattere basico).

Solventi e sostanze basiche possono, inoltre, rappresentare un rischio anche per l’integrità dello

strato sottostante, i solventi ad alta polarità (chetoni, alcoli o solventi dipolari aprotici) hanno,

infatti, il più delle volte effetto anche sulla resina invecchiata. L’enzima lipolitico agisce, invece,

solo sul materiale oleoso superficiale e il mezzo acquoso in cui l’enzima si trova disciolto non è in

grado di alterare lo strato sottostante di vernice.

La maggior parte delle lipasi richiedono un mezzo tamponato a pH 8,0-9,0 e in queste condizioni di

alcalinità il mezzo acquoso non è in grado di salificare il materiale resinoso ( per questo fenomeno

occorrerebbe un valore di pH superiore al 9,0).

Diverse prove, condotte da Paolo Cremonesi, su stesure di vernici oleo- resinose applicate a dipinti,

hanno dimostrato la possibilità di utilizzare la lipasi in combinazione con il Resin Soap , per formare

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un Enzyme Soap cioè un solvente enzimatico attivo su questo tipo di vernici. Anche in questo caso

non si può tuttavia parlare di un’alternativa sempre valida, in quanto non si ha ancora modo di

sapere, a priori, se la componente resinosa della vernice (componente idrocarburica) possa

esercitare, oppure no, un’azione inibitoria nei confronti dell’enzima.

UTILIZZO DELLE IDROLASI IN INTERVENTI DIVERSI DALLA PULITURA:

La capacità degli enzimi di disgregare macromolecole organiche fa sì che essi possano essere

utilizzati non soltanto per operazioni di pulitura dell’immagine di un dipinto o in generale di

superfici policrome, ma anche per operazioni finalizzate al “consolidamento”, intendendo con

questo termine la rimozione di materiale da un supporto (residui di colla di pasta usata per 

foderature, rimozione di colla animale o vegetale da fogli di carta). La presenza di residui di colle

molto vecchie può talvolta configurarsi come un’operazione minuziosa e delicata. L’uso degli

enzimi, in sostituzione della tradizionale asportazione meccanica a bisturi, può prevedere l’uso di

un’amilasi che agisca sulla componente propriamente amilacea della colla (la farina) e ricorrere ad

una proteasi per la componente proteica, cioè la colla animale. Prima di qualunque intervento

occorre, però, considerare sempre la natura dei materiali costituenti la preparazione di un dipinto, è

necessario stabilire se si tratta di una preparazione “magra” a legante proteico (la tradizionale

 preparazione a gesso e colla); oppure di una mestica, cioè una preparazione “grassa” a base di olio

siccativo e una carica inerte (solitamente biacca o una terra). Dal momento che l’azione avverrà dal

retro del dipinto, occorre considerare la possibilità che il mezzo acquoso contenente l’enzima possa,

almeno localmente, essere assorbito dalla tela ed arrivare in contatto con la preparazione dal lato

opposto.In effetti, utilizzando una proteasi, anche il legante proteico potrebbe essere soggetto

all’azione enzimatica, con conseguente perdita di coesione dello strato e ripercussione sugli strati

sovrastanti. L’uso di un’amilasi, invece, non comporterebbe problemi in quanto è infrequente

trovare sostanze amilacee all’interno di una preparazione a gesso e colla.Se lo strato preparatorio

dell’opera fosse invece costituito da una mestica (cioè una preparazione “grassa” a base di olio

siccativo e una carica inerte come una biacca o una terra), l’uso di una proteasi sarebbe privo di

rischio per l’assenza di sostanze a carattere proteico, mentre l’uso di un’amilasi risulterebbe

dannoso.

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