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propo s ta, deglí g " ®C i # . E' la parola d al test o d ella, S 7 11Ì1 e perch ' al iment a an c ora suggesti oni períc olo se di ADRIANO FAVOLE e STEFMNO ALLOVIO 1 concetto di «razza» non ha più al- cun valore scientifico per lo studio dell'essere umano: né per l'antropo- logia fisica o biologica né per l'an- . tropologia culturale. Non solo le differenze fisiche più o meno evidenti (colore della pelle, statura, forma crani- ca) non hanno relazione con le capacità cognitive, i comportamenti sociali e le qualità morali - e questo è assodato da molto tempo; ma gran parte delle diffe- renze genetiche interindividuali si osser- vano già all'interno delle singole popola- zioni. 11 progresso delle scienze biologi- che ha di fatto spazzato via i ripetuti ordi- ni tassonomici, basati sulla variabilità morfologica dell'umanità, che dalla fine del Seicento avevano contribuito a forni- re autorevolezza scientifica al termine «razza» quale sostituto del termine «va- rietà» adottato dallo scienziato Linneo (Gianfranco Biondi, Olga Rickards, L'er- rore della razza, Carocci, 2011). Da decenni, antropologi e genetisti non smettono di ricordarci che gli esseri umani condividono il 99,9% del patrimo- nio genetico e che il restante 0,1°% non ri- manda necessariamente a distinzioni di- screte e misurabili fra popolazioni; colo- ro che studiano il patrimonio genetico degli esseri umani indagano la variazio- ne statistica di singoli gruppi di geni, una prospettiva in cui la nozione «classifica- toria» di razza non ha più diritto di citta- dinanza. Allo stesso modo, le differenze e le so- miglianze tra le società umane che sono al centro degli interessi degli antropologi culturali, sono, per l'appunto, di ordine culturale, legate cioè a conoscenze e pra- tiche «acquisite dall'uomo in quanto membro di una società», per evocare la celebre definizione di «cultura» che Ed- ward `Ilor (un quacchero inglese che per primo insegno l'antropologia sociale a Oxford) diede già nel 1871 con il libro Pri- mitive Culture. Se la razza è stata l'indub- bia protagonista delle grandi tragedie del XX secolo, la scoperta di quanto sia im- portante la cultura nella fabbricazione dell'essere umano (dalla definizione del genere alla strutturazione delle emozio- ni) è una delle maggiori rivoluzioni scientifiche dello stesso secolo breve. A questa rivoluzione hanno contribuito in modo decisivo gli antropologi culturali - da Franz Boas a Claude Lévi-Strauss - che favorirono non poco la revisione ra- dicale del paradigma razziologico (F. Boas, L'uomo primitivo, Laterza, 1972; C.

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proposta , deglí g " ®C i # . E' la parola dal testodella, S 7 11Ì1 e perch ' alimenta ancora suggestioni perícolose

di ADRIANO FAVOLE e STEFMNO ALLOVIO

1 concetto di «razza» non ha più al-cun valore scientifico per lo studiodell'essere umano: né per l'antropo-logia fisica o biologica né per l'an-

. tropologia culturale. Non solo ledifferenze fisiche più o meno evidenti(colore della pelle, statura, forma crani-ca) non hanno relazione con le capacitàcognitive, i comportamenti sociali e lequalità morali - e questo è assodato damolto tempo; ma gran parte delle diffe-renze genetiche interindividuali si osser-vano già all'interno delle singole popola-zioni. 11 progresso delle scienze biologi-che ha di fatto spazzato via i ripetuti ordi-ni tassonomici, basati sulla variabilitàmorfologica dell'umanità, che dalla finedel Seicento avevano contribuito a forni-re autorevolezza scientifica al termine«razza» quale sostituto del termine «va-rietà» adottato dallo scienziato Linneo(Gianfranco Biondi, Olga Rickards, L'er-rore della razza, Carocci, 2011).

Da decenni, antropologi e genetistinon smettono di ricordarci che gli esseriumani condividono il 99,9% del patrimo-nio genetico e che il restante 0,1°% non ri-manda necessariamente a distinzioni di-screte e misurabili fra popolazioni; colo-ro che studiano il patrimonio genetico

degli esseri umani indagano la variazio-ne statistica di singoli gruppi di geni, unaprospettiva in cui la nozione «classifica-toria» di razza non ha più diritto di citta-dinanza.

Allo stesso modo, le differenze e le so-miglianze tra le società umane che sonoal centro degli interessi degli antropologiculturali, sono, per l'appunto, di ordineculturale, legate cioè a conoscenze e pra-tiche «acquisite dall'uomo in quantomembro di una società», per evocare lacelebre definizione di «cultura» che Ed-ward `Ilor (un quacchero inglese che perprimo insegno l'antropologia sociale aOxford) diede già nel 1871 con il libro Pri-mitive Culture. Se la razza è stata l'indub-bia protagonista delle grandi tragedie delXX secolo, la scoperta di quanto sia im-portante la cultura nella fabbricazionedell'essere umano (dalla definizione delgenere alla strutturazione delle emozio-ni) è una delle maggiori rivoluzioniscientifiche dello stesso secolo breve. Aquesta rivoluzione hanno contribuito inmodo decisivo gli antropologi culturali- da Franz Boas a Claude Lévi-Strauss -che favorirono non poco la revisione ra-dicale del paradigma razziologico (F.Boas, L'uomo primitivo, Laterza, 1972; C.

Lévi-Strauss , Razza e storia. Razza e cul-tura , Einaudi, 2002).

È perlomeno curioso notare che il ter-mine «razza» viene utilizzato in ambitozoologico solo in riferimento ad animaliaddomesticati (cani, mucche da latte o dacarne ecc.), che sono il frutto di selezionigenetiche operate dall'uomo: per gli ani-mali non addomesticati si parla invece disottospecie. Concetto inventato e oggi ir-rilevante nello studio dell'uomo, «razza»indica così nel campo animale solo i frut-ti ibridi di fabbricazioni artificiali.

Scomparsa (o quasi) dalla scienza, lanozione di razza è purtroppo ben presen-te nell'immaginario collettivo e spessonella retorica politica, dove serve tuttorada strumento di stigmatizzazione delladiversità culturale. Gli effetti distruttividello tsunami otto e novecentesco dellarazza non hanno finito di far sentire i loronefasti effetti. È per questo che un grup-po di antropologi fisici e culturali, stimo-lati dalla proposta di abolizione del ter-mine «razza» dalla Costituzione italianaavanzata da Gianfranco Biondi e Olga Ri-ckards attraverso una lettera aperta allepiù alte cariche dello Stato (www.scien-zainrete . it), si sono recentemente con-frontati e hanno convenuto sulla necessi-tà di eliminare tale termine dalla Cartafondamentale e dai documenti ammini-strativi. Come è noto l'articolo 3 della Co-stituzione recita: «Tutti i cittadini hannopari dignità sociale e sono eguali davantialla legge , senza distinzione di sesso, dirazza, di lingua, di religione, di opinionipolitiche, di condizioni personali e socia-li». Con tutta evidenza, i costituenti cita-rono la razza per ragioni antidiscrimina-torie, in un'epoca in cui essa, tuttavia,aveva ancora una certa vitalità scientifica.Se oggi questa è venuta meno , non sarà ilcaso di seguire l'esempio della Francia, lacui Assemblea nazionale ha approvatonel 2014 la proposta di eliminazione deltermine dalla Costituzione e da ogni do-cumento pubblico?

L'operazione, a parere di chi scrive as-sai improbabile nel clima politico attua-le, sarebbe simbolicamente molto fortecome presa di posizione contro ogni for-ma di razzismo , xenofobia e discrimina-zione. Essa presenta alcuni rischi e moltivantaggi. Tra le critiche che si potrebberoportare vi è quella di chi teme un sempli-ce maquillage: abolire il termine «razza»non significa certo abolire Il razzismo. Ladiscriminazione verso piccoli o grandigruppi di individui ha preceduto storica-mente l'invenzione scientifica della razzae persiste nell'epoca post razziale : termi-ni come «etnia», «religione» e persino«cultura» sono a volte usati strumental-mente a fini discriminatori . Si può nega-re l'esistenza delle razze e attribuire com-

portamenti criminali all'appartenenzaculturale o alla fede religiosa (come è co-mune di questi tempi), consapevoli delfatto - più volte rimarcato nei suoi scrit-ti da Anna Maria Rivera (Regole e roghi.Metamorfosi del razzismo , Dedalo, 2009)- che qualunque gruppo umano può es-sere «razzializzato» per mezzo di unostigma che si costruisce in termini socia-li, culturali e simbolici . L'antisemitismo èun caso paradigmatico.

Da un punto di vista strettamente giu-ridico si potrebbe obiettare che i principiaffermati dalla Costituzione sono ancheoggi pienamente condivisibili e che, se sitocca il termine «razza», occorrerebbe al-lora riflettere anche sull'uso di «sesso» (acui molti preferirebbero «genere»), sullediscriminazioni che avvengono in baseall'orientamento sessuale e così via. LaCostituzione esprime valori comuni per-sistenti, ma è ovviamente un prodottostorico: eliminare la «razza» vorrebbeaprire un dibattito ben più ampio.

I motivi a favore dell'abolizione costi-tuzionale del termine «razza» sarebbero

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tuttavia molteplici e giustificano piena-mente l'ambiziosa proposta degli antro-pologi . Basterebbe ancora una volta ri-cordare che, dal punto di vista genetico,la razza è un'invenzione (Guido Barbuja-nï, L'invenzione delle razze , Bompiani,2006), un'invenzione terribilmente peri-colosa che sedimenta un potenziale di-scriminatorio e violento così forte (per lastoria che il termine ha avuto in Occiden-te e altrove) da poter essere facilmenteriattualizzato. L'ondata retorica di razzi-smo biologico che, poco più di un annofa, si scatenò in Italia e in Francia controle ministre Kyenge e Taubira ne è una di-mostrazione eloquente . Inoltre , la forzasimbolica dell'operazione potrebbe daresostegno a un'azione culturale e formati-va sui reali motivi delle differenze e somi-glianze tra società e culture. È infatti vera-mente sorprendente l'assenza di inse-gnamenti di ambito interculturale neicorsi curricolari della scuola italiana, dalmomento che, attorno a questi temi, ruo-tano alcune delle maggiori questioni delmondo contemporaneo . Se il pregiudizioè un virus che può innestarsi su moltepli-ci vettori (anche di tipo culturale), è in-dubbio che la razza è uno dei più potenti.

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L`appelloII 23 gennaio gli antropologibiologici dell'istituto italiano

di antropologia ( isita) e gliantropologi culturali

dell'Associazione nazionaleuniversitaria antropologiculturali (Anuac) hannochiesto l 'abolizione deltermine «razza» dalla

Costituzione , in una giornatadi studi tenuta presso

l'Università La Sapienza diRoma . Tra i relatori

dell'incontro : Giovanni DestroBisol, Pier Giorgio Solinas e

Anna Maria Rivera . Il deputatodel Pd Michele Anzaldi ha

chiesto al governo di recepirela proposta , cui hanno aderitoil presidente dell'Unione delle

comunità ebraiche RenzoGattegna e il rabbino capo di

Roma Riccardo Di Segni

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