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PROGRESSO Il cammino dell’uomo attraverso i secoli nella letteratura

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PROGRESSOIl cammino dell’uomo attraverso i secoli nella letteratura

Etimologia del termine:

Esiodo, Opere e Giorni

Il mito di Prometeo e Pandora[…] A lui Zeus che aduna le nuvole disse adirato: “Ofiglio di Giapeto, tu che fra tutti nutri i pensieri piùaccorti, tu godi del fuoco rubato e di avermi ingannato,ma a te un gran male verrà e anche agli uomini futuri: io aloro, in cambio del fuoco, darò un male, e di quello tuttinel cuore si compiaceranno, il loro male circondandod’amore”. Così disse e rise il padre di uomini e dèi: aEfesto illustre ordinò poi che, veloce, intridesse terra conacqua, vi ponesse entro voce umana e vigore e,somigliante alle dee immortali nell’aspetto, formassebella e amabile figura di vergine; poi ad Atena che leinsegnasse i lavori: a tesser la tela dai molti ornamenti, eche grazia intorno alla fronte le effondesse l’aureaAfrodite e desiderio tremendo e le cure che rompon lemembra; che le ispirasse un sentire impudente e un’indolescaltra ordinò ad Ermete, il messaggero Argifonte. Cosìdisse, e quelli obbedirono a Zeus Cronide signore;

Jan Cossiers, Prometeo ruba il fuoco

allora di terra formò l’illustre Zoppo un’immagine simile a vergine casta, secondo lavolontà del Cronide; la cinse e l’adornò la dea glaucopide Atena, attorno le dee Grazie ePersuasione signora le posero auree collane, attorno a lei le Ore dalle belle chiomeintrecciarono collane di fiori di primavera; ed ogni ornamento al suo corpo adattòPallade Atena. Dentro al suo petto infine il messaggero Argifonte menzogne e discorsiingannevoli e scaltri costumi pose, come voleva Zeus che tuona profondo, e dentro lavoce le pose l’araldo di dèi e chiamò questa donna Pandora, perché tutti gli abitatoridelle case d’Olimpo la diedero come dono, pena per gli uomini che mangiano pane.

Henry Howard, Presentazione di Pandora

[…] Prima infatti sopra la terra la stirpe degliuomini viveva lontano e al riparo dal male elontano dall’aspra fatica, da malattie dolorose cheagli uomini portano la morte - veloci infattiinvecchiano i mortali nel male -.Ma la donna,levando con la sua mano dall’orcio il grandecoperchio, li disperse e agli uomini procurò i maliche causano pianto. Solo Speranza,nell’infrangibile dimora, dentro restò rinchiusasotto l’orlo del vaso, né fuori volò, perché primaaveva rimesso il coperchio dell’orcio per volere diZeus egioco che aduna le nubi. E infinite tristezzevagano tra gli uomini e piena è la terra di mali,pieno n’è il mare; i morbi fra gli uomini, alcuni digiorno, altri di notte da soli si aggirano, ai mortalimali portando, in silenzio, perché della voce liprivò il saggio Zeus. Così non è possibile sfuggireal volere di Zeus.

Arthur Rackham, Pandora

Il mito delle cinque età[…] Ma Zeus distruggerà anche questa stirpe diuomini mortali quando nascendo avranno giàbianche le tempie; allora né il padre sarà simileai figli né i figli al padre; né l'ospite all'ospite,né l'amico all'amico e nemmeno il fratello carosarà come prima; ma ingiuria faranno ai genitoriappena invecchiati; a loro diranno improperirivolgendo parole malvagie, gli sciagurati, senzatemere gli dèi; né ai genitori invecchiati di chenutrirsi daranno; il diritto starà nella forza el'uno all'altro saccheggerà la città. Né ilgiuramento sarà rispettato, né lo sarà chi ègiusto o dabbene; piuttosto l'autore di mali el'uomo violento rispetteranno.

Pietro da Cortona, L’età del ferro e il declino dell’uomo

La giustizia sarà nella forza e coscienza non vi sarà; il cattivoporterà offese all'uomo buono dicendo parole d'inganno e saràspergiuro; l'invidia agli uomini tutti, miseri, amara di lingua,felice del male, s'accompagnerà col volto impudente. Saràallora che verso l'Olimpo, dalla terra con le sue ampie strade,da candidi veli coperte le belle persone degli immortali allaschiera andranno, lasciando i mortali, Rispetto e Giustizia: idolori che fanno piangere resteranno agli uomini e difesa nonci sarà contro il male.

Eschilo, Prometeo

Punizione di Prometeo e di suo fratello Sisifo, Kylix a figure nere, c.ca 550 a. C.

II episodioEssi avevano occhi e non vedevano,avevano le orecchie e non udivano,somigliavano a immagini di sogno,[…]Sappilo in breve: tutto ciò che gli uominiconoscono, proviene da Prometeo.

Peter Paul Rubens, Prometeo incatenato

Sofocle, Antigone

I stasimoπολλὰ τὰ δεινὰ κοὐδὲν ἀνθρώπου δεινότερον πέλει.

Molte cose sono straordinarie (tremende) ma nessuna è più straordinaria dell'uomo.

Frederic Leighton, Antigone

[…] Possedendo oltre ogni aspettativa l’ingegnosità delle arti, qualcosa di sapiente, si volge talora verso il male, talora verso il bene; colui che accorda le leggi della (sua) terra e la giustizia giurata degli dèi è onorato dalla città; senza patria colui al quale si accompagna il male a causa della sfrontatezza. Colui che compie tali azioni non sia mio ospite né condivida gli stessi pensieri.

Jean Joseph Benjamin Constant, Antigone presso il corpo di Polinice

Isocrate, Panegirico

Platone, Protagora

La perizia pratica era di aiuto sufficiente per procurarsi ilcibo, ma era inadeguata alla lotta contro le belve (infattigli uomini non possedevano ancora l’arte politica, checomprende anche quella bellica). Cercarono allora diunirsi e di salvarsi costruendo città; ogni volta chestavano insieme, però, commettevano ingiustizie gli unicontro gli altri, non conoscendo ancora la politica;perciò, disperdendosi di nuovo, morivano. Zeus dunque[…], inviò Ermes per portare agli uomini rispetto egiustizia […].

Hermes Logios

Ermes chiese a Zeus in quale modo dovesse distribuire rispetto e giustizia agliuomini: «Devo distribuirli come sono state distribuite le arti? Per queste, infatti,ci si è regolati così: se uno solo conosce la medicina, basta per molti che non laconoscono, e questo vale anche per gli altri artigiani. Mi devo regolare allostesso modo per rispetto e giustizia, o posso distribuirli a tutti gli uomini?« «Atutti - rispose Zeus - e tutti ne siano partecipi; infatti non esisterebbero città, sepochi fossero partecipi di rispetto e giustizia, come succede per le arti. Istituisciinoltre a nome mio una legge in base alla quale si uccida, come peste della città,chi non sia partecipe di rispetto e giustizia».

L’età ellenistica

Polibio, Historiae

Lucrezio, De rerum natura

Liber V, 989 ss.Non più di adesso le generazioni mortaliLasciavano tra i lamenti la dolce luce dell’esistenza. Più spesso di noi infatti, sorpresi e aggrediti coi denti, offrivano alle belve cibo vivente e riempivano di gemiti i boschi, i monti, le selve, vedendo le proprie viscere vive sepolte in un sepolcro vivo. E quelli che col corpo mutilo si erano salvati con la fuga, poi, tenendo le mani tremanti sulle orribili piaghe, invocavano la morte con voci spaventose, fin quando li privavano della vita gli atroci spasimi -privi d’aiuto, e senza sapere che cosa richiedevano le loro ferite.

Vita e Morte

Ma un solo giorno non mandava a morte migliaia di uominiraccolti sotto le insegne, né le distese torbide del mare sbattevano contro gli scogli uomini e navi.

Spesso il mare, invano sconvolto, infuriava a vuotoe poi volubilmente deponeva le vuote minacce;la subdola lusinga delle acque tranquillenon poteva trarre in inganno col sorriso dell’onde.L’arte funesta della navigazione giaceva all’oscuro.

La penuria di cibo portava alla morte le membralanguenti, mentre adesso è l’abbondanza a sommergerle.Spesso per ignoranza somministravano a se stessi il veleno,mentre adesso con più attenzione lo somministrano ad altri.[…]

E quegli animali che credevano abbastanza addomesticatili vedevano infiammarsi nelle azioni di guerra tra le ferite, le grida, la fuga, il terrore, il tumulto,e non riuscivano a ricondurne alla ragione nessuno:tutte le razze delle fiere si sbandavano comeanche ora gli elefanti, feriti dal ferro,fuggono dopo avere compiuto misfatti contro i loro guardiani.[…] Si potrebbe credere che questo fosse successo, nell’universo, ln mondi diversi diversamente creati, piuttosto che nel solo e preciso pianeta terrestre.e non lo fecero tanto nella speranza di vincere,ma per dar pena ai nemici e morire essi stessi,perché non si fidavano del loro numero ed erano scarsi d’armi.

Cicerone, De legibus;De inventione;

De officiis

De Inventione I, 12[…] La natura, con la forza della ragione, concilia l'uomo all'uomo incomunione di linguaggio e di vita; soprattutto genera in lui un singolare emeraviglioso amore per le proprie creature […].

T. A. Steinlen, I due amici

Virgilio, Georgiche

Bucoliche I, 131-144Prima di Giove nessun colono sottometteva le campagne;/ neppure segnare o dividereil campo con un confine/ era costume: cercavano nello spazio comune e la terra stessa/senza che nessuno glielo chiedesse produceva tutto più generosamente./ Fu lui cheaggiunse ai neri serpenti il veleno mortale,/ e ordinò ai lupi di vivere di preda, e almare di agitarsi,/ e scosse via il miele dalle foglie, e rimosse il fuoco,/ ed eliminò ilvino che scorreva qua e là in rigagnoli,/ affinché l'esperienza, col riflettere, facesseiniziare le diverse arti/ poco a poco, e cercasse nei solchi lo stelo del frumento,/ efacesse uscire dalle vene della selce il fuoco nascosto.

L. Cranach il Vecchio, L’età dell’oro

Plinio il Vecchio, Naturalis historia

Seneca, Naturales quaestiones edEpistulae ad Lucilium

Naturalis Historia VII, 30, 5Quanti animali abbiamo conosciuto per la prima volta ai nostritempi, quante cose neppure ai nostri tempi! La generazionefutura conoscerà molte cose che noi ignoriamo; molte cosesono riservate alle generazioni ancora più avanti nel tempo,quando il ricordo di noi sarà svanito: il mondo sarebbe benpiccola cosa, se in esso tutti i suoi abitanti non trovasseromateria per fare ricerche.

Giacomo Leopardi, La ginestra

[…] A queste piaggeVenga colui che d'esaltar con lodeIl nostro stato ha in uso, e vegga quantoÈ il gener nostro in curaAll'amante natura. E la possanzaQui con giusta misuraAnco estimar potrà dell'uman seme,Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,Con lieve moto in un momento annullaIn parte, e può con motiPoco men lievi ancor subitamenteAnnichilare in tutto.Dipinte in queste riveSon dell'umana genteLe magnifiche sorti e progressive.

Giovanni Verga, I Malavoglia

PrefazioneIl cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue

l'umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell'insieme, da lontano. Nella luce gloriosa che

l'accompagna dileguansi le irrequietudini, le avidità, l'egoismo, tutte le passioni, tutti i vizi che si trasformano in virtù, tutte le debolezze che

aiutano l'immane lavoro, tutte le contraddizioni, dal cui attrito sviluppasi la luce della verità. Il risultato umanitario copre quanto c'è di meschino negli interessi particolari che lo producono; li giustifica

quasi come mezzi necessari a stimolare l'attività dell'individuo cooperante inconscio a beneficio di tutti.

Ogni movente di cotesto lavorio universale,dalla ricerca del benessere materiale, alle piùelevate ambizioni, è legittimato dal solo fattodella sua opportunità a raggiungere lo scopodel movimento incessante; e quando siconosce dove vada questa immensa correntedell'attività umana, non si domanda al certocome ci va. Solo l'osservatore, travoltoanch'esso dalla fiumana, guardandosi attorno,ha il diritto di interessarsi ai deboli cherestano per via, ai fiacchi che si lascianosorpassare dall'onda per finire più presto, aivinti che levano le braccia disperate, epiegano il capo sotto il piede brutale deisopravvegnenti, i vincitori d'oggi, affrettatianch'essi, avidi anch'essi d'arrivare, e chesaranno sorpassati domani.

Sudafrica, città divisa tra ricchi e poveri

Charles Baudelaire, Perdita d’aureola

«Mio caro, sapete quanto temo i cavalli e le carrozze. Poco fanell’attraversare il Boulevard, in gran fretta, mentre saltellavo nel fangotra quel caos dove la morte giunge al galoppo da tutte le parti tutt’inuna volta, la mia aureola è scivolata a causa di un brusco movimento,giù dal capo nel fango. Non ebbi il coraggio di raccattarla, e mi parvemeno spiacevole perdere le insegne, che non farmi rompere le ossa. Epoi, ho pensato, non tutto il male vien per nuocere. Ora possopasseggiare in incognito, commetter bassezze, buttarmi alla crapulacome il semplice mortale. Eccomi qua, proprio simile a voi, comevedete!».

Italo Svevo, La coscienza di Zeno

[…] Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui

giocattoli.

Ed un altro uomo, fatto anche lui come tutti gli altri, ma deglialtri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo es’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove ilsuo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosioneenorme che nessuno udrà e la Terra ritornata alla forma dinebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.

Il Futurismo

Natalia Goncharova, Il ciclista

Luigi Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio

Quaderno terzoQuanto di vita le macchine han mangiato con la voracità dellebestie afflitte da un verme solitario, si rovescia qua, nelle ampiestanze sotterranee, stenebrate appena da cupe lanterne rosse, chealluciano sinistramente d'una lieve tinta sanguigna le enormibacinelle preparate per il bagno.La vita ingojata dalle macchine è lì, in quei vermi solitarii, diconelle pellicole già avvolte nei telaj.Bisogna fissare questa vita, che non è più vita, perché un'altramacchina possa ridarle il movimento qui in tanti attimi sospeso.Siamo come in un ventre, nel quale si stia sviluppando e formandouna mostruosa gestazione meccanica.E quante mani nell'ombra vi lavorano!

[…] Mani, non vedo altro che mani, in queste camereoscure; mani affaccendate su le bacinelle; mani, cui il tetrolucore delle lanterne rosse dà un'apparenza spettrale. Pensoche queste mani appartengono ad uomini che non sono più;che qui sono condannati ad esser mani soltanto: queste mani,strumenti. Hanno un cuore? A che serve? Qua non serve.Solo come strumento anch'esso di macchina, può servire, permuovere queste mani. E così la testa: solo per pensare ciòche a queste mani può servire. E a poco a poco m'invadetutto l'orrore della necessità che mi s'impone, di diventareanch'io una mano e nient'altro.

Salvatore Quasimodo, Uomo del mio tempo

Sei ancora quello della pietra e della fionda,uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,con le ali maligne, le meridiane di morte,t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,come sempre, come uccisero i padri, come ucciserogli animali che ti videro per la prima volta.

E questo sangue odora come nel giornoQuando il fratello disse all’altro fratello:«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,è giunta fino a te, dentro la tua giornata.

Dimenticate, o figli, le nuvole di sangueSalite dalla terra, dimenticate i padri:le loro tombe affondano nella cenere,gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.