PROGRESSI DELL’UMANITÀ E IMMAGINI DI VITA VISSUTA -e... · Introduzione pag. 1 2. Parte prima 1...

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1 PROGRESSI DELL’UMANITÀ E IMMAGINI DI VITA VISSUTA Pier Federico Barnaba Edizioni APVE – Associazione Pionieri e Veterani Eni Aprile 2012

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PROGRESSI DELL’UMANITÀ E IMMAGINI DI VITA VISSUTA

Pier Federico Barnaba

Edizioni APVE – Associazione Pionieri e Veterani Eni

Aprile 2012

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INDICE 1. Introduzione pag. 1 2. Parte prima 1

2.1. Evoluzione e conquiste dell’Uomo 1 2.2. Invenzioni e scoperte 2 2.3. Scoperte geografiche 5 2.4. Nuove invenzioni e scoperte 7 2.5. Conquiste spaziali 11 2.6. Considerazioni sui progressi dell’Umanità 12 2.7. L’Uomo e le credenze religiose 13 2.7.1. Premessa 13 2.7.2. Giudaismo o Ebraismo 14 2.7.3. Induismo 15 2.7.4. Buddismo 15 2.7.5. Islamismo 15 2.7.6. Cristianesimo 16

3. Parte seconda 17

3.1. Vita in Collegio 17 3.2. Il Direttore del Collegio 18 3.3. Alternative allo studio 19 3.4. Il Professore di Lettere 20 3.5. La chirurgia fatta in casa 21 3.6. Tempi di guerra 22 3.7. La liberazione 23 3.8. Lezione di matematica 24 3.9. Ultimo giorno di Liceo 25 3.10. Vittoria sportiva 25 3.11. Tra Università e Industria 27 3.12. Agadir, una drammatica esperienza 30 3.13. Un elicottero fortunato 32

3.14. Da ieri a oggi 32 3.15. Benessere, energia e ambiente 33 4. Bibliografia 35

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PROGRESSI DELL’UMANITÀ E IMMAGINI DI VITA VISSUTA Pier Federico Barnaba

1. INTRODUZIONE Ho riflettuto e poi deciso di riunire in questo libretto vari argomenti di natura e provenienza diversi, ma tutti strettamente legati alla presenza del fattore umano: da un lato i progressi fatti dall’Umanità nel suo percorso terrestre, dall’altro una serie di immagini raccontate di vita personale. E così, in una prima parte ho descritto le varie tappe che hanno contraddistinto i successi ottenuti dall’Uomo nel tempo, man mano che le sue facoltà intellettive gli hanno consentito di avanzare verso una vita migliore e verso un sempre più accentuato dominio del proprio ambiente. Le tracce della presenza umana sulla Terra sono ovunque presenti e sono estremamente diffuse; esse ricoprono ogni spazio disponibile all’Uomo, la cui opera si riconosce nel progressivo sviluppo delle civiltà, nelle invenzioni, nelle scoperte, nelle conquiste e nella cultura delle credenze e delle religioni. Molto spesso questi successi sono stati accompagnati da guerre, devastazioni e soprusi, nonché da un certo decadimento ecologico, ma pare che tali conseguenze non siano altro che la naturale, immancabile contropartita del progresso. La seconda parte è dedicata invece ad alcune personali testimonianze di gioventù e di vita adulta, vissute in differenti situazioni, quali il Collegio, il Liceo pubblico, la seconda Guerra mondiale, la Famiglia, lo Sport, il Lavoro nell’Industria e nell’Università e altre ancora, ispirate a vicende non sempre liete e festose. Si tratta naturalmente di esperienze risalenti a tempi passati, la cui descrizione rispecchia talora comportamenti e abitudini diversi dagli attuali e questo, unitamente ai toni piuttosto spigliati di alcuni episodi descritti, potrebbe destare qualche sorpresa; rimane comunque la certezza che i fatti e i pensieri raccontati corrispondono alla realtà del momento cui si riferiscono. Emergono da queste esperienze alcuni ricordi che la mia memoria si rifiuta di cancellare: a

parte le vicende drammatiche purtroppo sperimentate, appaiono inaccettabili la ferrea disciplina e le assurde imposizioni sofferte nei Collegi di studio, i discutibili modi di comportarsi di certi Educatori nei confronti degli allievi, i duri sacrifici, le incontrollabili paure e i dolori imposti dalla Guerra. A tale proposito qualcuno sostiene che detti disagi siano controbilanciati dal calore che ciascuno può trovare nell’ambiente familiare e da qualche momento di soddisfazione duramente conquistato, ma i Benpensanti affermano con fermezza che la vera contropartita dei sacrifici sopportati è costituita impagabilmente da quanto viene acquisito di persona in cambio delle sofferenze, e cioè i sani principi di vita, una valida cultura di base ed una equilibrata disciplina. A parte le considerazioni di ordine morale, mi auguro che la varietà e la differente natura degli argomenti di seguito esposti possano costituire un motivo di interesse e favoriscano il commento e la critica, accompagnata eventualmente da uno scambio amichevole di opinioni. 2. PARTE PRIMA 2.1. EVOLUZIONE E CONQUISTE DELL’UOMO Nell’affrontare il tema delle conquiste fatte dall’Uomo sulla Terra, viene spontaneo di chiederci: da quanto tempo l’Uomo è qui? Le credenze giudeo-cristiane erano ancorate ad un concetto fondamentale, quello di una “Terra giovane” e di una Creazione risalente a meno di dieci mila anni prima di Cristo; concetto che è stato radicalmente modificato meno di due secoli fa, quando le intuizioni darwiniane e i numerosi ritrovamenti di testimoni fossili dimostrarono che la realtà era ben diversa da quella fino ad allora

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immaginata, dando così ragione ai tanti dubbi che già si erano manifestati in passato da parte di scienziati e di studiosi del mondo intero. Con la divulgazione delle opinioni e delle testimonianze raccolte da Darwin e Huxley negli anni intorno al 1870, l’età della Terra e quindi del Sistema solare e dell’Universo ha subìto un severo invecchiamento e si è cominciato a parlare di miliardi di anni, mentre per l’origine dell’Uomo ci si è orientati su qualche milione di anni.

fig.1. Ominide di 250 mila anni fa. Le nuove idee portarono a considerazioni personali non sempre in armonia col prossimo e, a questo proposito, il sopra citato Mr.Huxley, rivolgendosi a un Vescovo inglese in un dibattito sull’evoluzione, affermò di non essere dispiaciuto di avere una scimmia per nonno. E’ pure da osservare che le credenze, anche nei tempi passati, non furono uguali per tutti; infatti alcune Civiltà come quelle dei Maya e degli Indù, a differenza della nostra, erano propense ad attribuire al tempo la caratteristica dell’esteso o addirittura dell’infinito, da cui derivava la visione di una Terra non certo giovane, ma decisamente matura. Prendendo in esame il progresso che le azioni dell’Uomo hanno manifestato fin dalle sue origini, è da sottolineare in primo luogo la velocità crescente, cioè l’accelerazione, con la

quale il progresso stesso si è manifestato nel tempo. Ad esempio, per superare il periodo primitivo, quello che dalla Pietra si estende fino all’inizio dell’età del Ferro, l’Uomo impiegò circa tre milioni di anni, mentre per passare dall’età del Ferro alla bomba atomica furono sufficienti tre mila anni. L’accelerazione che caratterizza le conquiste dell’Uomo è dovuta soprattutto al miglioramento fisico e culturale che ha accompagnato l’essere umano nel tempo, principalmente il progressivo aumento del volume cerebrale, e alla maturazione delle esperienze direttamente affrontate o indirettamente acquisite. Una influenza positiva nel progresso delle conoscenze e delle scoperte è stata certamente determinata dall’incremento demografico e, di conseguenza, dai più facili e frequenti contatti tra gli esseri umani. 2.2. INVENZIONI E SCOPERTE Volendo ripercorrere l’itinerario tracciato dall’Uomo nel passato, ricordiamo che i resti umani più antichi, rinvenuti in Africa, risalgono a circa 6 milioni di anni fa; i più vecchi testimoni di utensili in pietra costruiti dall’Uomo hanno invece un’età di circa 2 milioni e mezzo di anni; in base a questi elementi si può pensare che l’Uomo abbia impiegato più di 3 milioni di anni per imparare a costruirsi un attrezzo per uso personale.

fig.2. Amigdale, utensili in pietra di 130 mila anni fa.

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Un’altra riflessione riguarda il fuoco, un elemento essenziale per la vita umana; il fuoco è sempre esistito, fin dai primordi dell’Universo, per cui siamo certi che l’Uomo ha conosciuto il fuoco da quando è venuto al mondo e l’ha potuto utilizzare, prelevandolo da zone vulcaniche o dai cosiddetti fuochi spontanei; ma si è trovato di fronte al grave problema di conservarlo, cioè di mantenere accesa la fiamma. Pare che il problema sia stato risolto soltanto 800 mila anni fa, quando l’Uomo scoprì finalmente il modo di produrlo in proprio, con selci od altro. Non sappiamo molto di più di questi primi passi dell’umanità. Tuttavia, utilizzando le informazioni fornite dai vari testimoni fossili rinvenuti, possiamo ricostruire le linee essenziali dell’evoluzione psico-fisica maturata dal nostro antenato attraverso i millenni, evoluzione che l’ha portato ad espandere la sua presenza sull’intero pianeta Terra. Rivolgendo il pensiero a 6 milioni di anni fa e scendendo sulla Terra, incontriamo un essere umano che possiamo definire decisamente primitivo; ha una capacità cranica piuttosto limitata, inferiore a un litro, cioè poco più della metà della nostra attuale, e possiede facoltà intellettali pari a quelle di un nostro bimbo di due anni; il suo habitat è geograficamente ridotto, in quanto i suoi resti sono stati trovati soltanto in Africa, in particolare in Etiopia, Kenia e Sud Africa. Se poi ci spostiamo in avanti di qualche milione di anni, riscontriamo nell’Uomo un rilevante progresso sia fisico che intellettuale; ci troviamo ora nel periodo tra il milione e i centomila anni fa, siamo nell’epoca del’Homo erectus, che ha raggiunto una capacità cranica di 1,3 litri, corrispondente alle facoltà mentali di un nostro bambino di quattro o cinque anni. Questo Uomo ha superato brillantemente le glaciazioni del Paleolitico inferiore, ha imparato a lavorare la pietra con ottime capacità, testimoniate dall’Industria Acheuleana, e ha esteso notevolmente il suo habitat, espandendosi nel Nord Africa, nell’Europa Occidentale (Spagna, Francia, Germania), in Grecia e nell’Estremo Oriente (Giava e Cina); si ciba soprattutto di frutta e di vegetali. La popolazione umana sulla Terra

è, a quel momento, stimata in mezzo milione di individui. L’evoluzione prosegue con il passare del tempo; esaminando la situazione tra i 100 mila e i 35 mila anni fa, entriamo in contatto con l’Homo sapiens e con il coevo Uomo di Neanderthal, i quali stanno estendendo ulteriormente il popolamento terrestre, oltre che in Africa e in Europa, anche nel Medio ed Estremo Oriente e, mediante il passaggio attraverso lo Stretto di Bering, riescono a stabilire qualche insediamento anche nel Continente Americano. La caccia e la pesca hanno subìto un notevole sviluppo e altrettanto avviene per le coltivazioni agricole. Si osservano le prime manifestazioni religiose, artistiche, di stregoneria, di combattimento e di danza. La popolazione presente sulla Terra è aumentata a circa un milione e mezzo di anime. Facciamo un altro passo avanti trasferendoci nel tempo tra i 35 mila e i 10 mila anni fa; siamo in presenza di un Uomo, definito ormai “sapiens sapiens”, intellettualmente evoluto che, dopo la conclusione del lungo periodo freddo causato dall’ultima glaciazione, prosegue il popolamento di nuovi territori, in particolare in America del Nord, in America del Sud e in Australia. La popolazione mondiale è aumentata ulteriormente ed è stimata tra i 3 e i 5 milioni. Siamo però ancora nell’Età della Pietra e per arrivare alla Civiltà dei Metalli mancano 3 mila anni e altri 3 mila per la nascita di Cristo. Gli ultimi 10-12 mila anni sono dominati da una dinamica demografica molto spinta, che riguarda non soltanto l’Uomo, ma tutte le specie viventi. Sono in aumento i siti abitati collettivamente, le aree coltivate, le piantagioni, gli allevamenti di bestiame per uso alimentare; molti animali vengono addomesticati per l’utilizzo al servizio dell’Uomo. Tra le abitudini alimentari, i cinesi si cibano di riso fin da 8 mila anni a.C.; i peruviani sono invece dediti soprattutto alla patata. I primi tessuti vengono prodotti in Turchia 7 mila anni a.C. I primi denari in oro entrano ufficialmente negli scambi commerciali intorno ai 5 mila anni a.C. Negli anni 3600 a.C. si scopre la lega metallica composta dal

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rame e lo stagno e si entra così nell’Età del Bronzo. I Sumeri inventano la scrittura, mentre in Mesopotamia si scopre l’utilità della ruota ed in Egitto quella della candela di sego (3 mila a.C.). Gli egizi nel 1500 a.C. costruiscono il primo strumento per la misurazione del tempo, la Meridiana. Cinquecento anni dopo è la volta dei cinesi, che scoprono di poter usare il carbone come combustibile e il ghiaccio come refrigerante per la conservazione degli alimenti. Nel 530 a.C. il greco Pitagora annuncia il suo famoso teorema matematico. Poco dopo gli egizi inventano il primo calcolatore, l’abaco, mentre i babilonesi si dedicano seriamente alla scienza degli oroscopi, legandola alle posizioni delle stelle e dei pianeti. Nel 387 a.C. Platone fonda ad Atene la prima Università (l’Accademia). Nel 250 a.C. la più importante Scuola di Medicina al mondo è quella di Alessandria d’Egitto. Nel 200 a.C. i greci inventano l’astrolabio, che viene utilizzato per la navigazione con le stelle. I cinesi sono particolarmente interessati all’Universo e documentano un fenomeno eccezionale: l’esplosione di una stella (supernova); osservano inoltre le variazioni delle macchie solari. Tra i 150 e i 100 anni a.C. la Scuola greca di Ipparco riesce a calcolare in maniera corretta la distanza tra la Terra e la Luna; compìla inoltre un primo catalogo astronomico. Nel 46 dopo Cristo, Giulio Cesare introduce il Calendario giuliano, in cui l’anno è suddiviso in 12 mesi e comprende 365 giorni e 6 ore; esso migliora il calendario egiziano fino ad allora in uso. Nel 50 d.C. l’egiziano Erone costruisce la prima macchina a vapore e interviene nel campo agrario sperimentando la rotazione delle colture. Nell’anno 105 i cinesi inventano la carta, che sarà introdotta in Europa più di un migliaio anni dopo (nel 1320). Nel 270 i cinesi, addizionando il salnitro allo zolfo, scoprono la polvere da sparo; un centinaio di anni dopo gli stessi cinesi inventano la carriola. Nel 499 l’indiano Aryabhata afferma giustamente che la Terra ruota su sé stessa e il cielo stellato è fermo. Nel 595 gli indiani utilizzano per la prima

volta un loro nuovo sistema numerico, che sarà in seguito adottato dagli arabi e, nel 1500, dagli europei. Il 622 è l’anno zero del calendario musulmano, ricorda la fuga di Maometto dalla Mecca a Medina. Nel 700 i Maya (America centrale) applicano un loro sistema numerico per i calcoli su grandi cifre; nello stesso periodo i cinesi inventano la porcellana e i persiani inventano il mulino a vento, che verrà importato in Europa dai Crociati nel XII secolo. Nel 708 i cinesi bevono il thè, in anticipo di oltre ottocento anni sugli europei, che lo apprezzeranno soltanto a partire dal 1600. Nel 751 gli arabi fabbricano la carta, secondo la tecnica cinese. Mentre gli arabi bevono il caffè nel 851, gli europei attenderanno altri sette secoli (intorno al 1600) prima di gustarlo. Nell’868 in Cina si pubblica il primo libro a stampa; sei anni più tardi gli irlandesi scoprono l’Islanda. E arriviamo al 1041, quando i cinesi applicano alla stampa i caratteri tipografici mobili. Nel 1050 i francesi costruiscono la prima arma meccanica, la balestra. Vent’anni più tardi in Europa si smette di mangiare con le mani e il coltello e si comincia a usare la forchetta. Nel 1148 i crociati importano in Europa lo zucchero. Nel 1200 in Europa si sente la necessità di curarsi e si creano nuove Scuole di medicina in Italia, Francia e Inghilterra. Nel 1249 le prime lenti per occhiali compaiono in Cina e in Europa. Nel 1288 la Cina costruisce il primo cannone. Venezia produce invece il primo vetro trasparente per finestre e Marco Polo pubblica “Il Milione” sul suo viaggio in Cina. Nel 1300 nascono i primi orologi azionati dal peso, mentre qualche anno dopo si diffonde anche in Europa l’uso della carta per la stampa, inventata dalla Cina undici secoli prima. La peste nera, scoppiata in Europa nel 1348 e poi diffusa in Asia e Africa settentrionale, provoca la morte di circa un terzo della popolazione. Nel 1450 gli olandesi inventano il fucile e quattro anni più tardi Gutemberg stampa in Europa il primo libro su carta, servendosi di caratteri tipografici mobili, secondo l’uso cinese. Nel 1470 nasce l’orologio a molla.

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2.3. SCOPERTE GEOGRAFICHE Le manifestazioni più ardite e, nello stesso tempo, più spregiudicate che l’uomo abbia compiuto nel tempo sono probabilmente rappresentate dalle grandi esplorazioni geografiche che portarono alla conquista di nuove terre nel periodo tra il 1400 ed il 1700 d.C. E’ stato il periodo in cui, dapprima i portoghesi e gli spagnoli e poi gli inglesi, i francesi e gli olandesi, reduci da un povero, triste e bellicoso medioevo europeo, spinti dalla fame di oro, si sono avventurati attraverso gli oceani alla ricerca dell’immaginario Eldorado; l’hanno fatto perché erano ben consci di poter contare sulla raggiunta affidabilità dei loro mezzi navali e soprattutto sugli armamenti che possedevano, che sarebbero stati in grado di facilitare l’invasione e la conquista di territori abitati da popolazioni non dotate di armi da fuoco. L’Europa mancava allora di capitali e di forza-lavoro, falcidiata dalla peste nera del 1348; l’impossibilità di uno sviluppo economico incoraggiava quindi a ricercare nuove mete e nuovi orizzonti di espansione, contando anche su una superiorità tecnologica che poteva garantire il controllo dei mari e delle zone costiere. Tra il 1400 e il 1480 i portoghesi condussero una lunga e fruttuosa campagna esplorativa lungo le coste atlantiche africane, dalle Isole Canarie all’Angola, e in seguito anche in Mozambico e in Somalia. Gli spagnoli puntarono invece sull’oltre-Atlantico, con l’obiettivo di raggiungere l’Estremo Oriente, cioè le Indie Occidentali.

fig.3. Caravelle di Cristoforo Colombo (1492)

Nella prima spedizione del 1492, che portò alla cosiddetta “scoperta dell’America”, Colombo sbarcò nell’arcipelago delle attuali Bahamas, convinto di aver raggiunto l’isola giapponese di Cipango; l’anno successivo lo stesso Colombo, con una seconda spedizione, si spinse fino a Cuba e Haiti, dove fu insediato il primo nucleo di colonizzatori europei, nel nome e per conto di Isabella di Castiglia e di Francesco d’Aragona, Reali di Spagna. In questo clima di conquiste intervenne anche il pontefice Alessandro VI che, nel maggio 1493, sulla base di una concezione giuridica medievale, decise di assegnare definitivamente alla Spagna e al Portogallo le terre da questi rispettivamente “conquistate” lungo le coste atlantiche; ciò avvenne con una bolla pontificia appositamente emessa. Tale decisione si dimostrò più tardi un vero e proprio eccesso di potere e sollevò pesanti critiche da parte di alcuni Paesi europei. Da parte dei portoghesi, tra il 1498 e i primi anni del 1500, si ebbe la ripresa dell’attività espansionistica, che fu indirizzata, con la collaborazione di Vasco de Gama, alla conquista dei mercati (più che dei territori) dell’India, di Giava e della Cina; non mancarono in questa occasione le resistenze da parte dei musulmani, che già controllavano il traffico tra Cina e Mar Rosso. Gli interessi di allora riguardavano soprattutto spezie, pelli, cuoio, coloranti per tessuti e pesce; il tutto era gestito, dai punti di vista commerciale, militare e mercantile, da una organizzazione portoghese, che assicurava il successo nelle operazioni di scambio delle merci. Tra la fine del XV° e i primi anni del XVI° secolo, gli spagnoli, pur soffrendo di un pesante debito finanziario, si apprestarono, con l’aiuto delle Banche di Genova e di Firenze, a realizzare la conquista e la colonizzazione dei territori già scoperti; furono organizzate così numerose spedizioni di persone e materiali che comprendevano militari, religiosi, intere famiglie con donne e bambini, animali, armi, mezzi e strumenti vari, cioè tutto quanto era necessario per poter

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costituire nuclei autonomi in grado di insediarsi definitivamente nelle terre di conquista.

fig.4. Resti di Machu Picchu, città inca del XV° secolo, a 2.280 m di altitudine, nella Cordigliera peruviana. Non si trattò sempre di conquiste pacifiche, anzi nella maggior parte dei casi si verificarono saccheggi, deportazioni e talora massacri della popolazione indigena, improvvida e carente di adeguate armi di difesa; il tutto avveniva con la pretestuosa giustificazione da parte dei “conquistadores” di essere portatori di civiltà, di una nuova religione, quella cristiana, e di garantire il futuro benessere agli sprovveduti abitanti del luogo, considerati miseri barbari indiani. Hernàn Cortès fu il primo conquistatore spagnolo del Messico, dove le atrocità della conquista furono particolarmente severe; le testimonianze affermano che la popolazione originaria del paese subì una drammatica decimazione tra l’arrivo di Cortès, nel 1519, e

la fine del secolo: i residenti originari si ridussero dai venticinque milioni a soltanto un milione e mezzo, a causa delle eliminazioni, repressioni, deportazioni, lavori forzati e malattie europee (vaiolo, morbillo, ecc.) subìti in quel periodo. I colonizzatori spagnoli furono attivi anche nell’America tropicale (Perù, Cile, Equador, Guatemala), in particolare nelle zone interne degli altipiani, con alla guida Francisco Pizzarro. Il dramma dell’America Centrale coinvolse pertanto anche le famose civiltà dei Maya, degli Incas e degli Aztechi, civiltà che godevano allora di una organizzazione e di una cultura che poco o nulla avevano da invidiare a quelle del mondo europeo. La disintegrazione di queste civiltà fu facilitata dalla mancanza di esperienze di mare e di mezzi di navigazione, che certamente non potevano essere proprie di popolazioni insediate in zone interne, lontane dal mare. Anche la Francia e l’Inghilterra, non appena liberatesi dal lungo conflitto europeo dei “Cento anni” (1337-1453), rivolsero le loro mire espansionistiche verso il continente americano. Nacque così un dissidio tra francesi e portoghesi per il possesso delle coste brasiliane, scoperte da questi ultimi nel 1500, ma divenute degne di interesse per i portoghesi soltanto in seguito al tentativo francese di appropriarsene intorno al 1530. Re Giovanni III di Portogallo, al fine di preservare i diritti di conquista e colonizzazione, suddivise il territorio brasiliano in dodici concessioni, confermandone il possesso, nel rispetto della bolla pontificia del 1493. Fu così che i francesi e gli inglesi ritennero opportuno volgere lo sguardo verso il Nord America, considerato che il Centro e il Sud America erano ormai preda degli iberici. Le spedizioni francesi e inglesi ebbero dapprima per meta l’attuale Canada, la zona dei Grandi Laghi, il Golfo di S.Lorenzo, la Virginia, la Carolina del Nord (1585). La colonizzazione avvenne in maniera non sempre tranquilla, pur trattandosi di zone scarsamente abitate. Nel 1624 vi fu un importante intervento degli olandesi nell’isola di Manhattan (oggi New

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York), che proseguì con l’esplorazione lungo il fiume Hudson. La colonizzazione di questa zona passò successivamente in mano inglese e fu estesa verso sud su buona parte dell’attuale territorio statunitense. L’acquisizione da parte degli europei di tante nuove aree destinate alle coltivazioni agricole e all’allevamento provocò una forte richiesta di mano d’opera, per cui si rese necessario il ricorso ad una massiccia importazione di lavoratori dall’estero; da questa necessità nacque e proliferò uno spietato schiavismo, di cui furono principali tributari i paesi africani della costa atlantica. Per l’insieme dei tragici eventi causati, la conquista europea dell’America è stata definita a ragione uno dei capitoli più oscuri dell’umanità, soprattutto per gli effetti procurati dallo smembramento della struttura sociale delle comunità indiane e dalla dispersione dei nuclei familiari. L’altra brutale conseguenza addebitabile alle grandi scoperte geografiche fu il fenomeno della tratta degli schiavi, che diede avvio, come già accennato, ad un vero e proprio commercio umano, legato a interessi finanziari così importanti da eliminare qualsiasi senso di umanità; si parla di cinquanta milioni di vittime dello schiavismo, ma probabilmente ora sono molte di più, in quanto il fenomeno è tuttora in essere. In periodi successivi alle conquiste dei territori americani, tra la fine del XVIII° e l’inizio del XX° secolo furono avviate altre colonizzazioni da parte dei francesi, degli inglesi e degli olandesi. I francesi si concentrarono in particolare sull’Africa nord-occidentale, dall’Algeria al Gabon, e poi sul Madagascar e sull’Indocina, mentre gli inglesi colonizzarono la Nigeria e i Paesi africani che dall’Egitto si estendono verso sud fino al Sudafrica, attraverso Sudan, Kenya e Tanzania, ai quali si aggiunsero l’India e l’Australia. Gli olandesi acquisirono invece i possedimenti del Suriname, dell’Indonesia e della Nuova Guinea. Molto limitate furono invece le iniziative coloniali italiane e tedesche. Al periodo dell’espansione coloniale fece poi seguito, soprattutto a partire dalla fine del XIX° secolo, il progressivo ritiro dei colonizzatori dai possedimenti

conquistati e la restituzione dell’indipendenza ai vari Paesi che erano stati oggetto di sottomissione. Ma non per tutti i Paesi i problemi essenziali per le popolazioni furono così risolti. A proposito di scoperte geografiche, possiamo ricordare infine una diatriba sorta tra inglesi e portoghesi sulla scoperta del Continente australiano; fino a poco tempo fa si riteneva che il primo europeo sbarcato in Australia fosse l’esploratore inglese James Cook nel 1770, ma il recente ritrovamento di

fig.5. Navi di James Cook in una baia hawaiana (1760). alcuni documenti cartografici risalenti al XVI° secolo testimoniano che la scoperta dell’Australia dovrebbe essere invece assegnata al portoghese Christopher de Mendonca, che sbarcò nella zona dell’attuale Melbourne nel 1523, ben 247 anni prima di Cook. 2.4. NUOVE INVENZIONI E SCOPERTE Nel 1510 Leonardo da Vinci inventa la ruota idraulica, che prelude alla moderna turbina. Qualche anno più tardi vengono adottati i segni + e – per la somma e la sottrazione, mentre per il segno = (uguale) bisognerà attendere una cinquantina di anni. Negli anni 1520-30 vengono introdotti in Europa dall’America i peperoni, le arance, le patate, le zucche, il mais ed altri prodotti cerealicoli. Nel 1540 viene adottato l’oppio come farmaco. Dieci anni dopo viene importata in Europa la pianta del tabacco. Nel 1543, alla morte di Copernico, astronomo polacco, già erano noti i pianeti visibili a occhio nudo, cioè Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno, oltre alla Luna; nello stesso periodo fu

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elaborata la teoria eliocentrica, cioè il Sole al centro del Sistema e tale teoria fu decisamente contrastata dall’ortodossia cattolica, che sosteneva la teoria geocentrica; a causa delle diverse vedute sull’argomento, Galilei fu accusato di eresia e condannato al confino ad Arcetri. Per la stessa ragione, nel 1835, la Chiesa condannò all’Indice la principale opera pubblicata da Copernico che si rifaceva, tra l’altro, anche ai risultati delle antiche osservazioni astronomiche effettuate dai caldei, dagli arabi e dagli egizi. Nel 1582 viene introdotto il calendario gregoriano, più preciso di quello giuliano. Tra il 1589 e il 1596 entrano in funzione il termometro (Galilei), la macchina per maglieria (Inghilterra), il microscopio (Olanda) e il WC (Inghilterra). Nel 1600 il filosofo Giordano Bruno, accusato dall’Inquisizione romana di eresia, muore sul rogo. Nel 1610 Galilei compie numerosi studi astronomici e sul movimento pendolare. In Europa nel 1615 entra in uso la gomma, ricavata dalla vegetazione proveniente dalla giungla asiatica. Negli anni 1616-1633 si svolge la triste diatriba tra la Chiesa e la

fig 6. Il telescopio di Galilei (1610). Scienza, a seguito della quale la teoria eliocentrica di Copernico viene dichiarata

eretica e Galileo viene condannato agli arresti domiciliari. Nel 1628 vengono sperimentati i primi modelli di macchina a vapore. Due anni dopo viene usato per la prima volta il forcipe per neonati e viene emesso un primo manuale di pronto soccorso; la prima trasfusione di sangue viene effettuata nel 1667. L’anno successivo Newton scruta il cielo utilizzando il primo telescopio riflettore e nel 1673 l’italiano Cassinis calcola con successo la distanza tra la Terra e il Sole. Nel 1698 il frate francese Dom Perignon inventa lo Champagne. Nel 1712 si diffonde in Inghilterra la macchina a vapore, mentre Halley scopre che le stelle non sono fisse, ma sono dotate di un lento movimento. Nel 1734 il botanico svedese Linneo presenta il suo sistema di classificazione delle piante vegetali, mentre pochi anni dopo Celsius, pure lui svedese, propone la nuova scala delle temperature, successivamente adottata. Nel 1751 in Francia viene pubblicata la prima Enciclopedia, mentre Franklin inventa il parafulmine. Negli anni successivi viene individuato un nuovo elemento, l’idrogeno; viene anche ideata l’acqua gassata (Pristley), viene inoltre scoperto il pianeta Urano e i fratelli Montgolfier inventano il pallone ad aria calda, detta mongolfiera. I francesi inventano il sistema metrico decimale e finalmente, nel 1796, viene sperimentata felicemente la vaccinazione antivaiolosa. Nel 1800 Alessandro Volta inventa la pila. Nel 1816, l’auscultazione degli organi interni beneficia di una importante novità: lo stetoscopio. Soltanto nel 1817 si scopre la clorofilla e nel 1822 i francesi eseguono la prima fotografia. Nel 1828 gli olandesi producono il cioccolato. Due anni più tardi Lyell pubblica il primo trattato sui principi di geologia. La Scienza e la Tecnologia spingono violentemente verso nuove iniziative: nel 1831 Darwin si imbarca sul Beagle che lo condurrà a scoperte di immenso interesse naturalistico nel suo lungo viaggio nei mari del Sud e Centro America; qualche tempo dopo Faraday inventa il generatore di corrente elettrica senza uso di batterie, Morse brevetta il telegrafo elettrico e un medico americano effettua il primo intervento

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chirurgico in anestesia totale (grande conquista anche per noi pazienti!). Le scoperte si susseguono con ritmo accelerato: nel 1866 Nobel inventa un esplosivo molto potente, la dinamite, Meucci inventa il telefono, seguito da Bell; nel 1876 il tedesco Otto inventa il motore a combustione, che trova pieno impiego ancora oggi; tre anni più tardi si accendono le lampadine elettriche, grazie a Edison e nel 1882 viene individuato il batterio della tubercolosi, per merito del tedesco Koch.

fig.7. Treno dell’Ovest (1800). Nel 1884 si decide di nobilitare il meridiano di Greenwich, assegnandogli il riferimento zero nella sfera terrestre. L’anno successivo nasce la bicicletta, per merito dell’inglese Stanley e nascono i primi esemplari di automobili, artefice il tedesco Benz. Nel 1889, ad opera di un certo Singer, viene prodotta la prima macchina da cucire elettrica. Nel 1895 i francesi fratelli Lumière inventano il cinematografo e nello stesso anno il nostro Marconi sperimenta le onde radio rice-trasmittenti senza fili, ottenendo i primi successi, comunicando direttamente tra Inghilterra e Canada (1901). Nel frattempo Marie e Pierre Curie compiono studi ed esperimenti su radio e polonio, introducendo il mondo nel campo della radioattività. Pure nel 1901 vengono scoperti da Roentgen i raggi X, cui sono legate le note applicazioni in campo medico. Nel 1903 si ha il primo decollo, con 12 secondi di permanenza in volo, di un aereo a motore in North Carolina, da parte dei fratelli Orville e Wilbur; l’anno successivo trovano sviluppo, da parte di

studiosi norvegesi, i primi studi sulla meteorologia. Nel 1905 Albert Einstein enuncia la sua teoria sulla relatività ristretta. Nel 1912 Wegener espone la teoria della deriva dei Continenti; si scopre l’esistenza

fig.8. Aereo dei fratelli Wright (1905). dello strato di ozono; il danese Bohr rivoluziona le conoscenze sulla composizione dell’atomo; nel 1905 un aereo più evoluto dei precedenti è portato in volo dai fratelli Wright. Einstein ritorna sulla relatività, enunciando quella generale, sui rapporti tempo-spazio (1916). Alla fine della prima guerra mondiale l’americano Shapley è in grado di precisare la posizione del sistema solare in seno alla nostra Galassia, la Via Lattea. Nel 1926 l’astronomo americano Hubble scopre vari tipi di Galassie e annuncia che l’Universo è in espansione.

fig.9. Nebulose e polvere cosmica. Negli anni successivi si scoprono le differenze tra batteri e virus, si inventa l’encefalogramma, i primi impieghi della penicillina, scoperta da Fleming; viene individuato il pianeta Plutone (oggi in

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discussione), mentre si stabilisce la scala Richter per valutare l’intensità dei terremoti;

fig 10. La Galassia a spirale M81. si inventa il radar, con le sue infinite applicazioni moderne, e si inventa pure una nuova fibra artificiale, denominata nylon. Nel 1938 viene sperimentata in Germania l’applicazione dell’energia dell’atomo, preludio alla bomba atomica. Siamo ormai prossimi all’inizio della seconda guerra mondiale. Nel 1941, in vista dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, Roosevelt dà l’ordine a Fermi e collaboratori di sviluppare la bomba atomica. L’anno successivo la Germania lancia il primo missile V2, precursore dei missili spaziali. Nel 1944 il canadese Avery fa la rilevante scoperta del DNA. Nel 1945 viene fatta esplodere nel deserto messicano la prima bomba atomica sperimentale, cui fanno seguito, dopo qualche mese, le catastrofiche due atomiche lanciate su Hiroshima e Nagasaki in Giappone. Nel 1946, cessata la guerra, esce il primo calcolatore elettronico dall’Università statunitense di Harvard. L’anno successivo, a cura dell’americano Libby, viene studiato l’impiego del C14 per la determinazione dell’età nei reperti antichi; viene immesso in commercio il primo forno a microonde. Nel 1948 entra in uso il telescopio di M.Palomar con specchio di 5 m di diametro. Nel 1949 l’Urss, nell’ambito della corsa agli armamenti, fa esplodere la sua prima bomba atomica; l’anno successivo entra in commercio la prima fotocopiatrice Xerox. Nel 1951 viene trasmesso il primo programma TV a colori, che in Usa diverrà commerciale tre anni più tardi. Nel 1953 l’americano Salk svolge le prime

sperimentazioni sul vaccino anti-poliomielite. Nel 1957 viene inviato nello spazio dall’Urss un missile con a bordo la cagnetta Laika. Nel 1960 negli Stati Uniti si studiano le caratteristiche del raggio Laser, che troverà numerose applicazioni pratiche. Nel 1961 il primo essere umano, Gagarin, viene lanciato nello spazio dall’Urss. Nel 1965 vengono rinvenuti alcuni organismi unicellulari che sono vissuti sulla Terra 3,5 miliardi di anni fa, confermando la validità di alcune vedute su questo dibattuto tema. Nel 1967 viene realizzata la clonazione, cioè la produzione di una copia identica di un essere vivente. Nel 1970 viene costruito dalla Intel-Usa il primo microprocessore, il cervello dei computer. Due anni dopo esordisce in ambito medico la Tomografia assiale computerizzata (TAC), associazione di raggi X e computer. Nel 1974 si compiono studi particolari sui gas-serra e sullo strato di ozono in relazione ai problemi ambientali emergenti. Nel 1975 vengono commercializzati i primi computer negli Stati Uniti. Nel 1978 viene alla luce la prima bambina nata con il metodo della fecondazione in provetta. Nel 1982 viene individuata una grave malattia (AIDS) che distrugge il sistema immunitario. In questi anni si susseguono le imprese spaziali, di cui si riferisce in un capitolo a parte. Nel 1984, in seguito a studi eseguiti sul DNA, emergono nuove prove sull’esistenza di un progenitore comune tra Uomo e Scimmia; viene costruito inoltre un nuovo telescopio nelle Hawaii di 10 m di diametro; si scopre un “buco dell’ozono” sopra l’Antartide. Nel 1988 vengono avanzati seri dubbi e preoccupazioni sul riscaldamento terrestre in atto, messo in relazione con l’inquinamento atmosferico e l’effetto-serra. Nel 1989 viene datata a 3960 milioni anni la pietra terrestre ritenuta più antica. Nel 1990 è lanciato in orbita, al di sopra dell’atmosfera terrestre, il telescopio Hubble, che consentirà di migliorare enormemente l’osservazione dell’Universo. Nel 1996 vengono trovate tracce di organismi unicellulari in un meteorite caduto nell’Antartide. Gli avvenimenti di questi ultimi anni sono noti a tutti noi, in quanto li abbiamo almeno parzialmente vissuti personalmente e

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possiamo dire che si sono susseguiti con la solita accelerazione, a conferma di quanto avevamo osservato fin dalle note introduttive; man mano che si va avanti tutto procede infatti in maniera più rapida e convulsa, essendo la vita dominata da un violento crescendo di fatti e di cose nuove. 2.5. CONQUISTE SPAZIALI Nell’ambito dell’astronomia, si ebbe un primo periodo di dati raccolti a occhio nudo, durato circa quattromila anni, al quale seguì l’era del cannocchiale e del telescopio, che permise di ampliare notevolmente le conoscenze e la cui durata fu di circa quattrocento anni; si giunse infine alla fase più recente, quella spaziale, dallo Sputnik del 1957 in poi, che in meno di cinquant’anni, mediante l’utilizzo di missili, razzi-vettori, sonde e robot, portò l’Uomo al contatto diretto o ravvicinato con la maggior parte dei componenti del sistema solare. Quattro anni dopo il lancio in orbita del primo satellite artificiale, nel 1961 ci fu l’invio del primo uomo nello spazio: il sovietico Jurij Gagarin, che fu seguito un mese dopo dall’americano John Glen. Da allora l’impegno spaziale delle due maggiori potenze mondiali (Usa e Urss) portò ad una serie di successi che, dapprima riguardarono i pianeti più vicini alla Terra, i cosiddetti “Pianeti rocciosi interni” (in particolare Mercurio, Marte e Venere, oltre alla Luna) e successivamente i “Pianeti giganti gassosi esterni” (Giove, Saturno, ecc.). Nel 1964-65 le sonde Mariner 4 e 5 trasmisero le prime foto ravvicinate di Marte; nel 1969 due astronauti americani posarono per primi il piede sulla Luna e avviarono un’avventura umana sul satellite che durò tre anni; in seguito la presenza dell’Uomo nello spazio è proseguita con oltre un centinaio di astronauti, impegnati in prevalenza nella gestione della stazione spaziale internazionale, tuttora attiva, orbitante a circa 400 chilometri di altezza. Nel 1970 una sonda sovietica scese sul suolo di Venere e l’anno successivo sonde di

fig.11. Razzo spaziale (anni 1950). provenienza americana e sovietica scesero su Marte. Nel frattempo la Nasa (Usa) diede inizio all’esplorazione dello spazio interplanetario, al di fuori del sistema solare, lanciando alcune sonde che attualmente, dopo anni di viaggio nello spazio, stanno uscendo dall’influenza solare. Tra queste la Pioneer 10, che sarà in grado di raggiungere Aldebaran, una delle stelle a noi più vicine, tra due milioni di anni, mentre la Pioneer 11 avrà un viaggio ancora più lungo, essendo previsto il suo arrivo nella costellazione Aquila tra non meno di quattro milioni di anni.Tutto questo fa riflettere sulle enormi distanze che ci separano dal mondo delle stelle. E’ da ricordare che gli obiettivi di questi impegnativi e costosi progetti spaziali sono principalmente quelli di migliorare le conoscenze sull’origine del nostro sistema planetario e di ricercare forme di vita eventualmente presenti su altri pianeti, sia all’interno del sistema solare che al di fuori di questo.

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I risultati raggiunti consentono già ora di affermare che la ricerca spaziale negli ultimi cinquant’anni ha accumulato una mole di informazioni e di conoscenze talmente vasta da non potersi minimamente confrontare con quanto era stato acquisito dall’Uomo nel precedente passato. Ritornando alle operazioni spaziali, ricordiamo i principali avvenimenti che si sono succeduti a partire dagli anni Settanta: esplorazione di Mercurio (1974); installazione di due laboratori scientifici su Marte (1977); avvìo della missione Nasa (1979) per l’esplorazione dei pianeti più lontani (Giove, Saturno, Urano e Nettuno); partecipazione alle operazioni da parte di alcuni Paesi europei, di Giappone e di Cina, in aggiunta a Stati Uniti e Russia; invio di sonde alla Cometa di Halley (1986); esplorazione di Giove e suoi satelliti (1989-2003); invio su Marte di un robot mobile da parte della Nasa (1996); esplorazione ravvicinata su Saturno e suoi anelli, da parte dell’organizzazione spaziale internazionale, con invio di una sonda sul suolo del satellite Titano (1997); due nuovi robot inviati sul suolo di Marte per la raccolta e l’analisi di campioni (2004); studi sulla presenza di acqua e sulla circolazione atmosferica di Marte (2005-06).

fig. 12. Uomo sulla Luna (missioni Apollo 1969-72). E qui di seguito riportiamo alcune notizie e particolarità che riguardano propriamente alcuni protagonisti del nostro sistema solare.

La Luna è ricca di crateri e di montagne, la più alta delle quali, il Monte Hadley, supera i 4450 metri. La superficie di Mercurio è cosparsa di crateri, che sono più fitti che sulla Luna, mentre le montagne non superano i 2000 metri; è il pianeta più vicino al Sole e per questo la temperatura supera i +420 °C di giorno, mentre la notte scende a –170°. Su Venere ci sono molti vulcani e le temperature medie variano tra i +480 e i –33°. Su Marte la forza di gravità è eccezionalmente bassa e ciò provoca qualche difficoltà negli atterraggi delle sonde terrestri; lo spessore della sua atmosfera è piuttosto limitato e le temperature misurate dai robot sono di circa –50°C; i venti sono molto forti, ma certamente inferiori a quelli di Saturno, che pare superino talora il migliaio di km/h. Nello spazio tra Marte e Giove si estende una fascia particolarmente ricca di asteroidi e polveri, che costituisce un pericolo, se non un ostacolo, per i veicoli spaziali che la attraversano. Una nota sull’atmosfera di qualche pianeta: quella di Saturno è costituita da ammoniaca ghiacciata, quella di Nettuno è formata invece da nubi di metano. Infine qualche altra temperatura media: Giove –150°, Saturno –180°, Urano, Nettuno e Plutone, i più lontani dal Sole, –220° circa. 2.6.CONSIDERAZIONI SUI PROGRESSI DELL’UMANITA’ Non possiamo comunque lamentarci, beneficiamo di tante cose piacevoli rispetto ai nostri antenati: la casa, il riscaldamento, l’aria condizionata, la comunicazione, l’informazione e l’intrattenimento della radio, della televisione, del telefonino, lo sport, l’arte, l’assistenza medica, l’asilo, la scuola, l’amore, l’affetto; con il lavoro cominciano i dolori: non riusciamo infatti a innamorarci del nostro lavoro, come accadeva in tempi passati, perdippiù oggi l’occupazione è meno sicura di una volta e guai a perderla. Facciamoci in ogni caso un pensiero di rispetto e, se necessario, un bell’egoistico sospiro di sollievo nel pensare che altri stanno meno bene di noi, in particolare nei Paesi dove regnano purtroppo fame, miseria e

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malattie e le persone coinvolte non sono poche. Noi, Uomo di oggi, con un volume cerebrale accettabile, ci lamentiamo per il terrorismo incombente, per la maleducazione crescente, per la fede religiosa in declino, per la crisi climatica globale, per gli scandali finanziari, politici, sportivi, per i rumori e gli inquinamenti, per l’immigrazione incontrollata, per il traffico automobilistico sempre più caotico; ma riflettiamo un istante sul fatto che una buona parte dei disagi sono causati dall’esplosione demografica verificatasi in questi ultimi due secoli. Gli abitanti della Terra, che erano circa un miliardo nei primi anni del 1800 hanno superato oggi i 7 miliardi (secondo le previsioni, saranno raggiunti i dieci miliardi entro il 2050); ciò ha comportato e continua a provocare quotidianamente un rilevante incremento dei consumi energetici, idrici e alimentari, e quindi dell’inquinamento in generale, come pure una preoccupante riduzione degli spazi disponibili, da cui anche la crescente scarsità di aree coltivabili da una parte e il traffico sempre più caotico dall’altra; il tutto contribuisce a peggiorare la qualità dell’aria, oltre che gli equilibri sociali. Possiamo concludere questa breve digressione con la fiduciosa speranza che l’Umanità si renda conto, prima di superare il limite del non ritorno, della necessità di attuare con fermezza un programma di difesa dell’ambiente e di controllo delle nascite, per poter garantire ai futuri terrestri un’esistenza gradevole su un pianeta come il nostro, che ha il grande vantaggio, a differenza di tanti altri pianeti individuati nell’Universo, di possedere condizioni particolarmente favorevoli all’esistenza e alla conservazione della vita umana. 2.7. L’UOMO E LE CREDENZE RELIGIOSE 2.7.1. Premessa Le incomprensioni e le violenze che si stanno manifestando con crescente intensità in questi ultimi tempi tra popoli di differente fede religiosa dimostrano l’immensa importanza che la religione ha sempre avuto nella vita

dell’Uomo. Le difficoltà del rapporto umano tra nuclei di credenza religiosa diversa è oggi tristemente testimoniato dal dissidio permanente tra ebrei e palestinesi, nonchè dalla tensione tra il mondo musulmano e quello occidentale. Il fenomeno religioso rimane comunque una componente fondamentale della civiltà umana e per tale merita un commento. Sarebbe un grave errore di presunzione pensare di condensare in poche righe o in alcune pagine un tema delicato come quello della credenza religiosa, ma qui ci limiteremo a qualche accenno, evitando di toccare gli aspetti puramente teologici. L’Uomo ha sempre sentito intimamente, fin dalle origini, la necessità di credere in un Essere superiore, sovraumano, al quale rivolgersi per ottenere aiuto, conforto e protezione, con la speranza di poter anche trovare una risposta ai misteri, passati e futuri, della vita umana. Cento mila anni fa, già allora l’Uomo (di Neanderthal) si rivolgeva al cielo con ricche cerimonie funebri, chiedendo protezione per le anime dei propri morti e oggi gli animisti del Madagascar ne stanno seguendo l’esempio, con la loro usanza di riesumare e ripulire periodicamente le spoglie mortali dei loro avi .

fig.13. Adad, dio dell’atmosfera per gli Assiri (1800 a.C.).

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fig.14. Simboli delle divinità fenicie a Byblos (XIX° secolo a.C.). Un’altra particolare credenza, che risale a sette mila anni fa, era quella delle donne Sumere che dedicavano la loro devozione alla Divinità femminile Ishtar, per implorarne l’assistenza in vista del parto. La diffusione delle religioni risente delle influenze popolari e varia da luogo a luogo e con il passare del tempo. In passato hanno dominato dapprima le religioni di ispirazione animista e politeista, con tante Divinità da adorare, particolarmente diffuse nell’epoca greco-romana, seguite poi dalla cultura monoteista, del Dio unico, che ha conquistato tanti fedeli nel mondo, dapprima con il giudaismo e poi con il cristianesimo e l’islamismo. Nella regione asiatica la prevalenza è delle credenze “moral-filosofiche” del Buddismo e dell’Induismo. Da notare inoltre una strana particolarità: che una prima espressione di fede monoteista si era già manifestata in epoca molto antica in un popolo africano molto arretrato e isolato, quello dei Pigmei. Le tre religioni di origine semitica (giudaismo, cristianesimo e islamismo) hanno una base comune: un unico e medesimo Dio secondo l’eredità abramitica, come affermano sia l’Antico Testamento che il Corano. Il cristianesimo deriva dal giudaismo, mentre l’islamismo è una riformulazione del modello giudaico-cristiano. Ciascuna delle tre religioni monoteiste possiede un punto che non è accettabile da parte delle altre due e questo perché il giudaismo sostiene la propria elezione esclusiva a “Popolo di Dio”, il cristianesimo afferma che Gesù Cristo è “Figlio di Dio” e

l’islamismo sostiene che la dottrina del Corano è “Parola di Dio”. Attualmente l’islamismo rappresenta un credo religioso in via di espansione, mentre il giudaismo è stazionario o addirittura in fase di contrazione; tra le religioni morte viene citato il manicheismo, che in passato aveva trovato seguito in Persia. Seguono alcune brevi note sulle principali religioni oggi praticate, desunte dalla letteratura corrente e corredate di dati numerici e percentuali, che sono riferiti al periodo 1970-80, quando la popolazione mondiale era inferiore di oltre due miliardi rispetto all’attuale; da osservare inoltre che in queste valutazioni è ben difficile quantificare ciò che, a rigore, è un atteggiamento personale, non inquadrabile in nessuna struttura organizzata. Le cifre riportate sono quindi approssimative, ma risultano ugualmente indicative del loro valore ponderale anche in rapporto con le altre voci considerate.

fig.15. Mito solare dell’antico Egitto. 2.7.2. Giudaismo o ebraismo E’ la religione degli Ebrei, da prendere in considerazione per prima, a mio parere, in quanto rappresenta la base della fede monoteistica, è ricca di storia e di testimonianze scritte e costituisce la genitrice della religione cristiana, la quale è attualmente la più diffusa nel mondo ed è la

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religione maggioritaria (più del 50% della popolazione) in ben 138 Stati. Il Giudaismo fa parte delle religioni semitiche (da Sem, figlio di Noè, il Patriarca che si era salvato dal Diluvio), rappresenta il seguito delle credenze religiose delle antiche tribù di Israele e ha inizio, storicamente, con l’esilio temporaneo degli Ebrei in Babilonia nel 586 a.C. Attualmente gli Ebrei sono 18 milioni, pari allo 0,4% della popolazione mondiale. La religione ebraica è diffusa in 112 paesi; il 44% degli Ebrei vive negli Stati Uniti, il 22% nell’Asia meridionale e il 18% nei paesi dell’area russa. In Europa vivono un milione e mezzo di Ebrei, presenti soprattutto in Francia e in Gran Bretagna. 2.7.3. Induismo

E’ la terza religione al mondo per diffusione, dopo la cristiana e l’islamica. Più che una religione è un insieme di norme di vita, sia dal punto di vista individuale che universale. Le prime elaborazioni filosofiche dell’Induismo risalgono all’inizio del primo millennio avanti Cristo. Nella storia delle religioni dell’India l’Induismo costituisce la terza e ultima fase di sviluppo, dopo il Vedismo, attivo tra il 1500 e il 900 a.C., e il Brahmanesimo. L’Induismo è definito come religione indoiranica, anche se il sistema religioso si è sviluppato nel subcontinente indiano e raccorda molteplici aspetti della vita e della religione degli Indiani nel complesso sistema delle caste. In questa religione ciascuno ha il proprio “dharma”, con i suoi doveri in campo sociale. Sono sei i sistemi filosofici induisti classici, il più antico dei quali è il Sanscrito. Il Dio Visnù e il Dio Siva sono alla base dei due indirizzi religiosi indù più diffusi tra le varie sette. L’induismo tollera le altre religioni, al contrario di altre che le combattono per sopraffarle. Appartengono complessivamente all’induismo, che è diffuso soprattutto nell’Asia meridionale, 610 milioni di fedeli, che rappresentano il 13% della popolazione mondiale.

2.7.4. Buddhismo E’ la quarta religione al mondo; è un insieme di religione e di filosofia che fa seguito al Brahmanesimo e ha origine in India. Le dottrine distintive sono la trasmigrazione delle anime ed il ciclo delle esistenze. Siddharta raggiunse il Nirvana (483 a.C.) e divenne il Buddha, che non è un Dio, ma un espositore di idee, per cui Dio è un’illusione, l’anima non è eterna, non esistono né beatitudine, né dannazione, quindi nè paradiso, né inferno. Le norme basilari secondo Buddha sono: non uccidere, non rubare, evitare la dissolutezza sessuale, astenersi dalle bevande inebrianti. Importante è l’adattamento alle norme in vigore nella misura in cui esse non contrastano con i principi dell’agire morale. Le nostre limitate facoltà conoscitive non ci permettono di comprendere l’Universo e sarebbe insensato cercare di capirlo. L’ideale etico buddhista è di non recare danno ai viventi (uomo, animali, vegetali); sotto questo profilo, l’etica buddhista è superiore anche a quella cristiana. L’uomo è ritenuto comunque una forma superiore di esistenza, anche perché ricerca la salvezza, seguendo i suggerimenti (non comandamenti) del Buddha. La maggiore diffusione del Buddhismo si ha in Cina (dal 67 d.C.) e in Giappone, mentre in India è stato quasi annientato tra l’XI° e il XIII° secolo dai musulmani. In Giappone il Buddhismo si è integrato con lo Shintoismo, la religione animistica che in passato, fin dal VI° secolo a.C., aveva prevalso tra i giapponesi. Attualmente la Comunità buddista nel mondo è di 296 milioni di fedeli, pari al 6,5% della popolazione mondiale. 2.7.5. Islamismo Per diffusione è attualmente la seconda religione nel mondo e comprende circa 800 milioni di fedeli, che corrispondono al 17% della popolazione mondiale; il 65% dei musulmani vive nell’Asia meridionale e occidentale, il 26% in Africa. Maometto, profeta arabo, nato nel 570 d.C., introdusse nell’ambiente politeista della

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Mecca una voce nuova, il monoteismo, citando Mosè, Gesù, Noè e Abramo. La diffusione del pensiero di Maometto, trasmessa attraverso il Corano, ebbe successo. Il termine “muslim”, musulmano, significa “dedito a Dio”. I principali precetti dell’Islam sono: professare e diffondere la fede, rivolgersi a Dio con la preghiera cinque volte al giorno; osservare il mese di digiuno, il pellegrinaggio alla Mecca e la tassa in favore dei poveri, dal 2,5 al 10% dei guadagni. Sono ammesse 4 mogli e varie concubine. Secondo il Corano, i Profeti sono semplici messaggeri, attraverso i quali Dio comunica con i fedeli; Gesù è un uomo, non è Figlio di Dio. Nell’Islam i Capi della Chiesa, gli Ulema per i Sanniti e gli Ayatollah per gli Sciiti, esercitano non solo la funzione di guida religiosa del popolo, ma anche il potere politico. 2.7.6. Cristianesimo E’ la fede religiosa più diffusa nel mondo, comprendendo all’incirca un miliardo e mezzo di credenti, che rappresentano il 32% della popolazione mondiale; il 27 % dei cristiani vive in Europa e il 25% nell’America latina. La religione cristiana è nata per distacco dal Giudaismo intorno al 70 d.C., per opera degli Apostoli e dei Discepoli di Gesù Cristo a Gerusalemme. La nascita di Gesù viene riferita al periodo tra il 4 e il 7 a.C. I seguaci del Cristianesimo sono oggi organizzati in diverse Chiese e Comunità, differenziate tra loro in base alla professione di fede o “confessione”. Le più grandi fra le Comunità organizzate sono le Chiese Orientali, le Chiese Ortodosse, la Chiesa Cattolica, la Chiesa Anglicana e quelle Protestanti. Le Chiese Orientali comprendono le Comunità religiose nate nell’antico Impero Romano d’Oriente tra il 374 e il 550 (Armena, Abissina, Copta e altre) e le Chiese Ortodosse, sorte dalle deliberazioni teologiche dei Concili tenuti tra il 325 e il 451 e legate al

rito bizantino e all’uso della lingua locale. Nell’insieme delle Chiese Orientali aderiscono 130 milioni di fedeli, pari a circa l’8% dei Cristiani. Gli Ortodossi sono così distribuiti: 48% nei paesi dell’area russa, 37% in Europa con prevalenza in Romania (17 milioni) e Grecia (13 milioni). La Chiesa Cattolica (di Roma) è la Chiesa concettualmente universale, istituita da Gesù Cristo per tutti, in contrapposizione ai gruppi scismatici ed eretici. In seguito alla Riforma del XVI° secolo si è avuta la separazione tra le Chiese che si ricollegano a quella di Roma nel Cattolicesimo, riconoscendo il Papa quale Capo universale, e quelle aderenti alla Riforma, che hanno creato il movimento Protestante o Evangelico. La Chiesa Cattolica segue il rito romano con la lingua latina, ora sostituita liberamente dalla lingua parlata in loco. In comunione con la Chiesa Cattolica ci sono anche alcune Chiese orientali, dette “Uniate” (non Unite) che seguono riti diversi dal latino (Antiochia, Bizantino) e si distinguono per alcuni aspetti della vita ecclesiastica, per esempio il matrimonio permesso a preti e diaconi. I fedeli delle Uniate sono stimati in circa 9 milioni. La Religione Cattolica è la maggioritaria tra le Chiese Cristiane: conta attualmente 884 milioni di fedeli, corrispondenti al 57% dei Cristiani; la maggior parte dei Cattolici vive nell’America latina (41%) e in Europa (28%). Il Paese con la maggiore presenza di Cattolici è il Brasile con 110 milioni. La Chiesa Anglicana, la Chiesa di Stato in Inghilterra dal 1534, con a Capo il Re o la Regina, ha un seguito di 68 milioni di credenti, pari al 4% dei Cristiani, il 49% dei quali vive in Europa e il 28% in Africa (32 milioni in Gran Bretagna, 7 milioni in Nigeria). Nella Chiesa Anglicana sono presenti tre correnti: la Low Church, del cristianesimo operoso, la High, rituale e conservatrice e la Broad, liberale e storico-critica. Le Chiese Protestanti o Evangeliche comprendono le varie correnti di pensiero che

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si rifanno alla Riforma del 1529; i credenti sono oltre 292 milioni, corrispondenti al 18% dei Cristiani nel mondo; il 32% dei Protestanti vive in Nord America (89 milioni negli Stati Uniti) e il 27% in Europa (29 milioni in Germania). Le Comunità e Congregazioni principali sono: Luterani (43 milioni), Presbiteriani e Riformati a costituire le cosiddette Chiese Riunite (32 milioni); a queste si aggiungono altre Congregazioni, quali: Battisti (35 milioni), Metodisti (26 milioni), Quaccheri (500 mila), Avventisti, Testimoni di Geova, Valdesi, Pentecostali, Indipendenti, ed altri. Nota: Secondo G.J.Bellinger (vedi Bibliografia), per completare il quadro statistico mondiale è necessario aggiungere ai dati riguardanti le comunità religiose di cui sopra i dati corrispondenti ai non religiosi e in particolare: gli areligiosi e aconfessionali (ovvero non religiosi e non confessionali), che cioè non appartengono ad alcuna religione e che, in maniera differente dagli atei, hanno una concezione della Divinità indifferente a qualsiasi tradizione religiosa esistente. Il loro numero totale ammonta a più di 800 milioni, pari al 17% della popolazione mondiale; il 70% di questi vivono in Asia e il 10% in area russa. A questi sono da aggiungere inoltre gli Atei dichiarati, che sono valutati in circa 200 milioni, e gli Agnostici (non valutabili).

3. PARTE SECONDA Ciascuno di noi porta con sé i segni della vita trascorsa, ricordi lieti o tristi, momenti felici o drammatici, che di tanto in tanto si ripresentano alla mente, riportandoci indietro nel tempo. Riordinando le scartoffie, ho ritrovato alcuni fogli di appunti e di note da me scritti in passato, che hanno destato la mia attenzione e il desiderio di proporli, soprattutto perché testimoni di tempi lontani e riferibili in particolare ad ambienti, abitudini e comportamenti umani spesso molto diversi dagli attuali. I contenuti di queste note sono normali racconti di vita vissuta, che ritengo possano comunque interessare per la loro immediatezza e semplicità. Sono infatti immagini di un mondo passato, con i suoi difetti, ma spesso rispettoso di tanti sani principi che ora sono in parte superati, scomparsi o dimenticati. Possono risultare forse irriverenti o talora infantili i toni di qualche racconto, ma essi sono almeno in parte giustificati dalla realtà delle singole situazioni rappresentate. Queste testimonianze di età giovanile sono seguite da alcuni altri racconti di vita più recente, che ci portano fino ad oggi, attraverso qualche episodio vissuto con incisività e piena partecipazione. 3.1. VITA IN COLLEGIO Quasi quattro anni di Collegio, dalla quinta elementare alla terza Ginnasio (non c’era ancora la scuola Media), dai miei undici anni ai quattordici, in periodo di guerra, tra la fine del 1939 e il 1942. Mio padre, capitano degli Alpini, richiamato alle armi sul fronte occidentale; mia madre, insegnante alle elementari di Buja, perdippiù severamente impegnata, con l’aiuto tecnico di

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tre bravissimi giovani aiutanti, a seguire l’attività di due Studi fotografici, a Buja e San Daniele del Friuli; mia sorella, di tre anni più giovane di me, frequentava invece le elementari in paese. E per me era stata scelta, anche per esigenze logistiche, la soluzione del…Collegio! Non saprei come definire la vita di collegio: una vita di convento, di seminario, di prigione o altro di simile. Insomma una vita dura, non facile da sopportare per lungo tempo. A parte le brevi parentesi di ricreazione, il silenzio e la disciplina ferrea dominano severamente l’atmosfera collegiale dei Salesiani qui al Don Bosco di Pordenone. Quando ci si trova nella sala-studio, una sala immensa in cui ti senti un pulcino, viene imposto il silenzio assoluto e non puoi chiedere nemmeno un consiglio ad un compagno. Vieni addirittura richiamato se rivolgi lo sguardo alla finestra e, nel caso tu venga sorpreso dall’Assistente, ti trovi castigato a copiare una serie di verbi latini. Sei in cortile e non puoi dare un calcio ad una palla, altrimenti vieni inviato “alla colonna” (fermo in piedi vicino al colonnato dell’edificio). Sei in camerata e non puoi dire una parola se vuoi evitare di essere punito “ai piedi del letto”. Tutte le mattine devi rifarti il letto, pulirti le scarpe e tacere, sempre oppresso da un silenzio di tomba. Dalle 20,30, quando si entra in chiesa per le preghiere fino alle 8,30 del mattino non è ammesso di aprir bocca e comunicare; dodici ore senza poter parlare è veramente inammissibile per un bambino o ragazzo che sia, eppure i preti lo esigono e non esitano ad assegnare le punizioni. Il collegio è per me una continua sofferenza; lo considero come una vera prigione dove, per giunta, si è costretti a studiare e pregare, pregare e studiare. Non per niente vicino all’entrata qualcuno ha imbrattato il muro con una scritta, ormai scolorita, che dice: “qui si entra nel carcere duro, qui si entra nella quasi eterna pena.” Quando il mercoledì pomeriggio usciamo per la passeggiata settimanale ci sembra di sognare nel rivedere il vero mondo che vive all’esterno: le strade, le case, la gente, e ci

auguriamo che il tempo rallenti la sua corsa. Ci viene imposto di camminare allineati tre per tre come soldati, andando al passo in silenzio, ma siamo ugualmente felici e gioiosi alla vista degli esseri liberi e indipendenti e ci godiamo così la bella parentesi di mezza settimana. Dopo qualche chilometro di marcia in direzione di Aviano, arriviamo nei prati della Comina, dove finalmente possiamo scatenarci, sempre sotto controllo, giocando al pallone. Triste e dolente è poi il rientro tra le pesanti mura del collegio. I preti riprendono le vesti di carcerieri e così ricomincia la vita severa di tutti i giorni. Osservando i miei compagni, noto un po’ di malinconia e di tristezza nei loro volti, che le brevi ricreazioni concesse non riescono a cancellare. Ovviamente non è consentito fumare, nemmeno ai “vecchi” del liceo, e non è consentito uscire dal collegio, nemmeno con i genitori in visita, a meno che non si riesca ad ottenere un permesso straordinario dal Direttore. Pare che i preti del collegio, anche loro segregati come noi, trovino particolare soddisfazione quando hanno la possibilità di castigarci; forse è questo il modo più spontaneo per sfogare i loro problemi psico-fisici causati dalla clausura voluta dal regolamento interno. 3.2. IL DIRETTORE DEL COLLEGIO Questo racconto testimonia l’infimo livello culturale e pedagogico di un singolare personaggio, per di più religioso, incaricato di provvedere all’educazione dei giovani. Fortunatamente è un caso più unico che raro, una vera eccezione tra i vari Superiori del Collegio, che sono di ben più elevato livello culturale e pedagogico. Sono le 19,30, siamo più di 150 studenti in refettorio, per la a cena ed è già stato dato il permesso di parlare. Entra il nuovo Direttore, un sacerdote di origini venete, passa tra i tavoli guardandoci come delle bestie rare; si ferma davanti al mio vicino di posto, un tipo

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“rompi”, che approfitta per chiedergli com’è che al suo bicchiere è rimasta incollata un’etichetta. Il Direttore prende in mano il bicchiere e con il suo aulico italiano:”quelli che sono nuovi hanno questa insegna” e, grattando l’etichetta con l’unghia, aggiunge “guardate di non romperli perché non se ne trova!” Prosegue tra gli altri tavoli dei commensali e ad un certo punto vede dinnanzi a sé i resti di un piatto rotto; chiama un cameriere e ad alta voce: “prendi scopa e scopaccera e togli di mezzo quei cocci…e quello che è stato a romperlo si presenti entro ventiquatt’ore al sottoscritto”. Sale alla cattedra del refettorio e fischia il silenzio. Tutti tacciono a loro modo e lui, arrabbiato, impreca a voce alta: ”non fate la suburra, cani rognosi; nitrite come asini!” Allora si fa quasi silenzio e lui: ”devo dare alcuni avisi (sic), primo da dimani leggerò ogni sera il bollettino dei numeri che mancano qualcosa in refettorio”. A questo punto uno di noi brontolò più forte di altri e il Direttore, più incavolato che mai: ”se lo pesco, lo prendo, lo metto sulla porta della portineria e gli do un calcio che va a casa su due piedi; secondo aviso, al suono della campana ci si mette in filla (sic) in silenzio ed in studio, se ci fosse pure un gatto che coi dimeni della coda facesse dei segni, dovete obbedire; chi ha orecchie da intender, intenda, a buon intenditor poche parole. Ed ora leggo i rapporti serali; primo rapporto: Montina e Mulligh mangiano in studio; venite fuori, stasera senza cinema, buoi! Toson laggiù, l’hai finita di confabulare? Cavalo! Secondo rapporto: Ermani e Toneli disturbano continuamente in studio; venite fora anche voi, pelandroni, tu Toneli grande e grosso come un camelo, con quel cervello da galinela. Ermani, non fare il bulo sai, guarda che hai le fedine sporche, arrivederci a Filippi, sai. Terzo rapporto: Di Centa e Taiariol non sono stati a scuola e sono presenti in studio; venite, venite, perché non siete stati a scuola? avevate il mal della nona? Avrete l’inclusione dal collegio per un mese intero, cioè resterete un mese senza uscite”. In quel momento un grosso seme di oliva, forse lanciato di proposito, cade sul

pavimento e scorre verso il Direttore che, con voce irritata: ”Quello che è stato è scemo, settanta volte sette, quante volte ho detto che non buttiate (sic) le ossa delle olive per terra? Un altro avviso vecchio è quello che ho detto che non andiate a vedere se c’è pacchi in portineria”. Usciamo finalmente dal refettorio e, passata la breve ricreazione, suona la campana che ci chiama in chiesa. Allora il Direttore urla: “i Prefetti diano attenti le squadre” In chiesa, durante le preghiere interviene ancora “non state correre con le preghiere, non vi corre mica dietro qualcuno?”. Terminato di pregare, il Direttore viene a dirci due parole in pubblico: “dimani comincia lunedì, primo giorno della settimana; ragazzi, guardate di studiare che siamo alle soglie dell’anno (siamo in aprile e manca poco più di un mese alla chiusura delle scuole); ho osservato che troppi in ricreazione mettono le mani in tasca; non state con le mani in sacoccia, ragazzi, sembrate tutti delle anfore etrusche; altro aviso è quello della divisa fascista; siccome il sabato fascista cade sempre di sabato, dovrete essere a posto con tutto il sabato prima della prima domenica di maggio; e vi ricordo anche quanto già detto: non cavalcate i muri e non gettate le margarite ai porci”.

fig.16. Sabato fascista in Collegio (1941). 3.3. ALTERNATIVE ALLO STUDIO Sono di nuovo in Collegio, non più ospite dei Salesiani di Pordenone, ma degli Arcivescovili del “Bertoni” di Udine; un po’ meglio, perchè più vicino a casa mia (Buja) e

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perché l’atmosfera generale è indubbiamente meno pesante di quella del “Don Bosco”. Gli insegnanti sono religiosi, mentre gli assistenti sono laici, in abiti civili. Siamo nel 1941-42, è il periodo delle lunghe e penose adunate fasciste del sabato. Sera d’inverno in una grande sala del Collegio Bertoni di Udine, dedicata allo studio; fuori si è fatto già buio ed una pioggia fitta e insistente sta cadendo dal cielo. Insomma una serata piuttosto triste, priva di prospettive interessanti. Alcuni dei miei compagni cercano di vincere la malinconia leggendo di contrabbando giornali umoristici o l’album dell’Uomo mascherato; altri fanno finta di studiare, con i pensieri che volano lontano. Alcuni sono avvolti in cappotti e sciarpe, simulando di soffrire il freddo, ma in realtà per trovare quel calduccio che favorisce un possibile sonnellino ristoratore. Il Prefetto (si chiama così l’assistente) invece, seduto alla cattedra, è completamente assorto nella lettura di un romanzo giallo. Manca più di un’ora alla cena e, mosso da un certo appetito, decido di fare uno spuntino. Sollevo la ribalta del mio banco e mi dedico ad una delicata operazione: rompere un uovo, inviato fresco da mia mamma, e separarne il tuorlo, per ottenere uno sfizioso dolcetto corroborante. Verso il bianco, l’albume, in un vasetto e il tuorlo in una scatola di bachelite, un ex-contenitore di colla, aggiungendo un po’ di zucchero e con una matita incomincio l’operazione di sbattitura, infischiandomi del Prefetto che, ritornato col pensiero in studio, mi chiede di abbassare la ribalta. Obbedisco agli ordini superiori, anche perché il dolcino è ormai pronto da gustare; mi appresto ad assaggiare il contenuto della vecchia scatola di colla, quando improvvisamente mi sento chiamare ad alta voce da un tipo indesiderato: il Direttore, che in un baleno si avvicina al mio banco e mi toglie imperiosamente di mano la scatola con il prezioso contenuto, ormai pronto all’uso. Guarda dapprima la scatola, poi il contenuto e quindi mi lancia uno sguardo di sdegno e di sfida e, rivolgendosi ai miei compagni, cerca di svergognarmi, parlando ironicamente su di me e sulla mia opera. Loro però, bravi

ragazzi, continuano a far finta di studiare, lasciando il Direttore con tanto di naso. Il suo disappunto si riversa interamente su di me e mi minaccia di licenziamento dal Collegio; la sua collera nei miei riguardi aumenta ulteriormente quando si accorge che il libro da me posto distrattamente sul banco era in posizione rovesciata. Sale in me il dispiacere di dover lasciare l’uovo nelle mani di quell’individuo che non me l’avrebbe più reso. E intanto lui, il Direttore, in tono decrescente, si sta sfogando pubblicamente contro quell’addormentato di Prefetto che non sa ottenere l’ordine. E quando finalmente ha deciso di chiudere l’orazione si rivolge a me con la ormai ben nota frase:“stasera alle sette in Direzione”. 3.4. IL PROFESSORE DI LETTERE Una magnifica figura, sensibile e romantica, gli volevamo bene e lo apprezzavamo, come da buoni studenti si desidera fare nei riguardi di chi ti sta vicino e ti aiuta. Lo chiamavamo “Don Ghigna” il nostro professore di lettere al Bertoni di Udine, a causa delle rughe e dei bernoccoli vari che tappezzavano il volto di questo prete; si trattava di una persona estremamente dolce e pacata, troppo buona per non essere presa in giro da noi studenti. Don Ghigna voleva dimostrarsi duro e severo, ma gli era difficile sostenere quella posizione e coglieva ogni occasione per rendere piacevole il rapporto tra lui e noi; spesso reagiva con il sorriso alle più banali stupidaggini che uscivano dalle nostre bocche e talora esagerava nel ridere, arrossendo in maniera preoccupante, probabilmente per timidezza. E noi, vili frequentatori dei banchi di scuola, ci divertivamo a ridere a nostra volta a crepapelle, non per la scempiaggine che aveva provocato il tutto, ma per l’esilarante atteggiamento del professore; e così, sotto sotto, lo prendevamo in giro. Ma la sua pazienza aveva un limite e quando questo limite veniva superato ne subivamo le giuste conseguenze. Anch’io le ho subite più volte: “Barnaba, vai fuorri, vai ad ammirare

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il cielo che oggi è plumbeo” oppure, sempre con il suo fondo sentimental-romantico, in altra occasione e stagione “…fuorri! i tuoi occhi saranno allietati dal bianco manto della neve”. Don Ghigna dimostrava quindi una natura delicata e poetica anche nell’imporre le punizioni. Non era di manica larga, come si dice, e lui stesso affermava che mai avrebbe dato un otto nelle sue materie; gli piaceva piuttosto “bidonare” chiunque, a suo giudizio, ne fosse meritevole. Aveva una voce sgraziata: acuta e priva di ritmo, mentre la sua veste era cosparsa di rappezzi, di macchie e di rammendi. Un individuo veramente strano, che non incuteva rispetto, ma piuttosto affettuosa comprensione. In fondo era buono e affabile e, da studenti, non ci si poteva lamentare di averlo come tutore. 3.5. LA CHIRURGIA FATTA IN CASA Un affettuoso medico di famiglia e la carenza di anestetici mi hanno fatto conoscere più da vicino quanto è naturale il male fisico e quanto è dolorosa la sua cura. Eravamo nel 1944, avevo sedici anni. Era inverno, ma non mi trovavo in collegio perché recluso in casa, a letto, con una mano gonfia e dolorante: un potente flemmone da una settimana non mi lasciava dormire la notte, nè riposare di giorno. Il medico, il dottor Vidòn, amico di famiglia e vicino di casa, mi aveva ordinato le pappe di lino e aveva detto in segreto a mia madre che prima o poi si sarebbe dovuto intervenire, cioè tagliare. Io l’avevo capito e ogni due giorni, quando il medico arrivava per controllarmi, il mio cuore batteva più forte e il dolore si attenuava. Ritornò una prima volta e disse che non era ancora “maturo”; ritornò ancora e disse che la situazione non era mutata. I giorni passavano e la mia mano mi faceva sempre più penare e la febbre aumentava, tanto che il mio pensiero mi portava a temere un’amputazione. A momenti avrei quasi preferito l’amputazione, pur di finirla con questo dolore così acuto e continuo.

Il mio cane Rubì sembrava comprendesse la delicata situazione e se ne stava quieto e pensoso sotto il mio letto; ogni tanto veniva a salutarmi rizzandosi su due zampe. Arrivò un’altra notte e non riuscii letteralmente a chiudere occhio; sentivo la mano infuocata che sbatteva in maniera violenta. Si stava forse avvicinando l’ora del bisturi. E’ un oggetto orripilante il bisturi, ma al pensiero che avrebbe potuto alleviarmi il dolore, mi portò a considerarlo con spirito quasi benevolo. Alle tre del pomeriggio un trillo del campanello: era il dottore. Mi si avvicinò, capì quanto sentivo ed ebbe un gesto di comprensione; io reagii con fierezza e con un sorriso forzato. Era venuto il momento di tagliare. Il dottore tolse dalla sua borsa alcuni coltellini, pinzette ed una macchinetta ad alcool per disinfettare l’occorrente per l’intervento chirurgico. Il mio cane capì che stava accadendo qualcosa di strano e cercò di salire sul tavolo per controllare quanto stava accadendo, ma venne decisamente ricacciato dal medico sotto il letto; nel frattempo mio padre e mia madre avevano preferito allontanarsi per non appesantire l’atmosfera. Ero rimasto solo col mio coraggio a vincere il dolore che un bisturi procura nell’incidere la carne viva, in completa assenza di preparazione anestetica, perché questa era l’usanza secondo il dottor Vidòn. Quando tutto fu pronto, stesi la mano inferma verso il medico, girai la testa dall’altra parte e attesi e attesi ancora. Sentii il rumore dei ferri e dopo un po’ il dolore penetrante del bisturi, che mi fece serrare i denti forte forte; alla prima incisione del bisturi ne seguì una seconda, poi una terza, sempre più profonda ed estesa in lunghezza, una quarta, una quinta; finalmente dopo la sesta incisione il bisturi fu messo a riposo, mentre io ero giunto al limite della sopportazione fisica; non ne potevo più per il dolore, che si era rinnovato ogni volta con i ripetuti passaggi di quel poco simpatico attrezzo; penso che forse avrei sofferto meno se avessi emesso qualche timido lamento o meglio ancora qualche grido, ma in tal caso avrei compromesso la mia dignità. Il medico passò quindi alla medicazione e il dolore andò man mano diminuendo; un’ora dopo ero

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felice, senza più febbre, con la mia profonda ferita di oltre tre centimetri di lunghezza; mi bruciava un po’, ma era un dolore sano, destinato a scomparire. Il cagnolino era uscito da sotto il letto e scodinzolava, lieto della mia ritrovata normalità. Una ovvia riflessione: ho il dubbio che nel 1944 non fossero molto diffusi gli anestetici; oppure era piuttosto il mio dottore che non ne conosceva e perdippiù non si era preoccupato, nel mio caso, di suturare la ferita con qualche punto; ma forse non gradiva l’impegno di dover poi togliere i punti. Per fortuna è andato tutto bene, anche se la cicatrice denuncia una mano chirurgica che mai potrà essere dichiarata altamente professionale. 3.6. TEMPI DI GUERRA Esperienze che tutti a quei tempi abbiamo vissuto, godendoci da un lato l’avventura e soffrendo i disagi e talora qualche perdita importante, di quelle cui non ci sono rimedi. Ma nel complesso uno strascico di ricordi pieni di fascino che, specie se maturati da giovani, creano una scia di entusiasmo e una positiva voglia di agire. E’ quello che è successo a noi dopo la fine della guerra. Il periodo che va dal maggio 1944 al maggio 1945 risentì pesantemente della situazione bellica della nostra Italia, suddivisa tra il Sud, ormai liberato dagli Alleati, ed il Nord ancora in mano ai tedeschi e ai loro amici della Repubblica Sociale Italiana. Nel Nord-Est e in particolare nel nostro Friuli, ai tedeschi e ai repubblicani si erano aggregati anche alcuni gruppi di cosacchi sfuggiti, con famiglie al seguito, alle persecuzioni dei sovietici e accolti dai tedeschi con la promessa di dar loro una nuova patria, che sarebbe stato il Friuli. Ma il Friuli era anche per noi friulani la nostra cosiddetta “Piccola Patria”, attraverso la quale stavano allora scorazzando avanti e indietro un po’ tutti, essendo la via più facile al transito di truppe e di mezzi tra il sud e il nord delle Alpi. Il diario di quei giorni testimonia una serie infinita di fatti e di notizie sempre più

drammatiche con il passare del tempo: rastrellamenti organizzati dai tedeschi alla caccia di uomini in età di lavoro, di oppositori al nazi-fascismo, di partigiani, con conseguenti deportazioni che toccarono anche nostri amici e conoscenti; uccisioni quasi quotidiane di militari tedeschi e loro collaboratori ad opera di partigiani, con successive rappresaglie da parte tedesca; bombardamenti e mitragliamenti da parte di aerei alleati su obiettivi strategici, quali in particolare stazioni e ponti ferroviari, centrali elettriche, depositi di munizioni; azioni di guerriglia un po’ ovunque su ambedue i fronti, con morti, feriti, prigionieri, deportati, condannati, fucilati, tutto questo senza soluzioni di continuità.

fig.17. Rastrellamento di “irregolari” da parte dei tedeschi a Buja (1944). E’ certo che non avevamo motivo di annoiarci in quel periodo perché ora per ora c’era immancabilmente qualcosa di nuovo a tenerci desti. Personalmente ho qualche particolare situazione da ricordare, tra le tante vissute in una atmosfera imperniata di apprensioni, ma anche e direi soprattutto, di entusiasmo e di fiduciosa attesa. All’inizio del 1945 aveva preso forza in me il desiderio di fare qualcosa di serio per la causa partigiana, insoddisfatto di dover limitare il mio contributo ad attività secondarie di collegamento e di comunicazione tra i compagni di Pianura e quelli di Montagna, attività che cercavo di svolgere con l’aiuto della attrezzatura tipografica disponibile in casa; avevo deciso di lasciare la casa paterna per raggiungere i partigiani della Brigata Osoppo oltre Tagliamento, nella zona

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montana di Pielungo, come mi era stato offerto e proposto dagli amici, con i quali ero sempre stato in stretto e permanente contatto qui in Pianura. Stavo predisponendo il mio vestiario, pensando anche alla necessità di attrezzarmi adeguatamente per il guado del Tagliamento e in particolare stavo ritagliando un paio di calzoni che mi sembravano troppo lunghi, quando venni sorpreso da mia mamma Claudia, che aveva probabilmente intuito quanto stavo tramando; in seguito al suo tenero sermone, mi convinsi almeno parzialmente che, data la mia età (non ancora diciassettenne) avrei potuto continuare ad essere ugualmente utile alla causa partigiana operando in Pianura; e così accettai a malincuore di considerare sfumato il mio progetto di fuga. Un’altra esperienza particolare, da cardiopalma, fu quella del 6 aprile 1945, quando Buja, dove abitavamo, fu assediata dalle truppe tedesche e dai loro amici di ventura (militari repubblicani e cosacchi), incaricati di effettuare un accurato rastrellamento dei maschi tra i 16 e i 65 anni da inviare nei campi di lavoro in Italia o in Germania. Per mio padre, Renato, e per me era già stato predisposto un nascondiglio nel sottotetto di casa per cui, quando alle 8,30 del mattino si presentò una minacciosa squadra, composta da quattro tedeschi e due repubblicani, a cercarci, noi ci eravamo già sistemati nel programmato rifugio, con la speranza di non essere scoperti. Il momento più delicato e di massima apprensione fu quando i sei individui, accompagnati da mia madre, arrivarono a pochi decimetri da noi senza accorgersi della nostra presenza; tutto ciò mentre mio padre stava trattenendo con tutto l’impegno possibile un colpo di tosse che avrebbe potuto tradirci; poi per fortuna quelli se ne andarono e un sospiro di sollievo fu tutto nostro, ma anche di mia madre quando li vide uscire definitivamente da casa. 3.7. LA LIBERAZIONE Finalmente, dopo anni di incertezze e di timori, si riapre la speranza nell’avvenire. Si ritrovano amicizie temporaneamente perse, si

rimpiangono altre non più recuperabili. Soprattutto prevale la spensieratezza, in attesa di mettersi all’opera e fare qualcosa di nuovo e di diverso dal recente passato. La radio trasmetteva notizie incredibili; tutti erano in apprensione e attendevano il momento, quel tanto atteso momento di agire. Ognuno covava i suoi propositi, ma tutti pensavano a collaborare, secondo possibilità, alla liberazione di questa nostra disgraziata Patria, da due anni preda dell’invasore ex-alleato tedesco. Ciascuno attendeva quella scintilla che avrebbe provocato la cacciata dei germanici, ormai in via di disfatta su tutti i fronti, ma non per questo ancora domi, forti del loro orgoglio e del loro sprezzo del pericolo. Anche il nostro Paese era in attesa, mentre i partigiani distribuivano munizioni e armi a tutti i collaboratori. Soltanto io non potevo fare nulla! Infermo a letto, sentivo parlare di movimenti di partigiani, di avanzata degli alleati, della liberazione di città prossime a noi e solo con la mia fantasia immaginavo di trovarmi qui o là, italiano tra gli italiani, in attesa di entrare in azione. Proprio in quei giorni una noiosa pleurite mi obbligava senza via di scampo a letto per almeno una ventina di giorni. Speravo che gli avvenimenti non precipitassero, che mi si attendesse ancora per qualche tempo. Si era di sabato 28 aprile, al mattino verso le 9, quando i partigiani attaccarono il Comando tedesco di Buja. La nostra casa si trovava a circa un centinaio di metri dal Comando e le scariche dei mitra e lo scoppio delle bombe a mano ci giungevano distintamente. Fremevo nell’udire quei colpi. Perché il destino mi privava di essere là, di poter collaborare in qualche modo alla liberazione del Paese. Il Comando della Wermacht fu espugnato, i tedeschi si arresero e decine di automezzi furono catturati. Le truppe alleate avanzanti non erano giunte ancora a Venezia e il nostro Paese aveva saputo liberarsi per virtù della propria gente. Io ero veramente dispiaciuto di non aver potuto partecipare attivamente alla sua liberazione e mi ritenevo per nulla meritevole della benevolenza paterna.

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fig.18. Prigionieri tedeschi scortati dai Partigiani (28 aprile 1945). Continuava a giungermi l’eco delle azioni partigiane nei dintorni. Ebbi poi notizie sull’arrivo delle truppe alleate, delle feste, dell’allegria che regnava ovunque. Ma non appena guarito cercai di rifarmi, accettando immediatamente di aggregarmi al gruppo partigiano armato della Brigata Osoppo, destinato a presidiare la zona di Cormons-Gorizia e quel confine orientale che al momento era seriamente minacciato dalle pretese degli jugoslavi, desiderosi e intenzionati seriamente a trasferire il confine al Tagliamento.

fig.19. Si festeggia la fine della guerra (29 aprile 1945). Fu questo un periodo comunque piacevole, allietato dal clima spensierato di fine guerra, vissuto intensamente tra giovani fiduciosi nel futuro; una parentesi particolarmente apprezzata dopo mesi ed anni di drammatiche tensioni.

3.8. LEZIONE DI MATEMATICA L’impegno scolastico continua, sono al Liceo Scientifico “Marinelli” di Udine nel 1947 e siamo in attesa di una lezione di Matematica, impartita da un “supplente”, un singolare individuo di provenienza meridionale, che certamente non eccelleva nel consesso degli insegnanti del Liceo per serietà e preparazione culturale. Entra il Professore e dice con aria accusatoria: “Buongiorno! Qui dentro hanno fumato almeno dieci persone. Mica che me frega a me, sapete, ma se capita il Preside… e che razza di professore è lei? Oggi abbiamo matematica, vero? Bene…chi desidera gonferire? Nessuno. Allora sentiamo Barnaba…non vuole essere ancora interrogato; Clocchiatti idem; China assende… Messer Colombo! Ho levato un dente ieri, professore! Povero ninino, me lo dirai tu quando sei comodo, hai due punti interrogativi, sai? Signor Fiorito, niente, non vuol venire; anche tu un punto interrogativo”. Si alza Riello: “Professore quando incomincia l’ultimo argomento del programma, perché il prof. P. della sezione parallela l’ha già terminato”. “E ghe me ne frega, tra il fare e l’imparare ci sta di mezzo il mare. Sentiamo Mussi! Finalmente uno che viene fuori”. “Professore, l’iperbole non l’ho fatta, le dispense sono uscite ieri.” “Non è vero, le mie dispense sono uscite lunedì e non ieri, siamo precisi in matematica!” “Beh dimmi, se due rette sono parallele, qual è il loro parametro angolare?” “E’ uno.” “Uhm, Mussi questo è troppo grave! Qual’è la condizione di perpendicolarità di due rette?” “Condizione necessaria e sufficiente”…mormorìo. “Silenzio, borgo gane! Siamo mica all’asilo? Gontinua. “Perché due rette parallele”… “Un gorne! Manco per sogno”. “Non lo so, professore!” “Male, malissimo! Ma la volete capire che vi mando all’esame con un quattro? Se poi

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questo diventerà sette all’esame io ne sarò immensamente gioioso. Il ragionamento che vi ho fatto non potevate farlo nelle vostre teste così ottuse? Il grafico ve lo farò vedere un’altra volta; ora non ho voglia di alzarmi e andare alla lavagna.” Suona la campana. “Gh’è finita la seconda ora, no?” “No, professore, la prima.” “Bene andiamo avanti.” “Professore, chi ci farà l’esame quest’anno?” “Sapete, il regolamento scolastico vieterebbe di fare gli esami sia all’altro Professore che a me, quindi giocate voi alla Sisal: uno, due o ics, cioè uno, due o niente; puntate sulla ics, sarà meglio. Guardate, ieri con il collega P ho fatto una discussione… lui ha sempre ragione; l’ho invitato ad esporre il suo punto di vista sugli integrali e dopo mezz’ora di spiegazione, dico la verità, non ci ho capito niente. Lasciamo andare. Spiego analitica (scrive una formula). Avverto lor signori che questa formula sarà indispensabile per la risoluzione dei problemi…e mentre sto qui a spiegare loro se ne fregano, ma rimarrete voi dei ciuccioni! …Per la soluzione tutto si divide per tre, eccetto quel disgraziato di venticinque…e pensate alle nottate che ho perso per tirar fuori le soluzioni! Si vede che abbiamo fatto un piccolo errore, ma non importa.” “ Ma, professore, non deve essere uguale all’infinito?” “Grosso modo può essere e può non essere uguale all’infinito!” 3.9. ULTIMO GIORNO DI LICEO Ancora al Liceo Scientifico “Marinelli” di Udine, dove regnava la maleducazione degli studenti ormai prossimi a cercarsi un lavoro o all’ iscrizione all’Università. Era un buon professore, forse troppo indulgente per una quinta liceo, classe di giovani di diciannove-vent’anni, spensierati, desiderosi di vita e di libertà. Insegnava italiano e latino, ma anche di queste materie non ne sapeva tanto. Gli piaceva parlare, spiegare la letteratura italiana, ma le sue lezioni non ci piacevano, tanto più che mancava lo spauracchio dell’interrogazione;

infatti non ci interrogava se non prima di averci ripetutamente preavvisati in tempo. Noi gli volevamo bene, ma ugualmente lo facevamo irritare con la nostra sfacciata maleducazione. Mentre parlava mangiavamo qualche stuzzichino, talora giocavamo a carte, ci si tirava semi di frutta, secondo stagione, si chiaccherava; in maggio si facevano volare in classe i maggiolini e via dicendo. Veramente per nulla educati nei riguardi di un professore. Di solito, quando arrivava in classe, alcuni di noi uscivano in corridoio a fumare. Dopo cinque minuti, quando il Prof si accorgeva che in classe erano rimasti pochi, batteva qualche pugno sulla cattedra, provocando il rientro in aula dei più timorosi, mentre gli altri si riservavano di rientrare più tardi, a lezione avanzata. Ma oggi era un giorno particolare, eravamo giunti finalmente all’ultimo giorno di permanenza sui banchi del poco amato liceo e non volevamo di certo passarlo nella più dolce tranquillità; il mio compagno di banco aveva portato una bottiglia di vino bianco speciale, mentre le ragazze avevano preparato due torte che dovevano alleviarci le ultime ore di latino. Tutti erano rientrati in classe, poiché nessuno voleva rinunciare allo spuntino in programma. Senza dire nulla al Prof, ebbe inizio l’operazione di taglio delle torte, fatta da uno della fila di mezzo; fatte le parti e distribuite ci si trovò tutti con la bocca piena e il Prof se ne accorse, ma preferì tacere. Più tardi si passò al vino e infine buona parte di noi si eclissò verso il corridoio a prendere un po’ d’aria. Al suono della campanella si ricompose il gruppo in classe e terminò così l’ultimo giorno di scuola liceale, che per alcuni fu definitivamente anche l’ultimo di scuola. 3.10. VITTORIA SPORTIVA Una sfida in bicicletta da Udine a Grado per gli studenti friulani; il programma prevedeva di raggiungere la laguna di Grado dopo una cinquantina di chilometri di strada pianeggiante. La giornata era bella, idonea per un quasi ferragosto del 1948, e noi concorrenti eravamo numerosi, oltre trenta,

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come avevano sperato gli organizzatori. I partecipanti più anziani si sentivano sicuri del successo, ma molti dei giovani non nascondevano i loro buoni propositi di riuscita; alcuni, come me, erano alla prima esperienza agonistica e si erano presentati al via della corsa senza particolari velleità di prevalere. A me il cuore batteva normalmente anche al momento della partenza, contrariamente ad altri, ansiosi di liberare le proprie forze. Immediatamente dopo il via, alcuni attaccarono infatti a pieni pedali, mentre io, che avevo letto qualche cronaca sportiva e avevo anche assistito a qualche corsa ciclistica, mi limitai a osservare la situazione, mettendomi in scia a quegli

fig.20. Bici e borraccia d’acqua. scalmanati, ingenuamente convinti di reggere quel ritmo fino al traguardo. Ma così non fu, perché dopo pochi chilometri altri più freschi passarono a condurre e poi altri ancora andarono in testa per mettersi in evidenza, in particolare nell’attraversamento dei luoghi abitati, dove qualcuno applaudiva il nostro passaggio. Dopo una decina di chilometri i cinque o sei che al momento si trovavano nelle prime posizioni furono vittime di una caduta e coinvolsero anche alcuni inseguitori. L’incidente provocò un assottigliamento del gruppo, ma la corsa proseguì veloce e nel gruppo di testa c’ero anch’io. A Palmanova, con uno scatto indovinato, riuscii a passare per primo sul traguardo volante e da ciò nacque in me la convinzione che non ero proprio l’ultimo arrivato e che avrei potuto tentare di farmi valere anche sul traguardo

finale, dove ci stavano attendendo gli amici tifosi. Ignorai il traguardo di Cervignano, preferendo conservare le energie per il seguito; si continuava a pedalare con decisione, provocando il ritiro di qualche altro per sete o per stanchezza; noi superstiti proseguivamo gagliardi e la magnifica Aquileia veniva superata con in testa un gruppetto di circa dieci unità; dopo qualche chilometro si arrivò finalmente in vista del mare, o meglio della laguna, immettendoci sul ponte-viadotto che in sei o sette chilometri ci avrebbe portati a Grado. La panoramica sulla laguna era stupenda ed io ne rimasi incantato, tanto che persi il contatto con i primi; ma me ne accorsi in tempo e con un certo sforzo rientrai sui primi. Mi sentivo bene ed ero su di morale e quindi fiducioso sugli sviluppi finali della corsa, nonostante gli sguardi e le smorfie di sfida che mi stava lanciando qualche amico-avversario. Improvvisamente uno di questi scattò baldanzoso all’attacco quando mancavano poche centinaia di metri all’arrivo; non era il caso di lasciarlo scappare e gli fui immediatamente alle costole, mentre gli altri, non riuscendo a seguirci, stavano perdendo terreno; si veniva così a delineare una lotta finale tra noi due, da decidere a colpi di pedale. Fu una volata combattuta fino agli ultimi metri, che si concluse nettamente in mio favore, tra le urla e gli applausi dei tifosi convenuti sul traguardo. Insperatamente avevo vinto una bella battaglia! ed appena superato il traguardo sentii il cuore palpitare in maniera più vivace. E’ stata una grande soddisfazione ed una bellissima sorpresa per me che, in partenza, mai avrei pensato di essere in grado di vincere. La sera, ci fu la cena e poi la premiazione, con applausi, medaglie e premi offerti dallo sponsor della manifestazione, una rinomata Casa vinicola friulana; dopo la premiazione fummo ospiti all’elezione della Miss Friuli-Venezia Giulia, la triestina Fulvia Franco, che la settimana successiva avrebbe conquistato anche l’ambito titolo di Miss Italia. Per me fu una giornata indimenticabile, di quelle che danno nuova linfa; ero felice e contento per aver raggiunto un successo, soprattutto perché imprevisto e insperato.

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In seguito a questa vittoria, decisi di partecipare, qualche settimana dopo, alla corsa per il titolo di Campione friulano degli studenti e vinsi brillantemente anche quella, con un minuto di distacco, dopo una fuga iniziata sulla salita del Passo di Monte Croce. Durante la corsa ebbi al seguito, per ogni evenienza e assistenza tecnica, un motociclista qualificato come l’amico Adelchi, che gioì con me per la vittoria, assieme alla truppa di amici sostenitori. Fui poi selezionato per partecipare al Campionato nazionale, ma gli impegni di studio all’Università mi consigliarono di rinunciare e…qui si concluse la mia breve “carriera” ciclistica, mentre la passione per la bici è ancora oggi imperante. 3.11. TRA UNIVERSITÀ E INDUSTRIA Un lungo periodo, dagli anni 1950 a quasi oggi, imperniato sull’attività professionale. Dalla laurea all’assunzione all’Agip-Eni; il magnifico rapporto con i colleghi, prima in Italia, poi in vari Paesi esteri, tante soddisfazioni di vita, di socialità, di amicizie, con qualche successo non solo personale, ma anche aziendale: la scoperta del petrolio! Poi il rientro nel mondo universitario, distensivo, ma talora greve, qualche gelosia e qualche buona amicizia, comunque di estremo interesse e di tanta soddisfazione, soprattutto grazie alla componente studentesca. Tutto cominciò quando dall’Università di Padova ricevetti la “patente” di geologo (1954) e il gran Capo del momento mi propose di prendere immediato servizio all’Università di Ferrara con un prestigioso incarico: di insegnare la mineralogia ai futuri ingegneri. Accettai con entusiasmo l’offerta, anche se nel frattempo avevo già preso un altro impegno, quello di condurre una piccola miniera di carbone in Carnia, assieme ad alcuni esperti minatori.

fig.21. Gruppo di futuri geologi in missione alla miniera di Cave del Predil (1953). Avviai così, tra Università e Miniera, la mia vita professionale, che per la cronaca era allietata, ma non troppo, da una entrata di ben 100 mila lire mensili, senza ombra di tredicesima e tanto meno di altre impensabili voci aggiuntive. Questa situazione durò poco più di un anno perché l’Agip, in espansione sotto la spinta di Mattei, bussò alla mia porta e mi mise di fronte ad un bivio che non ammetteva titubanze; proseguire nell’attività universitaria, di cui avevo già individuato i risvolti positivi, ma anche quelli meno entusiasmanti, oppure entrare in un mondo nuovo, quello industriale, con tutte le incertezze, il fascino dell’avventura, la rinuncia alla vita tranquilla per un futuro di impegno e di interrogativi.

fig.22. Con i minatori di Corodonis in Carnia (1954-55).

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Allettato soprattutto dal desiderio di vedere cose nuove, di girare il mondo e maturare esperienze, decisi, non senza qualche apprensione ed incertezza, tenendo anche conto del futuro familiare, di seguire il cammino offertomi dall’Agip (1955). A tale decisione seguirono momenti di tensione e di malinconia: l’addio all’Università, ai colleghi e, non ultimi, agli affezionati minatori. Ma dopo qualche mese la cicatrice era rimarginata, i minatori avevano deciso di darsi all’edilizia ed io mi ero ormai avviato nella carriera del geologo del petrolio. Dapprima un po’ di gavetta su un impianto di perforazione, poi al seguito di un gruppo geofisico e quindi a coordinare l’attività di rilevamento di alcune squadre geologiche impegnate in Italia centrale e meridionale. In breve tempo la crescente sete di petrolio del nostro Paese e le modeste prospettive del sottosuolo nazionale, spinsero l’Agip verso nuovi orizzonti e così mi trovai immerso in un nuovo mondo: il deserto sahariano, un mondo incredibilmente vivo, un mondo entusiasmante anche per la quantità e varietà di problemi che è sempre in grado di procurare all’uomo civile, un mondo che aiuta a sviluppare e consolidare i legami umani in chi vi soggiorna per un certo tempo. La mia esperienza sahariana ebbe un felicissimo coronamento: la scoperta del giacimento petrolifero di El Borma, un gigante di oltre cento milioni di tonnellate di riserve. A questa esperienza estera ne seguirono altre, più o meno prolungate, più o meno disagiate, sempre con la famigliola al seguito, tutte comunque meritevoli di essere vissute, in quanto ricche di novità e di interessi, sia dal punto di vista umano che professionale. Passati vari anni, fu così che un giorno, con qualche fregio in più sul berretto da geologo, rientrai in Italia (1972); il boom economico era divenuto ormai un ricordo e la crisi energetica si stava minacciosamente profilando all’orizzonte. Si cominciava a parlare insistentemente di ecologia, di difesa del territorio, di caccia al nucleare, talora anche con qualche ombra di irrazionalità; le accuse più pesanti erano

fig.23. Montaggio della piattaforma petrolifera di Luna, nell’offshore calabrese (1974). rivolte alla civiltà industriale, colpevole di inquinamenti e distruzioni. Chi meglio di un geologo “navigato” come me avrebbe potuto sostenere l’urto di questo impulso ecologico? Cercai di sintonizzarmi sul nuovo incarico con la dovuta rapidità ed ebbi il piacere di trovarvi rinnovati interessi professionali, quali la geologia ambientale, la sismologia, l’idrogeologia; non mancavano nell’attività quotidiana i contatti umani che, anzi erano frequenti e variati; da quelli a indirizzo puramente tecnico a quelli di carattere politico. Il tono degli incontri, data la delicata e talora opinabile natura degli argomenti, si estendeva dal pacato all’acceso-vivace. Il “clou” di questa mia esperienza fu rappresentato da una singolare assemblea tenuta in una chiesa di un paese di montagna, con una vasta partecipazione di popolo, sobillato da alcuni facinorosi esponenti ecologici e con il povero Parroco a far da moderatore. Fu una indimenticabile serata tragi-comica, durante la quale fu profanato non soltanto il luogo sacro, ma anche la verità, in nome dell’ideologia e di…geologia non si potè parlare.

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fig.24. Sonda petrolifera mascherata da grattacielo a Wilmington (California, 1975). Dopo qualche anno di geologia ambientale fui chiamato ad un’altra singolare esperienza, quella delle relazioni col personale; qui ebbi modo di rendermi conto di come sia diverso il mondo visto dall’altra parte e di come sia complicato far tornare i conti tra le esigenze aziendali e gli interessi individuali. Successivamente a questa interessante parentesi ritornai alla gestione operativa; nel frattempo i contatti con la geologia e con il mondo accademico si erano mantenuti attivi, grazie anche al mio ormai ultradecennale incarico del corso di Geologia degli idrocarburi che tenevo presso il Dipartimento di Scienze della Terra di Milano. E giunse così la possibilità di pensare seriamente ad un ritorno definitivo ai vecchi amori universitari: dapprima la stabilizzazione dell’incarico, poi il concorso a professore associato, l’idoneità e finalmente, dopo qualche sonno particolarmente agitato, la grande decisione di accedere al ruolo universitario (1985). Determinante nella mia decisione fu l’atteggiamento dell’Agip, che confermò il proprio indirizzo favorevole ad una intensificazione dell’interscambio tra Università e Industria.

Entrai così a pieno titolo nell’ambito universitario e collaborai pienamente per altri

fig.25. Con gli studenti-geologi dell’Università Studi di Milano in visita al giacimento di Trecate (1993). ventotto anni alla realizzazione dell’auspicato avvicinamento delle due realtà, mediante attivi scambi di conoscenze e di esperienze, ritenendo che soltanto con interventi orientati in tale direzione sarebbe stato possibile aprire i migliori orizzonti ai giovani, sia nella fase della loro formazione che dopo la laurea. La mia collaborazione con l’Agip proseguì per

fig.26. Collaborazione tra Agip e Università per la laurea di nuovi geologi (1972-2008).

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molti anni, soprattutto nella preparazione degli allievi alla tesi di laurea con indirizzo specialistico e nell’avvio di nuove forze geologiche all’impiego nell’industria. In alcune occasioni si è manifestato in me il desiderio di evadere saltuariamente dalla routine dell’attività professionale, ricorrendo a nuovi argomenti di ricerca e di studio. L’interesse per la natura, l’ambiente, il territorio hanno talvolta sollecitato il mio desiderio di evasione dai normali impegni connessi con l’Industria petrolifera e con l’Università e, approfittando dei tempi morti, dei sabati e delle domeniche, mi sono dedicato a qualche attività complementare, svolta in alcuni casi assieme a due cari amici, un tecnico della chimica ed un ingegnere, impiegati presso l’Amministrazione pubblica milanese; abbiamo avuto così modo di affrontare assieme diversi problemi di natura collaterale alla geologia applicata: l’ecologia, il riassetto ambientale, l’idrogeologia, realizzando alcuni studi in Brianza e nell’Appennino ligure, quali ad esempio la riqualificazione di uno stabilimento industriale, la sistemazione di un territorio soggetto a inquinamento atmosferico e idrico e via dicendo. Altre esperienze similari ricordo di aver svolto in un passato remoto, quand’ero ancora alle prime armi con la geologia: si trattò dello studio geologico tecnico di alcuni siti europei (Belgio, Francia, Svizzera e Italia), del quale fui incaricato dal Prof. Desio, tra i quali siti doveva essere poi scelto il luogo dove costruire nientemeno che l’immenso acceleratore di particelle del Cern; la decisione cadde sul sito svizzero, non lontano da Ginevra; un altro studio geotecnico riguardò invece due percorsi alternativi nella fase progettuale della costruenda Autostrada del Sole nell’area umbro-sabina. In ambedue le occasioni ebbi la soddisfazione di vedere scelte le soluzioni da me suggerite, ma ho ancora il dubbio: fu soltanto fortuna o, almeno in parte, mie nascoste doti geo-divinatorie?

3.12. AGADIR, UNA DRAMMATICA ESPERIENZA Stavamo vivendo con l’Agip un entusiasmante periodo di attività operativa in un accogliente Paese straniero come il Marocco, di cui avevamo in corso la valutazione delle locali possibilità petrolifere quando, improvvisamente, fummo investiti da una immane tragedia: Il terremoto di Agadir del 29 febbraio 1960, che causò oltre diecimila vittime. Uno spaventoso terremoto, vissuto da noi “agipini” in maniera particolarmente sentita, a causa delle tragiche conseguenze che toccarono da vicino alcuni nostri colleghi e amici: ben undici furono purtroppo le vittime tra i nostri tecnici e i loro familiari, impegnati come noi in Marocco nell’attività di ricerca petrolifera. Una immane tragedia che per giorni e giorni cercammo di cancellare dalla mente, sperando si trattasse soltanto di un orrendo sogno. Alcuni di noi furono colpiti in particolare dalla tragedia dell’amico geologo Ermanno Tracanella, che vide distrutta la sua famiglia, composta dalla moglie e da due giovanissimi figli, vittime del crollo dell’immobile in cui abitavano. L’impegno più doloroso per me fu quello di informarlo di quanto era accaduto, quando giunse in elicottero dal Sud, dove era al lavoro, Riporto qui di seguito uno stralcio del servizio giornalistico di Marco Cesarini Sforza comparso su “Il Giorno” del 8.3.60, col titolo: “Un documento eccezionale: il diario della spaventosa catastrofe di Agadir, tenuto da un geologo italiano”. Ed ecco quanto io confidai al giornalista. Alle ore 23 sono a casa mia con alcuni amici: il professor Martinis, l’ingegner Colledan e il dottor Crippa; al termine della cena ascoltiamo alcuni dischi di canti popolari friulani, accompagnandoli con la voce. Siamo serenamente allegri quando, alle 23.10 mi telefonano alcuni amici dal “Casinò”, un

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ristorante sulla spiaggia, che domani sarà demolito per esigenze del nuovo piano regolatore di Agadir; ci invitano a raggiungerli. Dopo dieci minuti arriviamo al ristorante e troviamo tra gli altri Fazio, della terza squadra geologica, rientrato in città dopo quaranta giorni di deserto; c’erano anche gli amici Madeddu, De Grandis e Girometta, nonché un gruppo di dipendenti delle squadre sismica e gravimetrica, che avevano trascinato con loro alcuni turisti inglesi conosciuti in albergo. Il Ristoratore Rattazzi dice che questa sera faremo fuori tutte le bottiglie rimaste; tanto domani mattina passa il bulldozer e spazza via tutto! Alle ore 23.39 la tremenda scossa. E’ un sussulto improvviso, si spengono di colpo tutte le luci. Ecco le ultime visioni: mia moglie Silvana sta tendendo la mano all’amico Bonazzi, che io le sto presentando, mentre il professor Martinis sta parlando con Rattazzi di alcune grotte trogloditiche della zona. Istintivamente mi metto le mani sulla testa, chiamo mia moglie e vedo che Crippa è stato più svelto di me e già la protegge. Trema tutto e si sente un boato che viene dal mare. Sto tremando senza potermi controllare. Ore 23.45: siamo all’aperto e c’è un enorme silenzio; due fuochi arancione brillano sulle colline. Incendi? Che cosa è successo esattamente? Il ristorante, una costruzione di legno e lamiera, non è crollato, ma questo silenzio è pauroso, copre Agadir come una coltre funebre. Pensiamo alla paura che si saranno presa le mogli che hanno i mariti in deserto, sole a casa con i bambini. Bisogna andare a rassicurarle e ci incamminiamo verso la macchina. Continuano i boati dal mare. Saliamo in macchina e, superata la breve salita che porta verso la città, cerco di pulire con la mano il parabrezza che pare appannato, ma Martinis dice che si tratta di nebbia, oppure è fumo o forse polvere. Non capisco più cosa sta accadendo. Ore 23.55: Alla svolta della strada mi sono dovuto fermare a causa di un cumulo di macerie; l’aria è densa di polvere. Alzo gli occhi e, nel buio fitto, riesco a intravedere la sagoma di un palazzo di sei o sette piani che sorgeva qui e che ora è orrendamente squarciato. Ho attimi di panico e non capisco

se sono io o se è la terra che continua a tremare. Circola qualche automobile, come fantasmi tra le rovine. Il buio è rotto dalle sventagliate dei fari. Anche noi giriamo a tentoni. Ore 24: Arriviamo alla casa dove abitava la famiglia Tracanella: non esiste più! E’ ridotta a un cumulo di macerie, alte poco più di un metro. Chiamiamo ripetutamente Piero e Luigi, i due bambini. Nessuno risponde. Poi si sentono da poco lontano grida, lamenti, voci sconosciute che perforano la coltre di silenzio caduta su Agadir. E’ il momento più terribile. Disastro e morte dappertutto. Ore 3.00: ho lavorato due ore per mettere in piedi il primo accampamento e radunare le donne e i bambini dell’Agip e dei nostri contrattisti presenti ad Agadir; è quasi pronto e riusciamo a preparare anche un caffè caldo. Qualcuno che mi dice che Cordani è vivo, ma è ancora sepolto sotto le macerie e stanno lavorando per tirarlo fuori. E’ uno dei fortunati. I marocchini sono distrutti, inebetiti, nessuno lavora; forse il tutto è più complicato perché siamo nel mese del Ramadan. Nella mattinata successiva trasferiamo il nostro Campo nella periferia sud della città e mi trovo improvvisamente con un pezzo di pane in bocca e mi accorgo che è il primo boccone dopo le undici di ieri sera. Alle 13,20 un brivido: arriva l’elicottero del Com.te Di Falco, partito dal campo nel deserto con a bordo il nostro collega e amico Tracanella…Ciao, caro Ermanno.

fig.27. Tombe provvisorie per le vittime di Agadir (marzo 1960).

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3.13. UN ELICOTTERO FORTUNATO Più che l’elicottero, siamo stati fortunati noi, il pilota ed io, rimasti indenni dopo una improvvisa caduta dell’aeromezzo nel deserto sud tunisino. Un episodio che mi ritorna in testa ogni tanto, con effetti non spiacevoli, anzi distensivi, è quello dell’incidente con l’elicottero del 4 ottobre 1962, avvenuto durante il rilevamento geologico per la ricerca petrolifera ai margini del Sahara tunisino. A parte il rischio corso, ricordo perfettamente il sospiro di sollievo e di compiacimento che ho tratto con convinzione quando l’elicottero, dopo aver ripetutamente rimbalzato al suolo, si è finalmente arrestato, permettendo al pilota e a me di mettere piede a terra, incolumi. Per fortuna eravamo scampati al rischio di incendio o esplosione, in seguito a quel violento impatto con il terreno. Si era guastata anche la radio, per cui non eravamo quindi in grado di comunicare col nostro Campo o con la Sede di Tunisi; mi decisi allora, con la preziosa guida della carta topografica, ad incamminarmi nel deserto, alla ricerca di un aiuto e dopo un’ora giunsi su una pista interrata; ebbi la fortuna, poco dopo, di incontrare un automezzo in transito con due militari tunisini che mi aiutarono a ristabilire il contatto con il Campo e da lì partirono i soccorsi e si organizzò il recupero del mezzo aereo incidentato. Fu comunque un’esperienza singolarmente eccitante, conclusa con seri danni all’elicottero, rimediabili almeno in parte con il contributo dell’ assicurazione, e soltanto qualche acciacco per noi, fortunati ospiti dello stesso. Questa mia modesta disavventura nel deserto tunisino mi ricorda un’altra impresa, decisamente più eroica compiuta da mio cugino Pier Arrigo Barnaba che in una tetra notte dell’ottobre 1918, nella fase finale della prima Guerra mondiale, si fece “paracadutare” nella zona di Buja, da lui ben conosciuta, essendovi nato e cresciuto, zona che allora era militarmente occupata dal

nemico austriaco. Scopo dell’azione era di assumere notizie sui movimenti delle truppe nemiche e comunicarle, tramite piccioni viaggiatori, al proprio Comando militare italiano, disposto sulla linea di difesa del Piave, in attesa della controffensiva che pochi giorni dopo avrebbe portato alla conquista di Trento e Trieste e la fine della guerra. Pier Arrigo si meritò per questa impresa la Medaglia d’oro al valor militare e successivamente onorò ancora la nostra famiglia come Deputato del Regno e come Podestà di Udine, rischiando nel 1944 anche la deportazione in Germania, accusato di aver protetto il movimento partigiano, allora particolarmente attivo nella regione friulana. 3.14. DA IERI A OGGI Non si può certo chiudere questa serie di riferimenti al passato senza un ritorno a tempi e luoghi che hanno segnato alcuni dei paletti più importanti della propria esistenza e senza un riferimento agli avvenimenti di questi ultimi tempi. Il Primo Palazzo uffici, la Pagoda, il Quinto, i Denti, il Trasformatore… sono, qui a San Donato, alcuni dei luoghi di lavoro da noi frequentati nel tempo, strettamente vincolati a tanti ricordi della vita lavorativa, di chi stava vicino, di chi stava al di sopra o di lato, degli impegni quotidiani che l’Agip o l’Eni puntualmente ci chiedevano. La nostra era comunque una grande famiglia, alla quale eravamo e lo siamo tuttora sentitamente legati, non solo per lo stipendio (che, tra l’altro, non è mai stato “esagerato”), ma anche dal punto di vista affettivo. L’ambiente di lavoro favorisce infatti l’approfondimento delle conoscenze personali, che talora divengono amicizie, coltivate attraverso i contatti di tutti i giorni e maturate in sedi italiane o meglio ancora in paesi esteri, dove si aggiungono ulteriori motivi per rinsaldare maggiormente i rapporti personali. Lavorando e vivendo all’estero diviene ancora più sentita la vicinanza con la Casa madre, di cui si ha

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la piacevole sensazione di essere assistiti, aiutati, in certi momenti addirittura coccolati; ci si rende conto inoltre di rappresentare una parte della propria Azienda nel Paese che ci ospita e di essere portatori di messaggi positivi, in alcuni casi ispirati ai principi di Mattei, uno dei quali diceva che il beneficio maturato dalla ricerca va equamente ripartito tra l’impresa e la collettività locale. Tutti noi, pionieri e veterani, possiamo testimoniare dell’elevato rispetto e considerazione che la nostra Azienda ha sempre suscitato nei luoghi dove abbiamo prestato la nostra opera. In maniera un po’ ingenua siamo fieri di quanto è stato fatto in passato nel nome dell’Agip e dell’Eni. I successi ottenuti, i giacimenti di idrocarburi scoperti e ogni altra opera compiuta sono il risultato dell’impegno e della valida opera di ciascuno di noi, come lo sono ora delle forze attualmente attive, delegate all’acquisizione di nuovi orizzonti, indispensabili per il buon vivere di tutti. E’ con questi sentimenti che ci siamo avviati a completare il nostro cammino aziendale e a intraprendere una nuova vita, con quel certo rammarico di chi si trova improvvisamente al capolinea ed è costretto a rinunciare alle buone abitudini, più o meno radicate, per seguire un nuovo percorso, non privo di incertezze e di nostalgie. Rimanendo nel campo aziendale, in questi ultimi tempi siamo stati colpiti qui a San Donato da alcune notizie che contrastano con l’abituale atmosfera costruttiva del luogo, togliendoci un po’ di serenità: dapprima l’improvvisa scomparsa della nostra amata Agip! l’Agip non esiste più e si parla ormai soltanto di Eni, il colosso che ha inglobato tutto quanto è stato precedentemente costruito dalle sorelline minori, forse destinate ad essere dimenticate. A questa notizia ne è seguita un’altra, altrettanto preoccupante: l’avvenuta cessione delle proprietà Eni di San Donato ad una Società straniera, il che ha fatto temere anche un alleggerimento della presenza in loco del nostro Gruppo petrolifero. Questo timore è stato poi fortunatamente cancellato dalla recente decisione di Eni di dare attuazione al progetto “De Gasperi est”; una decisione importante

fig.28. Un ricordo dell’Agip. anche per le prospettive di occupazione dei giovani sandonatesi. La presenza Eni a San Donato è un naturale seguito ai progetti iniziali di Mattei e costituisce, oltre che una certezza di sviluppo e prevedibilmente anche di miglioramento dei servizi per la Città di San Donato Milanese, un auspicio per ulteriori successi nazionali nel campo degli idrocarburi e dell’energia in generale. 3.15. BENESSERE, ENERGIA E AMBIENTE L’Umanità ha raggiunto, grazie al progresso, alle invenzioni e alle scoperte, un certo livello di benessere generale ed è impegnata a mantenerlo e possibilmente a migliorarlo nel futuro, rispettando le norme naturali che non prevedono arretramenti. E’ da osservare però che il crescente benessere richiede maggiori consumi di energia e questi ultimi comportano il peggioramento delle condizioni ambientali, soprattutto a causa dell’inquinamento da combustione. Siamo quindi di fronte a due problemi, il consumo energetico e la protezione ambientale, che si aggraveranno nei tempi a venire. I consumi di energia aumenteranno non soltanto a causa del crescente benessere, ma anche dell’incremento demografico in atto, che incide con un aumento della popolazione mondiale di circa 200 mila persone al giorno!

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Non dimentichiamo inoltre la domanda sempre più pressante di energia dei paesi in ascesa, quali Cina, India, Brasile; si dice inoltre che il cambiamento climatico in corso, con l’aumento del livello dei mari, non attenuerà la sete di energia, per cui il futuro energetico sarà particolarmente impegnativo. Sappiamo che in questi ultimi tempi i consumi di energia sono stati soddisfatti in netta prevalenza dai combustibili fossili (carbone per circa il 23% dei consumi mondiali, petrolio per il 35% e gas per il 21%), mentre l’apporto delle fonti rinnovabili (biomasse, eolica, solare, geotermia e idroelettrica), nonostante i proclami di Kyoto e di Durban, è limitato al 12-14%; siamo quindi ben lontani da poterle definire fonti “alternative”. Anche l’altra energia di primaria importanza, il nucleare, è in ritardo rispetto alle previsioni; oggi fornisce meno del 7% dei fabbisogni mondiali e, per giunta sta denunciando una perdita di fiducia sul piano della sicurezza, in seguito al disastro giapponese del 2011, per cui il suo apporto potrebbe addirittura diminuire nel prossimo futuro. Considerato che il panorama energetico continuerà ad essere dominato dai combustibili fossili, che sono i meno rispettosi dell’ambiente, il tema della protezione ambientale assume quindi dimensioni particolarmente preoccupanti in proiezione futura. Un altro argomento degno di analisi riguarda la potenzialità delle riserve energetiche disponibili, alle quali è strettamente legato il benessere dei futuri Umani. Sotto questo aspetto, il carbone è il combustibile che offre le migliori garanzie di sopravvivenza nel futuro, essendo accreditato di riserve per almeno 600 anni dei consumi odierni. Purtroppo esso è accompagnato dal suo notevole carico inquinante, ma la Cina rimane comunque il paese più fedele a questo tipo di energia. Gli idrocarburi rappresentano la fonte energetica per eccellenza, soprattutto per la praticità del trasporto e del loro uso; sono però soggetti ad un mercato nervoso e instabile e ad una difficile valutazione delle riserve, fortemente influenzate dalle

fluttuazioni degli investimenti e dai rapporti internazionali.

Essi sono infatti preda delle fiscalità più accese e di tanti interessi soprattutto di natura economica e politica. Alcune stime correnti sulle riserve di petrolio, indicano una disponibilità accertata pari a circa 50 anni dell’attuale consumo mondiale, mentre per il gas le previsioni sono più incoraggianti, essendo superiori al secolo. Una previsione ottimistica sul futuro degli idrocarburi è suggerita dai risultati acquisiti in questi ultimi anni dallo sfruttamento in varie aree del mondo delle “shale gas” che, secondo alcune voci, potrebbe sconvolgere il mercato energetico del prossimo futuro; si tratta dell’estrazione di gas da terreni argillo-scistosi sottoposti a fratturazione idraulica; è un’operazione che richiede l’impiego di notevoli quantitativi di acqua e ciò sta preoccupando gli ambientalisti. Le shale gas, si dice da parte degli ottimisti, rilanceranno l’esplorazione nel mondo, con tanti nuovi ingegneri e geologi da formare ed assumere da parte delle Compagnie petrolifere. Altre tecniche di produzione di idrocarburi in corso di sviluppo riguardano gli “idrati di gas” e i depositi bituminosi. Il futuro del gas e del petrolio è pertanto aperto al successo di queste tecniche, che vengono definite “non convenzionali”. L’Eni è già in prima fila con i suoi programmi operativi. Lo sviluppo del nucleare è condizionato invece dalle incertezze sulla sicurezza degli impianti e sul trattamento delle scorie; è comunque una fonte energetica di primaria importanza e quindi meritevole di ulteriore apprezzamento, considerate anche le enormi

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riserve di minerali di uranio esistenti al mondo. Le fonti rinnovabili costituiscono infine la speranza energetica del futuro, in quanto possiedono un notevole margine di ulteriore applicazione e rappresentano il simbolo dell’energia “pulita”; gli attuali limiti sono dovuti in buona parte agli elevati costi di impianto e pertanto il loro sviluppo potrebbe essere agevolato da adeguati incentivi economici per una loro scelta su vasta scala. La panoramica sulle previsioni energetiche e su quelle ambientali desta comunque e indubbiamente qualche perplessità, in quanto i consumi sono in costante aumento e le disponibilità future di energia denunciano qualche limite. Per prevenire e tentare di risolvere i problemi futuri, l’Umanità dovrà affrontare seriamente, come accennato, anche il tema del proprio sviluppo demografico, che sta aggravando i riflessi negativi sull’ambiente, oltre a quello, non meno importante, del risparmio energetico. La diminuzione degli sprechi e il rispetto dell’ambiente naturale costituiscono i due pilastri guida del mondo di domani. E’ da sperare e ce lo auguriamo che a questi intenti, forse illusori, l’ingegno umano possa aggiungere qualche soluzione decisamente innovativa, al momento inimmaginabile, che consenta all’Umanità di superare le future difficoltà di natura energetica e ambientale e di garantirsi il mantenimento di un equilibrato benessere.

4. BIBLIOGRAFIA A.C.Bouquet: Breve storia delle Religioni – A.Mondadori Ed., 1972 F.Surdich: Le grandi scoperte geografiche e la nascita del colonialismo – Nuova Italia, 1975 H. Kueng Cristianesimo e religioni universali - Saggi A.Mondadori, 1984 F.Jennings: L’invasione dell’America – G.Einaudi Ed.,1991 J.Gribbin: Guida alla scienza – Longanesi e C., 2001 G.J.Bellinger: Enciclopedia delle Religioni – Garzanti, 2004 A.Cerinotti: Ebrei, storia millenaria del popolo eletto – Giunti I.G., 2005 E.Newth: Breve storia della scienza – Salani ed., 2006 M.Hack, P.Battaglia, W.Ferreri: Origine e fine dell’Universo – Utet, 2006 G.F.Bignami: L’esplorazione dello spazio – Il Mulino, 2006 R.Wright: Breve storia del progresso – O.Mondadori, 2006. IEA- International Energy Agency: World Energy Outlook, 2011

Il saluto della nostra Pattuglia Acrobatica Nazionale

San Donato Milanese, marzo 2012