PROGRAMMA SCIENTIFICO 9 OTTOBRE 2010 - sivae.it · Problematiche specifiche nel recupero del...
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ATTI 2° INCONTRO ANNUALE SIVAE 2010
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PROGRAMMA SCIENTIFICO 9 OTTOBRE 2010
8.30 Registrazione dei partecipanti e verifica presenze 9.25 Saluto ai partecipanti del Presidente, presentazione del/i relatore/i
09.30-10.05 Otite media e interna nel coniglio
Massimo D’Acierno
10.15-10.40 Esoftalmo nel coniglio
Giuseppe Visigalli
10.40
Pausa
11.15-11.50 Immunologia nei rettili
Marco di Giuseppe
11.50-12.25 Un caso di ileo in una iguana rinoceronte
Simone Agostini
12.25
Pausa Pranzo
14.00-14.35 Gestione dei lori e lorichetti
Fabio Pelicella
14.35-15.10 Gestione in cattività dei gechi
Tommaso Giorgi
15.10-15.45
Il paziente che collabora: addestramento degli animali esotici alle principali manualità cliniche
Sara Mainardi
15.45
Pausa
16.15-16.50
Risoluzione chirurgica in un caso di distocia in un falco di harris
Tommaso Collarile
16.50- 17.25 Problematiche specifiche nel recupero del rondone
Renato Ceccherelli
17.25-18.00 I Galliformi come pet
Tamara Vela Gil
18.00 Discussione e termine della giornata
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SIVAE (Società Italiana Veterinari per Animali Esotici) Palazzo Trecchi, Cremona 9‐10 Ottobre 2010
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PROGRAMMA SCIENTIFICO
DOMENICA 10 OTTOBRE 2010
09.00-09.35
Diagnosi e trattamento di una insolita forma neurologica in un furetto
Valeria Del Duca
09.35-10.10
Nuove metodologie diagnostiche nel campo dei volatili ornamentali
Dania Bilato
10.10-10.45 Un caso di micobatteriosi in un furetto
Carlo Paoletti
10.45
Pausa
11.15-11.50 Approccio al topo e al ratto come animale da compagnia
Cristiano Papeschi
11.50-12.25 Patologie gestionali e riproduttive del cincillà
Daniele Petrini
12.25
Test di valutazione dell’apprendimento e discussione finale
12.40
Consegna degli attestati di partecipazione e termine dell’evento
OBIETTIVI Lo sviluppo della medicina veterinaria continua ad una velocità talmente elevata che è complesso anche per gli specialisti riuscire ad essere aggiornati su ogni argomento. Il programma di questa giornata vuole offrire ai partecipanti la possibilità di ricevere informazioni estremamente recenti, sia da un punto di vista terapeutico che diagnostico
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PRIMO GIORNO
SABATO 9 OTTOBRE 2010
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OTITE MEDIA E INTERNA NEL CONIGLIO Massimo D’Acierno, DVM1 1 Clinica Veterinaria Turro, via Rovetta 8, Milano [email protected] CENNI DI ANATOMIA DELL’ORECCHIO MEDIO E INTERNO DEL CONIGLIO L’orecchio medio è situato tra l’orecchio esterno e quello interno ed è rappresentato dalla cavità timpanica, di pertinenza dell'osso petroso. Il timpano (complessivamente di forma ovalare) forma la maggior parte della faccia laterale della cavità timpanica, ed è a sua volta suddiviso nella pars tensa (ventrale, ampia, semitrasparente e di aspetto raggiato) e nella pars flaccida (dorsale, con una forte vascolarizzazione, triangolare e flaccida). Un anello fibrocartilagineo ancora il timpano alla porzione ossea del condotto uditivo esterno. La parete mediale è detta labirintica e presenta dorsalmente la finestra ovale separata dalla finestra rotonda (situata caudo‐ventralmente) dal promontorio, una prominenza ossea che corrisponde al primo giro della coclea. La volta dell’orecchio medio, posta dorsalmente, presenta il canale del nervo facciale (ricoperto dalla mucosa della bolla timpanica) e la tuba uditiva o di Eustachio (lunga in media 6‐7 mm) che mette in comunicazione la cavità timpanica con quella faringea. In senso dorso‐ventrale è possibile suddividere la cavità timpanica in tre parti, rappresentate dall'epitimpano (letteralmente sopra il timpano: è il recesso dorsale dose di trovano la testa del martello e la parte iniziale dell'incudine; dal mesotimpano (la porzione intermedia dove si trovano le finestre ovale e rotonda, la tuba di Eustachio e gli ossicini dell'udito) e dall'ipotimpano, rappresentato dalla bolla timpanica.
Nel coniglio la bolla timpanica è voluminosa, di forma sferica e con una parete laterale più spessa (come nel cane e nel gatto) per la presenza, tra il meato acustico esterno e la parete della bolla, di una rima ossea interna e di una rima ruvida esterna, assente invece nei carnivori. Nel coniglio manca la cresta ossea presente invece nel cane anche se è visibile il margine tra la parete della bolla e l'osso petroso; la cavità timpanica inoltre non è suddivisa da un setto osseo come nel gatto. L'orecchio medio del coniglio non presenta particolari differenze anatomiche rispetto ad altri mammiferi. Il martello, l'incudine e la staffa permettono la trasmissione e l'amplificazione del suono fino alla finestra ovale, dove inizia l'orecchio interno. Il martello, il cui manico è facilmente riconoscibile sulla superficie esterna del timpano, determina una trazione sulla membrana timpanica che si presenta concava sulla sua superficie laterale. Mentre nei carnivori il meato acustico esterno è tendenzialmente orizzontale, nel coniglio è orientato verticalmente, con una porzione ossea molto ampia, che origina dalla porzione laterale della bolla e si porta in senso caudodorsale con un angolo di circa 45° rendendo esplorabile, mediante otoscopia, solo la parte più craniale della bolla timpanica. La suddivisione del canale auricolare in una porzione verticale ed in una orizzontale come nel cane, è poco accentuata, essendo le due parti separate solo da una leggera curva. Nei conigli di razza ariete, le caratteristiche orecchie cadenti determinano una flessione della cartilagine della base dell'orecchio con conseguente restringimento del condotto uditivo che predispone tali soggetti ad otiti esterne, oltre che a rendere difficoltoso il passaggio di uno strumento ottico in corso di otoscopia.
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OTITE MEDIA E INTERNA: PRESENTAZIONE CLINICA E SINTOMI Nei conigli da compagnia le otiti medie e interne batteriche sono delle condizioni comuni e possono essere associate a diversi microrganismi quali: Staphylococcus aureus, Pasteurella multocida, Pseudomonas aeruginosa, Bordetella bronchiseptica, Escherichia coli e Proteus mirabilis. Per valutare la presenza di un'otite esterna primaria o secondaria e per valutare l'integrità della membrana timpanica occorre effettuare un attento esame auricolare. Un'otite media primaria può essere causata dalla diffusione per via ascendente di un'infezione dalle vie aeree superiori attraverso le tube di Eustachio; la concomitante presenza di sinusiti e/o riniti può essere suggestiva di questa via di trasmissione. E' frequente l'insorgenza acuta, nei conigli domestici, di head tilt con perdita di equilibrio, rotolamento (rolling) e, nei casi più gravi, incapacità di alimentarsi. Nei casi più lievi il coniglio può convivere bene con l'head tilt e continuare a mantenere l'equilibrio ed a mangiare. Tale sintomatologia è però comune sia a malattie del sistema nervoso centrale che periferico ed è perciò importante distinguere le due forme in modo da ottenere una corretta diagnosi. Il nistagmo può o meno essere associato sia con disordini centrali che periferici. Le patologie che colpiscono il sistema nervoso centrale possono determinare nistagmo orizzontale, verticale o rotatorio, con la fase veloce che può essere in qualsiasi direzione e può cambiare con il variare della posizione della testa. Concomitanti segni neurologici come tremori della testa, deficit propriocettivi e ipermetria sono solitamente associati con patologie centrali mentre sono solitamente assenti nelle patologie periferiche. I sintomi clinici possono gradualmente risolversi nell'arco di alcune settimane man mano che i conigli colpiti si adattano all'head
tilt. I soggetti colpiti dovrebbero essere ospitati in un ambiente sicuro durante questo periodo per evitare lesioni auto‐indotte. Nei casi gravi associati a rotolamento può essere indicata l'eutanasia. DIAGNOSI DIFFERENZIALI In presenza di head tilt, atassia, nistagmo, movimenti di maneggio e rotolamento le due più importanti diagnosi differenziali nel coniglio sono l'encefalitozoonosi e l'otite media/interna batterica; quest'ultima è meno frequentemente causa di questa sintomatologia. E' possibile porre diagnosi differenziale mediante otoscopia tradizionale (con la valutazione del condotto uditivo esterno e di eventuali rotture del timpano), radiografia delle bolle timpaniche, TC, RNM, citologia e batteriologia auricolare, sierologia (per la ricerca di anticorpi contro E. cuniculi) e visita neurologica (sindrome vestibolare periferica in caso di otite media/interna e centrale in caso di encefalitozoonosi). Cause meno frequenti di sintomatologia vestibolare possono essere: ‐ Toxoplasmosi (non comune, sono positivi circa il 5,1% dei soggetti secondo F.Künzel et al.,‐2008‐): la sierologia può essere di aiuto per porre diagnosi differenziale; ‐ Virus quali rabbia (rara) e herpes simplex 1 (pochissime segnalazioni in letteratura); ‐ Ischemie cerebrovascolari, alterazioni degenerative e trauma: l'anamnesi e la sierologia; ‐ Masse occupanti spazio nell’encefalo (neoplasie, ascessi, emorragie legate a traumi recenti) che possono essere identificate mediante RNM, TC, ematologia e localizzate mediante esame neurologico.
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DIAGNOSI La diagnosi di otite media può essere posta sulla base del riscontro di un empiema di una o entrambe le bolle timpaniche rilevabile mediante otoscopia (in caso di perforazione del timpano), mediante una radiografia diretta del cranio (solo in caso di forme croniche dove si osserva un aumento della radiopacità della bolla timpanica con ispessimento e/o lisi della parete della bolla) e con una diagnostica per immagini avanzata (TC o RNM). In anamnesi vengono riportati disoressia/anoressia dovute al forte dolore che solitamente accompagna queste forme e spesso una conseguente stasi gastrointestinale. Alla visita clinica può essere notata algia alla palpazione delle bolle timpaniche e una rotazione della testa che può essere dovuta ad una concomitante otite interna o all'algia associata a tale patologia. In caso di rottura del timpano è possibile effettuare un tampone auricolare profondo per un esame batteriologico ed antibiogramma; se è presente una concomitante patologia delle vie aeree superiori può essere utile effettuare anche un tampone nasale profondo. In caso di otite interna i conigli presentano normalmente una sintomatologia riconducibile ad una Sindrome Vestibolare periferica con testa ruotata (head tilt), a volte tremori della testa, nistagmo (non sempre presente) che può essere orizzontale o rotatorio e con la fase veloce che “fugge” dalla lesione e non cambia con il posizionamento della testa; possono essere presenti anche una paralisi del nervo facciale (con ptosi dell'orecchio, blefarospasmo, paralisi dei muscoli buccali, spasmo del muscolo platisma ‐del collo‐ omolaterali alla lesione) e una Sindrome di Horner, conseguente ad un danneggiamento dell'innervazione periferica simpatica (protrusione della 3a palpebra, lieve chiusura delle palpebre, retrazione del globo oculare, miosi monolaterale). Si possono riscontrare anche rotolamento (rolling), movimenti di
maneggio, perdita dell'equilibrio e atassia locomotoria. La diagnosi di otite interna viene posta sulla base della presenza della caratteristica sintomatologia (ovviamente dopo avere escluso le altre cause presenti nel diagnostico differenziale) e quasi sempre sul riscontro di un'associata otite media (che spesso è precedente o concomitante ad un'otite interna). TERAPIE La terapia medica in caso di otite media/interna prevede la somministrazione di un antibiotico per via sistemica per un periodo di almeno 4‐6 settimane, se possibile basandosi sui risultati di un esame batteriologico e relativo antibiogramma. Gli antibiotici efficaci contro Pasteurella comprendono trimetoprim‐sulfa, enrofloxacina, cloramfenicolo, cefalessina, penicillina e le tetracicline anche se possono essere coinvolti altri batteri. In caso di otite esterna è importante effettuare delicatamente dei lavaggi con soluzione fisiologica sterile, eventualmente con il coniglio in sedazione profonda data la forte algia presente in corso di tali patologie. E' possibile applicare all'interno del condotto delle gocce di antibiotico (ad es. enrofloxacina), tenendo sempre bene a mente i potenziali rischi di ototossicità di alcuni antibiotici in caso di rottura del timpano. In presenza di una Sindrome Vestibolare può essere utile l'impiego di farmaci antiemetici per il trattamento di una nausea che, pur mancando nei lagomorfi il sintomo del vomito, non può essere esclusa. Ad esempio si può utilizzare della metoclopramide ad un dosaggio di 0,5 mg/kg per bocca o sottocute ogni 8 ore. L'uso di farmaci antagonisti della dopamina, che agiscono sulle vie vestibolari (ad es. derivati fenotiazinici e antistaminici) potrebbe essere utile in caso di head tilt. A questo scopo è possibile impiegare la proclorperazina, usata in medicina umana
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per le malattie dell'orecchio interno (es. le labirintiti) farmaco di facile dosaggio dato che in sospensione orale. Il dosaggio suggerito, estrapolato da quello per l'uomo, è di 0,25 mg/kg per bocca, ogni 8‐12 ore. Negli Stati Uniti è riportato aneddoticamente l'uso di meclizina come benefico in casi di head tilt alla dose di 6,25‐12,5 mg/kg per coniglio ogni 8 ore. La terapia chirurgica dell'otite media prevede l'osteotomia della bolla timpanica che può essere ventrale o laterale, eventualmente associata all'ablazione totale del condotto uditivo esterno (T.E.C.A.L.B.O.: Total Ear Canal Ablation and Lateral Bulla Osteotomy). Le possibili complicanze post‐chirurgiche sono cellulite, formazione di ascessi, paralisi del nervo facciale e Sindrome di Horner. Tali complicanze possono essere ridotte mediante il posizionamento di sferule antibiotate di polimetilmetacrilato o di gel a base di doxiciclina nella bolla timpanica e la somministrazione di antibiotici sistemici per un lungo periodo. La chirurgia dovrebbe essere riservata ai casi più gravi che non rispondono al trattamento medico (cosiddette ESO: End Stage Otitis). Bibliografia
1. Flecknell P. “Manual of Rabbit Medicine and Surgery”, BSAVA, 7:57‐61, 2000.
2. Quesenberry K.E., Carpenter J.W. “Ferret, Rabbits and Rodents”, 2a ed., Saunders, 2004.
3. Harcourt‐Brown F. “Textbook of Rabbit Medicine”, Butterworth Heinemann, 2002.
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L’ESOFTALMO NEL CONIGLIO: APPROCCIO AL PROBLEMA Dr Giuseppe Visigalli, DVM1 1 Clinica Veterinaria Liana Blu, Medicina e Chirurgia degli Animali Esotici, Oftalmologia Clinica e Chirurgica v. Crispi 18 20039 Varedo‐MI ‐ Tel‐Fax: 0362 54 40 20 ‐ T. Mobile: 347 247 12 85 ‐ email: [email protected] Si tratta indubbiamente di una presentazione clinica piuttosto frequente nel coniglio, in particolare nelle razze da compagnia brachimorfe e brachicefale nelle quali, a parità di fattori predisponenti e di cause scatenanti, la particolare conformazione delle ossa orbitali ne fa aumentare l’incidenza. Per esoftalmo si intende esattamente la malposizione del globo oculare al di fuori, solitamente parzialmente, dalla rima orbitale. Questa condizione può essere monolaterale o bilaterale ed in questo ultimo caso può sottendere malattie sistemiche quali affezioni toraciche paraneoplastiche, il timoma ed altre neoplasie toraciche. In alcune occasioni un esoftalmo bilaterale temporaneo può essere legato ad atteggiamento di paura o stress o presente in alcuni maschi durante la stagione riproduttiva. In altri casi, in alcune razze nane, l’esoftalmo può essere considerato parafisiologico. Non infrequentemente si osserva poi un esoftalmo monolaterale. Il caso più tipico ed eclatante è causato da un ascesso retro bulbare monolaterale di origine odontopatica. Altri casi di esoftalmo monolaterale sono causati dalla rottura (a volte iatrogena) del dotto nasolacrimale nel corso della sua incannulazione diagnostica o terapeutica in caso di ostruzione del dotto naso‐lacrimale. In altri ancora si realizza in forma acuta dopo un trauma facciale, o in forma congenita (glaucoma mono o bilaterale) o ancora per rottura emorragica del plessirca o venoso retro bulbare, per la formazione e rottura di cisti di elminti (in particolare di cestodi) , per la formazione di neoplasie od ascessi orbitali e infine ad altre
cause di infiltrazione di liquido e/o di sangue nello spazio periorbitale. Occorre anche distinguere le forme transitorie e intermittenti da quelle permanenti o persistenti. Il primo tipo si realizza ad esempio in corso di stress o di eccitazione sessuale mentre le forme più persistenti sono quelle dovute al blocco o forte rallentamento del drenaggio venoso dal plesso venoso retro bulbare ed orbitale per causa di masse occupanti spazio a sede toracica mediastinica (es: timoma). APPROCCIO DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO L’anamnesi e la visita clinica devono essere accurate, soprattutto circa il tempo trascorso dalla prima insorgenza e la rapidità di evoluzione. L’esame clinico deve sempre includere quello odontoiatrico e quello oftalmologico e neuroftalmologico per escludere o meno il coinvolgimento del nervo trigemino e del facciale o di loro terminazioni. La cavità orale deve sempre essere esaminata accuratamente, previo lavaggio con acqua corrente, per accertare la presenza di par odontopatie e di punte dentarie lesive per i tessuti molli. La prima indagine diagnostica da prendere in considerazione è lo studio radiografico completo della testa, effettuado differenti proiezioni quali la rostro‐aborale, la latero‐laterale, la dorsoventrale e le due oblique (destra e sinistra). Accerrtamenti diagnostici per immagini ancora più approfonditi sono la TC la la RM ma forti limitazioni di tipo economico e la necessità di adottare l’ anestesia generale ne limitano ancora l’impiego in questa specie. L’endoscopia è molto utile per un’ispezione minuziosa della cavità orale mentre gli accertamenti ematologici (emocromocitometrico ed ematobiochimico in particolare oltre al CIA test per escludere l’encefalitozoonosi) sono un importante corollario diagnostico.
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CONCLUSIONI L’autore attraverso casi clinici esemplificativi illustra le problematiche mediche dell’esoftalmo nel coniglio da compagnia. Si tratta di una motivazione frequente di visita in questa specie ed è condizione spessissimo legata a cattiva gestione nutrizionale ed igienico‐sanitaria (che portano ad odontopatie mascellari) e soprattutto ad errori nutrizionali associati a predisposizione individuale e a cause infettive, neoplastiche, neurologiche e vascolari locali e splancniche intratoraciche. Ne esistono forme mono e bilaterali, primitive e secondarie, temporanee, persistenti e permanenti. Per le cause infettive la terapia deve essere mirata medica e a volte chirurgica e deve possibilmente essere supportata da un esame batteriologico e da un antibiogramma. Se occorre si effettua altresì un pareggio completo delle tavole dentarie associato o meno all’estrazione di uno o più denti molariformi mascellari , se coinvolti. Ancora accanto alle terapie eziologiche non vanno trascurate le terapie collaterali, di supporto e di sostegno, volte tutte a migliorare il benessere del paziente: stiamo parlando dell’antibioticoterapia, della terapia analgesica ed antinfiammatoria (oppioidi e/o fans) , di eventuale epatoprotettori, vitamina C e vitamine del complesso B oltre alla necessaria fluidoterapia in caso di disidratazione. Infine non dimentichiamo di proteggere la o le cornee coinvolte con adeguate lacrime artificiali (prevenzione della cheratite da esposizione) tra cui le più efficaci in questa specie sembrano essere il polietilenglicole 0,4%, l’acido ialuronico, il tsp e la loro associazione .
Bibliografia
1. Hartcour‐Brown Frances: Textbook of rabbit medicine pp 68‐69 e pp 292‐306 Butterworth Heinemann, 2002
2. Keeble J,Anna: Rabbit medicine and surgery pp 47 Manson publishing 2006
3. Meredith Anna, Flacknell Paul: Rabbit medicine and surgery pp 117‐119 BSAVA 2006
4. Visigalli Giuseppe, Cappelletti Alessandra, Nuvoli Sara: A Surgical Approach to Retrobulbar Abscessation in a Pet Rabbit; case report Exotic DVM volume 10 issue 1 2008
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IMMUNOLOGIA “PRATICA” NEI RETTILI: UN APPROCCIO CLINICO Marco Di Giuseppe, DVM1 , PhD student2 1 Ospedale Veterinario Città di Palermo, Medicina e chirurgia aviaria, degli animali esotici, selvatici e da zoo, 2 Dottorando in Ricerca Università degli Studi di Padova IL SISTEMA IMMUNITARIO Il sistema immunitario dei vertebrati è un complesso di organi e cellule che interagiscono fra loro per difendere l’organismo da qualsiasi forma di insulto chimico, traumatico o infettivo all’integrità dell’organismo stesso. In base alle modalità di riconoscimento degli antigeni il sistema immunitario viene tradizionalmente diviso in:
- immunità non adattiva che comprende mediatori chimici e cellulari responsabili di una prima linea di difesa. Consente il riconoscimento di un repertorio limitato di agenti patogeni in maniera passiva ovvero non mutando in loro risposta.
- immunità adattiva che comprende mediatori chimici e cellulari responsabili di una risposta difensiva più potente e mirata ma più tardiva.
L'immunità adattiva viene divisa a sua volta in:
- immunità adattiva umorale la cui funzione principale è quella di produrre immunoglobuline sintetizzate dai linfociti B
- immunità adattiva cellulo‐mediata basata sull'attività citotossica dei linfociti T.
Sono indispensabili entrambe le immunità adattive: la prima, infatti, costituisce un meccanismo di difesa nei confronti di
microrganismi extracellulari e delle loro tossine, dal momento che gli anticorpi possono legarsi a tali agenti ed eliminarli; la seconda, l’immunità cellulo‐mediata, è indispensabile per la difesa contro microrganismi intracellulari, come virus e batteri, che proliferano all’interno delle cellule dell’ospite e quindi risultano essere inaccessibili agli anticorpi ma accessibili ai linfociti T specifici che ne determinano la morte. Vi è una interdipendenza stretta tra l'immunità non adattiva e quella adattiva ed all'interno della prima tra la umorale e la cellulomediata. I linfociti sono le cellule responsabili della risposta immunitaria specifica e vengono divisi in:
• linfociti B che maturano nella borsa di Fabrizio negli uccelli e nel midollo osseo nei mammiferi. Nonostante queste cellule siano responsabili della produzione di immunoglobuline è stato dimostrato che i linfociti B nella trachemis scripta hanno capacità fagocitaria (Zimmerman et al., 2010).
• linfociti T che maturano nel timo e sono divisi a loro volta in: • linfociti T citotossici in grado di
distruggere cellule specifiche che presentano determinati antigeni sulla membrana
• Linfociti T helper necessari per l'attivazione dei linfociti B e per la produzione di immunoglobuline
Sia i linfociti B che i linfociti T originano dal midollo osseo e una volta maturi, raggiungono tramite il circolo ematico il tessuto linfoide, che nei rettili è rappresentato dalla polpa bianca della milza e da alcuni aggregati linfoidi, situati lungo il sistema respiratorio e gastro‐enterico, rispettivamente Bronchus‐Associated Lymphoid Tissue e Gut‐Associated Lymphoid Tissue. Fanno parte di quest'ultimi le tonsille esofagee dei serpenti, noto sito di prelievo
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Madsen, 2006; Snoeijs et al., 2007), nei mammiferi sono le IgG a caratterizzare la risposta secondaria mentre nei rettili non è stato ancora determinato l'isotipo caratteristico. Infine l'aumento del titolo anticorpale durante la risposta secondaria nei rettili spesso non avviene (Muthukkaruppan, 1972). Tutti questi studi sono citati in Zimmerman et al., 2010.
(Figura 1) Tuttavia riguardo al comportamento della risposta immunitaria primaria e soprattutto secondaria in bibliografia i dati non sono concordi. É possibile che la diversità dei risultati ottenuti sia dovuta alle diverse condizioni sperimentali oltre che alla specificità ectodermica dei rettili. Data la complessità e diversità delle variabili in gioco è difficile pertanto stabilire un modello univoco. FATTORI CHE INFLUENZANO LA RISPOSTA IMMUNITARIA Quando valutiamo lo stato immunitario di un rettile è necessario valutare anche l’idoneità dell' habitat dove è ospitato, cercando quindi di centrare la nostra attenzione sul sistema animale‐habitat piuttosto che sul singolo paziente. In cattività, soprattutto in condizioni sub‐ottimali, è plausibile dedurre che ci troviamo di fronte ad animali più o meno immunocompromessi, più suscettibili ad infezioni di varia natura. L’abilità di un animale a resistere ad una malattia dipende da molteplici fattori quali: temperatura, spettro di luce, stress, sesso, stagione, età, fotoperiodo, umidità, stato nutrizionale, fase riproduttiva, predisposizione genetica, tipo e concentrazione dell'antigene e via di penetrazione di questo.
Di seguito ne analizzeremo alcuni, precisando che negli studi presi in considerazione la risposta immunitaria è stata misurata in base alla capacità di produrre anticorpi nei confronti di un antigene noto, in base alla produzione ed alla capacità citotossica di alcune cellule del sistema immunitario ed altro. La temperatura: I rettili essendo animali poichilotermi o ectodermi (utilizzano direttamente o indirettamente fonti di calore esterne per mantenere la loro temperatura corporea) sono estremamente influenzati dall’ambiente che li circonda e con cui interagiscono. Si è dimostrato infatti che nei rettili esiste una “febbre comportamentale” che in determinate condizioni (digestione, termoregolazione, stato di malattia…) induce l’animale ad esporre certe parti del corpo ad una fonte di calore. Numerosi studi in letteratura riportano una risposta immunitaria efficiente in rettili il cui habitat presenta un gradiente termico ottimale per la specie (Prefered. Optimal. Temperature. Zone.) che permette di termoregolarizzarsi e raggiungere la temperatura corporea preferita (Prefered Body Tempeature). Abbassando la temperatura ambientale di un rettile si assiste ad una risposta infiammatoria meno intensa e più tardiva. Pertanto è utile aumentare la temperatura ambientale durante lo stato di malattia di un rettile per favorire la risposta infiammatoria e i processi di guarigione. Bisogna fare tuttavia attenzione a non superare la temperatura massima della P.O.T.Z. della specie. In uno studio del 2004 un gruppo di Trachemys scripta elegans stabulate a 26°C sono state infettate per bocca con Salmonella enterica, dimostrando che quest' ultima non era in grado di invadere la mucosa intestinale. Questa temperatura ambientale si aggira sui livelli massimi della P.O.T.Z. per la specie. Aumentando la temperatura sopra i 37°C si è rilevato che Salmonella enterica era
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in grado di oltrepassare la mucosa gastro‐enterica e provocare infezione. (Pasmans e Haesebrouk cit. in Origgi, 2007). Questo mostra come un batterio estremamente comune nell'apparato gastro‐enterico dei rettili come Salmonella sp. non sia in grado di penetrare le barriere corporee in condizioni naturali, quando gli animali sono mantenuti alla loro temperatura ottimale. Spiega inoltre perché Salmonella sp. sia spesso un patogeno secondario. In uno studio sugli Agama agama è stato dimostrato inoltre che la durata della “febbre comportamentale” è correlata all'intensità dell'infezione in corso. Infine sottoponendo dei Gerrosaurus major, clinicamente malati, ad una terapia antibiotica di 14 giorni si è notato che i sauri dopo la terapia presentavano una diminuizione della temperatura corporea media rispetto a quella riscontrata prima del trattamento (Redrobe). Questo comportamento è un'ulteriore conferma di quanto detto prima e può essere utilizzato come ausilio diagnostico di risposta positiva ad una terapia qualora vengano prese le temperature pre e post trattamento e l'habitat sia costante. Si deduce, inoltre, che un animale guarito preferisca delle zone del terraio meno calde rispetto a quelle scelte durante la malattia. Lo spettro di luce: La specie umana è in grado di vedere solo tre colori (rosso, verde e blu) dell'intero spettro di luce. Gli altri colori sono la risultante dell'analisi, operata dal sistema nervoso, della composizione e dell'intensità della lunghezza d'onda. I rettili vedono almeno quattro colori dell'intero spettro di luce e ci sono alcune fonti che riportano che alcuni viperidi e boidi riescono a vedere fino a cinque diversi colori. Le luci artificiali, essendo progettate dagli uomini, rendono difficile ricreare un foto‐habitat corretto per i rettili ed inoltre, essendo testate per la sensibilità dell'occhio umano, è possibile che disturbino quello dei rettili.
Ognuna delle oltre ottomila specie di rettili si è evoluta in un particolare habitat con uno specifico fotoperiodo ed una particolare illuminazione. Il clima riportato nelle zone di distribuzione di una specie si differenzia molto in realtà dal micro‐habitat che poi in la caratterizza. Per esempio, un rettile che si nasconde nel sottosuolo verrà esposto ad una quantità e qualità di radiazioni diverse rispetto al suo simile che nello stesso areale abita le cime degli alberi più alti. Ricordiamoci che alcuni sauri presentano il cosidetto “occhio parietale” ovvero delle cellule fotosensibili sulla superfice del cranio associate alla ghiandola pineale. Esso, agendo come misuratore di intensità luminosa, permette all'animale di relazionarsi con l'ambiente ed esporsi a fonti luminose piuttosto che ad altre, determinandone anche la durata d'esposizione. In ultimo, alcuni viperidi e boidi dalle abitudini notturne utilizzano dei sensori infrarossi come ulteriore sussidio alla visione, creando così un'immagine di tipo termico simile a quella che otteniamo guardando attraverso degli occhiali a rilevanza termica. Sorprendentemente mentre la retina umana contiene due diverse cellule nervose sensibili alla luce: i bastoncelli per la visione notturna ed i coni per la vsione diurna, molti gechi notturni possiedono solo dei coni estremamente sensibili. In mancanza di luce naturale non filtrata, la fonte di luce artificiale deve essere composta da uno spettro il più possibile completo, composto da UVB, essenziale per l’assimilazione del calcio, e UVA, essenziale per il benessere dell’animale. Una visione normale richiede infatti uno spettro di luce completo. Di conseguenza la mancanza di una componente porta ad una visione non corretta da parte del rettile e all’incapacità di relazionarsi correttamente con l’habitat. Inoltre ricordiamoci che il fotoperiodo e l'intensità della luce stimolano la produzione di alcuni ormoni che a loro volta modulano la risposta immunitaria.
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Come in natura, le fonti di luce dovrebbero essere anche fonti di calore. Così come si dovrebbe cercare di ottenere un gradiente termico e non un punto caldo, si dovrebbe cercare di associare un foto‐habitat e non un riduttivo punto luce. L'alimentazione: In cattività spesso è difficile ricreare la dieta ideale per gli animali ospitati. Spesso infatti assistiamo a diete poco varie e pertanto nutrizionalmente sbilanciate con conseguente sviluppo di deficit nutrizionali. Sarebbe opportuno cercare di offrire ai rettili degli alimenti freschi e diversi, idonei per la specie in esame. Alcuni studi infatti hanno mostrato una differenza notevole fra la flora intestinale di animali in cattività rispetto ai loro consimili in natura. Per esempio, la presenza di alcuni parassiti come gli ossiuridi è considerata da alcuni autori, entro certi limiti, normale nelle specie erbivore allo stato naturale, mentre in cattività, secondo la tesi di Klingerberg, la loro presenza è da considerarsi patologica, poiché gli spazi limitati, la temperatura e l'umidità, la ventilazione non ottimale e lo stress comportano spesso una loro moltiplicazione con conseguente “superinfestazione”. In natura, inoltre, i rettili hanno abitudini nomadi e pertanto difficilmente entrano in contatto con le loro deiezioni; pertanto una certa concentrazione parassitaria in natura si mantiene tendenzialmente costante mentre in cattività questo equilibrio spesso degenera. Sulla base di queste osservazioni alcuni autori, quali Silvestre, preferiscono utilizzare il levamisolo piuttosto che il fembendazolo nei rettili che devono essere introdotti in natura poiché il primo sembrerebbe essere meno efficace e quindi permette ai rettili che devono essere liberati di conservare una carica parassitaria minima (comunicazione personale). Quest'ultima infatti sembrerebbe essere vantaggiosa allo stato naturale poiché favorisce la disgregazione dell'alimento,
stimola la peristalsi gastrointestinale e immunostimola costantemente l'animale (Silvestre 2007 e Mcarthur 2004) Lo stress: Nonostante lo stress sia una componente significativa in molti casi di decessi improvvisi o poco chiari, bisognerebbe cercare di non attribuirvi ciecamente la morte di un rettile. Così come avviene per i mammiferi, anche nei rettili il livello di catecolamine ed il tempo di esposizione riducono la risposta immunitaria (Mondal e Rai, 2004 cit. in Origgi, 2007). Lo stesso vale per i glucocorticoidi (Mondal e Rai, 2002b cit. in Origgi, 2007). In seguito ad uno stress cronico si assiste spesso ad una involuzione reversibile del timo. Non appena viene eliminata la fonte stressogena si assiste nuovamente a una normalizzazione del parenchima timico (Cooper at al., 1985 cit. in Origgi, 2007). In uno studio sugli effetti dell'urbanizzazione sulla popolazione dei rettili si è preso in esame il livello di cortisolo ematico prodotto da alcuni Urosuurus ornatus in un ambiente naturale, semi‐naturale ed urbano. In tutti i soggetti il cortisolo ematico è aumentato dopo l'esposizione alla fonte stressogena; inoltre, nei soggetti rurali il rapporto fra il cortisolo ematico pre e post stress è maggiore rispetto ai “cugini” urbanizzati (French et al., 2008). In questo studio il prelievo è stato eseguito in meno di 30'' dal plesso orbicolare per minimizzare l'effetto stressogeno associato alla procedura ed il conseguente aumento di cortisolo ematico. Ciò mostra come esista anche nei rettili il fenomeno di acclimatazione e modulazione della risposta immunitaria. Questo fenomeno probabilmente può essere traslato ai rettili di cattura e nati in cattività, deducendone che i soggetti nati in cattività e ben acclimatati tollerano meglio lo stress e le manipolazioni di quelli non acclimatati e di cattura. Ciò dovrebbe spingere il mercato dei rettili e la medicina preventiva verso la
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diffusione di soggetti nati in cattività piuttosto che di cattura. Il sesso: La produzione di ormoni sessuali nei rettili è fortemente influenzata dalle variazioni del fotoperiodo, della temperatura, dell’umidità, delle stagioni... È dimostrato che vi sono differenze specie‐specifiche fra i sessi nella percentuale media di alcune cellule del sistema immunitario. Inoltre è dimostrato che le variazioni stagionali degli ormoni sono accompagnate da variazioni nella risposta immunitaria. Questo è stato provato sia in condizioni naturali, sia in condizioni sperimentali inoculando ormoni sessuali in diverse specie di rettili. La produzione o l'inoculazione di ormoni sessuali è accompagnata da una minore risposta immunitaria (Mondal e Rai, 2002 cit. in Zimmerman, 2010). Una spiegazione suggestiva di questo fenomeno ipotizza che l'immunocompromissione durante la stagione riproduttiva possa essere un adattamento evolutivo per i soggetti di sesso femminile che durante questo periodo possono entrare in contatto con del materiale not‐self come gli spermatozoi. In letteratura c'è uno studio molto interessante che sembra mostrare che nella Pordacis hispanica le femmine preferiscono i maschi con un sistema immunitario più sviluppato; l'efficienza del sistema immunitario è stata determinata attraverso il test della fitoemoagglutinina. In questo studio si dimostra infatti che durante la stagione riproduttiva le femmine adulte mostrano una preferenza per il secreto delle ghiandole dei pori femorali di alcuni maschi adulti in cui si dimostra un sistema immunitario migliore. Dalle analisi del secreto delle ghiandole dei pori femorali di questi soggetti si è osservata una più alta concentrazione di un precursore della Vitamina D3. Questo steroide in condizioni normali si trova nella pelle ed in seguito all'esposizione solare viene trasformato in
Vitamina D3; essendo questa vitamina essenziale per il metabolismo del calcio si è ipotizzato che solo i maschi che presentano una grande riserva di questo metabolita possono espellerne una grossa quantità dai pori femorali, altrimenti andrebbero in uno stato catabolico (Lopez e Martin, 2005). Quest'ultimo studio dovrebbe farci riflettere sulle possibilità di incrementare la riproduzione in cattività agendo sul sistema immunitario, il benessere animale e la corretta gestione. In cattività si riscontra con una certa frequenza un'incidenza di patologie respiratorie durante le stagioni degli accoppiamenti e dopo la deposizione. Questo fenomeno, che si verifica soprattutto nelle grosse collezioni di Python regius, è probabile sia dovuto ad una immuno‐compromissione durante fasi dell'allevamento che comportano un notevole stress e nel corso delle quali gli animali subiscono delle variazioni neuro‐endocrine tali da determinare la riacutizzazione di patologie sottostanti. L'età: Come avviene nei mammiferi, con l’aumentare dell’età si assiste a dei fenomeni degenerativi a carico di tutte le cellule dell’organismo che determinano una immunodepressione progressiva. Uno studio effettuato in natura su dei Liasis fuscus ha mostrato la diminuzione della capacità di produrre anticorpi con l’aumentare dell’età, della lunghezza corporea dei serpenti e a seguito di emo‐parassitosi. Si consideri che in natura le infestazioni parassitarie aumentano notevolmente con l’età (Ujvari e Madsen, 2006 cit. in Mutschmann, 2008). La stagione: Le stagioni sono caratterizzate da una moltitudine di fattori (temperatura, fotoperiodo, umidità, disponibilità di cibo...) che determinano cambiamenti importanti del sistema immunitario.
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Questi fattori inoltre modulano la produzione di ormoni sessuali che a loro volta influenzano il sistema immunitario. Possiamo parlare di una interazione fra il sistema linfatico ed il sistema neuro‐endocrino. I tessuti linfoidi dei rettili subiscono delle variazioni istologiche stagionali specie‐specifiche. Queste variazioni comportano delle involuzioni seguite da delle fasi di ipertrofia‐iperplasia. Si è osservato che un'involuzione del tessuto linfoide si accompagna ad alti livelli di corticosteroidi ed ormoni sessuali che determinano nell'insieme una risposta immunitaria ridotta. Generalizzando, le fasi di massima espressione avvengono durante la primavera e le fasi involutive durante l'inverno. Il timo va incontro ad un’ involuzione continua durante la vita di un animale. Nei rettili essa è influenzata dalle stagioni. Se ne deduce che non esponendo un rettile in cattività alle variazioni stagionali l'involuzione timica e di conseguenza il deficit progressivo del sistema immunitario avvengono più velocemente poiché l'organo non è esposto alle fasi rigenerative. Inoltre sappiamo che: il numero degli eterofili, corrispettivi dei neutrofili nei mammiferi, è maggiore in estate piuttosto che in inverno, gli eosinofili al contrario sono più abbondanti in inverno mentre si riscontrano in minor numero d'estate, i linfociti, infine, aumentano in estate e in corso di ectisi e diminuiscono durante l'inverno. I basofili ed i monociti presentano una scarsa fluttuazione stagionale. VALUTARE IL SISTEMA IMMUNITARIO Per valutare lo stato immunitario di un rettile innanzitutto bisogna, come già detto, valutare la relazione animale‐habitat. Una volta verificata l'idoneità dell'habitat si prende in considerazione l'animale e si osserva se ci sono dei deficit nell'integrità
delle barriere naturali (cute e suoi annessi, mucosa gastro‐intestinale, uro‐genitale e respiratoria). Teniamo presente che il fenomeno della muta ha una funzione di difesa nei confronti di molti patogeni e sono state dimostrate delle anomalie in corso di patologie. Per esempio una riduzione nell'intervallo fra una ecdisi e la successiva è stato associato a parassitosi cutanea (Harkewicz, 2001 cit. in Origgi, 2007). Solo dopo, possibilmente quando l'animale ha raggiunto la sua P.B.T., si procede ad effettuare un prelievo ematico. Tramite questo campione è possibile effettuare una conta totale dei globuli bianchi, preferibilmente in una camera emocitometrica, per valutare un' eventuale leucocitosi o una leucopenia, quindi uno striscio su vetrino, per effettuare una conta differenziale e valutare la morfologia cellulare. In generale si assiste a:
- un' eterofilia in corso di un'infiammazione acuta o in seguito ad uno stress. Gli eterofili sono le prime cellule infiammatorie che raggiungono il punto di inoculo
- un'eteropenia durante il letargo - una monocitosi, generalmente
caratteristica nell’ infiammazione cronica
- una linfocitosi, generalmente caratteristica di un'infezione di tipo batterico
- una linfopenia, generalmente caratteristica di un'infezione virale o di un fattore stressogeno cronico
- un aumento del rapporto Eterofili/Linfociti, normalmente associato ad un aumento cronico di corticosteroidi risultante da uno stress che riduce il numero dei linfociti.
Quest'ultime variazioni della popolazione cellulare ematica sono da considerare una generalizzazione che viene riportata in
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bibliografia e non può certamente essere presa come regola ma solo come linea guida. Analizzare con un refrattometro il siero ottenuto dalla centrifugazione di un microematocrito ci fornisce in maniera veloce, semplice ed economica il valore delle Proteine Totali. Sierando il resto del campione possiamo richiedere un'elettroforesi per valutare il rapporto Albumine/Globuline e determinare quale frazione delle globuline sia aumentata. E' estremamente importante che l'animale abbia raggiunto la sua temperatura corporea ottimale per degli esami anticorpali il più possibile obiettivi. In tutti i casi è bene ripetere un test sierologico almeno due volte durante l'anno, prima di emettere una diagnosi, poiché è possibile che un animale risulti negativo solo perché ha una minore risposta anticorpale dovuta alle conseguenze di un habitat sub‐ottimale o, in condizioni naturali, ad un cambio stagionale. Nonostante molte indagini diagnostiche finalizzate in origine alla medicina umana e alla medicina veterinaria del cane e del gatto stiano cominciando ad essere utilizzate in medicina degli animali non convenzionali, rivelandosi apparentemente utili, è sempre necessario contestualizzare i risultati ottenuti all'interno della particolare fisiologia dei nostri pazienti. Una relazione fra la produzione di melanina ed il sistema immunitario non è stata ancora oggetto di ricerca nei rettili. Tuttavia in medicina umana ed in medicina aviaria si è dimostrata la riduzione o l’incapacità da parte dei neonati di ricevere gli anticorpi materni e produrre lisosomi in seguito all’albinismo. Bisogna pertanto tenerlo in considerazione quando ci troviamo di fronte ai Morph. INCREMENTARE LA RISPOSTA DEL SISTEMA IMMUNITARIO
Solo dopo aver fatto un’attenta valutazione del sistema immunitario dell’animale possiamo cercare di incrementare la sua funzione. Prima di somministrare qualsiasi sostanza dobbiamo però assicurarci di avere ristabilito un habitat ottimale. Per correttezza bibliografica riporto alcune sostanze che sono state suggerite da alcuni autori con l'intento di migliorare la risposta immunitaria:
- Propoli ed echinacea (Chitty, 2004) - Vitamina C (Zhou et al., 2002 cit. in
Calvert, 2004) - Acidi grassi polinsaturi (Booster®)
(Bankstahl in Exotic DVM 8.5) - ZYLEXIS (Paraimmunity inducer
costituito da poxvirus attenuato) la cui funzione si basa sull'osservazione che “in seguito all'ectodermia ed alla debolezza filogenetica propria dell'immunità adattiva dei rettili le loro difese si basano maggiormente sull' antica immunità non adattiva a differenza di quanto avviene nei vertebrati endotermi ”(Guillette et al., 1995; Warr et al., 1995; Zapata e Anemya, 2000 cit. in Brames e Mayr)
Nello studio in esame effettuato su larga scala di provenienza e specie diverse (493 soggetti), tutti i soggetti sono stati trattati con tale prodotto e gli autori affermano che hanno osservato una mortalità ridotta, un miglioramento delle condizioni generali di salute ed una cicatrizzazione più veloce rispetto ai gruppi di controllo trattati con la stessa quantità di una soluzione placebo. Inoltre affermano e documentano di non avere osservato alcun effetto collaterale, proponendo l'utilizzo del prodotto sia a scopo preventivo che terapeutico. Infine nei rettili è stata documentata l’esistenza di un fattore interferone‐simile con azione antivirale (1973 Galabov e Sabov, 1975 Galabov e Velichkova, 1981 Galabov, 1982 Mathews e Vorndam cit. in Origgi.
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2007). In questi studi la presenza di un fattore interferone‐simile è stata individuata in seguito ad infezioni esogene con diversi ceppi virali; in presenza di questo fattore le cellule si sono mostrate resistenti. Come osservato per l’interferone di tipo I nei mammiferi e negli uccelli, anche questo fattore interferone‐simile nei rettili esplica la sua azione bloccando sia la sintesi di proteine virali (traduzione) che la replicazione virale. Inoltre incrementa l'espressione del complesso maggiore di istocompatibilità MHC‐I sulla superficie cellulare, aumentando così la presentazione dei peptidi virali ai linfociti T con attività citotossica. Questi dati riservano future prospettive nell'uso dell'interferone nella medicina dei rettili per modulare la risposta immunitaria. Ad oggi tuttavia gli unici mezzi certi per incrementare la risposta immunitaria di un rettile immuno‐compromesso sono la correzione dell' habitat, l’aumento della temperatura pur mantenendo un range all'interno della P.O.T.Z. e soprattutto l'utilizzo degli esami sopracitati, in particolare, l'emocromocitometrico completo e l'elettroforesi, a scopo prognostico e preventivo. Bibliografia 1. Bankstahl, “Use of booster in reptiles and
mammals”. Exotic DVM Magazine 8.5 2. Baines e Brames, “Preventive reptile
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2000 26. Silvestre “Parassiti dell'apparato digerente”
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UN CASO DI ILEO IN UN IGUANA RINOCERONTE Simone Agostini, DVM1 1 Ambulatorio Veterinario, San Giorgio in Bosco (PD)
L’iguana rinoceronte è un sauro appartenente alla famiglia degli Iguanidi originario dell’isola di Haiti, Puerto Rico e isole vicine il cui habitat è rappresentato da paesaggi secchi e sabbiosi o da steppe di cactus. E’ una specie inclusa in appendice I del C.I.T.E.S. in quanto altamente minacciata soprattutto a causa della riduzione del suo
habitat naturale. Sauro robusto, facilmente distinguibile da tutte le altre iguane grazie alle tre caratteristiche protuberanza coniche sul muso, maggiormente accentuate sul maschio rispetto alla femmina. Altro tratto morfologico peculiare e distintivo della specie è la presenza, specialmente nei maschi anziani, di un cuscinetto adiposo a forma di elmo sulla regione occipitale. Anche in questa specie è presente una giogaia ben evidente ed una fila di squame cornee, più piccole rispetto alla più nota Iguana iguana, che decorrono dalla nuca fino a metà coda. La coda, molto forte e robusta, viene usata all’occorrenza come mezzo di difesa e di offesa. Il termine Cyclura deriva dal latino e significa coda circolare. Gli individui adulti
sono essenzialmente terrestri anche se è ben noto che gli individui di tutte le età sono all’occorrenza in grado di arrampicarsi. I maschi raggiungono una dimensione che può arrivare a superare il mezzo metro, coda esclusa; le femmine sono leggermente più piccole. Il peso di un maschio può raggiungere i 10 kg mentre una femmina difficilmente supera i 5 kg. Per le aspettative di vita possiamo far riferimento ad un esemplare vissuto in cattività per 20 anni ma prelevato in natura e quindi con una età complessiva non nota. Il colore varia da un grigio‐marrone ad un verde‐oliva fino addirittura al nero, non hanno certamente i
colori brillanti tipici di altre iguane. Come per le altre iguane, anche il genere Cyclura è essenzialmente erbivoro. Il mare non fa certamente parte del loro ciclo vitale ma le iguane rinoceronti sono all’occorrenza ottime nuotatrici con la capacità di resistere per discreti periodi di tempo in acqua e si presume che questa capacità sia alla base della loro sopravvivenza a molti uragani e anche alla loro colonizzazione di isole vicine. Una stima ottimistica degli esemplari in natura sembra essere di circa 17.000 esemplari, concentrati sull’isola nativa di Hispaniola dove esistono diverse sub‐
Figura 2 ‐ Areale di distribuzione dell'iguana rinoceronte
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popolazioni, sull’isola di Haiti e nella Repubblica di Santo Domingo. L’iguana rinoceronte è un’animale diurno, attivo durante il giorno. Come molti rettili regola la propria temperatura con bagni di sole per riscaldarsi e ricercando zone d’ombra per abbassarla. Durante la notte si ripara in tronchi d’albero o in cavità naturali del terreno o delle rocce. Questi territori sono difesi strenuamente dai maschi in quanto rappresentano un rifugio anche per le femmine. L’accoppiamento avviene una sola volta l’anno. La stagione riproduttiva inizia solitamente poco prima o in concomitanza con la stagione delle piogge, all’incirca verso aprile maggio. Dopo circa 40 giorni, verso luglio agosto, le femmine depongono le uova (da 2 a 37 con una media di 17 uova) in un nido costituito da una buca nella sabbia. Le femmine sorvegliano il nido per alcuni giorni dopo la deposizione, le uova schiudono dopo circa 85 giorni. I piccoli sono indipendenti fina dalla nascita e non ricevono nessun tipo di cure parentali. Caso clinico. Iguana rinoceronte femmina di circa 4 anni, mantenuta in cattività in un terrario di dimensioni approssimative di 3mq con un’altra femmina delle stesse dimensioni ed un maschio adulto. Il fondo del terrario è costituito da sabbia marina sterilizzata termicamente con arredi forniti da rocce e tronchi. Temperatura diurna nel punto più caldo di circa 34° C che scendeva fino a circa 20° C in quello più freddo. Non veniva eseguita una escursione termica giorno‐notte e i raggi uva‐uvb venivano forniti esclusivamente attraverso 3 lampade TerraSun® UV‐PLUS da 160 Watt posizionate in prossimità delle lampade ad infrarossi utilizzate come fonte termica. Una piastra riscaldante era posizionata sul fondo del terrario come ausilio al riscaldamento. Una vasca di dimensioni adeguate era posta lontana dalle fonti di calore e regolarmente pulita mentre il cibo veniva somministrato in un unico punto una volta al giorno. La dieta
consisteva essenzialmente in patate lesse, legumi lessati misti, verdura in foglia mista, frutta mista, il tutto integrato con carbonato di calcio in polvere. Non venivano eseguite altre integrazioni minerali o vitaminiche. L’esordio della sintomatologia fu, a detta del proprietario, improvviso in quanto da un giorno all’altro mi riferì che la femmina era abbattuta, inappetente e veniva spesso attaccata dall’altra femmina che la relegava nell’angolo più freddo del terrario. Alla visita clinica il soggetto si presentava in buono stato di nutrizione, moderatamente disidratato e apatico. La semplice visita clinica non permetteva di evidenziare altro. Furono proposti degli accertamenti laboratoristici e di diagnostica per immagini che però non vennero al momento accettati. Dopo pochi giorni, visto l’aggravarsi del quadro vennero eseguiti esami ematobiochimici e radiografie addominali. Le radiografie mettevano in evidenza una costipazione a livello del grosso intestino con contenuto intestinale radiopaco. Gli esami ematobiochimici confermavano il quadro clinico di disidratazione oltre ad un significativo aumento del GOT. Veniva intrapresa una gestione inizialmente medica con copertura antibiotica (enrofloxacina 10 mg/kg sid po), reidratazione sottocutanea associata a clisteri e bagni in acqua tiepida oltre ad alimentazione forzata con Oxbow® Critical Care. Poiché il soggetto non rispondeva alle terapie e il quadro radiografico era inalterato, dopo 7 giorni di gestione medica si decideva per un approccio chirurgico. L’iguana veniva sedato con una combinazione di ketamina (12,5 mg/kg), medetomidina (0,2 mg/kg) e butorfanolo (1 mg/kg) per via intramuscolare. Una volta sedato veniva indotto con isofluorano in maschera al 4% a 2,5 l/min per poi venire intubato e mantenuto con una concentrazione di isofluorano al 2%. Veniva anche inserito poco prima della chirurgia un catetere intraosseo per la fluido terapia intraoperatoria.
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Si procedeva alla celiotomia lungo la linea mediana, identificato il tratto di intestino costipato che risultava essere il cieco, inciso lungo la parte antimesenterica e svuotato di tutto il contenuto che appariva essere un insieme di ingesta e sabbia molto compatto. Il cieco veniva lavato, suturato con monofilamento assorbibile 4‐0 con sutura continua in monostrato e si procedeva alla sutura della parete addominale sempre con filo monofilamento assorbibile con sutura continua e della cute con filo non assorbibile a punti staccati estroflettenti ad “U”. Dopo 2 giorni l’iguana riprendeva ad alimentarsi spontaneamente ed il post operatorio procedeva normalmente per circa 50 giorni. Dopo tale periodo il soggetto iniziava a presentare una anomala posizione degli arti anteriori. In particolare presentava una ventroflessione dell’articolazione carpica con appoggio al suolo della parte dorsale delle zampe anteriori. Tale appoggio alterato si presentava prima monolateralmente ed in modo intermittente per poi coinvolgere entrambi gli arti in modo permanete. Lo state generale dell’animale per il resto era nella norma e le radiografie agli arti non evidenziarono nessuna anomalia. Il soggetto continuava ad alimentarsi regolarmente e le grandi funzioni organiche erano nella norma. Tale vizio posturale non si è mai risolto e il soggetto è poi deceduto a distanza di circa 6 mesi dall’intervento. L’autopsia eseguita non ha evidenziato lesioni macroscopiche di nessun tipo ed i proprietari non hanno acconsentito ad ulteriori accertamenti ed approfondimenti post‐mortem.
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GESTIONE DEI LORI E LORICHETTI Fabio Pelicella, DVM 1 Medico Veterinario Libero Professionista, Colleferro (Roma) GENERALITA’ I lori e lorichetti sono pappagalli provenienti dal sud est asiatico e differiscono dai comuni pappagalli che siamo abituati a vedere. Sono numericamente meno comuni in ambito domestico rispetto agli altri pappagalli, dal momento che il loro metabolismo è totalmente differente dai loro consimili: molte persone li acquistano come pet o ne tentano l’allevamento senza essere bene a conoscenza delle loro molte peculiarità. Da un punto di vista tassonomico sono inclusi nel genere “Psittaciformes” che racchiude la famiglia Cacatuidae e Psittacidae. Quest’ultima comprende le sottofamiglie Psittacinae e Loriinae, formata da 53 specie di lori e lorichetti divisi in 12 generi. La differenza fra lori e lorichetti non è sempre chiara e in qualche modo soggettiva, si tende ad usare il termine lorichetto per le specie a coda lunga ed appuntita e il termine lori per quelle a coda più corta e smussa. Gran parte di queste specie sono commerciabili , altre sono superprotette e sono poco allevate in cattività. La maggior parte delle specie ha colori sgargianti evidenziati dai raggi diretti del sole. Le dimensioni vanno dai 12 ai 42 centimetri ed il peso è compreso tra i pochi grammi del lorichetto di Arfak (Oreopsittacus arfaki) ai 500 grammi dei “Lorius”.Sono distribuiti nel sud est asiatico ed hanno colonizzato l’arcipelago indonesiano, la Micronesia fino alla Nuova Zelanda ed isole vicine. Sono stati studiati solo recentemente (anni ’70) ed alcune specie sono state scoperte da appena 40 anni perché diffuse su isolette inaccessibili per motivi geografici o politici.
Sono in prevalenza inclusi nell’allegato ‘B’ della CITES ma molte specie rischiano l’estinzione e sono collocate nell’allegato ‘A’ per cui la loro detenzione e riproduzione in cattività è controllata dal Corpo Forestale dello Stato. Molti di loro essendo specie endemiche di remote isole dell’Oceano Pacifico ed essendo altamente specializzati in quel contesto ambientale, hanno subito fortemente l’antropizzazione con un rapido declino numerico nell’ultimo decennio. La deforestazione, il bracconaggio e l’introduzione accidentale di specie alloctone come i gatti ma soprattutto topi e ratti, hanno decimato le popolazioni di lori: la predazione di uova e “pulli” da parte dei ratti sembra essere il peggior problema. Sono in corso dei programmi internazionali di recupero e di sensibilizzazione della popolazione locale che sembrano dare buoni risultati. Il commercio di tali uccelli è stato sconsiderato negli anni ’80 e ’90 e l’Europa ha avuto grande incidenza nel depauperamento ornitologico locale. ALIMENTAZIONE Inizialmente la non conoscenza delle abitudini alimentari ha condizionato la sopravvivenza dei soggetti appena importati ma le innumerevoli prove ed errori hanno migliorato le conoscenze alimentari fino alla realizzazione di una miscela di mantenimento che ora viene comunemente commercializzata sotto diversi marchi nei negozi specializzati. In natura mangiano frutti maturi , germogli, vegetali, nettare, fiori ed insetti e la dieta captiva deve esaudire tali esigenze. Diversi allevatori utilizzano diete casalinghe a base di farina di avena, polline di api, miele, proteine animali, polivitaminici, minerali, finemente triturati insieme e somministrati in forma liquida. Fra le diete commerciali, quelle di origine tedesca ed olandese sono attualmente le migliori. Esistono anche estrusi policromi di piccola
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sezione che vengono usati per lori del genere Trichoglossus e Lorius ma non sempre soddisfano le necessità alimentari degli stessi. Non infrequenti sono gli improvvisi decessi che gli allevatori accusano dopo la somministrazione prolungata di diete secche od a base di estrusi. All’esame istologico emergono gravi quadri degenerativi renali. Alla alimentazione di base deve essere aggiunta la frutta e la verdura come integrazione quotidiana. L’aumento di proteine animali (attraverso tarme della farina) associata a condizioni ottimali di luce e calore favorisce la libido e la riproduzione. La somministrazione di semi di girasole e di miscele per pappagalli consente la sopravvivenza delle specie più robuste come il genere Lorius, Trichoglossus ed Eos ma ne mina la funzionalità epatica, favorendo forme croniche di epatosi ed epatiti alla fine letali. I generi Charmosyna, Oreopsittacus e Vini sono altamente specializzati e la struttura anatomica del becco è più minuta e presenta una minore capacità di compressione e triturazione del cibo: essi sono, pertanto, incapaci di aprire semi o mangiare frutti duri e devono essere alimentati con miscele in polvere con minima granulometria. In queste specie la miscela deve essere meno proteica e più ricca di glucosio. Gli zuccheri digeribili sono il fruttosio e glucosio ma sembra ormai assodato che il saccarosio sia controindicato perché substrato favorente la crescita di clostridi. Le proteine animali sono indispensabili per un corretto metabolismo ed una altrettanto giusta crescita. Non devono superare il 12 %. I grassi non devono superare il 3 % della sostanza secca. La vitamina A gioca un ruolo fondamentale negli uccelli perché ha una azione antiossidante per le membrane cellulari, favorisce l’embriogenesi e protegge le cellule epiteliali. Nei lori se viene somministrata in eccesso e se si associa ad una carenza di vitamine E comporta alti tassi di infertilità,
diminuzione delle schiuse e natimortalità dei pulli. I minerali più importanti sono il calcio ed il manganese. I lori , essendo animali molto attivi e fondamentalmente ipercinetici consumano grandi quantità di calcio. Ricordo che il calcio partecipa nei processi di coagulazione, nella contrazione muscolare, nella deposizione; gioca un duplice ruolo: regola l’accrescimento scheletrico ed alcuni processi metabolici nell’organismo attraverso l’efficiente meccanismo di regolazione dell’omeostasi dei fluidi extracellulari. Il calcio è regolato dal paratormone, dai metaboliti della vitamina D3 e dalla calcitonina ma sembra che estrogeni e prostaglandine giochino un ruolo predominante negli uccelli. RIPRODUZIONE Le temperature miti favoriscono i cicli riproduttivi e per talune specie il clima italiano ne consente il prolungamento durante tutto l’anno per cui possono essere definiti poliestrali. I nidi sono semplici, con foro di ingresso abbastanza ampio ed un substrato interno di trucioli di legno. Le covate sono composte di due uova (eccezionalmente di tre o quattro uova del Trichoglossus euteles). La cova varia dai 23 ai 26 giorni. I piccoli richiedono circa 40 giorni per poter uscire dal nido ma devono rimanere coi genitori almeno altre due settimane perché ancora incapaci di nutrirsi e di volare con precisione sui posatoi. Un comportamento ancora non compreso appieno è la deplumazione attuata dai genitori nei confronti dei piccoli. Sembra una carenza minerale ed amminoacidica che ancora non trova soluzione. I follicoli plumiferi non vengono danneggiati nella fase iniziale dai genitori ma se tale spiumamento persiste e se diventa più aggressivo può provocare una displasia plumifera o addirittura alopecia permanente.
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La fase più critica per i piccoli è la schiusa ed i giorni successivi al quinto, allorquando la mamma lascia il nido preoccupandosi solamente di nutrire i piccoli e limitando il riscaldamento alle sole ore notturne. Questo comportamento, naturale in molte specie provenienti da climi tropicali, può determinare la morte dei pulli ai nostri climi temperati: a ciò si può ovviare con uno “scaldanido”, ovvero un dispositivo elettrico reperibile nei negozi specializzati da applicare sul fondo del giaciglio. L’allevamento artificiale è molto semplice in quanto i lori hanno una innata predisposizione ad essere imbeccati . La maturità sessuale avviene dopo il primo anno di vita per le specie più piccole (genere Charmosyna, Oreopsittacus, Neopsittacus) fino ai quattro‐cinque anni delle specie maggiori (Lorius, Eos). La vita media si aggira sui 10‐25 anni (maggiore è la taglia maggiore è la longevità). In sintesi il benessere in cattività di queste specie dipende da:
‐ somministrazione quotidiana di alimento fresco in ciotole di acciaio (pena l’insorgenza di gravi batteriosi ed infezioni micotiche, candida ed aspergilli;)
‐ sempre cibo a disposizione soprattutto nei mesi invernali dato l’elevato metabolismo;
‐ voliere sospese per facilitare le operazioni di pulizia (a causa della loro dieta producono grandi quantità di feci semiliquide che sporcano moltissimo);
‐ spazio vitale ed arricchimento ambientale (pena la noia e la plumofagia fino all’automutilazione );
‐ rispetto della territorialità (monogamia stretta).
‐ controllo sanitario ed epidemiologico su altre specie eventualmente ospitate in vicinanza con i lori (sono suscettibili ma resistenti alla PBFD; alta morbilità ed alta mortalità nei giovani allevati allo stecco; il Polyoma crea problemi; la Clamidia non sembra destare problemi nei lori di grossa taglia mentre induce mortalità anche se modesta nelle piccole taglie).
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GESTIONE DEI GECHI IN CATTIVITA’ Tommaso Giorgi, DVM 1 1 Clinica Veterinaria per Animali Esotici,CVS Roma L’osservazione attenta di un geco, anche se di una specie sconosciuta o proveniente da un areale sconosciuto, ci permette di capire quali posso essere le sue abitudini di vita e di come ne vada impostato l’allevamento. Vediamo allora di conoscere più da vicino le strutture anatomiche che caratterizzano i gechi. Cute La funzione principale della cute di un geco è proteggerlo dall'ambiente esterno. Oltre a rappresentare una barriera meccanica, la cute è soprattutto una protezione contro acqua e perdita di calore. La costituzione della pelle è uguale in tutti i rettili, e consiste di tre strati. Lo strato più esterno è l'epidermide, e rappresenta l'effettiva protezione dall'ambiente. È formato da strutture cornee, le squame che possono essere sovrapposte tra loro (embricate) e da scudi, giustapposti , che in base alla forma possono chiamarsi spine, tubercoli e placche. Come risultato della costante divisione cellulare degli strati più profondi, nuove cellule vengono spinte verso l'esterno. Queste cellule contengono cheratina che causa la formazione dello strato corneo, che non cresce contemporaneamente con l'animale, ma viene rinnovato con la muta periodica. I giovani animali mutano più frequentemente degli adulti perché generalmente il ritmo di crescita è maggiore. La prima muta avviene subito dopo la nascita. I segnali che la muta è imminente sono dati dal fatto che la cute diventa più chiara e i colori meno vivaci. Inizia solitamente dal muso, ma a differenza di quanto avviene nei serpenti, solo in pochi animali viene eliminata interamente, generalmente viene eliminata a pezzi, utilizzando bocca e zampe per strapparla via. Inoltre, quasi in tutte le specie
la vecchia muta viene mangiata. Al di sotto dell'epidermide, troviamo il derma, altamente vascolarizzato, contiene tessuto connettivo, rigide placche ossificate chiamate osteodermi e cellule pigmentate. In particolare, la concentrazione dei pigmenti all'interno di queste cellule può cambiare sulla base della stimolazione nervosa e/o ormonale. Il terzo strato è il più profondo ed è chiamato sottocute e connette la cute ai muscoli sottostanti. La cute dei gechi è del tutto priva di ghiandole, fanno eccezione alcune specie del genere Diplodactylus e Eurodactylus per la presenza di alcune ghiandole presenti sulla coda, in grado di secernere sostanze maleodoranti in caso di aggressione. Colorazione Quasi tutti i gechi sono in grado di schiarire o scurire la loro colorazione di base. Questa capacità è principalmente dovuta al passaggio della melanina all'interno dei melanofori. Se la melanina, infatti, è localizzata alla base dei melanofori gli animali sono più chiari, mentre quando la melanina si sposta all'apice della cellula, l'animale diventa più scuro. Questa capacità di modificare la colorazione ha diverse funzioni. Consente agli animali di assorbire più efficacemente i raggi solari, di camuffarsi meglio con l'ambiente circostante, come mezzo di comunicazione tra i conspecifici e allo stesso tempo rappresenta anche un'indicazione del temperamento e della loro condizione di salute. Il piede del geco La più ovvia e impressionante caratteristica della maggior parte dei gechi non è solo la l'abilità di arrampicare su parete verticali e o sui soffitti ma anche la velocità con la quale si spostano su queste superfici. Il loro segreto è dovuto alla particolare struttura che caratterizza le loro dita. Le loro dita sono caratterizzate dalla presenza di “cuscinetti” che sono costituiti da una serie di lamelle orizzontali. Ciascuna lamella contiene
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migliaia di piccole strutture simili a capelli chiamate setae. A loro volta, ogni seta si divide in centinaia di microscopiche strutture chiamate spatulae. (0.2µm). Ciascuna spatula è perpendicolare all'asse longitudinale del dito ed è in grado inserirsi nelle più piccole irregolarità delle superfici, creando delle deboli forze di attrazione (forze di van der Walls). Durante il movimento del geco dunque, esistono tre frasi al livello microscopico. La prima in cui l'animale applica una forza sulla superficie sottostante. In questo modo le spatulae aderiscono alle superfici mediante le forze di van der Walls e assumono una conformazione ad S flettendo verso la radice del dito. Poiché le lamelle sono uniformemente direzionate, l'animale non è in grado di resistere a forze con differenti direzioni. In questo modo un impercettibile movimento di sollevamento del dito a partire dalla parte anteriore determina l'interruzione delle forze molecolari e il rilascio delle spatulae che tornano nella posizione di riposo. Questa capacità del geco è già presente nei neonati che però all'interno del guscio hanno i piedi ricoperti da uno spesso strato di cute che impedisce l'adesione delle dita alla parete dell'uovo. Solo dopo la nascita i neonati mutano acquisendo a pieno la capacità di arrampicarsi su qualunque superficie. Inoltre, c'è da aggiungere, che questa capacità è maggiore appena dopo la muta e tende a ridursi con il tempo mano a mano che si avvicina la successiva. Questo concetto è importante da considerare perché i gechi rimuovono attivamente i frammenti di muta dai piedi per mantenere efficiente il delicato sistema del piede. Ogni causa che determina la presenza di residui di muta sulle dita va attentamente presa in considerazione per una buona gestione del geco. La coda dei gechi: forme varie e autotomia La coda dei gechi ha un'ampia varietà di forme e di funzioni. Soffermandoci sulla forma, nella maggior parte dei casi, la coda è semplicemente allungata, rotonda e
affusolati; in altri può essere molto corta e in altri ancora una forma conica. Ci sono gechi come il genere Nephrurus che ha una coda con una forma conica che termina con un rigonfiamento bottoniforme, o in alcuni casi come il genere Uroplatus la coda ricorda una foglia. A questa straordinaria varietà di forme è spesso associata una varietà di funzioni. Una delle principali funzioni è la semplice coordinazione dei movimenti; quando l'animale cammina, si arrampica o durante un salto. Addirittura in alcune specie la coda è un organo di ancoraggio e alla punta della coda si osservano strutture simili a quelle osservate nelle dita. Anche se generalmente sono strutture poco funzionali, che servono principalmente per tenere la coda orizzontale e parallela al corpo mentre il geco sta scalando una parete verticale. I movimenti della coda sono altrettanto importanti come mezzi di comunicazione, soprattutto nei rituali dell’accoppiamento. Lo coda ovviamente assume un ruolo fondamentale come riserva di cibo soprattutto in quelle specie che vivono in aeree climatiche estreme. I gechi infatti in condizioni di freddo o caldo estremo possono sopperire alla mancata assunzione di cibo grazie al grasso immagazzinato nella coda. Non è una caso che molti gechi provenienti dalle aeree deserticole hanno spesso una coda molto voluminosa. Talvolta, la coda diventa un importante sistema di mimetizzazione. La coda in alcune specie come l’Uroplatus fimbriatus diventa altamente specializzata nel camuffare il geco con l’ambiente circostante. Infine, in tutte le specie ha una funzione di difesa. Attraverso l’autotomia permette al geco scappare e di sfuggire ad un predatore. Purtroppo non in tutte le specie la coda ha le stesse capacità di rigenerazione; nei Rachodactylus ad esempio purtroppo non c’è ricrescita, e sia in natura che in terrario spesso si osservano gechi privi di coda. L’occhio L’occhio è ovviamente il più importante organo sensoriale dei gechi e permette loro
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di orientarsi nell’ambiente e soprattutto di procurarsi il cibo. La struttura che subisce maggiori variazioni fra le diverse specie è la pupilla. Nelle specie notturne è ellittica e verticale mentre le pupille rotonde si riscontrano nelle specie diurne. Dunque, la struttura dell’occhio ci da un’idea dello stile di vita di un geco. Fanno eccezione alcune specie che solo recentemente dal punto di vista evoluzionistico si sono adattate ad una vita diurna, pertanto presentano ancora una pupilla ellittica pur avendo abitudini diurne, è il caso del Ptyodactylus hasselquistii. La differenza è anche strutturale ed è dovuta alla presenza di bastoncelli, nelle specie prettamente notturne e la presenza di coni nei gechi diurni. Un’ulteriore differenza la si nota anche nel modo di predare, infatti, mentre i gechi diurni sono in grado di riconoscere e catturare una preda immobile, i notturni riconoscono il movimento della preda e aspettano il suo movimento prima di catturarla. Un’altra differenza che esiste fra i gechi, è la struttura delle palpebre. Mentre i membri appartenenti alla famiglia dei Eublepharidae sono palpebrati come nel caso dei gechi leopardini, tutti gli altri le palpebre fuse a formare un’unica struttura trasparente chiamata occhiale. I gechi, infine, hanno un rudimentale terzo occhio che coordina l’attività con le condizioni di luce. Vocalizzazione Una caratteristica unica nel mondo dei rettili è la capacità dei gechi di vocalizzare. Questa caratteristica non è ben sviluppata come negli altri vertebrati o come negli uccelli, tuttavia può essere comparata alla loro. Non tutti i gechi sono in grado di produrre suoni come per esempio l’intera sottofamiglia degli Sphaerodactylinae. Il suono è prodotto dai polmoni e dalla laringe che in alcune specie creano una vera e propria voce. Nella maggior parte delle specie la voce è monosillabica ma ci sono specie che emettono suoni con diverse sillabi. Una delle più note e famose vocalizzazioni è quella del geco Tokay in grado di emettere un suono,
“to‐kay” appunto, dal quale deriva anche il suo nome comune. Le vocalizzazioni variano molto, sono state descritte come un cinguettio, come un gracchiare, come un sibilo o come un abbaio. Alcuni dei più sorprendenti suoni appartengono al Cyrtodactylus peguensis che ricorda vagamente un canarino e alla vocalizzazione di difesa dell’Uroplatus fimbriatus, il cui suono é udibile anche attraverso le pareti di una stanza. Un modo del tutto unico nel modo di produrre suoni appartiene al Teratoscincus scincus quando viene molestato. Infatti, strofinando le proprie squame, le une contro le altre, crea un suono molto simile a quello dei serpenti a sonagli. Le funzioni delle vocalizzazioni sono molteplici. In primo luogo, il principale mezzo di comunicazione fra conspecifici. Secondo, i gechi notturni utilizzano le vocalizzazioni per localizzare membri della stessa specie, soprattutto nel periodo degli accoppiamenti, mentre i diurni hanno solo sistemi rudimentali di vocalizzazioni come i Lygodactylus In terzo luogo, le vocalizzazioni rappresentano un sistema di difesa. Ghiandole endolinfatiche La funzione di queste ghiandole è stata a lungo discussa, tuttavia la teoria più accreditata è che queste fungano da riserva di calcio per la formazione delle uova. Usando Phelsuma dubia, Osadnik riuscì a determinare che la quantità di calcio immagazzinata era significativamente diminuita tra l’undicesimo e il sedicesimo giorno di gravidanza. Mentre dopo l’ultima deposizione, e mentre altre uova si stavano formando, le sacche delle femmine di Phelsuma dubia si riempirono nuovamente di calcio. Questo meccanismo previene che la femmina soffra carenze di calcio durante la gravidanza e garantisce il giusto grado di calcificazione delle uova. Anche nei neonati queste ghiandole sono ricche di calcio e garantiscono il giusto accrescimento delle ossa. É importante tenere in considerazione il fatto che senza una giusta gestione dei gechi
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e con un’alimentazione sbilanciata, specialmente un’ eccessiva somministrazione di calcio e vitamina D3, queste ghiandole possono soffrire di un eccessivo accumulo di calcio, che indurisce notevolmente al loro interno. L’olfatto Il naso oltre ad essere impiegato nella respirazone è un’importante organo sensoriale che grazie alla presenza di chemocettori all’interno delle narici consente al geco di percepire gli odori. A questo sistema, si aggiunge il più raffinato e complesso organo di Jacobson. L’organo di Jacboson è coadiuvato dalla lingua, la quale pur non essendo veloce e accurata come nei serpenti o nei varani, è comunque in grado di portare particelle olfattive all’organo di Jacobson. In particolare, la lingua viene continuamente estroflessa per il riconoscimento dell’altro sesso durante i rituali di accoppiamento o per localizzare un luogo adatto per la deposizione. Termoregolazione I gechi come tutti i rettili sono animali poichilotermi e il mantenimento della temperatura corporea dipende dalle condizioni ambientali. Siccome solo in poche aree del mondo le condizioni ambientali sono favorevoli alla sopravvivenza dei gechi, questi rettili hanno sviluppato una serie di meccanismi che consentono loro di regolare la temperatura corporea. Uno dei primi sistemi che i gechi adottano per modificare la propria temperatura corporea è quello di cambiare colore, diventando più o meno scuri a seconda di quanto calore hanno bisogno di attrarre. Questo comportamento lo si osserva sia nelle specie diurne che nelle specie notturne. Infatti non è raro vedere gechi crogiolarsi al sole durante periodi freddi ma assolati o in estate nelle zone temperate; così come nelle zone tropicali capita di osservare gechi che nelle prime ore della sera prendono gli ultimi raggi solari prima dell'inizio della notte. Altre specie
notturne invece sfruttano il calore delle rocce che si è accumulato durante l'intera giornata. Quando invece, la temperatura esterna è troppo alta, i gechi solitamente preferiscono rintanarsi nei loro nascondigli all'interno di rocce, del terreno o in luoghi dove comunque la temperatura è più fredda. Questi comportamenti sono sicuramente più difficili da osservare in terrario perché la temperatura rimane piuttosto costante. Tuttavia nel terrario, i gechi in caso di temperatura troppo alta o si spostano nella zona più fredda o respirano a bocca aperta per favorire la dispersione di calore. Un ultimo sistema che i gechi delle zone temperate adottano nei periodi invernali è il letargo. Si osserva una riduzione di qualunque attività come ricerca del cibo e dei comportamenti riproduttivi. Condizioni simili si notano anche nei gechi che vivono in aree tropicali in particolari periodi dell'anno (stagione secca) Questi aspetti sono importanti da tenere in considerazione anche nella vita in cattività, soprattutto se si vuole tentare la riproduzione. RIPRODUZIONE Determinazione del Sesso Un importante prerequisito per la riproduzione è ovviamente il riconoscimento dei sessi. Esistono diversi aspetti da tenere in considerazione per la distinzione dei sessi fra i gechi. Il primo aspetto che differenzia i maschi dalle femmine è la presenza di due rigonfiamenti globosi alla base della coda che non sono altro che gli emipeni . Gli emipeni, infatti, che sono gli organi copulatori dei maschi, in condizioni di riposo sono alloggiati all’interno di due “tasche” poste alla base della coda. Sfortunatamente mentre in alcune specie come nel geco leopardiano o nei Rachodactylus gli emipeni sono facilmente visibili dall’esterno, in altre specie non ci permettono la distinzione fra il maschio e la femmina, come nel caso dei gechi Tokay. Pertanto, si può ricorrere
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all’osservazione dei pori pre‐cloacali e dei tubercoli post‐anali. I pori pre‐cloacali sono situati cranialmente alla cloaca e generalmente hanno una forma a V rovesciata. Sono molto più marcati nei maschi, i quali strofinano i pori ricoperti di cera contro il suolo e oggetti per marcare il territorio. I tubercoli post‐anali, allo stesso modo sono molto più sviluppati nei maschi. Queste strutture sono probabilmente utilizzate per l’accoppiamento, i maschi durante la copula nello strusciarsi con la femmina agganciano lateralmente i tubercoli alla cloaca della femmina, così che la trazione che si viene a creare favorisca l’estroflessione dell’emipene. Altre forme di differenziazione si basano sull’osservazione della testa e dei colori. La testa nei maschi è generalmente più massiccia e robusta alla base, soprattutto se si comparano individui di taglia simile. Per ciò che riguarda i colori, il discorso si applica generalmente ai gechi diurni ed in particolare ai gechi che appartengono ai generi Gonatodes, Lygodactylus e Quendenfeldtia. In queste specie i maschi hanno colorazioni molto più brillanti e colorati delle femmine, in particolare nella regione della testa. Anche fra alcune specie di Phelsuma, i maschi sono facilmente distinguibili dalle femmine per la vivacità dei loro colori. Un'altra tecnica per la determinazione del sesso potrebbe essere anche un delicato massaggio degli emipeni, fino a che non vengono estroflessi così come nei serpenti. Ciclazione stagionale Un fattore molto importante per avere successo nella riproduzione in cattività è il rispetto del normale ciclo stagionale che i gechi fanno in natura. Il più importante parametro da rispettare è la variazione ciclica della temperatura. Come per tutti i rettili la variazione annuale delle temperature crea una modificazione del metabolismo e un'attivazione del sistema nervoso, che da origine al ciclo riproduttivo. Come per la temperatura anche il ciclo giorno‐notte e la lunghezza del giorno sono fattori
determinanti. Infatti nel periodo pre‐riproduttivo sia la temperatura che la durata delle ore di luce andrebbero progressivamente diminuite fino al raggiungimento della temperatura di brum azione, tipica per una data specie. Generalmente si dovrà imporre una graduale diminuzione delle temperature diurne e notturne e delle ore di luce, passando dalle 12 ore di luce estive alle 8 invernali da temperature estive (variabili a seconda della specie) a temperature invernali che possono scendere anche intorno agli 8‐10°C. Questa progressione generalmente richiede circa due settimane e lo stesso vale per il progressivo ritorno alle temperature estive; mentre la brumazione può durare da un minimo di quattro settimane ad un massimo di qualche mese. Questo discorso vale soprattutto per quelle specie che vivono in aeree lontane dall'equatore e dove la temperatura subisce variazioni stagionali. Le specie tropicali sono molto sensibili anche alla variazione dell'umidità e delle precipitazioni stagionali. A queste variazioni ambientali devono ovviamente corrispondere anche variazioni nella quantità di cibo somministrata. Nel periodo caldo o delle “piogge” il cibo deve essere somministrato in abbondanza rispecchiando così le condizioni naturali, mentre durante il periodo di brumazione o “secco” il cibo deve essere nullo. Addirittura una settimana prima che inizi il periodo di brum azione, l’alimentazione deve essere sospesa in modo da scongiurare che cibo e feci rimaste nell’apparato gastro‐enterico possano andare incontro a fenomeni di putrefazione provocando la morte dell’animale. Comportamento riproduttivo La maturità sessuale sotto condizioni favorevoli varia tra le specie dai 6 mesi agli almeno 5 anni del Rachodactylus leachianus. Questo è un importante aspetto da considerare quando si vuole creare una coppia. Per evitare infatti risultati scarsi o problemi agli animali è sempre consigliabile
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conoscere le caratteristiche di ciascuna specie. Utilizzando maschi troppo giovani infatti si possono avere problemi di infertilità o prolasso del pene, mentre utilizzando femmine troppo giovani si possono avere problemi di distocia, produzione di uova poco calcificate e una riduzione della vita riproduttiva. La maggior parte delle osservazione descritte sui comportamenti riproduttivi dei gechi è basata per lo più sullo studio dei gechi diurni. Tuttavia la differenza principale sta nel fatto che i gechi diurni attirano la femmina contando principalmente su colori sgargianti, mentre i notturni sull'utilizzo del richiamo o mediante l'olfatto o su una maggiore mobilità degli animali durante il periodo degli accoppiamenti. Generalmente una volta stabilito un contatto visivo il comportamento dei gechi notturni segue il modello dei diurni. Il maschio approccia la femmina con movimenti a scatto e oscillatori laterali del corpo e della testa, e mostrandosi o più grande, appiattendo le coste (soprattutto gechi arboricoli) o vibrando la coda, facendola tamburellare al suolo e inarcando la schiena contemporaneamente. Se la femmina non è pronta all'accoppiamento rifiuta il maschio muovendo la testa in maniera frenetica o con pseudo‐attacchi. In natura questi atteggiamenti della femmina scoraggiano il maschio dopo pochi tentavi falliti. Nel terrario dove lo spazio è limitato e la femmina non può sfuggire alla vista del maschio, i continui approcci del maschio possono portare ad un vero e proprio scontro fisico. Lo stesso comportamento può essere anche più esasperato quando la femmina è gravida. In entrambi i casi il consiglio è sempre quello di tenere separati i maschi al fine di evitare gravi conseguenze sia per il maschio che per la femmina. Quando invece la femmina è recettiva, non mostra alcun segno di aggressività o di difesa. Il maschio comincia a toccarla alla base della coda, poi la morde e successivamente avviene l'accoppiamento vero e proprio, che può durare fino a 30 minuti. C’è da aggiungere
che in alcune specie come Hemidactylus garnotii e Lepidodactylus lugubris, la popolazione è costituita essenzialmente da femmine e la loro riproduzione avviene senza accoppiamento, ma attraverso un fenomeno conosciuto con il nome di partenogenesi. Gravidanza e ritenzione spermatica La durata media della gestazione, nei gechi ovipari, dura in media dalle due alle cinque settimane e la femmina depone una o due uova per covata ad intervalli regolari (2‐4 settimane). Generalmente depongono due uova alla volta, ad eccezione dei Sphaerodactylinae che depongono un uovo alla volta, a distanza di 4 settimane di distanza fra ciascuna deposizione. Data la difficoltà a trovare un maschio adatto in natura, le femmine hanno sviluppato la capacità di ritenere lo sperma nell'ovidutto per un breve periodo di tempo. Lo sperma è conservato in una struttura chiamata receptaculum seminis una ghiandola lunga, tubulare e ramificata che giace vicino alla ghiandola del guscio nell'ovidutto. Grazie a questo sistema le femmine sono in grado di deporre diversi gruppi di uova anche dopo solo un accoppiamento. Durante la gravidanza le femmine diventano generalmente più aggressive sia verso il maschio che verso altre femmine e sono più suscettibili allo stress, per tanto in questo periodo, diventa importante disturbare gli animali il meno possibile. É di vitale importanza dar loro una dieta bilanciata con un adeguato supporto di sali minerali, in particolare calcio. É consigliabile, infatti, piazzare nel terrario una piccola ciotola contenente calcio, tipo tappo di una bottiglia, al fine di fornire una fonte costante di calcio che il geco può utilizzare quando ne senta la necessita. In molte specie, come nei gechi leopardo, è possibile confermare la presenza delle uova semplicemente sollevando l’animale. Sono facilmente identificabili nella parte posteriore dell’addome come due macchie biancastre caudali al fegato.
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Ovodeposizione All'interno della famiglia dei Gekkonidae ci sono due differenti sistemi di riproduzione: uno oviparo, cioè animali che depongono le uova; e uno ovoviviparo, rappresentato cioè da animali che danno alla luce giovani perfettamente formati. Il primo sistema è molto conosciuto e diffuso fra i gechi. Il secondo, al contrario, è relegato ad un ridotto numero di specie della Nuova Zelanda dei generi Heteropholis, Hoplodactylus. Naultinus e al Rachodactylus trachyrhynchus (Nuova Caledonia). Nel periodo immediatamente prima della deposizione, la femmina smette di alimentarsi e cerca un luogo adatto per le uova. La femmina generalmente si muove per il terrario senza tregua fino a che non sceglie il luogo adatto per la deposizione, dove rimane diverse ore prima di cominciare a deporre. I gechi che appartengono alle sottofamiglie dei Diplodactylinae a Eublepharinae depongono uova con un guscio pergamenaceo, mentre tutte le altre depongono uova a guscio duro. Le uova a guscio pergamenaceo devono essere necessariamente sotterrate in un substrato umido perché si disidratano facilmente, mentre le uova a guscio duro, risentono della disidratazione in maniera minore, ma devono essere protette dalla vista dei predatori per il colore bianco latte che le caratterizza. Non è un caso, infatti, che alcune specie prima che le uova siano completamente indurite, le rotolino sul terreno in modo che le particelle del terreno vengano inglobate nel guscio dando a quest'ultimo una sorta di mimetizzazione. La deposizione avviene generalmente di sera o di notte anche nei gechi diurni. Inoltre alcune specie rimangono a guardia delle uova finché queste non sono completamente indurite o anche successivamente. Infine, le uova a guscio duro si differenziano fra quelle non “collose” e quelle “collose”. Le uova rimangono attaccate alle roccie, alle pareti del terrario grazie ad uno strato di calcio che funge da collante. Per fare questo le femmine
comprimono con le zampe posteriori le uova contro gli oggetti fino a che non sono completamente indurite. In generale le uova a guscio duro possono essere deposte nelle crepe delle rocce, sotto la corteccia degli alberi, nei buchi degli alberi, in parti nascoste delle piante e così via. Uova Le uova hanno forma variabile, da sferica a ovale, e dimensioni variabili, dai 3 mm ai 45 mm. La composizione delle uova di geco è simile a quella di altri rettili. Un uovo è costituito da un embrione circondato da un sacco amniotico, un sacco vitellino e l'allantoide dove sono immagazzinati i prodotti del metabolismo e infine il corion che ricopre l’interno dell’uovo. Durante lo sviluppo embrionale l'allantoide si combina con il corion formando la membrana corion‐allantoidea. Questa membrana è responsabile dell'assorbimento di ossigeno e il rilascio di anidride carbonica attraverso il guscio. In un'incubatrice che contiene molte uova, diventa quindi, fondamentale che ci sia una buona ventilazione durante tutto il periodo dell'incubazione. Mentre le uova a guscio duro non possono espandersi durante l'incubazione, le uova a guscio molle, sia perché assorbono umidità dall'ambiente circostante sia per lo sviluppo dell'embrione, continuano leggermente a crescere fino a poco prima della schiusa. Le uova a guscio duro fertili generalmente hanno il guscio che tende a scurire con il tempo, mentre in caso di infertilità le uova hanno un aspetto giallastro. Per le uova a guscio molle, invece, l'infertilità è facilmente riconoscibile perché in pochi giorni le uova tendono a collassare e a sviluppare muffa. Al momento della schiusa, nelle uova a guscio molle si assiste ad un collasso delle uova e la loro superficie diventa umida. Detto processo chiamato “sweating” precede la schiusa vera e propria che avviene ad opera del neonato mediante l'uso del dente dell'uovo, con il quale è in grado di creare una breccia nel guscio. Nelle uova a guscio duro la schiusa non è
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preceduta da alcun segnale. La temperatura durante l'incubazione, influenza fortemente la determinazione del sesso. Questo fenomeno già conosciuto in altri rettili come coccodrilli, tartarughe e alcune specie di agama è presente anche per i gechi. É ormai dimostrato che temperature fra i 30°C e 32°C di solito determinano maschi, mentre temperature che variano fra i 28 e i 26°C determinano la nascita di femmine. Con temperature intermedie nasceranno cuccioli di entrambi i sessi in percentuali più o meno sbilanciate verso un sesso in base al gradiente termico. Probabilmente il sesso è determinato principalmente nel primo terzo del periodo di incubazione, come osservato anche in altri rettili. Questi dati basati soprattutto su studi svolti sul geco leopardino posso subire delle variazione a seconda della specie. In generale durante l'incubazione conviene incubare le uova ad una temperatura che varia fra i 25°C‐ 29°C, avendo così maggiori probabilità di successo nella schiusa. Il principale requisito per la riproduzione è avere una coppia giovane, ben adattata al terrario in cui vive e costituita da animali nati in cattività. Se l'accoppiamento ha avuto successo è importante alimentare bene la femmina che avrà un incremento del fabbisogno energetico e mettere a disposizione più luoghi per la deposizione. Per esempio, un contenitore pieno di sabbia umida, un semplice tubo bucato, piante come le bromelie, in caso si allevino phelsuma ecc. Inoltre durante la gravidanza la femmina non dovrebbe subire alcuna forma di stress come per esempio essere spostata da un terrario all'altro o introducendo nuovi animali. Per le uova adesive, il discorso è più complicato, perché sono spesso difficili da trovare e soprattutto quasi mai posso essere rimosse dal terrario. Quasi sempre, infatti, sono attaccate a parti strutturali del terrario e pertanto è impossibile incubarle separatamente e qualunque tentativo di rimozione ne provocherebbe la rottura. In questi casi, per prevenire che le uova subiscano danni dai
genitori o che i neonati vengano mangiati, le uova andrebbero coperte con un contenitore di plastica trasparente, forato precedentemente per assicurare una buona ventilazione. All'interno di questo contenitore si può anche aggiungere della vermiculite o dello sfagno umido facendo sempre in modo che le uova non entrino in diretto contatto con il substrato umido. Nel caso di uova a guscio pergamenaceo, tipiche delle sottofamiglie Eublepharinae e Diplodactylinae, la vermiculite o la perlite sono i substrati ideali per l'incubazione. Ad entrambi andrebbe aggiunta l'acqua in rapporto 6:4 (sei parti di vermiculite e 4 di acqua) in base al peso. Dopo aver mescolato bene l'acqua e il substrato, le uova andrebbero poste senza subire rotazioni, in piccole depressione create nel substrato. É importante controllare sempre che il substrato nel corso dell'incubazione non sia troppo secco o umido per evitare un'eccessiva disidratazione o un'iperdratazione delle uova, condizioni fatali per l'embrione. Nel caso di uova a guscio duro delle foreste tropicali, le uova andrebbero incubate in un ambiente umido però evitando che le uova entrino in contatto diretto con il substrato. Per esempio si può utilizzare un tappo di bottiglia a tale scopo, come nei phelsuma. L'umidità invece dovrà sempre aggirarsi intorno al 90‐100%. In caso di uova a guscio duro di gechi che vivono nelle regioni aride, tipo gli stenodattili, l'unica differenza sta nell'umidità ambientale che dovrà essere ridotta al 45‐60%. I tempi di incubazione, sono molto variabili, oscilleranno generalmente tra le sei e le dodici settimane, potendo raggiungere però anche le ventiquattro per i gechi del genere Gekko. Subito dopo la nascita, i neonati dovrebbero essere trasferiti in piccoli terrari separati, preparati in anticipo. Generalmente, si utilizzano scatole trasparenti che facilmente si trovano nei negozi di bricolage, vengono creati dei buchi ricoperti con reti a maglie molto sottili (500 micrometri), disposti su due altezze diverse. Il fondo molto spesso
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può essere carta di giornale o assorbente, qualche nascondiglio e qualche pianta vera. In pratica una struttura che in miniatura è uguale a quella dove vivono i genitori ma molto semplice da pulire e da gestire. Se si tratta di gechi notturni, l'unica cosa di cui bisogna tenere cura è la temperatura ideale, mentre in caso di gechi diurni come i phelsuma è molto importante fornire luce gialla e raggi uvb durante il giorno. La luce è importante sia per lo sviluppo scheletrico dei baby sia per lo sviluppo di una colorazione adeguata. Infatti, in animali cresciuti in condizioni di scarsa luce, spesso la colorazione non è cosi vivida come la si vede in animali che vivono in natura. Giornalmente, dipende poi dalle specie, la teca, dove i cuccioli vivono, deve essere nebulizzata tutti i giorni. Si deve somministrare cibo sotto forma di drosofile o piccoli grilli, che vanno sempre prima spolverati di calcio tutti i giorni. Alimentazione Una dieta bilanciata e corretta è fondamentale per avere successo nell’allevamento dei gechi. La maggior parte dei gechi è insettivora e in cattività verranno alimentati con insetti allevati a tale scopo oppure acquistati nei negozi specializzati o tramite internet da allevamenti amatoriali e industriali. In natura i gechi mangiano un’ampia varietà di insetti, ragni e piccoli vertebrati. Allo stesso modo la dieta in cattività dovrebbe essere molto varia, offrendo un’alimentazione basata su almeno 4‐5 specie differenti di insetto. Gli insetti dovrebbero essere sempre ben alimentati soprattutto 24 ore prima di essere dati ai gechi, perché gli artropodi perdono rapidamente valore nutritivo (gut loading). Inoltre è molto importante anche la dimensione delle prede offerte in pasto. In pratica, la larghezza dell’insetto deve essere al massimo come la metà della larghezza della testa del geco, mentre la lunghezza dell’insetto deve essere al massimo come la larghezza della testa del geco. In questo
modo si offrono insetti più nutrienti e digeribili e allo stesso tempo si stimolano gli animali a doversi procurare il cibo. Gi insetti a disposizione sul mercato è rappresentato da grilli come: Acheta domestica, Gryllus assimilis, Gryllus bimaculatus, grylloides sigillatus); cavallette e locuste (Shistocerca sp. e Locusta sp.), camole del miele (Galleria mellonella), camole della farina (Tenebrio molitor) e caimani (Zoophobas morio) e blatte (soprattutto Blatta lateralis); occasionalmente da pinky. Un altro sistema che si può adottare per offrire cibo vario e di ottima qualità, è quello di fare ricorso agli insetti prelevati in natura. Se si conosce infatti un'area priva di pesticidi, si potrebbero raccogliere insetti da offrire ai nostri animali. Allo stesso tempo un ampio numero di specie si alimenta di frutta e di nettare. Quelli arboricoli dei generi Gonatodes, Phelsuma e Rhoptropus, alcuni attivi sia giorno che di notte (Sphareodactylus spp.) e altri strettamente notturni ( Blaesodactylus spp. e Rachodactylus spp. sono in parte specie frugivore. Per tutti, si possono utilizzare frutti freschi (banana, mela, pera, pesca, albicocca, melone, prugna, papaia, mango, fragola, ciliegia, uva, fico, kiwi ecc.) in pezzetti, frullati o spremuti, oppure prodotti industriali derivati dalla lavorazione della frutta, come succhi, mousse, omogeneizzati per bambini. Gli omogeneizzati alla frutta sono molto pratici e molto graditi ai gechi. Generalmente si suddivide l’omogeneizzato in piccoli sottovasi o tappi di bottiglia, si aggiunge del miele e del calcio carbonato e poi lo si congela. Per integrare la dieta, si spolverano i grilli con il calcio carbonato prima di essere dati in pasto e si può lasciare una piccola ciotola piena di calcio sempre a disposizione. L'acqua ovviamente va somministrata sia nebulizzata perché i gechi amano bere le goccioline che si accumulano sulle foglie e sul loro corpo e una ciotola dalla quale possono bere comunque in caso di necessità. Terrario
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Come per altre specie di rettili anche per i gechi è molto importante che la teca nella quale vivono abbia un'ottima ventilazione. Una teca ben ventilata deve avere almeno due prese di areazione poste ad altezze diverse. Ovviamente le dimensioni delle prese d'aria variano a seconda del tipo di animale che il terrario dovrà ospitare. In caso di terrari per specie che provengono dalle regioni delle foreste tropicali, si opterà per prese d'aria molto piccole che permettono di mantenere elevata l'umidità nel terrario; per le specie deserticole addirittura il pannello superiore e alcuni laterali potrebbero essere eliminate, per scongiurare la formazione di condensa nel terrario. Per le specie che richiedono alta umidità ma elevata ventilazione si può considerare l'utilizzo di ventole da computer. Per costruire o comprare un terrario adatto alla specie che si andrà ad ospitare è importante seguire i seguenti fattori:
- le dimensioni degli animali in età adultà
- Il temperamento degli animali. Animali statici richiedono meno spazio di specie attive
- il numero di animali alloggiati. Per esempio quattro animali della stessa specie richiedono più spazio di due coppie appartenenti a due specie diverse.
- Il grado di aggressività che ci può essere fra conspecifici. Se introdotti più animali (3‐4) all'interno di un terrario, potrebbero sia instaurarsi comportamenti aggressivi, sia fenomeni di sottomissione che darebbero una falsa impressione di tolleranza.
Spesso accade, infatti, che gli animali dominanti minacciano e attaccano i subordinati. Di conseguenza non essendoci possibilità di fuga, i subordinati difficilmente manifestano un pattern completo del loro comportamento soprattutto nell'ambito riproduttivo, anzi subiranno costante stress,
fenomeni di disoressia e maggiore suscettibilità alle malattie. Dunque all'interno di un terrario, bisognerebbe garantire ad ogni soggetto un luogo di basking, di rifugio e di alimentazione. Naturalmente più un terrario è grande, più possibilità di territori si possono offrire. La forma del terrario varia poi a seconda delle caratteristiche della specie ospitata. Per grandi linee i gechi terricoli dovrebbero essere alloggiati in terrario a sviluppo orizzontale, i gechi arboricoli in terrari a sviluppo verticale e infine i rupicoli in terrari con caratteristiche intermedie. Inoltre l'interno del terrario, può essere organizzato in modo da ricostruire il biotopo oppure un terrario “semisterile”. Nel primo caso ovviamente si dovrà cercare di costruire uno spaccato del luogo di provenienza con piante vive, rami secchi, radici, bambù, rocce e substrato naturale come sabbia, pietre, foglie e corteccia. Nel caso, invece, di un terrario semisterile ed essenziale, adatto per grandi allevamenti e non per tutte le specie, il fondo sarà semplicemente un foglio di giornale o della carta assorbente, uno o più tane ( spesso con della torba umida all'interno), una ciotola per l'acqua e una ciotola per il cibo. Questo sistema è spesso utilizzato per l'allevamento dei gechi leopardini, i quali non hanno particolari esigenze. Tuttavia ci sono specie, come Uroplatus spp., o molte specie deserticole australiane e africane che difficilmente si adatterebbero ad un terrario assemblato in questo modo. In questi casi è sempre meglio ricorrere ad un terrario naturalistico. Nel terrario ovviamente spesso bisogna ricorrere a sistemi di riscaldamento, illuminazione e talvolta di umidificazione affinché si possa garantire agli animali una buona qualità di vita. Parlando di riscaldamento c'è da premettere che esistono gechi eliotermi e gechi thigmotermi (animali che assorbono calore dalla superfici riscaldate precedentemente dal sole). Per i primi la migliore soluzione è rappresentata dalle lampade ad incadescenza che emettono luce gialla. Sono animali infatti che preferiscono che il calore venga dall'alto
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come avviene in natura. Per i secondi, invece, la soluzione migliore è rappresentata da tappetini riscaldanti o cavetti riscaldanti in una zona del terrario, in modo da garantire sempre un certo gradiente di temperatura fra diverse zone del terrario. Esistono poi gechi per i quali spesso non è necessario aggiungere una fonte di calore perché alle nostre latitudini sono perfettamente adattati a vivere. Spesso vengono allevati a temperatura “ambiente” senza l'aggiunta di alcuna fonte di calore. Per quanto riguarda il sistema di illuminazione di cui abbiamo già parlato in parte, spesso può essere utile aggiungere sia della lampade fluorescenti, soprattutto se si ha un terrario con molte piante vive, sia aggiungere lampade in grado di emettere raggi ultravioletti. Queste ultime sono considerate necessarie per tutte le specie diurne e probabilmente per molte specie notturne. Ovviamente la scelta di queste lampade deve ricadere su quelle che hanno un'emissione bassa di raggi uvb, in particolare fra il 5% (gechi diurni) e il 2% (gechi notturni). Per l'umidificazione generalmente si ricorre alla nebulizzazione più volte al giorno, all'uso di grandi ciotole di acqua, al sistema “goccia a goccia” già utilizzato per i camaleonti, alle piante vive e in alcuni casi si può ricorrere a sistemi di nebulizzazione elettrici utilizzati per l'allevamento delle Dendrobates. Patologie più frequenti
- Endoparassiti e ectoparassiti - Costipazione - Ritenzione di uova - M.O.M - Perdita della coda - Disecdisi - Stomatite - Vomito - Diarrea - Prolasso rettale o degli emipeni - Infezioni oculari
Bibliografia
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Sitografia
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IL PAZIENTE CHE COLLABORA: ADDESTRAMENTO DEGLI ANIMALI ESOTICI AI PRINCIPALI ESAMI CLINICI Sara Mainardi, Naturalista1 1 ABC Training, Naturalista, Animal Trainer www.abctraining.it MEDICINA PREVENTIVA E MODALITÀ EDUCATA Si parla molto ormai del benessere animale con un approccio multifattoriale, fisiologico/patologico e cognitivo/emozionale. La salute della mente sta assumendo un’importanza eguale alla salute fisica dell’animale stesso. Verso persone, luoghi e oggetti non conosciuti gli animali tendono ad assumere un atteggiamento cauto. Le reazioni più istintive a difesa dell’organismo dalle pressioni ambientali conducono in genere all’attivazione del simpatico che prepara l’organismo a comportamenti di aggressione o di fuga. L’apprendimento è il meccanismo biologico che permette la sopravvivenza attraverso processi mentali plasmati dalla selezione naturale come forma di adattamento all’ambiente. Quando un “pet” si relazione con il suo compagno umano o con il suo veterinario, ogni interazione diviene un’occasione per apprendere, e non dovrebbero essere tralasciate le capacità cognitive nella ricerca del benessere. Gli uccelli sono apparentemente asintomatici, poiché la loro natura di predati tende a non svelare i deficit che li renderebbero potenziali prede. Una storia clinica aggiornata permette al medico veterinario di lavorare in un’ottica di medicina preventiva, ottimizzando il mantenimento della salute dell’animale stesso. Approcciando anche il lato cognitivo/emozionale ci si deve chiedere
l’effetto delle visite cliniche sul benessere mentale dell’animale. Molti esami di check‐up risultano efficaci, attendibili e attenti alle esigente fisiologiche ed etologiche, se effettuati in maniera collaborativa con gli animali presi in esame. Ciò che ci si può aspettare da campioni biologici prelevati in modalità, che chiameremo, “educata” sono: bassi livelli di cortisolo, epinefrina e norepinefrina e valori reali di glicemia. L’auscultazione e valutazione dei rumori cardiaci potrebbe risultare molto difficile in modalità di “contenimento”. L’animale in probabile stato di stress ed eccitazione produrrebbe una quantità di battiti al minuto notevole, coprendo eventuali rumori cardiaci anomali. Anche il normale flusso d’aria nei polmoni risulta come un suono molto lieve, facilmente sovrastato dal rumore del battito cardiaco accelerato, che in genere viene accompagnato anche da polipnea e respiro affannoso. Lo stress è una reazione tipica di adattamento del corpo ad un generico cambiamento fisico o psichico. Contrariamente a quanto si pensa di solito, non possiamo evitarlo o eliminarlo completamente ma possiamo se insorge saperlo riconoscere ed educare l’animale a gestirlo. Lo stress è influenzato dall’intervento dei pensieri, che determinano, in soggetti diversi, reazioni diverse: quindi non è l’evento, ma i pensieri relativi all’evento che causano lo stress. Esiste una corrispondenza tra sistema nervoso e ambiente, i processi che si attuano nel sistema rappresentativo (il cervello) producono inferenze valide sugli eventi e sulle relazioni tra gli eventi nel sistema che viene rappresentato (l’ambiente). Quando una situazione viene identificata come una minaccia, la risposta automatica è uno stato di tensione che porta all’azione. Se lo stress persiste e l’azione non è possibile, allora l’attivazione fisiologica viene avvertita sotto forma di sintomi. Uno stato di stress o di malessere con algia può causare: una modifica del battito cardiaco, della pressione
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sanguigna e della frequenza respiratoria, un aumento della coagulabilità del sangue, secrezione di adrenalina e noradrenalina, dolori muscolari, disturbi gastro‐intestinali, abbassamento delle difese immunitarie, aumento della virulenza di agenti patogeni latenti, fascicolazioni diffuse dei muscoli cutanei, prurito (erroneamente associabile ad altre patologie) e sintomi cognitivi, quali irritabilità e nervosismo che facilmente sfociano in aggressioni, in comportamenti di evitamento o di freezing. Stress cronico (dovuto a contenimento per controlli ripetuti o per lunghi cicli di somministrazione di farmaci) mantiene alti i livelli di glucocorticoidi, letali per alcuni tipi di cellule nervose, cardiache e ossee. Soggetti con uno stato di benessere gravemente alterato possono manifestare anche apatia, stato di scarsa o nulla reattività nei confronti degli stimoli esterni; il loro organismo non riesce più a far fronte ad un ambiente avverso. Visite cliniche in modalità di contenimento possono aggravare lo stato del soggetto. Questi sintomi sono spie di un disagio in atto, non possono essere trascurati, vanno mantenuti sotto controllo. Sullo stress si può concretamente agire attraverso tecniche di educazione, è un metodo preventivo che vuole dare, all’animale stesso, gli strumenti necessari per gestire eventi ambientali differenti dalla routine quotidiana. Più un animale vive differenti esperienze positive e apprende a sciogliere esercizi di problem‐solving più sarà alto il suo grado di fitness (grado di adattamento di un individuo, parametro dinamico) e notevole sarà anche la capacità di controllare lo stress elaborando i pensieri che generano dall’evento. Per la “legge dell’effetto”, le conseguenze vantaggiose dei comportamenti medici educati in passato, creeranno un feedback indispensabile perché in futuro il soggetto sia in grado di affrontare situazioni ambientali inconsuete. La modalità educata vuole quindi ridurre le condizioni ambientali stressanti, gli antecedenti che favoriscono comportamenti
effettuati per evitare lo stimolo discriminativo e il contenimento, trasformando le situazioni in clinica da sporadiche e spesso stressanti a regolari e cooperative ma vuole anche, con l’apprendimento operante, dare all’animale il potere di elaborare e governare a livello cognitivo la situazione ambientale. Vedere un ecografo, un asciugamano per essere contenuto, un apparecchio per aerosol e valutarli stimoli che producono conseguenze vantaggiose creerà situazioni collaborative e innovative. Parliamo comunque di un contesto di non emergenza, di fasi di apprendimento che avvengono quando l’animale è in salute e di comportamenti che una volta appresi saranno mantenuti fino a necessità di utilizzo. La modalità educata è attuabile dopo una fase di educazione comportamentale in cui l’animale apprende a seguire un target per essere osservato durante la visita, ad avvicinarsi a strumenti diagnostici, ma anche ad assimilare farmaci per via orale o inalatoria. FASE EDUCATIVA E COLLABORAZIONE La prima fase educativa coincide con la desensibilizzazione degli oggetti necessari alle procedure mediche (target, fonendoscopio, sonda dell’ecografo, asciugamano) o alla somministrazione di medicinali (siringhe, maschera per aerosol, inalatori, etc). La desensibilizzazione sistematica è la procedura in cui la paura appresa di uno stimolo neutro si estingue attraverso un’esposizione talmente graduale che la risposta innata alla paura non viene mai innescata. Gli animali, in particolare gli uccelli, in quanto prede, tendono a diffidare di tutto ciò che non conoscono; in soggetti giovani, con la desensibilizzazione sistematica e la presentazione associata del rinforzo positivo si può, in maniera graduale e non invasiva, educare gli animali ad avvicinare nuovi oggetti senza che lo stimolo neutro divenga mai stimolo discriminativo
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innescante paura. In tal modo si può ottenere collaborazione durante procedure mediche e mantenere un alto livello di benessere fisiologico/cognitivo con minimi livelli di stress. A questo scopo, nelle fasi di educazione, insieme alla desensibilizzazione si usa l’apprendimento operante. La collaborazione dell’animale evolve insieme alla fiducia, aumentano parallelamente, e alle ripetizioni di situazioni vantaggiose che fanno decidere di riproporre un comportamento in futuro. Dato che le conseguenze di un comportamento passato determinano la probabilità che lo stesso comportamento avvenga in futuro, il passo è breve nel capire come ogni momento di interazione sia un momento di apprendimento determinante per l’educazione, non solo quindi il tempo a casa, non sono il tempo passato con l’educatore o dal veterinario ma l’insieme completo. E’ sempre e comunque un lavoro d’equipe! Comportamenti educabili a finalità mediche:
- Entrata e uscita da un trasportino / trasporto in macchina: trasporto dell’animale nell’ambulatorio o clinica veterinaria senza produzione di stress
- Desensibilizzazione veterinario - Desensibilizzazione target / utilizzo
target - Desensibilizzazione di un substrato
(ES: tappetino in gomma), disinfettabile, utilizzato a casa come luogo di educazione e dal veterinario per riproporre i comportamenti in modalità educata: parte del setting per favorire i comportamenti richiesti
- Desensibilizzazione fonendoscopio, sonda dell’ecografo
- Desensibilizzazione asciugamano e passaggio sotto questo per essere avvolto
- Desensibilizzazione siringa / somministrazione medicinali tramite siringa per via orale
- Desensibilizzazione maschera aerosol / somministrazione medicinali per via inalatoria
L’IMPORTANZA DELL’INFORMAZIONE Come far capire al cliente l’importanza di portare il compagno animale dal veterinario per controlli di routine e non solo se è in sofferenza evidente, quando spesso sono turbati o spaventati loro stessi dalle grida o dagli attacchi di panico che vedono? Informando che gli esami di routine, fondamentali tra l’altro nel caso di patologie croniche, possono non essere causa di stress elevato se educati e rinforzati positivamente, facendo collaborare direttamente l’animale con il compagno umano e divenendo una metodologia anche appagante perché il percorso educativo, oltre a offrire vantaggi nella diagnosi e nelle cure mediche, migliora la qualità del rapporto uomo‐animale, in primis aiutando ad apprendere la comunicazione non verbale specie‐specifica. Quando l’uomo non forza la situazione e non esercita controllo sull’animale si possono trasformare le interazioni in cui il soggetto “deve fare” in opportunità in cui il soggetto “vuole fare” facendogli scoprire una stato motivazionale che lo invogli a interagire con noi. Considerando le caratteristiche fisio‐etologiche della specie e le capacità individuali del soggetto, l’apprendimento operante può essere utilizzato proprio come forma comunicativa per proporre un‘acquisizione dati che, collegando funzionalmente eventi chiamati antecedenti e conseguenze con il comportamento, permette all’animale di valutare se ripetere successivamente lo stesso comportamento richiesto, e dico valutare perché questo tipo di educazione prevede la scelta da parte dell’animale in quanto elaboratore attivo di informazioni. Ciò che l’educatore può fare è modificare e operare sull’ambiente attraverso il setting, la scelta dei rinforzi, il proprio linguaggio corporale, la propria prossemica e le vocalizzazioni, non operare sull’animale. Cambiare l’ambiente e gli
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antecedenti è il primo passo per evitare situazioni di stress agli animali, e avere l’occasione di rinforzare positivamente completa l’opera in campo gestionale ma anche in campo medico. La modalità educata è una prassi utilizzabile in ambulatori e cliniche durante esami di controllo ma risulta molto utile anche sulle grandi collezioni e soprattutto in centri di recupero, parchi faunistici e giardini zoologici, non solo per le specie aviare; la gestione di gravidanze, di patologie croniche con somministrazione di medicinali per lunghi periodi di tempo e i controlli di routine indispensabili a mantenere i protocolli di medicina preventiva risultano con questa metodologia più funzionali, non inficianti a livello di stress sul benessere e potenzialmente ripetibili molte volte all’anno, inoltre i rischi per apparecchiature e personale si riducono perché l’aggressività caratteristica della modalità di contenimento si tramuta in collaborazione nella modalità educata. Secondo il Farm Animal Welfare Britannico del 1992, gli animali dovrebbero vivere in libertà dalla fame e dalla sete, dovrebbero vivere in un ambiente appropriato, senza paure e pericoli, in libertà di esprimere comportamenti naturali e dovrebbero essere liberi dal dolore e dalle malattie attraverso la prevenzione, una tempestiva diagnosi e la messa in atto di un trattamento appropriato. La modalità educata è uno strumento al servizio di questo fine. Bibliografia
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2. Friedman, S.G., (2004). Parrot in Temporary Shelters: The groundwork for empowerment and trust. Avian Welfare Coalition Shelter Manual.
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10. Bergmann H.H., Biologia degli uccelli. Edagricole
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RISOLUZIONE CHIRURGICA IN UN CASO DI DISTOCIA IN UN FALCO DI HARRIS Tommaso Collarile1,DVM 1 Clinica Veterinaria per Animali Esotici, CVS Roma
Segnalamento
Falco di Harris (Parabuteo unicinctus) di circa 5aa di età.
Anamnesi patologica remota
La proprietaria riporta un episodio di distocia avvenuto pochi mesi prima. Il collega che ha trattato il caso la prima volta ha tentato la risoluzione per mezzo di aspirazione del contenuto dell’uovo e rottura di quest’ultimo. Questa procedura è stata messa in atto per contrastare il più rapidamente possibile la compressione sugli organi circostanti. È stato poi stabilizzato il paziente e dopo un tentativo di rimozione del guscio per via endoscopica è stato asportato chirurgicamente. La proprietaria ha riferito che eccetto la terapia antibiotica, non è stata consigliata integrazione alimentare né cambiamenti della gestione.
Anamnesi
Il soggetto è stato portato in clinica perché da circa 24 h presentava anoressia e abbattimento del sensorio. Il soggetto vive da solo, in voliera. La dieta si basa da sempre pressoché unicamente di pulcini di un giorno.
Visita
Il paziente presenta ottundimento del sensorio, disidratazione, stato di nutrizione scadente, distensione addominale dura alla palpazione, lieve dispnea.
Diagnostica pre‐chirurgica
Sono state eseguite radiografie in due proiezioni, è stato eseguito un prelievo di sangue per esame biochimico, ematocrito e conta stimata dei globuli bianchi
Terapia e preparazione alla chirurgia
Il soggetto è stato ricoverato in ambiente con temperatura e umidità controllata. È stato sottoposto a terapia antibiotica (marbofloxacin 10mg/Kg im), antinfiammatoria (meloxicam 0,2mg/kg im), fluido‐terapia (ringer lattato 50ml/kg s.c.) e calcio gluconato (100mg/kg im). Per circa 2 ore il soggetto è stato lasciato a riposo per recuperare lo stress delle manipolazioni e per consentire l’assorbimento dei farmaci somministrati. È stato poi premedicato con dexmedetomidina (0,03mg/kg) e ketamina (3mg/kg). È stato inserito un catetere endovenoso nella vena ulnare superficiale. Il soggetto è stato indotto con isofluorano in maschera 4% e poi intubato e mantenuto con isofluorano all’1,5%.
Chirurgia
Durante la relazione saranno descritte le fasi principali dell’intervento chirurgico con ausilio di fotografie.
Terapia post‐chirurgica e consigli della gestione
Oltre alla terapia con antibiotici ed antinfiammatori il soggetto è stato trattato con leuprorelina acetato alla dose di 600
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µg/kg ed è stato prescritto di ripetere ogni 15 giorni per tre volte.
È stato vivamente consigliato di migliorare la dieta.
Conclusione e punti chiave
Il soggetto non è più stato più visitato ma la proprietaria ha riferito che il soggetto ha deposto due uova circa 8 mesi dopo senza complicazioni.
• Scelta dell’approccio terapeutico alla distocia (medico vs chirurgico vs endoscopico)
• Rapidità di cicatrizzazione e ripristino della funzionalità della salpinge dopo un intervento chirurgico
• Importanza dell’intervento sulla gestione (alimentazione) come prevenzione delle recidive.
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LE PRINCIPALI PATOLOGIE DEL RONDONE (Apus apus): ESPERIENZE DEL CRUMA DI LIVORNO Renato Ceccherelli1 DVM, Riccardo Gherardi1, Gianluca Bedini1 1 C.R.U.M.A. – L.I.P.U. via delle Sorgenti 430 – 57121 Livorno. [email protected] SOMMARIO L’analisi dei ricoveri di Rondone (Apus apus) presso il CRUMA (distribuzione temporale, cause di ricovero, esiti) oltre a fornire un dato interessante a livello di censimento locale della specie, fornisce lo spunto per una più approfondita analisi di patologia aviare. Innanzitutto, quando si parla di patologia del Rondone, è necessario fare una distinzione in base all’età. Infatti, le principali patologie dei
pulli sono dovute a infezioni da lieviti, infezioni da batteri Gram negativi, grave astenia; mentre invece negli adulti le principali cause di ricovero sono di natura traumatica (traumi con sublussazione della spalla, avulsione traumatica di remiganti e timoniere e traumi in genere). Nei confronti delle infezioni che colpiscono i pulli, la diagnosi è semplice: un tampone
cloacale ed uno del gozzo e semina su idonei terreni. La terapia è mirata e di solito efficace. Di contro nei casi di grave astenia la terapia, anche se tempestiva e d’urto, non dà risultati soddisfacenti. Per quanto riguarda gli adulti con sublussazione, che è la prima causa di ricovero, la diagnosi non è così semplice. Radiologicamente non si osservano alterazioni e alla palpazione, senza un’adeguata, esperienza non si percepisce granché. Il segno più eclatante è di tipo clinico e consiste nell’incapacità da parte del soggetto di muovere le ali in maniera simmetrica. Sempre per quanto attiene all’aspetto sanitario, non dobbiamo tralasciare le zoonosi che possono essere trasmesse da questi animali. Non esistono casi riportati di trasmissione, ma sono stati isolati dai rondoni numerosi agenti eziologici potenzialmente pericolosi anche per l’uomo.
I ricoveri di Rondone al CRUMA nel 2009 sono stati 265 che rappresentano il 8,6% del totale dei ricoveri, di questi 92 erano individui adulti e 173 pullus e giovani. Fra gli esiti spicca la liberazione con l’75% dei soggetti ricoverati reintrodotti in natura.
Figura 3 ‐ Pulllus di rondone (Apus apus)
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INTRODUZIONE L'analisi dei dati che possiamo raccogliere in un Centro di Recupero, seppur limitati e distorti, ci può offrire la possibilità di conoscere più a fondo lo stato e le caratteristiche specifiche di una determinata specie. In questo lavoro, per esempio, è stato possibile stabilire le principali cause di ricovero del rondone sia in età adulta, sia in età pre‐svezzamento (pullus). È stato altresì possibile identificare in maniera scientificamente corretta le tecniche diagnostiche più idonee per la valutazione sanitaria di tale specie. È stata infatti dimostrata la totale inutilità dell'esame radiografico per la diagnosi di sublussazione della spalla che è la prima causa di ricovero nell'adulto. Le principali implicazioni di questo lavoro sono:
1. una maggior conoscenza della specie osservata in un contesto particolare poco studiato e analizzato come quello dei Centri di recupero
2. divulgazioni di utili e basilari informazioni per gli addetti ai lavori presso altre strutture ed enti
ambientalisti che svolgono le loro attività a stretto contatto con avifauna selvatica.
MATERIALI E METODI Nel nostro studio la maggior parte del lavoro è stato caratterizzato dall'analisi dei dati numerici relativi agli individui ricoverati. Come si nota dalla figura 1, il maggior numero di ricoveri si ha nel periodo estivo, momento che coincide con l'arrivo dei pulli (figura 3) che rappresentano la fetta più grande dei ricoveri (figura 2). In figura 4 un ulteriore esempio di causa di ricovero e relativa terapia (figura 5). La parte più sperimentale è stata caratterizzata dall'esecuzione di esami batteriologici e micologici di cloaca ed ingluvie in numerosi pullus e dall'esame radiografico dell'articolazione scapolo‐omerale di individi adulti. I risultati ottenuti ci hanno portato a trarre delle significative conclusioni.
Figura 4 ‐ Adulto di Rondone (Apus apus). Nella fotografia è visibile il risultato dell'intervento di ricostruzione dela superficie portante dell'ala destra per mezzo della tecnica detta imping che consiste nel rimpiazzare le penne mancanti o rovinate con penne buone prelevate
dalle spoglie di altri individui.
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CONCLUSIONI I dati salienti emersi da questo lavorono sono:
- la percentuale di esemplari appartenenti alla specie rondone ricoverati nel 2009 è stata pari al 8,6%
del totale dei ricoverati. - L'affluenza maggiore si è avuta nel
periodo estivo ed esattamente fra giugno e luglio
- La causa maggiore di ricovero nell'adulto è stata la sublussazione della spalla che viene diagnosticata clinicamente e che non prevede terapie idonee.
- L'altra causa di ricovero dell'adulto, l'avulsione traumatica delle penne, prevede un'azione terapeutica efficace caratterizzata dalla sostituzione di penne non idonee al volo con altre sane
- Le principali patologie del pullus sono state determinate da infezioni batteriche da batteri Gramm‐ e lieviti, che prevedono terapia efficace.
In conclusione è accettabile affermare che con questo studio è stato possibile standardizzare l'intera gestione della specie
rondone: sia per quanto riguarda gli individui pre‐svezzamento (pulli), sia per quanto riguarda gli individui adulti.
Figura 5 ‐ Adulto di Rondone (Apus apus) inabile al volo per ablazione traumatica di alcune penne remiganti dell'ala sinistra e
di gran parte delle penne timoniere
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Time distribution of Common swift (Apus apus)
at CRUMA LIPU Rescue Centre during 2009
0
20
40
60
80
100
120
January February March April May June July August September October November December
mont hs
Hospedalization causes for Common swift (Apus apus) at CRUMA LIPU
Rescue Centre in 2009
Other cause2
(1%)Unspecified cause
5(2%)
Predation5
(2%)
Debilitation6
(2%)
Impact53
(18%) Nestling227
(75%)
Figura 7 ‐ Cause di ricovero di Rondone (Apus apus) presso il CRUMA nel 2009
Figura 6 ‐ Distribuzione temporale di rondone (Apus apus) presso il CRUMA
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I GALLIFORMI COME PET Tamara Vela Gil1 DVM, MRCVS 1 www.avesexoticasvalencia.com I galliformi sono stati tenuti tradizionalmente come pollame per la carne e le uova, oppure come selvaggina. Recentemente, invece li troviamo anche come pet e ciò ha comportato un aumento delle richieste di visite cliniche su queste “nuove” specie di animali d’affezione. GESTIONE DEI GALLIFORMI 1. STABULAZIONE ALL’ ESTERNO Nel caso in cui questi animali siano tenuti in ambiente esterno hanno necessità di una spazio sufficiente per camminare e “razzolare” nel terreno. Il pollaio, ovvero l’ambiente in cui questi animali trovano rifugio alla notte deve essere razionalizzato ovvero facile da pulire e ben areato per evitare il ristagno dell’ammoniaca. Al fine di proteggere questi animali da eventuali predatori tutte le pareti, il tetto e il pavimento del pollaio devono essere dotati di rete a maglia sottile o apposite reti da pollaio. Nelle regioni in cui gli inverni sono rigidi dovrebbe essere attrezzato il pollaio con un sistema di riscaldamento al contrario, nelle regioni con climi caldi dovrebbe essere approntato un sistema di condizionamento. 2. STABULAZIONE ALL’ INTERNO I galliformi possono essere tenuti anche dentro casa ma è fortemente consigliabile che quotidianamente possano avere accesso ad un’area esterna (anche un piccolo giardino) perché si possano muovere, razzolare e fare delle sabbiature. Lo spazio a loro dedicato, anche in giardino può essere delimitato con una palizzata.
I substrati ideali per queste specie sono la carta di giornale, i pellets di carta riciclata, il fieno o la paglia che, quotidianamente, devono essere puliti e/o sostituiti. ALIMENTAZIONE DEI GALLIFORMI L’alimentazione a base di semi non è affatto adeguata per i galliformi infatti, la maggior parte dei galliformi tenuti come pet quali il fagiano comune, il fagiano dorato, il fagiano di lady Amherst, il tacchino comune, i pavoni e le galline domestiche, sono animali onnivori perciò è consigliabile alimentarli con diete commerciali formulate (estruso o pellets) con concentrazioni variabili di proteine, calcio e valori energetici variabili a seconda dell’attitudine dell’animale (ovaiole, da carne, selvaggina) o del particolare momento fisiologico. Durante la stagione riproduttiva o nei pulcini, la miscela commerciale deve avere una concentrazione di proteina dal 20‐25%, ed il cibo deve essere somministrato ad libitum. Al di fuori della stagione riproduttiva e negli adulti inattivi è sufficiente con un livello di proteina dal 16‐20%, da somministrarsi varie volte nel arco della giornata in piccole quantità. Come integrazione alle miscele commerciali dobbiamo aggiungere verdure quali insalata e scarti dell’alimentazione umana di origine vegetale. Come arricchimento ambientale ed allo stesso tempo integrazione proteica, possiamo fornire periodicamente lombrichi e tarme della farina. Alcune specie di galliformi si nutrono quasi esclusivamente di vegetali, tra queste ci sono: Il fagiano insanguinato, il fagiano koklass, e i tetraonidi. Tutti i galliformi devono avere a disposizione del grit con particelle di calibri diversi. L’alimentazione con avanzi di casa, deve essere sconsigliata ai proprietari che intendono tenere questi animali come pet poiché tendono a causare obesità. Le esigenze nutrizionali dei pappagalli ed i galliformi onnivori tenuti come pet
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probabilmente sono simili anche se sono possibili alcune variazioni in relazione all’attitudine dell’animale. Per tanto, le galline domestiche alimentate esclusivamente con semi o mais soffriranno degli stesse patologie carenziali o da eccessi alimentari dei tradizionali pet bird come gli psittaciformi. Questi squilibri possono quindi causare patologie cutanee, epatiche, cardiache, renali (gota articolare), neurologiche e riproduttive. GESTIONE SANITARIA Come qualunque altro animale da compagnia, anche i galliformi dovrebbero essere sottoposti a visite di controllo almeno una volta all’anno. Dai cinque anni in poi, il controllo dovrà includere almeno un esame ematologico completo, un esame radiologico ed un esame ecocardiografico poiché i galliformi soffrono con una certa frequenza di malattie cardiovascolari in età adulta. Per quanto riguarda le vaccinazioni, se le galline vivono in piccoli gruppi queste sono sconsigliabili sia per il costo delle vaccinazioni sia per la difficoltà di esecuzione. Pertanto, la Medicina Preventiva in queste specie consiste
- nell’eseguire un’adeguata quarantena dopo l’acquisto da eseguirsi in modo rigoroso prima del contatto con il resto del gruppo
- un controllo veterinario completo annuale, che dovrà includere:
• Segnalamento ed anamnesi dell’animale: Età, alimentazione, eventuali trattamenti antiparassitari eseguiti, ecc...
• Visita clinica completa dell’animale: cavità orale, presenza di secrezioni respirazioni anormali, rumori respiratori, esame della cloaca, condizione corporea (il peso esatto dell’animale è importante), condizione del piumaggio, etc...
• Esame parassitologico delle feci: a fresco e per flottazione.
• Sverminazione e trattamenti antiparassitari esterni.
• Dare consigli al proprietario sulla gestione alimentare ed ambientale dell’animale (se è il primo galliforme che hanno o se la specie è diversa dal precedente animale).
• Dovremmo avvertire i proprietari sulle possibile zoonosi:
o Tuberculosi (Mycobacterium avium)
o Salmonellosi (Salmonella pullorum) e colibacillosi (E.coli)
o Chlamydiosi (Chlamydophila psittaci)
o Erysipelothrix insidiosa PATOLOGIE INFETTIVE ED INFESTIVE DEI GALLIFORMI PARASSITI INTERNI Coccidiosi:
- Eimeria: Nei Galliformi Eimeria è la piú frequente. - Isospora. - Cryptosporidium spp: Possono colpire alle galline, tacchini, Pavoni e fagiani, e sono stati trovati al tratto respiratorio, digerente ed ai reni. Raramente è considerato un patogeno primario, ma opportunista perchè colpisce più gravemente gli animali immuno compromessi. Si ritiene che non sia una zoonosi.
Protozoi
- Histomonas: Molto frequente. Nei tacchini e pavoni produce la “Black head disease”. S’infettano ingerendo la larva del nematode Heterakis gallinarum. Puó causare tifliti, necrosi epatica e ascite. L’indice di mortalità nei tacchini piccoli è alto.
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- Trichomonas spp: T.gallinarum e T.gallinae . T. Gallinarum colpisce sopratutto le galline domestiche ed ai tacchini, e colpisce il tratto digerente, nonostante T.gallinarum colpisce tutte le specie di Galliformi e si localizza nella cavità orale, faringe e tratto respiratorio superiore. Il parásito causa infiammazione e necrosi della mucosa orale, esofagica o respiratoria tracheale con sedimentazione di un materiale caseoso giallastro caratteristico. Il contatto con piccioni non controllati è un fattore di rischio. - Hexamita meleagridis: Colpisce sopratutto i tacchini e di solito possono essere trovati nel tratto digerente superiore. Poco patogenici.
Nematodi:
- Ascaridia spp. - Tenie: per ingestione di ospiti
intermedi come lumache, vermi o artropodi.
PARASITI ESTERNI:
Nei galliformi possiamo ritrovare una grande quantità di parassiti esterni, tra i quali gli artropodi (Cimex lecturarius), i pidocchi masticatori, pulci (Ceratophylus gallinacea “European chick flea”), zecche (Ixodes ricinus) ed acari (Dermanyssus gallinae). Si può usare l’ivermectina come trattamento preventivo o curativo al dosaggio di 0,2 mg/kg SC. VIRUS:
- Avianpoxvirus: i vettori del virus
sono le zanzare. In zone con un’alta concentrazione di zanzare si consiglia di vaccinare i pulcini di 10‐14 giorni di età.
- Herpesvirus:
o (HPV‐alpha) Laringotracheite infettiva: colpisce galline, fagiani.... e altri galliformi. E’ una malattia respiratoria a decorso acuto. I sintomi sono soltanto respiratori: tosse, dispnea, espettorazione di materiale mucoso e sanguinolento
o Malattia di Mareck: Questo herpesvirus causa una neurite linfocitica che colpisce i nervi periferici. L’animale può mostrare paresi o paralisi. Possono trovarsi tumori associati al virus di Mareck in qualsiasi tessuto, ma sono piú frequenti nella cute, occhi, muscolatura e le ossa.
o Paramixovirus‐1 :Causa la malattia di Newcastle. Le vie d’infezione sono quella digestiva e quella respiratoria. L’animale puó mostrare sintomi che vanno dalla morte improvvisa, passando per la diarrea acuta, a sintomi nervosi quali opistotono, torcicollo, tremori e paralisi. Secondo il regolamento di polizia veterinaria questa malattia deve essere denunciata obbligatoriamente.
MALATTIE BATTERICHE
I galliformi possono essere colpite da una varietà di malattie batteriche come per esempio:
- Chlamydophila spp.: la diagnosi segue un iter identico delle altre specie, così anche il suo trattamento.
- Tubercolosi aviare: causata da Mycobacterium avium, Mycobacterium intracellularis ed altri. Malattia cronica
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granulomatosa. I tubercoli si localizzano generalmente nel tratto digerente, fegato e milza. La diagnosi si ottiene attraverso l’esame anatomopatologico postmortem degli organi colpiti oppure antemortem mediante la colorazione di Zielh‐Neelsen delle feci.
- Escherichia coli: I sintomi possono essere digerenti, respiratori, articolari a seconda della sua patogenicità e dello stato immunitario dell’animale.
- Salmonella insidiosa: Puó causare anche problemi intestinali, respiratori, malessere generale, etc...
CONCLUSIONI Lo stato di salute dei galliformi quindi, non dipenderà soltanto della gestione sanitaria, ma da una combinazione tra la genetica individuale, la gestione ambientale e la corretta nutrizione. È per questo motivo che mantenere agli animali nelle condizioni adeguate e con un’alimentazione corretta è della massima importanza per garantire il benessere anche ai galliformi tenuti come pet nelle nostre case.
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SECONDO GIORNO
DOMENICA 10 OTTOBRE 2010
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DIAGNOSI E TRATTAMENTO DI UNA INSOLITA FORMA NEUROLOGICA IN UN FURETTO VALERIA DEL DUCA1, DVM 1Medico Veterinario Roma, [email protected] Anamnesi nel marzo del 2009 è stato portato in visita un furetto albino di 7 anni di nome Birba che presentava alopecia bilaterale estesa alla zona dei fianchi, della coda e a parte del torace, prurito intenso, infiammazioni cutanee, iperplasia vulvare, anoressia, letargia, dimagramento marcato nelle ultime settimane attacchi periodici di nausea che si manifestavano con continui masticamenti a vuoto ed ipersalivazione, atassia, debolezza del posteriore e da un punto di vista prettamente neurologico manifestava nistagmo, crisi convulsive e attacchi di aggressività alternati a paura rivolti verso il vuoto che dal proprietario venivano interpretate come vere e proprie "allucinazioni". Procedure diagnostiche e primo approccio terapeutico Sono stati eseguiti esami del sangue, lastre ed ecografia addominale per confermare il sospetto diagnostico di insulinoma associato ad iperplasia delle ghiandole surrenali. Dall'ecografia è stato possibile mettere in evidenza la presenza di due noduli a livello della porzione pancreatica di sinistra e un’iperplasia di entrambe le ghiandole surrenali. Le analisi del sangue hanno confermato un’ipoglicemia marcata associata ad un insufficienza renale. Dopo un periodo di terapia medica con iperglicemizzanti quali Prednisolone alla dose di 0,5 mg/kg ogni 12h e Diazzossido nella
dose di 5 mg/kg 2 volte al giorno è stato consigliato l'intervento chirurgico per asportare i noduli pancreatici ed eventualmente, qualora le condizioni del soggetto l'avessero ritenuto possibile, di intervenire anche su una delle due ghiandole surrenali. Durante l'intervento si è deciso di asportare i noduli pancreatici e la ghiandola surrenale di sinistra. Dopo un iniziale miglioramento il furetto ha presentato di nuovo i sintomi ascrivibili ad iperadrenocorticismo per cui si è deciso di trattarlo con una terapia medica rappresentata da somministrazioni sottocutanee mensili di Leuprorelina, una sostanza che antagonizza il GNRH, bloccando la produzione di LH e FSH indotta dalla persistente stimolazione dell’ipofisi conseguente al feedback negativo, nella posologia di 100 Ui/kg. Al controllo successivo, nonostante la terapia, Birba continuava a presentare dei sintomi ascrivibili sia ad iperadrenocorticismo sia, soprattutto, ad una compressione intracranica, vale a dire convulsioni, cambi di comportamento repentino, nistagmo e difficoltà ad iperestendere la testa verso l’alto. Le analisi del sangue e l'ecografia nuovamente effettuate non hanno rilevato anomalie associabili ai sintomi riferiti ed osservabili. Si è quindi deciso di proporre un’ulteriore indagine diagnostica, rappresentata dalla risonanza magnetica per escludere o confermare un problema all'encefalo. La risonanza magnetica La risonanza magnetica produce immagini di sezioni del corpo animale ed umano visualizzate su monitor e prodotte grazie all’aiuto di sofisticati computer. Il principio del suo funzionamento è piuttosto semplice: l’organismo è costituito per due terzi di acqua, la cui quantità varia a seconda dei tessuti e delle loro eventuali condizioni
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patologiche. Un potente campo magnetico esterno costringe le molecole d’acqua del corpo a cambiare stato energetico, “orientandole” secondo le linee di forza del campo magnetico prodotto, come gli aghi di una bussola. Se i protoni di idrogeno presenti nei tessuti vengono colpiti da un’onda radio di frequenza adatta a farli vibrare, essi entrano in risonanza. Nel tornare allo stato di equilibrio emettono a loro volta un segnale in forma di onde elettromagnetiche che rappresenta la base della generazione delle immagini della risonanza magnetica. I passaggi di livelli energetici per tornare allo stato originario vengono definiti “tempi di rilassamento” T1 e T2. Al tempo T1 vengono messi in evidenza per lo più il tessuto adiposo e le strutture parenchimatose mentre al tempo T2 si evidenziano i liquidi. Le sequenze Fluid‐Attenuated Inversion Recovery (FLAIR) forniscono immagini pesate in T2 con soppressione del segnale liquorale che appare ipointenso, sono sequenze preferite in umana per evidenziare le lesioni da sclerosi multipla. Il mezzo di contrasto generalmente serve per identificare, a seconda della quantità che viene captata, una infiammazione o, per alcuni tumori, il grado di differenziazione. La risonanza magnetica di Birba Dall’esame effettuato è stato possibile evidenziare un’area di segnale anomala a livello del recesso pineale del terzo ventricolo iperintenso nelle sequenze pesate in T2 ed iso‐ipointenso nelle sequenze pesate in T1 e Flair. Dopo la somministrazione di mezzo di contrasto paramagnetico si è rilevato una lieve captazione superiore alla norma a carico delle meningi adiacenti alla lesione precedentemente descritta. La risonanza magnetica metteva in evidenza un area edemigena a livello della ghiandola pineale nel cui contesto non si poteva escludere una massa di tipo neoplastico.
Cenni di anatomia e fisiologia della ghiandola epifisaria L’epifisi è una piccola struttura ghiandolare endocrina a forma di pera, connessa all’estremità posteriore del terzo ventricolo e accolta nel solco longitudinale che separa i tubercoli quadrigemellari anteriori. Si presenta alla descrizione con un corpo di forma ovoidale, un apice libero ed una base vincolata alla volta del terzo ventricolo. Nella base si spinge un diverticolo del terzo ventricolo che forma il recesso epifisario delimitato da due peduncoli; di questi, il primo raggiunge la commessura abenulare, il secondo quella posteriore. L’epifisi origina, durante il periodo embrionale, come estroflessione della volta del terzo ventricolo. Le sue cellule si differenziano presto in elementi di aspetto epiteliale che appaiono inframezzati a mesenchima da cui deriva un connettivo molto vascolarizzato. Struttura dell’epifisi La ghiandola pineale è avvolta dalla pia madre che le fornisce una sottile capsula connettivale da cui hanno origine alcune trabecole; queste suddividono il parenchima in piccoli lobuli. Verso la base lo stroma si riduce ed è sostituito da formazioni gliali. Le cellule principali, o pinealociti, derivano dal neuroectoderma e producono l'ormone melatonina che regola il ritmo circadiano sonno‐veglia, reagendo al buio o alla poca luce. La melatonina è prodotto a partire dal neurotrasmettitore serotonina (5‐idrossi‐triptamina) per N‐acetilazione e ossi‐metilazione. La ghiandola pineale secerne questo ormone solo di notte: poco dopo la comparsa dell'oscurità le sue concentrazioni nel sangue aumentano rapidamente per poi ridursi gradualmente all’approssimarsi del mattino. L'esposizione alla luce inibisce la sua produzione in misura dose‐dipendente. La melatonina sembra antagonizzare gli ormoni gonadotropi dell’ipofisi sopprimendo
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la prolattina e il progesterone e quindi modererebbe la loro azione sulle gonadi; per questa sua azione l’epifisi sembra rappresentare uno dei principali responsabili delle variazioni ritmiche dell'attività sessuale, sia giornaliere sia stagionali. Tumori dell’epifisi Accanto ai pinealomi, pinealoblastomi e pinealocitomi, sviluppatisi da elementi cellulari propri dell’epifisi, si possono osservare gliomi (tumori che istogeneticamente prendono origine dalle cellule della macroglia) teratomi (tumori che originano da cellule embrionali totipotenti) e germinomi simili ai germinomi delle gonadi o mediastinici. I germinomi possono anche svilupparsi a livello dell’ipotalamo dove sono stati descritti con la definizione di “pinealociti ectopici”. Diagnosi e terapia Quindi come ci comportiamo con Birba? La sintomatologia da iperadrenocorticismo e la sintomatologia da compressione endocranica a questo punto sarebbero potute derivare dalla lesione endocranica. Che tipo di approccio possiamo utilizzare? In umana le neoplasie pineali sono molto rare e vengono trattate con una terapia radiante cercando di evitare l’approccio chirurgico data la difficoltà di accesso all’epifisi. In veterinaria che alternative abbiamo? Esistono studi fatti da Jorge Mayer e da Eguchi e Kawamoto et alt. sull’utilizzo della cabergolina per il trattamento di un macroadenoma ipofisario in dei ratti. La Cabergolina La cabergolina è un derivato ergolinico che presenta una potente e protratta attività antiprolattinica dovuta allo stimolo diretto dei recettori dopaminergici (D2 ) presenti sulle cellule prolattino secernenti.
Diagnosi differenziali Infiammazione. Edema vasogenico. Neoplasie originatesi dal tegmento mesencefalico. Neoplasie originatesi dal terzo ventricolo. Germinoma simile a quello delle gonadi. Teratoma. Pinealoma ectopico. Metastasi di tumori primari localizzati nell’adenoipofisi. Adenoma ipofisario secernente (nei cani spesso i tumori prolattino secrenenti possono essere composti da poche cellule non evidenziabili alla risonanza magnetica). Neoplasie del collicolo superiore, dello splenio, dell’acquedotto cerebellare, del cervelletto, o comunque di quelle strutture adiacenti la ghiandola pineale. Terapia La terapia è stata cominciata immediatamente con la somministrazione di cabergolina nella dose di 0,6 mg/Poq 72. Alla visita di controllo, effettuata quattro settimane dopo l’inizio della terapia, abbiamo potuto constatare una netta remissione della sintomatologia neurologica e dei sintomi legati all’iperadrenocorticismo. Potevamo infatti notare l’assenza totale di crisi convulsive e nistagmo, la ricrescita dei peli sulla coda e sull’addome e la diminuzione di volume della vulva, nonostante la mancata somministrazione della dose mensile di Lupron. Ai controlli successivi le condizioni dell’apparato tegumentario e riproduttivo sono andate nettamente migliorando fino alla totale ricrescita del pelo. Il furetto ha avuto un’ottima qualità di vita per altri dieci mesi fino a quando, nell’ultima visita svoltasi nel settembre del 2010, un ipoglicemia marcata e un’insufficienza renale ormai irreversibile hanno costretto i proprietari ad optare per l’eutanasia.
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Conclusioni Non è stato possibile eseguire l’esame autoptico, ma la remissione dei sintomi è stata eclatante. Probabilmente la cabergolina può aver agito su più fronti: riducendo l’eventuale tumore come se fosse un prolattinoma ipofisario (diminuendo quindi l’ingombro fisico all’interno della scatola cranica) antagonizzando gli effetti dell’iperprolattinemia come dopamino agonista, e come tale agendo a livello centrale favorendo la liberazione della stessa dopamina. Bibliografia:
1. Eguchi K, Kawamoto K, Uozumi T, Ito A, Arita K, Kurisu K.: Effect of cabergoline, a dopamine agonist, on estrogen‐induced rat pituitary tumors: in vitro culture studies. 1995.
2. Gavelli Lentini: Guida alla diagnostica per immagini con le tecniche computerizzate. Piccin, volume 1, 1999, pp 177‐180.
3. James G. Fox, dvm: Byology and
diseases of the ferret. Lippincott Williams & Wilkins, second edition, 1998, pp 71‐102.
4. John H. Lewington: Ferret Husbandrry
medicine and surgery. Saunders Elsevier, second edition, 2007, p 357.
5. Jorg Mayer, DVM, MSC, Julie
Decubellis, DVM: Use of cabergoline in the treatment of a pituitary macroadenama in a rat. 2009.
6. G. V. Pelagalli‐V. Botte: Anatomia
veterinaria sistematica e comparata. Edi Ermes, terza edizione, p 345.
7. Prontuario terapeutico veterinario. EV, quinta edizione, 2009, p 91.
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NUOVE METODOLOGIE DIAGNOSTICHE NEL CAMPO DEI VOLATILI ORNAMENTALI Dania Bilato1, DVM 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD) In questi ultimi decenni abbiamo potuto assistere ad un imponente impulso propositivo con conseguente sviluppo della diagnostica di laboratorio applicata alla Medicina Veterinaria. Questo impulso è ascrivibile principalmente alla maggiore e consapevole richiesta da parte dei colleghi Medici Veterinari, ma anche allo sviluppo ed acquisizione di nuove tecnologie e metodologie in campo diagnostico. Attualmente in alcuni settori della Medicina Veterinaria è già presente una ampia ed ottima offerta diagnostica, purtroppo per altri settori, tra cui il comparto dei volatili ornamentali tale offerta risulta essere ancora carente per alcuni aspetti. Se analizziamo attentamente tale settore possiamo notare alcune importanti differenze. Per esempio, i psittaciformi hanno rappresentato e tuttora rappresentano la categoria di volatili ornamentali per la quale sono state pervenute e vengono formulate la maggior parte delle richieste. Infatti ad oggi queste sono tra le specie che possono beneficiare del più ampio ventaglio di possibilità diagnostiche di tipo laboratoristico per le loro principali malattie, basta solo ricordare l’utilizzo della biologia molecolare per la diagnostica di importanti patologie quali Chlamydiosi, Polyomavirosi, PBFD (Psittacine Beak and Feather Disease) e la malattia di Pacheco. Tutt’altra cosa è invece rilevabile in altri comparti specializzati o di nicchia della medicina aviare ornamentale tra cui possiamo ricordare, il comparto dei passeriformi, dei turdidi e dei falconiformi,
dove però la richiesta diagnostica e l’interesse per tali specie è in costante aumento. Si sta comunque cercando di sopperire a tale carenza di offerta laboratoristica attraverso l’applicazione e lo studio di nuove metodiche anche grazie alla collaborazione dei colleghi di campo. In particolare l’attività diagnostica laboratoristica proposta nel settore dei volatili ornamentali presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, si avvale di diverse metodiche già impiegate con ottimi risultati in altre specie aviarie o animali di interesse zootecnico. Lo sviluppo o l’applicazione di una nuova metodica necessita di un impegno di risorse che i settori zootecnici possono naturalmente sostenere, mentre le specie non convenzionali considerate minori hanno sicuramente minori possibilità. Anche se, come dimostrato dal settore degli psittaciformi, le possibilità diagnostiche possono essere sviluppate anche per uccelli di tipo ornamentale. Tuttora l’attività diagnostica nell’ambito del settore dei volatili ornamentali necessita sicuramente di nuove metodiche e nuove analisi che facilitino il Medico Veterinario Aviare nel percorso diagnostico, incrementando in tal modo il livello di efficacia ed efficienza dello stesso. Sicuramente per ottenere tali risultati occorre tenere in debito conto le difficoltà di campionamento in alcune specie, come ad esempio, il prelievo ematico nelle specie aviarie di piccola taglia. Per assurdo, potremo immaginare la possibilità di espansione di metodiche sierologiche per specie quali il colibrì, dove metodiche su campioni di sangue forse non sono nemmeno proponibili. Per tale motivo sarebbe necessario ed utile lo sviluppo di metodologie che permettano di ottenere la diagnosi attraverso l’analisi di campioni di differenti matrici e strettamente in funzione della specie aviare implicata, come tamponi faringei, cloacali o deiezioni, campionamento dell’aria stessa dell’allevamento, sicuramente di più
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semplice raccolta. Per questa ragione una stretta collaborazione tra clinici e laboratoristi dovrà essere sempre più sviluppata. La diagnostica di laboratorio è una disciplina molto vasta che studia l’applicazione di differenti metodologie cercando di valutare le performance di determinati test. Ogni test diagnostico presenta pregi e limiti in termini di applicabilità, sensibilità, specificità, che dovranno essere opportunamente presi in considerazione per la formulazione della diagnosi. Per esempio, le modalità di prelievo e trasporto dei campioni costituiscono un punto critico per alcune metodiche, poiché un errato campionamento o trasporto potrebbe inficiare la corretta applicazione della metodica compromettendo o alterando l’esito diagnostico con conseguenti risvolti di facile immaginazione. Per tale motivo per il Clinico, risulta essere molto utile comunicare al laboratorio il proprio sospetto ai fini di permettere al Veterinario laboratorista di consigliare la modalità di prelievo e di trasporto più adeguate, ed inoltre le indagini e le metodiche più idonee per quel determinato sospetto diagnostico. La conoscenza dei limiti delle prove, delle possibilità diagnostiche e delle modalità di conferimento dei campioni deve far parte delle competenze del Medico Veterinario che si occupa di specie aviari non convenzionali poiché lo pone in condizioni di aumentare le sue capacità e possibilità diagnostiche attraverso l’utilizzo appropriato e specifico di determinati test. La collaborazione tra Medici Veterinari clinici e laboratoristi può inoltre permettere lo sviluppo e l’approfondimento di nuove tematiche e aree di ricerca, cercando di migliorare i test diagnostici a disposizione per determinate e particolari specie. Per tali motivi il laboratorio diagnostico specializzato costituisce per il Medico Veterinario che si occupa di clinica un valido ausilio diagnostico che se opportunamente utilizzato può anche, per le specie aviari non
convenzionali, rappresentare un punto di riferimento, di confronto e di supporto alla diagnosi. Pertanto il collega libero professionista dovrebbe sfruttare le potenzialità del laboratorio ed interagire attivamente con esso, manifestando l’interesse verso lo studio di determinate patologie o manifestazioni cliniche al fine di sviluppare metodiche più adeguate. In conclusione il laboratorio diagnostico, è a nostro parere un valido strumento a disposizione del Medico Veterinario Clinico, ma come tutti gli strumenti questo dovrà essere utilizzato in modo consapevole ed appropriato. Recentemente l’approfondimento e lo studio di specifiche tematiche sanitarie suggerite direttamente da Voi clinici, ha permesso di sviluppare e migliorare un approccio diagnostico di tipo laboratoristico nei confronti di determinate patologie quali ad esempio: la Circovirosi dei passeriformi e dei columbiformi, l’Atoxoplasmosi, la Clamidiosi e la Proventricolite Dilatativa, oltre che altri studi con conseguente aumento delle conoscenze in ambito batteriologico, parassitologico e virologico. E’ necessario quindi un approccio diagnostico specialistico per l’approfondimento delle competenze sanitarie e lo sviluppo di nuove tecniche di laboratorio. Metodiche che permettano un aumento complessivo della sensibilità nei confronti di particolari patologie. Rimane quindi a Voi colleghi liberi professionisti la scelta di utilizzare il laboratorio in modo a Voi più utile.
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APPROCCIO AL TOPO E AL RATTO COME ANIMALI DA COMPAGNIA Cristiano Papeschi1, DVM 1 Università degli Studi della Tuscia, Viterbo
Ormai il mondo degli animali esotici è stato, e ne siamo lieti, invaso da quasi ogni specie possibile ed immaginabile. In questo panorama si stanno inserendo anche animali un tempo considerati “infestanti” ma che, osservati sotto un’altra ottica, nulla hanno da invidiare ai più inflazionati criceti, cincillà o gerbilli. Il topo ed il ratto sono appartenenti al sottordine Sciurognati, fam. Muridae, sottofamiglia Murinae, gen. Mus e Rattus, di cui le specie maggiormente utilizzate come pet sono il Mus musculus, Rattus rattus e soprattutto Rattus norvegicus. Questi animali non sono solo ottimi soggetti da compagnia ma spesso vengono allevati anche per l’alimentazione di rettili e rapaci. IL TOPO Particolarità anatomiche e fisiologiche La lunghezza del corpo, coda esclusa, è di 6‐12 cm, mentre quest’ultima può arrivare fino a 10 cm. Il colore del pelo varia dal bianco (albino) fino al grigio scuro o brunastro e il peso corporeo dell’adulto è compreso tra i 20 e i 50 g. Le orecchie sono piccole e gli occhi di colore nero, ad eccezione dei topi albini in cui assumono un colore rosso dovuto all’assenza genetica di pigmentazione. A seguito delle ridotte dimensioni corporee il topolino possiede un metabolismo molto elevato con frequenza cardiaca (325‐780/min) e respiratoria (60‐220/min) anch'esse molto elevate e una temperatura corporea compresa tra i 36,5 e i 38°C. La formula dentaria è: I 1/1, M 3/3 (I = incisivi,
M = molari), con un totale di 16 denti. Ha un diastema lungo per la mancanza di premolari e canini. Il topo è un animale onnivoro e gli incisivi sono a crescita continua che viene naturalmente contenuta mediante un consumo costante delle superfici masticatorie. Il canale inguinale permane aperto anche nell’adulto, per cui i testicoli possono essere presenti nello scroto oppure ritenuti in addome. Il torace è provvisto di 3 paia di mammelle mentre l’inguine di 2 paia. Lo stomaco risulta diviso in due parti funzionali: una secretoria ghiandolare ed una non ghiandolare. In virtù della sua attività prevalentemente notturna, il Mus musculus non ha una vista particolarmente acuta mentre le altre capacità sensoriali (udito, gusto ed olfatto) sono molto più sviluppate. In particolare l’udito è in grado di percepire un ampio range di ultrasuoni e l’olfatto di captare anche a grande distanza i feromoni utilizzati comunemente per la comunicazione. Il sessaggio si effettua sul rilievo della presenza dei capezzoli (ben visibili nella femmina) e sulla distanza ano‐genitale (distanza tra l’ano e gli organi genitali esterni) che nel maschio è circa 1,5‐2 volte rispetto a quella della femmina.
Figura 8 ‐ Maschio
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La vita riproduttiva di una femmina dura fino a 7‐18 mesi con 6‐10 figliate. Il topo è una specie poliestrale continua (ha più calori in successione) per cui è in grado di riprodursi durante tutto l’anno. Il primo estro si ha a 28‐40 giorni ma è meglio aspettare almeno fino ai 50 giorni di età per il primo accoppiamento. Un animale troppo giovane potrebbe essere ancora non adeguatamente sviluppato; un accoppiamento eccessivamente precoce ne comprometterebbe la vita riproduttiva oltre a determinare un sottosviluppo per l’animale stesso e rischio di morte per i feti. Al contrario un accoppiamento tardivo (oltre le 10 settimane) può comportare distocie (problemi di parto), saldatura della sinfisi pubica, infarcimento di grasso del canale del parto, agalassia (mancata produzione di latte) per mancato sviluppo della mammella e cisti ovariche. Dopo l'accoppiamento la permanenza del tappo vaginale (secrezione delle ghiandole sessuali accessorie del maschio) dura per 16‐24 ore per cui la femmina può fare un solo accoppiamento al giorno. L'eiaculazione è sicura solo quando il maschio cade sul fianco. Il ciclo dura 4‐5 giorni con l'estro di 12 ore. Eccetto l'estro post partum (14‐28 ore dopo il parto) non ci sono altri calori durante la lattazione e se l'estro post partum non viene sfruttato il ciclo riprenderà 2‐5 giorni dopo lo svezzamento.
Femmine allevate in gruppo ed in assenza del maschio tenderanno a non andare in calore ma a seguito dell’introduzione del maschio il calore dovrebbe insorgere dopo circa 72 ore (effetto Whitten). Una pseudogravidanza può allungare il periodo tra due estri successivi. Intorno ai 13 giorni dall’accoppiamento si inizia a riscontrare un apprezzabile aumento di peso e i feti diventano palpabili. Allattamento e gravidanza simultanea allungano la gravidanza successiva di 3‐5 o più giorni per ritardo nell'impianto embrionale. La placenta è di tipo emo‐coriale quindi permette il passaggio di anticorpi al feto prima ancora dell’assunzione del colostro. La produzione ottimale di piccoli (10‐12) si ha tra la seconda e l'ottava gravidanza. I piccoli nascono dopo 19‐21 giorni e sono glabri e ciechi. Il peso alla nascita è di 0,75‐2,0 g. Le cure parentali sono frequenti ed attente e se la temperatura ambientale è troppo bassa la madre ricopre i piccoli col proprio corpo. Il pelo inizia a crescere già dal giorno successivo al parto e dopo il 10‐12° giorno ricoprirà tutto il corpo. I topolini vengono svezzati a 21 giorni salvo che la cucciolata non sia troppo numerosa o i piccoli poco sviluppati; in tal caso la durata dell’allattamento potrà protrarsi fino al 28° giorno di vita. I topolini, ai fini riproduttivi, possono essere allevati in colonia, in monogamia o in poligamia. Nella colonia vengono tenuti insieme un maschio e 2‐6 femmine e i piccoli tolti dopo lo svezzamento. La monogamia consiste nel tenere sempre insieme un maschio e una femmina e i piccoli tolti allo svezzamento. La poligamia consiste nel tenere insieme un maschio con 2‐6 femmine e togliere le femmine prima del parto. Colonia e monogamia riescono a sfruttare l'estro post parto in quanto rilevato direttamente dal maschio. Per sfruttare il primo calore anche nel metodo di allevamento di tipo poligamico le femmine dovrebbero essere riportate dal maschio tra le entro le 14‐28 ore dopo il parto,
Figura 9 ‐ Femmina
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mantenute sotto osservazione al fine di verificare il corretto svolgimento dell’accoppiamento con accettazione del maschio da parte della femmina, e, successivamente, restituite ai piccoli. Alimentazione In genere l'alimentazione dei topi come pet è a base di pellettati appositamente formulati, semi (mais, avena, frumento, miglio, orzo e girasole con attenzione a quest’ultimo in quanto carente in calcio e ricco in grassi e colesterolo), e alimenti fioccati. La dieta può essere variata aggiungendo un pochino di frutta, di verdura, di pane secco o qualche biscotto. Da tener presente che, spesso, il topo è portato a diffidare o rifiutare i cibi nuovi. Il consumo di cibo è in funzione del contenuto energetico e si aggira intorno ai 3‐5 grammi al giorno. FABBISOGNO
GRASSI PROTEINE
Mantenimento
4‐5% 14%
Accrescimento 7‐11% 17‐19%
Figura 10 ‐ Fabbisogni energetici del Topo
Nel topo la coprofagia (l’assunzione delle feci) è un’ulteriore fonte di nutrimento. Il fabbisogno giornaliero d’acqua si aggira intorno ai 3‐6 ml al giorno, a cui si può aggiungere cloro o aceto per evitare le proliferazioni batteriche. Sia acqua che cibo devono essere forniti a volontà. L’acqua viene comunemente dispensata attraverso bottiglie in plastica con beccuccio in acciaio mentre il cibo attraverso piccole mangiatoie (di solito in plastica). Sia abbeveratoi che mangiatoie devono essere mantenuti puliti e disinfettati costantemente.
Manipolazione Innanzitutto è bene tener presente che la cosa migliore da fare è abituare il nostro topolino sin da piccolo ad essere manipolato. Un animale adulto e non abituato ha la tendenza a diventare aggressivo e a mordere; questo aspetto non deve essere sottovalutato anche nell’animale spaventato o disturbato da influenze esterne. Tenendo bene a mente che il topo è una specie territoriale è consigliabile, prima di effettuare qualunque manipolazione, tirarlo fuori dalla gabbia. Un animale particolarmente tranquillo e fidato può essere sollevato semplicemente mettendo le mani a coppa. Un altro sistema più sicuro consiste nell’afferrare, con pollice ed indice, delicatamente il topino vicino all’attaccatura della coda poichè la punta spesso non è in grado di sopportarne il peso e si corre il rischio di arrecare danni all’animale. Nel caso di manipolazioni e pratiche che richiedono l’immobilizzazione dell’animale si può procedere in questa maniera: afferrare il topolino per la base della coda ed avvicinarlo alle maglie della gabbia in modo da permettergli di aggrapparsi con gli anteriori e mantenendo i posteriori sollevati; dopo di chè prendere la plica cutanea dorsale del collo tra pollice ed indice della mano destra (sinistra per i mancini) e posizionare la coda tra le restanti tre dita della stessa mano ed il palmo. Questa tecnica, utile soprattutto con soggetti molto aggressivi o nel caso di pratiche fastidiose come medicazioni o ispezioni sul corpo dell’animale, ci permette di immobilizzare il topolino lasciando libera una mano. Housing La misura minima consigliata per il pavimento della gabbia nel D. Lvo 27 gennaio 1992, n° 116, a cui si fa riferimento per il benessere degli animali da laboratorio, è di 200 cm2 per una coppia di adulti o per una
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madre con la nidiata fino allo svezzamento. Nel caso invece di animali allevati in gruppo (più di due soggetti) si consiglia una superficie minima di almeno 80 cm2/capo. Pertanto qualunque dimensione della gabbia superiore a queste indicazioni non può che migliorare le condizioni di vita dei topolini. L'altezza minima della gabbia deve essere almeno di 12 cm per consentire all’animale di assumere la stazione eretta. In commercio esistono diverse tipologie di gabbia alcune delle quali sono molto simili, per forma e dimensione, a quelle utilizzate per l’allevamento di piccoli volatili, quali canarini e pappagallini, che permettono inoltre all’animale di arrampicarsi. Vasche in vetro o plastica o addirittura dei piccoli acquari rappresentano un ottimo ricovero purché dotati di pareti sufficientemente alte e lisce oppure dispongano di un coperchio in maglia metallica (preferibilmente in acciaio e con maglie sufficientemente strette). In questo tipo di alloggiamenti è importante garantire una buona aerazione. Una colonia non dovrebbe essere composta da più di 30 soggetti altrimenti si possono verificare problemi di ordine gerarchico con conseguente aumento dello stress. Inoltre il sovraffollamento favorirebbe la comparsa di comportamenti aggressivi. I topi allevati singolarmente sono più ostili verso i conspecifici rispetto a quelli abituati alla vita sociale. Per la lettiera si possono utilizzare segatura o meglio trucioli fini di legno purché microbiologicamente puro e atossico (pino e cedro, ad esempio, risultano altamente nocivi). Per il nido si possono utilizzare trucioli di carta o cotone idrofilo. E’ consigliabile utilizzare gabbie con il pavimento pieno in materiale plastico piuttosto che quello in grigliato in quanto l’alta conducibilità del metallo determina dispersione termica e può provocare problemi nella termoregolazione soprattutto nei piccoli. E’ necessario, per quanto possibile, fornire un microclima adeguato ed evitare fluttuazioni dei parametri ambientali:
∙ temperatura di 20‐24°C ∙ umidità relativa 50‐60% ∙ ricambi d’aria circa 15/ora ∙ fotoperiodo (alternanza luce/buio) 14 ore
di luce e 10 ore di buio. Il topo si termoregola dilatando le vene della coda e quelle delle orecchie e sudando dalle ghiandole sudoripare poste tra i cuscinetti plantari. E’ possibile, anzi consigliabile, inserire nella gabbia “giocattoli” quali una ruota girevole, un piccolo tubo (di diametro adeguato, possibilmente maggiore di 5 cm), una casetta di plastica o semplicemente il tubetto in cartone dei rotoli di carta da cucina in modo da fornire all’animale dei passatempi ed evitare così la comparsa di comportamenti “stereotipati” o di autolesionismo. Per il nido si può utilizzare una cassettina posta internamente alla gabbia ma non è indispensabile in quanto, in mancanza di esso, la femmina gravida ricaverà una confortevole “nursery” scavando una piccola buca nel materiale della lettiera. E’ necessario pulire quotidianamente la gabbia rimuovendo le deiezioni e la lettiera bagnata dalle urine e provvedere periodicamente alla disinfezione delle superfici interne con frequenza variabile a seconda delle dimensioni della gabbia e del numero dei soggetti presenti. In media si consiglia la disinfezione una volta alla settimana facendo attenzione al risciacquo accurato e completo prima della ricollocazione degli animali.
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RATTO Particolarità anatomiche e fisiologiche Il ratto ha caratteristiche anatomiche molto simili al topo dal quale differisce fondamentalmente per l’assenza della cistifellea e per le dimensioni corporee. La lunghezza del corpo varia dai 15 ai 25 cm ed è raddoppiata se si considera anche la coda che misura da 10 a 25 cm. A seguito delle ridotte dimensioni corporee il ratto possiede un metabolismo piuttosto elevato con frequenza cardiaca (250‐450/min) e respiratoria (70‐115/min) anch'esse molto elevate e una temperatura corporea compresa tra i 37,5 e i 38,5°C. Testa: i denti sono in numero di 16 con incisivi a crescita continua e la formula dentaria è I 1/1; C 0/0; Pm 0/0; M 3/3: per la mancanza di canini e premolari il ratto possiede un diastema molto lungo. La sinfisi mandibolare rimane parzialmente articolata. Il muso è allungato e le orecchie sono proporzionalmente piccole; all’interno dell’orbita oculare è presente la ghiandola di Harder che produce un secreto di color rosso ricco di porfirine e lipidi che lubrifica gli occhi: in condizioni fisiologiche normali il secreto è raramente rinvenibile in quanto l’animale provvede a rimuoverne l’eccesso. Negli animali albini gli occhi si presentano rossi.
Figura 11 ‐ Teschio di Ratto
Torace: presenza di grasso bruno tra le scapole più abbondante nei giovani. Le mammelle, in parte toraciche ed in parte addominali, possiedono un tessuto molto
sviluppato che nella porzione toracica si estende dorsalmente quasi fino alle scapole. Addome: lo stomaco si presenta diviso in due porzioni ben distinguibili con una parte proventricolare rivestita da mucosa cheratinizzata ed una ghiandolare. La cistifellea è assente e il pancreas è di tipo diffuso. Le ghiandole surrenali sono distanti dai vasi renali e questo ne semplifica l’asportazione; i nefroni sono molto superficiali e quindi facilmente accessibili. Bacino: il canale inguinale rimane aperto e la coda è lunga e tozza. La dispersione del calore si ha mediante le ghiandole sudoripare situate nella pianta del piede e per dilatazione delle vene della coda e delle orecchie (come nel topo) oppure il ratto si ricopre il corpo di saliva per aumentare il grado di evaporazione soprattutto quando la temperatura sale eccessivamente. T° rettale 37,5‐38,5 °C Vita media 2,5‐3,5 anni Consumo cibo 10g/100gPV/die Consumo acqua 10‐12ml/100gPV/d Maturità maschio 65‐110giorni Maturità femmina 65‐110giorni Ciclo sessuale 4‐5giorni Gestazione 21‐23giorni Estro post‐parto fertile N° piccoli da 6 a 12 Età svezzamento 21giorni Peso adulto (m) 450‐520g Peso adulto (f) 250‐300g Peso alla nascita 5‐6g
Figura 12 ‐ Parametri fisiologici del Ratto
La determinazione del sesso si effettua sul rilievo della distanza ano‐genitale che è doppia nel maschio rispetto alla femmina (circa 5 mm contro i 2,5 mm) ed osservabile già intorno ai 7 giorni di vita (ma un occhio esperto ci riesce anche prima). Inoltre nel maschio adulto sono presenti i testicoli molto
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sviluppati e ben visibili ma il canale inguinale rimane aperto quindi spesso è possibile osservare lo scroto vuoto.
Figura 13 ‐ Femmina
Figura 14 ‐ Maschio
Durante la sua vita una ratta può partorire in media fino a 7‐10 o più volte con un numero di piccoli variabile da 6 a 14. Le performances riproduttive (fertilità, fecondità e prolificità) iniziano a decrescere dopo i 12 mesi di vita e la menopausa giunge dopo i 450‐500 giorni di vita. La discesa dei testicoli nello scroto avviene tra 20 e 50 giorni di vita mentre l’apertura dell’ostio vaginale dopo i 35 giorni. Sia nel maschio che nella femmina la pubertà viene raggiunta a 50‐60 giorni di vita ma è bene evitare l’accoppiamento fino intorno ai 65 giorni (250 gr. di peso). Il ratto è un animale
poliestrale continuo con un ciclo della durata di 4‐5 gg e un calore di 12 ore. L’effetto Whitten e l’effetto Bruce sussistono anche nel ratto anche se in maniera meno significativa rispetto al topo. Il ciclo può essere influenzato dal fotoperiodo che si ritiene ottimale quando l’illuminazione è di 12‐16 ore. Un fotoperiodo troppo lungo potrebbe compromettere la fertilità anche solo dopo 3 giorni di esposizione. La sincronizzazione farmacologia degli estri può essere provocata mediante somministrazione di progesterone o analoghi sintetici al fine di indurre l’anestro a seguito della lisi del corpo luteo e PMSG per indurre l’ovulazione. La ratta ha un estro post‐partum fertile all’incirca 48 ore dopo il parto e nel caso di accoppiamento in questo momento si potrebbe avere una gravidanza prolungata di 3‐7 giorni a causa del ritardo nell’impianto uterino dell’embrione. Dopo l’accoppiamento si formerà un tappo vaginale che occuperà lo spazio compreso tra la vulva e la cervice prodotto dalle ghiandole sessuali del maschio. Il ratto destinato alla riproduzione può essere allevato in monogamia (1 maschio ed 1 femmina) o in poligamia (1 maschio e 2 femmine) oppure infine in harem (1 maschio e 6 femmine). La monogamia richiede l'impiego di molti più maschi e il maschio viene rimosso prima del parto. Nella poligamia si usa 1 maschio ogni 2‐6 femmine e queste ultime vengono rimosse prima del parto (intorno al 16° giorno di gestazione) e collocate in gabbie singole. Se le femmine vengono isolate prima del parto e vi rimangono durante tutta la lattazione producono più latte e curano meglio la prole. Al fine di utilizzare l'estro post parto è necessario lasciare la femmina col maschio ma si rischiano danni alla prole oppure separare la femmina dai piccoli in prossimità del calore, farla accoppiare e ricollocarla nella gabbia con i propri rattini. La gestazione dura 21‐23 giorni e lo sviluppo mammario diventa evidente dopo i primi 14 giorni. Per effettuare la diagnosi di
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gravidanza si possono palpare i feti oppure si può pesare la madre per verificare l'incremento di peso. Se l'estro post parto non venisse utilizzato il ciclo riprenderebbe 2‐4 giorni dopo lo svezzamento. La pseudogravidanza è un'evenienza poco frequente. Gli occhi dei piccoli si aprono dopo 1 settimana e lo svezzamento avviene a 21 giorni (40‐50 g di peso). Le varie fasi del ciclo possono essere evidenziate con la colorazione di May Grunwald Giemsa: - Proestro: molte cellule epiteliali nucleate e poche cheratinizzate
- Estro: molte cellule cheratinizzate - Metaestro: poche cellule cheratinizzate ed aumento dei leucociti
- Diestro: tanti leucociti Housing Come per il topo, le gabbie sono, in genere, realizzate in materiale plastico ed atossico con fondo pieno e coperchio in grigliato d’acciaio sagomato ed angoli arrotondati per evitare che gli animali possano rosicchiare le superfici. Le gabbie vengono contenute all’interno di rack in alluminio con ruote per facilitare le operazioni di spostamento e pulizia. La misura minima consigliata nel D. Lvo 116/92 per il pavimento della gabbia è di 350 cm2/capo oppure 800 cm2 per una madre con la nidiata fino allo svezzamento. Nel caso invece di animali allevati in gruppo (più di due soggetti) si consiglia una superficie minima di almeno 250 cm2/capo. L'altezza minima della gabbia deve essere almeno di 14 cm anche se tale dimensione non è sufficiente per permettere al ratto di assumere la posizione eretta per la quale necessiterebbe di almeno 35‐40 cm. Il ratto può essere allevato in colonia anche se a volte si rende necessario isolare e
stabulare individualmente i soggetti aggressivi. Come per il topo è bene che le colonie non siano troppo numerose in quanto il sovraffollamento, in genere, favorisce la comparsa di comportamenti aggressivi. I maschi di ratto sono meno aggressivi dei topi e quindi se cresciuti insieme possono rimanere nella stessa gabbia anche in età adulta. La concentrazione plasmatica di corticosteroidi è maggiore nei ratti stabulati in colonia rispetto a quelli allevati singolarmente ed aumenta al momento dell’inserimento di un soggetto in un gruppo (da tenere presente durante le sperimentazioni in quanto può far variare le risposte). Per il fondo della gabbia si utilizza in genere, il pavimento pieno in quanto la presenza della lettiera risulta essere più confortevole rispetto al pavimento grigliato. Per la lettiera si possono utilizzare segatura o meglio trucioli fini di legno purché microbiologicamente puro e atossico (pino e cedro, ad esempio, risultano altamente nocivi). Nel caso di protocolli sperimentali che richiedano il prelievo di feci ed urine si utilizzano, in genere, gabbie con pavimento in rete metallica dotate di vassoio per la raccolta delle deiezioni.
Figura 15 ‐ Ratto allevato su lettiera in truciolo
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Come materiale per il nido si possono utilizzare ritagli di carta o cotone idrofilo anche se per lo più la ratta tende a partorire all’interno di “buchette” scavate nella lettiera. Molto importante il microclima che deve essere adeguato alle esigenze dell’animale e fare anche molta attenzione agli sbalzi termici e igrometrici perché i ratti sono sensibili alle malattie respiratorie favorite da questi ultimi fattori. Attenzione al sovraffollamento che può provocare aumento della temperatura della gabbia. Temperatura 20‐24 °C Umidità relativa 60 % Ventilazione 10‐15 ricambi/ora Luce/buio 12/14 ore
Figura 16 ‐ Parametri ambientali ideali
Alimentazione Il ratto è onnivoro ma l’alimentazione dei ratti da laboratorio è a base di pellets appositamente formulati oppure, in alternativa, semi (mais, avena, frumento, miglio, orzo e girasole con attenzione a quest’ultimo in quanto carente in calcio e ricco in grassi e colesterolo) e alimenti fioccati. I pellettati utilizzati nelle diete commerciali sono ottenuti a partire dalle seguenti materie prime: granturco, frumento, crusca, farina di pesce, farina di soia tostata, siero di latte in polvere, farine di erbe disidratate e olio di soia. L’alimentazione viene di solito fornita ad libitum comunque in linea generale il consumo medio di alimento si aggira intorno ai 10‐15g ogni 100 g di peso vivo che tradotto in termini pratici significa circa 25‐30 g di mangime al giorno. I valori nutrizionali medi dei mangimi per ratti saranno i seguenti:
Mantenimento
Accrescimento e Riproduzione
Grassi 4‐5% 7‐11% Proteine 14% 17‐19%
Figura 17 ‐ Valori nutrizionali Medi per mangimi pellettati
L’acqua viene fornita in appositi beveroli a bottiglia con tappo a goccia e deve essere sempre pulita e fresca: il consumo si aggira sui 10‐12 ml ogni 100 g di peso vivo al giorno ma anche questa viene fornita, di solito, ad libitum. Manipolazione Gli animali si abituano bene alle manipolazioni purchè avvengano in maniera delicata e da parte di persone esperte. Il ratto può essere sollevato afferrandolo alla base della coda molto vicino all’attaccatura oppure cingendogli le spalle con una mano con pollice ed indice intorno al collo in modo da bloccare la testa. Nel caso di animali molto pesanti o gravidi è bene sostenere il posteriore con l’altra mano. Per immobilizzare il ratto per brevi pratiche cliniche è sufficiente spingere con pollice ed indice di una mano sulle scapole dell’animale in modo da costringerlo ad incrociare i propri arti anteriori sotto al mento ed esercitare una leggera trazione della coda con l’altra mano. Per tranquillizzare maggiormente l’animale risulta utile un panno a copertura degli occhi. Quando il ratto è appoggiato su rete metallica non deve essere sollevato velocemente o violentemente perché, a causa della presa energica sulle maglie, potrebbe strapparsi le unghie con copiosa fuoriuscita di sangue.
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Figura 18 ‐ Manipolazione
Figura 19 ‐ Immobilizzazione
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PATOLOGIE GESTIONALI E RIPRODUTTIVE DEL CINCILLA’ Daniele Petrini1, DVM 1 Clinica Veterinaria OMNIAVET, Roma, [email protected] CORRETTA GESTIONE DEL CINCILLA’ Il cincillà è un roditore istricomorfo originario della cordigliera andina, adattatosi ad un ambiente molto rustico e proibitivo; vive in Cile, Bolivia, Perù e Argentina ad altitudini di circa 3‐4000 metri. I cincillà non sono aggressivi ma docili (specialmente le linee selezionate come pet), molto puliti e praticamente privi di odore; sono molto apprezzati per la splendida e morbidissima pelliccia. Sono animali gregari, in natura vivono in gruppi formati da numerosi individui e trascorrono molto tempo nascosti in rifugi nelle rocce e nelle tane; sono attivi soprattutto alla sera e durante la notte, tuttavia in cattività si abituano agli orari dei proprietari. Raramente mordono e oltre alla fuga, l’unico mezzo di difesa è perdere il pelo quando vengono afferrati per la folta pelliccia. A differenza della maggior parte dei roditori da compagnia i cincillà sono animaletti longevi e, se ben tenuti, possono superare i 15 anni. Gli adulti pesano intorno ai 500 gr, anche se le femmine possono arrivare fino a circa 800 grammi. I soggetti selvatici sono inclusi in appendice I della CITES. In cattività sono state selezionate molte varietà di colore del mantello oltre al grigio standard. Alcuni esempi sono il black velvet (testa e schiena neri con pancia bianca e fianchi grigi), mosaico (cincillà bianco con macchie grigie), beige, pastelli, cioccolato, ebony (cincillà di varie tonalità del nero), violet, zaffiri ecc.
ALLOGGIO I cincillà sono animali molto attivi e quindi richiedono una gabbia spaziosa che deve svilupparsi su più piani in quanto ai cincillà piace saltare ed arrampicarsi. Le dimensioni minime devono essere circa 100 x 80 x 100 ma sarebbe preferibile che fossero 200 x 200 x 100 cm. E’ consigliabile tenere più di un individuo per rispettare il loro naturale comportamento sociale: la gabbia dovrà essere in proporzione più grande in base al numero di animali. Si possono tenere insieme un maschio con più femmine (fino a 6), oppure un gruppo di femmine da sole se non si desiderano parti. L’ambiente ideale per il mantenimento in cattività del cincillà dovrebbe avere una temperatura di 20‐22° C e un’umidità relativa inferiore al 50%. Nella gabbia deve essere sempre presente un nido all’interno del quale il cincillà possa rifugiarsi in caso di spavento o possa riposare durante le ore diurne; spesso anche il parto avviene nella tana la mattina presto. La gabbia deve avere un substrato sempre pulito, morbido ed assorbente per evitare patologie ai piedi; può essere costituito, ad esempio, da pellet di carta riciclata, carta di quotidiani, truciolo depolverato di legno non resinoso e non trattato, pellet di legno proveniente da legno non resinoso. Da evitare la lettiera per gatti che può essere nociva se ingerita e provocare lesioni alle zampe. L’arricchimento ambientale è molto importante per il benessere psicologico di questo roditore; si possono mettere a disposizione tubi di plastica, scatole di cartone, blocchetti di legno atossico da rosicchiare (vanno bene il legno di betulla, di albero da frutto tipo melo e pero; da evitare il susino, il ciliegio e l’oleandro), una pietra pomice per roditori, rotoli di scottex terminati riempiti di cibo e chiusi alle estremità, giochi in legno atossico per pappagalli, ecc.
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Una raccomandazione importante è quella di non riempire troppo la gabbia ma lasciare un discreto spazio libero per consentire il movimento. Almeno 2‐3 ore al giorno il cincillà deve avere la possibilità di uscire dalla gabbia per fare esercizio fisico ed evitare problemi di salute come ad esempio l’obesità. I cincillà sono animali molto puliti e si deve dar loro la possibilità di fare quotidiani bagni di sabbia. In commercio si trova sabbia da bagno specifica per cincillà; quella di mare o da edilizia sono invece inadatte e rovinano il pelo. La sabbia apposita ha la proprietà di assorbire le secrezioni untuose del mantello ed evita che questo si infeltrisca; è quindi opportuno mettere a disposizione nella gabbia un recipiente sufficientemente grande da contenere comodamente l’animale e con bordi alti in modo che la sabbia non esca quando il cincillà si rotola. La sabbia va mantenuta pulita dalle feci e il bagno va lasciato in gabbia circa 15‐20 minuti al giorno, poi tolto per evitare che si contamini con cibo, feci ed urine. Nei cuccioli di cincillà, che si rotolano le prime volte ad occhi aperti, la sabbia può essere causa di congiuntiviti e lesioni alla cornea e quindi è consigliabile non metterla (attendere circa 20 giorni di età). Ogni 10 giorni circa la sabbia va cambiata completamente perché perde il potere assorbente nei confronti delle secrezioni oleose. ALIMENTAZIONE In natura il cincillà vive in una zona molto povera e arida con poca vegetazione che consiste soprattutto di erba. In cattività deve ricevere un’alimentazione ricca di fibra e povera di sostanze nutritive: fieno di ottima qualità, pellettato formulato per cincillà e una quota di verdure fresche. Frutta e leccornie (uvetta, pezzi di noce, di nocciola...) vanno fornite con parsimonia, al massimo un paio di volte a settimana. Il fieno deve costituire la base dell’alimentazione del
cincillà e non deve mai mancare. E’ fondamentale per il mantenimento in salute del tratto digerente; provvede a mantenere i denti della giusta lunghezza grazie al contenuto in silicati che fungono da raspa sulle corone dei denti ad accrescimento continuo. Apporta infine fibra lunga indispensabile per la corretta motilità dell’intestino. La verdura deve essere somministrata quotidianamente, deve essere accuratamente lavata e non fredda di frigorifero. Si possono fornire verdure a foglia (come ad esempio insalate miste, cicoria, bietole...), finocchi, carote, sedano, peperoni ecc. Il pellet deve contenere circa 15‐35% di fibra, 16‐20% di proteine e 2‐5% di grassi; per un animale adulto sono sufficienti circa 2 cucchiai da minestra al giorno. Da evitare cereali, dolciumi, bastoncini di miele e semi, prodotti del panificio, alimenti a base di latte, granaglie e fioccati che conducono a pesanti patologie carenziali, a disturbi gastroenterici e a problemi dentali gravi quali ad esempio le cuspidi dentarie. Infine l’acqua deve essere sempre a disposizione, fresca e pulita, tramite un beverino a goccia. PATOLOGIE GESTIONALI Le patologie gestionali più frequenti che si riscontrano nei cincillà allevati come pet sono: la malattia dentale, la stasi gastro‐intestinale, il colpo di calore, le dermatofitosi e il fur chewing. La malattia dentale è una patologia complessa che riconosce fattori predisponenti: alimentari e carenziali (ad esempio carenza di fibra da masticare), malattie metaboliche, genetici (alcune linee di sangue), traumi e neoplasie. La diagnosi prevede un’accurata anamnesi, un esame clinico generale del paziente, un esame obiettivo particolare della regione facciale e
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della cavità orale e infine l’utilizzo di diagnostica per immagini (rx, TC, RMN). Per la complessità di questa sindrome si rimanda agli atti della relazione SIVAE marzo 2010 ‘Odontoiatria dei Roditori Istricomorfi’ A. Melillo, D. Petrini. Il colpo di calore E’ spesso causa di morte nel cincillà durante la stagione estiva. Infatti essendo privo di ghiandole sudoripare non può disperdere il calore accumulato e quando la temperatura supera i 28°C in concomitanza di un’elevata umidità si manifesta tale situazione patologica. Pertanto, in estate, la gabbia deve stare in un luogo molto fresco per mantenere una temperatura adeguata; a questo proposito si può fare uso di un condizionatore d’aria, di ventilatori o si possono inserire alcune bottiglie d’acqua ghiacciate nella gabbia sulle quali i cincillà potranno trovare refrigerio. Clinicamente il cincillà appare abbattuto, giace in decubito laterale e diventa presto dispnoico. Gli animali colpiti devono essere maneggiati con cautela per evitare ulteriore stress; il raffreddamento deve essere effettuato gradualmente ponendo il cincillà in un luogo fresco e ben ventilato. E’ opportuno somministrare al più presto una fluidoterapia massiva per via endovenosa o intraossea, somministrare eparina per scongiurare una coagulazione intravasale disseminata, eventualmente ricorrere a fans capaci di contrastare un possibile shock endotossico (ad esempio flunixin meglumina). La prognosi per il colpo di calore rimane da riservata ad infausta. Dermatofitosi Gli agenti eziologici che più spesso sono causa di dermatofitosi nel cincillà sono Tricophyton mentagrophytes, Microsporum canis e più raramente Microsporum gypseum. Clinicamente gli animali manifestano lesioni alopeciche ben circoscritte, crostose, talvolta eritematose, localizzate più frequentemente intorno agli
occhi, sulle orecchie, sul naso e intorno alla bocca, ma possono estendersi agli arti o su tutto il resto del corpo. Batteri di irruzione secondaria possono impiantarsi sulle lesioni fungine. La diagnosi si basa sulla visione microscopica del pelo e sull’allestimento di piastre da coltura per dermatofiti. La rimozione del pelo intorno alla lesione riduce la trasmissione della malattia e il potenziale zoonotico. Alcuni animali possono essere portatori asintomatici ma manifestare la patologia in seguito a fattori stressogeni come il sovraffollamento, l’alimentazione inadeguata o l’elevata temperatura e umidità. La terapia consiste nel trattare l’animale preferibilmente con farmaci per via sistemica come ad esempio itraconazolo, terbinafina, griseofulvina; è possibile inoltre effettuare spugnature locali (utilizzando ad esempio enilconazolo). Anche la disinfezione ambientale è da considerarsi di estrema importanza nella gestione delle dermatofitosi. Fur chewing I cincillà possono sviluppare la tendenza all’eccessivo grooming o mordere il pelo proprio o dei compagni di gabbia. Questi animali sono eccessivamente nervosi e molto suscettibili allo stress. Le aree che più frequentemente sono soggette al fur chewing sono i fianchi e le spalle. Spesso si rende visibile il sottopelo che appare opaco e secco. L’eziologia del fur chewing non è ancora ben compresa, sembra infatti che più fattori rientrino nella patogenesi di questa patologia: ereditari, ambientali, dietetici, comportamentali, malattie concomitanti. La gestione di questo disturbo prevede la rimozione dei fattori predisponenti e si consiglia di togliere dalla riproduzione i soggetti colpiti. RIPRODUZIONE Il cincillà alle nostre latitudini presenta un’attività riproduttiva di tipo poliestrale
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stagionale da novembre a maggio anche se in allevamento si osserva un’attività ciclica di tipo poliestrale continuo con un intervallo interestrale variabile in base alla stagione (esperienze personali, Celiberti et. al 2010). Il ciclo estrale dura 28‐50 giorni con un estro di 24‐48 ore; la manifestazione più tipica della femmina in estro è l’apertura della fenditura vaginale con la vulva che si presenta leggermente rigonfia e passa da un colore rosato ad un rosso intenso. L’estro post‐partum, molto fertile, si presenta dopo circa 2 ore dal parto e può prolungarsi sino a 6 giorni (esperienze personali). Ad accoppiamento avvenuto lo sperma in vagina va incontro a coagulazione formando il cosiddetto “tappo” che impedisce l’uscita del liquido seminale. Qualche ora dopo l’accoppiamento viene espulso con le contrazioni della vagina e si può ritrovare in gabbia, ma può capitare che l’animale lo ingerisca e quindi non venga ritrovato. La forma ricorda quella di una crisalide, misura circa 2,5 cm di lunghezza e 6‐7 mm di diametro; il colore è bianco appena espulso e con il passare delle ore diventa giallo. Il cincillà ha una gravidanza molto lunga (circa 111 giorni, da 109 a 112) e i cuccioli, 1‐5 per parto, sono precoci cioè nascono con la pelliccia e gli occhi già aperti. Lo svezzamento dura circa 8 settimane. La diagnosi di gravidanza può essere effettuata palpando delicatamente l’addome già a 25 giorni circa di gestazione; in questa fase spesso si riescono anche a contare le vescicole e fare una stima del numero dei nascituri. L’esame ecotomografico è il più accurato per la diagnosi di gravidanza e permette anche la valutazione della vitalità dei cuccioli. Una settimana circa prima del parto è possibile effettuare una radiografia per verificare il numero dei nascituri. PATOLOGIE RIPRODUTTIVE Le patologie riproduttive che più frequentemente si riscontrano in questi
istricomorfi sono il fur ring, l’ipocalcemia post‐partum, e la costipazione post‐partum; da ricordare infine anomalie genetiche causate dall’accoppiamento tra alcuni fenotipi. Fur ring Col termine fur ring si indica una condizione relativamente comune nei cincillà maschi caratterizzata dalla presenza di pelo intorno alla base del pene che tende ad accumularsi e a formare un anello sempre più stretto; nei casi più gravi si presenta parafimosi. Questa condizione non solo provoca dolore ma può essere causa di costrizione uretrale e ritenzione urinaria acuta. Segni clinici del fur ring possono essere rappresentati da stranguria, eccessiva pulizia dell’area prepuziale, letargia, diminuzione dell’appetito. La terapia consiste nell’applicare un lubrificante sterile e srotolare l’anello di pelo sino all’estremità del pene per essere così rimosso. Fondamentale nei casi più seri la somministrazione di analgesici, fluidoterapia ed eventualmente terapia antibiotica. Costipazione Durante la gestazione la cincillà presenta una costipazione parafisiologica dovuta alle dimensioni dell’utero; questa condizione può esacerbarsi durante la prima settimana del post‐partum ed essere confermata da un esame radiografico. Di solito si risolve spontaneamente tuttavia è buona norma consigliare al proprietario di tenere sotto controllo l’aspetto delle feci dell’animale, il suo peso, il suo appetito e vivacità. L’ipocalcemia post‐partum Può verificarsi 2‐3 settimane dopo il parto; è una condizione severa in cui la cincillà giace in decubito laterale caratterizzata da abbattimento e timpanismo. Colpisce di solito animali debilitati o con un una nidiata numerosa; è necessaria una terapia di supporto e la somministrazione di calcio gluconato.
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Fattore letale Per quanto riguarda la gestione corretta degli accoppiamenti è importante ricordare che è sconsigliato accoppiare alcuni fenotipi. Alcuni geni non consentono la sopravvivenza del feto in condizione di omozigosi (fattore letale). I due geni letali coinvolti nel colore del mantello del cincillà il bianco e il TOV (Touch of Velvet: testa e linea dorsale più scura, ad esempio black velvet). Se è presente una condizione di omozigosi per tali alleli (bianco + bianco o TOV + TOV) in un accoppiamento, sussiste il 25% di probabilità che l’embrione non si sviluppi e che venga riassorbito dalla madre (ma talvolta si può avere natimortalità o cuccioli disvitali che muoiono qualche ora dopo la nascita). Le distocie Non sono molto frequenti e possono verificarsi per cause materne (ad esempio inerzia uterina, alterazioni del canale del parto, torsione uterina) o cause fetali (malposizionamento, dimensioni troppo grandi, anomalie nella morfologia, morte). L’esame radiografico è importante per valutare la posizione fetale e un esame ecotomografico consente di valutare le condizioni fetali. Se la cincillà è in travaglio da più di 4 ore circa e la terapia di supporto non ha dato risultati è consigliabile effettuare un taglio cesareo; la prognosi in questi casi è di solito discreta. CENNI SULLO SVEZZAMENTO DEI PICCOLI Le femmine di cincillà hanno tre paia di mammelle, 2 toraciche e 1 inguinale. Di solito quelle inguinali sono quelle che si sviluppano e sono le più ricche di latte e in seguito al parto possono svilupparsi anche un paio delle toraciche. Spesso con nidiate numerose (3‐5 cuccioli) insorgono problemi di lattazione e i piccoli cincillà possono lottare furiosamente per accaparrarsi la mammella più ricca di latte. In questa fase diventano molto
aggressivi tra loro e si feriscono talvolta in misura grave specialmente alle orecchie e sul muso; possono creare anche lesioni molto dolorose alle mammelle della mamma che rifiuterà l’allattamento. Per ovviare a questi problemi alcuni allevatori e alcuni autori (Quesenberry K. E., Carpenter J. W.) consigliano di tagliare i denti incisivi superiori ed inferiori ai piccoli poche ore dopo il parto; i denti ricresceranno completamente nell’arco di 7‐10 giorni. E’ importante monitorare il peso quotidianamente e annotarlo, di solito nella prima settimana di vita i piccoli aumentano di 1‐2 grammi al giorno ad eccezione dei primi 1‐3 giorni in cui il peso può rimanere stabile o subire un lieve calo fisiologico. Alla nascita i cuccioli pesano circa 30‐60 grammi e all’età di 7‐10 giorni sono in grado di mangiare piccole quantità di cibo solido. Se insorgono problemi durante la fase di lattazione è opportuno intervenire tramite allattamento artificiale avendo comunque cura di lasciare i piccoli con la mamma affinché vengano correttamente riscaldati e imparino il normale etogramma di specie. Personalmente negli ultimi anni ho avuto ottimi risultati effettuando dei ‘turni’ e lasciando con la mamma 1 o 2 cuccioli per volta, cercando di individuare i cuccioli più aggressivi. Il tempo da trascorrere con la madre varia in base all’età del cucciolo e in base al peso, in linea di massima per i primi giorni i turni saranno brevi di circa 3‐4 ore avendo cura di tenere riscaldati i cuccioli che non stanno con i genitori; con l’aumentare dell’età si arriva a turni più lunghi di 6‐8 ore. Per accelerare il passaggio da una digestione enzimatica (con alimentazione lattea) ad una fermentativa (con alimentazione erbivora) e stimolare l’alimentazione spontanea si possono somministrare piccole quantità di Critical Care molto diluite mescolate preferibilmente a ciecotrofo (o pellet fecali provenienti da adulti sani). Se i cuccioli non crescono e si sospetta un problema di agalassia oppure la madre muore si può tentare di far adottare il
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cuccioli da un’altra cincillà entro pochi giorni dal parto; normalmente sono buone balie e accettano piccoli di altre femmine. Ovviamente si dovrà monitorare attentamente il comportamento degli animali e separare prontamente il cucciolo se la nuova mamma mostra segni di aggressività. Per l’allattamento artificiale si ottengono buoni risultati somministrando latte di capra riscaldato a bagno maria. La normale composizione del latte di cincillà è: proteine 7,2%, grassi 12,3%, lattosio 1,7%. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
1. BSAVA Manual of Rodents and Ferrets, E. Keeble A. Meredith, 2009
2. Disease of small domestic rodents, V. C. G. Richardson, 2003
3. Ferrets, Rabbits and Rodents, K. E. Quesenberry J. W. Carpenter,
4. Manual of Exotic Pet Practice, M. A. Mitchell T. N. Tully, 2009
5. Biology and Medicine of Rabbits and Rodents, Harkness and Wagner’s, 2010
6. Monitoraggio del ciclo riproduttivo nel cincillà (Chinchilla lanigera) mediante colpocitologia e dosaggio del progesterone fecale, Celiberti et al, Tesi di laurea, Atti SIRA, 2010