#progettofolle01 sul quotidiano La Libertà di Piacenza grazie a Raid for Aid!
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Transcript of #progettofolle01 sul quotidiano La Libertà di Piacenza grazie a Raid for Aid!
Il giornale della gente
LE TESTIMONIANZEIN MAROCCO VERSO LE SCUOLE DEL DESERTO
Mille emozioni Anche il rischiodelle piste, i paesaggi suggestivi e gliincontri con le persone
Un bambino deldeserto e alcunimomentisignificativi delviaggio inMaroccoportato atermine daimotociclisti delRaid for Aidteam
◗◗ I motociclisti di Raid For AidTeam hanno concluso la loro nuova“missione del bene” in Marocco.Ecco le loro ultime impressioni diviaggio.
BAMBINI NEL DESERTOiamo stati nel posto più bel-lo del Sahara, in una scuola,dove abbiamo incontrato le
persone più belle e importanti: " ibambini nel deserto". Questo ilnome del nostro viaggio preso inprestito per l’occa-sione da quello dellaonlus italiana presie-duta da Luca Iotti,che abbiamo soste-nuto con questo raid.Oltre alla visita nellescuole di Khamlia eGhirgis (villaggisahariani non lonta-ni da Merzouga) sia-mo stati nello sper-duto villaggio di Be-gaa dove abbiamoincontrato Youssef ilquale ci ha mostratoil pozzo per l’irriga-zione che ha bisognodi una nuova pompaalimentata da unpannello solare, e ungruppo di case isolate non servitedall’ acquedotto pubblico dovesarebbe possibile costruire un ul-teriore pozzo. Questi pozzi sonoparte del "progetto folle " del no-stro amico Antonio Cinotti passa-to di qui con la sua moto due set-timane fa in una sorta di staffettadella solidarietà. Antonio è unviaggiatore, un motociclista e unapersona sensibile. Ama il sud delMarocco in cui ha viaggiato inmoto, qualche tempo fa, con suamoglie Francesca. Antonio, qualeregalo per i suoi 40 anni, ha chie-sto ad amici e parenti un aiuto e-conomico per questi progetti ap-poggiandosi poi per la loro realiz-zazione a "bambini nel deserto".Ci siamo conosciuti. Lo spirito delviaggio era quello giusto e così ilsuo "progetto folle" è diventatoanche il nostro. Anche lui comeRaid for Aid cerca di "viaggiare perbene...". Ma quanto è difficile, avolte, viaggiare per bene. Le asso-ciazioni, piccole o grandi, famoseo sconosciute, sono formate dasingole persone. Spesso le perso-ne incontrate nei nostri viaggi sisono rivelate eccezionali, ne sia-mo diventati amici, e spesso nesiamo tutt’ora in contatto.
E’ il caso, in questo raid, di Po-lona, la prima persona conosciu-ta al nostro arrivo ad Hassi Labied.La sua storia merita davvero di es-sere conosciuta: Polona Oblak èuna bella ragazza di origine slove-na e la sua carnagione chiara spic-ca sotto il velo che porta con ele-ganza. Ci ha accolto con un bim-bo tra le braccia, il piccolo Mou-stafa. Una bella immagine, davve-ro. Polona vive da tempo nel vil-laggio di Hassi Labiad dove èconosciuta e apprezzata, ed è unacollaboratrice di "bambini nel de-serto". Ha organizzato il nostrosoggiorno, ci ha accompagnatinella visita alle scuole dove prestala propria opera volontaria comeinsegnante, ma soprattutto si è ri-velata una splendida persona. Eche dire poi di Salem, ragazzo ma-rocchino discendente di una fa-miglia nomade berbera, che fa laguida promuovendo un turismoresponsabile e solidale, ed è an-che il presidente dell’associazio-ne "ighram" (villaggio) che si oc-cupa di far conoscere la culturalocale. Gli acquisti fatti nella bot-tega della sua associazione, rifor-nita dagli artigiani locali, nonhanno il sapore del "souvenir"ma di un aiuto concreto alla po-polazione locale. Ma come dice-vo, a volte, è difficile anche "viag-giare per bene... ".
Abbiamo forse commesso unerrore diplomatico a non contat-tare direttamente al nostro arrivoa Hassi Labiad Giacomo Ferri, unaltro referente di "bambini nel de-
S
serto", che gestisce un albergonella zona ed è il punto di riferi-mento dei tanti motociclisti ita-liani che passano da queste par-ti. Giacomo ci aspettava e noi,per un malinteso, ci siamo pre-sentati due giorni dopo. Peccatonon aver usufruito della sua ospi-talità e non esserci conosciutimeglio. Dopo quattro giorni cicongediamo dai nostri nuoviamici con la promessa di risen-tirci via mail una volta tornati acasa per poter poi così seguire co-stantemente l’evoluzione dei pro-getti in atto. Il viaggio riprende elasciato il deserto ci spostiamoverso le montagne.
Fra i paesaggi naturali più fa-mosi del Marocco ci sono le goledi Todra e del Dades, l’una aspra einquietante con le sue pareti ripi-de e scure, l’altra meno selvaggiama con paesaggi resi ancor più af-fascinanti dalle rocce di granitorosso che la compongono. Deci-diamo di fare il giro che collega ledue gole, un anello di quasi 200km di cui circa 50 di pista. Comesempre nei nostri raid incontrarele persone lungo la strada è la sor-presa più bella. Oggi Raid for Aidha voluto imitare Medici senzafrontiere. Dopo una curva, a 2000mila metri di altitudine, in un pae-saggio desertico e spettacolare,compare un anziano venditore dipietre fossili. Ci fermiamo, lui siavvicina timidamente e ci mostrala sua scarna mercanzia, ma subi-to dopo ci chiede aiuto: ha unabrutta ferita ad un alluce (del restoè in ciabatte ed il suo villaggio è a8 km di distanza, a piedi!). Subitoproviamo a medicarlo, il dito ègonfio e dolorante, l’unghia spac-cata, ma la ferita non sembra in-fetta; la puliamo e applichiamoun cicatrizzante e una bendaturapiù pulita e adatta di quella cheaveva. Gli lasciamo qualche me-dicamento e dei dolci per i suoi 7figli. Mohammed ci ringrazia,sembra quasi commosso e ci re-gala qualche piccolo fossile. Saràper tutti noi un ricordo preziosodi questo deserto d’alta quota.Riprendiamo la strada, paesaggifantastici, immacolati. La pista èdivertimento puro, per tutti noi,fino a quando comincia a iner-picarsi e in 10 km ci porta a qua-si 3000 metri di quota. Per chi,come me, soffre di vertigini, incerti frangenti, al divertimentosubentra il panico. La pista, pocopiù di un sentiero, sale costante-mente come una ferita sul fiancodella montagna. Sconnessa, constrapiombi, senza parapetti."Mai più, giuro che se arrivo infondo mai più", quante voltel’ho pensato arrancando sassodopo sasso. Quando finalmentescolliniamo tiro un sospiro disollievo e la discesa, più dolce e
ampia, mi riconcilia con questevalli meravigliose.
UN PERCORSO MAGICOPer un giorno il gruppo si divi-
de: i "pistaioli di montagna",Gianmario e Roberto, affrontanouna pista d’alta quota che da Ti-nerhir scende verso Zagora attra-versando il jebel Sahro tra grandidifficoltà di guida e paesaggi stu-pendi, mentre i "culturali di pia-nura ", Claudio e Davide, visitanola kasba di Skoura, perfettamenteconservata e protetta dall’ Une-sco. Dopo Skoura la discesa versoZagora sulla pista sabbiosa checorre lungo il fiume Draa. Un per-corso magico con villaggi, domi-nati da kasbe e moschee, che sisusseguono nel palmeto. Accantoscorre, e da la vita, il Draa, un ve-ro Nilo marocchino. Appunta-mento, inshallah, alle 18 all’ in-gresso di Zagora. Il giorno succes-sivo, dopo esserci riuniti, sosta dirito davanti allo storico cartello
che recita: "timbouctu 52 giorni dicammello ", ricordando quanto ciimpiegavano le carovane a rag-giungere la mitica oasi del Mali...e in moto? Quanti ne servirebbe-ro? Che viaggio sarebbe! Dopo dinoi, davanti al cartello sostano letroupe di una televisione tedescae poi di una irlandese. Dopo Za-gora solo il deserto, il Sahara.Quella che era l’ultima oasi primadell’ ignoto oggi ha perso un podel suo fascino: molti alberghi, tu-risti, auto 4x4 e motociclisti, comenoi. Arrivarci era un traguardo,oggi... Da qui ci spostiamo versoovest, ancora verso le montagne,verso il Tizi-n-test, uno dei pochipassi che taglia la catena dell’ A-tlante collegando il nord con ilsud. Arrivati al passo ci fermiamoper le foto di rito e dopo poco dalcaffè di fronte esce un anziano si-gnore. Saluta gentilmente e si pre-senta: Mohamed (ma si chiama-no tutti Mohamed o Ibrahim daqueste parti?). La solita chiacchie-rata di circostanza, poi ci chiede
se abbiamo qualcosa per il doloredi stomaco: il giorno precedenteha partecipato a un matrimonio edice di aver esagerato con il cous-cous. Gli diamo le pastiglie ade-guate e lui, per sdebitarsi, ci invi-ta a bere un tè.
Dice di essere una specie di an-tiquario che gira il Paese cercan-do, di villaggio in villaggio, ogget-ti che valga la pena di acquistare.Ci incuriosisce, cerchiamo di an-dare più a fondo sulla sua profes-sione e poi, era ovvio, chiediamodi vedere la sua merce. Solo allora
Mohamed apre ledue sacche che siporta dietro e mettein mostra i suoi arti-coli. Acquistiamotutti qualcosa, am-maliati e affascinatida questo abile ven-ditore. Quando ripar-tiamo, verso Mar-rakech, nel casco ri-penso all’ accaduto.Probabilmente glioggetti che abbiamoacquistato non sonotanto più vecchi e
forse nemmeno tanto più rari diquelli che abbiamo visto fin qui.Poi, piano piano mi convinco cheforse é vero, forse Mohamed giradavvero il Paese a piedi, di villag-gio in villaggio, cercando oggettiantichi e di valore... almeno a mepiace pensare così.
IL FASCINO DI MARRAKECHMarrakech è un guazzabuglio.
Il traffico è caotico, disordinato,pericoloso, i venditori insistenti, imendicanti troppi. E’ una città ru-morosa. Non ci sono grandi vesti-gia storiche da visitare, o musei. Eallora perché andare a Marrake-ch? Perché Marrakech, anzi la so-la piazza Djemaa-el-fna, la piazzadei miracoli, la piazza delle mille euna notte, rappresenta tutto il fa-scino esotico del Marocco: incan-tatori di serpenti, danzatrici delventre, musicisti, maghi, sarti,dentisti, venditori di ogni tipo eciarlatani di ogni genere animanola piazza Djemaa-el-fna dal tra-monto fino a notte fonda. Visitareil Marocco e non passare almenouna sera a Marrakech è come an-dare a Roma e non vedere il Co-losseo o piazza San Pietro. Così,anche noi, passiamo la serata ce-nando in una delle tante banca-relle della piazza, approfittandodella cucina di strada, e assistia-mo al solito spettacolo che tuttele sere, da secoli, la piazza Dje-maa-el-fna mette in scena. DaMarrakech a Essauira la stradanon è tanta. Essauira è un bel po-sto, è un antico porto sull’ oceanoAtlantico, fortificato dai portoghe-si nel XVIII secolo, ma con una
storia ben più antica che parte daifenici. La cittadella fortificata(medina) fu progettata, per contodel sultano, dallo stesso architettoche progettò Saint Malò in Fran-cia. Bella dunque ed il suo nome,Essauira, significa appunto benprogettata. La medina è interes-sante, ben conservata, con un’ at-mosfera tranquilla e colta. Moltiartigiani, all’ interno delle botte-ghe, lavorano ferro ed argento conuna fantasia e una maestria incre-dibile. E ancora quadri, tessuti, li-bri: un piacere per gli occhi. MaEssauira è soprattutto un porto dipescatori che ogni giorno si gua-dagnano il pane (ed il pesce) conun duro lavoro. Abbiamo visto ipescatori arrivare al pomeriggio,con le loro tozze barche di un bluintenso ma annerite dalla salsedi-ne e dal fumo dei motori diesel, esubito scaricare e pulire il pescesui vecchi moli consunti. Sopra diloro, attorno a loro, in ogni ango-lo del porto centinaia di gabbiani,i veri padroni della città, mangia-no i resti del pesce convivendocon pescatori e turisti. C’è una ter-ribile puzza di pesce, che si impre-gna nella pelle, sulle scarpe, suivestiti, nel vecchio porto di Es-sauira. Una strana catena alimen-tare lega tutti i personaggi: pesca-tori, pesci, gabbiani e turisti. I pe-scatori pescano, i gabbiani man-giano i resti del pesce e talvolta (anoi é successo) li restituiscono, di-geriti, sulle teste dei turisti che adogni modo il pesce lo mangiano, ebuono, nei ristoranti della medi-na. Credeteci, c’é una gran puzzadi pesce nel porto di Essauira.
EPILOGO,QUEL CHE RESTA DI UNVIAGGIO.
Dalle coste dell’Atlantico unaveloce galoppata ci riporta versonord, verso Tangeri, dove la naveci sta aspettando. La via del ritor-no è sempre un po’ più triste,manca l’entusiasmo ed il dina-mismo dei primi giorni, consape-voli che un’altra bella avventuravolge al termine.
Ma cos’è l’avventura?Forse il rischio grosso sulle piste
di montagna, mulattiere pietrosea strapiombo sul nulla; o le pisteche attraversano oued e oasi av-volte dalla sabbia dove l’acqua,miracolo del deserto, dà la vita?
Oppure i paesaggi, a volte asprie desolati a volte sereni ed acco-glienti?
O magari gli incontri con le per-sone: il venditore di fossili che ab-biamo medicato sulla pista delfiume "Todra", o il vecchio "anti-quario" che sul passo del Tiz-n-te-st, ci ha offerto un té alla menta, oancora i nostri nuovi amici saha-riani Polona e Salem?
Noi crediamo che quel che re-sta scolpito nei nostri cuori sia ilsorriso dei bambini! Giocare conloro nelle scuole che abbiamo vi-sitato, vedere il loro entusiasmosincero colpisce profondamente.
Perché quando sorride unbambino sorridono tutti i bam-bini del mondo!!!
Ora siamo sulla via del ritorno ec’è un po’ di amarezza nella finedi un viaggio. La nostalgia cheprende il viaggiatore, a differenzadel turista, è dovuta allo spiritocon cui viaggia, al desiderio di ca-pire e condividere la vita delle per-sone che incontra. Non sappiamose siamo turisti o viaggiatori, maanche questa volta abbiamo cer-cato di lasciare un segno; un pic-colo seme del nostro passaggio.
Grazie a tutti quelli che ci han-no sostenuto: la ONLUS "bambi-ni nel deserto" che ci ha aiutatoad aiutarla; Antonio e Francescacon il loro "progettofolle" da cuitutto è cominciato; i nostri ami-ci del team che, da casa, hannoviaggiato con noi; i lettori di "Li-bertà", giornale che ci ha dato fi-ducia e visibilità.
Tutti ci hanno aiutato a "Viag-giare per bene... "
Claudio, Davide,Gian Mario, Roberto
RAID FOR AID TEAM
Il ritorno col sorrisodei bambini nel cuoreMissione compiuta per i motociclisti del bene
LIBERTÀGiovedì 30 ottobre 201458