Progetto Rifugio Urbano

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Progetto “Rifugio Urbano” uno spazio di soccorso autogestito dagli utenti — a cura di Tristano Ajmone —

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Progetto per la creazione di uno spazio autogestito di mutuo auto aiuto per utenti psichiatrici. A cura di Tristano Ajmone per il laboratorio urbano Mente Locale (Torino).

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Progetto “Rifugio Urbano”

uno spazio di soccorso autogestito dagli utenti

— a cura di Tristano Ajmone —

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Premessa

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Premessa Quando m’imbattei nel progetto Weglaufhaus (Casa del Fuggitivo) di Berlino mi resi conto dell’importanza di avviare un progetto simile in Italia. La Casa del Fuggitivo costituisce infatti l’esempio concreto di come le persone abitualmente oggetto degli interventi pischiatrici possano formare una rete solidale a maglia stretta in grado di provvedere autonomamente al sostegno necessario a superare i periodi di crisi esistenziale che li affliggono.

Durante l’anno 2006 iniziai a formulare il progetto del Rifugio Urbano, una replica della Casa del Fugitivo riadattata all’esile e nascente realtà italiana delle reti di mutuo auto aiuto. Iniziai consultandomi con diversi utenti, educatori, psicologi e psichiatri, al fine di tastare il terreno della fattibilità locale, ben consapevole del potenziale ostracismo che questo progetto avrebbe suscitato nelle istituzioni e nella cosiddetta psichiatria «riformista». Avvalendomi della loro esperienza personale nel campo, giunsi al concepimento del Rifugio Urbano così come è presentato in questo progetto cartaceo.

Dietro il testo di questo documento vi è una lunga storia di incontri, discussioni e confronti tra utenti, ex-utenti ed operatori (dissidenti) della psichiatria torinese che hanno condiviso un sogno di speranza volto a scongiurare l’istituzionalizzazione della sofferenza umana e lo stigma sociale. Il progetto è in cantiere dall’inizio del 2006, circa, ed è stato coltivato in seno all’associazione di mutuo auto aiuto Laboratorio Urbano Mente Locale, di Torino1. Dopo interminabili incontri si è deciso, nel periodo a cavallo tra il 2006 ed il 2007, di presentare il progetto in forma ufficiale al Bandolo, avvalendoci del dottor Bisacco quale interlocutore. Il progetto venne accolto con apparente entusiasmo, nonostante tutte le remore del caso, e poi …

E poi le settimane presero a passare, e la promessa di ricontattarci entro le canoniche “due settimane” per comunicarci la decisione finale in merito al progetto venna adombrata da lunghi silenzi spezzati dai nostri tentativi di contattare Bisacco, il quale ci ha puntualmente e sbrigativamente liquidato con celeri e bruschi rimandi a “vi chiamo io fra una settimana”.

Questo atteggiamento da burocrati lo interpreto come l’ennesima conferma del fatto che la psichiatria istituzionale — specie quella che si definisce riformista e “attenta alla sofferenza ed ai valori umani” — non desidera affatto che i suoi fruitori si emancipino da essa. Per gli psichiatri riformisti l’idea che i «pazienti» psichiatrici possano riunirsi tra loro e formulare progetti di intervento autonomo rappresenta una minaccia al loro operato assistenzialista coercitivo fondato sul presupposto che i pazienti psichiatrici siano delle persone incapaci di affrontare le vicissitudini della vita senza il sostegno della loro supervisione clinica.

Per quanto mi riguarda, non aderirò più al progetto Rifugio Urbano, per una serie di motivi. Primo tra essi, sono stufo della pomposa arroganza degli psichiatri, i quali si credono padroni del mondo in virtù delle posizioni di potere che occupano in questa società fondata sulla repressione dell’individuo. Alla fine della fiera, tutta l’energia e la speranza che noi di Mente Locale (e gli operatori che ci hanno sostenuto) abbiamo riversato in questo progetto non sono valse neanche un sms da parte di Bisacco ed il suo staff per dirci che era andato tutto a rotoli. In questo ravvedo il riflesso della mentalità psichiatrica classica, che considera i pazienti come degli oggetti, che li pone in una situazione di eterna attesa in balia di promesse destinate a non essere mai evase. Le modalità gestionali con cui il Bandolo si è rapportato al nostro progetto mi ha fatto dolorosamente rivivere la tensione di fondo che ha modulato i miei anni trascorsi in pischiatria: quella falsità e non curanza patinate di compiacenti sorrisi e strette di mano dietro la cui facciata si celano solamente

1 Mente Locale si riunisce a Torino tutti i martedì mattina, dalle dieci alla mezza, in corso Unione Sovietica 220 (edificio “Poveri Vecchi”).

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Premessa

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considerazioni di natura carrieristica.

Non da ultimo, mi rendo conto che le battaglie che l’antipsichiatria ha condotto in Italia negli ultimi anni sono riuscite a far breccia nell’opinione pubblica e che la psichiatria inizia a vacillare e ad avvertire che il suo piedistallo ideologico va sgretolandosi sotto gli incessanti colpi dei suoi critici. Il Rifugio Urbano non era inteso come un progetto antipsichiatrico, bensì come un luogo di tregua autogestito per utenti ed ex-utenti della psichiatria atto ad emancipare gli individui afflitti da sofferenza psichica. Ciononostante, credo che la mia presenza nel progetto lo colorisse troppo di tinte «antipsichiatriche» per il semplice fatto che il mio coinvolgimento in esso non mi avrebbe sottratto alle mie battaglie contro la psichiatria e le sue istituzioni.

È sempre la solita minestra … da un lato vi è chi di psichiatria campa e dall’altro vi è chi di psichiatria crepa: mentre i primi con essa si arricchiscono, i secondi vi si impoveriscono. Quest’ultima considerazione è particolarmente calzante in riferimento al progetto Rifugio Urbano: gli utenti che vi hanno investito energia lo hanno fatto sottraendo energia e risorse alla propria vita personale — vite perlopiù rese precarie dalle istituzioni psichiatriche totali che stiamo cercando di «superare» (per usare un termine tanto caro ai cosiddetti riformisti). Come già accennato, tutto questo sacrificio non è stato considerato degno neanche di un sms da parte di Bisacco.

Di certo, l’esperienza di aver progettato assieme quest’isola di tregua ha arricchito noi utenti ed ex-utenti della psichiatria: per la prima volta (a Torino) ci siamo realmente confrontati con la possibilità di poter prendere in mano le nostre vite e gestire la nostra sofferenza tra pari, al di fuori dei luoghi istituzionali. I momenti che ci hanno visti riuniti a discutere di questo progetto sono stati permeati di entusiasmo genuino, così come genuine sono state le nostre paure e perplessità di fronte ad un compito così gravoso. Sicuramente, gli utenti di Mente Locale si sono rivelati molto più seri e sensibili al tema della sofferenza umana e dell’emancipazione dal giogo della psichiatria di quanto non abbia fatto il Bandolo.

La buona notizia, quantunque, è che i soci di Mente Locale non si arrenderanno di fronte a questo primo ostacolo e, nonostante io mi sia «chiamato fuori dal progetto», il progetto andrà avanti. Lo stesso vale per tutti quegli educatori e psicologi che hanno creduto nel progetto: seguitano a sollecitarlo, credendovi fermamente e ribadendo il loro sostegno. Ovviamente, si tratta di operatori dissidenti, il cui lavoro non si consuma in sfrenate e rampanti carriere sostenute da partiti politici quanto in una trascinata presenza nei servizi di salute mentale (sottopagata e ostracizzata); persone che non nutrono più illusioni circa la psichiatria, ma che non hanno mai smesso di credere che un giorno l’utenza psichiatrica avrebbe trovato la forza di rivendicare la propria autonomia e sciogliere i lacci che la legano alle istituzioni. A queste persone (che, ci tengo a precisarlo, ci hanno offerto il loro sostegno al progetto a titolo volontaristico, ex-orario lavorativo) vanno i miei più sentiti ringraziamenti. In un mondo governato da stronzi è rincuorante sapere di non essere gli unici «cretini» a credere che lo stato delle cose possa cambiare.

Ai ragazzi di Mente Locale che sono determinati a perseguire la realizzazione del Rifugio Urbano auguro di cuore di riuscirci. Dal canto mio, sono stufo di sprecare energia e parole con la psichiatria istituzionale; la strada del dialogo non si è rivelata né sincera né proficua. Dopo oltre due anni investiti in progetti quali il Comitato Utenti del Piemonte e il Rifugio Urbano mi sono reso conto che — a prescindere dalle sincere intenzioni di alcuni operatori della salute mentale coinvolti — vi saranno sempre un Bisacco, un Cesaro Picco o un Alberto Taverna di turno a mettere il bastone tra le ruote a qualsiasi progetto che dia un briciolo di autonomia ai pazienti psichiatrici. Il limite della «trattativa» tra gli operatori psichiatrici e i fruitori dei loro servizi è dettato dall’inflessibilità ideologica e dal pregiudizio che sono alla base della psichiatria: quest’idea che esistano le malattie mentali e che i malati di mente siano dei deficenti bisognosi di un aiuto imposto da esperti clinici. Finché questa mentalità non verrà accantonata, gli psichiatri che asseriscono di promuovere il mutuo auto aiuto seguiteranno a prenderci per i fondelli. Il punto è che tolti questa ideologia e

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Premessa

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questo pregiudizio della psichiatria non resterebbe nulla.

Il fallimento di questo primo tentativo di istituire un’area autogestita per utenti della psichiatria ha rivelato il limite dei miti fondatori del riformismo psichiatrico: non è infatti possibile superare il manicomio senza superare la psichiatria quale criterio nei confronti dell’altro (il diverso).

Premesso che se non abbiamo finora pubblicizzato questo progetto è stato solo per non creare false aspettative, affido oggi questo documento all’Internet sperando che possa stimolare i sopravvissuti alla psichiatria e gli operatori dissidenti a muoversi in direzione della Casa del Fugitivo di Berlino. Col senno di poi, se dovessi riscrivere questo progetto lo modificherei in maniera sostanziale, ma questo non mi trattiene dal divulgarlo così com’è poiché credo che anche solo consegnarlo al registro storico della memoria sia di vitale importanza per smascherare la mendacità del presunto dialogo della psichiatria riformista. Quindi … usatelo come meglio credete. Soprattutto, sbattetelo in faccia ai ciarlatani della riforma quando alle loro conferenze vantano di voler sentire la voce degli utenti e di aiutarli a istituire reti di muto auto aiuto!

La morale della favola è che finché gli utenti della psichiatria non saranno in grado di organizzare da sé un luogo di ritrovo autogestito, la psichiatria istituzionale vanterà le sue ragioni di esistere proprio in virtù di questa incapacità autogestionale degli utenti. Quando un gruppo di dieci persone non è in grado di procurarsi da sé ed autogestire un alloggio finalizzato al proprio benessere le chiacchiere vengono meno … quel che conta sono i fatti. Le reti di utenti e sopravvissuti alla psichiatria devono ancora compiere questo fondamentale passo verso l’indipendenza, e in questa lacuna non è ravvisabile una colpa attribuibile agli psichiatri e alla psichiatria quanto lo è invece alla mentalità della dipendenza dai servizi di cui sono pregnati coloro che sono stati a lungo in psichiatria. Anche in questo caso, il riformismo psichiatrico rivela la sua natura mitologica: è infatti assurdo parlare di deistituzionalizzazione laddove non viene messa in discussione la mentalità della dipendenza dalle istituzioni che è stata inculcata ai pazienti psichiatrici. Ma, se da un lato il superamento del manicomio (inteso come superamento del pregiudizio psichiatrico) è un compito che grava sull’intera società, quello della deistituzionalizzazione (intesa come superamento dell’affidarsi ai servizi psichiatrici) è un compito che grava in gran parte su coloro che sono assoggettati alle istituzioni psichiatriche e che seguitano a rivolgersi ad esse per i problemi del quotidiano. A che serve lamentarsi della psichiatria se poi non si fa nulla di concreto per rivendicare i propri modelli di vita? Rivolgendosi alla psichiatria si nutre il suo sistema e la si rafforza.

La critica radicale alla psichiatria non prevedere «ruoli di vittima». Così come lo psichiatra necessità di creare «malati di mente» per poter giocare al ruolo di dottore, l’eterna vittima della psichiatria necessità di una psichiatria coercitiva per poter giocare il proprio ruolo di vittima. Bisogna rimboccarsi le maniche e costruirsi i propri spazi in cui poter gestire le crisi esistenziali lontani dall’invasiva interferenza degli «esperti della mente» e da ogni forma di vittimismo. Soffrire è una condizione naturale della vita e non dovrebbe divenire motivo di sopraffazione sociale ma di crescita interiore. Questo è il senso del mutuo auto aiuto, e se dovessi ritoccare questo progetto prenderei le mosse dalle considerazioni esposte in questa nota introduttiva.

Tristano Ajmone,

Torino, 11 Giugno 2007.

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Sinossi del Progetto

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Progetto “Rifugio Urbano”

— a cura di Tristano Ajmone —

Sinossi del Progetto

Questo documento illustra il progetto denominato “Rifugio Urbano”, un progetto nato spontaneamente dallo scambio di esperienze e opinioni tra vari utenti della psichiatria. L’autore si fa portavoce di un bisogno sentito su larga scala, ispirandosi a progetti analoghi avviati in Europa in base al medesimo spirito.

Il “Rifugio Urbano” consisterebbe in un alloggio adibito a punto di ritrovo per un circuito locale di utenti della psichiatria che cercano spazi comuni in cui sostenersi attraverso un mutuo auto-aiuto pragmatico nella vita di tutti i giorni, condividendo risorse e copartecipando alle piccole imprese del quotidiano. Altresì, il Rifugio Urbano si propone come luogo di prima di accoglienza per persone in crisi, come alternativa al ricovero sanitario coatto, garantendo il supporto da parte di utenti ed ex-utenti disposti ad accogliere la persona in crisi e starle accanto.

Lo spirito che muove il progetto è quello della solidarietà tra persone pari (peers) che condividono un’affinità di esperienza tale da poter costituire una rete solidale non lucrativa in grado di sopperire alle lacune sociali che sono all’origine — e rinforzano — l’isolamento sociale di chi soffre psichicamente.

Lungi dal proporsi come un “percorso terapeutico alternativo”, il Rifugio Urbano mira ad essere ciò che la sua denominazione indica: un’area di rifugio per chi si sente sopraffatto dalle insidie dell’habitat urbano.

Il progetto Rifugio Urbano intende essere un progetto pilota, su piccola scala, della durata di un anno, al fine di poter sondare la possibilità di instaurare una rete sociale solidale autonoma in grado di sopperire ai fabbisogni di relazione di cui vengono generalemente private le persone stigmatizzate come «malati mentali».

Le richieste da parte dei proponenti del progetto (il sottoscritto ed altri utenti interessati a partecipare attivamente al progetto) constano della possibilità di disporre di un alloggio che non li gravi di spese affittuali, di un budget per potersi assicurare la copertura delle spese del consumo elettrico e del gas. Allo stato attuale non è stata ancora definita la questione della necessità di un telefono presso il Rifugio Urbano. Un riferimento telefonico per la reperibilità verso i fruitori del servizio, così come gli enti socio-assistenziali del territorio, rientra nelle necessità del servizio e richiede anch’esso una copertura economica. Quantunque, non si è ancora chiarificata la natura di quest’esigenza (telefono fisso nell’alloggio, oppure cellulare che ci si passi tra chi “di turno”?).

Quanto al resto delle spese, riteniamo che esse dovrebbero ricadere sui partecipanti al progetto, affinchè il percorso di partecipazione sia improntato sulla responsabilizzazione individuale e di gruppo, e sull’investimento affettivo e temporale in prima persona. Realisticamente parlando, allo stato attuale gli utenti interessati al progetto avvertono di non essere in grado di avviare il progetto senza le garanzie minime offerte da un ente patrocinante disposto a coprire le spese primarie dell’affitto, della luce e del riscaldamento.

Scaduto il termine progettuale pilota di un anno sarà possibile valutare i risultati in termini di successi conseguiti nell’offrire aiuto a persone in crisi, e ci si auspica che si sarà entrò allora formato un gruppo di stretti collaboratori pronti a procedere verso un’evoluzione autonoma del progetto — replicandolo in più aree della città, coprendo una maggiore territorialità, oppure creando

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Sinossi del Progetto

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strutture di accoglienza più ampie ed articolate.

Gli organizzatori del progetto avrebbero piacere a coinvolgere dei ricercatori universitari in sociologia, consentendo a questo progetto pilota di lasciare un registro storico circa i modelli d’intervento solidale proposti e vissuti in autonomia dagli utenti della psichiatria. Questa proposta consentirebbe, in caso di successo, di muoversi verso una mediazione mirata alla formulazione di modelli di intervento sociale condivisi tra liberi cittadini e istituzioni.

La presente bozza di progetto è stata stilata dallo scrivente dopo aver consultato un numero di utenti interessati al progetto, avendo ricevuto la delega e la fiducia a procedere secondo quelle che sono delle linee guida previamente discusse e concordate. L’interesse per il progetto mostrato da un numero di utenti locali è quantificabile nella disponibilità a prendervi parte con diverse modalità di partecipazione: un nucleo di persone è disposto a intraprendere un coinvolgimento assiduo e continuativo, altre si sono dichiarate disponibili a sostenere il progetto compatibilmente con i propri impegni quotidiani.

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Sommario del Progetto

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Sommario del Progetto Sinossi del Progetto..........................................................................................................................4

Cornice del Progetto.............................................................................................................................8

Premesse...........................................................................................................................................8

Premessa Circa l’Autore ..............................................................................................................8

Premessa Circa la Neutralità Ideologica del Progetto “Rifugio Urbano”....................................8

La Natura del Progetto: Intenti e Sfondo Socio-Culturale...............................................................8

Il Progetto “Rifugio Urbano” Quale Esigenza Sorta Spontaneamente ........................................8

Il Contributo dell’Internet all’Instaurazione di Reti di Utenti Internazionali ..............................9

Il Contributo Sociale Apportato dalle Reti di Utenti Psichiatrici ................................................9

Le Reti Sociali degli Utenti e la Nascita di Modelli Alternativi al Ricovero ..............................9

Due Precedenti Storici in Europa: il Magnus Stenbock Hotel e la Weglaufhaus ..........................10

Alcune Considerazioni in Merito allo Stenbock Hotel e la Weglaufhaus .................................10

Parallelismi tra la Situazione Torinese e gli Esempi Citati........................................................10

Finalità Operative del “Rifugio Urbano” ...........................................................................................12

Area di Socializzazione e Mutuo Aiuto .........................................................................................12

Punto di Ritrovo a Scopo Organizzativo........................................................................................12

Prima Accoglienza Per Persone in Crisi ........................................................................................13

Persone a Rischio di Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) ..............................................14

Persone in Crisi di Convivenza Contingente (Con Famigliari o Vicinato)................................15

Persone Sole in Stato di Afflizione ............................................................................................15

Quadro Organizzativo del Progetto....................................................................................................16

Il Gruppo dei “Responsabili del Rifugio”......................................................................................16

Modalità d’Accesso al Rifugio ......................................................................................................16

Gestione Domestica del Rifugio ....................................................................................................16

Coordinamento Con i Servizi Assistenziali ...................................................................................17

Appendice 1 Tristano Ajmone ...........................................................................................................18

Appendice 2 Il Magnus Stenbock Hotel ............................................................................................20

Appendice 3 La Weglaufhaus (Casa del Fuggitivo) di Berlino .........................................................22

La casa-riparo o “casa-del-fuggitivo” “Weglaufhaus” di Berlino — Tre anni di pratica antipsichiatrica ...............................................................................................................................22

Ci sono voluti dieci anni di battaglie .........................................................................................23

Vita giornaliera nella casa-riparo...............................................................................................23

Chi vive nella casa?....................................................................................................................24

Cosa succede nella casa? — Forme di aiuto ..............................................................................24

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Sommario del Progetto

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Strutture......................................................................................................................................26

Finanze .......................................................................................................................................26

Successo.....................................................................................................................................27

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Cornice del Progetto

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Cornice del Progetto

Premesse

Premessa Circa l’Autore Il redattore del progetto, Tristano Ajmone, è una persona con lunga esperienza di disagio psichico e ricoveri psichiatrici. Altresì, ha rivestito ruoli di rilievo nella rete internazionale degli utenti della psichiatria, ed ha collaborato con diversi organi psichiatrici sul terreno del confronto utenti/operatori e per l’instaurazione di una rete italiana dell’utenza psichiatrica e delle varie associazioni che le rappresentano.

Oltre alla significativa esperienza personale di sofferenza psichica, dei servizi assistenziali psichiatrici (coercitivi e non), chi scrive ha avuto modo di approfondire il tema della salute mentale inserendosi nelle varie reti internazionali in cui il dibattito della riforma psichiatrica si consuma in modo più acceso.

Maggiori informazioni sull’autore sono riportate in appendice.

La menzione di tali credenziali — lungi dall’essere un curriculum — ha come unico scopo di dare risalto alla forza emergente delle reti solidali che consentono ai singoli individui ed ai piccoli gruppi di utenti psichiatrici di inserire i propri progetti in un contesto più ampio in cui ricevere supporto alla loro realizzazione. Questo, anche per sottolineare che la presenza di un forte e prolungato disagio psicologico non è — come spesso si crede — un fattore che impedisca la realizzazione individuale e la possibilità di offrire il proprio contributo al miglioramento della società. Le persone che soffrono psichicamente hanno semplicemente bisogno di un contesto ambientale che ne valorizzi i potenziali, offrendo sostegno e comprensione — condizione che rende possibile conseguire i propri sogni nonostante le difficoltà esistenziali.

Premessa Circa la Neutralità Ideologica del Progetto “Rifugio Urbano” Il progetto Rifugio Urbano non è vincolato da proposte ideologiche specifiche (né di critica alla psichiatria, né in suo sostegno), propone invece dei modelli operativi con cui gli utenti della psichiatria possano crearsi dei propri spazi autonomi in cui sviluppare abilità sociali e relazionali che consentano loro di alleviare l’emerginazione sociale e conseguire una maggiore autonomia rispetto ai servizi psichiatrici e socio-assistenziali.

Il modello proposto è un modello fondato sulla responsabilizzazione condivisa ed il sostegno solidale. È un modello non ideologicamente vincolato né vincolante, basato sul rispetto della persona e centrato su un’etica dell’accettazione e della non imposizione. Ai fruitori del Rifugio Urbano non verrà chiesto di abbracciare alcuna ideologia né posizione circa la psichiatria, il disagio psicologico, e la società. Quel che verrà offerto saranno l’esperienza personale e le opinioni dei vari partecipanti al progetto, ognuno portatore di un proprio bagaglio individuale unico.

La Natura del Progetto: Intenti e Sfondo Socio-Culturale

Il Progetto “Rifugio Urbano” Quale Esigenza Sorta Spontaneamente Il progetto “Rifugio Urbano” — così come altri progetti affini — nasce come esigenza spontanea tra utenti con significativa esperienza di ricovero psichiatrico. I vari eventi organizzati dai servizi psichiatrici a favore degli utenti hanno consentito a persone provenienti da diverse ASL di riferimento di incontrarsi e conoscersi. Usufruendo dei vari spazi offerti dai Centri di Salute

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Cornice del Progetto

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Mentale per incontri continuativi (gruppi di mutuo aiuto, laboratori di arte-terapia, ecc.), molti utenti si sono incontrati con regolarità affrontando il tema del disagio sociale e della sofferenza psichica, proponendo discussioni mirate all’analisi dei propri vissuti e la formulazione di soluzioni extra-ambulatoriali per far fronte alle difficoltà del quotidiano esperite da chi è svantaggiato da condizioni di fragilità psichica.

Il Contributo dell’Internet all’Instaurazione di Reti di Utenti Internazionali L’avvento dell’internet ha consentito, nell’ultima decade, un rapido ampliamento degli orizzonti comunicativi sì da consentire agli utenti della psichiatria di stabilire delle reti di contatti a maglia fitta e l’instaurazione di reti solidali territoriali improntate sull’affinità.

Vari gruppi geograficamente isolati hanno goduto della possibilità di partecipare ad una rete più ampia di contatti, su scala globale, ottenendo la possibilità di condividere le proprie esperienze, lanciare i propri appelli, e beneficiare dei consigli di gruppi di attivisti civili che sono riusciti a crescere fino al punto di diventare punti di riferimento internazionali. Da questo scambio telematico di esperienze e consigli, è nata una rete informale di alleanze tra persone con problematiche affini. Temi centrali delle discussioni nelle reti di utenti ed ex-utenti (o sopravvisutti, come spesso ci si definisce) sono stati l’empowerment, le alternative ai servizi ospedalieri, la somministrazione forzata di psicofarmaci, e la coercizione in generale.

Il Contributo Sociale Apportato dalle Reti di Utenti Psichiatrici Da decine d’anni, un numero significativo di persone che hanno esperito fasi di difficoltà psichica, dopo aver attraversato i circuiti psichiatrici statali, si sono adoperate — col senno di poi — ad apportare contributi personali al miglioramento dei servizi assistenziali in psichiatria. Questi contributi nascono dall’esperienza in prima persona di tali servizi, e mirano a renderli più a misura di chi soffre.

Nonostante la diversità delle proposte emerse, negli anni si è andata delineando una linea d’azione comune tra gli utenti/ex-utenti della psichiatria: quella di presentare dei nuovi modelli con cui approcciare le problematiche della salute mentale, proponendo ratifiche legislative, paradigmi d’intervento alternativi, e quant’altro sia ritenuto possa apportare un miglioramento della vita a chi soffre e si trova in balia delle istituzioni.

Le Reti Sociali degli Utenti e la Nascita di Modelli Alternativi al Ricovero Le varie reti di utenti si sono dimostrate terreno fertile per un dialogo mirato all’elaborazione dei vari vissuti personali all’interno dei circuiti psichiatrici. Tra le esigenze emerse, una delle più sentite è la necessità di aree sicure in alternativa ai ricoveri psichiatrici di pronto soccorso, nonché per i periodi che seguono o precedono le fasi di crisi.

L’esperienza dei repartini è vissuta dagli utenti come un’esperienza totalitaria, fortemente alienante e privativa dello spazio vitale basilare. La spinta solidale delle reti di utenti si è in molte occasioni trasformata in sostegno pratico per le persone in fase di crisi, dapprima sotto forma di ospitalità volontaria, e in secondo luogo elaborando la possibilità di creare spazi destinati ad un’ospitalità continuativa.

Laddove l’approccio alternativo elaborato dagli utenti si è dimostrato proficuo, si sono intrapresi sforzi per rendere accessibili i vari modelli d’intervento proposti, formalizzandoli in sistemi teorico-pratici che possano essere replicati in altri luoghi. Questo è il naturale risultato del libero scambio di informazioni che caratterizza le reti degli utenti, laddove ad ogni annuncio di un’iniziativa (annunci in genere divulgati su mailing list o su forum a tema) segue una serie di domande e interviste al fine di appurare le nuove metodologie e condividerle attraverso recensioni su siti, riviste e la loro presentazione all’interno di gruppi, conferenze, ecc.

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Cornice del Progetto

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Svariati gruppi di utenti ed ex-utenti intraprendono viaggi all’estero al fine di poter partecipare attivamente ai vari progetti proposti in altri contesti, riportando a casa resoconti dei successi e dei fallimenti, adoperandosi ad elaborare nuove strategie per rafforzare le reti locali di auto aiuto.

Due Precedenti Storici in Europa: il Magnus Stenbock Hotel e la Weglaufhaus

Concretamente, i modelli europei di successo ispiratori del presente progetto sono stati principalmente due: il Magnus Stenbock Hotel, e la Weglaufhaus (casa del fuggitivo) di Berlino.

Di questi due progetti ho allegato in appendice due relazioni:

La prima, a cura dell’Amministrazione Statunitense per i Servizi di Tossicodipendenze e Salute Mentale (SAMHSA), offre il riscontro positivo da parte degli organi statali circa il Magnus Stenbock Hotel (situato in Svezia).

La seconda, è un articolo di Iris Holling, pubblicato sulla rivista Changes, sulla Casa del Fuggitivo, situata a Berlino. Questo articolo offre uno scorcio significativo delle dinamiche interne ad una casa autogestista da utenti, ed è una preziosa testimonianza dell’energia investita dagli utenti al fine di mantenere in vita il progetto, contro le avversità esterne.

Alcune Considerazioni in Merito allo Stenbock Hotel e la Weglaufhaus Quel che emerge dalla lettura di questi due esempi, è come i gruppi di mutuo auto aiuto gestiti da utenti della psichiatria finiscano per spostare gradualmente la propria attenzione dal sostegno parlato e dagli incontri socializzanti verso l’organizzazione di risorse abitative per ospitare i propri membri in crisi. In entrambi i casi, i gruppi di mutuo aiuto hanno ravvisato nelle difficoltà abitative e di coabitazione uno dei principali fattori determinanti i legami vincolanti con i servizi psichiatrici, ed in entrambi i casi l’autogestione di spazi abitativi di primo soccorso si sono rivelati servizi utili a sollevare la condizione dei propri fruitori.

Parallelismi tra la Situazione Torinese e gli Esempi Citati Nell’area torinese, i gruppi di mutuo aiuto e di utenti stanno da tempo ravvisando questa necessità. Il graduale spostamento dell’attenzione psichiatrica dalle vecchie istituzioni manicomiali ospedaliere verso le comunità protette, ed infine verso le cosiddette «case famiglia», ha data modo agli utenti di comprendere che la gestione di ordinari alloggi condivisi tra persone con esperienze di disagio offra un aiuto maggiore rispetto agli istituti totali.

Paradossalmente, gli utenti tendono a trarre maggior beneficio dalle strutture piccole e di tipo famigliare, con minore presenza di personale specializzato.

A tal proposito, riveste un interesse significativo la sperimentazione condotta dal Prof. Loren Mosher, il quale durante gli anni ’70 allestì la Casa Soteria: un luogo abitativo alternativo all’ospedalizzazione forzata per persone in crisi psicotica acuta. Il successo e le implicazioni di tale sperimentazione sono portatrici di grandi speranze per l’alleviazione della sofferenza psichica. Come attesta Mosher nelle proprie conclusioni circa la sperimentazione Soteria:

“… fra l’85% e il 90% dei pazienti gravi ed a lunga degenza giudicati bisognosi di ricovero ospedaliero urgente, possono essere restituiti alla comunità senza l’uso dei trattamenti ospedalieri convenzionali. Soteria, progettato come un ambiente curativo esente da farmaci, si dimostrò efficace tanto quanto il trattamento con farmaci antipsicotici nel ridurre i sintomi psicotici in sei settimane … i soggetti trattati in modo alternativo miglioravano clinicamente tanto quanto quelli trattati in ospedale, a costi considerevolmente inferiori. Dal punto di vista strettamente scientifico, è chiaro che le alternative al ricovero psichiatrico acuto siano

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Cornice del Progetto

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egualmente, o più, efficaci delle cure tradizionali ospedaliere nella riduzione a breve termine delle psicopatologie e negli aggiustamenti sociali a lungo termine.”

— L. Mosher, Soteria e Altre Alternative al Ricovero Psichiatrico Ospedaliero.2

Un’analisi delle attività della Casa Soteria rivela che l’ambiente da essa offerto non discostava granché da quello di una normale casa in cui convivevano utenti psichiatrici in fase di crisi. Questa parentesi divagativa intende richiamare l’attenzione sul fatto che sia la ricerca scientifica quanto i gruppi di utenti si muovono entrambi in direzione di una gestione autonoma degli spazi abitativi per le persone in fase di crisi psichica.

Il “Rifugio Urbano” intende collocarsi in una posizione intermedia, offrendo al contempo occasioni di incontro, mutuo aiuto ed attività sociali, così come il sostegno per le situazioni di crisi, pre-crisi e post-crisi.

2 Pubblicato su The Journal of Nervous and Mental Disease 187:142-149, 1999. Traduzione italiana a cura di Tristano Ajmone, pubblicata su: http://www.oism.info/it/terapia/prassi/soteria_e_altre_alternative_al_ricovero_psichiatrico.htm

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Finalità Operative del “Rifugio Urbano”

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Finalità Operative del “Rifugio Urbano” Il Rifugio Urbano consisterebbe in un alloggio che possa operare da punto di riferimento autonomo per gli utenti della psichiatria. Tra le attività contemplate si può ipotizzare:

Area di socializzazione e mutuo aiuto;

Punto di ritrovo a scopo organizzativo;

Prima accoglienza per persone in crisi.

Come emergerà durante la presente esposizione, i diversi aspetti del progetto sono mutuamente complementari — la socializzazione tra persone legate da esperienze affini è la base per stimolare l’organizzazione di una rete solidale; la rete solidale è il terreno da cui attingere per i servizi di accoglienza per chi è in crisi; gli eventi sociali sono l’ambiente d’accoglienza per il periodo post-crisi, ecc. (un circolo virtuoso di solidarietà).

Area di Socializzazione e Mutuo Aiuto

Il Rifugio Urbano si propone come punto di socializzazione e mutuo aiuto per un circuito semi-aperto di persone con esperienza di psichiatria. L’idea è che lo spazio venga reso fruibile per la condivisione della quotidianità — le persone possono incontrarsi per cucinare assieme, fare la spesa in gruppo, cercare consiglio o chi li accompagni a espletare pratiche burocratiche, cercare lavoro, ecc.

L’idea di circuito «semi-aperto» poggia sulla mia personale convinzione che in questa prima fase pilota sia più conveniente non pubblicizzare eccessivamente il progetto, procedendo invece tramite un passaparola naturale tra gli utenti che si conoscono personalmente, mirando ad allargare la cerchia in maniera graduale ma progressiva, onde evitare un’afflusso eccessivo che potrebbe comportare difficoltà di assorbimento e una potenziale rottura di equilibri nascenti.

A tal fine, chi scrive è fermamente convinto che sia consigliabile mantenere contatti con gli enti socio-assistenziali del territorio, al fine di poter operare senza interferire con gli equilibri più ampi del terreno sociale in cui i fruitori del Rifugio Urbano si inseriscono. Questo approccio, sia chiaro, non promuove una carta operativa secondo dettami canonici dei dipartimenti di salute mentale; propone invece un approccio etico che ravvisa nel coinvolgimento dei servizi di riferimento una possibilità di trasparenza e dialogo che possano tutelare tutte le parti in gioco (“il Signor Mario Rossi si è rivolto al Rifugio Urbano chiedendo ospitalità, vi informiamo che sarà presso di noi nei giorni a venire e siamo a vostra disposizione per ogni necessità intermediatica…”, ecc.).

Tornando alle attività di socializzazione, è auspicabile che esse prenderanno la forma di un mutuo sostegno per le attività del quotidiano, condividendo le esperienze pratiche di vivibilità ambientale (dall’andare a fare la spesa, al cercare lavoro, ecc.), consentendo di colmare le lacune di abilità sociali che sovente sono riscontrabili nelle persone con lunga esperienza di psichiatria. Siamo infatti fermamente convinti che alla base di lunghi ricoveri psichiatrici vi sia una carenza di fondo delle abilità sociali richieste per un adeguato inserimento nel flusso sociale, e che eventi di socializzazione tra persone pari possa colmare tali lacune attraverso una condivisione solidale improntanta sulla pazienza, l’empatia e l’assenza di pregiudizio stigmatizzante (fattore scatenante dell’isolamento sociale).

Punto di Ritrovo a Scopo Organizzativo

L’idea di creare un punto di ritrovo che funga da riferimento per gli utenti della psichiatria trae

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Finalità Operative del “Rifugio Urbano”

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forza dalla convinzione che le reti sociali ad articolazione libera, mosse da spirito solidale, siano terreno fertile per la nascita spontanea di iniziative di riforma sociale.

Il Rifugio Urbano potrebbe proporsi come locale autonomo a cui appoggiarsi per incontri associativi, “prenotando” una serata in cui poter avere a disposizione una stanza in cui parlare avvolti in un clima famigliare e discreto, concordando anche l’organizzazione di una cena. Questo consentirebbe l’impegno dei frequentatori del Rifugio Urbano in attività costruttive, e potrebbe essere fonte di introiti economici in grado di contribuire all’andamento domestico del progetto — per esempio, in cambio di una cena e l’ospitalità per un gruppo di otto persone, si concorda una partecipazione economica che consenta di coprire le spese del pasto.

Simili attività, oltre che essere produttive dal punto di vista della crescita personale e dell’autonomizzazione degli utenti che vi prendono parte, offre la possibilità alle persone partecipi del circuito della salute mentale di conoscersi tra loro in maniera informale, aprendo le porte a proposte solidali, collaborative, ed ampliando il ventaglio di contatti sociali degli utenti del Rifugio. A tal proposito, chi scrive ritiene che simili spazi di eventi organizzativi dovrebbero essere aperti anche agli operatori psichiatrici stessi, nonché alle varie cooperative sociali, ecc. Questo consentirebbe di scavalcare la solita procedura classica in cui l’utente conosce i propri referenti dei servizi sociali esclusivamente tramite l’approccio ambulatoriale asimmetrico che lo vede palesemente nella posizione di “cliente dei servizi”.

Simili eventi di sostegno verso l’organizzazione di incontri organizzativi per gruppi ed associazioni, consentirebbe agli utenti di conoscere nuovi referenti in un clima informale dettato da una situazione relazionale simmetrica. La mia esperienza di partecipazione ad eventi organizzati dai servizi di salute mentale, e coinvolgenti gli utenti, mi ha consentito di constatare che le relazioni tra utenti ed operatori psichiatrici instaurate nel clima informale di conferenze, convegni, eventi sociali, ecc, hanno sviluppi molto più rilassati rispetto alle conoscenze nate in seno ai servizi ambulatoriali. Ho avuto modo di assistere in molte occasioni ad utenti che si rivolgevano a chiedere consiglio a psichiatri che avevano conosciuto durante eventi sociali, come si chiederebbe consiglio ad un amico esperto. Questo approccio ha consentito a molti utenti che vivevano il rapporto con i servizi sociosanitari in modo avversivo di rompere le catene del pregiudizio e trovare dei punti di riferimento utili per intraprendere decisioni circa i propri programmi terapeutici.

Prima Accoglienza Per Persone in Crisi

Tra le principali mansioni del Rifugio Urbano rientra la possibilità di offrire prima accoglienza alle persone in crisi (intendendo con ciò persone in stato di crisi esistenziale tale per cui la risposta sociale comune sarebbe l’intervento psichiatrico).

I principali beneficiari di tale servizio di accoglienza sarebbero tre categorie:

1. Persone a rischio di trattamento sanitario obbligatorio (TSO);

2. Persone in crisi di convivenza contingente (con famigliari o vicinato);

3. Persone sole in stato di afflizione.

A questo proposito è indispensabile precisare che è opinione prevalente tra i proponenti del presente progetto che l’accoglienza di persone in crisi sia un servizio delicato ed a discrezione valutativa del referente per l’accoglienza. La nostra esperienza personale ci suggerisce che non sempre si sia in grado di offrire il sostegno richiesto, per cui riteniamo che se il referente non se la dovesse sentire di accogliere una determinata persona, non sarebbe consigliabile procedere in tal senso. Questa premessa è il riflesso della consapevolezza, da parte di chi propone il progetto, circa la delicata natura dell’aiuto per chi è in crisi. Lungi dal voler negare aiuto a chi lo richiede, siamo consapevoli che non sempre si è in grado di offrire il sostegno richiesto/necessario.

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Finalità Operative del “Rifugio Urbano”

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Laddove si teme che non si sia in grado di offire l’aiuto richiesto, per qualsivoglia ragione, preferiamo esplicitamente ammettere la nostra impreparazione/impotenza in merito.

Persone a Rischio di Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) Ai fruitori dei servizi psichiatrici, accade spesso di trovarsi in situazioni in cui viene richiesto l’intervento dei servizi psichiatrici di pronto soccorso. Spesso tali situazioni sono dettate da dissensi di convivenza degenarati in una momentanea incapacità a tollerarsi reciprocamente. In simili situazioni ricorrenti, i servizi psichiatrici di pronto intervento si trovano di fronte a dissensi domestici (o di vicinato) per i quali l’unica alternativa percepita per poter evitare un escalation dell’incompatibilità è quella di internare coercitavamente la parte per cui è stato richiesto l’intervento.

L’esperienza pratica ci insegna che gli stati emotivi per cui la psichiatria giustifica l’internamento in repartino sono spesso legati al contesto domestico scatenante, e che sarebbe sufficiente offrire al candidato per il TSO una tregua extra-domestica per consentirgli di ritrovare la propria quiete interiore. In simili casi il ricovero coatto s’inserisce come un elemento altamente disturbante per la persona che si trova a vivere una duplice avversità: quella domestica e quella istituzionale.

A prescindere dalle motivazioni del conflitto originale — e da dove penda l’ago della ragione — il Rifugio Urbano sarebbe in grado di offrire una prima accoglienza in simili situazioni. L’utilità di un tale servizio troverebbe il suo riscontro massimo in quei frangenti contingenti — come “l’emergenza del fine settimana” — in cui non vi è alcuna disponibilità immediata di servizi territoriali alternativi al repartino, né è ravvisabile la possibilità di un pacifico ritorno a casa della persona.

Il contributo pratico offerto dal Rifugio Urbano consisterebbe nella reperibilità di una serie di interlocutori con esperienza di psichiatria pronti a recarsi all’alloggio del Rifugio Urbano al fine di accogliere la persona in crisi, offrendole sostegno morale, pratico e rimanendo in sua compagnia fino al cessare della crisi.

Questa situazione di stazionamento temporanea consentirebbe alle persone in crisi di godere di un’alternativa al classico TSO in repartini ad alta sorveglianza, ed al contempo offrirebbe alla persona in crisi uno spazio protetto non istituzionale dal quale poter condurre la propria contrattualità con i servizi territoriali in maggiore autonomia. La disponibilità di un “tetto sicuro” per le persone in crisi consentirebbe, sia ai servizi psichiatrici che alle persone in crisi, un margine di contrattualità terapeutica più elastico (p.es.: poter scegliere con meno fretta il centro d’accoglienza successivo, o la valutazione del rientro a casa).

È nostra ferma convinzione che una trattativa condotta da un “paziente” che si senta protetto grazie ad un punto di riferimento abitativo (seppur temporaneo), gestito da persone sue pari, si presti a sviluppi molto più rilassati e ponderati che non quella condotta in uno stato di ricovero coatto altamente restrittivo (dove il paziente vuole solo uscire dal repartino, e si sente intimorito dal mandato autoritario di chi lo detiene contro la propria volontà).

I responsabili del progetto si adopereranno di contattare il personale psichiatrico dei repartini di pronto intervento al fine di far conoscere la disponibilità del servizio di accoglienza, chiedendo che venga proposto ai candidati al TSO come alternativa al ricovero. All’atto pratico, la procedura di accoglienza avverrebbe nel seguente modo: il personale psichiatrico del pronto soccorso/repartino informa la persona candidata al TSO circa la disponibilità di un’alternativa presso un luogo gestito da utenti e, in caso di accoglimento della proposta, il personale contatta telefonicamente i responsabili del Rifugio Urbano, i quali si adopereranno a recarsi al pronto soccorso e prendere accordi con le parti in causa al fine di organizzare gli aspetti logistici dell’accoglienza in tempi immediati e modalità consone.

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Persone in Crisi di Convivenza Contingente (Con Famigliari o Vicinato) Molte persone con esperienza di psichiatria esperiscono frequentemente difficoltà di coabitazione con la famiglia ed il vicinato. In molti casi il “rumore di fondo” relazionale viene colto sul nascere dalla persona prossima alla crisi, senonché spesso essa non gode di spazi alternativi in cui rifugiarsi al fine di impedire una rapida escalation convivenziale.

Spesso molte situazioni famigliari “limite” potrebbero essere evitate se alle persone con esperienza psichiatrica fossero concessi spazi in cui rifugiarsi prima che la crisi “monti a dismisura”. Il Rifugio Urbano si propone come centro di prima accoglienza anche per coloro che, pur non avendo raggiunto un livello di crisi tale da aver comportato la chiamata dei servizi di pronto intervento, sono consapevoli di essere prossimi ad una crisi se non viene concesso loro uno spazio di sostegno morale e di sicurezza.

Anche in questo caso il Rifugio Urbano sarebbe in grado di organizzare telefonicamente l’assistenza presso l’alloggio, garantendo la presenza di almeno un utente che passi la notte in compagnia della persona in principio di crisi.

Persone Sole in Stato di Afflizione Un’altra situazione problematica ricorrente per le persone che hanno alle spalle vissuti psichiatrici è quella delle crisi di solitudine. Spesso gli utenti dei servizi psichiatrici sono persone sole, con scarse abilità sociali, altamente stigmatizzate e afflitte da forte pessimismo circa il proprio futuro. È nostra ferma convinzione che simili situazioni siano una delle cause principali dei suicidi tra gli utenti della psichiatria.

Quando la persona sofferente si sente disperata circa la propria situazione esistenziale, e si sente combattuta tra la necessità di una assistenzialità che si offre sotto forma di interventi sradicanti e il desiderio di mantenere integra la propria autonomia, la disperazione monta al culmine.

Il Rifugio Urbano si propone come punto di riferimento per siffate persone afflitte da solitudine, offrendo disponibilità di accoglienza diurna e notturna. L’idea generale è che le persone che si sono fatte carico di portare avanti il progetto si rendano disponibili a recarsi al Rifugio in caso di richiesta, e che siano disposte a dedicarsi alle persone in crisi stando loro accanto. Per questo scopo. il gruppo di gestione si coordinerà al fine di organizzare un sistema pianificato di reperebilità, mosso da spirito di volontariato assistenziale.

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Quadro Organizzativo del Progetto

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Quadro Organizzativo del Progetto

Il Gruppo dei “Responsabili del Rifugio”

Il progetto è improntato sull’idea che un nucleo di utenti costituisca un gruppo di coordinamento per il progetto del Rifugio Urbano. Questo nucleo centrale, meglio inquadrabile come i “Responsabili del Rifugio”, avrebbe l’onere di seguire in modo continuativo l’andamento del progetto, rendendosi disponibile a presenziare nell’alloggio (anche a turni alterni) al fine di assicurare un corretto andamento del progetto, un’adeguata manutenzione dell’alloggio (in termini di pulizia, sicurezza, ecc.) e di curare l’andamento economico-domestico del Rifugio.

Ipotizzando un nucleo inziale di 4 o 5 persone, è auspicabile che, con lo sviluppo del progetto, altri utenti si aggreghino all’iniziativa, consentendo una crescita del gruppo inziale ed una maggiore disponibilità di persone attivamente presenti per le mansioni di coordinamento e gestione dell’appartamento.

Il gruppo dei Responsabili è l’organo di riferimento tra i patrocinanti del progetto e le varie istituzioni territoriali; altresì il gruppo si impegnerà a relazionare gli enti patrocinanti circa l’andamento del progetto, mantenendo una collaborazione trasparente.

Modalità d’Accesso al Rifugio

Premesso che le chiavi dell’alloggio dovrebbero essere gestite esclusivamente dal gruppo dei responsabili o chi da loro delegato. Premesso che il Rifugio Urbano non sarà destinato a persone con problematiche di tossicodipenza o alcolismo (che riteniamo troppo complesse da gestire in un progetto pilota).

L’accesso al Rifugio dovrebbe essere gestito in modo coordinato, onde evitare che diventi una sorta di “porto di mare”. L’alloggio andrebbe sì considerato una risorsa comune al circuito degli utenti locali, cionostante la sua fruizione dovrebbe essere regolata da norme volte a tutelare il rispetto delle attività del Rifugio e della quiete di chi si trova accolto in esso per superare la propria crisi.

Per esempio, l’accoglienza di una persona in crisi può comportare la necessità di meno afflussi durante il suo periodo di permanenza, al fine di tutelare gli spazi dell’ospite (magari una persona anziana, timida, ecc.). Oppure, l’organizzazione di una serata d’incontro per un associazione/gruppo di utenti può richiedere che il rifugio non sia aperto a visitatori inattesi, onde non interferire con l’andamento della riunione.

A tal fine, è ipotizzabile che una regola aurea per la fruizione del rifugio sia l’accortezza di telefonare prima di recarsi in visita all’alloggio (da qui la necessità di un telefono fisso che possa perlomeno ricevere chiamate in entrata). Questo anche per evitare un flusso indiscriminato di persone che potrebbe destare lo scontento del vicinato.

Sarebbe comunque auspicabile stabilire degli orari in cui il rifugio sia liberamente accessibile all’utenza, consentendo un libero ritrovo tra gli utenti già partecipi della rete ed i nuovi frequentatori (p.es., ogni sabato sera e durante alcune mattinate).

Gestione Domestica del Rifugio

Garantire le condizioni igienico-sanitarie dell’alloggio è un onere che ricade sui Responsabili del Rifugio.

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Quadro Organizzativo del Progetto

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Il pernottamento nell’alloggio è previsto in caso di necessità assistenziali, il Rifugio non è infatti concepito come una dimora per chicchessia. È comunque previsto offrire ospitalità a rappresentanti delle reti di utenti di altre città che vengano a Torino per collaborare con le reti locali.

La questione del vitto sarà una questione aperta e legata al livello di partecipazione dei fruitori. Quindi, la questione del cibo sarà gestita in base al flusso dei frequentatori. Quantunque, i Responsabili si adopereranno a garantire le condizioni di fruibilità immediata del Rifugio in vista dei potenziali afflussi di persone in crisi — ovvero, ci si procurerà di assicurarsi che siano sempre a disposizione gli alimenti base (e lenzuola, asciugamani, ecc) per garantire un’adequata accoglienza alle persone in crisi.

Per far fronte alle spese sopramenzionate, i Responsabili si adopereranno a stimolare la partecipazione attiva dei fruitori, e si appoggeranno alle varie reti solidali locali, ai commercianti di quartiere, enti di beneficenza, ecc.

Coordinamento Con i Servizi Assistenziali

Al fine di poter offrire in maniera concreta il servizio di prima accoglienza, i Responsabili del Rifugio si impegnano a contattare i vari servizi psichiatrici locali al fine di far conoscere la disponibilità dei suddetti servizi agli psichiatri operativi sul territorio. L’obiettivo è: essere reperibili telefonicamente (24 ore su 24) per chi opera nei repartini, al fine di poter garantire una proposta alternativa al Trattamento Sanitario Obbligatorio.

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Appendice 1 — Tristano Ajmone

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Appendice 1 Tristano Ajmone

Dal gennaio 2005 — ossia, a circa due anni di distanza dal termine del proprio ricovero — Tristano Ajmone è stato investito dell’ufficio di Presidente dell’OISM (Osservatorio Italiano Salute Mentale) un’associazione di fama internazionale sul tema della salute mentale che si occupa di controinformazione e di promuovere le reti sociali solidali tra utenti della psichiatria e operatori coscienziosi. L’OISM annovera tra i suoi soci onorari:

Prof. Thomas Szasz, Professore Emeritus di Psichiatria presso lo Health Science Center, State University di New York, Syracuse. Il Prof. Thomas Szasz è da oltre 40 anni il più celebre critico della psichiatria. La sua opera principale, Il Mito della Malattia Mentale — risalente al 1961 — ha sfidato le fondamenta della psichiatria.

Dott. Giorgio Antonucci, Medico Psicoanalista che ha conseguito fama internazionale per la sua opera di superamento delle istituzioni manicomiali e della coercizione.

Dott. Claudio Ajmone, Psicologo Clinico e Psicoterapeuta, Fondatore e primo presidente dell’OISM, Socio onorario dell’Associazione Europea di Psicoanalisi, membro del Comitato Etico e del Comitato Scientifico della Campagna Nazionale Giù Le Mani Dai Bambini, nonché Responsabile dell’Area Ricerca Scientifica ed ispiratore del Consensus Internazionale “ADHD e Abuso Nella Prescrizione di Psicofarmaci ai Minori”.

Prof. Loren Mosher (1933-2004), Psichiatra, Clinical Professor of Psychiatry presso la School of Medicine, University of California at San Diego. Dal 1968 al 1980 fu “first Chief of NIMH’s Center for Studies of Schizophrenia”, fondatore della rivista “The Schizophrenia Bulletin”, dal 1970 al 1982 fu “collaborating investigator” e poi “Research Director” del Soteria Project — comunità alternativa per il trattamento della Schizofrenia grave con approccio fenomenologico senza l’uso psicofarmaci.

Dott. Mariano Loiacono, Psichiatra, Direttore del Centro di Medicina Sociale degli Ospedali Riuniti di Foggia, Azienda Ospedaliero-Universitaria. Il dott. Loiacono da oltre 30 anni svolge con successo attività terapeutica sul disagio diffuso, un metodo che non prevede l'uso di psicofarmaci e utilizza modalità nuove e atipiche di psicoterapia ispirate alle dinamiche di vita globale e complessa.

Tra i contributi personali apportati dall’autore alla causa dell’utenza psichiatrica ricordiamo:

La partecipazione a svariate conferenze sul tema della salute mentale e la prospettiva degli utenti.

La ristampa in formato digitale di svariati libri sul tema della salute mentale, al fine di renderli disponibili gratuitamente sull’Internet.

Ha collaborato alla traduzione del libro di Ken Steele E Venne Il Giorno Che Le Voci Tacquero, rivedendone il testo finale.

Ha curato la traduzione italiana del video gratuito Il Tribunale Foucault sullo stato della Psichiatria, un documentario sull’omonimo evento internazionale organizzato dagli utenti della psichiatria a Berlino, nel 1998.

Traduzione in italiano e pubblicazione audio gratuita della conferenza «Principi Libertari e Prassi Psichiatriche: Sono Compatibili?», di Thomas Szasz (2003).

Ha avviato il progetto del portale www.utenti.net, uno spazio web dedicato alle associazioni degli utenti ed ex utenti della psichiatria; realizzando il sito ufficiale dell'Associazione Diritti

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Appendice 1 — Tristano Ajmone

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e Doveri (di Biella e Cossato), e sta ivi attualmente preparando il sito per l’associazione torinese Laboratorio Urbano Mente Locale.

In data 25 Luglio 2006 — su incarico ufficiale dell’International Disability Caucus — traduce ed invia al Presidente del Consiglio italiano il testo emendato della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.

Nel luglio 2006 ha presentato la testimonianza della propria esperienza carcerario-psichiatrica per il libro First Person Stories on Forced Interventions and Being Deprived of Legal Capacity, un testo curato da svariate organizzazioni di utenti psichiatrici (a riconoscimento internazionale) che è stato presentato alle Nazioni Unite.

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Appendice 2 — Il Magnus Stenbock Hotel

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Appendice 2 Il Magnus Stenbock Hotel

Il testo che segue è la mia traduzione di un articolo pubblicato dalla SAMHSA (Substance Abuse and Mental Health Services Administration — organo del Dipartimento Statunitense per la Salute ed i Servizi Umani):3

Il Magnus Stenbock Hotel, situato a Helsinborg (Svezia), è un progetto gestito da utenti. Il sig. Maths Jesperson, un difensore degli utenti molto rispettato in Europa, nonché membro fondatore dell’hotel, è convinto che le strutture di accomodamento protette non dovrebbero essere né finalizzate alla riabilitazione né parte dei servizi psichiatrici convenzionali. Piuttosto, le abitazioni protette dovrebbero offrire un ambiente sicuro che la persona possa considerare casa propria. Jesperson crede che un individuo che viva in un ambiente protetto possa necessitare di supporto personale di tanto in tanto, ma preferisca che tale supporto sia una forma più flessibile di riabilitazione e trattamento.

Quindi, il Magnus Stenblock Hotel opera senza alcun legame con i servizi locali di salute mentale o con i servizi sociali, né coinvolge professionisti in questo progetto totalmente democratico. Un gruppo locale di utenti gestisce l’hotel. Il suo direttivo viene selezionato in incontri annuali ed è responsabile per tutti gli aspetti della gestione dell’hotel, dalla raccolta fondi all’assunzione del personale. Alcuni utenti sono assunti per gestire l’hotel ed espletarne i lavoretti. Inoltre, alcuni utenti che partecipano ad un progetto per i disoccupati svolgono volontariato presso l’hotel.

Il Magnus Stenblock Hotel fu fondato nel 1989, epoca in cui un gruppo di utenti gestiva un centro incontri in una vecchia palazzina. Durante questo periodo, un membro del gruppo senza casa si trasferì in uno degli alloggi vuoti. In cambio della stanza, egli offrì il proprio volontariato al centro incontri permettendo così al centro di rimanere aperto la sera e a volte anche durante la notte. Col passare del tempo, sempre più persone senza casa iniziarono a passare le notti nel centro e, per via del freddo, era difficile chiedere loro di andarsene. Sfortunatamente, il centro incontri non era idoneo per pernottamenti. Non vi erano letti né docce, ed i visitatori iniziarono a sentirsi meno benvenuti.

Cercando una soluzione al sovraffollamento del centro il presidente riuscì, grazie ad i suoi contatti nella comunità dei commercianti, a procurare un intero albergo ad un prezzo scontatissimo. Agli americani potrà sembrare straordinario il fatto che un intero albergo venga offerto per un simile progetto, ma in Svezia è naturale che la comunità si senta in dovere di integrare le persone svantaggiate. Vi erano, ovviamente, alcuni cittadini scettici circa l’impatto economico del progetto sulla comunità, ciononostante il gruppo di auto aiuto negoziò le trattative con il proprietario ed il Comune di Helsingborg. L’albergo era situato nella vecchio centro cittadino di Helsingborg, nei pressi dei traghetti per la Danimarca. Questa ottima collocazione consentiva ai pensionanti ed ai membri del gruppo di partecipare alle attività ordinarie della città, e la collocazione centrale rappresentava una breccia nella tendenza del passato a nascondere le case protette ai sobborghi della città.

L’albergo venne costruito nel 1898 ma è oggi stato ristrutturato, annovera 18 camere singole. Ogni pensionante ha una camera singola completa di servizi igienici e bagno, un letto con lenzuola e coperte, una scrivania, sedie, uno specchio, lampade, asciugacapelli, asciugamani, ed una radio-sveglia. Recentemente, in ogni stanza è stato messo un frigo ed una macchinetta per il caffè. Ai

3 Fonte: SAMHSA Special Report: A Personal Perspective. Link: http://www.mentalhealth.samhsa.gov/publications/allpubs/KEN-01-0108/hotel.asp

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Appendice 2 — Il Magnus Stenbock Hotel

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pensionanti è consentito arredare la camera con il proprio arredamento, qualora lo volessero. Tutti i pensionanti stipulano un contratto d’affitto con l’hotel che impegna entrambi ad un preavviso di 14 giorni previa cessazione del contratto; di fatto, negli ultimi dieci anni, solo un numero ristretto di pensionanti è stato sfrattato per uso massiccio di droghe. Dato che le regole dell’hotel vengono stilate democraticamente, in genere vengono ben rispettate. Le persone possono vivere nell’hotel per un mese o per anni, a nessuno viene mai detto che come parte del loro programma di reinserimento deve spostarsi ad un altro livello di vita indipendente. Piuttosto, i pensionanti possono andarsene quando si sentono pronti. Questa politica adottata ha portato a molte storie di successo.

Durante la mia visita all’hotel, ho avuto la possibilità di incontrare molti inquilini che mi colpirono con la propria fierezza e contentezza nell’abitare al Magnus Stenbock. Gli inquilini erano a loro agio, comodi, e interagivano gli uni con gli altri in una maniera amichevole e assistenziale. Mentre mi mescolavo agli inquilini, mi resi contro che il Magnus Stenbock Hotel ha adottato i principi e le prassi dell’auto-aiuto e li ha applicati all’ambiente alberghiero, con grande successo.

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Appendice 3 — La Weglaufhaus (Casa del Fuggitivo) di Berlino

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Appendice 3 La Weglaufhaus (Casa del Fuggitivo) di Berlino

L’articolo che segue (note incluse) è tratto dal sito NO!PAZZIA4, che ne ha curato la traduzione in italiano. NO!PAZZIA è un gruppo di sopravvissuti alla psichiatria di spicco nella rete degli utenti della psichiatria italiana.

NO!PAZZIA — Alternative

[aggiunta 1 gennaio 2005 : la «Casa del fuggitivo», Weglaufhaus, la casa-rifugio gestita a Berlino dall’antipsichiatria per ricoveri volontari per emergenze “fuori di testa”, in piedi dal 1996, continua ad esserci valida ed attiva come sempre, con una media di 13-14 rifugiati (ricordo che per statuto della Casa non possono restare più di tre mesi). Ora 13 dic 2004 una lieta notizia: alla Casa è stato conferito il premio “Ingeborg-Drewitz” per il particolare impegno a favore dei diritti dell’uomo […]]

La casa-riparo o “casa-del-fuggitivo” “Weglaufhaus” di Berlino — Tre anni di pratica antipsichiatrica

— Iris Holling5 —

[Pubblicato in: Changes — An International Journal of Psychology and Psycotherapy (England), Vol. 17 (1999), p. 278-288.]

La casa-riparo di Berlino «Weglaufhaus» [ndT: runaway-house = casa-per-fughe; casa-del-fuggitivo, intendendo dalla psichiatria] è stata finalmente aperta l’1 gennaio 1996, dopo 10 anni di pene per realizzarla. È la prima istituzione antipsichiatrica che è stata gestita in modo da ottenere fondi ufficiali, quale centro di crisi per sopravvissuti6 alla psichiatria senza casa. La casa-riparo è il posto per persone che vogliono tenersi alla larga dalla porta girevole della psichiatria ed hanno deciso di voler vivere senza diagnosi psichiatriche e senza psicofarmaci. Apre uno spazio fuori od oltre la rete (sociale) psichiatrica che rende le persone dipendenti, uno spazio in cui i residenti tentano di riacquistare controllo sulla loro vita. Qui essi possono aver riparo, riacquistare forze, parlare delle loro esperienze, sviluppare piani per il futuro senza il punto di vista psichiatrico di malattia, che blocca l’accesso alle loro speranze e non considera le loro difficoltà personali e 4 http://www.nopazzia.it/casaberlino.htm 5 Iris Hölling ha studiato filosofia, lavora nella casa-riparo Weglaufhaus fin dalla sua apertura, è membro della “Associazione contro la Violenza Psichiatrica” fin dal 1994, è stata membro del direttivo della “Rete Europea degli (ex-) Utenti e Sopravvissuti alla Psichiatria” ( ENUSP ) [European Network of (ex-)Users and Survivors of Psychiatry] nel 1997-99 e membro del comitato internazionale per la Rete MondialeWNUSP [World Network of (ex-)Users and Survivors of Psychiatry] fin dal 1997. 6 “Sopravvissuti”: Il termine tedesco Psychiatrie-Betroffene (persone afflitte dalla/opposte alla psichiatria) non si traduce bene in inglese. Poiché la maggior parte dei membri della Associazione per la Protezione contro la Violenza Psichiatrica chiamano se stessi “sopravvissuti” piuttosto che “(ex-) utenti” della psichiatria, ho qui usato il termine “sopravvissuto”, quantunque è più radicale e critico del tedesco “Psychiatre-Betroffene”. Ritengo comunque che Psychiatrie-Betroffene contraddistingua meglio il sentimento di violenza subita da chi è gettato in mano alla psichiatria rispetto l’attualmente usato termine Psychiatrie-Erfahrene (persone che hanno sperimentato la psichiatria), usato dalle associazioni nazionali tedesche di (ex-) Utenti e Sopravvissuti alla psichiatria quali la Bundesverband Psychiatrie-Erfahrener.

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Appendice 3 — La Weglaufhaus (Casa del Fuggitivo) di Berlino

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sociali. Il rifiutare qualsiasi diagnosi apre nuove prospettive alla vita di persone che per anni sono state ridotte a categorie di sintomi da combattere. Ai residenti della casa-riparo torna la responsabilità di se stessi.

Ci sono voluti dieci anni di battaglie La casa-riparo è un frutto7 del movimento dei sopravvissuti in Germania. Prima di diventare un gruppo all’interno del Lunatics’ Offensive (Irren-Offensive), un gruppo di autoaiuto per sopravvissuti, la Associazione per la Protezione contro la Violenza Psichiatrica (Verein zum Schutz vor Psychiatrischer Gewalt e.V.) fu fondata nel 1989 come gruppo misto di sopravvissuti ed altri attivisti antipsichiatrici. Nel 1990 un donatore privato, il cui figlio si suicidò dentro una istituzione psichiatrica, acquistò la villa che è stata convertita come casa-riparo. Poiché l’essere proprietari della casa era l’unico requisito richiesto dal Senato di Berlino per assicurare il finanziamento per il funzionamento, nient’altro era necessario dopo che la maggioranza politica era cambiata. Occorsero altri sei anni di intense controversie contro le richieste delle varie autorità coinvolte finché finalmente fu accordata una remunerazione giornaliera per le persone alloggiate nella casa, secondo §72BSHG (Legge Federale di Tutela Sociale) “Aiuti per difficoltà sociali speciali”. Questo implicò anche un limite al numero del gruppo di persone clienti, senza casa o in procinto di esserlo.

Essendo un progetto apertamente antipsichiatrico la casa-riparo è una sfida continua alla psichiatria e è recepita come una provocazione da una quantità di gruppi sociali. I vicini sono ricorsi in tribunale per prevenire l’apertura della casa, senza ottenerlo. Comunque essi stanno tuttora controllando accuratamente la casa, nonostante niente di straordinariamente pericoloso è finora successo. La casa-riparo ha anche un gruppo di nemici politici, ma speriamo che quanto più a lungo proviamo che ci si lavora utilmente, tanto più debole diventi la loro posizione.

Vita giornaliera nella casa-riparo Il concetto consiste nel non avere un concetto. Invece di essere una istituzione terapeutica, la casa-riparo è focalizzata alla vita di tutti i giorni. Fino alle tredici i residenti curano la vecchia villa, nella zona Nord di Berlino e gestiscono la vita casalinga, cioè cucinano, puliscono, comprano, lavorano nel giardino o migliorano la casa da soli. Ci sono incarichi di lavoro diversificati, ma ci si compartecipa, si funziona da aiuto o manovalanza ma con la prospettiva di tirare avanti la casa da soli, di assicurarne il funzionamento.

Il team consiste in 10 lavoratori permanenti a tempo parziale e due che lavorano a stipendio pieno. Più importante della qualificazione professionale sono le qualità quali l’attenzione, la tolleranza, la sensibilità, l’apertura, l’esperienza personale, l’abilità nell’aver a che fare con conflitti e una netta attitudine antipsichiatrica. Questo significa trattare i residenti senza pregiudizio, essere schietti, onesti e faccia-a-fronte con essi, non pensare ad essi in termini di malattia mentale ma quali esseri umani responsabili, che decidono da soli la propria vita. Almeno una metà del team sono “sopravvissuti” alla psichiatria. Essere stato paziente in una istituzione psichiatrica non è di per sé una qualifica bastevole per lavorare alla casa-riparo, ma aver avuto l’esperienza di sé stesso averci riflettuto esserne uscito fuori e aver trovato altre vie per uscire dalla recinzione delle emozioni straordinarie, esperienze straordinarie, percezioni straordinarie, pazzia8, è insieme alla conoscenza della violenza psichiatrica contro di sé, una particolare conoscenza che è parte fondante della casa-

7 Alcune delle idee base circa la casa-riparo può essere fatta risalire all'articolo di Uta Wehde : “Supporto umano anziché inumano trattamento psichiatrico” in Changes, Vol. 10, No. 2, June 92, pp. 154-160. 8 “Pazzia”: — a proposito di “pazzia” la parola tedesca per matto o pazzo è «verrückt » che presa alla lettera contiene la nozione di essere distante dalla normalità. Ciò significa che la pazzia può essere considerata piuttosto una relazione-rapporto anziché una qualità o un difetto da attribuire al pazzo. In accordo a questa lettura io considero la pazzia come un termine descrittivo e non peggiorativo.

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riparo. Comunque è importante notare che non tutti i pazienti delle istituzioni psichiatriche erano pazzi. Qualifiche professionali, ma meno significative, dei membri dello staff (di entrambi i tipi, sopravvissuti e no) sono assistenti sociali, pedagoghi, filosofi, psicologi, meccanici. Non ci sono medici professionisti in particolare non ci sono psichiatri a lavorare nella casa.

Chi vive nella casa? Possono vivere nella casa-riparo per un massimo di sei mesi tutti gli ex ricoverati in istituzioni psichiatriche che sono senza casa o in situazione di perderla. Il 34% dei residenti (le statistiche si riferiscono al periodo 1996-98) provengono direttamente dall’ospedale psichiatrico, il 20% erano homeless (senza casa, barboni) e vivevano in strada, il 23% provenivano da altre istituti (psichiatrici) o rifugi per donne, il 13% provengono dalla loro famiglia, da amici o conoscenti e infine l’8% dal suo proprio appartamento dove non poteva star più.

Nel primo anno 132 persone sono vissute nella casa, 63 donne e 69 uomini, con una permanenza media nella casa di 62 giorni. Nei primi due anni le donne hanno risieduto per un periodo più lungo degli uomini 98 contro 32 giorni; nel 1998 il periodo medio di permanenza è stato circa identico per donne e uomini. La maggior parte di coloro che chiedono consulenza e supporto alla casa-riparo, hanno lunghe storie di trattamenti psichiatrici, i più sono stati istituzionalizzati più volte, hanno subito ricoveri forzati e pesantemente psicofarmizzati. Sono stati contrassegnati da tutti i tipi di diagnosi psichiatriche durante la loro permanenza nelle istituzioni psichiatriche. Questi etichette-diagnosi sono del tutto irrilevanti nella casa-riparo. L’età media è 33 anni, per quanto si accettano da 18 a 68 anni d’età, ma la psichiatria ha determinato la loro vita in media più di dieci anni ciascuno.

È significativo notare che difficilmente qualcuno è stato indirizzato alla casa-riparo da altre istituzioni. Insistiamo perciò a chi è interessato alla casa-riparo di contattarci personalmente. Si può risiedere nella casa solo volontariamente e si è liberi di lasciare la casa in ogni momento. Nel colloquio preliminare in cui noi cerchiamo di stabilire se la casa-riparo è il posto giusto per la persona, ci basiamo soltanto sulle informazioni fornite dalla persona potenzialmente prossima residente. Ci fidiamo della sua autodescrizione e non domandiamo nessuna opinione autorevole. Ai miei occhi, questo punto di partenza di prendere seriamente e come valida l’autopresentazione di una persona fatta mediante le sue proprie parole, fa una enorme differenza rispetto la loro precedente esperienza di istituzionalizzazioni, dato che tutti hanno esperienza di marchiatura e pregiudizi dovuti alle contrassegnature psichiatriche. A mio giudizio, una delle più importanti caratteristiche della casa-riparo è che offre una possibilità, delle nuove prospettive, a quelli disaffezionati dal trattamento psichiatrico. In particolare la specifica offerta che ci si può svezzare dagli psicofarmaci (neurolettici, antidepressivi, tranquillanti, litio, carbomezapina ecc) in un ambiente di supporto favorevole, rende la casa-riparo un posto unico. Poiché non ci sono medici nella casa, chi ci risiede deve consultare professionisti o altri specialisti fuori della casa, che non è facile trovare. Noi soprattutto avvertiamo quei residenti che hanno preso la decisione di uscir fuori dagli psicofarmaci, di farlo gradualmente, specialmente quelli che li prendono da parecchio tempo. Parliamo anche di questioni come: Cosa ti aiuta, se ti trovi pazzo? Quale tipo di supporto desideri? ti abbisogna? Quali esperienze hai avuto quando hai dismesso? Molti residenti sono divertiti quando chiediamo dei loro desideri ed esperienze perché nessuno ha mai chiesto prima loro di ciò. Spesso non sanno cosa desiderano od abbisognano perché non hanno mai avuto la possibilità di ottenerlo. Quindi cerchiamo di trovare utili strategie insieme.

Cosa succede nella casa? — Forme di aiuto Non ci sono concetti terapeutici sottostanti il lavoro nella casa-riparo. Chi ci risiede ottiene aiuto a proposito di quel che essi desiderano. Essi scelgono due membri dello staff come persone di fiducia, cioè lavoratori nella casa che essi trovano particolarmente ben disposti verso loro, che tengono un

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occhio sui pensieri fatti o da fare. I residenti possono discutere e parlare con chi vogliono che sia libero del team, ma ci sono le simpatie e si è più a suo agio con certe persone anziché altre. Il sistema apposito di attenzioni e responsabilità rende possibile a tutti i residenti di scegliere con chi vogliono parlare più intensamente.

Oltre l’importante possibilità di vivere attraversando crisi, pazzia, o disagio estremo, in una situazione circostante che supporta tali situazioni senza essere imbottiti di psicofarmaci, il supporto è prevalentemente diretto alla vita di tutti i giorni. Si fanno piani per il futuro: dove i residenti vogliono andare a vivere dopo il periodo nella casa-riparo? Possono andare in un appartamento di loro proprietà? O insieme ad altri in un appartamento condiviso? O in qualche appartamento rifugio o di vita agevolata? È spesso difficile trovare qualche tipo di appartamento rifugio dove la posizione critica dei residenti rispetto gli psichiatri e gli psicofarmaci sia rispettata, anche perché noi siamo la sola istituzione antipsichiatrica a Berlino. Ma noi alle volte facciamo trattative e troviamo soluzioni.

Molti residenti non hanno qualifiche professionali né di pratica, alcuni non hanno nemmeno finito la scuola. Sulle loro idee a questo proposito, parliamo: Vogliono tornare a scuola? Sono interessati ad apprendistato o a corsi? Quale tipo di attività futura immaginano per se stessi? Quali sono i loro talenti? Come possono realizzare le loro idee su una prospettiva di lungo termine? Aver a che fare con l’ufficio di occupazione e con centri di qualificazione, trovare richieste di assunzione, compilare domande sono la pratica dell’aiuto in questo campo.

Ad un livello più basso, sono rilevanti attività del tempo libero ed interessi. A seconda degli interessi dei residenti, nella casa si può fare arte o giardinaggio. Gite fuori della casa, nuoto, andare a party, danza, corsi di sport, andare al cinema, …, trovare nuove attività. Gli impiegati o gli interni possono dare suggerimenti oppure continuare con i propri vecchi interessi, ma è sempre su scelta dei residenti quale attività fare o non fare.

Chiarire la situazione finanziaria dei residenti è un’altra delle occupazioni. Molti residenti vivono con l’aiuto dell’Assistenza Sociale, alcuni hanno pensioni o sovvenzioni per non lavoro. Investigare a quali sovvenzioni hanno diritto, quali autorità sono responsabili e fare le giuste richieste fanno parte della nostra offerta. Se i residenti hanno debiti, li consigliamo di arrivare a patti con i creditori. Purtroppo la situazione giuridica dei residenti è spesso perdente. Spesso i residenti hanno tutori per specifici campi. Se essi vogliono cambiare il tutore per mancanza di fiducia o sensazione di non essere protetti od aiutati, noi li aiutiamo a cambiarlo oppure a liberarsene del tutto. Spesso consigliamo ai residenti avvocati competenti per specifiche questioni. Un altro importante mezzo di proteggersi, se si cade di nuovo in mano alla psichiatria è il «Testamento Psichiatrico» [“Volontà rispetto la Psichiatria” “Psychiatric Will”], un documento in cui si dichiara come si vuole essere trattato e cosa si rifiuta, quali psicofarmaci siete d’accordo di voler prendere, quali persone di fiducia debbono essere contattate, di cosa avete bisogno se in crisi, … . È importante aver compilato questo documento “Volontà rispetto la psichiatria” in uno stato di «indubbia normalità», cioè fuori di istituzioni psichiatriche. Questo documento ha una certa validità giuridica in Germania e permette di uscir prima dalle cliniche e anche di citare in giudizio gli psichiatri se essi non rispettano i desiderata9.

La maggior parte dei residenti sono molto isolati quando raggiungono la casa-riparo. Perciò gioca un ruolo importante riflettere sulla relazione con i membri della famiglia e gli amici. Talvolta 9 “Psichiatric Will” (=Volontà in caso di ricovero psichiatrico, anche “Testamento Psichiatrico”): La versione tedesca del “Psychiatric Will” è pubblicato in: Kerstin Kempker, Peter Lehmann (ed.), StattPsychiatrie, Berlin: PeterLehmann Antipsychiatrieverlag 1993, p. 253-298. La versione tedesca fa riferimento a Thomas Szasz “The psychiatric will — A new mechanism for protecting persons against «psycosis» and psychiatry” in: American Psychologist,1982, Vol. 37, No.78, p.762-770, and “The psychiatric will:II Whose will is it anyway?”, in American Psychologist, 1983,vol 38,No. 3,p.344-346. Cf. anche: Kerstin Kempker, Peter Lehmann, “Unconvenction approach to Psychiatry” in Clinical Psychology Forum, Jan. 1993, p. 28-29.

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questo conduce a tentare di riattivare contatti ed amicizie, talvolta porta a terminare relazioni distruttive. Nella casa i residenti si confrontano con una comunità di sopravvissuti che ha avuto esperienze simili. Incoraggiare il potenziale d’autostima dei residenti è una base importante per gli avvenimenti nella casa. Alcuni residenti stanno bene con gli altri, si aiutano l’un l’altro e perfino sviluppano amicizie e contatti che perdurano anche dopo che non si risiede più nella casa. Ma spesso ci sono anche dei conflitti tra i residenti. Talvolta un residente pensa che alcuni lo perseguitano, vogliono danneggiarlo. Se ci sono conflitti, dapprima invitiamo i residenti a risolverli da sé tra loro, ma se non succede uno degli operatori fa da mediatore e sta lì come terza persona. Questo porta ad un particolare lavoro, a discussioni e confronti per chiarire che percezioni differenti di una stessa realtà sono ugualmente valide. Un sentimento di persecuzione può essere concreto reale, sebbene l’altra persona non abbia né l’intenzione né l’interesse di perseguitare. Trovare quanta parte è realtà è una battaglia continua. Ogni residente ha la sua propria storia. Parecchi hanno non solo provato la violenza psichiatrica, ma anche, nella loro fanciullezza, violenza psichica, fisica, sessuale. Parlare della propria vita, essere creduti che si hanno avuto esperienze traumatiche, è una parte importante nella realtà della casa-riparo. Si cerca di potenziare i ricoverati a conservare la propria storia sotto una luce differente, che vada oltre il punto di vista psichiatrico, che dia un senso alla propria esperienza, riappropriarsi del passato. Questo è un aspetto decisivo, uno spazio che la casa-riparo apre.

Strutture Il controllo da parte degli utenti è assicurato nella casa-riparo a più livelli. Nella “Associazione per la Protezione contro la Violenza Psichiatrica” i membri “sopravvissuti” che correntemente hanno la maggioranza hanno anche il diritto di veto su qualsiasi materia. Abbiamo stabilito che almeno il 50% dei lavoranti interni siano “sopravvissuti alla psichiatria”. La metà dei membri del team debbono essere donne — in effetti ora ci sono più donne che uomini che lavorano nella casa. Il corpo delle decisioni sono prese in una riunione settimanale del team, mentre la casa fa riunioni due volte per settimana con tutti i residenti presenti e due operatori. Ogni tanto, specialmente se debbono essere discusse scelte importanti, si tiene una «assemblea generale» del team e dei residenti. La trasparenza è un punto chiave per persone che hanno sperimentato subito decisioni senza sapere, con accesso negato ai documenti psichiatrici: tutti i documenti ufficiali e le note interne sono scritte in cooperazione con i residenti e sempre a loro accessibili. Essi hanno la possibilità di essere presenti alle riunioni del team quando si discute di loro. Anche noi facciamo relazione scritta di quanto diciamo di loro e lo mettiamo a disposizione, visionabile. Essi possono commentare su qualsiasi cosa i membri del team abbiano scritto a loro proposito. Inizialmente avevamo cominciato senza scritti e relazioni, ma è diventato necessario per poter aver fondi dalle autorità dell’Assistenza Sociale. Comunque, non scriviamo niente sui residenti senza la loro approvazione e cerchiamo di scrivere meno dettagli possibili, allo scopo di rispettare il loro diritto alla privacy. La assemblea di tutti della casa è l’autorità più alta. L’organizzazione della casa, le spese sono discusse in tale assemblea, le attività comuni sono pianificate, i conflitti tra i residenti sono portati come temi all’ordine del giorno, tutte le decisioni riguardanti la vita nella casa sono prese qui. Anche i visitatori possono votare; i nuovi residenti diventano tali dopo un periodo di prova di due settimane; gli operatorie i lavoranti interni hanno un periodo di prova di un giorno. Il team anche vota, se c’è parità prevale, ma non è mai successo finora che ci fosse opposizione completa tra il team e i residenti. Comunque la vere decisioni finali rimangono alla Associazione, [la “Associazione per la Protezione contro la Violenza Psichiatrica” che detiene i diritti di proprietà della casa]. I membri del team funzionano solo come “facilitatori” nelle assemblee della casa.

Finanze La permanenza nella casa-riparo è finanziata in base alla §72 BSHG (Legge Federale di Assistenza Sociale). Mediante la remunerazione giornaliera garantita dalla legge come “aiuto per situazioni

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speciali di vita” si riesce a coprire solo i bisogni di base. La copertura dei costi si ottiene individualmente per ciascun residente da uno dei 23 differenti uffici di Assistenza sociale di Berlino. Questo dà luogo ad una enorme burocrazia e a situazioni stressanti per ogni residente, dal momento che alcuni degli uffici competenti avanzano difficoltà a coprire i costi, prendono lungo tempo per decidere, garantiscono aiuto solo per un periodo molto breve e domandano una enorme quantità di documenti e giustificazioni. Per caratterizzare questo tipo di “pazzia degli uffici” ho inventato la nuova diagnosi “folia officialis” che descrive la produzione di fiumi di carta, di responsabilità non accettata, di mancanza di disponibilità ecc. [Per ulteriori particolari a questo riguardo cf. il mio articolo “Ämterwahn” nel libro sulla casa-ricovero: Flucht in die Wirklichkeit, ed. by Kerstin Kempker, Berlin: Peter Lehmann Antipsychiatrieverlag 1998, p.149-158. Il libro dà una eccellente e colorita vista della vita pratica nella casa-riparo e include articoli di residenti, lavoranti, interni e membri della associazione.]

In tempi di scarse risorse e tagli ai budgets, alcuni dei rappresentanti ufficiali considerano la permanenza nella casa-riparo con una spesa di 200 DM al giorno come cara, ma dipende dall’oggetto di paragone. Paragonato ad altre istituzioni come per persone-senza-casa (homeless) che non sono centri di crisi ma cosiddette “pensioni cimiciai” di standard molto basso e con supporto molto basso, la casa-riparo sembra cara, ma facendo il paragone con la guardia psichiatrica (300-700 DM al giorno) è molto a buon mercato. È una prospettiva molto limitata e miope guardare solo il proprio orticello. Questa prospettiva ristretta combinata all’atteggiamento arrogante verso i residenti come un carico di spesa aggiuntiva anziché persone bisognose di aiuto che chiedono i loro diritti, conduce ad esperienze umilianti per i residenti e spesso causa angoscia e collera verso le autorità. In tale situazione, il dare supporto ai residenti nella lotta per le loro legittime richieste diventa un fatto vitale. Comunque nei 23 differenti uffici di Berlino, abbiamo anche incontrato persone che ci hanno dato supporto e pronto aiuto, che sono contente che ci sia un posto in cui il doppiamente discriminato gruppo dei sopravvissuti alla psichiatria senza casa possa vivere.

La situazione finanziaria nella casa-riparo permane precaria, per quanto siamo sopravvissuti i primi tre anni, ma solo a costo di economie radicali, peggioramenti temporanei delle condizioni di lavoro e un grande sforzo di surlavoro dei lavoranti.

L’esistenza della casa è tuttora in pericolo. L’attuale accordo di finanziamento (basato sulla remunerazione giornaliera che ci si aspetta le differenti Assistenze Sociali versino per i residenti che stanno nella casa) è giunto a scadenza a dicembre1999. C’è un cambiamento nel §93 del BSHG (Legge di Assistenza Sociale), che stabilisce la base giuridica per la remunerazione di servizi sociali: ora è necessario un nuovo piano di finanziamento per il distretto di Berlino. Però, non essendosi giunti ad una definizione, è necessario un finanziamento provvisorio. È necessario un interessamento pubblico un supporto internazionale interessamento di deputati, per persuadere il Senatore di Berlino per i servizi sociali e salute, che per ora rifiuta, a continuare a finanziare la casa-riparo. Probabilmente l’impossibilità giuridica di cancellare il patto precedente sarà la ragione principale perché alla fine ce lo rinnovi. Negoziati tra il Senato di Berlino e le Associazioni di Assistenza Sociale stanno continuando per un accordo permanente per dopo il 2000. Poiché continuiamo ad avere influenti nemici politici, non possiamo essere sicuri che nuovamente ragioni puramente politiche, pregiudizi infondati a fianco ad una opposizione ideologica, possano portare ad un arbitrario, negarci il finanziamento. È per questo che la casa-riparo ha ancora bisogno di supporto morale e finanziario.

Successo È difficile parlare di successo basandosi su statistiche o descrivendolo in termini astratti. Comunque solo i residenti stessi possono valutare l’importanza del tempo passato nella casa-riparo. Il 20% dei residenti sono tornati al proprio appartamento (spesso con un supporto individuale di un lavorante per un certo numero di ore a settimana). Il 25% sono andati ad altre istituzioni come case protette,

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residenze facilitate, case per donne. Il 17% sono andati con amici o familiari. Il 13% sono andati in ospedali psichiatrici o psicosomatici. A proposito di questo gruppo è importante notare che per es. nel 1998, quattro degli otto residenti andati in reparti psichiatrici sono stati nella casa-riparo solo 4 giorni, gli altri 4 meno di un mese. Il 7% ci hanno lasciati per andare in strada o in ricoveri per homeless; il 5% non sappiamo. Dai dati statistici appare evidente che più a lungo si è soggiornato nella casa-riparo, più alto è stato il numero di chi è tornato nel proprio appartamento o in una situazione di supporto poco intenso. Secondo me, l’ideale di tornare al proprio appartamento, essere socialmente integrati, aver trovato lavoro, fare una vita autonoma liberi da psicofarmaci e senza ricadere di nuovo in ricoveri psichiatrici, è una misura molto ambiziosa a cui solo una piccola parte dei residenti si sono avvicinati. Comunque una parte delle cose qualificanti è nei dettagli di piccoli cambiamenti, il successo non può essere definito in termini assoluti.

Per quanto mi riguarda è un successo se i tic facciali sono scomparsi dal volto di una persona afflitta dall’effetto Parkinson cosiddetto collaterale dei neurolettici, quando gradualmente li dismette durante la permanenza nella casa. Il 60% dei residenti non prendevano psicofarmaci prima di arrivare alla casa-riparo o hanno subito smesso. Tutti gli altri gradualmente hanno smesso supportati da medici generici esterni alla casa-riparo.

Sono dell’opinione che è un buon inizio incominciare a pensare diversamente su se stesso, fuori dalle categorie psichiatriche di malattia mentale. Questo implica non dichiarare le proprie esperienze (pazze o straordinarie) una malattia, ma dare loro un senso (che penso ciascuno può trovare solo per se stesso) e prendersene responsabilità. Assumersi responsabilità può essere pesante dopo essere stati a carico delle istituzioni per anni, ma è tuttavia una sfida che può condurre a prospettive completamente diverse e passo passo condurre a realizzazioni sognate per anni. Impazzire è fino ad un certo punto possibile dentro la casa-riparo, finché c’è un certo contatto con il circostante intorno. Contatto non significa necessariamente comunicazione verbale, ci sono varie forme di contatto. Il nostro tipo di supporto della crisi consiste essenzialmente in un “essere con”, come è stato denominato nella clinica Soteria californiana.

Ad es. alcune donne sono state perfino condotte a rivivere le situazioni di violenza sessuale estrema sofferta da infante o bambina. Tornano ad essere il bambino abusato, lottano con il violentatore. A questo punto interveniamo, prevenendo che si feriscano tra di loro, parlando loro, dire dove stiamo, chi siamo, che nessun male nessuno vuol fare più loro. Essi non intendono, ma ad un certo momento ritornano alla loro realtà adulta. Allora è importante dir loro che cosa è successo in dettaglio, altrimenti non ricorderebbero. Nella psichiatria queste donne sarebbero violentemente legate al letto da parecchi uomini e trattate con neurolettici per forza, il che è proprio ripetere l’esperienza traumatica originaria. La violenza sessuale su bambini che molto spesso conduce ai ricoveri da adulti, per donne ma anche maschi, è una importante riuscita della casa-riparo. Questo nesso è tuttora ampiamente ignorato in psichiatria.

Non tutte le forme di crisi o impazzimenti possono essere supportati nella casa-riparo: Se il contatto o l’accettazione mutua sono impossibili o se la persona viola più volte le regole della casa (non violenza, mutuo rispetto, non consumo di alcool o droghe illegali nella casa) e se non si assume la responsabilità delle sue uscite o se necessita la continua presenza di un addetto per lungo tempo, ci sono difficoltà e perciò il residente deve lasciare la casa. Questo manda nel panico perché difficilmente si trovano alternative. Tuttavia talvolta l’essere gettato proprio a terra aiuta il residente, perché chiarisce la nostra impossibilità e il loro rischiare di dover lasciare la casa.

Un altro aspetto di successo consiste che il residente incomincia a sviluppare e a tentare nuove strategie di come trattare le voci che lui ode o trovare alternative al proprio autolesionismo. Scoprire nuove vie per trattare cose come angoscia, rabbia, aggredire, persecuzione, usando gli sport e la sala rumorosa, gettando parole alle pareti con qualcun altro presente, camminando nei campi, scrivendo, ascoltando o facendo musica, lavorando nel giardino, ecc. possono essere azioni utili. Tutti questi

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piccoli passi possono favorire la fiducia in sé dei residenti, che in gran parte è stata disturbata a causa della istituzionalizzazione come malati. Non è facile riacquistare fiducia nelle proprie percezioni, se ad esse si è attribuita una realtà distorta o incolpata una malattia mentale, per lungo tempo. I membri survivors del team sono partners importanti per parlare di questi temi, come pure della loro esperienza di disassuefazione dagli psicofarmaci, dal momento che sono stati nella stessa situazione. Essi servono come ruoli-modello, ma anche lo scambio di opinioni con gli altri residenti è anch’esso essenziale.

Sommando tutto, i tre anni e mezzo di esperienza pratica di lavoro nella casa-riparo hanno mostrato che le crisi psichiatriche possono essere trattate senza farmaci psicoattivi e senza mezzi coercitivi. Appare anche evidente che bisognerebbe mettere in piedi altri spazi da-sopravvissuti-controllati con minori restrizioni all’accesso.