PROGETTO DI RICERCA APPLICATA DI UN FILO ARTIFICIALE ... · Capitolo 1 – Le fibre cellulosiche....

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Master in “Tessile e Salute” PROGETTO DI RICERCA APPLICATA DI UN FILO ARTIFICIALE CONTINUO CON PROPRIETÀ FLAME RETARDANT. Dott. Ing. CLAUDIA MINCHIOTTI Referente aziendale: Dott. ANDREA SEGHIZZI BembergCell S. p.A. Anno Formativo 2005 – 2006 "Ai sensi della legge 196/2003 autorizzo il trattamento e la comunicazione e/o diffusione dei dati personali"

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Master in “Tessile e Salute”

PROGETTO DI RICERCA APPLICATA DI UN FILO ARTIFICIALE CONTINUO CON

PROPRIETÀ FLAME RETARDANT.

Dott. Ing. CLAUDIA MINCHIOTTI

Referente aziendale: Dott. ANDREA SEGHIZZI

BembergCell S. p.A.

Anno Formativo 2005 – 2006

"Ai sensi della legge 196/2003 autorizzo il trattamento e la comunicazione e/o diffusione dei dati personali"

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INDICE Pagina

Obiettivo del progetto 1

Introduzione. L’azienda: BembergCell S.p.A. 2

Capitolo 1 – Le fibre cellulosiche.

1.1 - Generalità. 4 1.2 - Processi di preparazione di fibre cellulosiche. 7 1.2.1 – Fibre cellulosiche rigenerate. 7 A- Il processo viscosa. 7 B- Il processo cuproammoniacale. 12 1.2.2 – Derivati della cellulosa: l’acetato. 17

Capitolo 2 – Additivi ritardanti di fiamma e loro applicazioni. 24

2.1 - Problematiche e rischi legati agli incendi. 24 2.1.1 – Generalità. 24 2.1.2 – Rischi per l’organismo umano. 26 2.2 - Comportamento al fuoco dei materiali tessili. 27 2.3 - Il ruolo degli additivi Flame retardant nella riduzione del

pericolo e del rischio di incendi. 30

2.4 - Riferimenti normativi. 33 2.4.1 – Normativa nazionale. 33 2.4.2 – Normative sovranazionali e vigenti in altri paesi. 36 2.5 - Mercato dei prodotti Flame Retardant. 39 2.6 - Problematiche ecotossicologiche. 40

Capitolo 3 – Sviluppo del progetto. 42

3.1 - Generalità e stato dell’arte. 42 3.2 - Procedura di ricerca e sviluppo. 43

Bibliografia. 46

Ringraziamenti. 47

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Obiettivo del progetto.

L’obiettivo del presente lavoro di ricerca si inquadra nell’ambito di un

progetto sviluppato dal gruppo BembergCell S.p.A., avente come tema

generale “Il rilancio della filiera italiana dei filati cellulosici (acetato,

cupro, viscosa) per l’industria tessile”.

Attraverso questo programma di ricerca e sviluppo BembergCell si

propone come primario attore nel mercato mondiale delle fibre, attraverso lo

sviluppo di prodotti:

• dotati di proprietà funzionali avanzate;

• compatibili dal punto di vista ambientale;

• pienamente rispondenti alle necessità della filiera a valle;

• economicamente competitivi.

Sono state individuate quattro aree di intervento che riguardano

rispettivamente: Innovazioni di processo, Nuovi prodotti di base,

Applicazioni non tessili o ibride, Applicazioni tessili innovative.

L’obiettivo dei progetti inseriti in quest’ultima area è quello di conferire

nuove caratteristiche ai filati prodotti da BembergCell, consentendo la

creazione di tessuti dotati di funzioni innovative (impermeabilità,

termoregolazione, elevata resistenza alla combustione).

In particolare l’obiettivo del progetto qui presentato è lo sviluppo di

fibre cellulosiche continue con proprietà antifiamma permanenti,

ottenute addizionando particolari additivi a monte della fase di

filatura delle fibre.

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Introduzione - L’azienda: BembergCell S.p.A.

Il gruppo BembergCell nasce nel 2004 dall’integrazione di tre differenti realtà

produttive: Bemberg con stabilimento a Gozzano (NO), Novaceta situata a Magenta (MI)

e Nuova Rayon localizzata a Rieti.

La proprietà distintiva di questo progetto industriale interamente italiano e

unico nel riunire le fibre cellulosiche Cupro, Acetato e Viscosa esprime la concretezza

e le potenzialità della sua posizione competitiva nello scenario globale.

Il polo BembergCell vanta la proposta produttiva più completa e l’esperienza

globale industriale che ne deriva, la conoscenza profonda di tutte le fibre cellulosiche e

dell’origine naturale che le accomuna.

La naturalità è l’elemento portante dell’intera catena del valore aziendale, nelle

potenzialità attuali e nelle prospettive future.

L’origine naturale delle fibre cellulosiche BembergCell le contrappone nettamente alle

fibre sintetiche non solo per le performance, ma anche per il loro rispetto dell’uomo e

dell’ambiente, conferendo una serie di qualità specifiche.

L’innovazione, oltre che dall’esclusiva combinazione delle tre fibre, è garantita dal

forte orientamento alla ricerca di cui da sempre le realtà costituenti BembergCell si

sono rese protagoniste. La capacità di innovazione non è soltanto finalizzata al

prodotto, ma anche orientata al servizio e all’approccio al mercato.

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La notorietà del marchio Bemberg viene capitalizzata con l’obiettivo di attribuire

riconoscibilità e prestigio all’intera gamma prodotto, intesa come estensione a tutte le

fibre cellulosiche. Queste caratteristiche sono destinate a rappresentare per i clienti una

partnership in grado di ridefinire posizionamenti e schemi competitivi all’interno di

mercati e scenari che attraversano una fase di turbolenta trasformazione.

La qualità dei processi e dei prodotti BembergCell è certificata dai sistemi ISO e

OEKO-TEX.

BembergCell ha ottenuto la certificazione ISO 9001:2000 tramite il marchio BVQI per

tutti i tre siti produttivi.

Le tre strutture occupano un’area totale di 470.493 m2 e sono dotate di impianti

produttivi all’avanguardia, con 155 filatoi che sono in grado di generare ogni giorno:

� 40 tonnellate di Acetato;

� 7 tonnellate di Cupro;

� 14 tonnellate di Viscosa.

I processi di lavorazione prevedono l’impiego di materie prime cellulosiche

differenti per i tre filati con il conseguente utilizzo di tecnologie di lavorazione diverse.

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Capitolo 1 – Le fibre cellulosiche.

1.1-Generalità.

Le fibre tessili si possono convenzionalmente classificare in due grandi gruppi:

• Fibre naturali

• Fibre cosiddette “man made”.

Figura 1.1

Come si può osservare nello schema riportato in Figura 1.1, all’interno del primo

gruppo si distingue ulteriormente tra fibre animali e fibre vegetali, queste ultime

hanno prevalentemente origine da cellulosa, più o meno lignificata.

Nel secondo gruppo si può effettuare una prima suddivisione tra fibre

inorganiche e fibre organiche, a loro volta divisibili in fibre sintetiche (ottenute da

macromolecole organiche non naturali, ma prodotte da reazioni di sintesi) e fibre

artificiali (ottenute da macromolecole organiche naturali, tipicamente cellulosa, la cui

struttura chimica è rappresentata in Figura 1.2).

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Figura 1.2

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Le fibre cellulosiche artificiali derivano da materiale cellulosico rigenerato prodotto

per dissoluzione chimica di una fonte naturale di cellulosa, seguita dal passaggio della

soluzione attraverso un sistema di estrusione per ottenere la fibra formata.

I procedimenti applicati portano a due diversi tipi di fibre cellulosiche:

• Fibre di cellulosa rigenerata, costituite da 100% di cellulosa:

1- La cellulosa viene trasformata, per mezzo di reagenti chimici, in un

composto diverso che è solubile nei reagenti stessi. La distruzione del

composto al momento dell’estrusione, ottenuta alterando la solubilità del

composto nella soluzione, rigenera il materiale cellulosico puro. Questo è il

caso dei processi viscosa e cuproammoniacale.

2- Nel caso dei processi da solvente la cellulosa viene disciolta da solventi

organici senza formazione di composti intermedi, quindi viene rigenerata per

eliminazione dei solventi al momento dell’estrusione. Questo è il caso della

fibra Lyocell, prodotta per solubilizzazione diretta in un solvente organico

(N-metil-morfolinossido) interamente recuperabile.

• Fibre di derivati di cellulosa, non costituite da 100% di cellulosa:

Le fibre generate conservano nel polimero il reagente mediante il quale la

cellulosa è stata portata in soluzione sotto forma di un composto diverso.

E’ il caso del processo all’acetato di cellulosa.

In Figura 1.3 sono riassunti i metodi di produzione delle tre principali fibre

cellulosiche.

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Figura 1.3

La maggior parte del fabbisogno industriale di polpa di cellulosa per l’industria

della carta e delle fibre è coperto dalla lavorazione per via meccanica e chimica di

biomasse boschive. Una quota molto minore viene coperta ricorrendo ad altri

materiali cellulosici come gli scarti della lavorazione del cotone (linters), che

rappresentano una fonte di cellulosa molto più pura. Ancorché di qualità

elevata , anche questo materiale necessita di una raffinazione. I linters di

cotone trovano applicazione nella produzione di cellulosa rigenerata con il

processo al cuproammonio e, talora, per la produzione di fibre speciali

con il processo viscosa.

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1.2. – Processi di preparazione di fibre cellulosiche.

1.2.1 – Fibre cellulosiche rigenerate.

A – Il processo viscosa.

• Chimica del processo e materie prime.

Questo processo si basa sulla trasformazione della cellulosa in un derivato

solubile, lo xantogenato o xantato sodico di cellulosa, previa riduzione del

grado di polimerizzazione per diminuire la viscosità della soluzione da

filare. Lo xantogenato è solubile in soda caustica e in tale soluzione viene

inviato in filatura. Da esso si rigenera la cellulosa quando, dopo

l’estrusione, la soluzione incontra il bagno di coagulo (acido e salino): il

bagno idrolizza lo xantogenato e lo demolisce provocando la perdita del

solfuro di carbonio (CS2), costituente dello xantogenato, e la ricostruzione

della cellulosa in forma fibrosa.

Si tratta quindi di un processo di filatura a umido.

Nella Tabella 1.1 sono riportate le caratteristiche richieste alla cellulosa

da impiegare nel processo: deve avere un alto grado di α-cellulosa e un

basso contenuto in lignina ed emicellulose.

Tabella 1.1

Caratteristiche

Cellulosa al solfito

Cellulosa al solfato

Alfa-cellulosa % 89 - 94 96 -97,5

Solubilità in NaOH 18% - S18 % 4,5 - 9,0 1,0 – 3,0

Solubilità in NaOH 10% - S10 % 8.0 - 15,0 5,0 – 12,0

Pentosani % 1,5 - 4.5 0,6 – 2,0

Estraibile in etanolo % 0,1 - 0,3 0,01 – 0,1

Ceneri % 0,03 - 0,1 < 0,05

Viscosità [cp] 17 - 21,5 22 – 25

Grado di polimerizzazione 1300 - 1500 1500 – 1650

Grado di bianco % 90, 0 - 95,5 86,0 – 92,5

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• Fasi del processo.

Il processo si sviluppa su impianti discontinui o semicontinui, e si

distingue in preparazione della viscosa e filatura.

Le varie fasi della preparazione della viscosa sono descritte in Figura

1.4:

Figura 1.4

- Bagnatura.

Macerazione con soda caustica (17-20%) per rigonfiare le fibre,

permettendo l’attacco agli –OH alcolici e la disssoluzione delle emicellulose:

Cell—OH + NaOH + H2O = Cell—OH-NaOH-nH2O

Cell---OH-NaOH-nH2O = Cell---ONa + n’ H2O

Questa reazione facilita lo svolgimento delle reazioni successive.

- Spremitura.

- Disintegrazione.

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- Maturazione dell’alcali-cellulosa.

La maturazione consiste in una demolizione controllata di natura ossidativa,

dei polimeri cellulosici, utilizzando l’ossigeno dell’aria per ridurre il grado di

polimerizzazione medio della cellulosa. Per garantire il giusto equilibrio tra la

viscosità ottimale della soluzione di filatura e le caratteristiche tessili della

fibra prodotta è importante tenere sotto strettissimo controllo i parametri

fondamentali (tempo e temperatura).

- Xantazione.

Nella fase di xantazione si addiziona alla massa il solfuro di carbonio gassoso

CS2 che, reagendo con la soda, forma il composto intermedio ditiocarbonato;

questo agisce sull’alcali-cellulosa dando origine allo xantogenato sodico di

cellulosa.

Lo xantogenato è un estere della cellulosa con l’acido ditiocarbonico

(H2OCS2).

Al termine della xantazione la massa viene scaricata nel mescolatore, dove

avviene la dissoluzione sotto agitazione, a bassa temperatura. A questo

punto la massa liquida è finalmente “la viscosa“, liquido di elevata viscosità

di colore arancio – giallo e odore penetrante dovuto ai vari composti dello

zolfo e allo zolfo elementare disciolti nella soluzione.

- Maturazione della viscosa

Il periodo di tempo che precede la filatura è chiamato maturazione della

viscosa. Nella massa liquida si verificano una distribuzione e perdita di

gruppi xantici che ha come effetto una riduzione della viscosità fino ad un

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valore minimo, e un aumento dell’instabilità dello xantogenato, cioè una

maggiore tendenza alla coagulabilità.

Durante la fase di maturazione, che dura 1-2 giorni, la viscosa viene

sottoposta ad altri trattamenti necessari per migliorarne la prestazione

durante l’estrusione.

- Filtrazione.

Eliminazione dei contaminanti presenti come particelle estranee, in genere

frammenti di cellulosa non disciolta e sporco comune. Solitamente si esegue

su due stadi filtranti, a severità crescente.

- Disaerazione.

Ha lo scopo di eliminare le bolle d’aria inglobate e soprattutto l’aria disciolta

nella massa, la cui presenza è molto pericolosa durante l’estrusione.

- Filatura.

Durante il processo di filatura, dalla viscosa si rigenera la cellulosa in

forma fibrosa: all’uscita del foro della filiera la viscosa (contenuto di cellulosa

8 – 9 %) incontra il bagno di coagulo che provoca la coagulazione della

viscosa e l’idrolisi dello xantogenato. I filamenti ottenuti sotto azione dello

stiro in fase plastica vengono orientati, e il filo ottenuto passa poi attraverso

varie operazioni di purificazione e di preparazione per gli impieghi successivi.

La viscosa, dosata mediante pompe ad ingranaggi attraversa la filiera

(costruita in metallo resistente alla corrosione), che ha un numero e un

diametro dei fori differente per la produzione di filo continuo piuttosto che di

fiocco; la sezione dei fori è generalmente circolare, ma si possono avere fori

di forme diverse per produrre filamenti a sezione particolare.

La filiera è immersa nel bagno di coagulo, soluzione salina di elevata acidità

che contiene:

• Acido solforico

• Solfato di sodio e solfato di zinco, (rallentante dell’idrolisi dei gruppi

xantici)

• Modificatori vari (ammine alifatiche e cicliche, poliossietilenglicoli, amìdi

di acidi grassi ossietilati, etc., che facilitano l’estrusione, il contatto

con i reagenti e migliorano la stabilità dello xantogenato all’idrolisi,

etc.)

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Il contatto con questo bagno all’uscita dal foro della filiera neutralizza

l’alcalinità della viscosa, provocando l’immediata coagulazione dello

xantogenato (non più solubile in ambiente acido) e l’idrolisi, con demolizione

di composto e sottoprodotti, perdita dello zolfo e conseguente rigenerazione

delle fibre di cellulosa.

Ciò avviene progressivamente partendo dalla superficie del filetto liquido che

avanza e penetrando sempre più all’interno fin quando tutto il filamento è

interessato da neutralizzazione e coagulo.

Si può agire sulla composizione del bagno per accelerare o ritardare la

rigenerazione: in particolare i sali di zinco svolgono una funzione ritardante.

Con bagni di coagulo di composizione opportuna e idonee condizioni di stiro

si possono preparare prodotti anche molto diversi dai normali fili viscosa: ad

esempio fili e filati di viscosa caratterizzati da una maggiore resistenza (fili

ad alta tenacità, vale a dire 3,5 – 4,5 g/den, contro gli 1,8 – 2,5 delle

viscose tradizionali); o anche viscose caratterizzate dal mantenimento del

valore di tenacità anche ad umido, per impieghi tessili ed industriali.

Durante la rigenerazione il filo può essere sottoposto a stiro, che

produce l’orientamento delle catene cellulosiche modificando la struttura

morfologica della fibra, responsabile delle caratteristiche tessili del prodotto.

Nel processo classico lo stiro e il completamento della rigenerazione possono

avvenire in uno o più momenti successivi all’estrusione. Nei fili per il

normale impiego tessile lo stiro medio è dell’ordine del 10 – 50%, per fili a

bave speciali può essere anche molto più elevato.

- Recupero del bagno di coagulo.

Il bagno di coagulo scorre in continuo alimentato da un impianto di recupero

che riceve, in continuo, il bagno di ritorno dal filatoio. Il recupero prevede la

degasificazione, per i composti solforati volatili, l’eliminazione del sale in

eccesso come Na2SO4 cristallino, l’eliminazione dell’eccesso di acqua per

concentrazione e il reintegro dell’acido consumato, oltre ad una filtrazione.

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B - Il processo cuproammoniacale.

• Chimica del Processo e materie prime.

Il processo si basa sulla trasformazione della cellulosa in un suo

complesso cuproammoniacale, solubile in soluzione ammoniacale

dell’idrossido di rame.

Durante la dissoluzione, la cellulosa viene sottoposta ad una demolizione

ossidativa per ridurne il grado di polimerizzazione medio al fine di

raggiungere un valore prefissato di viscosità.

La cellulosa si rigenera quando la soluzione incontra e viene diluita dal

bagno coagulante di acqua leggermente alcalina, all’uscita dalla filiera. Il

successivo bagno acido completa la rigenerazione con la liberazione dei

componenti del complesso cuproammoniacale.

Anche in questo caso si tratta di un processo di rigenerazione per

reazione chimica ad umido.

Le materie prime di partenza sono:

• linters di cotone

• CuSO4

• CuSO4-3Cu(OH)2-2H2O, (solfato basico di rame)

• NaOH

• NH3, impiegata in forma gassosa e in soluzione ad alta

concentrazione: NH3 + H2O � NH4OH

• Fasi del Processo.

Il processo industriale è oggi realizzato con filatura in continuo; fino

all’estrusione è tuttavia lo stesso procedimento del processo tradizionale

discontinuo, rappresentato in Figura 1.5.

.

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Figura 1.5

– Dissoluzione

La dissoluzione dei linters si compie in grandi reattori in cui è stata

preventivamente preparata la soluzione, con l’introduzione di ammoniaca e

solfato basico di rame, che danno luogo al solfato di tetraammino rame

(Cu(NH3)4)SO4, dal quale si origina il corrispondente idrato, con l’aggiunta di

soda caustica.

Il materiale fibroso viene frantumato dopo essere stato bagnato e quindi fatto

reagire sotto agitazione continua.

Durante la dissoluzione si insuffla aria per compiere, con l’aiuto dell’ossigeno, la

demolizione ossidativa delle catene cellulosiche, operando sotto stretto controllo

di temperatura (sotto i 25°C).

Il meccanismo del dissolvimento è molto complesso: l’idrato del complesso

amminico del rame attacca la cellulosa e la porta in soluzione. La soluzione

viene poi diluita con ammoniaca, fino a raggiungere il valore prefissato di

viscosità.

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– Filtrazione

La filtrazione avviene con mezzi resistenti a solvente e ad alcali e deve

rimuovere contaminanti costituiti da sporco estraneo e particelle di cellulosa che

non hanno reagito a sufficienza.

– Degassaggio

Prima della filatura si procede al degassaggio per eliminare le bolle d’aria

inglobata e la maggior parte dell’aria disciolta nella massa; ciò si esegue

facendo colare la soluzione all’interno di torri, sotto vuoto.

Terminata l’operazione la soluzione è pronta per la filatura.

– Filatura

La filiera ha fori con diametro variabile da 0,5 a 0,8 mm, secondo

l’impianto.

Il bagno di coagulo entra dalla base della cella cilindrica e la percorre verso

l’alto. I filamenti in uscita dalla filiera sono trascinati dal bagno, con forte stiro

idraulico per la notevole accelerazione. A contatto col bagno la soluzione,

contenente il 9 % circa di cellulosa, coagula in filamenti plastici, perdendo

subito quasi tutta l’ammoniaca e parte del rame.

All’uscita dall’imbuto il filo è tirato con grande forza su un rullo immerso in un

bagno acido e fatto scorrere insieme ai fili provenienti da altre filiere su una

serie di rulli immersi in più vasche. La prima vasca è alimentata con un bagno

acido, le successive con acque di lavaggio correnti calde, alcune in equi- altre in

contro-corrente. L’ultimo trattamento subito ad umido è l’avvivaggio,

costituito da un bagno acquoso con coesionanti, ammorbidenti, lubrificanti,

emulgatori. Segue l’essiccamento eseguito con il passaggio del tappeto dei fili

in un forno costituito da camere riscaldate, con aspirazione dei vapori.

I fili essiccati pervengono quindi nella zona del filatoio deputata alla raccolta,

che avviene su bobina.

Un effetto notevole del metodo di filatura del

cupro, sia del filo continuo sia di quello

discontinuo, è la forma della sezione delle bave,

apprezzabilmente rotonda, con profilo

abbastanza liscio, senza le lobature e le

frastagliature tipiche delle fibre cellulosiche

artificiali.

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Ciò è dovuto senz’altro all’azione dello stiro e in certa misura all’attrito con

l’acqua, dal momento in cui l’azione traente dei rulli diventa preponderante

rispetto alla forza di trascinamento dell’acqua stessa: lo stiro notevole

impedisce il consolidamento della parte più esterna della fibra, quindi questa

può ritrarsi, man mano che il filamento riduce la propria massa, senza

collassiare: in questo modo non si formano frastagliature sulla superficie.

� Depurazione dei liquidi di processo

Dal bagno di filatura rame ed ammoniaca vengono ricuperati su diversi impianti

a cascata e l’acqua neutralizzata viene riversata dove era stata prelevata. I

bagni di lavaggio confluiscono in vari stadi di lavorazione del recupero dei bagni

di filatura, lasciandovi rame ed ammoniaca residui.

Tutto il rame separato viene raccolto in un serbatoio di stoccaggio dei liquidi

con rame, donde tale liquido viene prelevato per la precipitazione del solfato

basico di rame, uno dei reagenti da impiegare nella dissoluzione della cellulosa.

Una terza linea a cascata raccoglie i liquidi contenenti l’ammoniaca, dai quali,

previa concentrazione, si ottiene solfato ammonico cristallino, che viene

venduto come fertilizzante. Uno schema del processo di depurazione è illustrato

in Figura 1.6.

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Figura 1.6

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1.2.2 – Derivati della cellulosa: l’acetato.

� Chimica del Processo e materie prime

Il processo di produzione dell’acetato si fonda sull’esterificazione della cellulosa (reazione

di equilibrio tra un acido e un alcool a dare un estere) compiuta con acido acetico.

Il composto è solubile in acetone e, per evaporazione di questo, forma la fibra, che non è

cellulosa 100 %, ma tuttora acetato cellulosa, poiché i radicali acetici di esterificazione

sono rimasti al proprio posto attaccati alla catena cellulosica.

La filatura avviene mediante un processo fisico, cioè per evaporazione del solvente viene

rimosso per evaporazione in condizioni opportune.

Le materie prime impiegate sono:

• Cellulosa con tenore alfa-cellulosa almeno del 94 %. E’ il prodotto al solfato

o al solfito già visto. Viene fornita in rotoli o in fogli.

• Acido solforico.

• Acido acetico (CH3COOH) utilizzato nella prima fase del processo si ottiene

per ricupero delle soluzioni diluite.

• Acetone (CH3COCH3) è il solvente migliore usato per l’acetato.

� Fasi del Processo.

E’ conveniente suddividere questo processo in due parti distinte:

� preparazione dell’estere acetico

� preparazione della soluzione di filatura.

Queste due fasi del processo globale non hanno necessità di continuità tra loro:

l’estere acetico prodotto della reazione di esterificazione (acetilazione) può essere

separato dalla soluzione e ottenuto allo stato solido, sotto

forma di chips denominati tecnicamente “flake” (fiocco,

scaglia).

L’acetato chimico allo stato solido è una sostanza stabile e

quindi può essere trasportato in un altro impianto per essere

filato anche a distanza di giorni o mesi.

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� Processo di acetilazione.

Gli impianti di acetilazione possono operare mediante processi discontinui o

semicontinui. Nella Figura 1.7 è illustrato lo schema del processo.

Figura 1.7

- Sfibramento, rigonfiamento e pressatura.

La cellulosa sotto forma di fogli, viene introdotta in un reattore dove ha luogo

l’imbibizione con acido acetico diluito, sotto agitazione.

Lo scopo di questo trattamento è quello di far rigonfiare le fibre, sfibrare il

materiale e bagnare le fibrille, facendo penetrare l’acido al loro interno, per

attivarle per il successivo attacco chimico.

Prima di passare alla fase successiva, il materiale viene filtrato e pressato per

togliere l’eccesso d’acqua.

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- Acetilazione (monoacetato).

Figura 1.8

La reazione nel reattore successivo, con acido acetico concentrato, trasforma

la cellulosa in monoacetato, cioè l’esterificazione non va oltre l’introduzione

di un solo gruppo acetico per ogni unità glucosidica. L’acetilazione può

proseguire impiegando anidride acetica anidra come agente acetilante,

sempre in presenza di acido solforico che ha funzione di catalizzatore:

quest’ultimo inizia la reazione e poi viene sostituito dal radicale acetico.

- Acetilazione (triacetato).

L’anidride acetica prosegue l’acetilazione, con decorso poco governabile oltre

la formazione del monoacetato: non si riesce a fermare la reazione al livello

di esterificazione voluto, ma essa prosegue fino ad acetilazione completa con

formazione del triacetato.

Cell—OH + (CH3CO)2O → Cell—O---COCH3 + CH3COOH

- Idrolisi e precipitazione del diacetato.

Se si vuole ottenere l’acetato, è necessario procedere all’idrolisi del

triacetato, bloccando la reazione al punto in cui l’acetilazione residua ha il

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valore atteso. Il grado di esterificazione voluto è intermedio fra 2 e 3 e il

prodotto da ottenere è circa il 2,5 acetato (diacetato o acetato secondario).

Questa reazione d’idrolisi viene compiuta con una diluizione (moderata) della

massa acetica, controllando il decorso della reazione per via viscosimetrica.

La reazione è molto veloce e, a seconda dei processi, può richiedere anche

pochi secondi.

E’ seguita immediatamente dalla separazione del prodotto mediante

precipitazione: la soluzione acetica viene trafilata attraverso una filiera di

precipitazione contenuta in un reattore pieno d’acqua. La diluizione della

soluzione acida dell’acetato che trafila dai fori della filiera, ne provoca la

precipitazione poiché il composto non è più solubile nel bagno diluito. Man

mano che le gocce uscenti dal disco forato solidificano, vengono tagliate in

forma di “chips” da una lama che le investe, disperdendole nella massa

acquosa, dove la solidificazione e la perdita dell’acido proseguono,

estendendosi al loro interno.

- Lavaggio.

Un successivo lavaggio accurato viene eseguito in apposite torri di lavaggio,

in controcorrente di acqua demineralizzata. Il lavaggio deve essere spinto

finché il residuo di acidità del flake non sia superiore a poche ppm, per

evitare che l’acidità in eccesso depolimerizzi la catena cellulosica mediante

attacco chimico al legame etereo durante la fase di stoccaggio. Il flake che si

ottiene con questo sistema tradizionale di precipitazione dalla soluzione acida

ha un peso specifico apparente compreso tra 0,15 e 0,3 kg per litro (150 –

300 kg per metro cubo). Con una precipitazione realizzata con impianto

diverso, si può ottenere un flake di peso specifico apparente molto superiore:

0,4 –0,6 kg per litro. Il maggiore peso specifico dà dei vantaggi non

trascurabili: in primo luogo la forma compatta dei granuli limita la formazione

di polveri, che presentano qualità organolettiche inferiori e compromettono la

sicurezza nella gestione del processo (formazione di miscele esplosive con

l’aria); inoltre il flake a basso peso specifico ha maggiori costi di trasporto,

perchè deve essere trasportato come una sostanza liquida.

- Pressatura ed essiccamento.

Dopo il lavaggio accurato il flake viene filtrato / pressato per estrarre la

maggior parte dell’acqua di lavaggio e infine seccato in tunnel di

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essiccamento con aria calda in controcorrente. Al termine di quest’ultima

operazione il flake è stoccato in silos pronto per l’uso, in impianto di filatura

contiguo o altrove.

� Produzione della soluzione di filatura.

Il flake viene trasformato in una soluzione filabile mediante dissoluzione con

solvente organico semplice e bassobollente. Il solvente impiegato per

l’acetato è una miscela di acetone (temperatura di ebollizione 56° C) e

acqua, nella proporzione di 95/5 parti in volume; l’acqua è un cosolvente ed

ha l’effetto di ridurre la viscosità della soluzione, che comunque rimane

dell’ordine di grandezza di 800 – 1300 Poise (misurata a 25°C).

Figura 1.9

- Dissoluzione.

La dissoluzione viene solitamente praticata in discontinuo o in continuo e

richiede alcune ore.

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Si ottiene un collodio molto viscoso, detto “dope”, quasi incolore che per

essere filato richiede una filtrazione molto accurata; infatti i fori

capillari delle filiere hanno un diametro di 40 – 70 µm, dello stesso ordine

di grandezza di quelli della viscosa; ma le velocità di filatura, estrusione e

raccolta, sono notevolmente superiori. La presenza di contaminanti

renderebbe quindi problematica l’estrusione. I contaminanti sono costituiti

da sporco comune, particelle indisciolte o con grado di acetilazione

anomalo (inferiore a 2 o superiore a 2,7): queste ultime in acetone sono

insolubili, e si rigonfiano dando dei geli molto difficili da rimuovere.

- Purificazione.

I pacchi filtranti sono i più severi tra quanti si impiegano per le filtrazioni

dei collodi delle diverse fibre cellulosiche. Si filtra generalmente su

due/tre stadi a severità crescente, a caldo (temperature dell’ordine di 48–

55 °C).

- Additivazione.

Durante la preparazione, il dope greggio può essere addizionato di

coloranti o pigmenti per ottenere filo opaco, nero, colorato in colori vari,

oppure addizionato di particolari additivi per conferire un comportamento

antibatterico o ritardante di fiamma.

- Filatura.

La fibra si genera per evaporazione del solvente, sotto un’azione di

stiro che orienta le macromolecole. La trasformazione avviene a secco,

cioè senza intervento di un bagno di coagulo.

Prima dell’estrusione il dope viene riscaldato a 60-85 °C in apposito

scambiatore di calore situato in cima alla cella di filatura, per ridurre la

viscosità del dope e quindi la pressione necessaria per l’estrusione

attraverso i fori capillari della filiera. All’uscita dai capillari il filetto liquido

si trova immerso in una corrente di aria calda (temperatura compresa tra

60°e 90°C) in contro- o in equi-corrente.

Il filo è tirato verso il basso da una coppia di stiro e prima di essere

raccolto passa su un distributore di finitura.

Successivamente un dispositivo ad aria compressa interlaccia il filo, cioè

conferisce un aggrovigliamento casuale alle bave del filo con lo scopo di

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dare una certa coesione ai filamenti, tale da consentire le lavorazioni

successive.

La raccolta può avvenire su bobina con pochissime torsioni (5 – 10 per

metro), o senza torsione (es. Leesona o Comoli).

- Recupero dell’aria acetonica.

L’aria contenente i vapori di acetone viene inviata al sistema di recupero

del solvente, dove viene fatta passare su carbone attivo che assorbe

l’acetone; esso viene quindi recuperato dal carbone strippando

quest’ultimo con vapore d’acqua ad alta temperatura ottenendo una

miscela acqua - acetone, che viene recuperato mediante distillazione.

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Capitolo 2 – Additivi ritardanti di fiamma e loro applicazioni.

2.1 – Problematiche e rischi legati agli incendi.

2.1.1 – Generalità.

Per incendio si intende la rapida ossidazione di materiali combustibili, con

notevole sviluppo di calore, fiamme, fumo e gas ad alta temperatura.

Un incendio può svilupparsi soltanto se sono verificate

contemporaneamente le seguenti condizioni:

1. presenza di combustibili;

2. presenza di ossigeno;

3. raggiungimento di una temperatura minima pari alla

temperatura di accensione.

Nel caso in cui anche una sola di queste condizioni venga a mancare, l’incendio non

si sviluppa o, se già innescato, si estingue.

In generale la combustione di un materiale solido segue il meccanismo

descritto in Figura 2.1 [4].

Figura 2.1

I solidi polimerici, in presenza di una sorgente di calore non bruciano

immediatamente, ma vanno incontro al fenomeno della pirolisi: inizialmente si ha

la degradazione delle catene polimeriche, in seguito alla rottura dei legami

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covalenti, con la formazione di vari prodotti intermedi e lo sviluppo di gas

infiammabili.

Il preciso meccanismo di degradazione dipende anche dalla natura del

materiale, dall’atmosfera e dall’ambiente in cui degrada il substrato polimerico.

Figura 2.2 [4]

Se il contenuto di ossigeno è ridotto, la pirolisi è endotermica ma, in

presenza di ossigeno, si manifesta la pirolisi ossidativa che è generalmente

esotermica.

Nel primo caso il solido iniziale non si decompone dando origine a

gas, ma va incontro a un lento rammollimento (smouldering) e si autoestingue,

soprattutto se sulla sua superficie si forma una barriera carboniosa stabile che

impedisce alla fiamma di lambire gli strati di materiale sottostanti.

Nel secondo caso, il materiale brucia vigorosamente (flaming),

perché una volta innescata la reazione, il calore generato provoca la rottura delle

lunghe catene polimeriche in molecole più piccole che si liberano allo stato gassoso.

Quando i prodotti iniziali di combustione miscelati con l’ossigeno raggiungono il

limite di accensione, essi bruciano sviluppando la fiamma. Ciò è dovuto al fatto che

l’energia termica liberata nel processo si trasforma in parte in energia radiante,

rendendo visibile la combustione violenta dei prodotti gassosi.

La fiamma si autoalimenta grazie all’azione di radicali liberi ad alta energia

(H• e •OH) che contribuiscono alla decomposizione dei gas precedentemente

formatisi, dando origine ad atomi di carbonio liberi che reagiscono esotermicamente

con l’ossigeno dell’aria liberando CO2. I radicali liberi, formati a differenti stadi del

processo di combustione, giocano un ruolo determinante durante il processo

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influenzando la velocità e la quantità di calore rilasciato e il conseguente sviluppo

della fiamma.

2.1.2 – Rischi per l’organismo umano.

I casi di incendio di maggiore impatto sull’opinione pubblica sono quelli che

riguardano incidenti avvenuti in spazi ad elevata affluenza di pubblico. In realtà

dalle statistiche emerge che la maggior parte degli incidenti, spesso mortali, causati

dal fuoco, avviene in ambiente domestico.

I danni causati dal fuoco all’organismo umano sono principalmente dovuti a

ustioni, tossicità dei fumi emessi, opacità dei fumi, che spesso impedisce al

soggetto di individuare le vie di fuga.

Per quanto riguarda gli effetti dell’aumento di temperatura sull’epidermide, è

stato evidenziato che già temperature superiori a 44° C possono comportare danni,

mentre temperature intorno ai 70° C, provocano ustioni. In particolare uno studio

di Hoschke (1981) che prende in considerazione temperatura ed entità del flusso di

calore, ha individuato tre aree di rischio (condizione normale, di rischio e di

emergenza): in particolare, un’esposizione per 30 s a 180° C può provocare danni

all’epidermide, mentre un’esposizione per 15 s a un flusso di calore di 0,1

cal/cm2*s, causa un’ustione di secondo grado.

Tuttavia gli incidenti mortali dovuti al fuoco sono principalmente imputabili al

rilascio di fumi tossici.

Le principali reazioni di combustione generano biossido e monossido di

carbonio:

C + O2 →→→→ CO2

2 C + O2 →→→→ 2 CO

Entrambe le reazioni sono esotermiche e ciascuna libera una quantità di

calore pari a 395 kJ. La quantità di ossigeno presente nell’ambiente determina la

formazione dell’uno o dell’altro prodotto. In condizioni di scarsità di ossigeno si ha

la formazione prevalente di monossido di carbonio, che è in grado di entrare nella

circolazione e di legarsi all’emoglobina presente nel sangue, provocando

avvelenamento. L’effetto di questo gas è letale già ad una concentrazione del 2-

3%.

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2.2 – Comportamento al fuoco di materiali tessili.

Tutti i prodotti tessili sono infiammabili, ma bruciano in modo diverso a

seconda delle condizioni e di alcuni parametri facilmente controllabili dall’uomo:

dimensioni fisiche, natura chimica delle fibre e loro orientamento all’interno

del manufatto.

Si avranno quindi superfici tessili più facilmente infiammabili, con

differenti tassi di estensione della fiamma e diversi valori di calore rilasciato durante

la combustione; in particolare, uno dei parametri centrali da considerare è il

rapporto tra la massa e la superficie del materiale stesso: tanto minore è questo

rapporto, tanto più facilmente e velocemente brucerà il materiale.

Allo stesso modo, un tessuto pesante brucerà più lentamente di un tessuto

leggero realizzato con lo stesso materiale; inoltre fibre che emergono dalla

superficie facilitano la combustione: un tessuto molto battuto e lisciato, brucia

con più difficoltà di uno in cui la superficie tessile presenti molte “code” di fibra

libere.

Inoltre, l’impiego finale del materiale tessile influenza largamente il supo

comportamento al fuoco: in particolare, in Tabella 2.1 sono riportati i differenti

livelli di rischio da fuoco riscontrabili nelle varie applicazioni dei tessuti per

arredamento.

Tabella 2.1 – Rischi da fuoco nelle varie applicazioni di tessuti per arredamento[6].

Tende, tendaggi e materiali sospesi È l’applicazione più critica perché: • il calore sale verso l’alto • esposta all’aria da ambo i lati • soggetta a trasportare le fiamme • diffusa in tutti gli ambienti

Mobili imbottiti e materassi Impiego molto critico (particolarmente per “bedding”), perché innescabile dalle fonti più banali

Rivestimenti murali Criticità dipendente da modalità di posa: • per tessuti tesi, la pericolosità

è simile a quella dei tendaggi; • per tessuti incollati su supporti

non combustibili la pericolosità è minore.

Pavimentazioni È l’applicazione meno critica perché: • posizione orizzontale • incollata a supporti non

combustibili • in pratica non propaga l’incendio • brucia lentamente, agevolando lo

spegnimento

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Un altro parametro che influenza la facilità di ignizione del materiale è la

termoplasticità. In particolare, i tessuti realizzati con fibre sintetiche

termoplastiche (es. poliestere) tendono a fondersi e a ritrarsi dalle piccole

fiammelle e quindi risultano più difficilmente infiammabili con un fiammifero o un

accendino. Le fibre non termoplastiche (es. cotone) e le miste cotone-poliestere

non fondono e sono più suscettibili di ignizione, se aggredite da fiamme piccole.

Anche la natura chimica della fibra influisce sulle doti di “flame retardancy”:

tanto maggiore è la presenza di carbonio e idrogeno, tanto maggiore sarà la

quantità di calore rilasciata dal materiale quando brucia; ad esempio, a parità di

massa, le fibre sintetiche rilasciano molto più calore delle cellulosiche.

La capacità ignifuga intrinseca di un materiale viene misurata indirettamente

attraverso un parametro indicato come LOI (Limiting Oxygen Index): esso

rappresenta la percentuale di ossigeno che deve essere presente nell’atmosfera

(composta da ossigeno e azoto) affinché il materiale bruci e mantenga la

combustione, se esposto alla fiamma. Poiché la percentuale di ossigeno contenuta

nell’aria è pari al 21%, i materiali con LOI inferiore a 21 bruciano all’aria,

mentre quelli con LOI superiore a 21 sono ignifughi, in misura maggiore quanto

più il valore del LOI è alto; si può dire che le fibre con LOI superiore a 28 hanno un

buon comportamento flame retardant.

Come evidenziato dal grafico in Figura 2.3 esiste un gruppo di fibre, sia

naturali, sia man-made, di facile infiammabilità, caratterizzate da indici LOI

compresi tra 18-20 e 22.

Figura 2.3

0 10 20 30 40 50 60

AcetatoAcrilica

PPCotone

ViscosaPoliestere

PoliammidicaLana

Cotone FRViscosa FR

Poliestere FRModacrilica

Lana FRClorovinilica

AramidichePA-immidePoliacrilati

PBIAcril.pre-ox

% O2 (LOI)

Resistenti al calore

Flame retardant

Infiammabili

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Le fibre caratterizzate da valori di LOI compresi tra 28 e 31 hanno avuto

la maggiore diffusione per la produzione di manufatti tessili principalmente destinati

all’arredamento di ambienti a rischio, sottoposti alle specifiche normative sulla

prevenzione incendi. Queste fibre, grazie alla loro struttura molecolare ottenuta

durante il processo di polimerizzazione, hanno il vantaggio di conferire ai tessuti

proprietà ignifughe permanenti, esplicando un’azione di ritardo o di inibizione della

fiamma.

Un livello ancora superiore di LOI (da oltre 30 a 50) caratterizza un

terzo gruppo di fibre, quelle resistenti al calore, quali le fibre di carbonio, le fibre

aramidiche e altre costituite da polimeri a nuclei aromatici o ciclici condensati. I

prodotti tessili con esse realizzati, nella decomposizione tendono a carbonizzare e

non emettono gas infiammabili. Sono manufatti tecnici di costo elevato.

Nella Tabella 2.2 sono riassunte le principali caratteristiche dei vari gruppi di

fibre sopra illustrate.

Tabella 2.2 – Classificazione dei tessili antifiamma[6].

Tipologia Fibre componenti Caratteristiche Non combustibili Fibre di vetro

Fibre minerali Fibre metalliche

Eccellente reazione al fuoco Scarse proprietà tessili Impiego limitato

Resistenti al calore Fibre al carbonio Fibre aramidiche Fibre poliimmidiche

Ottima reazione al fuoco Scarse proprietà tessili Costo elevato Impieghi high-tech

Intrinsecamente FR Fibre man-made intrinsecamente additivate con prodotti ignifughi

Buona reazione al fuoco Ottime proprietà tessili-estetiche Resistenti al lavaggio Costo accettabile dal mercato Impieghi high-tech

Tradizionali post-trattati Fibre tradizionali, trattate in superficie con prodotti ignifughi

Buona reazione al fuoco Non permanenti nel tempo Sensibili a lavaggi ed abrasione

È evidente, da quanto sopra esposto, e in particolare dall’esame delle due

tabelle riportate, che la semplice conoscenza dell’indice LOI di un materiale non è

un dato significativo ai fini della valutazione del suo comportamento al fuoco, che è

determinato da numerosissimi fattori. Come si vedrà nel seguito, le prove

necessarie a valutare la reazione al fuoco di un materiale ne simulano la condizione

finale di utilizzo, proprio per tener conto il più possibile di tutte le variabili in gioco.

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2.3 -Il ruolo degli additivi FR nella riduzione del

pericolo e del rischio di incendi.

Gli additivi flame retardant, incorporati direttamente nei materiali polimerici,

agiscono per ridurre il pericolo e il rischio di incendi interferendo con le

caratteristiche di combustione dei materiali stessi.

Le principali classi di sostanze flame retardant sono:

• Sostanze alogenate (a base di cloro o bromo).

• Prodotti contenenti fosforo (fosforo rosso, polifosfato di ammonio,

polifosfati melamminici, fosfonati, ecc…).

• Prodotti contenenti azoto (principalmente a base di melammina)

• Prodotti inorganici (alluminio triidrato, idrossido di magnesio, composti del

boro, borato di zinco, composti vari a base di zinco e piombo, ecc…)

Talvolta tali sostanze sono usate in miscela poiché, combinando i vari meccanismi,

si possono avere azioni sinergiche.

In base alla loro natura, i ritardanti di fiamma possono agire chimicamente

e/o fisicamente nella fase solida o nelle fasi liquide e gassose, interferendo con la

combustione in diversi momenti del processo (durante il riscaldamento, la

decomposizione, l’innesco, lo sviluppo della fiamma, ecc…).

Tali additivi agiscono principalmente attraverso i seguenti meccanismi:

• incrementando la quantità di calore necessaria per la pirolisi,

rendendo così necessarie per la combustione fonti di calore più

intense;

• facilitando la produzione di prodotti volatili incombustibili;

• riducendo la quantità e la velocità di formazione dei gas

combustibili;

• favorendo, durante la pirolisi, l’emissione di prodotti volatili

inibitori di ossidazione, in grado di rallentare la combustione.

Esaminando nel dettaglio le varie classi di additivi elencate precedentemente, si

possono individuare i loro principali meccanismi di azione:

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• Sostanze alogenate. Sono tra le più comuni e spesso sono anche quelle più

efficaci. Agiscono principalmente avvelenando la fiamma nella fase gas,

cioè sottraendo i radicali liberi H• e •OH che favoriscono la combustione. In

particolare rilasciano dei radicali Br• e Cl• che, reagendo con le molecole

idrocarburiche dei gas infiammabili generano HBr o HCl. Questi ultimi si

ricombinano con i radicali ad alta energia H• e •OH formando acqua e

rigenerando i radicali a più bassa energia Br• e Cl• che possono rientrare nel

ciclo. L’efficacia di tali sostanze dipende dal numero di atomi di alogeno in

esse contenuti e anche, molto pesantemente, dal controllo del rilascio di tali

atomi. In particolare il cloro viene rilasciato in un più ampio intervallo di

temperatura rispetto al bromo e quindi è presente nella zona della fiamma a

concentrazioni più basse, risultando meno efficace. Il bromo, invece,

essendo rilasciato in un intervallo di temperatura più ristretto, raggiunge la

concentrazione ottimale nella zona della fiamma. I ritardanti di fiamma a

base di alogeni sono talvolta usate in combinazione con il triossido di

antimonio che, pur non avendo attività intrinsecamente antifiamma,

funziona da catalizzatore, esaltando l’effetto di soppressione della fiamma,

caratteristico dei composti alogenati.

• Prodotti contenenti fosforo. Generalmente agiscono nella fase solida,

favorendo la carbonizzazione del substrato in cui sono dispersi e quindi

rallentando la propagazione della fiamma. Il fosforo riscaldato reagisce dando

origine ad acido fosforico polimerico. Quest’ultimo provoca la carbonizzazione

del materiale polimerico, con formazione di uno strato vetroso che inibisce il

processo di pirolisi, non più alimentato da combustibile gassoso. Inoltre lo

strato intumescente protegge il polimero sottostante dal calore della fiamma

• Prodotti contenenti azoto. I meccanismi d’azione di tali composti non

sono ancora completamente noti, ma si può pensare che abbiano i

seguenti effetti:

• Formazione di strutture molecolari reticolate nel

materiale trattato. Queste sono relativamente stabili

ad alte temperature e inibiscono fisicamente la

formazione di gas combustibili, necessari ad

alimentare la fiamma.

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• Rilascio di azoto gassoso che diluisce i gas

infiammabili, riducendo l’entità della fiamma.

• Azione sinergica con altri tipi di ritardanti di fiamma,

tipicamente a base di fosforo, con potenziamento della

loro azione. Infatti, per aumentarne l’efficacia, i ritardanti

di fiamma a base di azoto sono spesso usati in

combinazione con composti a base di fosforo.

• Prodotti inorganici (borati, silicati, ossidi di alluminio etc.). Esplicano la

loro attività secondo vari meccanismi:

• per formazione di uno strato carbonizzato

superficiale;

• per raffreddamento e/o diluizione della fiamma da

parte di acqua o gas non infiammabili.

Generalmente non sono molto efficaci e devono essere impiegati a

concentrazioni elevate oppure in combinazione con altri tipi di ritardanti di fiamma.

I ritardanti di fiamma inorganici comprendono:

• triidrato di alluminio: questo composto agisce con una

combinazione di tutti i meccanismi sopra illustrati. A

circa 200° C si decompone in ossido di alluminio (che

forma uno strato protettivo, non infiammabile, sulla

superficie del materiale) e acqua (sotto forma di vapore).

Quest’ultima genera uno strato di gas non infiammabile

sulla superficie del materiale, inibendo la formazione della

fiamma. La reazione è endotermica, cioè assorbe calore,

sottraendolo al materiale e rallentandone così la

combustione;

• idrossido di magnesio: agisce con gli stessi meccanismi

dell’alluminio triidrato, ma si decompone a temperatura

superiore (circa 300° C);

• composti del boro: anch’essi agiscono rilasciando

acqua, con reazione endotermica, e generando uno strato

vetroso protettivo sulla superficie del materiale; Possono

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anche rilasciare acido borico, che provoca la

carbonizzazione del materiale, riducendo l’emissione di

gas infiammabili (come avviene per i ritardanti di fiamma

a base fosforo);

• borato di zinco: è un ritardante di fiamma

“multifunzione”, che può potenziare l’azione degli alogeni,

agendo in sinergia con l’ossido di antimonio; nei sistemi

antifiamma privi di alogeno promuove invece la

formazione di uno strato superficiale ceramico.

• composti a base di zinco e stagno: sono adatti a

ridurre l’emissione di fumi da materiali contenenti cloro,

promuovendo la carbonizzazione superficiale o agendo in

sinergia con i ritardanti di fiamma alogenati o

melamminici, potenziandone l’efficacia.

2.4 – Riferimenti normativi.

2.4.1 – Normativa nazionale.

In Italia, le norme riguardanti la resistenza al fuoco dei materiali discendono

tutte dal D. M. del 26/6/1984 che definisce:

• i metodi di analisi per la determinazione dalla Classe di reazione

al fuoco;

• le tipologie di materiali interessati;

• le procedure da seguire per la classificazione e la certificazione di

un determinato prodotto.

In particolare si definisce reazione al fuoco di un materiale il suo grado di

partecipazione ad un incendio.

• I materiali vengono suddivisi in Classi di reazione al fuoco,

assegnate valutando il materiale nelle sue condizioni di utilizzo finale.

Nella classificazione di un materiale vengono considerati tre aspetti del

suo comportamento sotto l'azione del fuoco:

• la velocita' di propagazione della fiamma;

• la emissione di fumi irritanti o tossici;

• il gocciolamento di materiale incandescente.

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• Le classi sono 6, numerate da 0 a 5, secondo il grado crescente di

partecipazione del materiale all’incendio; per i materiali da costruzione,

di arredo e di rivestimento sono considerate le sole classi “0” (materiali

incombustibili, generalmente elementi strutturali di costruzioni), “1” e

“2”. Solo per gli arredi imbottiti sono adottate le classi speciali “1IM” e

“2IM”.

• Le prove necessarie alla determinazione della classe di reazione al

fuoco di un materiale sono disciplinate dalle norme descritte in Tabella

2.3.

• La procedura da seguire per l’assegnazione della classe di reazione al

fuoco è descritta dalla norma UNI 9177 (Classificazione di reazione al

fuoco dei materiali combustibili). Per tutti i materiali da testare (con

l’eccezione dei mobili imbottiti, per i quali basta eseguire la prova

regolamentata dalla UNI 9175) è necessario combinare la valutazione

ottenuta in due diverse prove tra quelle riportate nella tabella

seguente. Tutti i materiali devono essere testati nelle stesse condizioni

in cui verranno utilizzati nell’impiego finale; a tale la preparazione dei

campioni deve essere conforme alla norma UNI 9176 (Preparazione dei

materiali per l’accertamento delle caratteristiche di reazione al fuoco).

• Tabella 2.3 – Prove di reazione al fuoco.

• Norma • Anno • Titolo

• UNI

8456

• 1987 • Materiali combustibili

suscettibili di essere investiti

dalla fiamma su entrambe le

facce. Reazione al fuoco

mediante applicazione di una

piccola fiamma.

• UNI

8457

• 1987 • Materiali combustibili

suscettibili di essere investiti

dalla fiamma su una sola

faccia. Reazione al fuoco

mediante applicazione di una

piccola fiamma.

• UNI

9174

• 1987 • Reazione al fuoco dei

materiali sottoposti all’azione

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di una fiamma d’innesco in

presenza di calore radiante.

• UNI

9175

• 1987 • Reazione al fuoco di mobili

imbottiti sottoposti all’azione

di una piccola fiamma.

• Le prove possono essere eseguite:

• soltanto ai fini della classificazione (ambito volontario);

• ai fini della certificazione e successiva omologazione (ambito cogente).

• I metodi di prova e la classificazione dei materiali sono gli stessi,

mentre cambiano gli adempimenti burocratici.

• In Italia, allo stato attuale, l’uso dei materiali certificati è

obbligatorio nei locali di pubblico spettacolo, negli alberghi, nelle

scuole, sui mezzi di trasporto pubblico.

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2.4.2 – Normative sovranazionali e vigenti in altri paesi.

Attualmente le normative in materia di sicurezza al fuoco dei materiali

per arredamento in vigore nel Regno Unito, in Irlanda e in California sono

molto più rigide rispetto al resto dell’Europa e degli Stati Uniti. Questi paesi

applicano regolamenti altrettanto rigidi al settore dei trasporti pubblici, ma non alle

autovetture private; esistono inoltre leggi locali abbastanza restrittive per gli

alberghi e gli edifici pubblici. Normative molto restrittive sono inoltre applicate a

tutti i prodotti di arredamento e biancheria per le stanze da letto sia per uso

pubblico, sia per uso privato. In particolare il “bedding” per bambini è sottoposto a

regolamenti estremamente severi.

Nel Regno Unito, dove la normativa inerente la “Sicurezza al fuoco per

l’arredamento” è in vigore dal 1988, si stima questa comporti un costo aggiuntivo di

22-30 € sul singolo prodotto, con un costo totale di 33-45 milioni di euro l’anno per

il consumatore, a fronte di un risparmio di circa 80 milioni di euro sulle spese

assicurative, senza contare quello sui costi sociali legati alle vite umane. Si stima

infatti che, a partire dal 1997, l’applicazione di tali norme abbia contribuito a

salvare circa 140 vite all’anno e ad evitare più di 1100 feriti all’anno.[9]

Queste cifre sono destinate crescere per i prossimi 10-20 anni, man mano che gli

arredi soggetti alla precedente normativa verranno tolti dal mercato e sostituiti con

i nuovi.

In Tabella 2.4 è riportato un prospetto delle principali norme in vigore nei

principali paesi europei.

Note alla tabella 2.4:

[a] – La norma EN 1021-2 è recepita da numerosi paesi dell’Unione

Europea (Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo,

Olanda, Spagna e paesi scandinavi) e dalla Svizzera; tuttavia in tali

paesi è soltanto una norma volontaria, senza valore di legge.

[b] – Norma applicata anche in Irlanda.

[c] – Fiamma prodotta da 20 g di carta accartocciata.

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Tabella 2.4 –Principali norme sovranazionali ed estere (Europa).

Paese Normativa Campo di

impiego

Fonte di

incendio

Applicazione

fiamma

EN 597-1 Materassi

Strutture letto

imbottite

Sigaretta

EN 597-2 Materassi

Strutture letto

imbottite

Piccola fiamma

EN 1021-1 Sigaretta

Unione

Europea

EN 1021-2[a]

Mobili imbottiti Piccola fiamma

Confluenza

sedile-schienale

DIN EN 1021 1+2 Mobili imbottiti Sigaretta

Fiamma da

propano

Confluenza

sedile-schienale

DIN 66084 Mobili imbottiti

Imbottitura sedili

treni

Tampone di

carta 100 g

Sigaretta

Fiamma da

propano

Confluenza

sedile-schienale

DIN 66082 Tendaggi Fiamma

omologata

Diretta verso

estremità

tessuto

B2 Fiamma

omologata

Germania

DIN 4102-1 Edifici

Mat. costruzione

Tess. decorativi

Tess. per mobili

B1 Camera di

combustione

Diretta verso

estremità

tessuto

Regno

Unito

BS EN 1021 1+2 Tess. per mobili Sigaretta Confluenza

sedile-schienale

BS 5852[b] 1+2 Tess. per mobili Sigaretta

“Crib 5”[c]

BS 5438 Tessili (in genere)

BS 5867 Tendaggi

Tess. decorativi

Fiamma

omologata

Diretta verso

superficie

tessuto

BS 6807 Materassi

Divani

Strutture letto

Combustione

primaria e

secondaria

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La California è l’unico stato degli USA ad avere, dal 1975, una normativa

antincendio molto restrittiva per l’arredamento. Si stima che l’estensione delle

norme californiane a tutti gli Stati Uniti consentirebbe di evitare 4000 incendi e 500

decessi l’anno.[10]

Tabella 2.5 –Principali norme in vigore nello stato della California

Paese Normativa Campo di

impiego

Fonte di

incendio

Applicazione

fiamma

Cal TB 117 (A+D)

(Norma cogente per

arredi domestici)

Tess. per mobili

imbottiti

Fiamma 10 mm Prova a 45°

Cal TB 116

(Norma volontaria)

Tess. per mobili

imbottiti

Sigaretta

Centro e bordo

seduta, bracciolo,

schienale sup.,

confluenza sedile-

schienale

California

Cal TB 133

(Norma cogente)

Tess. per mobili

imbottiti

Fiamma 18 kW Bruciatore anulare

a gas

Per quanto riguarda il “bedding” in generale, nel 2001 lo Stato della

California ha approvato un disegno di legge (Assembly Bill 603) che rende

obbligatorio per tutta la biancheria da letto in vendita nel territorio statele, il

superamento dei nuovi test di resistenza alla piccola fiamma.

Nel 2004 la versione definitiva del metodo di prova TB603, contenente criteri di

ammissibilità e definizioni è stata approvata da tutte le agenzie governative

californiane. Dal 2005 i requisiti di conformità al metodo TB603 sono norme

cogenti per materassi e prodotti analoghi destinati alla vendita in questo stato.

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2.5 – Mercato dei prodotti Flame Retardant.

Per l’anno 2004 il consumo mondiale di additivi flame retardant negli

Stati Uniti, in Europa e in Asia ammontava a 1,5 milioni di tonnellate, con un giro

d’affari valutato in 2.8–2.9 milioni di dollari. Si stima per questo tipo di mercato un

tasso di crescita annua del 3% circa in volume, dal 2004 al 2009.

In Figura 2.4 è rappresentato il consumo di additivi flame retardant nelle

principali aree del mondo.

Figura 2.4

L’Estremo Oriente, ad eccezione del Giappone, rappresenta il mercato più

promettente per i ritardanti di fiamma, perché la produzione di beni di consumo che

richiedono il rispetto di normative di sicurezza al fuoco si sta spostando verso queste

aree.

In Figura 2.5 è rappresentato il consumo di additivi flame retardant, per

categoria di composto, nelle principali aree del mondo.

Figura 2.5

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2.6 – Problematiche ecotossicologiche.

Alla fine degli anni ’90 si è sviluppato un particolare interesse nei confronti delle

implicazioni ecotossicologiche degli additivi ritardanti di fiamma.

Per quanto riguarda gli effetti di tali composti sul corpo umano, esistono prove

scientifiche della loro tossicità e sono sospettati di essere cancerogeni.

Tuttavia nella valutazione del rischio connesso all’utilizzo di tali prodotti, la

loro azione positiva di protezione dal fuoco ha un peso preponderante rispetto

all’eventualità di un possibile danno chimico da essi provocato.

L’utilizzo di additivi ritardanti di fiamma è disciplinato da varie normative che

hanno lo scopo di tutelare la salute del consumatore. In particolare la Direttiva

67/548/CEE (e successive modifiche) stabilisce che le sostanze a cui siano associate

le frasi di rischio riportate in Tabella 2.6, debbano essere presenti in quantità

inferiore allo 0,1% in peso, sul totale del prodotto esaminato.

Tabella 2.6

Effetti sull’uomo.

R40 Possibilità di effetti irreversibili.

R45 Può provocare il cancro.

R46 Può provocare alterazioni genetiche ereditarie.

R49 Può provocare il cancro per inalazione.

R60 Può ridurre la fertilità.

R61 Può danneggiare i bambini non ancora nati.

R62 Possibile rischio di ridotta fertilità.

R63 Possibile rischio di danni ai bambini non ancora nati.

R68 Può provocare effetti irreversibili.

Effetti sull’ambiente.

R50 Altamente tossico per gli organismi acquatici.

R51 Tossico per gli organismi acquatici.

R52 Nocivo per gli organismi acquatici.

R53 Può provocare a lungo termine effetti negativi per l’ambiente acquatico.

Come si può vedere dalla tabella precedente, la Direttiva sopra citata prende in

esame anche i danni arrecati all’ambiente.

Anche in questo caso bisogna effettuare un bilancio tra il possibile danno ambientale e

i vantaggi apportati dall’utilizzo di additivi flame retardant; in particolare essi

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contribuiscono a ridurre l’emissione in atmosfera di gas tossici sviluppati durante gli

incendi. Inoltre contribuiscono a migliorare le caratteristiche di riciclabilità dei

materiali in cui sono contenuti oppure, nel caso in cui questi ultimi vengano smaltiti

per incenerimento, non danno luogo a sostanze nocive durante la combustione,

aumentando la stabilità dei prodotti emessi.

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Capitolo 3 – Sviluppo del progetto.

3.1- Generalità e stato dell’arte.

Come è stato dichiarato precedentemente, lo scopo del presente progetto di

ricerca è finalizzato all’ottenimento di fibre cellulosiche continue con proprietà

antifiamma permanenti, che possano essere utilizzate per l’arredamento di luoghi

pubblici e mezzi di trasporto.

Le principali fibre flame retardant presenti sul mercato sono:

o Viscosa in fiocco flame retardant (produttore: Lenzing).

o Visil viscosa in fiocco additivata con silice (produttore: Sateri-Finlandia).

o Poliestere flame retardant (principalmente Trevira CS; Hoecst). E’ una fibra

continua ottenuta per copolimerizzazione con monomeri contenti sostanze

flame retardant; è la più utilizzata nel settore dei tendaggi ed arredamento.

o Fibre Modacriliche (es. Kanekaron) ottenute per copolimerizzazione di

monomeri con caratteristiche flame retardant:

o Clorofibre, derivate dalla polimerizzazione del polivincloruro (es. Rhovyl).

Allo stato attuale non esistono sul mercato fibre cellulosiche continue con proprietà

flame retardant.

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3.2 – Procedura di ricerca e sviluppo.

FASE 1 – Individuazione di additivi compatibili con la chimica dei processi

(Acetato, Cupro, Viscosa).

• Reperimento Schede Tecniche di prodotto.

• Contatti con i fornitori.

• Schede di sicurezza.

• Valutazioni tossicologiche, ecologiche ambientali.

� Criticità:

o Compatibilità chimica (reattività, interazioni con solventi,

catalisi, ecc.)

o Compatibilità chimico-fisica (stabilità delle

soluzioni/sospensioni, dimensioni delle particelle, ecc.)

FASE 2 – Sperimentazioni di laboratorio.

• Preparazione delle soluzioni di collodio (acetato, viscosa, ecc.) e

dispersione degli additivi.

• Prove di “filmatura” (per individuare eventuali coaguli e opacizzazioni).

• Determinazione delle viscosità a % crescente.

• Impiego di disperdenti per la stabilizzazione delle pre-dispersioni

(concentrazione e tipologia).

• Impiego di contatori di particelle per la determinazione delle distribuzioni

dimensionali.

FASE 3 – Filature sperimentali (max 10 kg di prodotto; 2-3 spezzoni di filo)

con collodio non filtrato, su un’unica testa di filatura.

• Verifica filabilità collodio.

• Caratterizzazioni meccaniche.

• Difettività delle confezioni

• Produzione di campioni per test di tingibilità.

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• Produzione di campioni per determinazione del LOI.

• Determinazione della percentuale di additivo presente sul filo

(quantitativa).

• Determinazione della percentuale di additivo presente sul filo

(microscopia ottica e a raggi X, ecc.).

� Criticità:

o Mantenimento delle proprietà meccaniche negli standard di

prodotto.

o Ottenimento di LOI ≥ 28.

o Filabilità continuativa (48 ore).

FASE 4 – Filature semi-industriali.

• Produzione sugli impianti pilota o su parti di filatoi industriali (10-25

posizioni) di filo FR in modo continuativo per un periodo superiore a 15

giorni.

Verifica di:

o Adeguatezza del sistema di preparazione delle pre-dispersioni,

alle concentrazioni definite dal laboratorio (stabilità,

agglomerazioni, corpo di fondo, distribuzione dimensionale

delle particelle di additivo FR.

o Verifica dell’efficacia/efficienza dei sistemi filtranti (durata dei

filtri, capacità di trattenimento, dinamica di incremento delle

pressioni, concentrazioni in-out).

o Efficacia dei sistemi mixer (capacità di incorporare la

soluzione pre-dispersa nel collodio principale)

� Aggregazioni, precipitazioni dovute agli sforzi di taglio

elevato, ecc.

� Produzione di dispersioni omogenee (produzione di

pellicole, microscopia ottica, raggi X).

o Filatura (durata dei filtri filiera, build-up sui fori filiera,

stabilità di filatura, caratteristiche dinamometriche del filo,

colore, attriti, ecc.).

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FASE 5 – Cicli tessili.

• Ispezione visiva delle confezioni prodotte (bavosità, loops, fili incollati,

ecc.).

• Torcitura del filo (numero di rotture e rese di scelta dopo ispezione

visiva).

• Orditura (rotture/milione di metri).

• Incollaggio (compatibilità con colle viniliche/acriliche; rotture).

• Tessiture / Tintorie (rotture a telaio, bavosità e aspetto dei tessuti,

uniformità tintoriale, ecc.).

FASE 6 – Test specifici FR.

• Realizzazione di costruzioni differenti finalizzate al superamento dei test

previsti in conformità alle normative specifiche per i settori di impiego:

o Rivestimento.

o Drappeggio.

• Sono previste costruzioni 100% fibre cellulosiche FR (verifica delle

proprietà FR del materiale) e costruzioni di tessuti misti (es. viscosa FR +

poliestere FR.

• Verifica della % minima di ciascun componente nella costruzione del

tessuto.

• Resistenza delle proprietà FR ai finissaggi e ai lavaggi.

Bibliografia.

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Introduzione

[1]- BembergCell S.p.A. – Sito aziendale – www.bembergcell.com

Capitolo 1 – Le fibre cellulosiche.

[2]- AA. VV. – Le fibre cellulosiche artificiali. Il filo continuo. - Assofibre, 2000-2001

Capitolo 2 – Additivi ritardanti di fiamma e loro applicazioni.

[3]- M. Stringhetta – Lezioni tenute al Master “Tessile e Salute” , 2006

[4]- Cefic (European Chemical Industry Council), (a cura di) – How do flame retardants Work? – www.cefic-efra.com, 2006

[5]- A. Tempesti – Tessili Flame Retardant– Como, Tessile di qualità n°1, 2001

[6]- G. Belletti – I Tessili alla prova del fuoco.– TTI n°11, 2003

[7]- M. Tomasini – C’è modo e modo di andare a fuoco.– TTI n°11, 2003

[8]- Cefic (European Chemical Industry Council), (a cura di) – Applications of flame retardants: Fire safety of upholstered furniture– www.cefic-efra.com, 2006

[9]- Department of Trade and Industry UK - Effectiveness of the Furniture and Furnishings Fire Safety Regulations 1998. - http://www.dti.gov.uk/homesafetynetwork/bs_rfffr.htm, 2000

[10]- US National Association of State Fire Marshals - California vs US fires.- http://66.151.177.220/issues/home/home_pdf/furn_pdf/cal_vs_us_furn.pdf

[11]- A. C. Handermann – Flame resistant barriers for home furnishings: March 2004 Update. - Basofil Fibers, LLC, Enka, North Carolina, 2004

[12]- SRI Consulting, (a cura di) – Report: Consumption of flame retardants 2004. – www.sriconsulting.com

[13]- M. Croci – Lezioni tenute al Master “Tessile e Salute” , 2006

[14]- O. Manor, P. Georlette – Flame retardants and the environment.- Specialty Chemical Magazine, September 2005

Capitolo 3 – Sviluppo del progetto.

[15]- BembergCell S.p.A. – Documentazione interna.

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Ringraziamenti. Desidero ringraziare tutto il gruppo di lavoro della Divisione Ricerca &

Sviluppo dell’azienda BembergCell S.p.A., per aver reso possibile la

realizzazione di questo lavoro di ricerca.