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Il Sole 24 Ore - UNITELNews24 Le Newsletter de Il Sole 24 ORE Percorsi di informazione ed approfondimento per professionisti, aziende e Pubblica Amministrazione Servizio di informazione ed approfondimento in tema di ambiente, appalti, edilizia, urbanistica e sicurezza Chiuso in redazione il 1° dicembre 2009 © 2009 Il Sole 24 ORE S.p.a. I testi e l’elaborazione dei testi, anche se curati con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità per involontari errori e inesattezze Sede legale e Amministrazione: via Monte Rosa, 91 – 20149 Milano a cura della Redazione Elettronica Edilizia, Ambiente e PA de Il Sole 24 ORE Tel. 06 3022.52.96 e-mail: [email protected] www.professionisti24.com 31

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Chiuso in redazione il 1° dicembre 2009

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n. 31 – 1° dicembre 2009

Sommario Pagina

NEWS Ambiente, antincendio, appalti, economia e finanza, edilizia e urbanistica, energia, fisco, lavoro e previdenza, mercato, Pubblica Amministrazione, rifiuti, sicurezza 4

RASSEGNA DI NORMATIVA Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione 15

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA Appalti, beni culturali, edilizia e urbanistica, inquinamento, pubblica amministrazione, Pubblico Impiego, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro 19

APPROFONDIMENTI

Appalti

CONTRATTI PUBBLICI: ACCESSO DIFENSIVO A MAGLIE LARGHE Non è prevista alcuna limitazione legislativa di tipo “modale” all’accesso difensivo esercitato in relazione alla procedura di affidamento del contratto

Massimiliano Atelli, Diritto e Pratica Amministrativa, Il Sole 24 Ore, novembre 2009, n. 11 40

Edilizia e urbanistica

EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA E PIANO CASA: LE REGIONI CON BONUS E REGOLE AD HOC

La normativa più estesa nel Lazio che, nell'ambito di programmi integrati, ammette un incremento fino al 40% e non pone limiti temporali all'utilizzo. In Puglia il bonus può arrivare al 45% mentre nelle Marche raggiunge il 50 per cento

Paolo Bertacco, Edilizia e Territorio, Il Sole 24 Ore, 7 dicembre 2009, n. 47 43

Energia

NUOVO STOP DELLA CORTE COSTITUZIONALE ALLE RESTRIZIONI REGIONALI SUGLI IMPIANTI

EOLICI Contrariamente ad altre esperienze europee, dove il riparto di funzioni in materia energetica è modulato secondo lo spartiacque della potenza erogata delle opere da realizzare, il nostro ordinamento ha scelto la parcellizzazione delle competenze

Guerino Fares, Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, 12 dicembre 2009, n. 49 49

Fisco TARSU, L’ENTE DEVE MOTIVARE LA TARIFFA DIFFERENZIATA Le incertezze interpretative e i tanti cambiamenti normativi alimentano il contenzioso con le amministrazioni locali. Ma ora arrivano le prime sentenze

Claudio Carbone, Guida agli Enti Locali, Il Sole 24 Ore, 28 novembre 2009, n. 47 52

Pubblica Amministrazione RIFORMA BRUNETTA: GABBIE DI VALUTAZIONE E INCENTIVI ECONOMICI Valutazione della performance e valorizzazione del merito sono le leve su cui si fonda la logica della riforma

Maria Barilà, Guida al Pubblico Impiego, Il Sole 24 Ore, novembre 2009, n. 11 55

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Rifiuti ORDINANZE RIFIUTI: DECIDE IL SINDACO ANCHE SE NON SONO ‘URGENTI’

Il Tar Veneto, aderendo a un orientamento minoritario, attribuisce natura di provvedimento sanzionatorio a carattere ripristinatorio, e non contingibile e urgente, all’ordinanza di rimozione rifiuti ex art. 192 del Dlgs n. 152 del 23 aprile 2006

Paola Cosmai, Diritto e pratica amministrativa, Il Sole 24 Ore, novembre 2009, n. 11 60

Sicurezza ed igiene del lavoro RESPONSABILITÀ E DELEGA, SI ALLUNGA LA LINEA GESTIONALE Ridefinito il ruolo del datore di lavoro pubblico ai fini della sicurezza. Dai controlli ai nuovi obblighi di vigilanza ecco come cambiano strutture e organizzazione interna

Aldo Monea, Guida agli Enti Locali, Il Sole 24 Ore, 28 novembre 2009, n. 47 65

Sicurezza nei cantieri SICUREZZA NEL SETTORE EDILE: ALCUNE CONSIDERAZIONI PRATICHE SU PIANI E SISTEMI DI

GESTIONE Da diversi anni, in particolare da quando il recepimento delle direttive europee sui cantieri temporanei e mobili ha prodotto la cosiddetta "direttiva cantieri" (ex D.Lgs. n. 494/1996, "Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili"), la progettazione integrata della sicurezza ha rappresentato uno "spartiacque" tra il passato e il presente. Le novità che il D.Lgs. n. 494/1996 ha importato sul mercato italiano erano sostanzialmente due, l'introduzione del ruolo del coordinatore, come nuova figura professionale, e la redazione di un apposito documento di pianificazione e di coordinamento. Il documento cardine e innovatore che, in qualche modo, ha dato una svolta al modus operandi nel settore delle costruzioni è stato il piano di sicurezza e coordinamento (PSC).

Matteo Tomaiuolo, Ambiente & Sicurezza, Il Sole 24 Ore, 8 dicembre 2009, n. 23 72

L’ESPERTO RISPONDE Acque, agevolazioni, appalti, fisco, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro 75

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Acqua

Decreto Ronchi/Nel Servizio Idrico le reti restano agli Enti Locali.All'art. 15, c. 1-ter, la legge di conversione del decreto Ronchi stabilisce che, in base all'art. 23-bis del Dl 112/2008, l'affidamento della gestione del servizio idrico integrato deve garantire la piena autonomia dell'affidatario del servizio stesso e che, però, la piena proprietà delle risorse idriche spetta solo agli enti pubblici, a cui spetta anche il loro governo, in particolare per quanto riguarda la qualità del servizio, la sua universalità di accesso e il prezzo. Sulle modalità di affidamento del servizio idrico ad un gestore esterno la riforma non incide molto, visto che la materia è già chiaramente disciplinata dall'art. 150 del Dlgs 152/2006, che prevede che l'Autorità d'Ambito affidi il servizio tramite gara, riservando l'eccezionalità dell'affidamento in house solo a casi particolari determinati da questioni tecniche ed economiche. L'unica novità della riforma è quella di prevedere il ricorso alla società mista come alternativa alla gara. Quindi permangono in capo agli enti locali e all'autorità d'Ambito le funzioni di regolazione del servizio, in riferimento alla definizione degli standard qualitativi (nel contratto e nella carta dei servizi) e delle tariffe. La conferma della separazione tra gestione del servizio idrico e proprietà delle reti si conforma ai dettati della legge Galli (n. 36/1994) e del TU dell'Ambiente. Rifacendosi al Dlgs 152/2006, in particolare all'articolo 144, la legge di conversione del decreto Ronchi ribadisce che tutte le acque appartengono al demanio e costituiscono una risorsa da tutelare e utilizzare seguendo i principi di solidarietà; la disciplina degli usi dell'acqua, infatti, è finalizzata a razionalizzare tali usi e ad evitare sprechi, onde salvaguardare il patrimonio idrico del Paese. La proprietà pubblica delle risorse idriche è sancita anche dall'articolo 143 del Testo Unico dell'Ambiente, che stabilisce che gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre strutture idriche pubbliche (fino al punto di consegna o di misurazione) fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del Codice civile, e sono inalienabili.Conseguenza indiretta della riforma è che ora i Comuni sono chiamati ad una ricognizione del sistema delle risorse idriche e dello stato delle reti e degli impianti, al fine di ottimizzare il riassetto gestionale e responsabilizzare gli affidatari della gestione verso nuovi investimenti di sviluppo e tutela del servizio. Su quest'ultimo punto viene a sostegno degli enti pubblici l'art. 153 del Dlgs 152/2006 che detta che al gestore del servizio idrico integrato spettano gli oneri relativi alla rete nei termini stabiliti dalla convenzione e dal relativo disciplinare. (Alberto Barbiero, Il Sole 24 Ore – Norme e Tributi/Autonomie locali e Pa del 23 novembre, p.15 -sintesi redazionale)

Ambiente

Ambiente, Opere pubbliche/Difesa del suolo in Piemonte. Via libera alle ruspe, in Piemonte, grazie a un maxiprogramma contro il dissesto idrogeologico che stanzia 115mlni in tre anni per il ripristino, la messa in sicurezza e la manutenzione degli argini e degli alvei di numerosi corsi d’acqua. I primi interventi, per un valore complessivo di oltre 60,6mlni, andranno in appalto già a inizio 2010. In parallelo, partirà un piano straordinario per la pulitura del bacino del Po dai sedimenti alluvionali che prevede 11 interventi a costo zero, cioè “pagati” con i proventi della ghiaia estratta dal letto del fiume e degli affluenti. La doppia iniziativa è stata annunciata dalla Regione e dall’Aipo, l’Agenzia interregionale per il Po, con l’obiettivo di aumentare la prevenzione su un territorio fragile e che presenta ancora troppe aree a rischio. Il piano Aipo muoverà, il prossimo anno, appalti per oltre 60,6mlni e gli interventi, finanziati in gran parte con risorse statali, riguarderanno tre ambiti prioritari: il completamento di opere già in fase di progettazione sulle aree a rischio idrogeologico molto elevato, per un importo totale di oltre 37,4mlni; la realizzazione dei lavori di ripristino previsti dalle ordinanze della Protezione Civile in seguito all’alluvione che nel maggio 2008 ha colpito le province di Torino e Cuneo, per oltre 11,2 mlni; una serie di

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manutenzioni straordinarie e ordinarie sugli argini esistenti e a difesa di centri abitati e infrastrutture per un ammontare che supera gli 8 milioni. Altri 4mlni saranno, infine, spesi per risolvere due criticità di vecchia data: il nodo di Villanova Solaro, sul Varaita, e l’argine del Po della Cascina Consolata, a Casale Monferrato. (Maria Chiara Voci, Il sole 24Ore, Tabloid Edilizia e Territorio, 30 novembre – 5 dicembre 2009, n 46, p. 9 – sintesi redazionale)

Ambiente/Lombardia, 147mlni a tutela del suolo. Dissesti idrogeologici, esondazioni, rischi idraulici: la Regione Lombardia con un pacchetto di interventi programmati nell’arco dei prossimi 3 anni da 147mlni, affronta questo tipo di problemi che affliggono il territorio milanese e in particolare il nord del capoluogo meneghino con un occhio all’area del sito dove verrà realizzato l’Expo nel 2015. Previsti anche una prima serie di interventi considerati urgenti per ulteriori due milioni legati alle calamità che hanno funestato Varese e l’Oltre Po Pavese tra la primavera e l’estate di questo anno. In corso le firme delle prime convenzioni con gli enti locali che poi porteranno alle gare di progettazione e quindi di lavori. In gioco il miglioramento delle condizioni idrauliche della zona milanese che nel 2015 ospiterà l’Expo ma anche la riqualificazione ambientale e paesaggistica dei principali corsi d’acqua (Olona, Bozzente, Lura, Guisa, Seveso, Lambro e Trobbie) che circondano il capoluogo lombardo. Una tipologia di interventi che vengono realizzati dalla Regione in base alla sua programmazione ma sfruttando in gran parte risorse statali. Dei 147mlni, 48,5 sono già a disposizione dell’Assessorato regionale al Territorio. Altri 71,5mlni (fondi Fas) devono essere ancora liberati dal Ministero dell’Economia, una piccola porzione di fondi, 6,2 milioni, è stata messa a disposizione dall’agenzia interregionale per il Po (l’Aipo), ulteriori 5,2mlni dagli enti locali, mentre 22mlni statali devono essere ancora individuati. (Massimiliano Carbonaro, Il Sole 24Ore, Edilizia e Territorio, , del 23 – 28 novembre 2009, n 45, p. 8 – sintesi redazionale)

Appalti

Nuove soglie comunitarie per gli appalti pubblici. Con Regolamento CE n. 1177/2009 del 30 novembre 2009, la Commissione delle Comunità Europee ha fissato le nuove soglie di valore in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, più basse rispetto alle attuali. Di conseguenza, l’art. 28, comma 1, del Codice dei contratti sarà modificato come segue: fatto salvo quanto previsto per gli appalti di forniture del Ministero della difesa dall’articolo 196, per i contratti pubblici di rilevanza comunitaria il valore stimato al netto dell’importo sul valore aggiunto (i.v.a.) è pari o superiore a: ì) 125.000 euro, per gli appalti pubblici di forniture e di servizi diversi da quelli di cui alla lettera b.2), aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici che sono autorità governative centrali indicate nell’allegato IV; ìì) 193.000 euro: b.1) per gli appalti pubblici di forniture e di servizi aggiudicati da stazioni appaltanti diverse da quelle indicate nell’allegato IV; b.2) per gli appalti pubblici di servizi, aggiudicati da una qualsivoglia stazione appaltante, aventi per oggetto servizi della categoria 8 dell’allegato II A, servizi di telecomunicazioni della categoria 5 dell’allegato II A, LE CUI VOCI NEL CPV corrispondono ai numeri di riferimento CPC 7524, 7525, 7526, servizi elencati nell’allegato II B; ììì) 4.845.000 euro per gli appalti di lavori e per le concessioni di lavori pubblici. Allo stesso modo è modificato l’articolo 215 del Codice, relativo ai “Contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nei settori specialicon quetse nuove soglie (pari o superiore a): a) 387.000 euro per quanto riguarda gli appalti di forniture e servizi; b) 4.845.000 euro per quanto riguarda gli appalti di lavori. Il Regolamento entrerà in vigore dal 1° gennaio 2010. (Ilde Garritano – GBR Engineering srl, www.professionisti24.ilsole24ore.com)

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In caso di lite, la precedenza andrà all’accordo bonario e agli arbitrati. Parte un nuovo schema di processo per gli Appalti, con la preferenza accordata a tutti i riti alternativi al Tar: dall’accordo bonario agli arbitrati che recuperano tutta la propria forza. Si può riassumere così la portata del Decreto che dà attuazione alla Direttiva ricorsi, approvato per ora dal Consiglio dei Ministri. Le novità intervengono su due fasi diverse dell’appalto: un primo blocco sulla gara e in particolare sull’aggiudicazione, disegnando un percorso, tutto sommato celere, dal periodo di sospensione alla pronuncia del giudice. Il secondo blocco è quello degli strumenti di tutela a disposizione nella fase di esecuzione del contratto, e dunque soprattutto accordo bonario in prima battuta e arbitrato in seconda sperando così di scoraggiare i ricorsi alla giustizia ordinaria. (Valeria Uva, Il sole 24Ore, Edilizia e Territorio, 30 novembre – 5 dicembre 2009, n 46, p. 11 – sintesi redazionale)

Acquisti verdi nella Pubblica amministrazione. È stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 9 novembre 2009, n. 261 il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 12 novembre 2009 che adotta i "Criteri ambientali minimi" relativi all'acquisto, da parte delle Pubbliche Amministrazioni, di ammendanti (Allegato 1) e carta in risma (allegato 2). I criteri ambientali minimi sono gli elementi che qualificano una procedura di appalto "verde". Il concetto di Green Public Procurement o Acquisti verdi della Pubblica Amministrazione (GPP) è stato introdotto in Europa già a metà degli anni '90 ed è definito dalla Commissione europea come "l’approccio in base al quale le Amministrazioni Pubbliche integrano i criteri ambientali in tutte le fasi del processo di acquisto, incoraggiando la diffusione di tecnologie ambientali e lo sviluppo di prodotti validi sotto il profilo ambientale, attraverso la ricerca e la scelta dei risultati e delle soluzioni che hanno il minore impatto possibile sull’ambiente lungo l’intero ciclo di vita”. Già dal 2003 la Commissione Europea invitava gli stati membri ad adottare dei Piani d’azione nazionali (PAN) sul GPP per assicurarne la massima diffusione. L’Italia ha provveduto con il Decreto interministeriale dell'11 aprile 2008, n.135 che ha adottato il PAN GPP. Il Piano prevede l'adozione di misure volte all'integrazione delle esigenze di sostenibilità ambientale nelle procedure di acquisto di beni e servizi delle amministrazioni competenti, sulla base dei seguenti criteri: - riduzione dell'uso delle risorse naturali; - sostituzione delle fonti energetiche non innovabili con fonti rinnovabili; - riduzione della produzione di rifiuti; - riduzione delle emissioni inquinanti; - riduzione dei rischi ambientali. Il PAN GPP individua 11 categorie di prodotti e servizi (arredi; materiali da costruzione; manutenzione delle strade; gestione del verde pubblico; illuminazione e riscaldamento; elettronica; tessile; cancelleria; ristorazione; materiali per l'igiene; trasporti) per le quali, grazie ad appositi decreti emanati dal Ministero dell’Ambiente, della tutela del Territorio e del Mare, sono individuati un set di "criteri ambientali minimi” relativamente a ciascuna tipologia di acquisto. I "criteri ambientali minimi" riportano delle indicazioni generali volte ad indirizzare l’ente a perseguire una razionalizzazione dei consumi e degli acquisti e forniscono le "considerazioni ambientali" propriamente dette, collegate alle diverse fasi delle procedure di gara (oggetto dell’appalto, specifiche tecniche, caratteristiche tecniche premianti collegati alla modalità di aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa, condizioni di esecuzione dell’appalto) volte a qualificare ambientalmente sia le forniture che gli affidamenti lungo l’intero ciclo di vita ambientale. (www.governo.it)

Global service fuori legge, il Dg ristori l’Erario. Il global service finisce di nuovo nel mirino dei giudici. Stavolta è la Corte dei conti, sezione giurisdizionale della Lombardia, a definirlo «una tipologia contrattuale a forte rischio di lesione dei princìpi della concorrenza». Rischio in cui è incappato un ex manager dell’Ospedale Niguarda di Milano, insieme con l’allora dirigente dell’Uo approvvigionamenti, condannati dai giudici contabili con la sentenza n. 598, pubblicata il 30 ottobre, a pagare all’Ao 536.853 euro complessivi. La vicenda. Nel 1998 il direttore generale aveva deliberato una gara per la gestione completa dei servizi di tre reparti per cinque anni con prezzo a base d’asta di 50 miliardi di vecchie lire. Nel 1999 il Dg aveva indetto trattativa privata

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con invito a due delle società concorrenti alla gara, una sola delle quali aveva presentato un’offerta ritenuta poi regolare: la ditta si aggiudicava così il contratto per i soli due reparti per 66,6 miliardi di vecchie lire, escludendo la manutenzione delle apparecchiature di proprietà dell’azienda. Per la procura regionale è stato violato l’articolo 9, comma 3, del Dlgs 358/1992 che autorizza il ricorso alla trattativa privata, in caso di pubblico incanto andato deserto, «purché le condizioni iniziali della fornitura non vengano sostanzialmente modificate». Requisito non rispettato. In aggiunta nel 2002, cioè a due anni dalla naturale scandenza, il manager ha concesso una proroga del contratto, stanziando altri 13,3 milioni. Per la procura, è stato così violato anche l’articolo 6 della legge 537/93 che vieta «il rinnovo tacito dei contratti della Pa per la fornitura dei beni e servizi» stabilendo che «entro tre mesi dalla scadenza le amministrazioni accertano la sussistenza di ragioni di convenienza pubblica e di pubblico interesse per la rinnovazione». Alla luce di tutto questo, la procura ha chiesto la condanna del Dg, del dirigente dell’Uo approvvigionamenti e di otto medici a pagare all’ospedale 2,3 milioni di euro (il 75% i primi due, il 25% gli altri). In sede penale pende ancora il procedimento in appello per il manager. La sentenza. Dopo un balletto di perizie (il primo collegio peritale, formato da esperti del ministero, dell’Iss e dell’Ordine dei commercialisti di Roma, ha rinunciato all’incarico; il secondo, nominato in seno all’assessorato alla Lombardia, ha giudicato congruo il prezzo dell’aggiudicazione dell’appalto, invitando a riformulare il petitum), la procura ha precisato che il danno è riconducibile al «danno alla concorrenza» da quantificare in via equitativa in 715.805 euro. Il collegio della Corte dei conti ricorda innanzitutto che il tribunale di Milano ha ritenuto l’esclusione del terzo reparto in sé sufficiente a integrare la violazione del Dlgs 358/1992, ovvero un vulnus alla concorrenza. Illegittimo anche il rinnovo del contratto, «per lesione degli stessi princìpi di imparzialità e concorrenza». Una violazione delle regole - scrivono i magistrati - che «appare tanto più gravde in relazione alla tipologia del contratto » di global service (peraltro poco adeguato, vista «l’evidente prevalenza delle forniture» sui servizi). La decisione di ricorrere al global service «non è stata preceduta da alcuna approfondita valutazione preliminare» di convenienza e da alcuna «analisi di congruità». Insomma, è stata «una scelta sin dall’inizio scarsamente ponderata». Il danno alla concorrenza dunque c’è stato, giustamente rideterminato. Ma la Corte ravvisa la colpa grave nei soli comportamenti del Dg e del responsabile degli approvvigionamenti, a cui è ascrivibile una quota del 75% del danno (536.853 euro). Al primo, in particolare, va addebitato il 60% della somma: il manager dovrà pagare all’ospedale 322.112 euro, il dirigente 214.741. (Manuela Perrone, Il Sole 24 Ore Sanità, 17-23 novembre 2009, n. 43, p. 31)

Edilizia e urbanistica

Sicurezza nell’Edilizia/Audizione alla Camera per l’Ance. Per combattere il sommerso nell'Edilizia si rendono necessarie misure premiali e "sconti" sul costo del lavoro: lo ha chiesto ieri (2 dicembre 2009) l'Ance, (Associazione costruttori edili), in occasione di una audizione alla Camera sui fenomeni distorsivi del mercato del lavoro. Nel settore, osserva l'Ance, l'introduzione del Durc, documento unico di regolarità contributiva, ha stabilizzato la tendenza all'emersione del lavoro nero già iniziata nei primi anni del 2000. Nei primi due anni di vigenza del Documento, tra il 2005 e il 2007 sono infatti emerse, come iscrizione alle Casse Edili, 30mila imprese (+22%) e 160mila lavoratori (+20%). Altro dato rilevante: i Durc emessi nel 2006 erano poco meno di 900mila mentre quelli comunicati nel 2009 sono, ad oggi, già 2,4 milioni. In attesa della definizione di questo strumento con il Documento di congruità, che attesta l'equilibrio del rapporto tra costo della manodopera e valore dell'opera negli Appalti, l'Ance propone l'adozione di sistemi "premiali" che riconoscano la riduzione dei costi alle imprese che dimostrino di essere più meritevoli sulla sicurezza, sulla formazione e sulla regolarità contributiva. (INAIL, 2 dicembre 2009 – sintesi redazionale)

Edilizia/Nasce lo specialista in Acustica. Sono 25 i primi aspiranti alla qualifica di tecnico acustico edile. La nuova professionalità è lo scopo del corso organizzato dall’Anit (associazioni nazionale isolamento termico e acustico) e dal Sacert, l’ente di certificazione professionale con sede a Milano che a partire dal 2010 istituirà anche il primo albo volontario dei tecnici acustici edili. Il riferimento è ai tecnici competenti in acustica ambientale, una figura professionale istituita con la

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Legge 447/1995 «idonea a effettuare le misurazioni – recita la Legge – verificare l’ottemperanza ai valori definiti dalle vigenti norme, redigere i piani di risanamento acustico, svolgere le relative attività di controllo». L’abilitazione avviene dopo due anni di affiancamento a un professionista (quattro anni per i diplomati) con l’iscrizione negli elenchi regionali. Mentre la qualifica alla base del corso, partito con la prima delle sette giornate di studio lo scorso 24 novembre, restringe il campo all’edilizia, ma prendendo in considerazione la cura degli aspetti acustici in tutte le fasi: dalla progettazione alla messa in opera dei materiali, delle giunture tra le strutture, fino alla realizzazione delle opere con l’assistenza in cantiere. (D. Appolloni, Il sole 24Ore - Edilizia e Territorio, 30 nov. – 5 dic. 2009, n. 46, p. 5 – sintesi redazionale)

Cresme/I ritardi del Piano Casa affondano l’edilizia. A quanto sembra, il Piano Casa non produrrà effetti concreti prima del 2012. A sostenerlo sono i vertici del Cresme, che rivedono al ribasso le stime ottimistiche della prima ora. Se infatti, all’indomani dell’annuncio del Governo circa l’adozione del provvedimento, era possibile ipotizzare da parte degli italiani una spesa aggiuntiva di circa 50-60mldi€ da spalmare fra 2009 e 2010, le previsioni adesso cambiano colore. In prima istanza perché si sono allungati i tempi di adozione della misura con le Leggi regionali; in second’ordine, va calcolata l’incidenza dei tempi di presentazione della Dia e di realizzazione dei lavori all’interno delle stesse Leggi regionali. Quasi tutte le Regioni – fanno notare al Cresme – prevedono 24 mesi per presentare la Dia e altri 24 mesi per realizzare i lavori. Se qualcosa si muoverà in fase di progettazione sul finire del 2010, l’opinione diffusa, ora, è che sul fronte dei lavori veri e propri non avverrà nulla o quasi prima del 2012. Ed è su questi presupposti che si orienta infatti il Rapporto congiunturale del Cresme, presentato il 13 novembre a Verona. E i dati che circolano sono “brutti”. Nessuna politica pubblica è riuscita a contenere l’impatto della crisi sul settore edile. Non il Piano Casa, frenato dalla burocrazia, né la Tremonti-ter per gli immobili. Per il settore abitativo, nel 2009 si profila un calo del 19,2% che sarà del 6,3% nel 2010. E se si tiene conto del fatto che anche il 2007 e il 2008 sono stati anni di segno negativo, il calo consolidato dell’economia di settore si porta fino al 35-40%, e non si tornerà mai – affermano al Cresme – ai livelli di realizzazione di 350mila abitazioni l’anno toccati dai picchi espansivi del ciclo iniziato nel 1998. In caduta del 10%, nel 2009, anche gli investimenti che saranno segnati in negativo anche nel 2010, sia pure del -2,8%. (Giorgio Santilli, Il Sole 24Ore, Economia e Imprese, 10 novembre 2009, p. 19 – sintesi redazionale)

Ance/Crollo degli investimenti in Edilizia nel 2009: -9,4%. Allarme edilizia: a lanciarlo è l'Ance, l'Associazione dei costruttori, secondo la quale a fine 2009 gli investimenti nel settore delle costruzioni segneranno un calo del 9,4%, ritornando ai livelli del 2000. Né andrà meglio l’anno prossimo – aggiunge l’Ance – perché le previsioni continuano a mostrare segno negativo. A pesare sullo scenario – spiegano i costruttori – i ritardi nell'avvio del Piano Casa, la Legge Finanziaria 2010 che riduce del 7,8% le risorse per nuove infrastrutture, e l'azzeramento dei fondi Anas. «Sono ancora lontani – sottolinea l’Ance – i segnali di una effettiva ripresa nell'edilizia mentre cresce il fabbisogno di case soprattutto per le fasce deboli, e l'Italia diventa maglia nera in Europa sul fronte delle infrastrutture. (Il Sole 24Ore, Edilizia e Territorio, del 10 novembre 2009 – breve)

Crisi Edilizia/L’Ance, nel biennio 2009-2010 persi 220mila occupati. Le imprese del settore edile prevedono per il biennio 2009-2010 un calo complessivo (incluso l'indotto) di circa 220mila occupati. E' l'allarme lanciato dall'Ance. "Tra il quarto trimestre 2008 e il secondo trimestre 2009 sono già usciti dal settore 74mila occupati", con una previsione per il 2009 di un calo di investimenti nel settore pari al 9,4%, rispetto al 2008. Negative anche le previsioni per il 2010, che si preannuncia all’insegna di un calo produttivo stimato tra il 7,1% e il 3,9% a seconda che si tenga o meno conto del contributo del "Piano casa 2" del Governo. Dall'analisi della Finanziaria 2010 – sostiene l’Ance – emerge una riduzione delle risorse per nuove infrastrutture del 7,8% rispetto al 2009, che va sommata al -13,4% registrato già nell’anno in corso. In tal senso, l'Ance chiede l'intervento del Governo e propone la possibilità di ricorrere alla Cdp per il recupero

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dei crediti vantati dalle imprese nei confronti della PA. (Il Sole 24Ore, Redazione Edilizia e Territorio, dell’11 novembre 2009 – sintesi redazionale)

Immobili/Corsa a ostacoli sul cambio d’uso. Identificare l’uso urbanisticamente rilevante di un immobile non è agevole. L’uso infatti non dipende dalla categoria catastale, né dal concreto ed effettivo utilizzo dell’edificio. Il problema si risolve in virtù del titolo abilitativo edilizio originario, documento di non facile reperimento. Tuttavia, risalire all’utilizzo è necessario ogni volta che si intende modificare una destinazione d’uso. In tal senso, trasformare un negozio in un garage, seppur semplice sotto il profilo del lavoro edile riconnesso, può essere ostacolato dalla congerie di norme nazionali e locali vigenti in materia. A livello nazionale, le norme relative sono essenzialmente contenute nel TU sull’Edilizia, il DPR 380/2001, il cui cardine è l’art. 32, secondo il quale un cambio d’uso dell’immobile che implichi modifiche agli standard previsti dal DM 1444/68 costituisce variante al progetto approvato. Tali standard dipendono dalle zone territoriali omogenee (A centro storico, B zona edificata, C zona di sviluppo edilizio, D zona industriale, E zona agricola, F attrezzature e impianti di interesse generale). Accanto a tali funzioni stanno però anche gli standard individuati dai Comuni tramite gli strumenti urbanistici, l’effettivo utilizzo dell’immobile e i limiti di densità edilizia (ad esempio, 5mc/mq nei centri storici, variabili dagli strumenti urbanistici locali), dotazioni minime di parcheggi, altezza massima degli edifici, limiti di distanza, etc. In linea generale, comunque, se un edificio ha esaurito i suoi standard, il cambio d’uso di un locale privo di caratteristiche di abitabilità (oggi agibilità) non è concesso. Affinché l’ostacolo degli standard possa essere superato occorrono norme specifiche, come quelle varate da quasi tutte le Regioni – ad esempio – per consentire il recupero di un sottotetto a fini abitativi, o quelle che permettono ad un agriturismo di espandere le superfici abitative per accogliere gli ospiti o a un’azienda agricola di accrescere l’attività con nuove costruzioni. Tuttavia le regole nazionali e quelle regionali non esauriscono i termini del problema. Infatti, anche i Comuni, entro i limiti ad essi posti dalle Regioni possono disciplinare gli standard nel Piano Regolatore ed eventuali varianti. Il DPR 380/2001 stabilisce che siano le Regioni, con Legge, a individuare quali cambiamenti, incluse le trasformazioni fisiche di un ambiente, siano soggetti a Dia o a permesso di costruire. (Silvio Rezzonico, Giovanni Tucci, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, 16 novembre 2009, p. 8 – sintesi redazionale)

Milano/Pagella verde regionale sotto accusa. Professionisti a convegno. Un convegno a Milano (oggi, 23 nov 2009) per denunciare le carenze dei criteri adottati dalla Regione e i vigore dallo scorso 26 ottobre in tema di certificazione energetica degli edifici. Software in continua evoluzione per compilare on line la certificazione energetica degli immobili e che non funziona: tempi di attesa inaccettabili, bug informatici, risultati bizzarri, poca assistenza da parte degli uffici tecnici della Regione. In Lombardia, le regole di certificazione energetica degli edifici non piacciono ai professionisti, dai periti industriali agli architetti, dai costruttori ai proprietari, inclusi gli amministratori immobiliari. A detta delle categorie, sia le compravendite che le nuove costruzioni stanno incontrando più intralci che benefici dalle norme tecniche regionali, accusate di essere state adottate troppo in anticipo sui tempi nazionali, con la conseguenza di un continuo lavoro di adattamento sia agli standard italiani che europei. (R.L., Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, 23 novembre 2009, p. 14 – sintesi redazionale)

Piano Casa/Se l’istanza di sanatoria è in sospeso. Anche gli edifici condonati, sebbene a specifiche condizioni, possono trarre beneficio dalle agevolazioni del Piano Casa. Se però la domanda di condono è stata inoltrata e il Comune di pertinenza non si è ancora espresso va per prima cosa stabilito se in merito non si sia formato il silenzio-assenso che costituirebbe valido titolo abilitativo, legittimando in tal senso l’abuso a posteriori. In sintonia con quanto previsto dai condoni precedenti (vd Legge 47/1985 e 724/1994) l’art. 32, comma 37 del DL 269/2003 stabilisce che l’avvenuto decorso del termine di 24 mesi dalla data del 31 ottobre 2005 (e perciò il 31 ottobre 2007) in assenza di un provvedimento negativo da parte del Comune equivale a titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a patto che siano stati pagati gli oneri di concessione, sia stata presentata la documentazione di cui al comma 35, sia stato denunciato in catasto l’immobile in questione e siano state adempiute le denunce a fini ICI, Tarsu e Tosap, se dovuta. Tuttavia è pur vero che la Corte

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Costituzionale (vd sentenza 194/2004) ha ritenuto illegittima tale norma nella parte in cui non prevede che la Regione con propria Legge possa dettare una disciplina differente riguardo agli effetti del silenzio del Comune. In ogni caso, eventuali vincoli di inedificabilità assoluta – dovuti a ragioni storico artistiche, paesaggistiche o idrogeologiche o alle altre cause indicate dall’art. 32, c. 27 – precludono comunque la sanabilità dell’opera e di riflesso la formazione del silenzio assenso. (Donato Antonucci, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, 23 novembre 2009, p. 14 – sintesi redazionale)

Energia

Fioccano i progetti di riconversione degli stabilimenti in modalità fotovoltaica. È il fotovoltaico la tecnologia green su cui si stanno concentrando gli investimenti di molte industrie italiane con l’obiettivo di abbattere gli elevati costi energetici dei propri stabilimenti produttivi e di contribuire all’ecosostenibilità ambientale. Coop ha inaugurato il 17 novembre il maxi centro logistico di Prato dove sono stati installati 16mila pannelli fotovoltaici (Mitsubishi Electric) per 3,2 milioni di kw equivalenti al consumo medio di energia elettrica di 1.185 famiglie. Entrerà poi in esercizio entro la fine dell’anno quello che si annuncia come l’impianto fotovoltaico industriale su tetto (totalmente integrato) più grande del Nord Italia. Lo sta realizzando Bellotti, azienda attiva nel settore del legno-arredo, nella propria sede di Cermenate (Co). Saranno 3.900 pannelli fotovoltaici installati su una superficie di 10.000 mq, con una potenza di 992.555 watt, in grado di generare 1.025.200 kw annui di energia pulita. Per la realizzazione dell’impianto Bellotti si è affidata alla Alter Eco di Bareggio (Mi), azienda specializzata nella progettazione e realizzazione di impianti solari. È a firma di Schuco l’impianto fotovoltaico – da 360 kw di potenza e una capacità di produzione annua di energia pulita nell’ordine dei 398.000 kw – integrato nella copertura dello stabilimento di Telgate (Bg) di Com.Italf, produttore di strutture in ferro per il settore industriale e civile. Schuco si è recentemente occupata, per l’azienda vicentina F.lli Zanellato (specializzata in nichelatura), della realizzazione di un impianto da 540 pannelli, che generano una potenza di 97 kw e una produzione annua di energia pari a 110.000 kw. Ravano Green Power, società che realizza centrali fotovoltaiche ha appena terminato i lavori per l’installazione dell’impianto da 273,24 kwp che ricoprirà il tetto di un capannone industriale di proprietà della società Astore Spa a S. Giuliano Milanese (Mi). Il progetto prevede una seconda installazione – il cantiere sarà avviato a gennaio 2010 – presso un altro capannone dell’azienda, sempre nel sito di S. Giuliano, per ulteriori 681,03 kwp. Dopo il taglio del nastro, a luglio scorso, dello stabilimento fotovoltaico pilota di Ferentino (Fr) Nestlè ha fatto il bis a San Sisto (Pg), dove presso il sito della Perugina, in cui si producono i famosi Baci, è operativo dal mese di ottobre l’impianto da 2.200 moduli (installato su 10mila mq di copertura dell’area parking) per una potenza di oltre 450 kw di potenza in grado di produrre fino a 0,55 gw di energia e soprattutto di coprire oltre il 90% del fabbisogno energetico dello stabilimento. È in funzione da poche settimane anche il maxi impianto fotovoltaico dello stabilimento ferrarese della cooperativa agricola Patfrut. L’impianto da 4mila mq per 147 Kw di potenza – realizzato dalla cooperativa modenese di servizi energetici Power – è in grado di produrre 160.000 kwh all’anno. (Mila Fiordalisi, Il Sole24Ore - Trasporti, 23 novembre-5 dicembre 2009, n. 19. p. 15)

Iva, produrre energia elettrica non è valutata attività agricola. La scarsità di risultati economici provenienti dalle produzioni agricole tradizionali spinge molte aziende agricole a ipotizzare la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica sia da fonti fotovoltaiche che con biogas ottenuto dalla digestione di prodotti e sottoprodotti agricoli e zootecnici. A nostro parere tali attività dovrebbero avere natura accessoria a quella principale; si ricorda che la produzione di energia rientra nel reddito agrario qualora le risorse agroforestali vengano prodotte prevalentemente dal terreno dell’impresa agricola che produce l’energia elettrica e in caso di impianti fotovoltaici è necessario avere una adeguata superficie di terreno, oppure utilizzare i tetti dei fabbricati agricoli o infine avere un fatturato dalla produzione agricola superiore a quello della energia. Gli aspetti Iva – La cessione di energia elettrica è soggetta a Iva (esclusa la tariffa incentivante – per il fotovoltaico – e compresa la tariffa omnicomprensiva) con l’aliquota del 10% qualora la cessione rientri nel punto 103) della Tabella A, parte III, del Dpr 633/1972 (clienti grossisti, uso domestico, imprese manifatturiere ecc.); in tutti gli altri casi, come per la cessione di

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certificati verdi, l’Iva è dovuta nella misura del 20%. Tenuto conto che la vendita dell’energia viene effettuata nei confronti del Gestore nazionale (Gse) che può essere considerato un grossista si applica sempre l’Iva al 10 per cento. La tariffa incentivante per la produzione fotovoltaica (Agenzia delle Entrate circolare n. 46 del 19 luglio 2007) non è soggetta a Iva in quanto assimilata a un contributo in conto impianti, ma l’azienda fattura con Iva il rimanente prezzo ricevuto per la vendita di energia e non perde il diritto alla detrazione dell’Iva assolta sugli acquisti in quanto essa comunque effettua operazioni imponibili attive. La tariffa omnicomprensiva (Dm 18 dicembre 2008) è soggetta a Iva per intero. Nella produzione fotovoltaica, nel caso in cui l’azienda agricola effettui «il servizio di scambio sul posto» fatturerà l’intera energia prodotta al gestore registrando l’operazione nella contabilità separata della attività energetica, mentre registrerà la fattura di acquisto di energia nella contabilità della attività agricola e in parte nella attività energetica se ivi utilizzata. Gli acquisti di impianti di produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica (anche eolica e solare) scontano l’Iva del 10%, mentre per quelli da biomasse, manca una esplicita norma agevolativa e quindi prudenzialmente si ritiene applicabile l’aliquota del 20 per cento. La produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, qualora rientra nel reddito agrario, anche potenzialmente, sconta l’Irap nella misura dell’1,9%. Quindi una società di persone o di capitali che produce energia utilizzando prevalentemente risorse agricole proprie, assolve l’Irap con l’aliquota ridotta anche se non ha optato per la tassazione in base al reddito agrario. Obblighi contabili – Ai fini Iva la produzione di energia è in ogni caso considerata attività non agricola. Infatti, l’energia elettrica, non essendo indicata nella prima parte della tabella A allegata al Dpr 633/72, non potrà rientrare nel regime speciale. La circolare della agenzia delle Entrate n. 32 ricorda che relativamente alla produzione di energia, l’azienda agricola deve tenere la contabilità separata ai sensi dell’art. 36 del Dpr 633/72; la fattispecie si verifica nel caso in cui l’attività agricola rientra nel regime speciale di cui all’articolo 34, del Dpr n. 633/72. In tale contabilità separata confluiscono le fatture relative all’acquisto o al leasing dell’impianto e alla gestione dello stesso e inoltre vengono registrate le fatture emesse al gestore per la vendita di energia. In tal caso sussiste l’obbligo della fatturazione dei passaggi interni, ossia il trasferimento dalla gestione agricola all’attività di produzione di energia dalle biomasse (cereali, foraggi, residui zootecnici ecc.); si ricorda che il passaggio interno è soggetto a Iva in base al valore normale e la fattura deve essere emessa al momento in cui il passaggio è effettuato. In questo caso l’Iva è dovuta nella gestione agricola (ma con la detrazione forfetaria per i foraggi e altri prodotti agricoli) e detraibile nella gestione energetica. Si ribadisce che se l’impresa agricola ha optato per il regime normale non deve fare alcuna distinzione contabile. Concessione a terzi della installazione di impianti fotovoltaici – La tassazione del corrispettivo ai fini delle imposte dirette percepito per la concessione del diritto alla installazione di impianti fotovoltaici, dipende dalla natura del contratto mediante il quale viene concesso l’utilizzo dell’immobile. Se viene stipulato un contratto di locazione relativamente a un terreno agricolo, tenuto conto che il locatario lo impiega per la produzione di energia da fonti fotovoltaiche, ma senza esercitare una attività agricola connessa, la fattispecie rientra nella lettera e) dell’articolo 67 del Tuir (terreni dati in affitto per usi non agricoli) e quindi il corrispettivo rientra nei redditi diversi. Se invece il proprietario concede sugli immobili il diritto di superficie che consiste in un diritto reale a favore del superficiario per il periodo stabilito nel contratto, il corrispettivo rientra fra i redditi diversi solo in due casi: se il terreno ceduto è edificabile oppure se l’immobile è stato acquistato da meno di cinque anni. In questi due casi infatti la cessione genererebbe plusvalenza ai sensi del citato articolo 67, lettera b). Quindi se il terreno è agricolo ed è posseduto, come pure il fabbricato da oltre cinque anni, il corrispettivo percepito non è tassabile Si ricorda che essendo il diritto di superficie un diritto reale occorre l’atto notarile ed è soggetto all’imposta proporzionale di registro (7% per i fabbricati e 15% per i terreni agricoli) oltre alle imposte ipotecarie e catastali nella misura complessiva del 3 per cento. (Gian Paolo Tosoni, Agrisole, Il Sole 24 ore, 27 novembre-3 dicembre 2009, n. 46, p. 17)

Le linee guida per l’installazione degli impianti a energie rinnovabili non sono completamente dimenticate. A dare speranza dopo quasi sei anni di attesa è il dipartimento per l’Energia del ministero dello Sviluppo economico, assicurando che il documento, preparato di concerto con i ministeri dell’Ambiente e dei Beni culturali, «a breve sarà presentato agli enti locali e alle Regioni per l’approvazione finale». L’ok della Conferenza unificata è infatti un passaggio obbligato per la norma che, secondo l’articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003, aveva lo

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scopo di dare indicazioni a livello nazionale sull’applicazione dell’autorizzazione unica, ovvero la procedura semplificata per la realizzazione degli impianti per la produzione di energie rinnovabili, le opere e le infrastrutture connesse. Il meccanismo investe le Regioni della responsabilità di seguire la pratica, convocare la conferenza dei servizi entro 30 giorni, verificare i limiti in base alla tutela ambientale, del paesaggio e del patrimonio storicoartistico, accelerare al massimo l’iter e rispondere entro 180 giorni. Mercato limitato. L’assenza delle Linee guida ha però complicato le procedure, creato grande confusione e disomogeneità tra le modalità adottate man mano nelle diverse regioni. Alcune, tra cui la Lombardia e la Puglia hanno allargato le maglie facilitando l’installazione degli impianti fotovoltaici ed eolici, mentre altre come la Basilicata e la Sicilia hanno adottato normative molto restrittive (si veda anche «Edilizia e Territorio» n. 31-32/2009). «L’incertezza sull’autorizzazione unica – spiega Gert Gremes, presidente del Gifi, il gruppo delle imprese del fotovoltaico aderente ad Anie – sta incidendo molto sul settore. Nonostante un incremento del mercato a due cifre, senza questo ostacolo sono sicuro di poter dire che il fotovoltaico in Italia sarebbe cresciuto del 50% in più». L’iter. Il ministero dello Sviluppo economico comunque rassicura. «Siamo particolarmente attenti alla realizzazione delle infrastrutture energetiche in particolare quelle rinnovabili– è la risposta della Direzione energia –. A primavera abbiamo trasmesso alle associazioni di settore una bozza delle linee guida, frutto di un lavoro che ha visto il coinvolgimento dei Ministeri interessati e di rappresentanti di Regioni ed enti locali. La consultazione si è conclusa nell’estate». «Anche alla luce di quanto emerso nel corso della consultazione – prosegue la direzione – i ministeri stanno oggi collaborando alla stesura del testo definitivo che a breve sarà presentato agli enti locali e alle Regioni per la loro approvazione finale». Il nodo da sciogliere riguarda l’integrazione architettonica dei pannelli e la grandezza degli impianti da sottoporre all’autorizzazione unica. Secondo le prime indiscrezioni, nelle linee guida basterebbe la Dia per gli impianti fotovoltaici sotto i 20 kW. (D. Appolloni, Edilizia e Territorio, Il Sole 24 Ore, 30 novembre - 5 dicembre 2009, n. 46, p. 4)

Pubblica Amministrazione

Progettazione interna agli enti. È stato approvato in Senato il disegno di legge 1167, collegato alla Finanziaria 2010,che dispone il ritorno al 2% dell’incentivo per la progettazione interna agli enti pubblici checCon il DL “anticrisi” 185/2008 il bonus era sceso allo 0,5%.

Corte dei Conti: incentivi e rogiti fuori dal tetto di spesa degli Enti Locali. La sezione delle Autonomie Locali della Corte dei Conti ha dato il via libera, con la delibera 16/2009, ad una versione light delle spese che gli Enti Locali sono chiamati a ridurre. La Corte infatti ha escluso dal calcolo gli incentivi ai progettisti interni, i diritti di rogito, spettanti ai segretari comunali e gli incentivi per il recupero dell'ICI. Una notizia favorevole agli interessi dei Comuni che dal 2007, in quanto soggetti al Patto di Stabilità per effetto della Legge 296/2006, sono tenuti a garantire una riduzione tendenziale delle spese di personale, mentre i Comuni più piccoli – esclusi dai vincoli del Patto – sono comunque obbligati a non superare il volume della spesa certificata per il 2004. La magistratura contabile afferma che gli incentivi ai progettisti interni che ricevono un bonus pari allo 0,5% del valore dell'opera (per il 2% fino all'anno scorso) come premio per i risparmi conseguiti dall'Ente, sono “spese di investimento” e come tali iscritte al titolo II delle uscite e quindi facenti parte dei fondi per le opere pubbliche. Conclusioni simili sono state tratte dalla Corte per i diritti di rogito e per le incentivi mirati al recupero dell'evasione che in ultima analisi servono a ad aumentare il volume delle entrate tributarie dell'Ente, con un conseguente miglioramento del “saldo complessivo”. (Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, del 18 novembre 2009, pag. 37 – sintesi redazionale)

Riforma PA: un portale per seguirne l'evoluzione. Per conoscere e partecipare alle fasi del processo di implementazione del nuovo sistema organizzativo dal 16 novembre è on line un sito interamente dedicato all'attuazione della riforma. 4 i premi istituiti dal Dlgs 150/2009 destinati a remunerare l'efficienza dei dipendenti pubblici e 3 i soggetti istituzionali con il compito di gestire l'intero ciclo delle performance pubbliche. Fulcro della riforma è la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche, che opera in autonomia e ha titolo per

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definire modelli e valori di riferimento. Accanto alla Commissione operano gli organismi indipendenti di valutazione che prendono il posto, in ogni amministrazione, dei servizi di controllo interno. La responsabilità che spetta agli organi di indirizzo politico-amministrativo va oltre l'emanazione delle direttive generali contenenti gli indirizzi strategici. A questi spetta di definire, in collaborazione con i vertici dell'amministrazione, il Piano e la Relazione sulla performance; verificare il conseguimento degli obiettivi strategici; definire il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità con gli eventuali aggiornamenti annuali. (www.governo.it)

Sicurezza ed igiene del lavoro

Lavoro e sicurezza, provvedimenti di sospensione delle imprese. Circolare n. 33/2009 del Ministero del lavoro. Cambiano le regole per la sospensione delle imprese che non rispettano le norme in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro o che abbiano lavoratori “in nero”. Dal ministero del Welfare è stata infatti emanata una circolare che fornisce chiarimenti per l’applicazione corretta del Testo Unico sulla sicurezza, che ha modificato significativamente la disciplina intera e anche il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale. Adesso dunque, la circolare n.33 del 10 novembre 2009 è l’unico documento cui riferirsi per la corretta applicazione del potere di sospensione, e devono ritenersi superate le indicazioni di precedenti circolari già fornite in materia dal Ministero del lavoro. Il provvedimento di sospensione ha il fine di “far cessare il pericolo per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori”, e prevede anche sanzioni legate all'impiego di “personale non risultante dalla documentazione obbligatoria” e alla violazione “in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro” gravi e reiterate. Cambiano innanzitutto i soggetti affidatari del potere di sospensione: la competenza non sarà più dei funzionari che applicano la sospensione, ma dell’Ufficio da cui dipendono i funzionari. Vale a dire, è l’Ufficio che, in virtù del rapporto interorganico, esercita tale potere mediante il proprio personale ispettivo. La competenza del personale ispettivo è individuata nei seguenti ambiti: attività del settore delle costruzioni edili o di genio civile; lavori mediante cassoni in aria compressa e lavori subacquei; ulteriori attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati. Il personale ispettivo delle AA.SS.LL., inoltre, in virtù di una competenza di carattere generale in materia di salute e sicurezza, può adottare il provvedimento di sospensione anche in ogni altro ambito o settore merceologico. La nuova disciplina mantiene la natura discrezionale del provvedimento, si legge infatti “gli organi di vigilanza possono adottare provvedimenti di sospensione” ma, di norma, la sospensione va adottata ogni qual volta ne siano accertati i presupposti. La discrezionalità risiede nella valutazione di circostanze particolari, cioè “laddove la sospensione dell’attività possa determinare una situazione di maggior pericolo per l’incolumità dei lavoratori o di terzi è opportuno non emanare alcun provvedimento”,(la circolare n.33 riporta alcuni esempi, come la sospensione di uno di un lavoro di rimozione di materiali nocivi). Sui presupposti per l’adozione del provvedimento, abbiamo già detto della presenza di lavoratori in nero, che “deve essere in misura pari o superiore al 20% del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro”, dove il lavoratore in nero è “sconosciuto alla P.A.”, cioè non è stato impiegato con la preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, e prescinde dalla tipologia di lavoro nell’impresa. Le “gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro” si riferisce a “violazione della stessa indole”, espressione che indica violazioni della medesima disposizione. Disposizioni diverse sono individuate nell’Allegato I. Brevemente, segnaliamo gli altri paragrafi della circolare, che riguardano gli “effetti del provvedimento”, “l’adozione del provvedimento su segnalazione”, la “revoca del provvedimento", il “provvedimento di sospensione e sequestro penale” (qualora emergano le condizioni cautelari per l’adozione del provvedimento penale, il provvedimento amministrativo non deve essere adottato), e le sanzioni previste per “l’inottemperanza del provvedimento”, che prevede la possibilità di arresto da tre a sei mesi e il pagamento di un’ammenda. La prescrizione consisterà nel sospendere l’attività imprenditoriale sino ad avvenuta regolarizzazione dei lavoratoti interessati. Oltre alla “possibilità di ricorso avverso il provvedimento di sospensione”, è previsto, da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - per gli aspetti di rispettiva competenza – “l’emanazione di un provvedimento interdittivo alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni ed alla partecipazione a gare pubbliche”. (Antonella Bellino, www.governo.it)

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INAIL/Verbali a notifica rapida. Con la Circolare prot. n. 10134 del 18 novembre 2009, la Direzione centrale rischi di INAIL si è adeguata alle previsioni della Circolare n 33, 10 novembre 2009, del Ministero del Lavoro in materia di modalità, limiti ed effetti del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale (vd art. 14 del DLgs 81/2008, come modificato dall’art. 11 del DLgs 106/2009). Con il proprio provvedimento, INAIL ribadisce che le nuove disposizioni sono entrate in vigore dal 20 agosto 2009 e che la discrezionalità dell’adozione della misura sospensivaè demandata agli organi di vigilanza del Ministero del Lavoro (Dpl) e delle Asl, secondo i rispettivi ambiti di competenza. Dal canto loro, i funzionari INAIL devono sempre inoltrare alla Dpl la segnalazione del lavoro irregolare accertato. E per garantire la tempestività dell’emissione del provvedimento di sospensione, i funzionari dovranno inoltrare se possibile via e-mail o fax, la copia del verbale di accesso alla Dpl entro i tre giorni successivi alla data di redazione. (Luigi Caiazza, Il Sole 24Ore, Norme e Tributi, 19 novembre 2009, p. 37 – sintesi redazionale)

Ammalarsi di «edificio malato». Le malattie “correlate con gli edifici” - in Italia il 63% della popolazione occupata lavora in edifici moderni, costruiti con materiali in cui predominano gli elementi di sintesi su quelli di derivazione naturale - sono affezioni che possono conseguire alla permanenza in ambienti di lavoro confinati non industriali (es. uffici, ospedali, scuole, centri commerciali, biblioteche) e possono essere distinte in “specifiche” e “non-specifiche”. Le malattie specifiche presentano una sintomatologia definita e un agente eziologico di solito individuabile. Ne sono esempio alcune malattie infettive (legionellosi, febbre di Pontiac, affezioni simil-influenzali, tubercolosi), immunologiche (polmonite da ipersensibilità, febbre da umidificatori), allergiche (dermatiti, riniti, asma, orticaria da contatto), irritative (dermatiti, irritazione delle vie aeree), intossicazioni come quella da monossido di carbonio, peraltro non frequente in edifici adibiti a uffici. Le malattie non-specifiche correlate con gli edifici hanno tratti assai meno definiti, ma sono caratterizzate da una notevole prevalenza fra gli occupanti di un edificio (maggiore del 20%, ma spesso superiore al 50-60%) e da sintomi irritativi (occhi, vie aeree superiori e inferiori, cute) e generali (cefalea, difficoltà di concentrazione, sonnolenza). Questi sintomi, in diversa associazione tra loro (talvolta identificati come sindrome dell’edificio malato o dell’edificio sigillato), si manifestano dopo alcune ore dall’inizio della permanenza in un edificio e tendono a regredire completamente a distanza di poche ore dall’uscita. La loro eziologia non è ancora nota; tuttavia è stato osservato che una ventilazione non ottimale, una bassa umidità dell’aria, un’illuminazione non adeguata, una scarsa pulizia degli edifici, una non sistematica manutenzione degli impianti di condizionamento e di ventilazione e fattori psico-sociali ricorrevano spesso, in diversa associazione, negli episodi descritti anche in Italia, sia in uffici che in ospedali. Tra lemalattie correlate con il lavoro molto numerose sono le allergopatie, che possono manifestarsi sotto forma di asma bronchiale, rinocongiuntivite e alveoliti allergiche estrinseche, in cui principale organo bersaglio è l’apparato respiratorio. In Europa, per esempio, il 5-10% di tutti i casi di asma bronchiale è causato o aggravato da un inquinante presente nell’ambiente di lavoro. Alcuni agenti chimici aerodispersi (ossidi di azoto, formaldeide, composti organici volatili, ozono, polveri ecc.) sono rilevabili negli uffici in concentrazioni superiori all’esterno. In caso di uffici sigillati, dove l’efficienza dei sistemi di ricambio e di condizionamento dell’aria risulta essenziale per il mantenimento di una buona qualità dell’aria interna, questi problemi possono anche divenire particolarmente gravi e persisitenti. Negli ambienti confinati di ultima generazione (uffici e le scuole) sono stati a esempio segnalati alcuni casi di alveolite allergica estrinseca da contaminazione micotica degli impianti di condizionamento dell’aria. La temperatura ottimale negli ambienti condizionati adibiti a uffici è stata tentativamente stabilita mediante osservazioni sperimentali dalle quali è emerso che, in condizioni di temperatura più elevata, specie se superiore a 21-22 gradi, aumentavano sintomi irritativi cutanei emucosi, difficoltà di concentrazione, malessere mentre era ridotta la produttività. Più controversi sono gli effetti legati all’umidità dell’aria. Negli anni ‘80 è stato osservato che il contributo delle sorgenti indoor all’esposizione personale a Composti organici volatili (Vocs) tossici, in particolare al benzene, era più rilevante del contributo delle sorgenti esterne. Successivamente numerosi studi hanno contribuito a definire gli effetti sulla salute di inquinanti chimici, fisici e biologici (...). (Giacomo Muzi, Il Sole 24 Ore Sanità, 17-23 novembre 2009, n. 43, p. 29)

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Legge e prassi

(G.U. 30 novembre 2009, n. 279)

Ambiente e territorio LEGGE 23 ottobre 2009, n. 157 Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo, con Allegato, adottata a Parigi il 2 novembre 2001, e norme di adeguamento dell'ordinamento interno. (GU n. 262 del 10-11-2009) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO 12 ottobre 2009 Criteri ambientali minimi per l'acquisto di ammendanti e per l'acquisto di carta in risme da parte della pubblica amministrazione. (GU n. 261 del 9-11-2009)

Appalti MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI: CIRCOLARE 12 novembre 2009, n. 4649 Chiarimenti in ordine all'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 253, comma 15-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. (GU n. 274 del 24-11-2009)

Sono stati sottoposti alla direzione generale per la regolazione e i contratti pubblici alcune osservazioni o quesiti concernenti l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 253, comma 15-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (codice dei contratti pubblici) per cui, acquisito il parere favorevole dell'ufficio legislativo di questo Dicastero, con la presente circolare, si forniscono i chiarimenti volti alla corretta ed uniforme applicazione, da parte dei soggetti tenuti all'applicazione del Codice, della disposizione in parola ai fini dell'affidamento dei contratti pubblici dei servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria. L'art. 2, comma 1, lettera vv), punto 4), del decreto legislativo 11 settembre 2008, n. 152 (terzo correttivo) ha introdotto all'art. 253 del codice dei contratti il comma 15-bis: «15-bis. In relazione alle procedure di affidamento di cui art. 91, fino al 31 dicembre 2010 per la dimostrazione dei requisiti di capacita' tecnico-professionale ed economico-finanziaria, il periodo di attivita' documentabile e' quello relativo ai migliori tre anni del quinquennio precedente o ai migliori cinque anni del decennio precedente la data di pubblicazione del bando di gara. Le presenti disposizioni si applicano anche agli operatori economici di cui all'art. 47, con le modalita' ivi previste». Secondo tale disposizione, per la partecipazione alle procedure di affidamento di cui all'art. 91 del Codice relative ad incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo, i soggetti individuati alle lettere d), e), f), f-bis), g) e h) del comma 1 dell'art. 90 del medesimo Codice, per un periodo transitorio (fino al 31 dicembre 2010), possono documentare il possesso dei requisiti di capacita' tecnico-professionale ed economico-finanziaria previsti su base triennale utilizzando i tre migliori anni del quinquennio precedente la data di pubblicazione del bando di gara ed il possesso dei requisiti previsti su base quinquennale utilizzando i cinque migliori anni del decennio precedente la data di pubblicazione del bando di gara. La disposizione prevede dunque un ampliamento dell'arco temporale utilizzabile per la dimostrazione del possesso dei requisiti minimi di carattere tecnico-organizzativi ed economico-finanziari richiesti ai professionisti,

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introducendo una maggiore flessibilità per la qualificazione dei concorrenti. Il legislatore ha inteso, attraverso la disposizione in esame, volta ad agevolare la dimostrazione del possesso dei requisiti per un periodo transitorio, consentire una maggiore partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici di servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria, al fine di contrastare gli effetti della crisi economica del mercato che hanno investito anche il settore dei contratti pubblici. Il codice dei contratti pubblici rinvia al regolamento attuativo di cui all'art. 5 del medesimo codice la disciplina di dettaglio, per cui, ai sensi dell'art. 253, comma 3 del decreto legislativo n. 163/2006, fino all'entrata in vigore del regolamento in parola, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 554/1999, nei limiti di compatibilita' con le disposizioni del Codice stesso. Il decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, disciplina i requisiti di partecipazione per l'affidamento dei servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria all'art. 66: «Art. 66 (Requisiti di partecipazione). - 1. I requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi di partecipazione alle gare sono definiti dalle stazioni appaltanti con riguardo: a) al fatturato globale per servizi di cui all'art. 50, espletati negli ultimi cinque esercizi antecedenti la pubblicazione del bando, per un importo variabile tra 3 e 6 volte l'importo a base d'asta; b) all'avvenuto espletamento negli ultimi dieci anni di servizi di cui all'art. 50, relativi a lavori appartenenti ad ognuna delle classi e categorie dei lavori cui si riferiscono i servizi da affidare, individuate sulla base delle elencazioni contenute nelle vigenti tariffe professionali, per un importo globale per ogni classe e categoria variabile tra 2 e 4 volte l'importo stimato dei lavori da progettare; c) all'avvenuto svolgimento negli ultimi dieci anni di due servizi di cui all'art. 50, relativi ai lavori, appartenenti ad ognuna delle classi e categorie dei lavori cui si riferiscono i servizi da affidare, individuate sulla base delle elencazioni contenute nelle vigenti tariffe professionali, per un importo totale non inferiore ad un valore compreso fra 0,40 e 0,80 volte l'importo stimato dei lavori da progettare; d) al numero medio annuo del personale tecnico utilizzato negli ultimi tre anni (comprendente i soci attivi, i dipendenti e i consulenti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa su base annua), in una misura variabile tra 2 e 3 volte le unita' stimate nel bando per lo svolgimento dell'incarico». Ai sensi dell'art. 253, comma 3, del Codice dei contratti, la disposizione di cui al successivo comma 15-bis viene ad incidere sulla richiamata vigente norma di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 554/1999. Ai fini della predisposizione dei bandi e della valutazione dei requisiti richiesti per l'affidamento dei servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria, la disposizione di cui all'art. 253, comma 15-bis del codice incide, quanto all'arco temporale di riferimento, sui soli requisiti di cui alle lettere a) e d) del comma 1 dell'art. 66 del decreto del Presidente della Repubblica n. 554, per i quali la dimostrazione del possesso e' richiesta rispettivamente su base quinquennale e su base triennale. Più specificatamente, nel definire i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi di partecipazione alle gare: con riferimento alla lett. a) del c. 1, dell'art. 66, del DPR n. 554/1999, che si riferisce al fatturato globale per servizi di ingegneria, espletati negli ultimi cinque esercizi antecedenti la pubblicazione del bando, per un importo variabile tra tre e sei volte l'importo a base d'asta - i soggetti tenuti all'applicazione del Codice dei contratti sono tenuti a richiedere e valutare «i migliori cinque anni del decennio precedente»: in tal senso si consente di individuare su base decennale il requisito quinquennale previsto dalla normativa regolamentare; con riferimento alla lettera d) del comma 1 dell'art. 66 del decreto del Presidente della Repubblica n. 554/1999 - che si riferisce al numero medio annuo del personale tecnico utilizzato negli ultimi tre anni in una misura variabile tra due e tre volte le unita' stimate nel bando per lo svolgimento dell'incarico, i soggetti tenuti all'applicazione del Codice dei contratti sono tenuti a richiedere e valutare «i migliori tre anni del quinquennio precedente»: in tal senso si consente di individuare su base quinquennale il requisito triennale previsto dalla normativa regolamentare. Relativamente alle lett. b) e c) del c. 1, dell'art. 66, del DPR n. 554/1999, concernenti la capacità tecnica per servizi analoghi e per servizi «di punta», la disposizione di cui all'art. 253, c. 15-bis, del Codice dei contratti incide esclusivamente rispetto all'attivita' espletata da prendere in

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considerazione ai fini della stima dell'importo, che non puo' essere limitata ai soli «lavori da progettare» ma si riferisce anche ad altri servizi di architettura e di ingegneria, a seconda del tipo di incarico da affidare (che, ai sensi dell'art. 91 del Codice, oltre alla progettazione, puo' riferirsi anche al coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, alla direzione dei lavori, al coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e al collaudo). La disposizione di cui all'art. 253, c. 15-bis non incide, quanto all'arco temporale di riferimento, sulle lettere b) e c) del citato art. 66 del decreto del Presidente della Repubblica n. 554/1999 in quanto la riduzione del periodo decennale stabilito da tali lettere determinerebbe una restrizione della possibilita' di partecipare alle gare, in contrasto con la ratio ispiratrice della norma transitoria, introdotta con il precipuo intento di ampliare la concorrenza mediante la previsione di specifiche misure volte ad agevolare, per un periodo transitorio, la dimostrazione dei requisiti minimi di carattere tecnico-organizzativi ed economico-finanziari richiesti per la partecipazione alle gare.

Antincendio e prevenzione incendi MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO 9 novembre 2009 Adozione del Piano antincendio boschivo (piano AIB) del Parco nazionale del Vesuvio con periodo di validità 2009-2013. (GU n. 275 del 25-11-2009) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO 9 novembre 2009 Adozione del Piano antincendio boschivo (piano AIB) del Parco nazionale dei Monti Sibillini con periodo di validità 2008-2012. (GU n. 275 del 25-11-2009)

Economia, Finanze, Fisco e Agevolazioni MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 29 ottobre 2009, n. 169 Regolamento concernente il sistema informatizzato di controllo in tempo reale del processo di gestione della produzione, detenzione e movimentazione dei prodotti di cui all'articolo 21 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504. (GU n. 276 del 26-11-2009) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 15 ottobre 2009 Termini e modalità di presentazione delle proposte progettuali per l'accesso alle agevolazioni per la realizzazione di progetti transnazionali di sviluppo sperimentale e ricerca industriale nel settore delle biotecnologie, nell'ambito del Programma comunitario EUROTRANS-BIO. (GU n. 265 del 13-11-2009 - Suppl. Ordinario n.209) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 18 settembre 2009 Criteri e modalità per la concessione delle agevolazioni in forma automatica previste dall'articolo 8, comma 2, della legge 7 agosto 1997, n. 266, relativamente alle iniziative nelle regioni Sicilia e Valle d'Aosta. (GU n. 265 del 13-11-2009 - Suppl. Ordinario n.209) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI: DECRETO 19 agosto 2009 Modalita' di utilizzo del Fondo per l'adeguamento dei prezzi di materiali da costruzione di cui all'articolo 1, comma 11 del decreto-legge n. 162 del 23 ottobre 2008. (09A13688) (GU n. 267 del 16-11-2009) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 7 agosto 2009 Disposizioni per promuovere l'efficienza e la concorrenza del mercato all'ingrosso del gas naturale, favorendo la conseguente riduzione di oneri per imprese e famiglie per l'anno termico 2009-2010. (GU n. 274 del 24-11-2009)

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CIPE: DELIBERAZIONE 31 luglio 2009 Programma delle infrastrutture strategiche. Piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici (Articolo 80, comma 21, legge n. 289/2002). (Deliberazione n. 61/2009). (GU n. 270 del 19-11-2009) COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA: DELIBERAZIONE 31 luglio 2009 Programma delle infrastrutture strategiche. Piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici (Articolo 80, comma 21, legge n. 289/2002). (Deliberazione n. 61/2009). ( (GU n. 270 del 19-11-2009 ) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 23 luglio 2009 Istituzione di un nuovo regime di aiuto in favore di investimenti produttivi ai sensi dell'articolo 1, comma 845, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, riguardanti le aree tecnologiche individuate dal comma 842 del medesimo articolo e per interventi ad essi connessi e collegati. (GU n. 278 del 28-11-2009)

Energia MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 16 novembre 2009 Disposizioni in materia di incentivazione dell'energia elettrica prodotta da impianti, alimentati da biomasse solide, oggetto di rifacimento parziale. (GU n. 278 del 28-11-2009)

Lavoro e previdenza INPS: MESSAGGIO 27 novembre 2009, n. 27302 Fascicolo elettronico aziende. Rilascio della verifica della regolarità contributiva nei termini prescrizionali di cui alla legge 8.8.1995, n. 335, art. 3, comma 9 MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: circolare 6 novembre 2009, n. 100166 Documento unico di regolarità contributiva (Durc) - Art. 11-bis della legge 3 agosto 2009, n. 102, di conversione del decreto legge 1° luglio 2009, n. 78, recante «Provvedimenti anticrisi, proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali».

Il Ministero dello sviluppo economico precisa che la nuova disposizione ex legge n. 102/2009 (di conversione del Dl n. 78/2009) - che subordina il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di commercio su aree pubbliche alla presentazione del Durc (Documento unico di regolarità contributiva) - è operativa anche in assenza di un’esplicita previsione normativa regionale. Inoltre il Ministero aggiunge che l’obbligo è applicabile anche per l’autorizzazione al commercio su aree pubbliche svolto su posteggi dati in concessione e per quella relativa all’esercizio in forma itinerante su ogni area pubblica che consenta la partecipazione a fiere in ambito regionale. Infine, per coloro che esercitano senza l’ausilio di familiari o coadiutori, ritiene valida la presentazione di un certificato di regolarità contributiva rilasciato dall’Inps unitamente ad una dichiarazione sostitutiva che attesti l’impossibilità di presentazione del Durc.

Pubblica Amministrazione MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO 12 ottobre 2009 Criteri ambientali minimi per l'acquisto di ammendanti e per l'acquisto di carta in risme da parte della pubblica amministrazione. (GU n. 261 del 9-11-2009)

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Giurisprudenza

Acque

TAR LAZIO, Latina, Sez. I – 23 novembre 2009, n. 1135 ACQUA – Giurisdizione speciale in materia di acque pubbliche – Art. 143, c. 1, lett. a), T.U. n. 1175/1933 – Giurisdizione amministrativa di legittimità – Ipotesi - Giurisdizione del T.S.A.P. – Atti che incidono direttamente sul regime delle acque pubbliche. La giurisdizione speciale in materia di acque pubbliche, prevista dall'art. 143, primo comma, lettera a), del TU n. 1175/1933 riguarda gli atti che, ancorché emanati da autorità non specificamente preposte alla tutela delle acque pubbliche, abbiano sul regime di queste ultime una “incidenza immediata e diretta”, con esclusione dunque degli atti che non abbiano tale incidenza, sicché sussiste la giurisdizione amministrativa di legittimità nel caso di impugnazione: - di una concessione edilizia di un immobile, sia pure posto in prossimità di un corso d'acqua (Sez. VI, 12 maggio 2008, n. 2162); - di una sanzione amministrativa, emessa per lo svolgimento di attività nei pressi di un corso d'acqua, in assenza della prescritta autorizzazione paesaggistica (Sez. IV,n. 6070/2006); - di atti concernenti una gara per la scelta dell'appaltatore di lavori riguardanti corsi d'acqua (Sez. V, 18 settembre 2006, n. 5442); - delle norme riguardanti il rilascio di concessioni, contenute in un regolamento della pesca (Sez. VI, 20 maggio 2005, n. 2536). Viceversa, sussiste la giurisdizione del Tribunale superiore delle acque quando siano impugnati atti che incidano direttamente sul regime delle acque pubbliche (Sez. Un. n. 7444/2005; Sez. Un. n. 337/2003), in quanto il legislatore - nel determinare la giurisdizione caratterizzata da una particolare composizione del collegio giudicante - ha tenuto conto delle peculiarità delle posizioni giuridiche coinvolte e delle questioni di ordine tecnico che si propongono ordinariamente. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CORTE COSTITUZIONALE – 20 novembre 2009, n. 307 ACQUA – Servizio idrico integrato – Disciplina statale – D.lgs. n. 152/2006 – Competenze esckulsive statali in materia di funzioni fondamentali degli enti locali, concorrenza, tutela dell’ambiente, determinazione dei servizi essenziali delle prestazioni. La disciplina statale in materia di servizio idrico integrato è stata dettata, essenzialmente, dal d.lgs. n. 152/2006, il cui art. 141 evidenzia come lo Stato, per regolare tale oggetto, abbia fatto ricorso a sue competenze esclusive in una pluralità di materie: funzioni fondamentali degli enti locali, concorrenza, tutela dell’ambiente, determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni. Deve, in altri termini, parlarsi di un concorso di competenze statali, che vengono esercitate su oggetti diversi, ma per il perseguimento di un unico obiettivo, quello dell’organizzazione del servizio idrico integrato. ACQUA – Servizio idrico integrato – Gestione della rete idrica ed erogazione del servizio – Principio di non separabilità – Art. 147 d.lgs. n. 152/2006 ante e post novella ex d.lgs. n. 4/2008 – Unicità e unitarietà – Principio vincolante per il legislatore regionale - Art. 49, comma 1, della L.R. Lombardia n. 26/2003, novellato dalla L.R. n. 18/2006 – Illegittimità costituzionale. In materia di servizio idrico integrato, la cui disciplina è recata da d.lgs. n. 152 del 2006, sono riscontrabili chiari elementi normativi nel senso della loro non separabilità della gestione della rete idrica da quella di erogazione del servizio idrico (cfr. art. 147, c. 2, lett. b) nel testo ante novella di cui al decreto correttivo n. 4/2008 , vigente alla data di promulgazione della legge regionale impugnata: la successiva modifica, che ha sostituito l’espressione “unicità” della gestione con

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“unitarietà” della gestione non appare rilevante, atteso che parlare di «unitarietà», anziché di «unicità» delle gestioni, non vale a consentire l’opposto principio della separazione delle gestioni stesse. In altri termini, le due gestioni, quella delle reti e quella dell’erogazione, alla luce della sopravvenuta disciplina statale, potranno anche essere affidate entrambe a più soggetti coordinati e collegati fra loro, ma non potranno mai fare capo a due organizzazioni separate e distinte. Cfr. altresì gli artt. 150, 151, commi 2 e 4, e 153, sia prima che dopo la novella recata dal decreto correttivo n. 4 del 2008) Il principio della non separabilità tra gestione della rete e gestione del servizio idrico integrato è vincolante per il legislatore regionale, in quanto le competenze comunali in ordine al servizio idrico devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali, la cui disciplina è stata affidata alla competenza esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.. Ciò non toglie che la competenza in materia di servizi pubblici locali resti una competenza regionale, la quale, risulta tuttavia limitata dalla competenza statale suddetta, ma può continuare ad essere esercitata negli altri settori, nonché in quello dei servizi fondamentali, purché non sia in contrasto con quanto stabilito dalle leggi statali. L’art. 49, c. 1, della L.R. Lombardia n. 26 del 2003, novellato dalla L.R. n. 18 del 2006, dunque, ponendo il principio della separazione delle gestioni, violava specificamente la competenza statale in materia di funzioni fondamentali dei comuni, laddove, in contrasto con la disciplina statale, consentiva ed anzi imponeva una separazione non coordinata tra la gestione della rete e l’erogazione del servizio idrico integrato. ACQUA – Servizio idrico integrato – Affidamento – Tutela della concorrenza – Norme regionali più rigorose rispetto a quelle statali – Legittimità costituzionale. La Costituzione pone il principio, insieme oggettivo e finalistico, della tutela della concorrenza, e si deve, pertanto, ritenere che le norme regionali più rigorose delle norme interposte statali,ed in quanto emanate nell’esercizio di una competenza residuale propria delle Regioni, non possono essere ritenute in contrasto con la Costituzione. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. II – 19 novembre 2009, n. 2238 ACQUA – Servizio idrico integrato – Organizzazione – D.lgs. n. 152/2006 – Autorità d’Ambito – Regioni – Competenze – Individuazione – Comune – Potere di autodeterminazione sull’organizzazione e sulla gestione del servizio – Esclusione. In tema di organizzazione del servizio idrico integrato, il D.Lgs. n. 152/2006 ha completato il percorso delineato dai precedenti provvedimenti legislativi mediante il riconoscimento della personalità giuridica in capo all’Autorità d’Ambito, la previsione della partecipazione obbligatoria degli Enti locali del territorio (salvo per i Comuni con popolazione inferiore a 1000 abitanti facenti parte di una Comunità montana) e l’espresso trasferimento all’Autorità delle competenze spettanti ai Comuni in materia di programmazione delle infrastrutture e di gestione delle risorse idriche (art. 148 c. 1). Spetta invece alle Regioni e alle Province autonome la disciplina delle forme e dei modi della cooperazione tra gli Enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale, assolto l’obbligo di costituire l’Autorità “cui è demandata l'organizzazione, l'affidamento e il controllo della gestione del servizio idrico integrato” (art. 148 c. 2). Lo strumento cui avvalersi per la programmazione degli interventi anche sotto il profilo economico-finanziario e per la definizione del modello gestionale e organizzativo è il Piano d’ambito, approvato dall’Autorità ai sensi dell’art. 149 del D. Lgs. In definitiva la scelta del legislatore è quella di superare le frammentazioni e di attribuire ad un unico Ente l’esercizio delle funzioni in materia di servizio idrico integrato, secondo le regole proprie della collegialità elaborate dalla Regione (art. 48 c. 3 L.r. Lombardia 26/2003 così come modificato dalla L.r. 18/2006). Non può pertanto essere riconosciuto ad alcun Comune il potere di autodeterminarsi sull’organizzazione e sulla gestione del servizio idrico integrato, in quanto ogni decisione in tal senso deve avvenire all’interno dell’Autorità d’ambito e secondo le sue regole di funzionamento: in buona sostanza, le determinazioni dell’Autorità assumono portata vincolante sull’intero territorio provinciale in virtù di una precisa scelta legislativa. La singola amministrazione locale non può quindi intraprendere percorsi autonomi e scegliere modalità di gestione diverse da quelle individuate dall’Autorità. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

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Appalti

TAR ABRUZZO, Pescara, Sez. I, 1° dicembre 2009, n.1096 APPALTI – Criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa – Possibilità di presentare varianti progettuali in sede di offerta – Art. 76 d.lgs. n. 163/2006 – Normativa comunitaria – Proposta tecnica migliorativa rispetto al progetto base. La previsione esplicita della possibilità di presentare varianti progettuali in sede di offerta è oggi generalizzata dall'art. 76, del d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici) per qualsivoglia appalto, come derivante dalle direttive comunitarie 2004/17 e 2004/18. La scelta del legislatore comunitario riposa sulla circostanza che, allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato sul criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la stazione appaltante gode di maggiore discrezionalità e soprattutto sceglie il contraente valutando non solo criteri matematici, ma la complessità dell'offerta proposta. In altri termini, deve ritenersi insito nella scelta di tale criterio selettivo che sia consentito alle imprese proporre quelle variazioni migliorative rese possibili dal possesso di peculiari conoscenze tecnologiche, purché non vengano alterati i caratteri essenziali delle prestazioni richieste dalla lex specialis, a condizione cioè che non venga stravolto l'oggetto del contratto e che la proposta tecnica risulti migliorativa rispetto al progetto base, nel rispetto delle esigenze della pubblica amministrazione (tra le tante, T.A.R. Catanzaro, sez. II, n. 1480/2008). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR PUGLIA, Lecce, Sez. I – 19 novembre 2009, n. 2799 RIFIUTI – APPALTI– Affidamento del servizio di gestione dei rifiuti – Iscrizione all’albo dei gestori ambientali – Requisito essenziale – Art. 212 codice ambiente – Garanzie per la P.A. – Criteri di proporzionalità e buona amministrazione. L’iscrizione all’albo dei gestori ambientali costituisce il requisito minimo ed essenziale per consentire non solo alle imprese di operare in questo settore ma anche per assicurare, alle pubbliche amministrazioni che decidono di rivolgersi al mercato per lo svolgimento di siffatte attività, di poter fare leva su soggetti dotati di alta professionalità e serietà. In questi termini, la scelta (o meglio l’obbligo) della PA di prevedere l’iscrizione all’albo di cui all’art. 212 del codice ambiente, ai fini della partecipazione ad appalti relativi alla gestione dei rifiuti, senz’altro risponde a criteri di proporzionalità e buona amministrazione. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. I – 18 novembre 2009, n. 2330 APPALTI – Valutazione dell’offerta economica - Formula matematica – Scelta - Discrezionalità amministrativa – Ripartizione dei punteggi – Congruità dei rapporti proporzionali.. La formula da utilizzare per la valutazione della offerta economica, ancorché legittimamente scelta dall'Amministrazione con ampia discrezionalità, deve consentire una ripartizione dei punteggi tra le singole offerte economiche che risulti connotata da non incongrui rapporti proporzionali. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. I – 11 novembre 2009, n. 6669 APPALTI – Principi di pubblicità e trasparenza delle sedute – Derogabilità – Lex specialis – Valutazione dell’offerta tecnica e apertura delle buste in sede riservata. I principi di pubblicità e trasparenza delle sedute della commissione di gara non sono assoluti, ma derogabili dalla lex specialis di gara, la quale ben può prevedere la valutazione in seduta riservata dell'offerta tecnica ed anche, per esigenze di economicità della procedura, la stessa apertura delle relative buste in seduta riservata. (in senso conforme T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 05 settembre 2007 n. 8536).

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APPALTI – Commissione di gara – Sedute diverse - Accorpamento in unico atto di verbalizzazione– Legittimità. E’ legittimo l’accorpamento in un unico atto della verbalizzazione di varie sedute della Commissione di gara ed anche la sua redazione non contestuale al compimento delle operazioni di gara (T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 19 marzo 2009 n. 172). (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 30 settembre 2009, n. 21035 Appalti pubblici - Di lavori - Corrispettivo – Interessi di mora - Condizioni - Limiti - Fattispecie. (Dpr 16 luglio 1962 n. 1063, articoli 35 e 36) Le disposizione degli articoli 35 e 36 del capitolato generale delle opere pubbliche (approvato con Dpr n. 1063 del 1962) che attribuiscono all’appaltatore il diritto alla corresponsione di interessi di mora in varia misura e con varie decorrenze in caso di ritardo della pubblica amministrazione postulano che i ritardi siano imputabili a colpa dell’appaltante e si riferiscono esclusivamente ai pagamenti degli acconti e del saldo del prezzo contrattuale. (Nella specie il giudice a quo aveva riconosciuto all’appaltatore gli interessi legali maturati per il ritardato pagamento dell’acconto e del saldo di alcuni stati dei lavori, affermando che tale ritardo era addebitabile al negligente comportamento a monte dell’ente appaltante che aveva dichiarato, fin dal momento della stipula della convenzione, l’assenza di impedimenti per consensi, autorizzazioni, permessi e pareri di qualunque autorità, mentre - in realtà - non aveva ancora ottenuto il parere del ministero per i beni culturali e ambientali, cui era derivata una consegna parziale dei lavori e un temporaneo blocco dei finanziamenti. Deducendo il ricorrente che in realtà, dopo il blocco dei finanziamenti si era attivato per l’eliminazione del blocco stesso, la Suprema corte ha ritenuto irrilevante la circostanza e confermato la pronuncia del giudice del merito). (Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, 5 dicembre 2009, n. 48, p. 54)

Edilizia e urbanistica

TAR PUGLIA, Bari, Sez. III – 3 dicembre 2009, n. 3000 DIRITTO URBANISTICO – Edificazione – Esistenza di uno strumento attuativo di dettaglio – Necessità – Piano quadro – Riconducibilità allo strumento attuativo – Esclusione. L’esistenza dello strumento attuativo di dettaglio, cui non è riconducibile il piano quadro, è necessaria affinché possa essere consentita legittimamente l’edificazione su di una determinata area. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. II – 2 dicembre 2009, n. 8326 DIRITTO URBANISTICO – Distanze tra edifici – Art. 9 D.M. n. 1444/1968 – Distanza di dieci metri – Amministrazioni comunali – Fissazione di distanze superiori – Legittimità. L’art.9 del D.M. 2 aprile 1968 n.1444, nell’imporre la distanza di dieci metri tra costruzioni, rende illegittima ogni eventuale previsione regolamentare in contrasto con l’anzidetto limite minimo, mentre è indubbiamente consentito alle amministrazioni comunali fissare distanze superiori (cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, 12 marzo 2009, n.1491; Cassazione civ., 29 ottobre 1994, n.8944). DIRITTO URBANISTICO – Distanze tra edifici – Nozione di “nuova costruzione” – Aumento della sagoma d’ingombro – Maggior volumetria o utilizzabilità a fini abitativi – Irrilevanza- Fattipecie: sopraelevazione. Ai fini dell’applicazione della normativa in materia di distanze tra edifici, per nuova costruzione deve intendersi non solo la realizzazione ex novo d’un fabbricato ma anche qualsiasi modificazione nella volumetria d’un fabbricato preesistente, che ne comporti l’aumento della sagoma d’ingombro, in tal guisa direttamente incidendo sulla situazione degli spazi tra gli edifici esistenti, e ciò anche

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indipendentemente dalla realizzazione o meno d'una maggior volumetria e/o dall'utilizzabilità della stessa a fini abitativi; per il che la sopraelevazione costituisce, a tutti gli effetti, nuova costruzione (cfr. T.A.R. Campania, Sezione II, 12 aprile 2006, n.3457; Consiglio di Stato, Sezione IV, 31 marzo 2009, n.1998; Sezione V, 14 marzo 1993, n.481; Cassazione civ., Sezione II, n.15527/2008). DIRITTO URBANISTICO – Distanze tra edifici – Carattere abusivo dei fabbricati preesistenti – Irrilevanza – Finalità delle disposizioni in materia di distanze – Salvaguardia della salubrità e della sicurezza pubblica. Ai fini dell’osservanza delle disposizioni in materia di distanze fra immobili, non rileva l’eventuale carattere abusivo dei fabbricati preesistenti. Le disposizioni sulle distanze tra le costruzioni sono infatti preordinate non solo alla tutela degli interessi dei frontisti ma, in una più ampia visione, anche alla salvaguardia di esigenze generali, tra cui la salubrità e la sicurezza pubblica. Pertanto, l’interesse pubblico primario tutelato dalle norme urbanistiche sulle distanze impone di prendere in considerazione la situazione di fatto quale si presenta in concreto in sede di rilascio di un nuovo titolo edilizio, a nulla rilevando che taluno dei fabbricati preesistenti, in relazione al quale va calcolata la distanza, sia abusivo, ferma restando l’attività repressiva rimessa allo stesso ente (cfr. T.A.R. Campania, Sezione III, 12 luglio 2005, n.9499; Consiglio Giust. Amm. Sicilia, 12 novembre 2008, n.930; Consiglio di Stato, Sezione V, 6 novembre 1992, n.1174). (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. II – 2 dicembre 2009, n. 8325 DIRITTO URBANISTICO – Regione Campania – Condono ex L. n. 326/2003 – Assoggettamento al regime di cui all’art. 7 della L.R. n. 10/2004 – Decorso del termine di 24 mesi dalla presentazione dell’istanza – Silenzio inadempimento – Rimedio amministrativo e giurisdizionale. Nella Regione Campania le domande di condono presentate ai sensi della legge n. 326 del 2003, a differenza di quelle presentate ai sensi delle leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994, sono assoggettate al regime di cui all'art. 7 della L.R. n. 10 del 2004, sicché devono essere definite con un provvedimento espresso entro il termine di 24 mesi dalla presentazione, il cui decorso non equivale a titolo abilitativo in sanatoria ma configura un mero inadempimento, avverso il quale, oltre al rimedio amministrativo previsto dalla citata norma regionale (intervento sostitutivo da parte dell'amministrazione provinciale competente), è azionabile la tutela giurisdizionale ai sensi dell'art. 21-bis della legge n. 1034 del 1971. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. II – 2 dicembre 2009, n. 8320 DIRITTO URBANISTICO – Installazione di tettoie - Strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi – Sottrazione al regime del permesso di costruire – Presupposto - Decoro o arredo/Accessorietà – Visibile alterazione dell’edificio cui accedono – Permesso di costruire – Necessità. Gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della parte dell’immobile cui accedono. Tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite, quando quindi per la loro consistenza dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della accessorietà, nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono (TAR Campania Napoli, sez. II, n. 3870/2009, T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, n. 19754/2008 cit., Consiglio di Stato, Sez. V, 13 marzo 1442/2001). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

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CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV – 26 novembre 2009, n. 7433 URBANISTICA ED EDILIZIA – Titolo abilitativo all’edificazione – Mancanza nel richiedente della titolarità di un diritto reale – Effetti sul titolo – Annullabilità. La mancanza nel richiedente della titolarità di un diritto reale che giustifichi l’istanza diretta ad ottenere un titolo abilitativo alla edificazione non integra la nullità del titolo, riconducibile solo a vizi riferibili alla carenza di elementi essenziali del provvedimento , ma semplicemente la sua annullabilità per la carenza o irregolarità di un presupposto necessario per il suo perfezionamento. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR PUGLIA, Lecce, Sez. III - 26 novembre 2009, n. 2854 DIRITTO URBANISTICO - Ordinanza di demolizione - Esistenza di un sequestro penale - Circostanza scriminante nei riguardi dell'autore dell'abuso - Esclusione - Istanza di dissequestro. L’esistenza di un sequestro penale non rende di per sé illegittima l’ordinanza di demolizione, sul presupposto che la eventuale manomissione dell’immobile configurerebbe il reato di cui all’art. 349 c.p., essendo fatto divieto a chicchessia di alterare o distruggere il “corpo del reato”. In tali casi, infatti, ben può il soggetto interessato chiedere all'Autorità giudiziaria l'autorizzazione ad effettuare la demolizione e, in caso di diniego (connesso a necessità di carattere probatorio nel procedimento penale), potrà addurre l'impossibilità giuridica di adempiere all'ingiunzione di demolizione per escludere le ulteriori conseguenze della mancata demolizione (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 09 novembre 2007, n. 2040). Pertanto, solo tale ultimo evento, ossia istanza di dissequestro negata, può rilevare come scriminante nei riguardi dell’autore dell’abuso edilizio che non ottemperi all’ordine del Comune, per il noto principio “ad impossibilia nemo tenetur”. DIRITTO URBANISTICO - Ordinanza di demolizione - Omessa indicazione dell'immobile e dell'area di sedime ai fini dell'acquisizione al patrimonio comunale - Ordinanza atipica illegittima - Fondamento. Un’ordinanza di demolizione priva di una completa e precisa individuazione del bene, dell’area di sedime ai fini dell'acquisizione al patrimonio comunale in caso di inottemperanza, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, deve considerarsi atipica illegittima sia perchè differente dal modello legale previsto,sia perché inidonea a determinare il corretto svolgersi del procedimento. Tale omissione, infatti, lungi dall’atteggiarsi a vizio meramente formale, è tale da pregiudicare dal punto di vista sostanziale gli interessi dell'autore dell'abuso, il quale, in primo luogo, deve essere messo in condizione di valutare, in termini di “costo-beneficio”, l’opportunità di adempiere o meno all’ordine di demolizione. L’esatta indicazione appare, inoltre, necessaria, posto che l’effetto ablatorio si verifica immediatamente ed “ope legis” alla scadenza del termine legale o a quello prorogato dall’autorità competente per ottemperare all’ingiunzione a demolire, con acquisto a titolo originario della proprietà libera da eventuali pesi e vincoli preesistenti. L’atto di accertamento dell’inottemperanza e la trascrizione hanno allora solo natura dichiarativa: il primo, per opporre il trasferimento al proprietario responsabile dell’abuso ed immettersi nel possesso, il secondo, per opporre il trasferimento ai terzi (ex multis Tar Puglia Bari, sez. III, n. 538/2006, Cass. Pen. Sez. pen. n. 33297/2003). (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. II – 24 novembre 2009, n. 6911 URBANISTICA ED EDILIZIA – Permesso di costruire – Istanza – Art. 20 d.P.R. n. 380/2001 – Termine per la conclusione del procedimento - Silenzio inadempimento – Amministrazione competente – Potere di determinarsi espressamente sull’istanza – Rimedio ex art. 21 bis L. n. 1034/71. L’art. 20 del d. P. R. 6 giugno 2001 n. 380, che ha previsto che le domande di permesso di costruire debbano essere esaminate e definite entro termini ben definiti, trascorsi i quali, in base al disposto del comma 9, “sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio – rifiuto”, va interpretato nel senso che, trascorso tale termine, non si è di fronte ad un silenzio reso

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significativo dalla legge in termini di diniego implicito della pretesa avanzata, ma ad un silenzio – inadempimento (un silenzio, cioè, che esprime piuttosto l’inerzia dell’Amministrazione quanto al suo obbligo generale di concludere, entro termini certi, il procedimento con un provvedimento espresso); il che comporta da un lato che l'Amministrazione competente, pur dopo lo spirare del termine legalmente assegnatole per la conclusione del procedimento di cui all’art. 20 del d. P. R. n. 380 del 2001, non perde il potere di determinarsi espressamente sulla domanda di permesso di costruire, e dall’altro che la parte privata può ricorrere ai sensi dell’art. 21 bis della l. n. 1034 del 1971 (T. A. R. Campania Napoli, sez. II, 31 marzo 2009, n. 1693). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR VENETO, Sez. II – 24 novembre 2009, n. 3000 URBANISTICA ED EDILIZIA – Potere di irrogazione di sanzioni in materia edilizia – Ordine di demolizione – Termine di decadenza – Assenza – Natura vincolata – Motivazione. Per non essere sottoposto dalla legge a termini di decadenza e per riguardare anzi situazioni di illiceità permanente, il potere di irrogazione delle sanzioni in materia edilizia si presenta suscettibile di esercizio in ogni tempo, anche in ragione della sua natura rigidamente vincolata. Pertanto, al concorrere delle condizioni di legge, l'ordine di demolizione di opere abusive va inteso come atto dovuto ed è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata irregolarità dell'intervento, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla rimozione dell'abuso - anche se risalente nel tempo - senza necessità di una specifica comparazione con gli interessi privati coinvolti o sacrificati (così T.A.R. Veneto II n° 1454 del 2009). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I – 24 novembre 2009, n. 2250 URBANISTICA ED EDILIZIA – Convenzione di lottizzazione – Ultimazione della lottizzazione oltre il termine decennale – Rivisitazione degli obblighi della parte lottizzante – Nuovi oneri nel’interesse pubblico – Definizione consensuale. Nella nuova convenzione di lottizzazione può legittimamente trovare spazio anche la rivisitazione degli obblighi della parte lottizzante. L’equilibrio economico originario rimane infatti cristallizzato solo per la durata decennale del piano di lottizzazione. Al contrario quando la lottizzazione sia ultimata (in misura rilevante) dopo la scadenza del termine decennale, è necessario un aggiornamento che tenga conto degli effetti prodotti dal decorso del tempo. Tra questi rientrano da un lato l’incremento dei costi che l’amministrazione sostiene per erogare i propri servizi agli abitanti insediati e dall’altro il maggior valore di mercato degli immobili di nuova costruzione. In generale deve essere esaminata l’utilità che la parte lottizzante riceve dal completamento (totale o parziale) dell’edificazione. Su questa base possono essere individuati nuovi oneri o impegni nell’interesse pubblico, che devono poi in concreto essere definiti consensualmente. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR PUGLIA, Bari, Sez. II – 23 novembre 2009, n. 2898 URBANISTICA ED EDILIZIA – Nozione di ristrutturazione edilizia – Art. 31, c. 1, lett. d) L. n. 457/78 – Art. 3, co. 1, lett. d) d.P.R. n. 380/2001 - Totale demolizione e ricostruzione – Limiti. Nella nozione di ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 31 c. 1 lett. d) L. 457/78, vanno ricomprese anche le ipotesi di totale demolizione e ricostruzione del fabbricato, a condizione che la ricostruzione porti alla realizzazione di un edificio sostanzialmente identico a quello preesistente, per sagoma, volume, superficie e caratteristiche tipologiche, potendosi giustificare la parziale diversità solo con riferimento ad elementi costitutivi secondari e tali in concreto da non comportare una significativa alterazione strutturale o estetica. Anche ai sensi della nuova normativa di cui al

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D.P.R. n. 380/01 (art. 3 co. 1 lett. d), rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia gli interventi volti alla trasformazione dell’edificio che portino alla realizzazione di un edificio anche in tutto o in parte diverso dal precedente, attraverso la demolizione e ricostruzione, nel rispetto dei limiti di volumetria e di sagoma, oltre che ovviamente delle caratteristiche strutturali e tipologiche fondamentali e necessarie ad assicurare una continuità con la situazione preesistente. Tutte le volete in cui tali limiti non vengano rispettati, l’intervento non può che ricondursi nell’ambito della previsione di cui alla successiva lettera e) della norma citata (nuova costruzione). URBANISTICA ED EDILIZIA – Destinazione d’uso giuridicamente rilevante – Normativa urbanistica di riferimento – Uso diverso reiterato e protratto nel tempo – Consolidamento di posizioni – Inconfigurabilità. La destinazione d’uso giuridicamente rilevante è unicamente quella prevista dalla normativa urbanistica di riferimento, che costituisce dunque il necessario parametro di valutazione della legittimità dell’attività edilizia. L’uso che in concreto sia stato praticato sull’immobile risulta viceversa una circostanza di mero fatto e giuridicamente irrilevante. L’uso o destinazione di fatto dell’immobile, al di fuori della destinazione d’uso urbanisticamente rilevante secondo la normativa vigente, pertanto, ancorchè reiterata e protrattasi nel tempo non determina alcun consolidamento di situazioni. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR PUGLIA, Bari, Sez. III – 19 novembre 2009, n. 2781 URBANISTICA ED EDILIZIA – Strumento urbanistico di dettaglio – Piano di lottizzazione convenzionata – Esclusione di aree ricomprese nell’area interessata – Illegittimità – Fondamento. Lo strumento urbanistico di dettaglio, compresa la lottizzazione convenzionata, non può legittimamente escludere dal proprio ambito aree in esso ricomprese, non potendosi ritenere corretto, in termini di adeguatezza della pianificazione urbanistica, che non s’addivenga ad una sistemazione tendenzialmente completa della zona oggetto d’intervento. Diversamente argomentando, non si perverrebbe all’obiettivo della pianificazione urbanistica, specie di dettaglio, che tende a conseguire la complessiva e coordinata sistemazione del territorio secondo scelte ed indirizzi formatisi in sede politico-amministrativa.(cfr. . Cons. Stato, Sez. V, 4 maggio 1995, n. 695). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV – 4 novembre 2009 ,n. 6866 URBANISTICA ED EDILIZIA - Campo nomadi – Estensione – Computo delle strade di accesso e delle strade interne – Esclusione. In ordine all’estensione di un campo nomadi, non vi è ragione di computare nella sua ampiezza anche le strade di accesso e quelle previste al suo interno per il collegamento delle abitazioni: si tratta , infatti, di opere di urbanizzazione che , ove siano rispettati i limiti volumetrici per la edificazione delle unità abitative, possono essere assunte a carico del Comune senza che debbano incidere sulle dimensioni riconosciute al campo in questione. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 24 settembre 2009, n. 20614 Edilizia e urbanistica in genere - Certificato di destinazione edilizia - Mancata allegazione - All’atto dispositivo - Nullità - In caso di preliminare - Esclusione. (Cc, articoli 1351 e 2932; legge 26 maggio 1965 n. 590, articolo 8; legge 28 febbraio 1985 n. 47, articoli 17, 18 e 40) La nullità degli atti tra vivi aventi per oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali relativa a terreni, quando a essi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni riguardanti l’area interessata - prevista dall’art.

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18, comma 2, della legge 28 febbraio 1985 n. 47 - si riferisce esclusivamente ai contratti che, di per sé, determinano l’effetto reale indicato dalla norma e non anche a quelli con effetti obbligatori, come il contratto preliminare di compravendita. Deriva da quanto precede, pertanto, che il preliminare, come anche la denuntiatio in tema di prelazione agraria, è, sono validi pur non contenendo la dichiarazione di cui agli articoli 17 e 40 della legge n. 47 del 1985, salva l’esigenza di allegazione del certificato di destinazione urbanistica per la stipulazione del contratto definitivo o per la sentenza di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, di cui all’articolo 2932 del codice civile. (Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, 5 dicembre 2009, n. 48, p. 54)

Tribunale di Cassino, sezione penale, sentenza 16 luglio 2009 n. 481 Abuso edilizio - Zona sismica - Realizzazione di opere senza la preventiva autorizzazione regionale. (Dpr 380/2001, articoli 94, 95 e 110) Le contravvenzioni previste dalla normativa antisismica puniscono inosservanze formali, volte a presidiare il controllo preventivo della Pa. Ne deriva che l’effettiva pericolosità della costruzione realizzata senza l’autorizzazione del Genio civile e senza le prescritte autorizzazioni è del tutto irrilevante ai fini della sussistenza del reato, e la verifica postuma dell’assenza del pericolo e il rilascio del provvedimento abilitativo non incidono sulla illiceità della condotta, perché gli illeciti sussistono in relazione al momento di inizio dell’attività. (Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, 5 dicembre 2009, n. 48, p. 82)

Energia

TAR VENETO, Sez. I – 24 novembre 2009, n. 2990 ENERGIA – Impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili – Procedimento di autorizzazione – Art. 17 d.P.R. n. 203/1988 – Indicazione del sito di localizzazione – Vincolatività – Esclusione – Modifica del sito – Rilevanza – Comune – Potere di incidere sull’autorizzazione ministeriale – Insussistenza – Fondamento. In sede di presentazione al Ministero dell’Industria del progetto per il rilascio, ai sensi dell’art. 17 del D.P.R. n. 203/1988, dell’autorizzazione alla realizzazione e gestione di un impianto per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, l’indicazione del sito sul quale localizzare l’impianto di per sé non risulta vincolante, dovendo essere esaminata, in termini generali, la compatibilità del progetto con i profili di tutela ambientale e sanitaria. Sicchè, il sopravvenuto mutamento di localizzazione non è in grado di inficiare le valutazioni che hanno condotto al rilascio del provvedimento abilitativo. In ogni caso, è compito del Ministero rimarcare, a comunicazione avvenuta, la rilevanza di tale modifica sull’efficacia dell’autorizzazione rilasciata e non certo del Comune che a tale riguardo non ha poteri. Invero, l’amministrazione comunale sarà chiamata solo successivamente a rilasciare i permessi necessari per la realizzazione dell’impianto nel sito individuato, esaminando la richiesta sotto il profilo della conformità urbanistico-edilizia dell’intervento, senza tuttavia incidere sulla piena efficacia dell’autorizzazione conseguita a tal fine. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez.VII – 17 novembre 2009, n.7547 ENERGIA – Impianti eolici – Autorizzazione all’installazione – Comune – Sospensione sine die – Illegittimità – D.lgs. n. 387/2003. Il Comune non può bloccare l’istallazione degli impianti eolici sine die. Un potere di sospensione sine die è in genere vietato dall’ordinamento; deve ritenersi a maggior ragione inammissibile qualora il legislatore abbia inteso, come con il d.lgs. n. 387/2003, accelerare – per di più entro un termine perentorio - e semplificare determinate procedure. Ed infatti la giurisprudenza ha già affermato che il blocco sine die degli impianti eolici non può essere consentito.

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ENERGIA – Impianti eolici – Installazione – Comune – Determinazione assunta al di fuori della conferenza di cui al d.lgs. n. 387/2003 – Illegittimità – Incompetenza – Autorizzazione regionale. Avendo il legislatore previsto, con il d.lgs. n. 387/2003, una conferenza unificata, in cui tutte le Amministrazioni coinvolte debbono esprimere le proprie valutazioni, il Comune non può decidere autonomamente, al di fuori di tale conferenza, di vietare l’istallazione degli impianti eolici. Inoltre, come si evince dall’art. 12 co. 3 d.lgs. n. 387/2003, l’ente competente a rilasciare (o a negare) l’autorizzazione è la Regione, o un ente delegato dalla Regione: sicché il Comune deve essere ritenuto incompetente. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR SICILIA, Palermo, Sez. II – 11 novembre 2009, n. 1760 ENERGIA – impianti eolici – Procedimento autorizzatorio – Semplificazione – Art. 12, c. 4 d.lgs. n. 387/2003 Determinazione conclusiva – Adozione – Termine di 180 giorni – Natura acceleratoria – Obbligo di concludere il procedimento – Art. 2 L. n. 241/1990. L'intento del legislatore di favorire le iniziative volte alla realizzazione degli impianti eolici, semplificando il relativo procedimento autorizzativo e concentrando l'apporto valutativo di tutte le Amministrazioni interessate nella conferenza di servizio ai fini del rilascio di una autorizzazione unica. Ed a siffatto favor legis (come anche al principio dell'obbligo della P.A. di concludere il procedimento ex art. 2 L. n. 241/1990, recepita in Sicilia con L.r. n. 10/1991), non può non conseguire l'obbligo della Regione di adottare le relative determinazioni, positive o negative, nei modi e nei termini di legge, entro quel termine massimo di 180 giorni di cui all’art. 12, comma 4 del D.Lgs. 387/2003,avente un evidente intento acceleratorio del procedimento, e posto come limite temporale massimo per l'adozione della determinazione conclusiva. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR SICILIA, Palermo, Sez. II – 11 novembre 2009, n. 1757 ENERGIA – Art. 12 d.lgs. n. 387/2003 – Termine per la convocazione della conferenza di servizi e per la conclusione del procedimento - Inutile decorso – Principio fondamentale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia – Dovere di concludere il procedimento – Art. 2, L. n. 241/1990. L’inutile decorso del termine di conclusione del procedimento fissato dall’art. 12 del d. lgs. n° 387/2003 sia per la convocazione della conferenza di servizi, sia per la conclusione del procedimento (principio fondamentale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, è in contrasto, altresì, con il generale dovere di concludere il procedimento mediante adozione di un provvedimento espresso contemplato dall’art. 2 della legge n° 241/1990, anche nel testo risultante dall’ultima novella legislativa di cui alla legge 18 giugno 2009 n° 69. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Inquinamento BONIFICA

TAR TOSCANA, Sez. II – 25 novembre 2009, n. 2088 INQUINAMENTO – Bonifica di siti contaminati – Disciplina transitoria – Art. 256, co. 4 d.lgs. n. 152/2006 – Procedimenti conclusi ma non realizzati – Applicabilità della normativa sopravvenuta –Legislatore regionale - - Deroga ai livelli di tutela ambientale stabiliti dallo Stato – Illegittimità – Sent. Corte Cost. n. 214/2008. La previsione di cui all’art. 256, co. 4 del D.Lgs. n. 152/2006, che detta la disciplina transitoria in materia di bonifica di siti contaminati, esprime la volontà del legislatore statale di vedere applicata la normativa sopravvenuta non soltanto ai procedimenti in corso, ma anche a quelli già conclusi e

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non realizzati, dovendosi peraltro escludere che le Regioni, nell’esercizio delle prerogative e competenze loro riservate dalla Costituzione, possano in qualche misura derogare i livelli di tutela ambientale stabiliti dallo Stato, cui solo spetta di effettuare il bilanciamento fra l’interesse alla protezione dell’ambiente e gli altri interessi, di pari rilevanza costituzionale, a questo contrapposti: con la conseguenza che dovrebbe ritenersi illegittima una disciplina regionale, la quale interferisca, comprimendola, con la facoltà di rimodulazione riconosciuta dal menzionato art. 265 co. 4 per gli interventi di bonifica in corso di approvazione, ovvero approvati ma non eseguiti (cfr. Corte Cost. 18 giugno 2008, n. 214). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it) INQUINAMENTO ACUSTICO

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. IV – 11 novembre 2009, n. 5007 INQUINAMENTO ACUSTICO – Comune – Tutela della salute pubblica – Mantenimento della soglia di rumore entro i livelli stabiliti dalla normativa – Tutela apprestata dall’ordinamento ex art. 844 c.c. – Diversità. Il Comune ha il dovere di garantire per motivi di salute pubblica che la soglia del rumore prodotta nell’ambiente dalle varie attività umane non superi i livelli stabiliti dalla normativa per evitare forme di inquinamento acustico e ciò niente ha a che vedere con la tutela apprestata dall’ordinamento attraverso l’istituto regolato dall’art. 844 c.c.. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I – 10 ottobre 2009, n. 694 INQUINAMENTO ACUSTICO – Misure di contenimento e abbattimento delle emissioni sonore – Sindaco – Ordinanza – Presupposti – Eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute – Art. 9 L. n. 447/95. L’art. 9 della l. 447/1995 attribuisce al Sindaco un potere di disporre il ricorso temporaneo a misure particolari di contenimento o abbattimento delle emissioni sonore qualora ciò sia richiesto “da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente“ INQUINAMENTO ACUSTICO – Piano di risanamento acustico – Comune – Imposizione – Preventivo intervento normativo regionale – L. n. 447/95. La l. 447/1995, prevede che vengano definite con legge regionale le “procedure e gli eventuali ulteriori criteri, oltre a quelli di cui all'articolo 7, per la predisposizione e l'adozione da parte dei comuni di piani di risanamento acustico”: sicchè è illegittima l’imposizione di predisporre e trasmettere al comune siffatto piano in assenza di determinazioni normative regionali. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it) INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO

TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I – 26 novembre 2009, n. 810 INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Regione Friuli Venezia Giulia – L. r. n. 28/04 – Impianti di radiodiffusione Azioni di risanamento – Presupposto – Regolarità urbanistico-edilizia. L’Allegato 6 al Regolamento di Attuazione n.094/05 della L.r. Friuli Venezia Giulia n. 28/04 riguarda le “azioni di risanamento”, che possono esser intraprese (comma 8) solo per gli impianti di radio diffusione in regola con le autorizzazioni edilizie”. Nel caso di impianti abusivi e soggetti a ordine di demolizione, pertanto, consegue l’impossibilità di procedere a qualsivoglia attività di risanamento. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

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TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. II – 24 novembre 2009, n. 6915 INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Regolamento comunale – Previsione di distanze da edifici adibiti alla permanenza di persone – Finalità di tutela della popolazione – Divieti insediativi generalizzati – Competenza comunale – Esclusione – Interpretazione sostanzialistica. Il riferimento alle distanze degli impianti di telefonia mobile da edifici adibiti alla permanenza di persone per un periodo superiore alle quattro ore persegue una evidente finalità di tutela della popolazione dall'esposizione ai campi elettromagnetici mediante la previsione di divieti insediativi generalizzati, e non di semplici criteri localizzativi, che sfuggono alla competenza comunale nella misura in cui invadono la sfera riservata dalla legge quadro n. 36/2001 alla competenza statale: un'interpretazione sostanzialistica della portata dei confini delle competenze comunali, volta ad evitare tecniche di agevole elusione di dette regole, rende irrilevante la circostanza che l'adozione di misure che si sovrappongono al limiti statali di esposizione sia avvenuta alla stregua di strumenti formalmente urbanistici, dovendosi valutare il profilo effettivo del potere speso piuttosto che la veste formale dell'atto adottato. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR EMILIA ROMGNA, Parma, Sez. I – 17 novembre 2009, n. 766 INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Impianti di telefonia mobile – Realizzazione – Compatibilità urbanistica – Verifica – Procedimento ex art. 87, c. 9, d.lgs. n. 259/2003. Se è vero che nell’attuale ordinamento la realizzazione di un impianto di telefonia mobile non richiede il previo rilascio del permesso di costruire, è altresì vero che nel corso del procedimento disciplinato dall’art. 87, comma 9, del d.lgs. n. 259 del 2003 vanno comunque svolte le verifiche di compatibilità edilizia ed urbanistica dei suddetti impianti, e ciò in coerenza con la ratio della riforma, che è stata quella di semplificare il procedimento e concentrare al suo interno tutte le relative valutazioni, comprese quelle di carattere urbanistico-edilizio (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 28 febbraio 2006 n. 889). L’installazione di simili infrastrutture, pertanto, non può prescindere dal possesso, tra gli altri, del requisito della «conformità urbanistica». INQUINAMENTO ELETTROMGNETICO – Impianti di telefonia mobile – Localizzazione - Amministrazioni comunali – Competenze – Contemperamento degli interessi coinvolti . In tema di localizzazione ed installazione degli impianti di telefonia mobile le Amministrazioni comunali conservano le loro tipiche competenze in ordine al governo del territorio, da esercitare in modo tale da contemperare i vari interessi coinvolti, evitando in particolare l’adozione di misure che si risolvano in un ingiustificato ostacolo alla funzionalità della rete delle infrastrutture di comunicazione elettronica. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR EMILIA ROMGNA, Parma, Sez. I – 17 novembre 2009, n. 765 INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Impianti di telefonia mobile – Installazione – Strumenti programmatori comunali – Criteri minimi di conoscenza preventiva e di pianificazione – Legittimità – Condizioni – Termini perentori per la redazione del piano. Gli strumenti programmatori attraverso i quali il Comune, sulla base delle proposte dei gestori, definisce complessivamente le installazioni degli impianti di telefonia mobile ammesse sul territorio comunale e a queste previsioni subordina il rilascio delle varie autorizzazioni, per assolvere la funzione di introduzione di criteri minimi di conoscenza preventiva e di pianificazione dell’installazione degli impianti, soddisfano la fondamentale esigenza di razionalità dell’azione amministrativa, onde non sono in sé illegittimi, a meno che ne risulti in concreto scaturire una dilatazione dei tempi per il rilascio delle prescritte autorizzazioni – incompatibile con la necessità di una disciplina uniforme sul piano nazionale alla stregua delle superiori norme statali –, situazione di contrasto che non sussiste però quando la disciplina locale prevede, in coerenza con l’assetto

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normativo della materia, termini perentori per la redazione del piano (v. CdS, Sez. VI, n. 3734/2006; TAR Napoli, Sez. VII, n.1480/2008). Sicchè, è illegittima la normativa comunale che preveda una procedura di approvazione del programma complessivo annuale svincolato da termini perentori per la conclusione dell’iter e che quindi consenta all’Amministrazione di subordinare la prosecuzione dell’istruttoria sulla domanda concernente il singolo impianto al sopraggiungere di un «piano» la cui definizione resta priva di tempi certi (TAR Emilia Romagna, Parma,. n. 639/2009). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I – 12 novembre 2009, n.730 INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Regione Friuli Venezia Giulia – Mancata approvazione piano di settore per la localizzazione degli impianti – Imposizione distacco minimo da zone residenziali o destinate a servizi e attrezzature collettive – Normativa sopravvenuta ex L.R. n. 28/2004 – Contrasto – Inapplicabilità disposizione comunale . Una norma che, aprioristicamente, va a vietare, mediante l’imposizione di un distacco minimo dal confine delle zone residenziali e dal confine delle zone destinate ai servizi ed attrezzature collettive, l’installazione degli impianti di telefonia mobile anche in zone non altrimenti precluse e non automaticamente rientranti nelle zone escludibili ai sensi degli artt. 3 e 4 del regolamento di attuazione della l.r. FVG n. 28/2004, approvato con decreto Presidente Regione n. 94/2005, si pone in ineludibile contrasto con la specifica normativa sopravvenuta e quindi non può più essere applicata. (TAR FVG 173/2007). Il Comune, pertanto, in assenza dello specifico piano di settore per la localizzazione degli impianti, non può esimersi dal valutare la richiesta di autorizzazione. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR LAZIO, Latina, Sez. I – 4 novembre 2009, n. 1047 INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Provvedimento di rimozione degli impianti esistenti sul territorio comunale – Potere del Consiglio Comunale – Non rientra. Non rientra tra i poteri del Consiglio comunale quello di assumere un generico ed immotivato provvedimento di rimozione degli impianti di telecomunicazioni esistenti sul territorio comunale, tenuto conto che l’art. 32 L. 142/90 limita la competenza dell’organo consiliare agli atti fondamentali espressamente indicati e tra questi non rientrano i poteri di procedere a pratiche edilizie da revocare. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR ABRUZZO, Pescara, Sez. I– 10 novembre 2009, n.729 INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Impianti di telefonia mobile – Comune – Regolamentazione degli obiettivi di qualità – Potere – Carenza – Competenza riservata alla normativa statale – Artt. 1 e 4 L. n. 36/2001. Ai sensi dell’art. 4 della legge n.36/2001, esula dal potere comunale la regolamentazione degli obiettivi di qualità degli impianti di telefonia mobile, essendo questa competenza riservata alla normativa statale “in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all’art. 1”, cui si deve, peraltro adeguare, anche la normativa regionale. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Rifiuti

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. IV – 24 novembre 2009, n. 5144 RIFIUTI – Deposito – Granulato di plastica – Ordine di rimozione e smaltimento – Mancanza di istruttoria volta ad appurare la natura di rifiuto e il superamento dei valori ex art. 239, c. 2, lett. a), d.lgs. n. 152/2006 – Illegittimità.

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In mancanza di un accertamento tecnico volto ad appurare, in primo luogo, la natura inquinante del materiale depositato (nella specie: granulato di plastica) e, in secondo luogo, il superamento dei valori che in ipotesi imporrebbe – ai sensi dell’art. 239, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n. 152/06 – di procedere alla caratterizzazione dell’area in funzione di eventuali interventi di bonifica e ripristino ambientale, sono illegittimi i provvedimenti adottati dal Comune con i quali siano stati imposti, previa delimitazione dell’area, la rimozione e lo smaltimento del materiale presso una discarica autorizzata (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 27 luglio 2009, n. 4464; altresì, IV, 2 settembre 2009, n. 4598; II, 29 marzo 2007, n. 1318). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR VENETO, Sez. III – 24 novembre 2009, n. 2968 RIFIUTI – Art. 192 d.lgs. n. 152/2006 – Ordinanza di rimozione e smaltimento – Competenza – Sindaco – Principio di specialità e principio cronologico – Art. 107 d.lgs. n. 267/2000. L’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006 è norma speciale sopravvenuta rispetto all`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 ed attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e per quello cronologico sul disposto dell`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 (cfr. Consiglio di Stato, Sez.V, 25.8.2008, n. 4061). RIFIUTI – Attività di trasporto – Responsabilità in ordine alla gestione dei rifiuti – Assenza delle autorizzazioni prescritte per l’impianto di stoccaggio – Responsabilizzazione e cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nel ciclo dei rifiuti – Elevato livello di tutela ambientale Sulla scorta dei principi generali di cui all’art. 178 del d.lgs. n. 152/2006 e tenuto altresì conto di quanto affermato dalla giurisprudenza, secondo cui l'attività di trasporto dei rifiuti a soggetto risultato, poi, in posizione irregolare quanto alle necessarie autorizzazioni, è assimilabile a quella di abbandono dei rifiuti, non appare condivisibile la tesi secondo cui l’essere stata un’impresa incaricata del solo trasporto dei rifiuti implica che la stessa vada esente da ogni responsabilità in ordine alla loro gestione e, quindi, anche in relazione all’assenza delle autorizzazioni prescritte per l’impianto nel quale sono stati stoccati. Una simile affermazione confligge, infatti, con i principi di responsabilizzazione e cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nel ciclo afferente la gestione dei rifiuti. L’estensione della suddetta posizione di garanzia si fonda, d’altra parte, sull’esigenza di assicurare un elevato livello di tutela all’ambiente (cfr. altresì TAR Veneto n. 40/2009, secondo la quale la responsabilità per la corretta gestione dei rifiuti grava su tutti i soggetti coinvolti nella loro produzione, detenzione, trasporto e smaltimento, poiché si tratta di soggetti investiti di una posizione di garanzia in ordine al corretto smaltimento dei rifiuti stessi). (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR ABRUZZO, Pescara, Sez. I– 20 novembre 2009, n.1029 INQUINAMENTO – RIFIUTI – Industrie insalubri – Pianificazione urbanistica – Previsione di distanze minime dagli altri fabbricati – Comune- Potere – Sussistenza – Individuazione di un’apposita area riservata gli insediamenti produttivi – Trattamento preventivo e generalizzato peggiorativo per gli insediamenti insalubri – Illegittimità. Ai sensi del D.M. 2.4.1968, il Comune in sede di pianificazione urbanistica ben può stabilire le distanze minime che i singoli insediamenti consentiti (nella specie: impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti) debbono rispettare rispetto agli altri fabbricati e ciò anche tenendo conto dell’aspetto sanitario, proprio perché la pianificazione deve essere riassuntiva ed applicativa di tutte le norme che disciplinano l’uso del territorio. Tuttavia, se il Comune individua un’apposita area riservata agli insediamenti produttivi, notoriamente comprensiva delle industrie insalubri,.queste non possono essere oggetto di un preventivo e generalizzato trattamento peggiorativo rispetto agli altri insediamenti consentiti, per di più avulso da qualsiasi valutazione concreta sulla loro effettiva pericolosità. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

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TAR LIGURIA, Sez. I - 19 novembre 2009, n. 3406 RIFIUTI - Stoccaggio provvisorio - Autorizzazione o comunicazione in procedura semplificata - Comune - Ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi adottata ai sensi del T.U. edilizia - Competenza - Difetto - Rilascio dell'autorizzazione - Potestà provinciale. Lo stoccaggio provvisorio, al pari del deposito provvisorio di rifiuti (cfr., da ultimo Cass. 20 maggio 2008 n. 27073) costituisce specifica fattispecie disciplinata dall’art. 6 lett. m d.lgs. n. 22/97, come riprodotto dal d.lgs. n. 152/06, assoggettata al regime d’autorizzazione o di comunicazione in procedura semplificata: sicchè l’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi mediante rimozione di abbancamento di inerti asseritamente abusivo, adottata ai sensi del testo unico sull’edilizia, esorbita dall’ambito della materia di competenza comunale, compromettendo la potestà attribuita alla Provincia di rilascio dell’autorizzazione allo stoccaggio provvisorio. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR PUGLIA, Bari, Sez. II – 19 novembre 2009, n. 2760 RIFIUTI – Nozione tendenzialmente oggettiva di matrice comunitaria – Art. 183 d.lgs. n. 152/2006 – Scarti vegetali – Natura di rifiuto – Art. 184, c. 3 d.lgs. n. 152/2006 – Fattispecie: malli di mandorle. Il c.d. Codice Ambiente approvato con D.lgs n.152/2006 all’art 183 c. 1 lett a) codifica una ampia nozione tendenzialmente oggettiva di rifiuto, definito come “qualsiasi sostanza ed oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore di disfi o abbia deciso o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”, superando le precedenti nozione contenute nel D.L. n.138/2002 che avevano dato luogo a procedure di infrazione da parte dell’Unione Europea. L’art 184 comma terzo Codice Ambiente nel ricomprendere nella nozione di rifiuto speciale anche gli scarti vegetali , consente di richiedere anche per i malli delle mandorle lo smaltimento secondo la normativa sui rifiuti (Cass. sez III 20248/2009). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR ABRUZZO, Pescara, Sez. I – 5 novembre 2009, n. 655 RIFIUTI – Regione Abruzzo ––Impianti di smaltimento dei rifiuti – Provvedimenti di rinnovo e proroga - L.R. n. 83/2000, art. 24, c. 7 – Sospensione dell’efficacia – Interpretazione. Il settimo comma dell'art. 24 della L.r. Abruzzo n. 83/2000, come si evince dal dato testuale e dalla logica sottesa alla norma, va inteso quale sospensione dell’efficacia dei provvedimenti di rinnovo e proroga degli impianti di smaltimento dei rifiuti, non già della sospensione dei termini di durata delle singole autorizzazioni; in altri termini il legislatore regionale ha voluto che le eventuali proroghe o rinnovi non fossero operative senza la previa valutazione di impatto ambientale, non già prorogare la durata delle autorizzazioni in essere. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR ABRUZZO, Pescara, Sez. I – 5 novembre 2009, n. 652 RIFIUTI – Impianti di smaltimento – Autorizzazione integrata ambientale – Provvedimento positivo – Ricorrenti – Legittimazione ed interesse ad agire – Mero dato della vicinitas – Insufficienza. L’autorizzazione integrata ambientale presuppone una valutazione particolarmente incisiva dell’impatto ambientale dell’impianto interessato (nella specie: impianto per lo smaltimento dei rifiuti): per sua natura prescinde dal dato della distanza dalle abitazioni, in quanto gli elementi qualitativi riguardanti l’abbattimento delle emissioni inquinanti prevalgono sui meri dati relativi alla distanza, in un’ottica tecnicamente più avanzata e conforme alla disciplina europea. Ne discende come il mero dato di prossimità delle abitazioni non può fondare la legittimazione e interesse ad agire dei residenti, ove non venga supportato da ulteriori elementi. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

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Cassazione civile, sez. III, 20 ottobre 2009, n. 22188, Rifiuti – Discarica abusiva – Illecito smaltimento –Ordinanza di ingiunzione del Sindaco per il recupero delle spese di bonifica – Ricorso per Cassazione – Principio di autosufficienza – Inammissibilità del ricorso Ai fini dell’ammissibilità del ricorso per Cassazione è necessario che il ricorrente indichi in modo autosufficiente vale a dire con specificazione che consenta, attraverso lo stesso ricorso, la chiara e completa cognizione dei fatti e delle argomentazioni gli elementi trascurati dalla sentenza impugnata, nella loro materiale consistenza, nella loro pregressa deduzione in sede di merito e nella loro processuale rilevanza, intesa quale potenzialità probatoria che consenta di giungere ad una diversa decisione.

La sentenza trae origine dall’opposizione effettuata da un soggetto proprietario di un terreno contro l’ordinanza di ingiunzione emessa nei suoi confronti dal sindaco di un comune della provincia di Milano per l’importo di lire 110.922.399, quale recupero delle spese sostenute per l’esecuzione dell’ordinanza urgente adottata dallo stesso comune, con la quale era stato ordinato ai proprietari dell’area in questione di asportare e di smaltire i rifiuti rinvenuti sul terreno. L’opponente aveva contestato la propria responsabilità per non essere l’utilizzatore del terreno sottoposto a bonifica. La tesi dell’opponente era stata accertata, nel contempo, in un giudizio penale promosso a carico dei soggetti effettivi utilizzatori dell’area come discarica, i quali erano stati condannati per i reati connessi all’inquinamento e all’illecito smaltimento di rifiuti operato nella zona. Il proprietario del terreno, quindi, aveva chiesto al Giudice di primo grado la revoca dell’ingiunzione, nei suoi confronti, per difetto di legittimazione passiva, svolgendo, comunque, domanda di manleva, previa autorizzazione alla chiamata in causa, nei confronti degli effettivi responsabili. Il tribunale, con sentenza 4 febbraio 2003, aveva rigettato l’opposizione, con la condanna alla manleva in favore del proprietario opponente. La Corte d’Appello di Milano aveva confermato la sentenza di primo grado. Avevano proposto ricorso per Cassazione i soggetti ritenuti responsabili dei fatti costituenti anche reato deducendo la violazione e la falsa applicazione di legge ai sensi dell’art. 360, c.p.c., punto 3), in relazione all’art. 651, c.p.p., e agli artt. 115 e 116, c.p.c.; denunciando, inoltre, l’omessa, l’insufficiente, la contraddittoria e illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360, c.p.c., punto 5). La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso così come proposto. I ricorrenti, infatti, con i propri scritti difensivi, avevano censurato la sentenza impugnata per non avere tratto dagli atti e dalla sentenza emessa in sede penale le corrette conseguenze in tema di entità del danno risarcibile. Avevano contestato, inoltre, che la Corte di merito avrebbe ritenuto, in applicazione dell’art. 651, c.p.p., che «la condanna, al risarcimento dei danni prevista nella sentenza del Pretore non ammettesse eccezione o distinzione e che, quindi, i condannati dovessero far fronte al risarcimento di ogni danno lamentato dalla parte offesa». Tuttavia, con queste argomentazioni, avevano evocato soltanto la sentenza emessa dal Pretore in sede penale, riportandone minimi stralci, senza indicarne il numero, né riproducendone il contenuto complessivo nel ricorso per Cassazione, limitandosi ad affermare che sulla sua base la Corte di merito avrebbe tratto conclusioni errate in tema di misura del danno risarcibile. Anche in riferimento al secondo motivo relativo al vizio di motivazione e al profilo della responsabilità, i ricorrenti si sono limitati a indicare le date dei verbali emessi e il luogo processuale in cui gli stessi erano contenuti e a richiamare sia l’ordinanza, sia le fatture prodotte nel giudizio di merito dal comune a sostegno dell’ingiunzione emessa; hanno tralasciato, però, di riprodurre l’intero contenuto di questi atti nel ricorso per Cassazione, incorrendo, in tal modo, nella violazione del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione. La Suprema Corte, nella parte motiva della sentenza, ha evidenziato che è principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 23 gennaio 2009, n. 1707, e, con specifico riferimento al processo penale, Cass. 6 novembre 2006, n. 23673) che, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per Cassazione, è necessario che il ricorrente indichi in modo autosufficiente vale a dire con specificazione che consenta, attraverso lo stesso ricorso, la chiara e la completa cognizione dei fatti e delle argomentazioni gli elementi trascurati dalla sentenza impugnata, nella loro materiale consistenza, nella loro pregressa deduzione in sede di merito e nella loro processuale rilevanza, intesa quale potenzialità probatoria che consenta di

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giungere a una diversa decisione. Il principio di autosufficienza, perciò, impone che il ricorso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti e ad atti del processo, compresa la sentenza stessa. Cosa che non è avvenuta nel caso in esame. Pertanto, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. (Maria Melizzi, Ambiente&Sicurezza)

Sicurezza ed igiene del lavoro

Corte di Cassazione penale, Sezione IV, sentenza 17 novembre 2009, n.43966 Infortuni sul lavoro - Normativa antinfortunistica - Ambito di applicazione. (Dpr 27 aprile 1955 n. 547, articoli 1 e 3; Dlgs 9 aprile 2008 n. 81, articoli 2 e 3) Le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori (e solo i lavoratori) possano subire danni nell’esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono nei cantieri o comunque in luoghi ove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi.

La Cassazione ribadisce il principio consolidato secondo cui la normativa antinfortunistica si applica non solo ai lavoratori subordinati e ai soggetti a essi normativamente equiparati, ma anche delle persone estranee che possano trovarsi occasionalmente nei luoghi di lavoro e, potenzialmente, in situazione di pericolo. Il giudice di legittimità argomenta evidenziando che le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell’interesse di tutti, finanche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell’impresa. Da ciò consegue, secondo la Corte, che, in caso di lesioni e di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l’evento dannoso un legame causale, il quale ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile all’inosservanza delle norme stesse secondo i principi dettati dagli artt. 40 e 41 del Cp: in tale evenienza, quindi, dovrà ravvisarsi l’aggravante di cui agli artt. 589, c. 2, e 590, c. 3, del Cp, nonché il requisito della perseguibilità d’ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590, u.c. Cp, anche nel caso di soggetto passivo estraneo all’attività e all’ambiente di lavoro, purché la presenza di tale soggetto nel luogo e nel momento dell’infortunio non abbia tali caratteri di anormalità, atipicità ed eccezionalità da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la condotta inosservante e purché, ovviamente, la norma violata miri a prevenire incidenti come quello in effetti verificatosi. Interessante è la fattispecie sub iudice: la Corte ha rigettato il ricorso avverso la condanna per il reato di omicidio colposo, appunto aggravato dalla violazione della normativa precauzionale in materia di lavoro, pronunciata a carico dell’appaltatore incaricato delle opere di ristrutturazione di un immobile, cui era stata addebitata la violazione della normativa specificamente dettata per garantire le migliori condizioni di sicurezza in occasione dei lavori di demolizione e, proprio in ragione di tale violazione, aveva contribuito alla verificazione di un crollo con conseguente morte di un passante, colpito da porzioni di materiale inerte staccatosi dall’edificio. (Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, 5 dicembre 2009, n. 48, p. 79)

Corte di Cassazione, Sezione IV penale, Sentenza 5 novembre 2009, n. 42477 Cantiere edile - Prevenzione degli infortuni sul lavoro - Osservanza delle norme antinfortunistiche - Esecuzione di lavori in subappalto all’interno di un unico cantiere - Obblighi di prevenzione gravanti su tutti coloro che esercitano i lavori - Sussistenza. (Dlgs 626/1994, articolo 7) In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, con specifico riferimento all’esecuzione di lavori in subappalto all’interno di un

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unico cantiere edile predisposto dall’appaltatore, grava su tutti coloro che esercitano i lavori, quindi anche sul subappaltatore interessato all’esecuzione di un’opera parziale e specialistica, che ha l’onere di riscontrare e accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro, pur se la sua attività si svolga contestualmente ad altra, prestata da altri soggetti e sebbene l’organizzazione del cantiere sia direttamente riconducibile all’appaltatore, che non cessa di essere titolare dei poteri direttivi generali. (Edilizia e Territorio, Il Sole 24 Ore, n. 44/2009, p. 22)

Corte di Cassazione, sez. lavoro, 2 ottobre 2009, n. 21113 Previdenza - Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro - Infortunio sul lavoro – Occasione di lavoro - Rischio elettivo - Nozione Il rischio elettivo, quale limite alla responsabilità del datore di lavoro nella causazione degli infortuni su lavoro, è ravvisabile, per richiamare una definizione sintetica ricorrente, solo in presenza di un comportamento abnorme, volontario ed arbitrario del lavoratore, tale da condurlo ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attività lavorativa, pur latamente intesa, e tale da determinare una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento secondo l’apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito.

Gli eredi del dipendente, deceduto sul luogo di lavoro a seguito di infortunio ivi occorso, ottenevano il risarcimento del danno morale, nella misura del 30% in primo grado e del 40% nel successivo giudizio di impugnazione, con riconoscimento del concorso di colpa del dipendente nel residuo. Il dipendente aveva utilizzato il cestello di una gru, presente presso il luogo di lavoro, per il proprio sollevamento, anziché per il sollevamento dei materiali, ponendo egli stesso le premesse del suo infortunio e decesso. I Giudici, nei due precedenti gradi di giudizio, avevano peraltro ritenuto che fosse compresente la responsabilità del datore di lavoro, in quanto il comportamento del dipendente, pur gravemente imprudente, non esorbitava dalla prestazione lavorativa. Valeva ad integrare la responsabilità del datore di lavoro anche il fatto che il dipendente non fosse stato previamente edotto in merito all’uso della suddetta gru, né l’azienda avesse ottemperato all’obbligo di vigilanza circa l’uso degli strumenti lavorativi messi a disposizione dei dipendenti. Gli eredi del dipendente proponevano ricorso in Cassazione, lamentando che i giudici di secondo grado, pur avendo riconosciuto il ruolo determinante delle responsabilità del datore di lavoro in occasione dell’infortunio, avevano, non congruamente, attribuito al dipendente la responsabilità prevalente nella causazione del sinistro, quantificando il risarcimento del danno morale nella misura del 40%. La Suprema Corte ha accolto il motivo di ricorso principale, per i seguenti motivi. Richiamando un orientamento interpretativo ormai acquisito da parte della Corte (si veda Cass. n. 15047/2007; Cass. n. 15312/2001; Cass. n. 8269/1997; Cass. n. 6088/1995), i giudici hanno esposto il principio di diritto di cui alla massima in epigrafe, distinguendo tra rischio elettivo e responsabilità datoriale, specificando che la sussistenza del primo esclude quest’ultima solo quando il comportamento del lavoratore sia qualificabile come abnorme, volontario ed arbitrario ed, in quanto tale, totalmente sciolto da un legame causale con lo svolgimento dell’attività lavorativa. Proseguendo nel ragionamento, la Corte ha specificato che per configurare il rischio elettivo occorre la compresenza di tre elementi, ovvero: a) la volontarietà, arbitrarietà ed estraneità all’attività lavorativa del comportamento del lavoratore; b) la sussistenza di una motivazione meramente personale al compimento della condotta casualmente connessa all’infortunio, come tale non riconducibile ad eventuali finalità produttive; c) l’inesistenza di alcun nesso causale tra l’attività lavorativa e l’evento conseguente alla condotta del dipendente. In presenza di questi elementi, il rischio elettivo si distingue dal comportamento volontario posto in essere con imprudenza, negligenza o imperizia il quale, se motivato da finalità produttiva, non vale ad estinguere il nesso fra l’infortunio e l’attività lavorativa. La Corte ha rilevato l’incongruità della motivazione della sentenza impugnata, poiché il lavoratore, pur in maniera imprudente, aveva agito in modo non irrazionale, non potendosi configurare a suo carico un comportamento «abnorme ». Unitamente a ciò, il datore di lavoro doveva considerarsi responsabile per il cattivo funzionamento della gru e l’omessa vigilanza sull’uso dei macchinari aziendali. (Toffoletto e Soci, Guida al Lavoro, Il Sole24 Ore, 20 novembre 2009, n. 45, p 46)

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Corte di Cassazione penale, sez. IV, 25 settembre 2009, n. 37883 Sicurezza sul lavoro – Infortunio – Mancata predisposizione di protezioni sui macchinari – Tolleranza di scorrette modalità lavorative – Responsabilità – Lesioni colpose gravi In presenza di una causa estintiva del reato, l’obbligo del Giudice di assolvere per motivi di merito si riscontra solo quando gli elementi rilevatori dell’insussistenza del fatto ovvero della sua non attribuibilità penale al prevenuto emergono in modo incontrovertibile, tanto che la valutazione di essi da parte del Giudice è assimilabile più ad una constatazione che ad un accertamento. In altre parole, per pervenire al proscioglimento nel merito dell’imputato, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, deve applicarsi il principio di diritto secondo cui “positivamente” deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l’estraneità dell’imputato per quanto contestatogli e ciò nel senso che si evidenzi l’assoluta assenza della prova di colpevolezza ovvero la prova positiva dell’innocenza dell’imputato.

Seguendo il consolidato orientamento giurisprudenziale (si vedano Cass. 8 giugno 2004, n. 31463; Cass. 18maggio 2007, n. 26008) la Suprema Corte ha annullato il provvedimento impugnato senza rinvio perché il reato contestato agli imputati si è estinto per prescrizione. La controversia ha avuto inizio davanti al Tribunale di Ferrara che aveva dichiarato due soggetti, il primo nella qualità di direttore di stabilimento e il secondo nella qualità di responsabile della produzione, responsabili per il reato di lesioni colpose gravi a danno di un lavoratore e li aveva condannati, con la concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi uno e giorni venti di reclusione ciascuno. L’infortunio era avvenuto mentre il dipendente aveva tentato di rimuovere con un pezzo di legno un’incrostazione dalla rotella di controllo dello scorrimento di un nastro trasportatore riportando lo schiacciamento della mano destra. Il Giudice di primo grado aveva attribuito la responsabilità per l’occorso agli imputati per non avere predisposto una idonea copertura degli elementi di trasmissione del nastro e per avere tollerato modalità lavorative scorrette da parte dei lavoratori, appunto, nella pulizia delle rotelle. La sentenza di primo grado era stata confermata dalla Corte d‘Appello di Bologna. Gli imputati hanno avanzato ricorso per Cassazione, eccependo che il Giudice aveva applicato la normativa ex legge n. 102/2006, che aveva reso più gravi le pene, mentre il fatto contestato era avvenuto in precedenza, per cui doveva essere applicata la sanzione in vigore all’epoca dell’accaduto. I ricorrenti, nel corso del giudizio in Cassazione, avevano presentato memoria chiedendo la declaratoria di intervenuta prescrizione del reato. La Suprema Corte, sulla scorta del principio di diritto, ha annullato la sentenza impugnata senza rinvio perché il reato contestato era estinto per prescrizione. La Cassazione, alla luce delle argomentazioni svolte dai giudici di merito, ha ritenuto evidenziabili elementi attestanti la condotta colposa attuata da entrambi gli imputati e il nesso di causalità con l’evento delittuoso. (Maria Melizzi, Ambiente & Sicurezza, Il Sole 24 Ore, 24 novembre 2009, n. 22, p. 113)

Corte di Cassazione penale, Sezione IV, sentenza 21 settembre 2009 n. 36581 Infortuni sul lavoro - Normativa antinfortunistica - Ambito di applicazione - Responsabilità del committente - Condizioni - Fattispecie. (Dpr 27 aprile 1955 n. 547, articoli 4 e seguenti; Dlgs 19 settembre 1994 n. 626, articoli 1 e seguenti; Dlgs 9 aprile 2008 n. 81, articolo 26) Chi commissiona dei lavori di ristrutturazione di un proprio immobile è tenuto a scegliere un soggetto fornito della necessaria capacità tecnica e professionale e a vigilare affinché i lavori vengano eseguiti in condizioni di sicurezza, nel rispetto della normativa antinfortunistica. (Nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva mandato il committente assolto dal reato di omicidio colposo aggravato in danno dell’esecutore dei lavori edilizi commissionati, evidenziando come non fosse corretto argomentare la soluzione liberatoria dalla mancanza di un rapporto di subordinazione, giacché il committente doveva ritenersi comunque tenuto a scegliere un soggetto idoneo e a vigilare sull’effettuazione dei lavori in condizioni di sicurezza). (Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, 5 dicembre 2009, n. 48, p. 78)

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Cassazione penale, sez. IV, 6 agosto 2009, n. 32237 Prevenzione degli infortuni Lavori di ristrutturazione edile – Posizione di garanzia del Datore di lavoro e del Preposto – Pluralità delle posizioni di garanzia – Sussiste – Autonomia delle posizioni di garanzia – Valutazione – Sono autonome In tema di infortuni sul lavoro, se più sono i titolari della posizione di garanzia, ciascuno è, per intero, destinatario dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è, però, doveroso per l’altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente intervenuto. Ciò vale sia se le posizioni di garanzia siano sullo stesso piano, sia, a maggior ragione, allorché le posizioni di garanzia non siano di pari grado, giacché, in tale seconda ipotesi, il titolare della posizione di garanzia, il quale vanti un potere gerarchico nei confronti dell’altro titolare investito, a livello diverso, della posizione di garanzia rispetto allo stesso bene, non deve fare quanto è tenuto a fare il garante subordinato, ma deve scrupolosamente accertare se il subordinato è stato effettivamente garante ossia se ha effettivamente posto in essere la condotta di protezione a lui richiesta in quel momento.

Il datore di lavoro appaltatore, il subappaltatore e un tecnico fiduciario del primo sono stati condannati a 6 mesi di reclusione per la morte di un lavoratore, precipitato al suolo da un’altezza di oltre 4 m mentre era intento a effettuare i lavori di decorazione del soffitto della cappella di una chiesa. Al primo era stato contestato di non avere verificato che l’impalcato di servizio, allestito dall’appaltatore, sul quale avrebbero dovuto lavorare i propri dipendenti, fosse protetto da adeguati parapetti di protezione atti a scongiurare il pericolo di caduta verso il vuoto; al secondo, di avere ceduto in uso alla ditta subappaltatrice il ponteggio perimetralmente non protetto contro il pericolo di caduta dall’alto; al terzo, per non avere posto in essere i dovuti controlli atti a ripristinare tutte le condizioni di sicurezza dell’impalcato installato presso il cantiere, disponendo e consentendo che sul medesimo operasse il lavoratore, nonostante l’impalcato fosse privo di parapetti di protezione. Con il ricorso per Cassazione i difensori avevano dedotto, tra l’altro, che le questioni giuridiche inerenti all’esistenza e al valido conferimento di una delega di funzioni non erano state correttamente valutate dalla Corte d’Appello, ai fini della ripartizione degli obblighi di sicurezza in capo a ciascun imputato. Infatti, dopo avere escluso la delega, nondimeno i Giudici di merito avevano affermato la responsabilità anche del soggetto asseritamente delegato; al contrario, questo sarebbe stato possibile e conforme a diritto solo se la delega fosse risultata con certezza assoluta sia quanto alla sua esistenza sia quanto al suo preciso contenuto. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, enunciando il principio di diritto riportato in massima e rilevando, sul punto, che la posizione di garanzia del preteso delegato era del tutto autonoma e non derivata per delega da parte del coimputato (infatti, mancava un formale atto di delega o di preposizione); quindi, se è vero che il datore di lavoro può trasferire la propria posizione di garanzia prevenzionistica solo attraverso un provvedimento formale di delega ad altro soggetto subentrante, con puntuale indicazione delle funzioni ed esplicita accettazione, questo tuttavia non era nel caso di specie, laddove le funzioni di controllo e di dirigenza sul cantiere erano state affidate in concreto al preteso delegato, nell’ambito delle mansioni usualmente attribuitegli. (Pierguido Soprani, Ambiente&Sicurezza, Il Sole 24Ore, 8 dicembre 2009, n. 23, p. 76)

Valutazione di impatto ambientale

TAR PUGLIA, Bari, Sez. I – 18 novembre 2009, n. 2731 VIA – Regione Puglia – L.R. n. 11/2001 - Procedimento di valutazione di impatto ambientale – Conclusione – Termine di 90 giorni – Procedimento di screening –Termine di 60 giorni – Termini perentori – Materia non derogabile dalle Regioni – Artt. 31, 43 e 44 (oggi art. 20, c. 4) d.lgs. n. 152/2006. La conclusione del procedimento di valutazione di impatto ambientale è sottoposta al termine di

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novanta giorni (decorrenti dalla scadenza del termine per l’espressione dei pareri degli enti coinvolti), ai sensi dell’art. 13 della legge regionale pugliese n. 11 del 2001, secondo il quale l’autorità competente delibera la v.i.a. anche in assenza dei predetti pareri. Allo stesso modo, il sub-procedimento di verifica della assoggettabilità a v.i.a. (cosiddetto screening ambientale), ai sensi dell’art. 6, secondo comma, della legge regionale n. 11 del 2001, deve concludersi nel termine di sessanta giorni, secondo quanto disposto dall’art. 16, settimo comma, della medesima legge regionale. L’obbligo, per l’Amministrazione preposta, di pronunciarsi entro termini perentori sulle istanze di compatibilità ambientale costituisce principio fondamentale della materia non derogabile dalle Regioni, secondo l’originario disposto degli artt. 31, 43 e 44 del d. lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell’Ambiente), oggi sostituiti dal novellato art. 20, quarto comma, del Codice. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR EMILIA ROMAGNA, Parma – 26 ottobre 2009, n. 692 V.I.A. – Progetti di infrastrutture e strade extraurbane secondarie a carattere regionale – Regione Emilia Romagna – L.R. n. 9/99 – Procedura di screening – Possibili esiti – Termine di 60 giorni - Silenzio – Effetti – Sottoposizione a V.I.A. – Circostanza eventuale. Gli interventi inquadrabili nella tipologia “Progetti di infrastrutture” di cui all’allegato B.1, B.1.d), “Strade extraurbane secondarie a carattere regionale”, della L.R. Emilia Romagan n. 9 del 18.05.1999 (emanata in attuazione delle Direttive 85/337/CEE e 97/11/CE e del D.P.R. 12 aprile 1996), devono essere sottoposti a procedura di screening; tale procedura è disciplinata dagli artt. 9 e 10 della legge regionale, che prevedono che l’autorità competente, sulla base dei criteri indicati nell’allegato D, entro 60 giorni dalla pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione dell’annuncio di avvenuto deposito, verifica se il progetto deve essere assoggettato alla ulteriore procedura di V.I.A., esprimendosi sulle osservazioni presentate in contraddittorio con il proponente. La decisione può pervenire ad uno dei seguenti esiti: a) verifica positiva ed esclusione del progetto dalla ulteriore procedura di V.I.A.; b) verifica positiva ed esclusione del progetto dalla ulteriore procedura di V.I.A. con prescrizioni per la mitigazione degli impatti e per il monitoraggio nel tempo; c) accertamento della necessità di assoggettamento del progetto alla ulteriore procedura di V.I.A. prevista dagli artt. da 11 a 18. Trascorsi i 60 giorni, in caso di silenzio se dell’autorità competente, il progetto s’intende comunque escluso dalla ulteriore procedura di V.I.A. La sottoposizione dei progetti appartenenti alla categoria prima individuata alla procedura di V.I.A. è pertanto solo una eventualità che si presenta come obbligatoria qualora lo screening non si sia positivamente concluso. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

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Appalti

Contratti pubblici: accesso difensivo a maglie larghe Non è prevista alcuna limitazione legislativa di tipo “modale” all’accesso difensivo esercitato in relazione alla procedura di affidamento del contratto Massimiliano Atelli, Diritto e Pratica Amministrativa, Il Sole 24 Ore, novembre 2009, n. 11, p.57

Consiglio di Stato, sez. VI, decisione n. 6393 del 19 ottobre 2009 La massima Contratti pubblici - Procedura di gara - Atti presentati dall’offerente - Offerta tecnica - Diritto di accesso da parte degli altri concorrenti - Istanza di accesso per ragioni difensive - Diritto di accesso non limitabile L’articolo 13, Dlgs 163/2006, dopo aver previsto i casi in cui il diritto di accesso è escluso, dispone al comma 6 che, in relazione all’ipotesi di cui al comma 5, lettere a) e b), è comunque consentito l’accesso al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell’ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso, riaffermando quella tendenziale prevalenza del c.d. accesso difensivo, in generale disposta dall’articolo 24, comma 7, legge 241/1990. Ebbene, né l’articolo 13, comma 6, Dlgs 163/2006, né l’articolo 24 della legge 241/1990 nella formulazione risultante a seguito della legge 15/2005, prevedono che l’accesso c.d. difensivo, come tale prevalente sulle antagoniste ragioni di riservatezza o di segretezza tecnica o commerciale, possa e debba essere esercitato nella forma della sola visione, senza estrazione di copia. Il commento E' noto che, a legislazione vigente, lo strumento del diritto di accesso di cui alla L. n. 241 del 7 agosto 1990 è esplicabile non soltanto nei confronti degli atti detenuti dalla PA che siano stati da questa formati, bensì anche nei confronti di quelli da essa detenuti perché pervenutigli da soggetti privati. Talora, in quest'ultimo caso, gli atti ai quali gli aventi titolo possono richiedere l'accesso contengono informazioni economicamente sensibili, perché di forte valore commerciale o industriale. È giusto, perciò, che l'ordinamento si faccia carico del problema di assicurare un'idonea tutela anche per questo tipo di dati. Nel nostro sistema, a tale scopo è stata introdotta nel decreto legislativo n. 163 del 12 aprile 2006 (c.d. codice dei contratti pubblici) una disposizione ad hoc, ovvero l'art. 13. La questione di fondo Accesso alla documentazione di gara con o senza estrazione di copia. Questo, in estrema sintesi, il nodo interpretativo di fondo al centro della vicenda contenziosa decisa con la sentenza in commento, che ha offerto al Consiglio di Stato l'occasione per fare un approfondimento sul citato art. 13 del Dgs n. 163 del 2006. Una stazione appaltante consentiva, infatti, la sola visione, senza estrazione di copia, dell'offerta tecnica presentata dalla ditta aggiudicataria nel corso della procedura di gara indetta per l'affidamento del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo. Avverso questa decisione insorgeva la ditta che aveva richiesto l'accesso, ma il giudice adito respingeva il ricorso ritenendo che l'ostensione dei documenti contenenti progetti tecnici o studi presentati dai concorrenti è consentito nella sola forma della presa visione, con esclusione della possibilità di estrazione di copia.

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L'approfondimento Con la decisione in commento, il Consiglio di Stato ha accolto l'appello, osservando che, nel caso di specie, non è in discussione la fondatezza della pretesa ostensiva azionata dalla società ricorrente, bensì le modalità di esercizio della stessa da parte della stazione appaltante, la quale ha permesso la mera visione dei documenti, senza la possibilità di estrarne copia. In particolare, il giudice amministrativo di appello ha ritenuto applicabile la disciplina dettata per l'accesso agli atti delle procedure di gara di cui all'art. 13, Dlgs n. 163/2006, il cui comma 1 rinvia alla disciplina generale dell'accesso dettata dagli artt. 22 e seguenti della legge n. 241/1990, salvo a dettare talune disposizioni speciali. Tra queste, quelle previste dal comma 5 che, a salvaguardia del diritto alla riservatezza dei partecipanti alle procedure di affidamento e dei soggetti privati che hanno formato alcuni degli atti ivi indicati, introduce un divieto di accesso e di divulgazione assoluto e non circoscritto (come quello di cui al precedente comma 3) alla fase anteriore rispetto all'adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva, in quanto finalizzato non già a tutelare la regolarità della procedura di affidamento quanto a proteggere le posizioni giuridiche soggettive dei concorrenti in gara e degli altri soggetti privati coinvolti. Il citato comma 5 prevede, invero, che “fatta salva la disciplina prevista dal presente codice per gli appalti segretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, sono esclusi il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione in relazione alle informazioni fornite dagli offerenti nell'ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali”. Il legislatore, ha precisato il Consiglio di Stato, ha inteso quindi escludere dal raggio di azionabilità del diritto di ostensione la documentazione suscettibile di rivelare il know-how industriale e commerciale contenuto nelle offerte delle imprese partecipanti, sì da evitare che operatori economici in diretta concorrenza tra loro possano utilizzare l'accesso non già per prendere visione della stessa allorché utile a coltivare la legittima aspettativa al conseguimento dell'appalto, quanto piuttosto per giovarsi delle specifiche conoscenze possedute da altri al fine di conseguire un indebito vantaggio commerciale all'interno del mercato. Lo stesso comma 5 subordina, tuttavia, il funzionamento della causa di esclusione alla manifestazione di interesse da parte della stessa impresa cui si riferiscono i documenti cui altri intendano accedere: è necessario, invero, che si tratti di informazioni integranti, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali. Nel caso di specie il Collegio ha dovuto prendere atto della mancanza della prescritta manifestazione di interesse da parte della società controinteressata alla non divulgazione dei propri atti di gara, ai quali la società ricorrente ha chiesto l'accesso in forza della legge n. 241/1990, la quale non prevede alcun limite modale volto a escludere che l'accesso si eserciti mediante il conseguimento di copia, oltre che con la visione del documento. A quest'ultimo riguardo, il giudice amministrativo di appello ha precisato che lo stesso art. 13, Dlgs n. 163/2006, dopo aver previsto i casi in cui il diritto di accesso è escluso, dispone al comma 6 che “in relazione all'ipotesi di cui al comma 5, lettere a) e b), è comunque consentito l'accesso al concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell'ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso”. Si tratta di previsione che riafferma quella tendenziale prevalenza del c.d. accesso difensivo, in generale disposta dall'art. 24, co. 7, L. n. 241/1990. Ebbene, si specifica nella decisione in commento, né l'art. 13, co. 6, Dlgs n. 163/2006, né l'art. 24, nella formulazione risultante a seguito della legge n. 15/2005, prevedono che l'accesso c.d. difensivo, come tale prevalente sulle antagoniste ragioni di riservatezza o di segretezza tecnica o commerciale, possa e debba essere esercitato nella forma della sola visione, senza estrazione di copia. Quanto alla disciplina generale, in particolare, l'intervenuta normativa di cui alla L. n. 15 del 2005, modificativa in parte qua della L. n. 241 del 1990, comporta che debba ricomprendersi nel diritto di accesso sia la visione che il rilascio di copia del documento, attesa l'abrogazione della disposizione dettata dall'art. 24, comma 2, lett. d), nella formulazione originaria della L. n. 241/1990, che prevedeva, invece, a tutela della riservatezza dei terzi, persone e imprese, la possibilità di escludere il diritto d'accesso “garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici”: tale abrogazione fa ritenere superata ogni possibilità di distinguere tra le due indicate modalità di accesso (in termini, Tar Bari, sez. I, n. 337 del 5 febbraio 2007). La decisione in commento offre una interessante rappresentazione del rapporto venutosi a creare, dopo l'entrata in vigore del Dlgs n. 163 del 2006, fra la disciplina generale e quella speciale [1] in tema di accesso c.d. difensivo. Un punto, tuttavia, resta meno chiaro: quale sia l'esatta portata dell'esclusione del

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diritto di accesso e di ogni forma di divulgazione in relazione alle informazioni fornite dagli offerenti nell'ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali. Se, infatti, come afferma il Consiglio di Stato, la previsione di cui all'art. 13, comma 6, del Dlgs n. 163 del 2006 dispone quella tendenziale prevalenza del c.d. accesso difensivo, in generale prevista dall'art. 24, co. 7, L. n. 241/1990, nel senso che tanto l'art. 13, co. 6, Dlgs n. 163/2006, quanto l'art. 24, nella formulazione risultante a seguito della legge n. 15/2005, prevedono che l'accesso c.d. difensivo sia come tale prevalente sulle antagoniste ragioni di riservatezza o di segretezza tecnica o commerciale, occorre approfondire meglio il significato dell'art. 13, comma 5, lettera a). Al riguardo, nel caso di specie, dalla mancata formulazione della indicata manifestazione di interesse alla non divulgazione da parte della società aggiudicataria il giudice amministrativo di appello ha tratto la conseguenza della riespansione della disciplina generale in tema di accesso dettata dalla legge n. 241/1990. Sennonché, delle due l'una: o l'accesso non era nel caso di specie difensivo, e allora effettivamente la mancata formulazione della indicata manifestazione di interesse alla non divulgazione poteva fare la differenza, oppure l'accesso era invece difensivo (come sembra ritenere il Consiglio di Stato), e allora, giusta quanto stabilito dell'art. 13, comma 6, alcun fenomeno di riespansione poteva verificarsi, considerata la strutturale inefficacia della anzidetta manifestazione di interesse alla non divulgazione. Il punto è nodale, perché evidentemente ritenere esplicabile la manifestazione di interesse alla non divulgazione nei soli casi di accesso non difensivo ridurrebbe sensibilmente lo spettro operativo della disciplina speciale contenuta nell'articolo 13, comma 5, lett. a). Ma anche ove così fosse, rimarrebbe da chiedersi se la nozione di accesso difensivo rilevante ai fini dell'art. 13, comma 6, sia quella consolidatasi in sede di applicazione della L. n. 241, oppure no. Ciò perché, a ben vedere - diversamente da quanto stabilito nell'art. 24, comma 7, della L. n. 241 (“Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”) - l'art. 13, c. 6, del Dlgs n. 163/2006, dispone che in relazione all'ipotesi di cui al comma 5, lettere a) e b), è comunque consentito l'accesso al concorrente che lo chieda in vista, si badi, della (sola, aggiungeremmo) “difesa in giudizio” dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell'ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso. Conclusioni Appare possibile addivenire alla conclusione che, in tema di accesso alla documentazione di gara, in conformità all'art. 13 del Dlgs n. 163 del 2006, l'accesso difensivo tende a prevalere sulle antagoniste ragioni di riservatezza o di segretezza tecnica o commerciale, ma soltanto laddove l'autore della richiesta di ostensione prospetti una finalità di difesa in giudizio, in senso proprio. Con la conseguenza che, ove invece richiesto da taluno per la “cura” extragiudiziale di propri interessi, l'accesso alla documentazione di gara potrebbe essere legittimamente denegato dalla stazione appaltante sulla base di una idonea manifestazione di interesse alla non divulgazione proveniente dalla ditta aggiudicataria [2] l _____ [1] Per il Consiglio di Stato, sez. V, n. 6121 del 9 dicembre 2008 “ l a norma in questione amplia i limiti oggettivi del segreto dettando delle regole speciali che devono considerarsi [...] incondizionatamente prevalenti sulla disciplina generale sulla trasparenza amministrativa, anche in mancanza di espressa previsione nell'ambito delle limitazioni oggettive di cui all'art. 24, L. n. 241/1990”. [2] Conclusione, questa, per vero già fatta propria dalla giurisprudenza. Per il già citato Consiglio di Stato, sez. V, n. 6121/2008, infatti, “sul piano oggettivo, l'accesso eccezionalmente consentito è strettamente collegato alla sola esigenza di una difesa in giudizio; in questa prospettiva, quindi, la previsione è molto più restrittiva di quella contenuta nell'art. 24, L. n. 241 cit., la quale contempla un ventaglio più ampio di possibilità, consentendo l'accesso ove necessario per la tutela della posizione giuridica del richiedente, senza alcuna restrizione alla sola dimensione processuale. Per altro, nel contesto dell'art. 13 cit., poiché si utilizza la locuzione 'in vista', non è necessario che, al momento della richiesta di accesso, il giudizio sia già instaurato, ma è sufficiente che la lite sia anche solo potenziale. Per non dilatare in modo irragionevole la portata della norma, si deve ritenere che essa imponga di effettuare un accurato controllo in ordine alla effettiva utilità della documentazione richiesta, alla stregua di una sorta di prova di resistenza [...]. In definitiva, dal combinato disposto dei commi 5 e 6, dell'art. 13, Dlgs n. 163 del 2006, discende che non è consentito esercitare l'accesso alla documentazione posta a corredo dell'offerta selezionata, ove l'impresa aggiudicataria abbia dichiarato che sussistano esigenze di tutela del segreto tecnico o commerciale, e il richiedente non abbia dimostrato la concreta necessità di utilizzare tale documentazione in uno specifico giudizio”.

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Edilizia e urbanistica

L'edilizia residenziale pubblica entra nel piano casa: le Regioni con bonus e regole ad hoc La normativa più estesa nel Lazio che, nell'ambito di programmi integrati, ammette un incremento fino al 40% e non pone limiti temporali all'utilizzo. In Puglia il bonus può arrivare al 45% mentre nelle Marche raggiunge il 50 per cento. Paolo Bertacco, Edilizia e Territorio, Il Sole 24 Ore, 7 dicembre 2009, n. 47, p.29 La nuova politica per l'edilizia residenziale pubblica trova la propria disciplina in molte delle legislazioni regionali sul c.d. piano casa. Ciò non stupisce se si considera che nell'intesa sottoscritta in data 31 marzo 2009 in sede di Conferenza Stato-Regioni ed enti locali erano stati espressamente e integralmente confermati gli impegni relativi al sostegno dell'edilizia sociale, assunti nel precedente Accordo firmato tra le medesime parti il 5 marzo 2009. Sulla scorta di tali impegni molte Regioni (non tutte peraltro) hanno iniziato a introdurre nelle proprie leggi attuative di tale intesa, alcune disposizioni volte a favorire e incentivare, mediante il riconoscimento di maggiori incrementi volumetrici, da un lato interventi di riqualificazione del patrimonio immobiliare pubblico e, dall'altro lato, possibilità di incremento dello stesso. Non solo; in taluni casi gli enti regionali hanno approfittato dell'occasione per introdurre vere e proprie norme programmatorie valevoli per l'intero settore degli immobili Erp nel solco dell'orientamento tracciato dalle recenti sentenze della Corte costituzionale che hanno stabilito inequivocabilmente che la programmazione nel settore dell'edilizia residenziale sociale è materia di competenza concorrente. Nelle parti successive vedremo quindi quali Regioni, e secondo quali modalità, hanno introdotto previsioni peculiari finalizzate alla riqualificazione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica. Abruzzo La normativa regionale della Regione Abruzzo (Lr n. 16 del 19 agosto 2009) riserva alla materia dell'edilizia residenziale pubblica un unico articolo che, come recita la stessa rubrica, consiste in una norma di interpretazione autentica dell'articolo 4, comma 1 della Lr 76/2001 in materia di alienazione di alloggi Erp. In particolare tale disposizione stabilisce che la Regione entro l'anno successivo all'incasso dei proventi delle vendite degli alloggi, provveda a utilizzarne l'80% per la realizzazione di interventi finalizzati alla riqualificazione e all'incremento del patrimonio abitativo pubblico, in conformità alla programmazione regionale sull'edilizia residenziale pubblica e sulla base delle esigenze territoriali delle singole Aziende territoriali per l'edilizia residenziale. Si tratta di una norma che, seppur non direttamente ricollegata alle previsioni recanti le forme di incentivazione agli interventi sul patrimonio edilizio esistente contenute negli articoli precedenti, conferma come i princìpi sanciti nell'Accordo Stato-Regioni siano stati positivamente recepiti dalla Regione. Peraltro, la mancanza di ogni ulteriore indicazione circa i tempi, le modalità e i contenuti di detti interventi di "riqualificazione e incremento del patrimonio abitativo pubblico" non consentono di verificare se tale iniziativa possa rappresentare una risposta concreta alla domanda sempre crescente che viene avanzata dai nuclei familiari in situazione di maggior disagio. Basilicata Diversa è invece la situazione in Basilicata dove la Lr n. 25 del 7 agosto 2009 prevede speciali forme di incentivazione espressamente finalizzate alla riqualificazione degli immobili pubblici residenziali.

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L'articolo 4, comma 1, stabilisce che la Regione, attraverso procedure di evidenza pubbliche non meglio precisate, promuove e valuta proposte di intervento di edilizia residenziale che prevedano la realizzazione o il recupero di alloggi sociali nella misura non inferiore al 40% della volumetria destinata alla residenza libera. Tali proposte devono avvenire nell'ambito di Programmi integrati di edilizia residenziale e riqualificazione urbana in Comuni ad alta tensione abitativa e in quelli con più di 10.000 abitanti e possono essere presentate alla Regione anche dai privati senza ricorso a risorse pubbliche di qualsiasi natura. Al riguardo si segnala che il legislatore regionale ha stabilito una priorità per le proposte di riqualificazione e riuso del patrimonio esistente rispetto a quelle di nuova realizzazione. I successivi commi dell'articolo in questione stabiliscono poi le modalità (canone e termine di durata) con cui gli alloggi devono essere locati e successivamente alienati. Anche con riferimento all'attività di riuso del patrimonio edilizio esistente la legge regionale della Basilicata contiene alcuni espressi riferimenti alla tematica dell'edilizia residenziale pubblica dal momento che tra le destinazioni d'uso per cui sono ammessi interventi straordinari di riutilizzo in deroga agli strumenti urbanistici vigenti vi sono oltre ai parcheggi e agli alloggi per disabili, anche gli alloggi sociali di cui al Dm 22 aprile 2008. Le suddette forme di incentivazione rimangono peraltro soggette al termine di validità temporale dell'intera disciplina stabilita dalla Lr 25/2009 fissata in due anni dalla sua entrata in vigore. Lazio La Regione Lazio è quella, tra le Regioni esaminate, che ha senza dubbio dedicato maggiore attenzione alla tematica dell'edilizia residenziale pubblica. Infatti cogliendo l'occasione rappresentata dalla legge regionale recante le misure straordinarie per il settore edilizio (Lr 11 agosto 2009, n. 21), il legislatore regionale non si è limitato a individuare previsioni specifiche per gli immobili residenziali di proprietà pubblica ma ha introdotto - al capo III - una vera e propria disciplina organica dell'edilizia residenziale pubblica e sociale come tale non limitata temporalmente dalle scadenze stabilite per le altre parti della normativa (due anni dalla scadenza dei termini assegnati ai comuni per assumere i provvedimenti di competenza). Per quanto concerne le norme più propriamente riferite al recepimento del piano casa nazionale, l'articolo 4 della Lr 21/2009 stabilisce in primo luogo che gli interventi di sostituzione edilizia mediante demolizione e ricostruzione, qualora ricadano in comuni destinatari del fondo regionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione (Lr 12/1999), debbano necessariamente destinare una quota non inferiore al 25% delle unità immobiliari aggiuntive (comprensive degli incrementi percentuali riconosciuti dai commi precedenti) alla locazione a canone concordato per un periodo non inferiore a otto anni. Nel caso di programmi integrati per il riordino urbano e delle periferie è poi previsto un incremento fino a un massimo del 40% della volumetria o superficie demolita, qualora la ristrutturazione urbanistica preveda una dotazione straordinaria degli standard urbanistici e delle opere di urbanizzazione primaria, nonché una quota destinata a edilizia residenziale sociale. Come anticipato, la legge regionale introduce poi un'apposita normativa di carattere generale riferita all'edilizia sociale (capo VII), intesa come disponibilità di alloggi realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati, con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche quali esenzioni fiscali, assegnazioni di aree o immobili, fondi di garanzia, agevolazioni di tipo urbanistico, destinati alla locazione permanente a canone sostenibile oppure a riscatto. Senza voler pretendere di esaurire in questa sede l'analisi di una disciplina tanto importante è qui il caso di segnalare che la modalità operativa prevista dal legislatore è quella di un piano straordinario decennale, di emanazione regionale, di interventi finalizzati in particolare alla manutenzione e realizzazione di edilizia sovvenzionata anche attraverso il recupero di edifici dismessi. Marche Anche la Regione Marche si è pronunciata con favore verso gli immobili Erp nell'ambito degli interventi per il riavvio delle attività edilizie approvati con la legge regionale 8 ottobre 2009 n. 22, inserendo una norma apposita. L'articolo 3 stabilisce infatti che gli interventi di ampliamento e di demolizione e ricostruzione, con contestuale possibilità di incremento della cubatura da un minimo del 20% (per l'ampliamento) fino a un massimo del 35% della volumetria esistente (nel caso di demolizione e ricostruzione) si

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applichino anche agli edifici destinati a opere pubbliche o di pubblica utilità, compresi gli edifici di edilizia residenziale pubblica, nonché per gli immobili di proprietà della Regione, degli enti locali e delle aziende del servizio sanitario regionale inseriti nel piano delle alienazioni. Non solo. Il legislatore regionale ha previsto un ulteriore incremento percentuale degli interventi di ampliamento - fino al 50% della volumetria esistente - nel caso di accordi di programma tra gli Erap e i Comuni interessati; il favor nei confronti del patrimonio immobiliare pubblico trova poi ulteriore estensione nella deroga circa la localizzazione degli interventi alle sedi istituzionali di Regione ed enti locali che il terzo comma dell'articolo in commento, diversamente da quanto previsto per tutte le altre ipotesi, riconosce ammissibili anche nei centri storici e nelle aree tutelate. Infine, sulla scorta di quanto previsto dalla legge, che intende migliorare la sicurezza degli edifici e promuovere tecniche di edilizia sostenibile, è stabilito che gli interventi in esame siano assoggettati alla disciplina antisismica e prevedano il miglioramento dell'efficienza energetica e l'utilizzazione di fonti energetiche alternative. Puglia I meccanismi premiali correlati alla realizzazione di interventi di riqualificazione sul patrimonio Erp sono presenti anche nella legislazione regionale della Puglia (articolo 9 della Lr n. 14 del 30 luglio 2009) la quale stabilisce un limite massimo pari al 45% della volumetria preesistente per interventi di demolizione e ricostruzione su immobili con destinazione residenziale qualora una quota minima, pari al 20% della volumetria realizzata, sia destinata a edilizia residenziale sociale. A tale proposito si segnala che anche tale norma regionale, al pari di quanto visto in precedenza, richiede il soddisfacimento di alcuni requisiti inerenti l'edilizia sostenibile, prescrivendo che l'edificio ottenga una certa certificazione energetica ai sensi della Lr 13/2008. Gli altri requisiti richiesti, quali ad esempio la stipula di una convenzione con l'amministrazione comunale o la localizzazione nell'ambito di talune zone del territorio comunale non trovano applicazione solo nel caso in cui gli interventi siano promossi da Comuni o da istituti autonomi case popolari (Iacp) e riguardino immobili residenziali di loro proprietà. Sardegna La legislazione regionale sul piano casa della Regione Sardegna introduce una disciplina peculiare che è rivolta all'intero patrimonio edilizio pubblico. L'articolo 6 della legge regionale 23 ottobre 2009 n. 4, infatti, non contiene una previsione di dettaglio con riferimento agli immobili Erp ma stabilisce che al fine di una riqualificazione del patrimonio immobiliare di proprietà pubblica è ammesso un incremento del 20% della volumetria esistente, anche in deroga agli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici vigenti. L'incentivazione aumenta fino a un massimo del 30% qualora l'intervento riguardi immobili pubblici non in uso per carenze funzionali e strutturali e sia volto a recuperarne l'utilizzo migliorando sia la qualità architettonica sia la sicurezza e l'accessibilità dei fabbricati. Sebbene, come detto, la norma regionale consenta di procedere in deroga ai parametri edilizio-urbansitici vigenti nel territorio comunale viene stabilito un limite di esclusione della disciplina per quegli edifici che si trovano nella fascia di 300 metri dalla battigia (ridotta a 150 metri per le isole minori), salvo che gli interventi consistano nella demolizione dei volumi incongrui e successivo trasferimento, in questo caso con relativo incremento, oltre la fascia medesima. Tale limitazione risponde all'evidente tentativo di mantenere la politica regionale di incentivazione sul recupero del patrimonio edilizio esistente (pubblico e privato) entro i limiti della tutela e del decoro paesaggistico già sancito dalla normativa urbanistica vigente nella Regione. Friuli Venezia Giulia La Regione Friuli Venezia Giulia ha inserito la disciplina in oggetto nell'ambito del più complesso testo di legge relativo alla normativa nel campo dell'edilizia, approvato dal Consiglio regionale in data 29 ottobre 2009. Come si legge nella relazione alla legge, infatti, il capo VII (articoli da 57 a 60) accorpa in modo sistematico tutti gli interventi straordinari previsti dall'Accordo Stato- Regioni in materia di piano casa e le ulteriori previsioni regionali di coordinamento con gli strumenti urbanistici vigenti. L'articolo 60 della suddetta legge regionale, nel disciplinare le misure di promozione per la sostituzione di edifici ed esecuzione degli interventi in ambiti sottoposti a pianificazione attuativa, stabilisce che i Comuni, in sede di pianificazione attuativa, possano disporre la non concorrenza

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degli alloggi destinati a edilizia residenziale pubblica sovvenzionata o convenzionata di cui alla Lr 6/2003, per la determinazione del numero di posti auto da destinare a parcheggi pubblici di relazione. A tale riguardo non può non osservarsi che l'incentivo alla realizzazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica studiato dal legislatore regionale, non appare particolarmente significativo dal momento che si risolve in una minore richiesta di spazi a parcheggio ma non porta vantaggi significativi per un operatore privato. E' di tutta evidenza che l'incentivazione alla realizzazione e o riqualificazione del patrimonio residenziale pubblica è maggiormente efficace quando - come abbiamo visto esaminando le leggi precedenti - vengono previsti incrementi percentuali della volumetria privata complessivamente realizzabile. In ogni caso trattandosi di una normativa di carattere straordinario, il legislatore regionale ha previsto che la stessa trovi applicazione purché i lavori inizino entro cinque anni dall'entrata in vigore della legge (articolo 57) che, con specifico riferimento al capo VII l'articolo 68 stabilisce essere il giorno successivo alla pubblicazione sul Bollettino. Conclusioni In conclusione di questo sintetico excursus sulla normativa regionale in materia di edilizia residenziale pubblica occorre segnalare che non sono state affrontate e commentate le leggi sul piano casa emanate dalla Regione Liguria e dalla Valle d'Aosta in quanto in esse il legislatore non ha previsto alcuna specifica disposizione sull'argomento.

I PREMI E LE FACILITAZIONI PER L'EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA

Regione Tipologia di intervento

Validità

Bonus specifici per

l'edilizia pubblica

Altri incentivi Condizioni Altre

previsioni

Basilicata

Lr 7 agosto 2009, n. 25

Riutilizzo di superfici coperte e libere dei piani terra di edifici esistenti

8 agosto 2009

-

Deroga agli strumenti urbanistici vigenti

Destinazione delle nuove superfici ad alloggi sociali o ad alloggi per persone handicappate

Promozione, da parte della Regione, di Programmi integrati di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana

Friuli Venezia Giulia

Lr 11 novembre 2009, n. 19

Interventi sottoposti a piani attuativi

inizio dei lavori entro il 19 novembre 2014

-

I Comuni possono non computare la superficie lorda di pavimentazione destinata a Erp nel calcolo della quota minima di parcheggi pubblici di relazione

- -

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Regione Tipologia di intervento

Validità

Bonus specifici per

l'edilizia pubblica

Altri incentivi Condizioni Altre previsioni

Sostituzione con ampliamento sino al 35% con realizzazione di nuove unità immobiliari in comuni destinatari del fondo regionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione

4 dicembre 2011

- -

Obbligo di destinare il 25% per cento delle unità immobiliari aggiuntive alla locazione a canone concordato

Lazio

Lr 11 agosto 2009, n. 21

Interventi di sostituzione edilizia compresi in programmi integrati per il riordino urbano e delle periferie

4 dicembre 2011

Incremento fino al 40% della volumetria o superficie demolita

-

Generico riferimento all'obbligo di prevedere una quota destinata a edilizia residenziale sociale

Il Capo VII della legge regionale introduce una nuova disciplina organica dell'edilizia residenziale pubblica e sociale

Lombardia

Lr 16 luglio 2009, n. 13

Ampliamento/ sostituzione edilizia di edifici Erp esistenti al 31 marzo 2005

15 ottobre 2011 (per gli altri incentivi del piano casa il termine è più breve e cioè il 15 aprile 2011)

Nuova volumetria da destinare a Erp, compresa l'edilizia convenzionata, in misura non eccedente il 40% della volumetria complessiva destinata a Erp esistente nel quartiere

Possibile cedere la nuova volumetria in tutto o in parte ad altri operatori che si impegnino a realizzare gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, compresa l'edilizia convenzionata

Iniziativa riservata ai soggetti pubblici proprietari di edifici Erp. Obbligo di conseguire obiettivi di risparmio energetico nella nuova volumetria e di realizzare interventi di recupero ambientale del quartiere

Norme finalizzate ad accelerare la conclusione degli interventi regionali di Erp

Marche

Lr 8 ottobre 2009, n. 22

Demolizione e ricostruzione di immobili Erp

30 aprile 2011

Aumento sino al 50% della volumetria esistente

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Regione Tipologia di intervento

Validità

Bonus specifici per l'edilizia pubblica

Altri incentivi Condizioni Altre

previsioni

Piemonte

Lr 14 luglio 2009 n. 20

Ampliamento di edifici di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata

31 dicembre 2011

20% della volumetria (non c'è il limite di 200 metri cubi previsto per gli ed. residenziali

-

Raggiungimento di obiettivi di qualità ambientale ed energetica degli interi edifici (valore 1 Protocollo Itaca Piemonte)

-

Demolizione e ricostruzione di edifici residenziali

Nessun limite temporale

Incremento sino al 45% della volumetria preesistente

-

Gli edifici ricostruiti devono essere destinati, per almeno il 20% a edilizia sociale

-

Puglia

Lr 30 luglio 2009 n. 14

Demolizione e ricostruzione su immobili già destinati a Erp

Nessun limite temporale

Incremento sino al 45% della volumetria

-

Interventi promossi da comuni o istituti case popolari che riguardino immobili destinati a edilizia residenziale pubblica di loro proprietà

-

Sardegna

Lr 23 ottobre 2009, n. 4

Ampliamento o sostituzione edilizia di edifici destinati ad attività istituzionali o comunque pubbliche

2 maggio 2011

Incremento del 20%, elevabile al 30% per interventi su edifici inutilizzati volti al ripristino delle finalità pubblicistiche

Non nei 300 metri dalla linea di battigia (salva la demolizione e trasferimento)

Gli interventi devono essere finalizzati alla riqualificazione/ ripristino degli edifici

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Energia

Nuovo stop della Corte costituzionale alle restrizioni regionali sugli impianti eolici Contrariamente ad altre esperienze europee, dove il riparto di funzioni in materia energetica è modulato secondo lo spartiacque della potenza erogata delle opere da realizzare, il nostro ordinamento ha scelto la parcellizzazione delle competenze Guerino Fares, Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, 12 dicembre 2009, n. 49, p.106

Corte costituzionale - Sentenza 2-6 novembre 2009, n. 282 La Corte costituzionale, con la sentenza 6 novembre 2009 n. 282, dichiara illegittime alcune disposizioni della legge regionale del Molise n. 15 del 2008, dopo averne riscontrato l'attitudine a rallentare l'installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, materia oggetto di una serie di provvedimenti legislativi statali, fra cui spicca in particolare il Dlgs 387/2003, il quale recepisce lo spirito e i contenuti della disciplina comunitaria, ispirata a un chiaro favor per le fonti energetiche rinnovabili e tesa, quindi, a favorire le condizioni per la più ampia diffusione dei relativi impianti e infrastrutture. Le fonti energetiche rinnovabili fra Europa, Stato e regioni - L'impugnata normativa regionale, benché nel frattempo superata dalla legge regionale del Molise 22/2009, risulta aver prodotto effetti medio tempore, di modo che viene regolarmente scrutinata - sotto il profilo della sua compatibilità con l'assetto costituzionale di riparto delle competenze - dalla Consulta, la quale chiarisce, con statuizioni suscettibili di applicazione generalizzata, che la disciplina degli insediamenti di impianti eolici e fotovoltaici rientra nella competenza concorrente di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia». Richiamando suoi precedenti, la Corte riconosce che, nel contesto da essa preso in esame, assume rilievo anche la competenza esclusiva statale in tema di tutela dell'ambiente e del paesaggio (articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione). Tuttavia, risulta centrale il profilo afferente alla gestione delle fonti energetiche in vista di un efficiente approvvigionamento nei diversi ambiti territoriali. In detta cornice, l'intera analisi viene condotta dal giudice costituzionale secondo il criterio della verifica del rispetto dei principi fondamentali posti dalla legislazione statale. In quest'ottica, vengono cassate le disposizioni che individuano le aree e i siti inidonei all'installazione di impianti eolici e fotovoltaici, violando il vincolo attuativo delle apposite linee guida la cui predisposizione è rimessa dall'articolo 12, comma 10, del decreto legislativo 387/2003 alla Conferenza unificata nel perseguimento del principio di leale collaborazione chiamato a contemperare le esigenze correlate alla produzione energetica, da un lato, e gli altri interessi pubblici in gioco, dall'altro (per l'insurrogabilità delle linee guida già si era espressa di recente Corte costituzionale n. 166 del 2009). Per la stessa ragione, risultano incostituzionali le norme che vietano di installare impianti off-shore, a fronte della prescrizione di cui all'articolo 12, comma 3, del decreto legislativo n. 387, che, viceversa, fonda il potere ministeriale di rilascio dei provvedimenti abilitativi e affida sempre allo Stato l'esercizio delle funzioni amministrative inerenti le fonti energetiche connesse al demanio marittimo e alle zone del mare territoriale (sul punto si è da poco pronunciata la stessa Corte costituzionale con sentenza n. 88 del 2009). In direzione identica volgono gli ultimi due responsi della Corte, riguardanti, rispettivamente, l'osservanza del procedimento amministrativo di autorizzazione e la previsione di misure compensative a carico del richiedente.

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Disciplina delle procedure di autorizzazione: di chi è la competenza? - Sotto il primo aspetto, a finire sotto accusa è la norma che - nelle more della ripartizione fra le varie regioni degli obiettivi indicativi nazionali di consumo futuro di elettricità prodotta da fonti rinnovabili in termini percentuali del consumo totale (adempimento cui provvede la Conferenza unificata ex articolo 10 del Dlgs n. 387) - sospende il rilascio di autorizzazioni oltre un dato tetto massimo, diversamente quantificato a seconda della specifica fonte (limite numerico per gli impianti eolici, limite di potenza complessiva per gli impianti fotovoltaici). Ebbene, tale moratoria, estesa anche ai procedimenti amministrativi in corso, viene giudicata incostituzionale in quanto la legge dello Stato, che non subordina il rilascio delle autorizzazioni in oggetto alla previa definizione degli obiettivi indicativi regionali, nel fissare il termine perentorio di centottanta giorni per la conclusione del procedimento in questione sancisce un principio fondamentale inderogabile per il legislatore regionale: principio evidentemente violato dalla prevista necessità dell'adozione preventiva, e non circoscritta temporalmente, degli obiettivi indicativi, e dalla posizione di ulteriori limiti quantitativi il cui superamento inibisce la concessione di nuovi atti autorizzatori. Rifacendosi alle statuizioni della precedente sentenza 364/2006, la Corte ribadisce che la previsione di un termine massimo entro cui il procedimento autorizzativo deve essere definito risponde a esigenze di semplificazione amministrativa e di celerità ed è preordinata ad assicurare una regolamentazione uniforme sull'intero territorio nazionale. È, del resto, sempre più ricorrente nella giurisprudenza costituzionale l'affermazione secondo cui la disciplina legislativa statale di moduli e istituti procedimentali informati alle regole della celerità e semplificazione amministrativa è espressiva di principi fondamentali vincolanti la legislazione regionale: si veda, in precedenza, sentenza 303/2003 relativa alla Dia (denuncia di inzio attività) edilizia; sentenza 336/2005 relativa alla Dia per gli impianti di telecomunicazioni. Con riferimento al termine di conclusione delle procedure, dalla sentenza si trae conferma di come la disciplina dell'attività amministrativa non sia riconducibile, in modo rigido e statico, al sistema di riparto di competenze delineato dall'articolo 117 della Costituzione, all'interno del quale non è invero reperibile un titolo specifico che fondi la potestà dello Stato o delle regioni in materia. Occorre, pertanto, sempre decifrare l'ambito materiale di volta in volta inciso dal singolo episodio di esercizio del potere, per dedurne la competenza a dettare la rispettiva disciplina, in esito a una indagine che presenta una dimensione orizzontale e una dimensione verticale. La disciplina dell'attività amministrativa, in definitiva, interseca potenzialmente e con carattere trasversale una pluralità di materie e può essere ricondotta a vari titoli competenziali. È così che, da un lato, la definizione in generale della durata massima del procedimento attiene alla competenza esclusiva statale in tema di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione (articolo 29, comma 2-bis, della legge 241/1990, come modificata dalla legge 69/2009), sicché gli enti di autonomia, pur liberi di modulare i tempi dei procedimenti di loro spettanza, non possono eludere il termine massimo di chiusura, che l'articolo 2, della legge n. 241, fissa al fine di scongiurare condotte definitivamente omissive. E, dall'altro, la previsione del termine conclusivo può costituire espressione anche di un principio fondamentale, di modo che alla regione o all'ente locale non è consentito eluderla attraverso atteggiamenti protratti di inerzia che, nella sostanza, violano il divieto di integrazione normativa al di sotto dello standard minimo garantito dalla legislazione statale. In sintesi, la sentenza in esame, inscrivendosi in una linea di tendenza che va prendendo sempre più corpo, si sostanzia in un monito ai legislatori regionali circa l'inammissibilità di interventi atti a contraddire in senso tendenzialmente restrittivo la legislazione statale di principio sui sistemi di produzione di energia da fonti rinnovabili. Su tali premesse, costituisce disciplina di principio la conformazione e delimitazione del regime autorizzatorio per nuove attività di gestione ed esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili (Tar Puglia, Bari, sezione I, 24 settembre 2009 n. 155). Sono, analogamente, sospettabili di contrasto con la normativa statale di principio quelle disposizioni di legge regionale che dispongano il blocco sine die della realizzazione di nuovi impianti per l'assenza del Piano regolatore comunale per l'installazione di impianti eolici (Tar Puglia, Bari, sezione I, 9 settembre 2009 n. 148). Considerato che la forma di inquinamento ascrivibile agli impianti eolici è essenzialmente quella acustica, e posto che nessuna norma o principio riconosce come prevalente l'esigenza energetica

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rispetto alla tutela ambientale, rientra nel potere discrezionale del competente organo amministrativo la comparazione e il bilanciamento dei vari interessi e valori sottesi alla vicenda di volta in volta presa in esame (Tar Sardegna, sezione II, 3 ottobre 2006 n. 2083), attraverso gli strumenti più adeguati al caso di specie: ad esempio, la Via può rivelarsi non necessaria e ci si può limitare, in fase di esame preliminare del progetto, all'imposizione di prescrizioni di carattere tecnico-esecutivo da osservare nelle successive fasi progettuali e finalizzate all'eliminazione o attenuazione degli impatti sfavorevoli sull'ambiente (cosiddetta procedura di screening: Tar Toscana, sezione II, 25 maggio 2009 n. 888). I limiti all'imposizione delle misure compensative - L'ultima censura analizzata dalla Corte investe la previsione di una somma di denaro posta a carico del richiedente l'autorizzazione, a titolo di oneri di istruttoria. Sul punto, la normativa statale è nel senso che misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale possono sì essere imposte in casi eccezionali - ossia quando esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività e impianti a elevato impatto - anche in relazione agli impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili (così Corte costituzionale, 383/2005 e 248/2006); ma, in nessun caso, tali misure possono essere destinate in favore delle regioni e delle province e tanto meno a esse può essere condizionato il conseguimento dell'autorizzazione (articolo 12, comma 6, del Dlgs n. 387). Dal tenore del dettato normativo suesposto, sembrerebbe che se beneficiaria della misura di compensazione non può essere la regione, possano invece esserlo le collettività locali, e in particolare i comuni in qualità di enti esponenziali. Tuttavia, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di puntualizzare che le stesse misure compensative non devono avere un carattere meramente patrimoniale e devono inoltre essere concrete e realistiche, ossia determinate tenendo conto delle specifiche caratteristiche dell'impianto da realizzare e del suo effettivo impatto ambientale e territoriale: non dà, pertanto, luogo automaticamente a misura compensativa la semplice circostanza che venga realizzato un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e dimensioni e dal suo impatto sull'ambiente (Consiglio di Stato, sezione III, 14 ottobre 2008 n. 2849, parere). Argomentando diversamente, i produttori di energia da fonti rinnovabili verrebbero gravati di costi di produzione supplementari a beneficio di ristrette comunità e a discapito della generalità degli utenti finali; d'altro canto, la determinazione e la misura dell'eventuale contributo accollato alle imprese titolari di nuovi impianti costituiscono norme di principio non derogabili dalle regioni (Tar Puglia, Bari, sezione I, 8 marzo 2008 n. 530). Le conclusioni: la problematica confluenza di più materie e interessi - In conclusione, il profluvio di ricorsi intentati dallo Stato nei confronti delle leggi regionali sull'energia prodotta da fonti rinnovabili sconta fatalmente l'intreccio di competenze che si sovrappongono nella materia de qua. Contrariamente ad altre esperienze europee, ove il riparto di funzioni in materia energetica è modulato secondo lo spartiacque della potenza erogata dagli impianti da realizzare (S. Manica, «Modelli a confronto: l'esperienza spagnola», in D. Florenzano-S. Manica (a cura di), «Il governo dell'energia tra Stato e regioni», Trento, 2009, 233), il nostro ordinamento ha compiuto la scelta della parcellizzazione delle competenze: competenze che vengono frazionate fra diversi enti e che possono essere perfino esercitate dal medesimo ente in base a titoli diversi. Ci si riferisce, a quest'ultimo riguardo, alla circostanza per cui il legislatore statale, nelle materie di sua esclusiva competenza, è legittimato a porre anche norme di principio, oltre a norme di dettaglio. Può così accadere che la stessa disposizione - il qui esaminato articolo 12, comma 10, del decreto legislativo 387/2003 - in un primo tempo ricondotta dalla Corte costituzionale alla potestà esclusiva statale sulla tutela dell'ambiente di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione (Corte costituzionale 166/2009), viene subito dopo (dalla sentenza 282/2009 in esame) riqualificata dalla stessa Corte come norma di principio passibile di ulteriori svolgimenti normativi per la regolamentazione dei profili di dettaglio. Posto, dunque, che nella complessiva disciplina di semplificazione delle procedure autorizzative all'installazione di impianti energetici alimentati da fonti rinnovabili, la tutela ambientale e paesaggistica interseca altre materie ricomprese nelle voci di competenza ripartita di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione (produzione, trasporto e distribuzione di energia, governo del territorio ecc.), la stessa norma può costituire, all'un tempo e a seconda della prospettiva in cui ci si pone, espressione della competenza esclusiva statale e principio fondamentale in materia di competenza concorrente.

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Fisco

Tarsu, l'Ente deve motivare la tariffa differenziata Le incertezze interpretative e i tanti cambiamenti normativi alimentano il contenzioso con le amministrazioni locali. Ma ora arrivano le prime sentenze Claudio Carbone, Guida agli Enti Locali, Il Sole 24 Ore, 28 novembre 2009, n. 47, p .79 È consentito al Comune stabilire tariffe della tassa di smaltimento rifiuti solidi e urbani differenziate tra le abitazioni civili e gli esercizi alberghieri? In caso affermativo, la delibera adottata deve essere motivata? Il regolamento di disciplina può essere disapplicato, ad esempio, sotto il profilo dell'ingiustificata disparità di trattamento per elevata differenziazione tariffaria fra categorie ritenute omologhe dalla stessa legge, nonché per omessa motivazione di tale differenziazione? Su questi aspetti si è recentemente espressa la Commissione tributaria provinciale di Palermo con la sentenza n. 381/2009 (leggibile in archivio sentenze e decisioni del sito www.entilocali.ilsole24ore.com), che ha esaminato il ricorso a una cartella di pagamento della tassa di smaltimento rifiuti solidi e urbani da parte di una società alberghiera per avere il Comune applicato una tariffa a mq di gran lunga superiore rispetto a quelle delle abitazioni. Violando così, a parere dell'istante, l'articolo 68, del Dlgs 507/1993 di disciplina della potestà regolamentare dei Comuni in materia, e sostenendo, altresì, l'illegittimità del regolamento: a) per violazione degli articoli 61 e 69 del medesimo decreto, di disciplina rispettivamente del gettito del servizio a copertura dei costi sostenuti per lo svolgimento del servizio e di adozione delle delibere tariffarie; b) per vizio di competenza, atteso che le delibere di modifica erano state adottate dalla Giunta e non dal Consiglio comunale; c) per assoluta mancanza di motivazione nell'adozione delle tariffe differenziate; d) per violazione articolo 7, legge 135/2001, di disciplina delle imprese turistiche e delle attività professionali. Le questioni di fondo Senza entrare nel merito delle controdeduzioni del Comune, vale la pena, invece, soffermarsi sulle motivazioni indicate dai giudici palermitani per sostenere la decisione con cui ha accolto parzialmente il ricorso e che possono sintetizzarsi nel seguente principio: la scelta degli organi comunali di differenziare le tariffe deve essere adeguatamente motivata, con la conseguenza che il regolamento comunale che collochi in equivalenti categorie tariffarie esercizi alberghieri e immobili a uso abitativo, può essere disapplicato, sotto il profilo della mancata indicazione dei criteri sottesi alla loro assimilazione. La Commissione tributaria provinciale di Palermo, con la decisione n. 381/2009, non conferma l'indirizzo di recente espresso dalla Suprema Corte di cassazione, Sezione tributaria. Con la sentenza n. 11655/2009 i supremi giudici, richiamando la giurisprudenza costante della Corte (vedi da prima la sentenza n. 5722/2007), hanno precisato infatti che in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu), è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni e assoggettata a una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime. La maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto a una civile abitazione costituisce, a parere del massimo organo giurisdizionale, un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, e assunto, quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa, anche dal Dlgs 22/1997, senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell'attività.

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Il quale può, eventualmente, dar luogo all'applicazione di speciali riduzioni d'imposta, rimesse alla discrezionalità dell'ente impositore. I rapporti tra le tariffe, indicati dall'articolo 69, comma 2, del Dlgs 507/1993 tra gli elementi di riscontro della legittimità della delibera, non vanno d'altronde riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe e i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica. Il suddetto principio di diritto, peraltro, è stato anticipato dalla Corte di cassazione, Sezione tributaria, con le sentenze n. 8278 e 8274 del 2008, sempre di richiamo della sentenza n. 5722 del 2007. In tali termini, infine, si era già espresso il Consiglio di Stato con la sentenza n. 10658/2006 (si veda anche il commento pubblicato nel n. 31/2009 di Guida agli Enti Locali) Possibili sviluppi La decisione della Ctp di Palermo evidenzia la necessità che sia fatta chiarezza al più presto sulle procedure di determinazione delle tariffe, non soltanto perché negli ultimi anni è cresciuto il contenzioso, ma soprattutto per la circostanza che la giurisprudenza si è espressa in maniera contraddittoria. Come evidenziato nella sentenza n. 616/2008 della Ctp di Lecce, Sezione IX, «la questione va risolta sotto il profilo di una corretta applicazione della norma di cui all'articolo 68, del Dlgs n. 507/1993, che comprende in una unica categoria gli esercizi alberghieri e le abitazioni. Nello specifico delle attività alberghiere, la lettera c), del comma 2, dell'articolo 68, stabilisce un'unica classificazione tariffaria a proposito dei locali ed aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, esercizi alberghieri. Ne deriva, quindi, che la volontà del legislatore è stata quella di configurare una piena equiparazione tra le civili abitazioni e le attività alberghiere, ai fini della tassazione in esame. Sul punto va richiamato quanto espresso dalle Finanze con la risoluzione n. 55/E del 1997, in cui si sostiene che ai fini dell'applicazione della Tarsu, nel formulare la classificazione delle categorie e nello stabilire le tariffe per ciascuna di esse, i comuni debbono tenere conto delle indicazioni fornite dall'articolo 68, comma 2, del Dlgs n. 507/1993». Su queste premesse, il Collegio ha ritenuto di dover dare adeguato rilievo al principio per cui aree che presentino la stessa potenzialità di rifiuti, salve diverse risultanze in fatto riscontrabili per particolari attività o per particolari condizioni o modalità di svolgimento della medesima attività, debbano essere tassate con il medesimo criterio. Nel caso delle attività alberghiere, appaiono sussistere aree aventi una diversa potenzialità produttiva di rifiuti: maggiore per le aree destinate a ristorazione, cucine e altro, minore per le aree destinate alle unità abitative. Tale valutazione conclusiva ha portato il Collegio a ritenere legittima la tassazione delle aree non destinate a uso abitativo, disponendo la riliquidazione della tassa per quelle aree destinate a unità abitative. Da ultimo, va segnalata la sentenza n. 750/2009 del Consiglio di Stato, Sezione V, che ha esaminato il contenzioso relativo all'adeguamento tariffario della Tarsu, dove la parte appellante ha eccepito, tra l'altro, che, a mente dell'articolo 65 del Dlgs 507/1993, dovrebbe corrispondere un omogeneo trattamento tariffario a categorie o sottocategorie omogenee quanto a produzione quantitativa e qualitativa dei rifiuti, mentre invece, con la delibera impugnata il Comune ha applicato per le categorie appartenenti alla medesima classe C tariffe che si discostano tra loro fino al triplo. Tanto appare particolarmente evidente con riferimento alla sottocategoria C3, in cui l'aumento tariffario interessa solo alberghi e campeggi, a dimostrazione dell'utilizzo non del criterio della oggettiva capacità di produzione dei rifiuti, bensì di quello della capacità economica dei soggetti gravati. Al riguardo, il giudice di appello ha osservato che la delibera impugnata ha motivato in ordine all'esigenza di non dover modificare la tariffa prevista per le abitazioni civili, già abbastanza elevata ed alla necessità di porre rimedio all'evidente sproporzione tra le tariffe introdotte a carico di alcune categorie di attività produttive e la potenzialità di produzione dei rifiuti individuata dal Dpr 158/1999. Assume rilievo decisivo, in particolare, la circostanza che la sproporzione assumeva una cospicua consistenza per quanto riguarda la Categoria C3 la cui tariffa base, di poco inferiore a quella delle abitazioni private, con evidenza risultava sottodimensionata rispetto alla effettiva potenzialità di

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produzione dei rifiuti individuata sulle base dei coefficienti di cui al Dpr 158/1999. Inoltre, sempre rileva il Consiglio di Stato, da un raffronto tra i coefficienti medi di produzione dei rifiuti previsti dalla Tabella 4b del citato Dpr per le attività industriali e artigianali, per le banche e per gli uffici e studi professionali, caratterizzati nell'ambito di tale tabella da coefficienti medi di produzione dei rifiuti analoghi se non inferiori a quelli previsti per le strutture alberghiere, per i campeggi e per i collegi, si ricavava l'illogica applicazione a questi ultimi di tariffe molto inferiori. Per quanto concerne la differenziazione operata rispetto ai collegi, la normativa vigente non esclude la possibilità che il Comune, nell'ambito della propria discrezionalità e sulla scorta di adeguata motivazione (come occorso nella fattispecie), possa operare differenziazioni nell'ambito di una sottocategoria, ove ciò risulti necessario al fine di conseguire l'obiettivo di coprire il costo del servizio nella misura percentuale prevista. A parere del giudice di appello, in definitiva, la scelta dell'amministrazione di incidere sulle categorie avvantaggiate dalle tariffe precedenti, senza incidere su quelle già toccate da un livello alto di imposizione, risulta espressione non irragionevole e adeguatamente motivata della discrezionalità riconosciuta in materia all'amministrazione alla luce del criterio legale della capacità di produzione dei rifiuti previsto dall'articolo 65, comma 1, del Dlgs 507/1993. Il tutto porta a condividere le conclusioni svolte dal primo Giudice a tenore delle quali la scelta di differenziare gli alberghi e campeggi da un lato e i collegi dall'altro e di avvicinare la tassazione dei primi due tipi di utenza a quella delle banche, degli uffici e degli studi professionali e quella dei collegi alla tassazione delle abitazioni private, non collide con l'art. 65 Dlgs 507/1993, né risulta affetta da profili di sproporzione o irrazionalità suscettibili di sindacato giurisdizionale.

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Pubblica Amministrazione

Riforma Brunetta: gabbie di valutazione e incentivi economici Valutazione della performance e valorizzazione del merito sono le leve su cui si fonda la logica della riforma Maria Barilà, Guida al Pubblico Impiego, Il Sole 24 Ore, novembre 2009, n. 11, p. 20 Valutazione trasversale Il concetto di valutazione opera nella riforma Brunetta, contenuta nel decreto legislativo n. 150 del 27 ottobre 2009, in maniera onnicomprensiva interessando la valutazione della performance organizzativa e, a scendere, di quella individuale. In realtà è uno dei perni, unitamente alla valorizzazione del merito, su cui si fonda l'intera logica della riforma. Misurare le performance e quindi il livello dei servizi è il presupposto fondamentale per responsabilizzare gli attori del sistema e per conoscere quali interventi porre in essere per incrementare la produttività. La misurazione non può prescindere da una differenziazione dell'apporto dato e quindi da un riconoscimento del trattamento economico, legato alla produttività secondo criteri selettivi volti a premiare il merito. La performance organizzativa La valutazione parte da un approccio trasversale alla struttura, misurando la performance organizzativa in riferimento alle politiche attivate previste dall'amministrazione per soddisfare i bisogni della collettività, al grado di soddisfacimento dei bisogni stessi, verificato rilevando il livello di soddisfazione dell'utenza ed il rispetto delle fasi e dei tempi previsti, degli standard qualitativi e quantitativi definiti, del livello previsto di assorbimento delle risorse. Tenuto conto che uno degli obiettivi della riforma è quello di aumentare il controllo sociale sull'operato delle amministrazioni pubbliche, la performance organizzativa viene valutata anche rilevando il grado di soddisfazione dei destinatari delle attività e dei servizi e la capacità delle amministrazioni di rendere concreta la partecipazione dei cittadini mediante lo sviluppo qualitativo e quantitativo di relazioni con gli utenti. La valutazione della performance organizzativa è importante per i riflessi che ha sulla misurazione della performance individuale, ma anche in quanto l'art. 13, co. 5, lett. i ), del Dlgs n. 150/2009 prevede che la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche, di seguito denominata “Commissione”, redige annualmente una graduatoria di performance delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, divisa per settori, fondata su un approfondimento delle attività svolte dalle predette amministrazioni. La graduatoria è organizzata su tre livelli di merito tenuto conto dei risultati di performance conseguiti. La finalità di detta graduatoria è quella di consegnarla, entro il 31 maggio di ogni anno, all'Aran affinché in sede di contrattazione nazionale si possano definire modalità di diversa ripartizione delle risorse destinate alla contrattazione decentrata tra i diversi livelli di merito. Ad esempio, nell'ambito dei ministeri, una collocazione nella fascia alta di un ministero, in relazione al punteggio conseguito nella valutazione della performance, potrebbe consentire una maggiore assegnazione di risorse da destinare al fondo per la contrattazione integrativa del ministero. La riforma mette, così, in competizione non solo il personale ma anche le amministrazioni che possono concorrere a conseguire risorse finanziarie maggiori da destinare alla remunerazione della produttività dei propri dipendenti. È il caso di evidenziare che detta graduatoria non interessa tutte le amministrazioni. In particolare per quanto riguarda le regioni e gli enti locali nell'ambito dei protocolli di collaborazione con la Commissione, da definire mediante intesa tra la Conferenza delle regioni e delle province autonome, l'Anci, l'Upi, non è esclusa la previsione di graduatorie specifiche anche per dette categorie di amministrazioni utilizzando risorse finanziarie appositamente dedicate.

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Si segnala altresì che manca nel decreto legislativo l'indicazione dell'art. 8 tra le disposizioni a cui regioni ed enti locali si debbono adeguare. Non è chiaro, pertanto, se dette amministrazioni decideranno di improntare la valutazione anche in relazione alla performance organizzativa. La performance individuale Dalla valutazione della performance dell'organizzazione si arriva, senza prescindere da questa ove prevista, alla valutazione della performance individuale. La performance individuale si misura in maniera differenziata a seconda che si tratti di dirigenti o di personale responsabile di una unità organizzativa in posizione di autonomia e responsabilità o dal restante personale non dirigente. In particolare, tuttavia, alcuni elementi su cui si focalizza la valutazione sono comuni ad entrambe le categorie. Sono tipici della valutazione della performance individuale del dirigente e del responsabile di unità organizzativa elementi collegati ad indicatori di performance relativi all'unità organizzativa di diretta responsabilità . Rispetto alla struttura organizzativa diretta dal valutato si ritiene che vi sia un nesso immediato tra la propria capacità di organizzare le risorse e la performance della stessa struttura. E proprio in ragione di ciò che questo elemento è tipico delle predette figure. È, altresì, tipica delle predette figure una valutazione della performance individuale collegata alla capacità di valutazione dei propri collaboratori. È fondamentale evidenziare che già in sede di decreto legislativo si esprime un giudizio di valore sulla capacità di valutare in maniera differenziata. In sostanza si sottolinea che misurare presuppone una diversificazione della misurazione. Sono invece, salvo piccole differenze, elementi di valutazione comuni tanto ai dirigenti o responsabili di unità organizzativa, quanto ai non dirigenti, quelli collegati al raggiungimento di specifici obiettivi individuali, o anche di gruppo per i non dirigenti. Si tiene poi conto dell'apporto dato al livello organizzativo più alto. Per le prime categorie è dato dalla qualità del contributo assicurato alla performance generale della struttura ed alle competenze professionali e manageriali dimostrate e per i non dirigenti è connesso con la qualità del contributo assicurato alla performance dell'unità organizzativa di appartenenza, alle competenze dimostrate ed ai comportamenti professionali e organizzativi. In applicazione del principio costituzionale secondo cui il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, è evidente che la valutazione della performance individuale, anche rispetto alla performance organizzativa, non può spostarsi troppo su quest'ultima, per evitare di penalizzare una prestazione individuale eccellente a causa di un contesto lavorativo di scarsa qualità. La valutazione sulla performance individuale si esprime poi concretamente con la premialità di cui andremo a parlare e con il trattamento economico definito in sede di contrattazione integrativa e corrispondente alla retribuzione collegata al risultato per quanto riguarda i dirigenti, ed a quella connessa alla produttività, secondo il previgente regime, per quanto concerne i non dirigenti. I soggetti della valutazione La valutazione si svolge secondo un percorso a cascata: il vertice politico che assegna gli obiettivi valuta la classe dirigenziale, sulla scorta della proposta che riceve dall'organismo indipendente di valutazione della performance, i dirigenti a loro volta valutano il personale ad essi assegnato. Ai fini della valutazione, gli organi di indirizzo politico-amministrativo si avvalgono anche delle risultanze dei sistemi di controllo di gestione presenti nell'amministrazione. È interessante rilevare che il sistema di valutazione poggia su un soggetto fulcro ed aggregante che è appunto la Commissione che opera in posizione di indipendenza di giudizio e di valutazione e in piena autonomia, in collaborazione con la presidenza del Consiglio dei ministri - dipartimento della Funzione pubblica e con il ministero dell'Economia e delle finanze - dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ed eventualmente in raccordo con altri enti o istituzioni pubbliche. La Commissione svolge, nel rispetto dell'esercizio e delle responsabilità autonome di valutazione di ogni amministrazione, compiti di indirizzo e coordinamento sulle funzioni di valutazione, assicurando anche un'adeguata trasparenza dei sistemi di valutazione. È interessante rilevare che nel processo di valutazione assistiamo spesso alla fattispecie del valutatore valutato. Ad esempio, la Commissione, dopo cinque anni dalla data di costituzione, affida ad un valutatore indipendente il compito di analizzare i risultati conseguiti. Il valutatore deve altresì elaborare un giudizio sull'efficacia della sua attività e sull'adeguatezza della struttura di gestione, anche al fine di formulare eventuali proposte di integrazioni o modificazioni dei propri compiti.

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L'esito della valutazione e le eventuali raccomandazioni sono trasmessi al ministro per la Pubblica amministrazione e l'innovazione e pubblicate sul sito istituzionale della Commissione. A sua volta la Commissione svolge una sorta di vigilanza sull'operato degli organismi indipendenti di valutazione della performance mediante definizione dei requisiti che i relativi componenti devono avere, e mediante il parere che è chiamata a pronunciare sulla nomina dei predetti organismi a cura dei rispettivi organi politici. I dirigenti a loro volta sono valutati dal relativo personale sulla base delle indagini che l'organismo indipendente di valutazione della performance è chiamato a svolgere al fine di rilevare la valutazione del proprio superiore gerarchico da parte del personale, nonché il livello di benessere organizzativo e il grado di condivisione del sistema di valutazione. Su queste indagini l'organismo risponde alla Commissione. Chi è fuori dalle regole

Quando non vale la differenziazione in fasce

- personale dipendente: se il numero dei dipendenti in servizio nell'amministrazione non è superiore a 8;

- dirigenti: se il numero dei dirigenti in servizio nell'amministrazione non è superiore a 5.

Clausola di salvaguardia È previsto comunque che debba essere garantita l'attribuzione selettiva della quota prevalente delle risorse destinate al trattamento economico accessorio collegato alla performance a una percentuale limitata del personale dipendente e dirigente.

Merito e premialità Come già specificato, alla valutazione segue la corresponsione del trattamento economico. L'art. 45 del decreto legislativo n. 165 del 2001, come modificato dal decreto legislativo n. 150/2009, prevede che i contratti collettivi definiscono, in coerenza con le disposizioni legislative vigenti, trattamenti economici accessori collegati: a) alla performance individuale; b) alla performance organizzativa con riferimento all'amministrazione nel suo complesso e alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola l'amministrazione; c) all'effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate ovvero pericolose o dannose per la salute. Rispetto alla citata disposizione, un elemento di novità rilevante della riforma Brunetta è il principio secondo cui il trattamento economico accessorio è collegato alla valutazione del personale e non soltanto alla produttività in ragione di una previsione di legge e non più soltanto in ragione di una disciplina contrattuale. In particolare, una previsione di legge sussisteva già per quanto riguarda la valutazione dei dirigenti. Si tratta adesso di contemplare nell'obbligo di valutazione anche il restante personale. La misurazione della produttività passa, pertanto, necessariamente dalla valutazione della prestazione individuale e non più in via eventuale. È importante inoltre ricordare che l'art. 17 del Dlgs n. 150/2001 vieta la distribuzione in maniera indifferenziata o sulla base di automatismi di incentivi e premi collegati alla performance in assenza delle verifiche e attestazioni sui sistemi di misurazione e valutazione adottati ai sensi del decreto stesso. In questo contesto rilevano anche le disposizioni che sanzionano l'assenza dell'adozione dei provvedimenti connessi con il ciclo di gestione delle performance con il divieto di erogare la retribuzione di risultato ai dirigenti preposti agli uffici coinvolti, imponendo addirittura all'art. 10, co. 5, il blocco delle assunzioni di personale o il conferimento di incarichi di consulenza e di collaborazione comunque denominati. Il merito abbiamo detto che costituisce una colonna portante della riforma. Si ritiene che un'incentivazione fondata sul merito possa favorire più di ogni altra la maggiore produttività , realizzando al contempo un intervento di valorizzazione delle eccellenze e delle competenze professionali delle risorse umane.

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La fatidica graduatoria del personale e la differenziazione della retribuzione accessoria Ma la normativa dirompente che susciterà senz'altro difficoltà applicative è quella di cui all'art. 19 che obbliga ogni amministrazione a redigere una graduatoria del personale dirigenziale, distinto per livello generale e non generale, e del personale non dirigente. Detta graduatoria è redatta dall'organismo indipendente, sulla base dei livelli di performance attribuiti ai valutati secondo il sistema di valutazione implementato. La graduatoria prevede una diversa distribuzione del personale, tenendo conto che: a) il 25% è collocato nella fascia di merito alta, alla quale corrisponde l'attribuzione del 50% delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale; b) il 50 % è collocato nella fascia di merito intermedia, alla quale corrisponde l'attribuzione del 50% delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale; c) il restante 25% è collocato nella fascia di merito bassa, alla quale non corrisponde l'attribuzione di alcun trattamento accessorio collegato alla performance individuale. La predetta graduatoria si utilizzerà, per quanto riguarda i dirigenti, ai fini dell'attribuzione della retribuzione di risultato. Sono previste deroghe da realizzare in sede di contrattazione collettiva integrativa in termini di oscillazioni delle percentuali. Attesa la difficile applicazione nelle realtà di piccole dimensioni, è escluso dalla descritta normativa il personale dipendente se il numero dei dipendenti in servizio nell'amministrazione non è superiore a 8 e ai dirigenti se il numero dei dirigenti in servizio nell'amministrazione non è superiore a 5. Rimane fermo l'obbligo delle amministrazioni di garantire l'attribuzione selettiva della quota prevalente delle risorse destinate al trattamento economico accessorio collegato alla performance a una percentuale limitata del personale dipendente e dirigente. Da quest'ultima specificazione emerge ancora una volta la necessità di prevedere comunque trattamenti retributivi differenziati. Ancora la graduatoria fatidica ai fini della corresponsione dei premi La graduatoria descritta al precedente paragrafo è alla base della retribuzione accessoria ma è anche il punto di partenza per il riconoscimento dei premi di merito e di valorizzazione delle professionalità . Gli strumenti premianti previsti dal legislatore sono: il bonus annuale delle eccellenze, il premio annuale per l'innovazione; le progressioni economiche, le progressioni di carriera; l'attribuzione di incarichi e responsabilità; l'accesso a percorsi di alta formazione e di crescita professionale, in ambito nazionale e internazionale. Si evidenzia che i premi aventi un valore finanziario devono gravare sulle risorse disponibili per la contrattazione collettiva integrativa. Dette risorse sono destinate, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, nell'ambito di quelle previste per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro. Emerge che la valorizzazione del merito ruota tutta attorno alla misurazione delle performance individuali. Il sistema di valutazione del personale diventa perciò di fondamentale importanza. La selettività fortemente voluta dal legislatore, espressa attraverso l'individuazione delle tre fasce, è già di difficile attuazione in un contesto in cui è consolidata la prassi di corresponsioni economiche a pioggia. Ancora più difficile può diventare una sua accettazione se i sistemi di valutazione non sono costruiti in maniera tale da valorizzare realmente le performance migliori. Si sottolinea infine che anche i percorsi di carriera sono in buona parte costruiti attorno alle performance . Basti pensare che la valutazione positiva conseguita dal dipendente, con posizionamento nella fascia di merito alta, per almeno tre anni consecutivi o per almeno cinque annualità non consecutive, costituisce titolo rilevante ai fini della progressione economica e dell'attribuzione dei posti riservati nei concorsi per l'accesso all'area superiore. Neppure la contrattazione integrativa potrà fare molto considerato che l'art. 40 novellato del Dlgs n. 165 del 2001 prevede che la contrattazione integrativa debba destinare al trattamento economico accessorio collegato alla performance individuale una quota prevalente del trattamento accessorio complessivo comunque denominato. Si aggiunge che anche il trattamento accessorio collegato ai risultati dei dirigenti deve costituire almeno il 30% della retribuzione complessiva del dirigente considerata al netto della retribuzione individuale di anzianità e degli incarichi aggiuntivi soggetti al regime dell'onnicomprensività. Non ci sono spazi per eludere la portata delle disposizioni. Staseremo a vedere come funzionerà il tutto e se funzionerà.

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Una valutazione a fasce

Graduatoria delle valutazioni individuali

L'organismo indipendente, sulla base dei livelli di performance attribuiti ai valutati, stila una graduatoria delle valutazioni individuali del personale dirigenziale e del personale non dirigenziale.

Fasce di merito Nella graduatoria sono individuati differenti livelli di performance ed il personale è distribuito in modo che:

- l 25% è collocato nella fascia di merito alta, cui corrisponde l'attribuzione del 50% delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale;

- il 50% è collocato nella fascia di merito intermedia, alla quale corrisponde l'attribuzione del 50% delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale;

- il restante 25% è collocato nella fascia di merito bassa, alla quale non corrisponde l'attribuzione di alcun trattamento accessorio collegato alla performance individuale.

Dirigenti Anche per i dirigenti si applicano i suindicati criteri di compilazione della graduatoria e di attribuzione del trattamento accessorio, con riferimento alla retribuzione di risultato.

Deroghe La contrattazione collettiva integrativa può derogare alla percentuale del 25% in misura non superiore a cinque punti percentuali in aumento o in diminuzione, con corrispondente variazione compensativa delle altre percentuali. Sono possibili anche deroghe alla composizione percentuale delle altre due fasce e alla distribuzione tra le medesime fasce delle risorse destinate ai trattamenti accessori collegati alla performance individuale.

Monitoraggio Il monitoraggio delle deroghe, finalizzato alla verifica del rispetto dei principi di selettività e di meritocrazia, è affidato al Dfp che riferisce in proposito al ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione.

Piccole amministrazioni Le disposizioni relative alle fasce di merito non si applicano al personale dipendente se il numero dei dipendenti in servizio non è superiore a 8 e ai dirigenti se il numero dei dirigenti in servizio nell'amministrazione non è superiore a 5. Va comunque garantita l'attribuzione selettiva della quota prevalente delle risorse destinate al trattamento economico accessorio collegato alla performance a un percentuale limitata del personale dipendente e dirigente.

Disciplina Articolo 18 del decreto attuativo.

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Rifiuti

Ordinanze rifiuti: decide il sindaco anche se non sono ‘urgenti’ Il Tar Veneto, aderendo a un orientamento minoritario, attribuisce natura di provvedimento sanzionatorio a carattere ripristinatorio, e non contingibile e urgente, all’ordinanza di rimozione rifiuti ex art. 192 del Dlgs n. 152 del 23 aprile 2006 Paola Cosmai, Diritto e pratica amministrativa, Il Sole 24 Ore, novembre 2009, n. 11, p. 37 Tar Veneto, Sez. III, sent. n. 2454 del 29 settembre 2009 Le massime Ambiente - Rifiuti - Ordinanza di rimozione ex art. 192, Dlgs n. 152/2006 - Natura sanzionatoria e ripristinatoria - Competenza del sindaco L’ordinanza sindacale di rimozione di rifiuti emessa ai sensi dell’articolo 192, del decreto legislativo n. 152 del 2 aprile 2006, nei confronti del responsabile del loro abbandono o del proprietario dell’area sulla quale insistono, se colpevole, non ha natura di ordinanza contingibile e urgente, bensì sanzionatoria, a carattere ripristinatorio. Nondimeno essa rientra nelle competenze del sindaco e non già del dirigente, alla stregua dell’art. 107 del decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000, stante la testuale previsione dell’art. 192 del decreto legislativo citato, che, costituendo lex specialis successiva, prevale sul principio di separazione dei poteri fissato dal Testo unico degli enti locali. Ambiente - Rifiuti - Ordinanza di rimozione - Omessa comunicazione di avvio del procedimento - In caso di esercizio del diritto di difesa - Irrilevanza L’omissione della comunicazione di avvio del procedimento non impinge la legittimità dell’ordinanza, quante volte il destinatario ne abbia comunque avuto conoscenza, instaurando il contraddittorio con l’amministrazione in fase antecedente l’emanazione del provvedimento. Il commento Ancora una volta assurge all’attenzione della cronaca e della giurisprudenza la questione degli ordini impartiti dai sindaci italiani ai responsabili dell’abbandono o ai proprietari dei fondi di rimuovere i rifiuti ivi abbandonati, piaga nazionale evidentemente irrisolta. Tuttavia, il profilo esaminato dal collegio veneto non è quello più specifico e ricorrente della colpevolezza del proprietario quale presupposto indefettibile della sua legittimazione passiva, quanto quello, più generale e recessivo, della natura del provvedimento de quo. Aspetto meno dibattuto, ma non per questo di minor rilievo, involgendone altri due di portata assorbente, quali quello dell’organo competente a emanarlo e dell’iter procedimentale da seguire. La questione di fondo Tralasciando alcuni profili dell’istituto, quali quello del luogo dell’abbandono [1], della competenza ad avvalersene in caso di territori per i quali sia stato dichiarato lo stato di emergenza [2], dei destinatari dell’ordine [3] e dell’autorità giudiziaria competente a sindacarne la legittimità in caso di impugnazione [4], conviene appuntare l’attenzione sulle tre questioni affrontate dalla decisione in commento, afferenti, più segnatamente, alla natura dell’ordinanza di rimozione rifiuti, alla competenza a emanarla ed alle garanzie procedimentali da rispettarsi. L’approfondimento Sulla natura dell’ordinanza sindacale di rimozione rifiuti si sono contrapposti nel tempo due diversi orientamenti, l’uno, più risalente e sicuramente recessivo, volto ad annoverarla tra i provvedimenti

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contingibili e urgenti in materia di salute e igiene pubblica, l’altro, più recente e oggi prevalente, teso a includerla tra le ordinanze sanzionatorie a carattere ripristinatorio. Il primo, che ha enfatizzato soprattutto i presupposti della necessità, tempestività e scopi sanitari sottesi al provvedimento sindacale extra ordinem, riconducibile al potere di ordinanza di cui all’art. 2, del regio decreto n. 773 del 18 giugno 1931 e all’art. 32, legge n. 833 del 23 dicembre 1978 (poteri oggi rafforzati nella nuova formulazione datane dagli artt. 50 e 54, del decreto legislativo 267 del 18 agosto 2000) è stato sintomatico dell’assenza nel nostro ordinamento, almeno fino agli anni ottanta, di strumenti specifici per risolvere situazioni di forte degrado ambientale, spesso anche di portata emergenziale, con grave impatto sulla salubrità generale. Come noto, infatti, le ordinanze di necessità e urgenza costituiscono delle “valvole di sicurezza del sistema” da adottarsi esclusivamente allo scopo di fronteggiare concreti accadimenti materiali che mettono in pericolo la collettività, tutte le volte in cui l’ordinamento non appresti più puntuali rimedi. Esse, pertanto, come più volte ribadito dalla Corte costituzionale [5], lungi dall’avere forza normativa o attitudine a introdurre nuove fonti di legge, costituiscono, piuttosto, provvedimenti amministrativi atipici, adottati sul presupposto della contingibilità e impellenza, su materie e per fini che, stante il principio di legalità, devono essere necessariamente indicati dalla legge. La legge, dunque, limitandosi a determinare la materia e i caratteri di coningibilità ed urgenza, non ne prestabilisce il contenuto, rimesso piuttosto alla discrezionalità dell’organo emanante [6] al fine di rendere lo strumento opportunamente duttile, ma che nondimeno dovrà rispettare i principi fondamentali, espressi o taciti, della Carta fondamentale, in quanto inderogabili [7]. Secondo la giurisprudenza del giudice delle leggi, il citato presupposto generale dell’esistenza di una situazione necessitata, ravvisabile nel grave pericolo per l’incolumità dei cittadini, tale da non tollerare indugi in ordine all’attivazione dei pubblici poteri, deve essere corredato, però, da altre condizioni onde poter ritenere legittime le ordinanze de quibus. In primis, dunque, deve sussistere l’impossibilità di provvedere in via ordinaria alla rimozione del pericolo con l’impiego di provvedimenti tipici. In secundis la temporaneità del provvedimento e, quindi, la sua impossibilità di introdurre in via stabile una disciplina integrativa o sostitutiva di quella ordinaria. Corollario, questa, della capacità derogatoria delle ordinanze contingibili e urgenti, costituente il limite massimo concesso dall’ordinamento alla compressione del principio di legalità. In tertiis, sotto l’aspetto più squisitamente contenutistico, le ordinanze contingibili e urgenti devono essere in grado di realizzare compiutamente il fine che perseguono in relazione alle esigenze del caso concreto. Criterio, quest’ultimo, al quale connette il quarto della proporzionalità, intesa quale adeguatezza tra intensità del potere esercitato e situazione di fatto da fronteggiare, anche in relazione all’interesse pubblico da perseguire [8], tenuto conto che la straordinarietà dello strumento derogatorio impone un più accorto uso della funzione. Ne consegue per la giurisprudenza che se talune garanzie procedimentali possono risultare recessive, quali la comunicazione di avvio del procedimento, perché non coerenti con l’urgenza di provvedere, altre risultano quanto mai imprescindibili, quali, ad esempio, l’obbligo di motivazione in ordine alla preventiva individuazione specifica delle norme cui l’ordinanza intende derogare, alle puntuali ragioni di eccezionalità e urgenza da cui origina, alle finalità cui intende assolvere e i relativi modi, alla proporzionale strumentalità tra il contenuto dell’ordinanza e i suoi fini, nonché ai tempi di durata delle misure così assunte [9]. Pena l’illegittimità dell’ordinanza medesima. Proprio le suesposte caratteristiche delle ordinanze extra ordinem hanno determinato il superamento del segnalato orientamento all’indomani dell’entrata in vigore dell’articolo 9, del Dpr n. 915 del 10 settembre 1982 (poi trasfuso nell’art. 14, Dlgs n. 22 del 5 febbraio 1997, e oggi nell’art. 192, Dlgs n. 152 del 2 aprile 2006) con il quale il legislatore ha introdotto in via ordinaria un apposito rimedio all’indiscriminato abbandono di rifiuti su aree pubbliche, prevedendo l’emanazione di un provvedimento sindacale di rimozione, successivamente disciplinato in maniera sempre più dettagliata nell’evoluzione dell’istituto trasfuso nell’art. 14, Dlgs n. 22 del 5 febbraio 1997, prima, e nell’art. 192, Dlgs n. 152 del 2 aprile 2006, poi, nella versione tuttora vigente. La sua sopravvenuta tipicità, infatti, unitamente all’assenza dei presupposti dell’urgenza e della straordinarietà (anche in considerazione della triste frequenza delle situazioni di fatto che ne presiedono il ricorso) e, al contempo, alla presenza di una serie di garanzie procedimentali quali la comunicazione di avvio del relativo procedimento a garanzia del contraddittorio col proprietario

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dell’area e dell’accertamento in concreto della sua colpevolezza, è risultata presto incompatibile con la natura contingibile e urgente tradizionalmente attribuita al provvedimento in esame, prima della novella legislativa, emergendo, piuttosto, il suo carattere sanzionatorio con funzioni ripristinatorie. Carattere che reca in sé la forte necessità di garantire i diritti di partecipazione e di difesa del destinatario dell’ordine di origine pretoria [10] e che sono stati ormai espressamente recepiti dal legislatore e declinati nell’obbligo del contraddittorio con l’ingiunto, al fine di accertarne la colpevolezza, secondo quanto disposto dall’art. 192, del decreto legislattivo n. 152/2006. Il contraddittorio, peraltro, se di norma assume la forma della preventiva comunicazione di avvio del relativo procedimento, secondo il tribunale veneto può nondimeno essere soddisfatto in concreto anche aliunde, così da precludere l’annullamento dell’ordinanza in caso di omissione, qualora l’amministrazione provi che il suo destinatario ne abbia avuto in ogni caso conoscenza, partecipando in maniera fattiva all’istruttoria, presentando memorie o rilasciando dichiarazioni in audizione, alla stregua dei principi di ragionevolezza ed economicità dell’azione amministrativa, coniugati con quello più generale della salvezza degli atti per il raggiungimento dello scopo. Conclusioni Pur nell’unanime condivisione giurisprudenziale della natura sanzionatorio-ripristinatoria da riconoscersi all’ordinanza de qua, diversi sono stati però i corollari tratti in ordine all’organo competente a emanarla. A rigore, infatti, secondo un’opzione ermeneutica, il citato articolo 152, nella parte in cui assegna al sindaco il potere di assumere il provvedimento in parola, andrebbe riletto alla luce delle successive modifiche in tema di separazione tra le funzioni di indirizzo politico e di attività gestionale, rispettivamente assegnate agli organi politici e ai dirigenti. Secondo quanto stabilito dall’articolo 45, del Dlgs n. 80 del 31 marzo 1998, confermato dall’articolo 107, comma 5, Dlgs n. 267/2000 e dall’articolo 70, Dlgs n. 165/2001, che ha espressamente previsto che a decorrere dal 23 aprile 1998 “tutte le norme che conferiscono agli organi di governo l’adozione di atti di gestione e di atti e provvedimenti amministrativi devono intendersi nel senso che la relativa competenza spetta ormai ai dirigenti”. Talché, al pari dell’ordinanza di abbattimento di edifici abusivi o di riduzione in pristino di cartelloni pubblicitari abusivi installati al margine delle strade, anche quella di specie costituirebbe ormai una prerogativa dirigenziale, così da viziare per incompetenza il provvedimento di emanazione sindacale [11]. Di contro, secondo altra impostazione, alla quale aderisce anche il tribunale veneto con la pronuncia in commento, la permanenza della competenza sindacale pur dopo la riforma dell’ordinamento locale. Ciò sia in base al tenore letterale dell’articolo 152 cit., che individua nell’organo politico di vertice il soggetto preposto, sia in base alla natura del decreto ambientale che lo contempla e che, in quanto lex specialis successiva nel tempo, prevale in caso di contrasto rispetto al Testo unico degli enti locali, in applicazione dell’antico canone ermeneutico in ragione del quale lex posterior specialis derogat anteriori generali. Tale deroga peraltro pare essere autorizzata finanche dal medesimo Testo unico laddove all’art. 107, c. 4, prevede testualmente che “le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all’articolo 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente ad opera di specifiche disposizioni legislative”, come in ipotesi. Una scelta ermeneutica di tal fatta, benché preferibile in quanto più rispondente al dato letterale della norma, rivela l’incoerenza del legislatore ovvero il mero refuso normativo in cui è incorso nel citato art. 192, trattandosi di uno dei rari casi, se non l’unico, di provvedimento sanzionatorio di competenza sindacale, in un’epoca in cui, viceversa, l’ingerenza politico -formale nella gestione amministrativa di ogni aspetto della cosa pubblica tende a contrarsi [12] In sintesi Tar Veneto, sez. III, sent. n. 2454 del 29 settembre 2009 Il fatto Una società operante nel campo delle ristrutturazioni edili ha abbandonato materiali di risulta da attività edilizia su di un’area di sua stessa proprietà. A seguito dell’accertamento, il sindaco del comune di Zero Branco, in Veneto, ne ha ordinato la rimozione, con contestuale smaltimento o recupero degli stessi ai sensi dell’articolo 192, del decreto legislativo n. 152 del 23 aprile 2006 .

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La decisione Avverso tale provvedimento la società proponeva impugnazione. La società ha eccepito la natura sanzionatoria, a carattere ripristinatorio e non già quella contingibile e urgente e, per l’effetto, ha censurato l’incompetenza del sindaco a emetterla in luogo del dirigente, ai sensi dell’articolo 107, del decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000 (Testo unico degli enti locali). Peraltro, la società ha censurato ulteriori profili di illegittimità, tra i quali l’omessa comunicazione di avvio del relativo procedimento e il travisamento dei fatti, sostenendo che non si tratti di rifiuti, quanto di materiali recuperabili nel ciclo produttivo aziendale. Pur riconoscendo all’ordinanza de qua natura di provvedimento sanzionatorio a carattere ripristinatorio, il Tribunale amministrativo del Veneto ne ha attribuito la competenza al sindaco, piuttosto che al dirigente, in ragione dell’espressa previsione dell’articolo 192, del decreto legilativo n. 152 del 3 aprile 2006. Sotto il profilo procedimentale, il Tribunale amministrativo del Veneto ha altresì rilevato che essa, pur se non preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento prvista dall’articolo 7 della legge n. 241 del 7 agosto 1990, sia da ritenersi legittima, in quanto il destinatario ne ha avuto comunque conoscenza, esercitando il diritto di difesa. Peraltro, sotto il profilo sostanziale, il Tribunale amministrativo ha sostenuto che il provvedimento ex art. 192, Dlgs 152/06 debba avere ad oggetto esclusivamente rifiuti che non possono essere cerniti e riutilizzati dal loro produttore. I precedenti Sulla competenza del sindaco a emanare le ordinanze di rimozione rifiuti: Consiglio di Stato, decisione n. 4061 del 25 agosto 2008; Consiglio di Stato, parere n. 2231, del 7 novembre 2007; Tar Puglia, Lecce, sentenza n. 1084 del 7 novembre 2007. Contra: Tar Potenza, sentenza n. 388, del 9 luglio 2008; Tar Cagliari, sentenza n. 104, del 24 gennaio 2005. Sull’obbligo di avviso di avvio del procedimento la giurisprudenza è uniforme. Ex plurimis: Consiglio di Stato, decisione n. 4061 del 25 agosto 2008; Tar Bari, sentenza n. 1397, del 5 agosto 2008, Tar Parma, sentenza n. 64, del 31 gennaio 2008; Tar Potenza, sentenza n. 873, dell’11 dicembre 2001. Sulla nozione di rifiuto: Corte costituzionale, decisione n. 62, del 14 febbraio 2008; Corte di giustizia, causa C-457/02, dell’11 novembre 2004; Corte di giustizia, causa C-194/05, del 18 dicembre 2007 l ----- [1] Come noto, il luogo sul quale insistono i rifiuti abbandonati, ai fini che ne occupano, deve essere aperto: “nel caso di rifiuti abbandonati, presenti non già in una discarica a cielo aperto o interrata, ma contenuti in un fabbricato chiuso, il Comune non è tenuto ad ordinare ai sensi dell’art. 14 Dlgs n.22/97 (ora art. 192, Dlgs n. 152/06) all’autore dell’abbandono di provvedere alla loro rimozione e smaltimento, né è tenuto ad eseguire d’ufficio la rimozione stessa, rivalendosi per le spese nei confronti del soggetto obbligato, atteso che il Comune è tenuto ad adottare tali atti solo allorché si tratti, come testualmente emerge dal 1° e 3° comma art. 14 Dlgs n. 22/97 (ora 192 cit.), di abbandono di rifiuti ‘sul suolo e nel suolo’” (Cons. Stato, dec. n. 439, del 3 febbraio 2006). [2] Con decreto legge n. 90 del 23 maggio 2008, convertito in legge n. 123 del 14 luglio 2008, le ordinanze sindacali emesse in materia di rifiuti dal sindaco, quale ufficiale di governo, nel caso degli enti locali campani, devono essere assunte d’intesa con il sottosegretario per l’emergenza, pena la loro illegittimità sotto il profilo dell’incompetenza, quanto meno parziale. Per un approfondimento della questione un mio recente contributo pubblicato su questa Rivista, n. 7/8, 2009, 34: “Emergenza rifiuti: sindaci campani sotto scorta” commento alla prima e, a quanto risulta, unica pronuncia in merito resa dal Tar Campania Napoli, sez. V, dec. n. 2689, del 18 maggio 2009. [3] Come noto, ai sensi dell’art. 192, Dlgs n. 152/06, destinatari dell’ordinanza sindacale di rimozione rifiuti sono l’autore del loro abbandono e il proprietario dell’area, se responsabile a titolo di dolo o colpa, previo accertamento in contraddittorio con l’autorità procedente e tenuto conto dell’ubicazione e dell’estensione del fondo. Copiosa sul punto la giurisprudenza, ex plurimis: Tar Campania Napoli, sez. V, dec. n. 1769, del 6 aprile 2009, su www.lexitalia.it con nota di A. Biamonte; Consiglio di Stato, sez. IV, dec. n. 1612, del 19 marzo 2009, su questa Rivista n. 6/09, 72, con una mia nota “Rifiuti abbandonati: il proprietario del fondo risponde solo per colpa”; Consiglio di Stato, dec. n. 807, del 4 marzo 2008; id. n. 4061, del 25 agosto 2008; id. n. 935, del 8 marzo 2005. In dottrina, tra i tanti: M. Berra, La responsabilità del proprietario nel ripristino dei

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luoghi contaminati da terzi, su www.lexitalia.it; T. Marocco, Bonifica dei siti inquinati e responsabilità, ibidem. [4] Con l’entrata in vigore dell’art. 4, Dl n. 90/08, l’intera materia risulta di competenza esclusiva del Tribunale amministrativo Regionale per espressa previsione di legge. Peraltro, laddove trattasi di ordinanze commissariali, la competenza è quella funzionale (inderogabile) del Tar Lazio Roma, ai sensi dell’art. 3, comma 2 bis, Dlgs. n. 245 del 30 novembre 2005, aggiunto in sede di conversione dalla L. n. 21 del 27 gennaio 2006. [5] Ex multis: Corte costituzionale, dec. n. 127, del 14 aprile 1995. [6] Coniglio di Stato, sez. V, dec. n. 700, del 29 aprile 1991. Conf. Consiglio di Stato, Sez. VI, dec. n. 4812, del 7 ottobre 2008 e, più di recente, in materia di rifiuti Tar Lazio Roma, sez. I, dec. n. 12470, del 5 dicembre 2007. [7] Sui limiti del potere di ordinanza extra ordinem, tra le tante: Tar Calabria, dec. n. 47, del 20 gennaio 2009; Consiglio di Stato, dec. n. 197, del 16 aprile 1998; Tar Calabria dec. n. 329, del 1° aprile 2008; Corte di cassazione penale dec. n. 12692, del 16 ottobre 1998. [8] Espressamente richiesto dalla giurisprudenza anche in materia ambientale: Consiglio di Stato, dec. n. 2087, del 14 aprile 2006. [9] Conclusioni sulle quali si è attestata anche la giurisprudenza penale, che, per esempio, ha ritenuto di poter scriminare gli amministratori locali dal reato di gestione di discarica abusiva di rifiuti, in assenza della prescritta autorizzazione regionale, sulla scorta di un’ordinanza extra ordinem emanata dal medesimo sindaco ai sensi dell’art. 191, Dlgs n. 152/06, solo allorquando questa presenti i seguenti requisiti: 1) necessità di tutela della salute pubblica o dell’ambiente; 2) situazione sopravvenuta e distinta dall’ordinario e fisiologico smaltimento dei rifiuti e che presenti il carattere dell’eccezionalità e straordinarietà; 3) situazione di urgenza, correlata all’evento sopravvenuto; 4) temporaneità; 5) ricorso a speciali forme di gestione rifiuti, ma mai comportanti l’abbandono totale e indiscriminato degli stessi; 6) specifica motivazione delle ragioni di pubblico interesse e delle norme derogate. Così Corte di cassazione, sezione penale, dec. n.6262, del 17 aprile 1998. [10] Sull’obbligo di comunicazione ex art. 7, della L. n. 241 del 7 agosto 1990, prima dell’entrata in vigore dell’art. 192, del Dlgs n. 152/06: Tar Basilicata, dec. n. 873, dell’11 dicembre 2001; Tar Puglia, dec. n. 1397, del 5 agosto 2008; Consiglio di Stato, dec. n. 4061, del 25 agosto 2008. [11] Tar Basilicata dec. n. 388, del 9 luglio 2008, nonché Tar Sardegna, dec. n. 104, del 24 gennaio 2005. [12] In tal senso, infatti, le contemporanee riforme istituzionali, da ultimo quella recante il cd. piano di industrializzazione della Pubblica amministrazione o cd. Decreto Brunetta, in esecuzione della Legge Delega n. 15, del 4 marzo 2009.

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Sicurezza ed igiene del lavoro

Responsabilità e delega, si allunga la linea gestionale Ridefinito il ruolo del datore di lavoro pubblico ai fini della sicurezza. Dai controlli ai nuovi obblighi di vigilanza ecco come cambiano strutture e organizzazione interna Aldo Monea, Guida agli Enti Locali, Il Sole 24 Ore, 28 novembre 2009, n. 47, p. 9 Il tema della delega di funzioni datoriali aveva già trovato, nel testo originario del Dlgs 81/2008 di aprile 2008, un'importante fonte giuridica di cambiamento rispetto al Decreto legislativo 626/1994 e sue modifiche e integrazioni. Ora il nuovo Dlgs correttivo 106/2009 realizza, come si chiarirà nel prosieguo, un ulteriore e significativo passo in avanti sulla strada della regolazione, per legge, dello stesso tema. SITUAZIONE PRECEDENTE Fino all'aprile 2008 la delega di funzioni rappresentava un tema giuridico quasi integralmente rimosso dal Legislatore che non si era preoccupato, fatto salvo un indiretto e lapidario richiamo al tema, di regolare la materia. Con il Decreto 81/2008, per la prima volta, lo stesso Legislatore aveva chiarito limiti e condizioni giuridiche del suo impiego, recuperando, sia pure in parte, contenuti di origine giurisprudenziale. Tale intervento legislativo, unito alla chiarezza normativa fatta in tema di omessa individuazione del datore di lavoro pubblico da parte del vertice politico, ha, indubbiamente, reso più agevole, anche nell'ambito delle Amministrazioni pubbliche, la successiva attività di costruzione giuridica e organizzativa della struttura per la sicurezza sul lavoro. A seguito di tale intervento legislativo, il datore di lavoro anche pubblico ha, infatti, potuto utilizzare con maggiore certezza del diritto, questo strumento, sfruttando non solo le sue grandi utilità organizzative, ma anche apprezzando i benefici effetti giuridici consistenti in una modalità di trasferimento di funzioni efficace a fini giuridici e in un utile strumento per la determinazione dei soggetti concretamente responsabili in sede penale. SUB-DELEGA LECITA In questo quadro, maggiormente rasserenato ecco ora intervenire il comma 3-bis dell'articolo 16 del Dlgs 81/2008, come introdotto dal Decreto correttivo 106/2009. Cosa dice le novella legislativa? Dando per scontato che ci sia stata una prima delega di funzioni da parte del datore di lavoro per la sicurezza, la norma consente al soggetto delegato dal datore di lavoro di delegare, a sua volta, funzioni in materia di salute e sicurezza. Il diritto istituzionalizza, così, la delega di II livello nelle Organizzazioni, che, per la verità, era stata, in qualche modo, ampiamente adottata ed elaborata in tante prassi di Organizzazioni pubbliche di vaste dimensioni (Enti locali, ma soprattutto Aziende sanitarie locali). Analizzando con attenzione l'integrazione è evidente che il nuovo comma 3-bis dell'articolo 16 allunga, in modo significativo, la linea gerarchica dei poteri gestionali in materia di sicurezza e salute sul lavoro. Come si attiva concretamente l'innovazione? I compiti del datore di lavoro di cui all'articolo 18, originariamente attribuiti (secondo quanto stabilito, in una sede pur impropria, dell'articolo 2, comma 1, lettera b), dedicato alle definizioni giuridiche) dall'Organo politico al dirigente o al funzionario posto a capo di un ufficio avente autonomia gestionale, sono, in parte, trasferiti al delegato di I livello. Una parte di tali compiti sono, poi, trasferiti da tale delegato al nuovo delegato di II livello, evidentemente contestualizzandoli rispetto al ruolo gestionale e all'effettivo ambito di sua gestione svolto nell'Organizzazione pubblica.

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CONDIZIONI DI LEGITTIMITÀ Il nuovo testo del Dlgs 81/2008, per come ora modificato ed integrato dal Dlgs 106/2009, non si ferma però solo a porre la novità in esame. Il combinato disposto del comma 1 e del comma 3-bis dell'articolo 16 chiarisce, infatti, anche il quadro delle condizioni nell'ambito delle quali si può fare ricorso a tale nuovo strumento giudico-organizzativo. L'interpretazione del testo in esame porta, così, ad individuare sette requisiti: 1) la necessità di un'intesa preliminare del delegante con il datore di lavoro per la sicurezza; 2) la forma scritta e la data certa della sub-delega; 3) il possesso, nel delegato di II livello, dei requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; 4) la parallela attribuzione al sub-delegato dei poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; 5) l'attribuzione al sub-delegato dell'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate; 6) l'accettazione per iscritto da parte del sub-delegato; 7) un'adeguata e tempestiva pubblicità della stessa sub-delega. DIVIETO DELEGHE ULTERIORI La novella normativa non conclude, così, le integrazioni sullo specifico tema. L'articolo 16 comma 3-bis, ultimo periodo, stabilisce, testualmente, anche che «Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate». Si tratta di una novità di grande significato giuridico e dalle significative conseguenze organizzative. La delega è uno strumento di grande efficacia organizzativa, distribuendo, nell'ambito di grandi Organizzazioni, compiti che, difficilmente, potrebbero essere svolte, ove siano state allocate in un solo centro decisionale. La sub-delega rafforza, come detto, le possibilità di azione organizzativa in materia. La novella, però, pone un limite preciso: nelle deleghe di questo tipo, non si può andare oltre una sub-delega. In sede di commento la norma appare molto convincente e condivisibile: se le Organizzazioni, richiedono livelli plurimi di gestione della sicurezza, d'altra parte, la funzione datoriale sulla sicurezza lavorativa non può essere diffusa a tal punto da polverizzare e, in concreto, dissolvere la funzione stessa in una pluralità infinita di micro-datori di lavoro. Quale la conseguenza concreta? Il rischio che molte Organizzazioni di grandi dimensioni (si pensi a taluni Enti locali maggiori, ma anche strutture ministeriali e Aziende sanitarie locali) che hanno fatto del verticalismo in materia un metodo di organizzazione della sicurezza, si trovino in una situazione organizzativa fuorilegge. Il ragionamento, d'altra parte, riguarda, a maggior ragione, anche quegli Enti locali di minori dimensioni che siano tentati di utilizzare la novità qui in esame, sminuzzando, impropriamente, la funzione datoriale sulla sicurezza sul lavoro. Anch'essi non possono procedere, ove, eventualmente, esistono le condizioni richieste dalla legge, oltre una sub-delega. OBBLIGO DI VIGILANZA L'analisi in questione merita un ulteriore punto di riflessione giuridica e organizzativa. Il delegante e delegato di I livello che, come detto, ha messo in opera la sub-delega, è investito, secondo le regole generali, da un obbligo di vigilanza nei confronti del sub-delegato. È da ricordare a proposito del tema della vigilanza sul delegato (ma, beninteso, da parte del datore di lavoro sul delegato di I livello) che lo stesso articolo 16 comma 3 ha introdotto la presunzione di legge secondo cui l'obbligo in esame s'intende assolto ove egli adotti ed attui efficacemente il modello di verifica e controllo di cui all'articolo 30, comma 4. Viene allora da chiedersi, può tale modello essere utilizzato anche dal delegato di I livello per controllare, con benefici effetti giuridici, il delegato di II livello? La risposta è da ritenere negativa, dato il preciso riferimento, contenuto nella norma che introduce la segnalata presunzione di legge: il testo chiarisce, infatti, di riferirsi all'obbligo di cui al precedente periodo vale a dire all'obbligo datoriale di vigilare sul delegato di I livello.

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Il delegato di I livello e delegante a sua volta è da ritenere che non possa, quindi, fruire della facilitazione giuridica in questione. CONTROLLO DATORIALE Come si è avuto modo di anticipare, la normativa di riforma conferma, anche per gli Enti locali, il valore, a fini di controllo, dei cosiddetti modelli di organizzazione e di gestione, nella parte relativa al «modello di verifica e controllo» (di cui al comma 4 dell'articolo 30 del Dlgs 81/2008). Tale tema merita, indubbiamente, un approfondimento anche a causa dell'intreccio di norme in materia. Innanzitutto, chiariamo che cosa il «legislatore delegato» intenda per «modello organizzativo e di gestione» in materia di sicurezza sul lavoro. La risposta la troviamo all'articolo 2, comma 1, lettera dd), del Dlgs 81/2008 (parte rimasta immutata) che specifica che per tale deve intendersi il «modello organizzativo e gestionale per la definizione e l'attuazione di una politica aziendale per la salute e sicurezza (...)» . Si tratta, in parole più semplici, di un articolato e complesso sistema, che condensa le scelte organizzative e gestionali per la sicurezza e che ha come contenuti principali quelli espressi nei commi dell'articolo 30 del Dlgs 81/2008. In base a tale ultima disposizione esso si compone delle seguenti parti (o sotto-sistemi): un sistema aziendale per l'adempimento degli obblighi; un sistema di registrazione dell'avvenuta effettuazione delle attività obbligatorie; la previsione di un quadro di funzioni per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio; un sistema disciplinare ad hoc; un sistema di controllo. Lo stesso articolo 2 comma 1, lettera dd), aggiunge, però, che il modello in questione è utile giuridicamente in relazione all'articolo 6, comma 1, lettera a), del Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, norma che, però, inerisce a vari soggetti Profit, del Terzo Settore e del mondo pubblico economico, non però a Enti locali e altre realtà pubbliche non economiche. In sostanza, secondo quella norma, il modello organizzativo e di gestione produce effetti solo rispetto ai soggetti a cui si applica il Dlgs 231/2001 e sue modifiche ed integrazioni e solo nei loro confronti esso produce benefici giuridici, in quanto idoneo a prevenire i reati di cui agli articoli 589 e 590, comma 3, del Codice penale, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della salute sul lavoro. L'articolo 16 nel testo originario del Dlgs 81/2008, contraddicendo in parte l'articolo 2, comma 1, lettera dd), estendeva, in qualche modo, l'utilità giuridica di una parte del modello (precisamente «i sistemi di verifica e controllo di cui all'art. 30 comma 4») a tutti i datori di lavoro, ivi compresi, quindi, quelli pubblici, consentendo che l'obbligo di vigilanza datoriale si potesse realizzare efficacemente anche mediante l'utilizzo di quei sistemi di verifica e controllo. La novità introdotta ora dal nuovo testo dell'articolo 16, comma 3, ultimo periodo, come riformato dal Dlgs 106/2009, consiste nel fatto che il citato sistema di controllo determina, ope legis, l'assolvimento dell'obbligo di vigilanza datoriale verso il proprio delegato di funzioni. In altre parole, l'adozione e l'efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all'articolo 30 comma 4 del Decreto. 81/2008 esonera il datore di lavoro anche pubblico, che vigila sul delegato, dall'onere di utilizzare ulteriori sistemi e modalità di vigilanza. POCA CHIAREZZA Detto questo, si potrebbe pensare che il problema di svolgere l'obbligo di vigilanza suddetto sia, in tal modo, chiarito e indirizzato verso una serie di azioni che, in concreto, lo realizzino a prova di legge. Non è purtroppo così. Il Decreto 81/2008 non aggiunge, infatti, molto di più: l'articolo 30, comma 4, del Dlgs 81/2008 si limita solo ad evocare tale sistema («un idoneo sistema di controllo sull'attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate»), senza dare ulteriori lumi di natura tecnica o operativa. In tale situazione, come agire per poter sfruttare la presunzione di legge suddetta (adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo = assolvimento dell'obbligo di vigilanza datoriale nei confronti del delegato)? Le strade, potenzialmente, percorribili potrebbero essere numerose, ma solo due sembrano però più utili giuridicamente:

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a) la prima consiste nel cercare di estrapolare, nell'ambito degli standard di modelli segnalati dall'articolo 30, comma 5, del Dlgs 81/2008 (vale a dire le Linee Guida UNI-INAIL e il British Standard OHSAS 18001: 2007), utile indicazione per un'elaborazione su misura, nel singolo Ente locale, del proprio sistema di verifica e controllo;

b) la seconda, più indiretta e futura si collega al nuovo comma 5-bis dell'articolo 30 che prospetta (però solo per le piccole e medie imprese) un Decreto del ministero del Lavoro, con contenuti della Commissione consultiva permanente di cui all'articolo 6, che dovrebbe chiarire «procedure semplificate per la adozione e la efficace attuazione dei modelli di organizzazione e di gestione». In tal senso gli Enti locali, preferibilmente quelli di minori dimensioni, potranno ricavare, presumibilmente, qualche contributo di idee e di metodo per elaborare i propri sistemi di verifica e controllo.

Il sotto-problema è che tale Decreto deve ancora essere emanato, mentre l'obbligo di vigilanza di cui all'articolo 16 è già vigente. NOVITÀ SETTORIALI Il Dlgs correttivo 106/2009 incide, oltre che sulla parte generale della normativa contenuta nel Titolo I del Dlgs 81/2008, anche su parecchie altre tematiche settoriali della sicurezza sul lavoro regolate nei Titoli, successivi al primo, dello stesso Decreto. L'impatto del cambiamento normativo non è stato, tuttavia, uniforme. Sono stati, infatti, coinvolti, in misura maggiore, i Titoli del Dlgs 81 relativi a:

- Luoghi di lavoro (Titolo II);

- Uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale (Titolo III);

- Cantieri temporanei o mobili (Titolo IV);

- Protezione da atmosfere esplosive (Titolo XI).

Una sintesi delle modifiche/integrazioni relative a tali parti, con la sola eccezione di quella relativa ai «Cantieri temporanei e mobili» (che richiederebbe un approfondimento specifico e, comunque, non compatibile con l'economia di questo commento), è espressa nella Tavola pubblicata in pagina. Nettamente più limitato risulta, invece, l'impatto normativo della riforma su:

- Segnaletica di salute sicurezza sul lavoro (Titolo V)

- Movimentazione manuale dei carichi (Titolo VI)

- Attrezzature munite di videoterminali (Titolo VII);

- Agenti fisici (Titolo VIII);

- Sostanze pericolose (Titolo IX);

- Esposizione ad agenti biologici (Titolo X);

- Protezione da atmosfere esplosive (Titolo XI).

In questi ultimi Titoli la principale (se non unica) novità è rappresentata dalla modifica dell'articolo riguardante le sanzioni a carico del datore di lavoro e del dirigente, che, in considerazione della tendenza generale della riforma conclusasi nell'agosto 2009, sono state, di solito, sensibilmente ridimensionate. Da segnalare, infine, che in molti settori, si è introdotta una norma specifica secondo la quale la violazione di più precetti, riguardanti la stessa categoria di profili di sicurezza rientranti nel singolo Titolo è considerata, ai fini sanzionatori, come un'unica violazione con conseguenti benefici sul piano penale. Anche in questi casi, tuttavia, l'organo di vigilanza deve precisare, nel suo verbale, i diversi precetti che sono stati violati.

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L'ambito d'azione

Principali titoli del decreto Novità rispetto al testo originario del Dlgs 81/2009

Titolo II "luoghi di lavoro"

- Dalla nozione di "luogo di lavoro" sono esclusi i campi, i boschi e gli altri terreni facenti parte di un'azienda agricola forestale - La strutturazione dei luoghi di lavoro tenendo conto dei lavoratori disabili riguarda ora anche gli ascensori, le relative pulsantiere e gli accessi alle scale - Sanzioni ridotte, rispetto al testo originario del Dlgs 81/2008, per datore di lavoro e dirigente

Titolo III "uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale"

- Definizione, tra le attrezzature di lavoro, di impianto («complesso di macchine, attrezzature e componenti necessari all'attuazione di un processo produttivo», articolo 69) - In presenza di constatazione di attrezzatura di lavoro, che presenti situazioni di rischio da mancato rispetto dei requisiti essenziali di sicurezza, l'organo di vigilanza impartisce prescrizione in ipotesi di contravvenzioni o dà disposizione in caso che non preveda contravvenzione (articolo 70). - Previsione a carico del datore di lavoro, in caso di attrezzature che richiedano per il loro impiego conoscenze o responsabilità particolari, di obbligo di informazione, formazione e addestramento adeguati di lavoratori (articolo 71, comma 5). - I controlli e le manutenzioni devono essere svolti secondo le indicazioni del fabbricante o secondo norme tecniche, buone prassi o linee guida (articolo 71, comma 8). - Obbligo datoriale di valutare l'effettivo stato di conservazione e di efficienza a fini di sicurezza (articolo 71, comma 9). - Gli obblighi dei noleggiatori di concedente in uso di cui all'articolo 72 si estende macchine, apparecchi e utensili (articolo 72) - Obbligo datoriale di effettuare anche un addestramento adeguato (articolo 73) - Rispetto alle apparecchiature elettriche estensione dell'obbligo di salvaguardia (articolo 80, comma 1) e introduzione di un obbligo di prendere le misure necessarie sulle procedure e sulla manutenzione (articolo 80, comma 3-bis). - Individuazione di ulteriori casi in cui sono consentiti lavori sotto tensione (articolo 82) - Rivista la norma relativa alle verifiche e controlli (articolo 86) Ridimensionate le sanzioni a carico del datore di lavoro (articolo 87) - Previsione secondo cui la violazione di più precetti riconducibili a categoria omogenea di requisiti di sicurezza è considerata "unica violazione" (articolo 87, comma 4) - Previsione di sanzioni per venditore, noleggiatore e concedente in uso (articolo 87, comma 7)

Titolo XI protezione da atmosfere esplosive

- Muta la definizione di "atmosfera pericolosa" (articolo 288) - Previsione di impiego di allarmi ottico-acustici che segnalino l'avvio e la fermata dell'impianto (articolo 293) - L'oggetto d'informazione e di formazione dei lavoratori è specificatamente precisato (articolo 294-bis) - Si allarga il campo delle infrazioni dei datori e dei dirigenti prese in considerazione (articolo 297).

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Il cambiamento normativo sulla delega

Il testo attuale come integrato dal Dlgs 106/2009 (modifiche in neretto e corsivo)

Il testo originario del Dlgs 81/2008

Articolo 16 Delega di funzioni

1. La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:

a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;

b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;

c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;

d) che essa attribuisca al delegato l'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate;

e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.

2. Alla delega di cui al comma 1 deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità.

3. La delega di funzioni non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. L'obbligo di cui al precedente periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all'articolo 30, comma 4. 3-bis. Il soggetto delegato può, a sua volta, previa intesa con il datore di lavoro delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro alle medesime condizioni di cui ai commi 1 e 2. La delega di funzioni di cui al periodo precedente non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite. Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate.

Articolo 16 Delega di funzioni

1. La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:

a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;

b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità

ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;

c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;

d) che essa attribuisca al delegato l'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate;

e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.

2. Alla delega di cui al comma 1 deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità.

3. La delega di funzioni non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. La vigilanza si esplica anche attraverso i sistemi di verifica e controllo di cui all'articolo 30, comma 4.

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Il nuovo profilo organizzativo

Posizione nella struttura organizzativa Ruolo ai fini della sicurezza

sul lavoro

Dirigente o funzionario di ufficio avente autonomia gestionale (come da articolo 3 comma 2 del Dlgs 81/2008)

Datore di lavoro per la sicurezza

Dipendente (del dirigente o funzionario con autonomia gestionale) di livello organizzativo inferiore, munito di delega avente i requisiti di cui all'articolo 16 commi 1 e 2

Delegato di funzioni di I livello 8 avente le funzioni trasferitegli dal datore

Ulteriore dipendente (del dirigente o funzionario con autonomia gestionale) di livello organizzativo inferiore, munito di delega avente i requisiti di cui all'articolo 16 commi 1 e 2

Delegato di funzioni di II livello avente le "specifiche funzioni" trasferitegli

Vigilanza, la scelta efficiente

I modelli di organizzazione di gestione per la sicurezza sul lavoro

(art. 2, c. 1, lett dd) DLgs. 81/2009

Si compongono di vari sottosistemi

- sistema aziendale per l’adempimento degli obblighi;

- sistema di registrazione dell’avvenuta effettuazione delle attività obbligatorie;

- previsione di funzioni per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio;

sistema disciplinare ah hoc;

sistema di controllo.

Il sottosistema di controllo sull’attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate (art. 30, c. 4, D.Lgs. 81/2008)

…. ove adottato ed efficacemente attuato da parte del datore di lavoro pubblico e dall’Ente locale assicura, per presunzione di legge, l’assolvimento dell’obbligo di vigilanza da parte del datore di lavoro verso il delegato di funzioni (art. 16, c. 3, ultimo periodo, DLgs. 81/2008 come riformato )

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Sicurezza nei cantieri

Sicurezza nel settore edile: alcune considerazioni pratiche su piani e sistemi di gestione Da diversi anni, in particolare da quando il recepimento delle direttive europee sui cantieri temporanei e mobili ha prodotto la cosiddetta "direttiva cantieri" (ex D.Lgs. n. 494/1996, "Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili"), la progettazione integrata della sicurezza ha rappresentato uno "spartiacque" tra il passato e il presente. Le novità che il D.Lgs. n. 494/1996 ha importato sul mercato italiano erano sostanzialmente due, l'introduzione del ruolo del coordinatore, come nuova figura professionale, e la redazione di un apposito documento di pianificazione e di coordinamento. Il documento cardine e innovatore che, in qualche modo, ha dato una svolta al modus operandi nel settore delle costruzioni è stato il piano di sicurezza e coordinamento (PSC). Matteo Tomaiuolo, Ambiente & Sicurezza, Il Sole 24 Ore, 8 dicembre 2009, n. 23, p.36 Il piano di sicurezza e coordinamento, che è stato oggetto di attenzione specifica del D.P.R. n. 222/2003 e ora abrogato dal D.Lgs. n. 81/2008, non ha ancora assolto tutt'oggi il compito per il quale era stato concepito. Infatti, sono molte le difficoltà incontrate da parte del "sistema imprese" sia nell'accettare le nuove figure professionali previste dalla normativa, sia nel riconoscere dignità a questo nuovo elaborato progettuale. Prima fra tutte, come accade ogni qualvolta subentrano modifiche sostanziali sulle normali prassi, sono state riscontrate alcune difficoltà culturali; infatti, l'addetto medio,ma anche il professionista e l'imprenditore, erano abituati, prima dei D.Lgs. n. 626/1994 e D.Lgs. n. 494/1996 (direttive sociali) [1], a recepire le cosiddette normative tecniche [2], nelle quali il legislatore aveva fornito precise disposizioni su come mettere in sicurezza uno scavo, un ponteggio ecc. In secondo luogo, gli stessi coordinatori, già progettisti e/o direttori dei lavori, hanno avuto una grande difficoltà a entrare in un ruolo che, in qualche modo, era percepito dai più come "scomodo" e "pleonastico", adattandosi di conseguenza. In terzo luogo, sembra sia sorto un problema di mancata percezione del "valore aggiunto" che il coordinatore e/o la buona redazione/gestione del piano di sicurezza e coordinamento possono trasferire al processo edilizio e al prodotto in genere. Questo è certamente un argomento di ampia portata che consiste nella stima del valore degli "asset intangibili", e le recenti pubblicazioni [3] in merito all'utilizzo di strumenti quali "l'analisi del valore" hanno dimostrato come l'argomento rivesta grande attualità. In cantiere è cambiato poco; il tentativo è stato quello di cercare di delegare ai nuovi ruoli, compreso il RSPP, le mansioni più squisitamente "sicuristiche", lasciando quasi inalterato il resto dell'organizzazione, ma con scarsi risultati. Non era certo questa la volontà del legislatore, ma nel contempo risulta ancora difficile condividere alcuni valori e certi concetti con il resto degli attori che, a vario titolo, partecipano al cantiere. L'evoluzione della normativa Negli ultimi anni, con il fiorire dei cantieri delle grandi opere, è stato possibile sperimentare nuove concezioni di redazione e di gestione del PSC o, meglio, si è cercato di dare al documenro la caratteristica di strumento operativo e di contestualizzazione dei rischi reali nei singoli cantieri per poter essere fruibile, condiviso e, nel contempo, rispondente ai requisiti dettati dal legislatore. Il merito di questo risultato deve essere riconosciuto ai general contractor, i quali hanno assunto, negli anni, la direzione di grossi cantieri infrastrutturali, di natura strategica per l'intero sistema paese, per aver sperimentato nuove forme organizzative e di compartecipazione alla gestione della sicurezza [4].

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Resta palese, però, il fatto che la "direttiva cantieri", nata forse più per la realizzazione di una palazzina di edilizia tradizionale, non è riuscita ad "abbracciare" tutte le problematiche che un cantiere di grandi dimensioni può avere. Si pensi ai cantieri per le linee dell'alta velocità-alta capacità o alla realizzazione/adeguamento di interi tronchi autostradali, come i lavori di adeguamento della Salerno-Reggio Calabria, lunghi centinaia di chilometri, che attraversano più province e, a volte, più regioni. E' evidente l'inadeguatezza della norma, ma è anche indiscutibile che, oltre qualche ulteriore accorgimento, il legislatore non potrebbe fare tanto di più di quello che ha già fatto; lo sforzo di riunire all'interno di un nuovo Testo unico (il D.Lgs. n. 81/2008, così come modificato dal D.Lgs. n. 106/ 2009) la normativa in materia di igiene e di sicurezza sul lavoro è stato grande,ma gli aspetti salienti, in quanto innovatori rispetto al passato (si veda l'art. 30, "Modelli di Organizzazione e di Gestione", D.Lgs. n. 81/2008), consistono nel dare autorevolezza alle norme volontarie, fino a ieri considerate di complemento e/o secondarie rispetto alla normativa cogente, quali la OHSAS 18001, ragionamento estendibile, in una visione sempre più integrata, anche alla ISO 14001, per l'ambiente, e alla ISO 9001, per la qualità. Quindi, è necessario pensare a soluzioni che, considerando quanto già posto in essere dal legislatore, cerchino di completare e dare forma organica a quelle azioni alle quali ogni imprenditore, lavoratore, professionista e cittadino dovrebbe tendere per migliorare la qualità del lavoro e della vita in generale. Partendo dal "sistema paese" inteso come l'insieme di più sottosistemi (la pubblica amministrazione e le aziende, private e non, nelle quali i rapporti sono governati da norme e leggi), risulta evidente come, con l'evolversi della società e delle esigenze, possano essere generate alcune aree in cui il quadro legislativo deve ancora completarsi, così pure la presa di coscienza da parte della società in genere (si veda lo schema 1). Sono processi evolutivi che devono tener conto delle responsabilità dovute alla cristallizzazione di un "modello generale dell'organizzazione, della produzione e del lavoro nel quale la cultura della sicurezza ha scarso posto" [5]. Schema 1

Sottinsieme del "sistema paese"

Gli obiettivi E' necessario, quindi, fare qualche riflessione sulle eventuali modifiche che devono essere apportate all'attuale modello produttivo/organizzativo. Per far questo gli imprenditori e i manager, soprattutto per quanto riguarda le PMI, devono prendere coscienza del ruolo che rivestono anche in materia di sicurezza, oltre che di produzione/fatturato, mettendosi in gioco al fine di migliorare i propri risultati, anche in termini di riduzione drastica degli infortuni, favorendo in questo modo sia l'economia italiana, liberando risorse utili per lo sviluppo, sia le stesse aziende in termini di incremento di "utili". Ragionando in termini economici (dati INAIL) in Italia, nel 2003, il costo complessivo degli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali è ammontato a 41 miliardi di euro. Ridurre drasticamente gli infortuni sul lavoro è un obbiettivo che deve essere perseguito dalle imprese.

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Di solito in un sistema, nell'accezione più ampia del termine, quando è necessario imporre nuove strategie o cambiamenti in genere è possibile seguire delle logiche top-down (dall'alto al basso) o bottom-up (dal basso verso l'alto). L'approccio top-down è il metodo in cui la base della piramide cambia (o dovrebbe cambiare) perché riceve un input dall'alto; condizione necessaria e sufficiente è che l'input sia chiaro, completo ed esaustivo. L'approccio bottom-up cerca di coinvolgere la base della piramide nel cambiamento, condividendo con la stessa i valori legati al cambiamento stesso. Nel caso del miglioramento delle condizioni di sicurezza, non esiste una direzione univoca da seguire,ma è opportuno porre in essere entrambe le soluzioni; i miglioramenti saranno avvertiti ma sono necessari tempo e perseveranza. Se questo piccolo schema logico è trasferito all'interno del ragionamento iniziale, è naturale pensare che l'unico modo per migliorare la qualità del lavoro e sopperire alle carenze del sistema è l'adozione, su base volontaria, di un sistema di gestione della sicurezza, ai sensi delle OHSAS 18001, meglio se integrato con qualità (ISO 9001) e ambiente (ISO 14001). L'implementazione del sistema di gestione integrato aiuterebbe l'impresa a tarare, sulla base delle proprie esigenze, la documentazione e le procedure necessarie per tenere sotto controllo i processi e i rischi/impatti connessi agli stessi, nonché monitorarne l'evoluzione e il continuo miglioramento. Quindi, è possibile comprendere come il fulcro della corretta implementazione e gestione della sicurezza in cantiere è l'imprenditore [6], che crede e investe in risorse umane, nello sviluppo di nuove tecnologie, nonché nell'implementare apposite strutture organizzative atte a monitorare i processi messi in atto, in particolare a: - costruire una base di valori condivisi; - palesare comportamenti coerenti con i valori dichiarati; - implementare un apposito sistema di gestione della sicurezza; - mettere in campo le risorse necessarie con la logica dell'investimento; - comunicare il sistema alle parti interessate; - monitorarne i risultati e attuare le necessarie azioni. In questa esperienza le imprese non devono essere lasciate sole e di questo si devono far carico il legislatore, le stazioni appaltanti e anche la magistratura, premiando e non trascurando quei piccoli segnali di virtuosismo che ogni tanto il "sistema impresa" pone in essere. _____ [1] A partire dai primi anni '90 è stata data attuazione alle direttive comunitarie in ottemperanza al trattato istitutivo della Comunità europea (art. 118). [2] Si vedano il D.P.R. n. 547/1955, il D.P.R. n. 164/1956, il D.P.R. n. 303/1956 ecc. [3] Per maggiori dettagli sull'argomento si veda Pier Luigi Maffei, La gestione e l'analisi del Valore per l'ottimizzazione del rapporto utilità/costi globali nella Sicurezza in cantiere e nei luoghi di lavoro, Informatore AIAS, giugno 2009. [4] Si veda l'istituzione di comitati strategici all'interno dei tradizionali organigrammi aziendali, dei tavoli tecnici permanenti con l'ASL, la DPL e le OO.SS. [5] Luciano Gallino, Università di Torino. [6] Si veda, sul punto, la modifica apportata dal D.Lgs. n. 106/2009 all'art. 97, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008.

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Casi pratici

Agevolazioni

SÌ ALLA DOPPIA AGEVOLAZIONE PER L'ACQUISTO E I LAVORI D. In merito alla detrazione del 36%, su un immobile acquistato nel 2006, con beneficio del 25% sul prezzo di acquisto sino al raggiungimento del limite di 48.000 euro. Sono detraibili le spese su nuovi lavori di ristrutturazione per i quali è stata presentata un'autonoma Dia al comune? ----- R. La risposta è affermativa. Per tutti i nuovi interventi che fruiscono del 36%, effettuati dopo l’acquisto del fabbricato ristrutturato, la detrazione del 36% (articolo 2, comma 15 della legge 203/2008) opera autonomamente per ciascun anno, sempre nei limiti di 48.000 euro, calcolata con riferimento alla unità immobiliare (si veda Guida al 36%, edita dall’agenzia delle Entrate e pubblicata sul sito www.agenziaentrate.it). Infatti, nel caso di specie, si tratta di nuovi lavori abilitati da un nuovo provvedimento urbanistico (una Dia) e la detrazione opera a prescindere dal fatto che lo stesso immobile fruisca della detrazione del 36% per acquisto di fabbricato ristrutturato (detrazione forfettaria commisurata al 25% del corrispettivo di acquisto). Ovviamente occorre esperire tutti gli adempimenti (pagamento delle fatture con bonifico bancario o postale e comunicazione preventiva all’inizio dei lavori al Centro operativo di Pescara). (C.V. Vegni, Marco Zandonà, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde del 16 novembre 2009, n. 89)

SUI TERMOREGOLATORI OPERA LO SCONTO DEL 36% D. Un condominio di 36 unità immobiliari ha il riscaldamento centralizzato. Una parte di condomini vorrebbe installare i termoregolatori per ogni singolo appartamento e gestire autonomamente i consumi. Si sa che dove ci sono gli anziani il riscaldamento resta acceso 9-11 ore giornaliere. Per chi, invece, in casa ci sta poche ore al giorno, questo consumo è uno spreco inutile di metano, di energia, e provoca un alto tasso di inquinamemento ambientale. Ci sono incentivi? ----- R. Sotto il profilo giuridico, vi è da dire che è necessaria la delibera assembleare ai sensi dell’articolo 26, comma 2, della legge 9/1/1991 n. 10 e successive modifiche ed integrazioni anche molto recenti. Si riporta il dettato normativo:« Per gli interventi in parti comuni di edifici sugli impianti volti al contenimento del consumo energetico degli edifici stessi ed all’utilizzazione delle fonti di energia di cui all’articolo 1, individuati attraverso un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le pertinenti decisioni condominiali sono valide se adottate con la maggioranza semplice delle quote millesimali degli intervenuti in assemblea». Nel caso di specie, la installazione delle valvole termostatiche fruisce della detrazione del 36% quale intervento di risparmio energetico ai sensi dell’articolo 2, comma 15 della legge 203/2008 e non anche di quella del 55% ai sensi dell’articolo 1, commi 20-24 della legge 244/2007. In particolare, la mera installazione di valvole termostatiche a bassa inerzia termica o, comunque, di altra regolazione di tipo modulante agente sulla portata, su tutti i corpi scaldanti (così come la mera installazione dell’elettrovalvola) di per sé non consente il riconoscimento della detrazione del 55% per interventi di riqualificazione energetica (articolo 1, commi 20-24, legge 244/2007).Trattandosi invece di intervento che sicuramente comporta risparmio energetico, ed eseguito su edifici residenziali, si rende applicabile la detrazione del 36% (vedi guida al 36% edita dall’ Agenzia delle entrate pubblicata sul sito www.agenziaentrate.it). Prima dell'inizio dei lavori l'amministratore deve inviare la prescritta comunicazione al Centro operativo di Pescara, mentre i pagamenti delle fatture devono essere eseguiti con bonifico bancario o postale. (C.V. Vegni, Marco Zandonà, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde del 16 novembre 2009, n. 89)

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Appalti

DOCUMENTI GARA D. La mancata sottoscrizione di un documento presentato per la partecipazione a una gara può essere integrata? ----- R No. In presenza di documentazione del tutto mancante, o fisicamente incompleta, o assolutamente inidonea, o non corrispondente a quella prevista (aliud pro alio), ovvero in caso di mancanza delle prescritte sottoscrizioni, non è consentita la regolarizzazione o l’integrazione della documentazione. In caso contrario si violerebbe la par condicio rispetto alle imprese concorrenti che abbiano invece puntualmente rispettato la disciplina prevista dalla lex specialis (Tar Bolzano, sentenza 308/2009). (M.L.B.) (Guida agli Enti locali, Il Sole 24 Ore, 5 dicembre, n. 48, p. 28)

APPALTI SERVIZI SICUREZZA D. Agli appalti con oggetto i servizi di investigazione e sicurezza si applica l’articolo 66 del Dlgs 163/2006? ----- R No. I “servizi di investigazione e sicurezza” sono ricompresi nell’elenco di cui all’Allegato II B del richiamato del Dlgs 163/2006. L’articolo 20 del Dlgs 163/2006 dispone che «l’aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell’allegato II B è disciplinata esclusivamente dall’articolo 68 (specifiche tecniche), dall’articolo 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento) e dall’articolo 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati)». Pertanto a tali appalti non si applicano le rimanenti disposizioni del Codice dei contratti pubblici, ivi compreso l’articolo 66 del Dlgs 163/2006, relativo alle modalità di pubblicazione del bando (Tar Sicilia, sentenza 731/2009). (Guida agli Enti locali, Il Sole 24 Ore, 5 dicembre, n. 48, p. 28)

Edilizia e urbanistica

EDILIZIA E URBANISTICA - È COMPLESSO IL CALCOLO SUL DIRITTO D'ESPROPRIO D. Per l'esecuzione di una rotatoria con esproprio da parte di un ente comunale, il prezzo dell'esproprio viene considerato quello dell'inizio del progetto (2005) o quello attuale di esecuzione (2009)? Si tratta di un'area edificabile di categoria B4. ----- R. Come previsto dall’articolo 32, comma 1, Dpr dell'8 giugno 2001 n. 327 (Testo Unico delle Espropriazioni), «salvi gli specifici criteri previsti dalla legge, l'indennità di espropriazione è determinata sulla base delle caratteristiche del bene al momento dell'accordo di cessione o alla data dell'emanazione del decreto di esproprio, valutando l'incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa e senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all'esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell'eventuale opera prevista, anche nel caso di espropriazione di un diritto diverso da quello di proprietà o di imposizione di una servitù». Pertanto, è agli elementi di cui sopra che è necessario fare riferimento per stabilire il momento della determinazione dell’indennità e non a quelli indicati nel quesito. (Massimo Sanguini, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde del 30 novembre 2009, n. 93)

EDILIZIA E URBANISTICA - LA VARIANTE AL PROGETTO SECONDO IL PRG IN VIGORE D. Ho presentato un progetto nel mio comune ottenendo il rilascio del relativo permesso di costruire. Il progetto prevedeva al piano terra la realizzazione di un locale commerciale e di un locale deposito. Durante la realizzazione dell'opera (già ultimata a rustico) si è ritenuto di fondere i due locali realizzando un unico locale commerciale. Nello stesso periodo il comune in questione si è dotato di un piano regolatore in base al quale dovrei destinare l'80% della superficie netta a residenza e solo il 20% ad altre attività. Pertanto, il comune non vuole rilasciarmi la variante in quanto il locale supera tali percentuali. È giusta la loro affermazione?

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----- R. Il permesso di costruire, nonché l'eventuale variante – ancorché in corso d'opera – devono rispettare entrambi le previsioni dello strumento urbanistico vigente all'atto del rilascio del titolo abilitativo richiesto. Ne consegue che, nel caso di specie, il titolo abilitativo in variante dovrà essere conforme alla normativa del piano regolatore a oggi vigente e non a quella precedente, in vigore all'atto del rilascio del permesso di costruire di cui si vorrebbe la variante. (Massimo Sanguini, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde del 30 novembre 2009, n. 93)

EDILIZIA E URBANISTICA - IL CONDONO NON COMPORTA L'AGIBILITÀ AUTOMATICA D. Ho fatto richiesta di agibilità di un appartamento condonato con legge 326/2003, che mi viene respinta perché ha altezza inferiore a cm 270. Mi viene motivato dicendo che l'articolo 35, comma 19, della legge 47/85 deroga le "norme regolamentari" ma non le "norme" o le "leggi nazionali" quali il Rd 1265/34, il Dm 5 luglio 1975 e l'articolo 24, comma 1, del Dpr 380/2001, che l'amministrazione richiama per motivarne il diniego. Mi rilasciano però il numero civico, ma non posso chiedere la residenza in quanto incomberei in sanzione amministrativa al momento della notifica da parte del messo comunale.È possibile tutto questo?Potendo fare ricorso al Tar, potrei vincere la causa? ----- L’articolo 35, comma 19 della legge 47/1985 stabilisce che «a seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, qualora le opere sanate non contrastino con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica, attestata dal certificato di idoneità di cui alla lettera b) del terzo comma e di prevenzione degli incendi e degli infortuni».La giurisprudenza ha precisato che il rilascio del certificato di agibilità di un fabbricato conseguente all’intervenuto di condono edilizio non è atto dovuto, ma scaturisce dai controlli sulle condizioni igienico-sanitarie che possono avere esito negativo e può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari e non anche quando siano carenti le condizioni di salubrità richieste da fonti normative di livello primario (Consiglio di stato, sezione V, 15 aprile 2004, n. 2140; Tar Veneto 8 settembre 2006, n. 2899).In particolare, la giurisprudenza richiede l’osservanza delle disposizioni dell’articolo 218 del Rd 1265/1934 “ Testo unico delle leggi sanitarie” che rinvia ai regolamenti locali di igiene e sanità le norme dirette ad assicurare nelle abitazioni la salubrità degli ambienti nonché dell’articolo 221 dello stesso Testo unico, oggi sostituito dagli articoli 24 e 25 del Dpr 380/2001 (e in precedenza all’articolo 4 del Dpr 425/1994), in base ai quali il rilascio è subordinato all’avvenuta prosciugatura dei muri e alla salubrità degli ambienti, nonché al rispetto delle norme sulla statica dell’edificio, sulla sicurezza degli impianti, eccetera. L’altezza dei locali viceversa è fissata in m. 2,70 dal Dm 5 luglio 1975, ossia da una norma di natura regolamentare in quanto tale derogabile ai sensi dell’articolo 35 della legge 47/1985.Pertanto, alla luce di tutto ciò, deve ritenersi che se l’unità immobiliare in questione presenti adeguate condizioni di salubrità, di igiene e aerazione, la sussistenza di un’altezza interna inferiore ai m. 2,70 non possa condurre il comune a negare il rilascio del certificato di agibilità. Si deve trattare naturalmente di un lieve “deficit” nell’altezza, poiché altrimenti qualora la riduzione dell’altezza fosse rilevante si tradurrebbe in una causa di insalubrità degli ambienti. Comunque, ai fini della proposizione di un ricorso ai giudici amministrativi, occorre tenere presente il contrasto fra la giurisprudenza che tende a ricondurre la materia dell’agibilità alla fonte primaria e l’attuale normativa è formata per lo più da fonti secondarie. (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 30 novembre 2009, n. 93)

EDILIZIA E URBANISTICA - AI FINI DEL BONUS RILEVA LA VOLUMETRIA RESIDENZIALE D. Vorrei un chiarimento sull’applicabilità della legge della regione Puglia n. 14/2009 (piano casa) a un condominio realizzato in zona C dello strumento urbanistico vigente, costituito da tre livelli fuori terra, il primo destinato a locali commerciali e locali deposito, il secondo e terzo livello destinati ad abitazioni (4 appartamenti al primo piano e tre al secondo piano). Una porzione del lastricato solare (circa la metà) è di proprietà esclusiva di uno degli appartamenti del secondo piano.

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Le strutture dell’edificio sono state dimensionate su quattro livelli fuori terra, considerando quindi un piano in più rispetto al realizzato. Il comune è andato in deroga all’altezza rispetto alla normativa regionale. L’appartamento può fruire del bonus del 20%? Se sì, qual è la volumetria da prendere in considerazione per il calcolo del bonus? ----- R. La legge regionale della Puglia del 30 luglio 2009, n. 14, all’articolo 3, comma 1, consente interventi di ampliamento nel limite del 20% della volumetria complessiva e comunque per un massimo di 200 mc sugli edifici residenziali di volumetria non superiore a 1.000 mc. Sul punto si evidenzia che, rispetto al testo originario, sono state apportate due modifiche rilevanti: è stato eliminato nel suddetto articolo il riferimento agli edifici uni-bifamiliari, definizione che, invece, compare nell’articolo 2, comma 2, lettera a) che testualmente dispone «per edifici residenziali uni-bifamiliari si intendono gli immobili comprendenti una o due unità immobiliari destinate alla residenza e gli edifici rurali a uso abitativo, comunque di volumetria complessiva non superiore a 1.000 mc»; le parole «edifici residenziali e quelli di volumetria non superiore a 1.000 mc» sono state sostituite con «edifici residenziali di volumetria non superiore a 1.000 mc».Con riferimento alla prima modifica si sottolinea che allo stato attuale vi sono due diverse linee interpretative: quella che ritiene possibile gli interventi di ampliamento esclusivamente su edifici residenziali uni e bifamiliari di volumetria complessiva di 1.000 mc (con esclusione di quelli aventi unità immobiliari superiori a due); quella che, invece, a seguito della citata eliminazione, ammette che oggetto degli interventi di ampliamento sia qualsivoglia edificio residenziale (e non solo gli uni e bifamiliari) purché di volumetria complessiva non superiore a 1.000 mc. Relativamente, invece, all’altra modifica, è stato chiarito che gli interventi di ampliamento sono ammissibili solo su edifici residenziali, con esclusione, quindi di quelli destinati a uso diverso dall’abitativo. Rimane, tuttavia, aperta la problematica concernente la possibilità che i suddetti interventi di ampliamento possano eventualmente essere realizzati nel caso in cui l’edificio sia a composizione mista, ovvero costituito in misura prevalente a residenza con una minima percentuale a uso diverso purché compatibile e strettamente connesso all’abitativo. Il testo di legge, infatti, non specifica come nel caso della demolizione e ricostruzione che gli edifici siano destinati per una determinata percentuale alla residenza, ma utilizza senza alcuna specificazione il termine «edifici residenziali», per cui non è possibile fornire una risposta certa. Tuttavia, si ritiene di poter aderire a un’interpretazione estensiva della norma che non escluda i suddetti edifici quando all’interno vi siano unità immobiliari adibite comunque ad attività compatibili e connesse alla residenza. In tal caso, fermo il limite massimo di volumetria dell’intero edificio che non può essere superiore a 1.000 mc (circa 333 mq), il 20% dell’incremento volumetrico dovrà essere calcolato esclusivamente sulla parte residenziale. Si evidenzia, infatti, che sia in Toscana (legge n. 24/20009) che in Emilia Romagna (legge n. 6/2009), anche se in riferimento agli interventi di demolizione e ricostruzione, si è disposto che nel caso in cui l’edificio sia costituito da unità immobiliari aventi destinazioni d’uso diverse dall’abitativo gli interventi sono consentiti a condizione che la superficie di dette unità non sia computata ai fini dell’ampliamento e non sia aumentata. (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 30 novembre 2009, n. 93)

PER IL PIANO ATTUATIVO BASTA LA MAGGIORANZA D. Siamo 11 proprietari di altrettanti immobili fatiscenti rientranti in una zona di recupero edilizio, per cui abbiamo presentato un piano di recupero approvato dal comune, ma non realizzabile per il diniego di un proprietario. Pur essendoci i presupposti per eseguire da parte del comune un'acquisizione coattiva, ciò non avviene. Attualmenten nelle Marche è stato approvato il Piano casa, per cui vorremmo demolire e ricostruire i nostri immobili anche se questa operazione è meno vantaggiosa in termini di volumetria, ma abbiamo dei dubbi interpretativi quali: 1) bisogna presentare una procedura per ogni immobile interessato? 2) La volumetria acconsentita può essere traslata, in accordo tra i proprietari, nell'area del comparto? 3) Parte del demolito, nella ricostruzione può cambiare destinazione d'uso? ----- R. Occorre premettere che, ai sensi dell'articolo 27 della legge 166/2002, il concorso dei proprietari rappresentanti la maggioranza assoluta del valore degli immobili in base all'imponibile catastale, ricompresi nel piano attuativo, è sufficiente a costituire il consorzio ai fini della presentazione al comune delle proposte di realizzazione dell'intervento e del relativo schema di convenzione.

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Successivamente il sindaco, assegnando un termine di novanta giorni, diffida i proprietari che non abbiano aderito alla formazione del consorzio ad attuare le indicazioni del piano attuativo sottoscrivendo la convenzione presentata. Decorso infruttuosamente il termine assegnato, il consorzio consegue la piena disponibilità degli immobili ed è abilitato a promuovere l'avvio della procedura espropriativa a proprio favore delle aree e delle costruzioni dei proprietari non aderenti. In proposito si deve segnalare la risposta a un quesito da parte del ministero delle Infrastrutture con la nota n. 3955/2002, nella quale si afferma che il comma 5 dell'articolo 27 della legge 166/02, ancorché essere inserito nell'articolo riguardante i «programmi di riabilitazione urbana», ha portata generale riguardante gli strumenti urbanistici attuativi di iniziativa privata del Piano regolatore generale, strumenti variamente denominati nella legislazione nazionale e regionale. Venendo alla legge n. 22/2009 della regione Marche, si sottolinea che l'articolo 2, a differenza del piano di recupero finalizzato alla riqualificazione di un intero ambito, è rivolto all'esecuzione di singoli interventi di demolizione e ricostruzione. Infatti, diversamente da altre regioni, la legge regionale n. 22/2009 non ha previsto la possibilità di realizzare gli interventi di ampliamento e di demolizione e ricostruzione oggetto di incentivi urbanistici nell'ambito di piani o programmi di riqualificazione urbana. D'altronde il comune, di fronte a una pluralità di interventi tra loro connessi, potrebbe richiedere la predisposizione di un piano attuativo. Per quanto riguarda, invece, il secondo quesito, si rileva come la legge non preveda in modo espresso la possibilità di traslare volumi, operazione che però potrebbe essere giustificabile per il rispetto della sicurezza antisimica. Con riferimento poi alle destinazioni d'uso, l'articolo 2 consente il mutamento per i soli edifici non residenziali ricadenti nelle zone omogenee A-B di cui al Dm 1444/1968 e a condizione che la nuova destinazione sia compatibile con quelle di zona previste dagli strumenti urbanistici. (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 16 novembre 2009, n. 89)

LA LEGGE ANTIRUMORE HA INGRANATO LA RETROMARCIA D. La recente legge 88/2009 ha abrogato il Dpcm 5 dicembre 1997 (requisiti acustici passivi) nei rapporti tra costruttori e acquirenti di alloggi sorti successivamente alla data di entrata in vigore della legge (luglio 2009). L'esito di un'azione legale che vorrei intraprendere nei confronti di un costruttore da cui ho acquistato nel 2007 un alloggio che non rispetta i requisiti previsti dal Dpcm del 1997 può essere compromesso o inficiato dall'abrogazione? Ho inteso che è stato approvato un ordine del giorno che impegna il governo a prendere provvedimenti per gli edifici antecedenti la data di entrata in vigore della legge. Questo corrisponde al vero? ----- R. Con la legge 88/2009, in articolo 11, comma 5, si precisa che «in attesa del riordino della materia, la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti di cui all’articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori venditori e acquirenti di alloggi sorti successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge». Pertanto, i rapporti sorti in epoca anteriore continuano a essere assoggettati alla disciplina di cui al Dpcm 5 dicembre 1997. Successivamente alla entrata in vigore delle legge (fine luglio 2009) le azioni legali vanno indirizzate al Tar ritenendo illegittimo l’atto autorizzativo di assentimento edilizio comunale (la licenza o la Dia). In caso di vittoria, potrebbe anche essere ordinata la demolizione dell’intero immobile. Circa l’ordine del giorno del governo al quale fa riferimento il lettore, non ne ho notizia; suggerisco, dato che il quadro legislativo è già abbastanza confuso di per sé, di fare riferimento a quanto pubblicato sulla « Gazzetta Ufficiale» e a non riporre troppe aspettative nei tempi e nei modi di futuri interventi legislativi. (Ezio Rendina, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 16 novembre 2009, n. 89)

IL CALCOLO DELLA CUBATURA PER EDIFICARE IN SANATORIA D. Un pensionato coltivatore diretto è proprietario di due beni, ubicati in una zona agricola del programma di fabbricazione vigente nel suo comune. Il primo fabbricato rurale è distinto al catasto con un proprio mappale, di cui una porzione antecedente l'anno 1942 e un altro fabbricato oggetto di condono edilizio legge 47/85.Il secondo fabbricato è una parte di un terreno della superficie di circa 15.000 metri quadrati, individuato al catasto con un proprio mappale. Il pensionato ha costruito un piccolo deposito attrezzi in assenza di titolo abilitativo, sulla seconda parte. Ora ha

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chiesto il permesso di costruire in sanatoria. Per la verifica degli standard urbanistici, è tenuto a computare la cubatura del fabbricato esistente, sull'altro lotto confinante? ----- R. Se con standard urbanistici si intende la dotazione di urbanizzazioni, per il loro calcolo si deve fare riferimento solo all'ultimo edificio oggetto di richiesta di permesso, in quanto per ciò che riguarda gli altri edifici uno era esistente e l'altro è stato condonato e corrisposto il contributo concessorio. Se invece con standard urbanistici si fa riferimento all'indice di edificabilità e relativa capacità edificatoria di un'area, in assenza di specifiche disposizioni nel programma di fabbricazione, occorre verificare se l'indice è individuato per l'intero ambito territoriale, per cui è necessario detrarre le volumetrie già realizzate, ovvero se è relativo alle sole aree libere per cui è a questo che deve essere riferito. Il problema dunque non è risolvibile con le indicazione catastali, bensì attraverso l'interpretazione delle disposizione urbanistiche contenute nel programma di fabbricazione. (Massimo Ghiloni Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 9 novembre 2009, n. 87)

«SILENZIO» SUL VINCOLO: POSSIBILE RICORSO AL TAR D. Ho fatto domanda oltre tre anni fa per ottenere il "vincolo" di cui al Dlgs 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio) sulla mia abitazione. La soprintendenza mi ha risposto oralmente che non ritiene di darmi il vincolo ma si rifiuta di rispondermi per iscritto. Come posso agire? ----- R. Come previsto dall’articolo 12 del Dlgs 22 gennaio 2004, n. 42, il procedimento di verifica dell'interesse culturale (artistico, storico, archeologico o etnoantropologico) si conclude entro centoventi giorni dal ricevimento della richiesta. Scaduto il suddetto termine, si ritiene possa applicarsi l'articolo 2, comma 8, legge 241/1990, secondo cui è possibile proporre ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione avanti il Tar territorialmente competente non oltre un anno dalla scadenza del termine medesimo. Nel caso di specie, essendo decorsi ormai tre anni dalla richiesta, è consigliabile ripresentare un'altra istanza e, nel caso di nuovo silenzio, verificare la correttezza dei presupposti giuridici per l'accertamento dell'interesse culturale e, in caso positivo, presentare ricorso al Tar nei termini sopra indicati. (Massimo Sanguini, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 9 novembre 2009, n. 87)

Antincendio e prevenzione incendi

GENERATORI A GAS METANO D. A seguito di un sopralluogo effettuato all’interno di un capannone adibito alla lavorazione della plastica (con quantitativi inferiori, però, ai 50 quintali, quindi non costituente attività n. 57, D.M. 16 febbraio 1998) è stato riscontrato che il medesimo è riscaldato da due generatori pensili a camera stagna alimentati a gas metano di rete installati all’interno del capannone stesso. I generatori prelevano l’aria comburente dall’esterno e hanno ognuno potenza termica al focolare pari a 48,6 kW (ovvero sommando le potenzialità pari a 97.2 kW > 116 kW); quindi, non si configura nemmeno l’attività n. 91, D.M. 16 febbraio 1982. All’interno del capannone è utilizzata la plastica in piccoli granuli che è successivamente stampata dai vari macchinari per l’ottenimento di manufatti per l’industria di imballaggi. Inoltre, all’interno del capannone è presente un’area dove sono utilizzati alcune colle e mastici. Possono rimanere installati i due generatori pensili a camera stagna, cioè all’interno del capannone, dove vi è lavorazione di granuli piccoli di materie plastiche varie (eliminando, eventualmente, il banchetto delle colle e dei mastici)? Oppure è necessario installare 2 nuovi generatori all’esterno dell’edificio con serranda tagliafuoco sulla mandata senza ripresa d’aria dal capannone? La seconda domanda riguarda, invece, l’alimentazione del gas metano ai generatori pensili. Difatti, all’esterno del capannone, attaccata alla parete, a circa 2 m da terra, è posata la tubazione del gas che, in prossimità dei generatori pensili posti all’interno del capannone, entra con tubo guaina passante e alimenta i due generatori (ognuno provvisto di valvola a sfera di intercettazione, posta in posizione raggiungibile anche se un po’ alta), e di giunto flessibile gas.

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Questa distribuzione gas è corretta? Non è possibile che possa mancare, per ciascun generatore, una seconda valvola di intercettazione a sfera posta in cassetta all’esterno del capannone, in posizione comoda? È necessario modificare nel modo descritto la tubazione gas, inserendo, quindi, le due valvole a sfera di intercettazione in cassetta poste all’esterno? ----- R. Il D.M. 12 aprile 1996 ha stabilito, genericamente, che «È vietata l’installazione all’interno di locali in cui le lavorazioni o le concentrazioni di materiali in deposito comportino la formazione di gas, vapori o polveri suscettibili di dare luogo ad incendi ed esplosioni». Questa prescrizione, oltremodo generica, ha lasciato spazio a diverse interpretazioni emetodi di valutazione dell’effettivo rischio di esplosione. Al riguardo, la Direzione Centrale per la Prevenzione e Sicurezza Tecnica ha recentemente emanato la lettera circolare 10 aprile 2009, n. 3060, al fine di fornire una corretta interpretazione e applicazione relativamente all’installazione di apparecchi termici in ambienti conpericolo di esplosione. Con questo documento è stato chiarito che la presenza di sostanze infiammabili non comporta necessariamente la formazione di atmosfere pericolose, quindi, il divieto di installazione dei generatori non è automatico. L’installazione dei generatori è ammessa all’interno dei locali nei quali il rischio di esplosione deve essere considerato residuale. La valutazione del livello di rischio di esplosione può essere fatta seguendo il D.M. 4 maggio 1998, che ha previsto la redazione di una relazione tecnica da accompagnare al progetto, che evidenzi la valutazione del rischio e le eventuali azioni di contenimento di questo (punto 2.3, Allegato I). Più in generale, l’analisi del rischio può essere svolta seguendo l’indirizzo e le modalità previste dal D.M. 10 marzo 1998 (art. 2). Nel caso in cui, invece, il rischio sia presente, secondo le indicazioni ministeriali la valutazione dovrà essere svolta seguendo i criteri contenuti nel D.Lgs. n. 81/2008. Con riferimento, invece, alla seconda domanda, l’installazione della valvola di intercettazione sulla rete di adduzione del gas metano deve essere sicuramente prevista al fine del rispetto del punto 5.4.2, lettera f), D.M. 12 aprile 1996, secondo il quale «all’esterno dei locali di installazione degli apparecchi deve essere installata, sulla tubazione di adduzione del gas, in posizione visibile e facilmente raggiungibile una valvola di intercettazione manuale con manovra a chiusura rapida per rotazione di90° ed arresti di fine corsa nelle posizioni di tutto aperto e di tutto chiuso».

CONFORMITÀ DELLA STRUTTURA DI UNA SCUOLA MATERNA D. È necessario un parere di conformità per una scuola materna (150 bambini). Indipendentemente dal valore del carico d’incendio, la resistenza al fuoco richiesta per le strutture deve essere pari a 60 (punto 3.0, D.M. 26 agosto 1992). Trattandosi di un edificio costruito negli anni ‘80, non è possibile reperire i documenti certificativi per il solaio di copertura in copponi e pilastri prefabbricati in cemento armato. Non si vorrebbe andare in deroga con la classificazione in base ai risultati di calcolo(dimostrando che le strutture sono compatibili con il carico d’incendio esistente poiché, stante la geometria delle strutture, risulta complicato). Non si vorrebbe andare in deroga dimostrando che, con l’impianto fumi e allarme e, soprattutto, con il sistema automatico di spegnimento ad acqua, si raggiunge la classe 0 (pertanto, non dovrebbe essere necessario certificare la resistenza al fuoco delle strutture). Inoltre, l’impianto di spegnimento automatico nella scuola non risulta essere molto adeguato. Secondo le nuove norme, se si installa un normale controsoffitto di protezione per la copertura che abbia una certificazione REI 60 e si rivestono i pilastri con pannelli certificati REI 60, è possibile affermare che «le strutture hanno una resistenza al fuoco pari a REI 60» e produrre, poi, la sola certificazione delle protezioni che attesta la classificazione in base a risultati di prove, oppure è necessario presentare, in ogni caso, il calcolo ”struttura più protezione” dimostrando che il tutto è REI 60, certificando con il metodo analitico? ----- R. Nel caso descritto esiste una specifica regola tecnica, il D.M. 26 agosto 1992, che ha stabilito la classe minima di resistenza al fuoco, ovvero che le strutture di un edificio scolastico devono garantire una resistenza al fuoco di almenoR60(strutture portanti) eREI60(strutture separanti). Per quanto concerne la possibilità di richiesta di deroga, al rispetto integrale della regola tecnica, è opportuno rammentare che ai sensi dell’art. 5, D.M. 4 maggio 1998, le istanze devono essere corredate della «specificazione delle caratteristiche dell’attività o dei vincoli esistenti che comportano l’impossibilità di ottemperare alle disposizioni» di legge. Al riguardo, il mancato possesso delle documentazioni certificative delle strutture, in realtà, non appare un “vincolo” tale

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da poter giustificare una richiesta di deroga. Inoltre, non è detto che il Comitato Tecnico Regionale dei VVF, che esprime il parere definitivo sulla richiesta di deroga, accetti che le strutture portanti di un edificio scolastico possiedano una resistenza al fuoco pari a 0, seppure in presenza di un impianto rivelazione fumi e allarme e di un sistema automatico di spegnimento ad acqua, il quale ha anche dei costi molto elevati. Pertanto, l’impossibilità di risalire a informazioni relative alle caratteristiche meccaniche/ geometriche delle strutture comporta, in genere, la necessità di adottare sistemi protettivi adeguati alle prestazioni richieste. In questo caso specifico, l’applicazione di un controsoffitto e di pannelli REI 60 proposta appare una soluzione accettabile. Inoltre, nel caso si intenda adottare questa soluzione, non sarà necessario usare un metodo analitico per studiare l’efficacia del sistema struttura protettivo, ma sarà necessario fare riferimento soltanto alla classificazione in base ai risultati delle prove. (Mario Abate, Ambiente&Sicurezza, Il Sole24Ore, 8 dicembre 2009, n. 23, p. 50)

Fisco

IVA - NO AL REVERSE CHARGE PER L'EDIFICIO IN VENDITA D. Un'impresa edile costruttrice, proprietaria di un terreno, costruisce otto appartamenti, ne vende sei, e ne rimangono invenduti due (ultimati) per un periodo superiore a quattro anni dalla data di ultimazione. In questo caso, ai due appartamenti invenduti dovrebbe applicarsi il meccanismo del reverse charge (articolo 17, comma 5, Dpr 633/72). Di conseguenza, a un futuro acquirente (privato) non viene applicata l'Iva al momento del rogito? È così?Inoltre, l'impresa costruttrice perde la detrazione dell'Iva sul materiale di costruzione? ----- R. Il meccanismo del "reverse charge" non trova applicazione nel caso proposto dal lettore trattandosi di cessioni aventi a oggetto appartamenti (immobili a "destinazione abitativa") da parte dell’impresa che li ha costruiti. Il regime del “reverse charge” riguarda esclusivamente gli immobili strumentali per natura (categoria A/10 e categorie B, C, D ed E) la cui cessione è imponibile ai fini Iva in virtù della specifica situazione in cui si trova il cessionario (limitato diritto alla detrazione) o per effetto dell’opzione manifestata in atto dal cedente (art. 17, c. 6, del Dpr 633/1972 rinvia alle lettere b) e d) del numero 8-ter) dello stesso decreto). Quando l’impresa di costruzione venderà gli appartamenti, dovrà effettuare la rettifica della detrazione sulle spese relative alla loro costruzione, nei limiti dei decimi mancanti al compimento del decennio (circolare agenzia delle Entrate 12/E del 1º marzo 2007). Inoltre, dovrebbe essere effettuata anche la rettifica della detrazione su tutti gli immobili ancora posseduti, nei limiti di un decimo, se il pro rata dell’anno varia di una percentuale superiore ai 10 punti percentuali (articolo 19-bis 2, comma 4, del Dpr 633/72). (Giorgio Confente, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde del 30 novembre 2009, n. 93)

IVA - L'IMPRESA EDILE FATTURA I LAVORI IN APPALTO AL 4% D. Una Srl impresa di costruzioni, sta edificando un complesso di abitazioni non di lusso, di cui al Dm 2 agosto 1969, per la successiva vendita. Ha dato in appalto i lavori di sbancamento prima e, quelli di carpenteria poi, ad altra impresa edile. Quale aliquota Iva deve applicare nella fatturazione? ----- R. Da quanto indicato nel quesito sembrerebbe che i lavori commissionati in base a contratti d'appalto vertano sulla costruzione dell'immobile e pertanto a essi si può applicare l'aliquota ridotta del 4 per cento ai sensi della voce 39, della tabella parte II, allegata al Dpr 26 ottobre 1972 n. 633. (Giampaolo Giuliani, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 9 novembre 2009, n. 88)

IVA - NO ALL'INVERSIONE CONTABILE NELLA FORNITURA CON POSA D. Una ditta individuale, con codice Ateco 45.31.0, deve fornire e installare in subappalto, per conto di una società rintrante nella sezione F (costruzione), un condizionatore. La prestazione comprende la fornitura dell’apparecchio e la sua installazione. Si può applicare il "reverse charge"? ----- R. La circolare n. 37/2006 ha chiarito che il contratto per l’erogazione delle prestazioni di servizi edili cui si applica il reverse charge può avere la struttura dell’appalto oppure della prestazione

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d’opera, mentre non può consistere nella fornitura di beni con posa in opera in quanto, in questo caso, l’operazione concretizzerebbe non una prestazione di servizi, bensì una cessione di beni, in cui la manodopera risulta accessoria rispetto al bene fornito. Ai fini della qualificazione del rapporto giuridico come contratto d’appalto, prestazione d’opera o fornitura con posa in opera, è necessario attribuire rilevanza non già al nomen iuris attribuito dalla parti al contratto, bensì agli effetti da questo prodotti in base alla comune intenzione delle stesse, espressa dalla clausole contrattuali. Pertanto, nel caso in esame, sarà necessario valutare se l’attività di semplice posa in opera dei materiali prodotti rivesta natura accessoria rispetto alla fornitura degli stessi (in questo caso la prestazione dovrà essere assoggettata a Iva con le modalità ordinarie) o se l’attività svolta non consista nella semplice posa in opera dei materiali, bensì nella realizzazione di beni diversi e nuovi rispetto al complesso dei materiali impiegati. Qualora si ricada in questo ultimo caso, troverà applicazione il meccanismo del reverse charge. (Barbara Zanardi, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 9 novembre 2009, n. 88)

IVA - SÌ AL REVERSE CHARGE PER L'OPERA IN SUBAPPALTO D. Siamo una società di costruzione edile. Stiamo costruendo un fabbricato di civile abitazione e ci troviamo con il comune a dover scomputare gli oneri di urbanizzazione in cambio della costruzione di un centro sportivo (bocciofila). I nostri fornitori fatturano per la costruzione dell'edificio al 4% (edifici Tupini) o 20% (fornitura di materiale). Per la bocciofila siamo in dubbio se i servizi prestati dai fornitori debbano essere fatturati in reverse charge, come se il comune avesse dato a noi l'appalto per la costruzione della bocciofila. È corretto? ----- R. In sostanza, il lettore non cede un'opera di urbanizzazione a scomputo di oneri di urbanizzazione, ma realizza un'opera a scomputo di oneri di urbanizzazione. Atteso ciò, se il lettore ne subappalta i lavori non vi è dubbio che opera il meccanismo dell'inversione contabile o reverse charge. (Giampaolo Giuliani, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 9 novembre 2009, n. 88)

CESSIONE DEL CALCESTRUZZO SOTTOPOSTA AL 20 PER CENTO D. Un privato sta costruendo l'abitazione principale che ha le caratteristiche della " Tupini" in economia. L'acquisto del calcestruzzo fornito e collocato a cura dell'impresa fornitrice può essere assoggettato all'Iva del 4 per cento? ----- R. Da quanto indicato nel quesito, sembra che nel caso di specie si tratti di una mera cessione, dove l'operazione di pompaggio costituisce una semplice forma di consegna del prodotto. Perciò, alla cessione si applica l'aliquota ordinaria del 20 per cento (si veda risoluzione 18 marzo 1992 - protocollo n. 430654). (Giampaolo Giuliani, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 16 novembre 2009, n. 90)

Sicurezza ed igiene del lavoro

SICUREZZA SUL LAVORO - BUROCRAZIA SEMPLIFICATA PER GLI ALLESTIMENTI BREVI D. Un evento sportivo o musicale presso un palazzo dello sport prevede a volte il montaggio e smontaggio di scenografie (palchi, luci, eccetera). Il dubbio riguarda il fatto se considerare o meno questo evento (spesso della durata non superiore a un giorno) come apertura di un cantiere edile o meno. Questi lavori devono essere considerati o equiparati a lavori edili con tutto ciò che ne comporta: Psc, Pos, nomine, eccetera? Oppure le aziende vanno regolamentate secondo l'articolo 26, Dlgs 81/09? ----- R. Valutata la limitata durata dei lavori, appare ragionevole ritenere, al pari di quanto ha disposto la circolare del ministero del Lavoro 5 marzo 1998, n. 30 con riguardo agli impianti connessi alla produzione industriale, che il modello normativo applicabile sia quello dell’articolo 26 del Dlgs 81/2008. (Pierguido Soprani, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 30 novembre 2009, n. 93)

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SICUREZZA SUL LAVORO - NEI CANTIERI CON PIÙ IMPRESE LA NOTIFICA RESTA UNA SOLA D. Per i cantieri che ricadono nell'ambito di applicazione del titolo IV del Dlgs 81/08, il committente, prima dell'inizio dei lavori, deve inviare agli enti preposti la notifica preliminare indicando, così come predisposto nell'allegato XII, il nominativo delle imprese già selezionate. Se durante la vita utile del cantiere si individua una nuova ulteriore impresa, va inoltrata una nuova notifica? Oppure risulta sempre valida quella iniziale? Allora, quando all'articolo 99, comma 1, si parla di "eventuali aggiornamenti", a quali aggiornamenti ci si riferisce? Non credo sia possibile, soprattutto in cantieri di grosse dimensioni con un accrescersi continuo di subappaltatori, inviare decine di notifiche preliminari per lo stesso cantiere. ----- R Nel caso specifico citato dal lettore, si ritiene sufficiente comunicare (via fax o email) alla Asl e alla Dpl competenti per territorio, facendo riferimento alla notifica preliminare già inviata ai sensi dell’articolo 99 del Dlgs n. 81/2008 i dati relativi alle nuove imprese con l’indicazione dei lavori da eseguire e la durata presunta degli stessi. Non si ritiene necessario effettuare, all’entrata in cantiere di ciascuna nuova impresa, il completo riaggiornamento della notifica in quanto il fine della stessa è, principalmente, la segnalazione agli enti di vigilanza dell’apertura di un cantiere edile o di ingegneria civile con le relative informazioni pertinenti utili alla programmazione dell’attività degli enti stessi (finalità già raggiunta con la notifica preliminare effettuata). (Carmelo G. Catanoso, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 30 novembre 2009, n. 93)

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