Processi di innovazione sociale: il caso Pop Hub, la città riprende i suoi spazi
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Elena Colli TESINA PER IL CORSO “PROCESSI DI INNOVAZIONE SOCIALE”, PROF. ENZO MINGIONE | CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SOCIOLOGIA | UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO - BICOCCA
Processi di innovazione sociale IL CASO POP HUB: LA CITTÀ RIPRENDE I SUOI SPAZI
a.a. 2013/2014
SOMMARIO Sommario ................................................................................................................................................................................................................. 1
1 Introduzione al caso studio .................................................................................................................................................................. 2
1.1 Innovazione sociale: definizioni e teorie............................................................................................................................. 2
1.2 Introduzione al progetto Pop Hub: il problema del patrimonio costruito inutilizzato............................... 6
1.3 Metodologia utilizzata ................................................................................................................................................................. 9
2 Ripercorrendo i momenti dell'innovazione sociale: il caso Pop Hub .......................................................................... 13
2.1 Origine: dal bisogno all’ispirazione ..................................................................................................................................... 13
2.2 L’innovazione giovane e multidisciplinare: gli attori di Pop Hub ........................................................................ 14
2.3 Conferma della validità dell'idea: il finanziamento, la strutturazione ............................................................. 15
2.4 Sviluppi ed esperimenti: le fasi di consolidamento ................................................................................................... 17
2.5 Organizzazione e diffusione: strategie comunicative e di network ................................................................. 19
2.6 L'avvicinamento alle istituzioni per la creazione di buone prassi...................................................................... 21
3 Commenti conclusivi ............................................................................................................................................................................ 23
4 Bibliografia ................................................................................................................................................................................................. 25
1 INTRODUZIONE AL CASO STUDIO
1.1 INNOVAZIONE SOCIALE: DEFINIZIONI E TEORIE
L’’innovazione sociale è oggi un concetto-chiave per lo studio delle politiche di sviluppo economico e di
coesione sociale. È un termine presente nel dibattito pubblico già da diversi anni, ma che ha conosciuto una
forte accelerazione da quando è divenuto focus della Commissione Europea, che definisce l’innovazione
come “un processo sociale di cambiamento in grado di produrre esiti desiderabili in termini di
miglioramento della competitività economica, della sostenibilità ambientale e della solidarietà sociale”
(Commissione Europea, 2010). Quello che si intende nello specifico con innovazione sociale è però qualcosa
che va oltre la mera innovazione economica, tecnologica o istituzionale. Va inserito infatti in un contesto
d’azione che consideri i temi di inclusione sociale, empowerment, allargamento della partecipazione e della
democrazia, ponendosi al centro del dibattito sulla crescita dell’economia civile (Bruni e Zamagni, 2004) e
sulle risorse che essa può attivare per fronteggiare la crisi del welfare state e gli effetti del capitalismo
neoliberista, in termini di diseguaglianze e marginalità sociali (Pirone, 2012). La prima organizzazione
internazionale ad investire sull’innovazione sociale è stata l’OECD (Organisation for Economic Cooperation
and Development), partendo dall'assunto che lo Stato non riesce più a far fronte alla domanda sociale nelle
economie post-industriali, soltanto in parte compensata dal mercato.
Non è certamente facile trovare una definizione univoca per un concetto ampio ed evocativo quale è
l’innovazione sociale, e nemmeno sarebbe saggio farlo, in quanto la flessibilità e multidisciplinarietà (dalla
sociologia all’economia politica e d’impresa) sono proprio i punti di forza che lo contraddistinguono e che ne
hanno reso possibile una rapida diffusione sia nel lessico delle politiche sociali che in quello scientifico.
Tuttavia è bene inquadrare il fenomeno tra le innumerevoli definizioni e concettualizzazioni finora proposte,
al fine di ripulire il campo dalle ambiguità che facilmente tendono ad inquinarlo. Per fare questo verranno qui
considerate due principali definizioni, facendo attenzione alle sfumature che le differenziano, e cercando di
capire quale è la più adatta da utilizzare per aprire la strada allo studio di caso che verrà presentato.
Si può partire dalla definizione di stampo più sociologico proposta da Vicari Haddock e Moulaert in Rigenerare
la città (2009):
“Vengono definite come socialmente innovative quelle iniziative dirette a contribuire all’inclusione sociale
attraverso cambiamenti nell’agire dei soggetti e delle istituzioni. Il termine “istituzione” è qui usato in senso
ampio per indicare, oltre all’ovvio significato ristretto di istituzioni pubbliche amministrative e di governo,
anche l’insieme di norme e orientamenti culturali, routine, repertori di modi di vedere e di fare le cose, che
incentivano o sanzionano determinati comportamenti.”
È importante notare la declinazione valoriale di questa definizione, che si focalizza sui processi e sugli effetti
delle iniziative innovative, valutandone in particolare gli esiti in termini di redistribuzione e solidarietà, come
elementi costitutivi e necessari a dare quel contributo specifico orientato al livellamento delle differenze
sociali, alla reintegrazione di legami tra gruppi e individui, allo sviluppo dell’empowerment. In questo senso il
testo di Vicari e Moulaert è chiaramente volto a intendere queste pratiche come superamento delle politiche
di impostazione neoliberista, orientate sì allo sviluppo, ma sempre al prezzo di una crescita della
disuguaglianza o dell’esclusione sociale. Per usare le parole di Goldsmith, Georges e Burke (2010): “For
economic and moral reasons, we simply cannot tolerate any longer the social conditions that leave so many
citizens behind, too often trapping them as passive recipients of government help” e ancora "We now need
a far more flexible, creative, quick-moving, and decentralized way of managing the planet". I processi di
innovazione sociale qui intesi sono infatti inseriti in un’area distinta sia da quella pubblica statuale governata
dal principio dell’interesse collettivo, sia da quella del mercato governata dal principio del profitto e della
privatizzazione radicale di stampo neoliberista: il terreno privilegiato per queste iniziative è infatti il terzo
settore, altrimenti definito con i termini di economia sociale o solidale.
Le iniziative indagate da Vicari e Moulaert nel loro lavoro di ricerca comprendevano quattro ambiti di vita:
lavoro ed esclusione sociale, istruzione e formazione, casa e quartiere, salute e ambiente. Questi, letti
trasversalmente, hanno consentito agli autori di rilevare due dimensioni costitutive dei processi di
innovazione sociale:
1) Istituzionalizzazione: reciproco riconoscimento con lo Stato, portando innovazione nelle politiche
pubbliche
2) Orientamento valoriale degli attori: intensità del loro orientamento progressista: giustizia sociale,
democrazia, diritti delle persona, difesa dei beni comuni
Quest’ultima influisce in particolare sulla legittimità delle iniziative e della loro capacità di deformare
l'orientamento valoriale/normativo delle istituzioni pubbliche.
Un tipo di definizione più pragmatico e operativo è quello offerto dalla Said Business School, sulla base degli
studi della Young Foundation, il cui pensiero potrebbe essere sintetizzato, come dichiarato dagli autori stessi,
in tre parole: “new ideas that work”. Questo semplice “motto” esplicita da subito come l’innovazione sia
qualcosa di più del miglioramento (il mero cambiamento in meglio di un concept pre-esistente) e della
invenzione (vitale per l’innovazione, ma priva del duro lavoro di implementazione e diffusione, che fa sì che
idee promettenti divengano utili). In particolare, da aggiungere a “innovazione” sta poi l’aggettivo “sociale” a
suggerire che queste “nuove idee che funzionano” si debbano sposare con obiettivi sociali. Più nello specifico:
“L'innovazione sociale si riferisce ad attività e servizi innovativi che sono motivati dall'obiettivo di soddisfare
un bisogno sociale e che sono prevalentemente sviluppate e diffuse attraverso organizzazioni con finalità
sociali”. (Mulgan, 2007, p.8)
Questa seconda definizione distingue la “social innovation” dalla “business innovation”, più in generale
motivata da massimizzazione del profitto, ma in questo modo ha il difetto di escludere tra gli attori
dell’innovazione sociale le imprese e le istituzioni pubbliche. La pubblicazione di Murray (2009) intitolata “Il
libro bianco sulla innovazione sociale” adotta la definizione della Young Foundation, e dichiara:
“[…] innovazione sociale, ossia un approccio pragmatico ai problemi sociali, che applica tecniche manageriali
per risolvere problemi nel presente […]. Innovazione sociale implica anche l'impiego di nuove tecnologie e
soprattutto di nuove forme organizzative, dove l'organizzazione dal basso convive con una 'socialità di rete'
e dove le stesse relazioni sociali diventano strumenti da mobilitare nell’attività imprenditoriale; dove nel bene
e nel male le differenze fra vita lavorativa, vita politica e vita privata tendono a scomparire”
Questo approccio più pragmatico fa dunque leva in particolare sulle tendenze in atto nella società odierna,
ovvero il fiorire di un’ondata di creatività ed energia dietro all’apparente passività delle strutture economiche
e politiche italiane: gli attori principali dell’innovazione sociale per gli autori sono infatti le generazioni più
giovani (sotto i quarant’anni), figli dell’informatica, spesso e volentieri reduci da una più esperienze all’estero,
che hanno vissuto la fine delle grandi ideologie e che dunque prediligono un approccio più pragmatico
all’azione politica. Queste generazioni concepiscono l’innovazione sociale come un nuovo modo di fare
impresa nel senso classico-umanistico del termine, e cioè “di intraprendere un progetto che fa la differenza”.
È una definizione che si concentra inoltre, come già accennava il testo di Vicari e Moulaert, sulla flessibilità
del campo d’azione dell’innovazione sociale: se prima si parlava di un’area indefinita tra Stato e mercato, qui
si sottolinea che non c’è più una separazione netta tra Università, incubatrice di innovazione e competenze;
Stato, che si occupa di società e sviluppo; e organizzazioni politiche, incaricate di evidenziare i problemi. Qui
“le differenze fra vita lavorativa, vita politica e vita privata tendono a scomparire”, segno di una visione molto
più ampia che diventa parte integrata della vita quotidiana. I processi di innovazione sociale propongono una
riorganizzazione delle relazioni produttive e sociali alternativa, in cui i sistemi di produzione vengono ripensati
in un’ottica integrata di riciclo e recupero come elementi centrali, messi in atto tramite una moltitudine di
iniziative dal basso ed esperimenti quotidiani che emergono dalle pratiche sociali.
Per concludere, si può considerare l’innovazione sociale come un’azione collettiva caratterizzata da tre
principali proprietà:
1) Distinzione rispetto alla mera innovazione orientata al profitto economico individuale
2) Riferimento ad attività e organizzazioni con prevalente finalità sociale
3) Orientamento volto alla produzione del bene pubblico
Innovazione sociale dunque come mezzo e fine, che aumenta le capacità d’azione e le relazioni all’interno
della società, utilizzate a loro volta proprio per alimentare il suo funzionamento e la sua efficacia e per
produrre nuove forme di cooperazione e collaborazione. La qualità delle relazioni assume quindi sempre più
importanza, dal momento che sia lo Stato che il mercato tendono a gravitare sempre più attorno all’essere
umano, dirigendosi verso la sfera personale dell’individuo. L’innovazione non è più prodotto esclusivo di
grandi società o centri di ricerca, ma è al contrario strutturata attorno all’individuo, incorporata nella
quotidiana creatività di piccole imprese e comunità produttive auto-organizzate, fino ai singoli individui, che
adesso, più facilmente rispetto al passato, riescono a mettersi in contatto fra simili e collaborare.
1.2 INTRODUZIONE AL PROGETTO POP HUB: IL PROBLEMA DEL PATRIMONIO COSTRUITO
INUTILIZZATO
Partiamo da una domanda: che cosa fare dell’ingente patrimonio costruito che si sta via via abbandonando
e/o dismettendo per ragioni che sono, nel contempo, demografiche, sociali ed economiche? Per patrimonio
costruito vanno intese tanto le abitazioni che si sono svuotate per ragioni legate all’invecchiamento della
popolazione, quanto quelle che, per gli alti costi, non vengono risanate dai loro proprietari e perciò vengono
abbandonate al degrado in assenza di domanda, oppure sono date in locazione e quasi sempre in modo
illegale a popolazioni vulnerabili quali sono gli immigrati (Mazzette, 2013); quanto ancora le aree dismesse
che i cambiamenti dell’organizzazione della produzione e del lavoro, le differenti forme di mobilità e il rapido
evolversi delle dinamiche del consumo hanno reso, per così dire, inutili (es. patrimonio industriale di matrice
fordista).
Il progetto Pop Hub si inserisce tra i fenomeni della riconversione sociale delle aree in disuso, collocati più in
generale nel processo di trasformazione urbana che avviene ad opera di movimenti di diverso genere e che
intende la città come “bene pubblico”, ovvero come bene comune: si pensi al Teatro Valle di Roma, il Macao
di Milano e tante altre esperienze che hanno come protagonisti in particolare i giovani. A differenza di queste
esperienze, però, che riguardano per lo più singoli edifici occupati quasi sempre illegalmente da gruppi di
persone, Pop Hub si distingue perché è un progetto che nasce all’interno di un ristretto gruppo di persone
composto da professionisti (giovani architetti, esperti di comunicazione e di immagine, un dottore in scienze
politiche) e che coinvolge l’intero territorio.
Che cosa fa Pop Hub? Pop Hub è un progetto di ricerca vincitore del bando Smart Cities and Social Innovation
nell’ambito del Programma Operativo Nazionale (PON) “Ricerca e Competitività” 2007-2013 per le Regioni
dell’Obiettivo Convergenza1, finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, e della Call
for Ideas “Spazio pubblico, networks, social innovation” nell'ambito della Biennale dello Spazio Pubblico
(edizione 2013, categoria “La città sociale”). L’idea del progetto è quella di creare una rete tra persone e spazi,
a partire dagli edifici dismessi e sottoutilizzati delle città, che dalla denuncia della situazione di abbandono
1 L’obiettivo Convergenza in Italia riguarda le seguenti regioni: Calabria, Campania, Puglia, Sicilia. Fonte: http://europalavoro.lavoro.gov.it/
arrivi alla rivalutazione degli edifici. L’obiettivo è rivoluzionare il modo di percepire e di intendere il patrimonio
architettonico dismesso di una città, trasformandolo in una risorsa: gli edifici residui di attività dismesse,
incompiuti, vuoti, abbandonati e in rovina, sono spazi senza più rapporti col contesto e privi di un valore
urbano, ma “sono luoghi dove potrebbero nascere nuove storie”2.
Figura 1. Fonte: www.pophub.it
Quali strumenti utilizza? Pop Hub combina un insieme di strumenti reali e virtuali. In primo luogo una
piattaforma web e un’app mobile per segnalare, geolocalizzare e raccogliere dati sugli edifici, in una scheda
contenente dati tecnici e non, foto e link di approfondimento. La piattaforma svolge un triplice ruolo:
strumento tecnico al servizio delle amministrazioni locali; dispositivo di interazione tra le iniziative del
territorio; database per la raccolta e lo scambio di informazioni tra gli utenti. La partecipazione dal basso nella
mappatura e nelle proposte di riuso favoriscono la conoscenza e l’interesse verso gli edifici, che potranno
essere “adottati” dagli utenti proponendo e seguendo le attività legate a quello spazio.
“Accendere i riflettori sugli spazi dimenticati, abbandonati o caduti in disuso, significa anche farli rivivere attraverso
eventi temporanei legati all’architettura e al design, attività socio/culturali e progetti artistici. L’apertura alla città e
la riscoperta da parte della comunità stimolano a immaginarne le potenzialità e un nuovo interesse collettivo,
eventualmente attirando l’attenzione di investitori pubblici o privati.”
A chi è rivolto? L'obiettivo nel medio- lungo termine è innescare processi di riattivazione e rivitalizzazione
attraverso la partecipazione e la cooperazione, trasformando questi spazi abbandonati in luoghi di pratiche
quotidiane che accolgano passioni e progetti (laboratori, attività sperimentali, progetti a carattere sociale,
culturale e di innovazione), studiando nuovi modelli di accordo pubblico-privato e formule alternative di
2 http://www.pophub.it/about
recupero e gestione. Pop Hub è rivolto a tutti gli individui, gruppi, enti pubblici e privati che svolgono un ruolo
attivo nella vita della città, proponendosi come connettore di sinergie e soluzioni collaborative che
rispondano in maniera innovativa alla mancanza di spazi per la creatività e l’innovazione, e promotore di
processi di sensibilizzazione e riappropriazione in chiave reuse-reduce-recycle, al fine di creare un network
nazionale di progetti virtuosi e buone pratiche legate a questi temi.
Si presta perfettamente a quell’idea di “rigenerazione urbana” che descrivono Vicari e Moulaert, ovvero il
letterale “dare nuova vita alla città”, alla sua urbanità, agendo sulla qualità della vita e sulle relazioni sociali
logorate e impoverite, che richiedono di essere ricostituite. Una rigenerazione che può essere possibile non,
come classicamente si tende a pensare, tramite innovazione tecnologica e grandi interventi urbani fini a se
stessi, ma tramite imprescindibili azioni e politiche che facciano da supporto per educare e rendere
partecipativi gli strumenti proposti dall’innovazione tecnologica, esattamente come è stata concepita la
piattaforma Pop Hub. Il focus sulle relazioni e l’inclusione è infatti strategico per rigenerare una città in cui
tutti i cittadini sentano di partecipare per la promozione e lo sviluppo in prima persona. Un processo di
riqualificazione territoriale tramite il riuso di edifici cerca infatti di produrre un circolo virtuoso in cui maggiori
occasioni di interazione rendano più forte il legame con il territorio e quindi la coesione sociale, rendendo
questo processo ripercorribile anche al contrario.
L’utilizzo combinato di politiche culturali nei processi di rigenerazione urbana è una formula efficace e
crescente nelle società post-industriali. Un esempio importante proviene dall’Unione Europea con il
programma UE European Cities of Culture, in origine concepito come uno strumento per costruire un’identità
culturale a livello europeo attraverso scambi culturali e iniziative internazionali realizzate ogni anno in città
diverse, divenuto poi un modo per le città europee con particolari problemi economici e sociali per utilizzare
le risorse di questo programma nell’ambito di politiche per lo sviluppo sociale ed economico (Vicari, 2009).
Un altro esempio lampante è il caso della città di Berlino, descritto nello specifico dalla studiosa Claire Colomb
(2012), in cui si manifesta chiaramente l’utilizzo di pratiche di innovazione sociale nel riutilizzo dei voids urbani
a scopo culturale e sociale come contrasto al neoliberismo e ai bisogni disattesi che esso produce.
Brevemente, il caso di Berlino è particolare poiché portatore di un evidente sostegno pubblico alla ri-
appropriazione dal basso degli spazi in disuso, dovuto anche ad una sorta di compromesso maturato negli
anni tra gli attori di questi usi temporanei degli spazi e il governo berlinese. Dopo un periodo iniziale di
“sfruttamento” di queste iniziative dal basso da parte dell’amministrazione, che ha indirettamente goduto di
queste appropriazioni temporanee ed illegali permettendo alla città di maturare quell’immagine urbana
underground che l’ha resa l’icona internazionale del clubbing e del turismo “alternativo” a costo minimo o
addirittura nullo a livello di spesa pubblica, il governo della capitale tedesca ha dimostrato un evidente
impegno per il riconoscimento e la tutela di questi processi, tramite regolamentazione, incentivi e contratti
appositi, della quale potessero beneficiare gli attori degli usi temporanei e la città stessa a livello di city
marketing e promozione della capitale in quanto “creative city”.
Gli spazi, da soli, non sono il fine ultimo dei processi e delle iniziative di rigenerazione urbana. Gli spazi mappati
da Pop Hub sono infatti soltanto il primo tassello di un processo diretto a coinvolgere gli individui e a creare
un network di persone, di idee e di risorse. La complessità dell’uso, destinazione, manutenzione degli spazi
viene distribuita sui consumatori stessi di quegli spazi, reali o potenziali (manager locali, lavoratori,
consumatori stessi), in un processo volto a mobilitare l’energia dei cittadini e a rendere visibile e auspicabile
la collaborazione tra territori.
1.3 METODOLOGIA UTILIZZATA
Per l’indagine del caso studio, è stata principalmente considerata la definizione proposta dalla Young
Foundation e quindi dal Libro Bianco sull’innovazione sociale di Murray, dai quali è stato possibile ricavare i
tre criteri per l’identificazione dei casi empirici di Innovazione Sociale ed “I sei momenti dell’innovazione
sociale”, sui quali è stata basata l’intervista e dunque la struttura di analisi. Ma è stato ugualmente
d’ispirazione anche il testo di Vicari-Moulaert per emulare il metodo d’indagine utilizzato per individuare i casi
empirici di innovazione sociale. Brevemente:
I tre criteri per l’identificazione di casi di innovazione sociale:
1) Risultati: contribuzione del progetto alla risoluzione di un problema sociale, migliorando la qualità vita
collettiva
2) Attori: si assume che l’innovazione sociale sia frutto di attori già organizzati e si rilevano due
caratteristiche principali: il livello di apertura della struttura (rapporti estesi oltre la singola organizzazione) e
orientamento normativo rivolto al cambiamento delle relazioni di potere.
3) Collaborazione: capacità di creazione network di attori e organizzazioni radicati nel sistema locale
I sei momenti dell’innovazione sociale:
1) Ispirazione: dal bisogno sociale nasce l’ispirazione per il progetto
2) Proposte: viene esteso il campo delle opzioni possibili
3) Prototipi ed esperimenti: test e rifinizione, valutazione del possibile successo dell’innovazione
4) Conferme: inserimento della pratica nell’uso comune. Ottimizzazione. Verifica dei flussi di entrata
per determinarne la sostenibilità finanziaria. Identificazione di budget e legislazione necessari.
5) Organizzazione e diffusione: scaling: o l’innovazione si espande nel suo contesto più generalizzato,
oppure l‘organizzazione stessa si espande. Scambio di know-how, emulazione, fornitura di
supporti. Assecondare la domanda del mercato o dei piani politici ed economici.
6) Cambiamento sistema di riferimento: forme istituzionali, strutture fiscali e normative.
Lettura di analisi dei progetti di innovazione sociale di Vicari-Moulaert:
1) Genesi
2) Strutturazione
3) Evoluzione
4) Potenzialità
Tra gli strumenti di rilevazione empirica utilizzati, quello cardine è stato l’intervista semi-strutturata. È stato
preparato un breve elenco di domande aperte, strutturato sulla base della bibliografia scelta per indagare le
definizioni ed il fenomeno dell’innovazione sociale presentati in introduzione, somministrato in seguito ad
uno dei due soci fondatori di PopHub, Silvia Sivo. L’intervista si è svolta via Skype per la durata di circa 60
minuti. In aggiunta all’intervista, sono stati esaminati la piattaforma web dell’iniziativa, e il funzionamento
della stessa tramite iscrizione e mappatura in prima persona di alcuni luoghi dismessi. È stata mantenuta
anche una comunicazione diretta tramite gli strumenti di messaggistica online per approfondimenti,
suggerimenti, contatti e chiarimenti (Skype, Facebook). È stato possibile anche una visita degli spazi della
sede operativa tramite un brevissimo tour via webcam.
Qui di seguito la struttura dell’intervista:
1) I progetti di innovazione sociale si distinguono perché nascono spesso da ristretti gruppi di persone
composti da giovani. Da quante persone è composto il nucleo organizzativo di Pop Hub? Potete
indicare l’età media?
2) In particolare Pop Hub si distingue dalle altre esperienze di valorizzazione del patrimonio costruito,
ad esempio l’occupazione illegale degli spazi (e.g. Teatro Valle di Roma, centri sociali) proponendo
una nuova formula per vie legali e professionali. In che modo coinvolgete l’amministrazione
pubblica? Come vi risponde?
Il problema è che quasi sempre l’innovazione si crea al di fuori delle istituzioni e queste non riescono
ad assorbirlo. Pensate che Pop Hub possa invece inserirsi in futuro tra le pratiche
dell’amministrazione pubblica (o esempi di come lo stia già facendo)?
3) A proposito dell’aspetto professionale. Innovazione è anche la capacità di proporre un approccio
multidisciplinare. Quali sono le provenienze accademiche e professionali dei vostri collaboratori?
Titoli di studio e figure professionali.
4) Che importanza date alla comunicazione, compresa quella in rete? Avete figure professionali
apposite che si occupano della comunicazione, del design del sito e dell’app, della gestione dei social
network? Quali strumenti utilizzate?
5) Qual è la vostra forma organizzativa? Azienda privata, impresa sociale, associazione, cooperativa,
struttura informale…? Sono presenti anche volontari?
6) Cercando di ripercorrere i momenti di creazione e sviluppo di un’innovazione sociale.
Da cosa si è avuto ispirazione? È stato un percorso progressivo, nato da comuni sistemi di valori
(riciclo, sostenibilità) rispetto al problema (vuoti urbani, consumo di suolo)? Oppure generata
dall’esterno, per esempio bandi per l’innovazione, tesi accademiche, esempi provenienti dall’estero
(Platforma 9.18 a Zagabria, Empty Home Agency in UK)? O ancora la presenza di un leader creativo
tra di voi?
7) Una volta messa a punto l’idea, come ne avete accertato la fattibilità? A chi avete chiesto aiuto?
Anche per l’identificazione della sostenibilità finanziaria del progetto (definizione budget), e della
legislazione necessaria?
8) Per la diffusione di iniziative di innovazione sociale risulta strategico un nuovo tipo di organizzazione
basato su socialità di rete ed organizzazione dal basso. Come si è espansa Pop Hub nel suo numero
di collaboratori e nella sua diffusione nel contesto locale poi nazionale? Come avete arricchito il
vostro network (reale e virtuale)? Per esempio organizzando iniziative aperte di coinvolgimento
locale, eventi su Facebook, campagne di promozione?
9) Modello di governance all’interno del team. Difficilmente in iniziative come Pop Hub è presente una
forte gerarchia (la classica struttura gerarchica piramidale). Come gestite il vostro team (e.g. gruppi
di lavoro autonomi)? Portate avanti collaborazioni con altre imprese simili? (pubblicizzarsi a vicenda
con altre iniziative che condividono la vostra mission)
10) Esistono attualmente norme in grado di agevolare il vostro progetto o permetterne una maggiore
diffusione? Avete incontrato ostacoli al riguardo?
11) La vostra esperienza è già stata in qualche modo valutata attraverso analisi costi-benefici, impatto
sociale, metodi di valutazione per investimenti standard ecc?
12) Come si sono svolte le mappature in Emilia Romagna? Il risultato ottenuto è stato soddisfacente?
In generale esistono già proposte di riutilizzi degli spazi mappati grazie a Pop Hub e andati in porto?
Da chi provengono principalmente?
2 RIPERCORRENDO I MOMENTI DELL'INNOVAZIONE SOCIALE: IL CASO POP
HUB
2.1 ORIGINE: DAL BISOGNO ALL’ISPIRAZIONE
Secondo gli studi della Young Foundation, alla base di ogni iniziativa di innovazione sociale c’è un bisogno
sociale, da cui nasce l’ispirazione per il progetto. Può essere un’esperienza personale particolare o un nuovo
contesto che fa percepire un problema, e porta un gruppo di persone a porsi la giusta domanda. In seguito si
innesca il procedimento di localizzazione, ricerca e raccolta dati per svelare il problema e sollecitare
l’immaginazione sociale (magari grazie ad un leader creativo) con il quale si raggiungono due obiettivi
principali: la stima dell’esistenza, natura e distribuzione del problema, e il conferimento di visibilità e tangibilità
allo stesso, riducendone la complessità. Il bisogno di tagli alla spesa pubblica spesso porta a pensare a nuove
soluzioni innovative, e la crisi si configura in questo modo come un pretesto per istituzionalizzarle.
Pop Hub nasce in questo senso da tre nuclei di idee, che toccano sia le esperienze personali dei fondatori
che un bisogno sociale diffuso ed incentrato sul problema del patrimonio costruito inutilizzato. Le tre idee
che sono poi confluite nel progetto derivano da:
1) Esperienza concreta di riattivazione di uno spazio pubblico-privato: la volontà di inserirsi nella rete
degli Hub, una volta constatato come il campo d’indagine del riciclo e riuso di spazi in disuso sia
ancora poco approfondito e povero di strumenti, soprattutto inaccessibile a quei gruppi di persone
che hanno idee, bisogno di uno spazio, e prospettive creative positive per il contesto ma hanno
difficoltà ad operare. È stata scelta la sede di Impact Hub di Bari, uno spazio sottoutilizzato, proprio
per poterne esperire in prima persona come primo caso studio.
2) Ambito delle associazioni studentesche: l’idea di voler creare luoghi di incrocio e interazione a Bari
tra studenti universitari e realtà esterne, vista la mancanza di uno spazio di dialogo tra l’ambiente
universitario e l’esterno.
3) Nucleo di ricerca sull’architettura dell’abbandono, basato su Bari, argomento della tesi di laurea in
Ingegneria edile-architettura di uno dei due fondatori, oltre che tema crescente nel dibattito pubblico.
Il progetto è nato dall’incontro delle prime due idee, che hanno potuto realizzarsi concretamente vincendo il
bando "Smart Cities and Social Innovation" nell’ambito dei PON “Ricerca e Competitività” 2007-2013,
finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Subito dopo si è incrociato il terzo
aspetto, sfruttando l’attenzione crescente sul tema del dismesso, e si è dato avvio al lavoro. Il germoglio
dell’idea è dunque stato influenzato da diversi fattori, che incrociano bisogno sociale (necessità di network
tra università e mondo esterno, necessità di strumenti in contrasto allo spreco di spazi e in supporto alla
popolazione creativa) e bisogni accademici – professionali (ricerca, strumenti per casi pratici).
2.2 L’INNOVAZIONE GIOVANE E MULTIDISCIPLINARE: GLI ATTORI DI POP HUB
Gli attori dell’innovazione sociale agiscono come catalizzatori che mettono in discussione i modelli e le
assunzioni esistenti, per aprire un cammino verso un futuro migliore (Goldsmith, S., Georges, G., & Burke, T.
G., 2010). Consistono spesso in ristretti gruppi di persone composti da giovani, con strutture organizzative
snelle ma inclini a costruire un tessuto articolato di reti e relazioni e ad investire sulla capacità delle persone,
aprendosi ad un approccio multidisciplinare. L’innovazione in campo sociale richiede infatti un network in
grado di unire diverse figure: commissari nel settore pubblico, fornitori delle pubbliche imprese, movimenti
sociali, imprenditori e così via.
Pop Hub rispecchia nella sua storia e composizione quanto detto nelle righe precedenti: i due fondatori sono
infatti due ragazzi di 26 e 28 anni, Luca Langella, dottore in Scienze Politiche, e Silvia Sivo, laureanda in
Ingegneria edile-architettura. È presente un nucleo organizzativo composto da uno staff permanente
coinvolto nel progetto nella sua interezza, con base operativa a Bari, affiancato poi da un team di consulenti
e collaboratori che si occupano degli aspetti più specialistici. Il nucleo organizzativo di base coinvolge persone
la cui età rimane compresa nel range 25 – 40 anni, quasi tutti laureati o laureandi.
Il background accademico dei fondatori mostra l’unione tra due ambiti disciplinari completamente diversi
(Scienze Politiche e Ingegneria edile-architettura) con la quale si è potuto integrare in un unico progetto
l’aspetto umanistico-relazionale e quello tecnico. Questo “matrimonio misto” di base è poi arricchito da uno
staff che completa il corredo delle discipline e delle skills:
1) Esperti di comunicazione e marketing, specializzati nella sensibilizzazione e nell’utilizzo di un
linguaggio adatto al discorso pubblico accessibile ai “non addetti ai lavori”
2) Esperti di informatica e web per la piattaforma, e sviluppatori per l’app mobile, oltre a grafici web per
le infografiche
3) Nucleo di tecnici e architetti per la mappatura degli edifici
È presente anche un confronto sui temi della sociologia urbana con alcuni docenti del dipartimento di Scienze
storiche e sociali dell’Università di Bari, e molte altre collaborazioni trasversali, tese a creare un profilo del
progetto di stampo multidisciplinare e innovativo.
2.3 CONFERMA DELLA VALIDITÀ DELL'IDEA: IL FINANZIAMENTO, LA STRUTTURAZIONE
Per la conferma dell’idea originaria e l’inserimento della pratica nell’uso comune, i progetti di innovazione
sociale necessitano di essere rifiniti e ottimizzati per essere in grado di partecipare a bandi ed avere accesso
ad altre possibili forme di finanziamento. Serve una verifica dei flussi di entrata per determinarne la
sostenibilità finanziaria, e l’identificazione di budget e legislazione necessari. È spesso presente un’elevata
capacità di connettere livelli di azione, mondi organizzativi e sociali normalmente separati tra loro, come
istituzioni politico-amministrative e società civile, per assumere strutture caratterizzate da una varietà di
incroci (fra locale e globale, verticale e orizzontale, fra Stato, mercato e società civile) in grado di potenziare i
legami tra attori eterogenei per garantirsi leve di finanziamento.
Il momento cruciale per la conferma e lo sviluppo di Pop Hub è stato la vincita del bando "Smart Cities and
Social Innovation", abbastanza pubblicizzato nelle regioni dell’Obiettivo Convergenza, che ha permesso un
finanziamento ministeriale di copertura triennale (scadenza a Maggio 2015). La partecipazione al bando ha
innescato processi di organizzazione, strutturazione ed elaborazione di un business plan, vista l’esigenza di
un sussidio piuttosto cospicuo per coprire la costruzione della piattaforma virtuale e delle diverse attività
previste. Il Ministero richiedeva inoltre la stesura di una pianificazione riguardante la sostenibilità finanziaria
del progetto anche dopo la scadenza del finanziamento ministeriale: in previsione della fine dei tre anni, il
team di Pop Hub ha dunque iniziato a:
- Studiare modelli low cost per lo sviluppo del progetto a basso budget
- Istituire un gruppo nell’attività di ricerca dedito all’intercettazione di fonti di finanziamento
- Considerare forme alternative e innovative di finanziamento come il crowdfunding o investimenti
derivanti dal riutilizzo di spazi
La piattaforma Pop Hub prevede un’interfaccia dedicata al servizio per le pubbliche amministrazioni, i
proprietari e i tecnici, che decreterà l’autosostenibilità dell’iniziativa e lo sviluppo di un’attività di consulenza
per l’innovazione urbana, legata ai vari aspetti dei processi di riqualificazione degli edifici.
Per quanto riguarda invece le forme di organizzazione e il modello di governance, il Libro Bianco
sull’innovazione sociale rileva che la maggior parte delle iniziative nascono all’interno di altre organizzazioni
(agenzie pubbliche, imprese sociali, associazioni di beneficienza, aziende) oppure sono completamente
aperte e slegate ad organizzazioni, coinvolgendo users di ogni livello (esperti, burocrati, professionisti) e
creando piattaforme per radunare più facilmente squadre di lavoro o organizzazioni virtuali. Pop Hub fa
certamente parte della seconda categoria, come abbiamo già potuto verificare con le informazioni finora
esposte. Il team ha una struttura liquida, ovvero la gestione dei diversi approcci e temi trattati avviene in
maniera fluida e con tagli molto diversi, per mantenere un target di destinatari il più ampio possibile. Il nucleo
permanente e lo staff di collaboratori e consulenti lavora in modo trasversale, tramite livelli operativi diversi:
ricerca (mappatura, strumenti web) e azioni urbane (eventi sul territorio) sono i macrotemi di cui si occupano
divisi in piccoli gruppi di lavoro, i cui referenti si ritrovano poi in riunioni tematiche, con confronti periodici per
interagire su temi allargati con il resto dei colleghi e provvedere ad aggiornamenti e sistemazioni generali.
Relativamente alla forma organizzativa, al momento il progetto è formato da persone fisiche (i co-founder,
come attuatori del progetto) che sono le destinatarie del finanziamento ministeriale. Come figura giuridica si
avvalgono della forma di associazione di promozione sociale, soprattutto per l’interazione con le
amministrazioni per questioni formali (richieste, domande, collaborazioni).
2.4 SVILUPPI ED ESPERIMENTI: LE FASI DI CONSOLIDAMENTO
Le iniziative di innovazione sociale, nel corso del loro sviluppo, tendono a diffondersi per due vie principali:
può essere l’idea innovativa in sé ad espandersi in un contesto più generalizzato, oppure l’organizzazione
fisica stessa a diffondersi sul territorio. Questo meccanismo si innesca per via di scambi di know-how,
emulazione, fornitura di supporti, oppure per assecondare la domanda del mercato o dei piani politici ed
economici.
Nel caso di Pop Hub sembrano osservarsi entrambi i fenomeni: sicuramente l’idea della mappatura di edifici
è una formula efficace che vede esempi simili all’estero (per esempio “Platforma 9.18” in UK che provvede
alla mappatura di tutti gli edifici diventati inutilizzabili dopo la guerra civile, per renderli disponibili a proposte
di riuso per iniziative culturali) e diffusi anche nel territorio nazionale in piccole realtà locali. Ma è anche Pop
Hub stesso ad essersi espanso oltre le intenzioni iniziali: il progetto si sviluppava infatti all’interno del bando
previsto per l’Obiettivo Convergenza, dunque riferito alle sole regioni di Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.
L’obiettivo era infatti partire da Bari per poi diffondersi nelle altre regioni dell’Obiettivo Convergenza. Con il
tempo però il team ha deciso di espandere il proprio campo d’indagine, anche per testare la validità dello
strumento su territori molto diversi tra loro. Più precisamente, la volontà era di studiare al meglio il fenomeno
del disuso mettendo a confronto due casi estremi, scegliendo per questo scopo l’Emilia Romagna e la
Basilicata. In Emilia Romagna è stata condotta una mappatura che coinvolgeva i capoluoghi di provincia, e
mostrava un territorio con un background già denso di associazioni e azioni urbane. In Basilicata invece la
situazione era completamente diversa, non è presente un sistema di capoluoghi comparabile a quello
emiliano, le città propriamente dette sono pochissime e sono molti i centri storici abbandonati. Un confronto
simile è stato attuato tra Bari ed Altamura, due situazioni altrettanto diverse, messo in atto tramite
laboratori sulle pratiche di riutilizzo degli spazi. Portando avanti questo ragionamento di “esperimenti urbani”,
Pop Hub riesce a capire il ventaglio di situazioni che si possono manifestare nei territori, e orientarsi meglio
nella costellazione di casi. Nonostante le numerose differenze contestuali infatti, non è raro trovare molti
punti in comune ed esigenze condivise.
Per realizzare questi confronti nei diversi territori, Pop Hub necessita di un sistema di feedback, che ottiene
in diversi modi:
- Mappature tramite gruppi attivi che comunicano i problemi riscontrati e gli aspetti da migliorare
- Raccogliendo i suggerimenti di chi ha proposte di riuso e indica come rendere utile lo strumento
- Segnalazioni di errori o problemi riscontrati nell’app mobile o nella piattaforma web
Un altro aspetto che è in fase di consolidamento è l’ultimo stadio del progetto, ovvero il riutilizzo degli spazi
mappati e la creazione di una comunità attiva indipendente dal team. L’intero procedimento messo in moto
da Pop Hub, dall’edificio dismesso alla riattivazione concreta, è un processo molto lungo che passa
attraverso diverse fasi. Pop Hub è ancora concentrato sulla prima fase, ovvero la creazione di una base solida
ed efficace di mappatura e definizione di linee guida, studiando situazioni nello specifico, in modo da offrire
strumenti e condizioni adatti a coprire in modo flessibile diversi contesti. L’idea è che chiunque abbia il desiderio
di proporre un’iniziativa possa, con il supporto degli strumenti offerti, riuscire ad operare con facilità.
In questa prima fase di consolidamento dello strumento non si è ancora assistito ad iniziative proposte da
riattivatori andate in porto. Nel concreto però il team ha cercato di agire dal basso per stimolare l’emergere
di proposte di riuso future e sensibilizzare la comunità sul tema, tramite attività sperimentali messe in atto
come esempio reale a dimostrazione che l’uso degli spazi inutilizzati è possibile, ed esistono formule e
strumenti per implementarlo. Ci sono state (e continuano ad esserci) azioni urbane organizzate dal team
stesso come eventi di riapertura temporanea, festival di riattivazione su alcuni edifici (“POP.arty”, Figura 2),
eventi spot tematizzati.
Figura 2. Fonte: Evento Facebook creato da Pop Hub (Pop.arty)
Al momento dunque Pop Hub si serve di questo tipo di sensibilizzazione tramite eventi e festival che fungono
da attività sperimentali, per poi arrivare in una fase successiva in cui cercheranno di fornire gli strumenti
adatti a rendere attore di questo tipo di attività chiunque lo desideri, supportando iniziative e progettualità
tramite il loro lavoro. Sulla piattaforma verrà anche dedicato uno spazio per le buone pratiche e le iniziative
in corso, a disposizione come esempi da seguire e come promozione della comunità attiva sul territorio.
2.5 ORGANIZZAZIONE E DIFFUSIONE: STRATEGIE COMUNICATIVE E DI NETWORK
La capacità di creare network e le strategie di comunicazione sono fondamentali per la creazione di capitale
relazionale. Il rapporto con i media diventa essenziale per catturare l’attenzione delle persone, risorsa
preziosissima per un cambiamento sociale più rapido. La progettazione di un sito web di qualità, facilmente
navigabile, la presenza sui social e un rinnovamento e aggiornamento costante sono ingredienti
importantissimi per la buona riuscita di un progetto. L’aspetto della gestione web va inoltre completato con
la creazione di un brand attrattivo, eventi aperti a coinvolgere nuove persone da mettere in contatto con la
cultura dell’impresa, e con l’attuazione di politiche d’informazione aperta.
Per Pop Hub la comunicazione assume un ruolo molto importante, quale strumento decisivo per dare alla
piattaforma un aspetto versatile, con un lato open data e user friendly per i non addetti ai lavori, e uno tecnico
per professionisti e amministratori. Per questo è necessario un preciso studio sull’uso del linguaggio, per fare
in modo che sia comprensibile al maggior numero possibile di persone, con l’espressione chiara e diretta dei
temi principali trattati (sensibilizzazione su fenomeni e problematiche), ma anche mantenendo un certo
rigore e la giusta credibilità agli occhi del pubblico di tecnici, in modo da non esibire un’immagine pubblica che
appaia troppo superficiale o semplicistica. Una comunicazione bivalente di questo tipo è orientata alla
creazione di uno strumento trasversale, che integri orizzontalità nella partecipazione, pratiche dal basso e
competenze esperte.
La presenza sui social network è imprescindibile, e si costruisce attorno alla piattaforma web per costituire
uno strumento integrato tarato sempre con le evoluzioni e le novità presenti in rete: Pop Hub ha un canale
YouTube, account Twitter, Pinterest, Google+, Instagram e naturalmente Facebook, tramite il quale
organizza anche eventi con mille e più partecipanti iscritti (e oltre 15mila invitati). Il più potente degli
strumenti comunicativi infatti rimane l’organizzazione di eventi collettivi e interventi pubblici temporanei, con
i quali si mette in rete la fame di spazi e le giovani energie creative promuovendo nuove forme di interazione
tra abitanti e beni comuni. Aprire spazi abbandonati o caduti in disuso, fare in modo che la comunità li possa
riscoprire e rivivere, attraverso eventi-contenitore di attività a carattere socio/culturale e progetti artistici,
diffondendone la conoscenza come risorsa per la città. L'obiettivo nel medio-lungo termine, è trasformarli
attraverso la partecipazione e la cooperazione, per farli diventare sempre piú luoghi di pratiche quotidiane,
accogliendo le passioni e i desideri di chi li vive.
Figura 3. Fonte: Evento Facebook creato da Pop Hub (Pop.arty II)
Figura 4. Evento Facebook creato da Pop Hub. Next (h)opening, tramite la collaborazione con il Comune di Bari – Assessorato al Patrimonio, “Le cose che abbiamo in Comune”.
In secondo luogo, un fattore altamente caratterizzante per le pratiche di innovazione sociale è la costruzione
di un network di reti. Il nucleo di Pop Hub, come sappiamo, ha sede a Bari, e il team principale si occupa della
mappatura in Puglia. Ma per operare nelle regioni di Emilia Romagna e Basilicata si sono avviate delle
collaborazioni esterne (con la cooperativa di architetti “Punti Di Vista” in Emilia Romagna e con “Casa Netural”
in Basilicata), e così si opererà nelle prossime regioni su cui il progetto non è ancora attivo. Per queste ultime,
sono previste collaborazioni con le realtà locali, e sono state ricevute già diverse richieste in questa
prospettiva. È fondamentale avere una risposta ed una collaborazione dal basso: per ogni territorio toccato
dal progetto sono stati portati avanti incontri di informazione, presentazione e open day per incontrare i
progetti già attivi e le amministrazioni (in Puglia e in Emilia Romagna), e in Basilicata un tour denominato
“PopHubBas” per incontrare le realtà locali attive e le associazioni. La strategia di coinvolgimento delle realtà
locali varia a seconda del contesto: può spaziare da mappatura, a presentazione del progetto, a discussioni
tematiche (ad esempio sul significato di “rigenerare”). In Emilia Romagna sono stati condotti tre open day di
presentazione del progetto e dello staff, mandando inviti ad ogni possibile interessato: amministrazioni, enti
locali, tecnici (ordini di architetti), gruppi e associazioni già attivi (Meme Exchange che si occupa di
rigenerazione urbana sostenibile a Ravenna; Planimetrie Culturali, che offre custodia gratuita di spazi
temporaneamente in disuso a Bologna, o lo staff di architetti di Punti di Vista che ha gestito la mappatura,
la raccolta dati e l’interlocuzione nel territorio). Tramite questi eventi si ottiene la creazione di un quadro di
conoscenze trasversali tra i diversi territori, sommato al sistema di informazioni esperienziali possedute dai
cittadini.
2.6 L'AVVICINAMENTO ALLE ISTITUZIONI PER LA CREAZIONE DI BUONE PRASSI
I nuovi paradigmi proposti dalle iniziative di innovazione sociale attecchiscono sulle pratiche sociali se le
istituzioni sono a loro favorevoli: non per una modalità di consumo usa e getta, ma tramite collaborazione,
interazione ripetuta, cura e mantenimento. Il beneficio è doppio: facilita gli attori coinvolti ma è anche un
modo per introdurre cambiamenti stabili all’interno delle istituzioni stesse.
Fa parte degli obiettivi principali di Pop Hub avere tra gli interlocutori di riferimento gli enti locali, perché lo
scopo è di essere uno strumento tecnico al servizio delle amministrazioni per il controllo e la gestione del
patrimonio (pubblico in primis, ma anche privato) in disuso, in supporto alle politiche urbane e del territorio.
L’approccio alle pubbliche amministrazioni avviene in due step, uno funzionale all’altro:
1) Raccolta dati tramite i database locali
2) Collaborazione per proseguimento del progetto
Vengono dunque coinvolte in primo luogo nella raccolta dei dati, rivolgendosi ai tecnici (ufficio del patrimonio)
oppure agli organi politici, e richiedendo gli elenchi dello stato patrimoniale pubblico e privato (da notare che
in realtà questo tipo di informazioni dovrebbe essere reso visibile e pubblico per la trasparenza
amministrativa, ma non tutti lo fanno). In questo campo la risposta delle amministrazioni è molto diversa, ci
sono amministrazioni che rispondono immediatamente mostrando uno spirito collaborativo, altre che
devono essere sollecitate per telefono o attraverso contatti intermedi, altre ancora che non danno risposta
alcuna. Alcune invece hanno già reso questi elenchi pubblici e scaricabili da internet, a riprova del fatto che
l’Open Government costituisce una leva fondamentale per lo sviluppo di innovazione sociale. Viene chiesto
loro questo materiale per proporre poi una sorta di scambio: tramite quel patrimonio di dati Pop Hub potrà
fornire loro uno strumento di lettura e interpretazione del territorio, utile per rispondere ad esigenze
amministrative e per costruire politiche urbane sulla rigenerazione e il consumo di suolo. Il team è tenuto a
prestare questo servizio gratuitamente, essendo finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, per
cui si tratta di un’occasione e di un test per provare a costruire insieme a loro lo strumento.
In seconda battuta con le amministrazioni si cerca di impostare un discorso di collaborazione in prospettiva
dei risultati della ricerca ovvero per il riuso degli spazi: per esempio con la Regione Emilia Romagna Pop Hub
ha avviato un discorso per quanto riguarda gli output del censimento nel territorio regionale, mentre a Bari
è stata avviata una collaborazione con il Comune, in particolare l’Assessorato al Patrimonio, per il
ripensamento delle norme legate al futuro degli edifici comunali in disuso, aggregando associazioni, cittadini
e progetti di riattivazione che operano nel territorio comunale.
A proposito delle normative, infatti, è in corso uno studio sugli strumenti normativi sull’uso degli immobili
inutilizzati, per capire cosa non va nella gestione attuale. Per Bari Pop Hub sta lavorando in modo da integrare
in questo percorso l’adozione del “Regolamento sulla collaborazione fra cittadini e amministrazione per la
cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani”3, redatta da “Labsus” (Laboratorio di Sussidiarietà) per il
Comune di Bologna, e che altre città italiane stanno adottando. Si stanno studiando casi di iniziative pubbliche
(e.g. regolamenti e delibere comunali a Milano e Napoli il cui iter di approvazione è in corso) e anche proposte
dal basso (proposta di legge a livello regionale sulle bonifiche culturali temporanee di Planimetrie Culturali a
Bologna). Il problema principale è la mancanza di una politica omogenea, che sappia dare una risposta a
territori con background completamente diversi ma esigenze comuni; in questo campo sono presenti diversi
tentativi da parte delle amministrazioni di riconoscere questa esigenza, applicarla ad un contesto e fornire
un quadro giuridico normativo.
3 COMMENTI CONCLUSIVI
Una volta passata al setaccio l’esperienza di Pop Hub e averne analizzato la storia attraverso i principali
passaggi di sviluppo ed evoluzione, ci si potrà ora dedicare ad un commento conclusivo che combini le
dimensioni teoriche presentate in introduzione. Facendo riferimento proprio a quest’ultime, possiamo
ritenere In particolare che le prime fasi del progetto Pop Hub, relative alla mappatura degli spazi in disuso,
fanno più riferimento al tipo di innovazione sociale proposta dal Libro bianco sulla innovazione sociale,
mentre la parte riguardante le proposte di riuso futuro degli spazi mappati può calzare bene nella definizione
introdotta da Vicari e Moulaert.
Alla luce di questo breve studio, possiamo ritenere verificati i tre criteri di identificazione dei casi empirici di
innovazione sociale introdotti da Murray (2010), ovvero risultati, attori e collaborazione. Pop Hub infatti
contribuisce al problema dell’abbandono edilizio migliorando la qualità del territorio e della vita collettiva; la
sua struttura organizzativa è aperta ed estesa a rapporti che vanno oltre il singolo organismo; infine è
centrale per il suo funzionamento la creazione di un network di attori e organizzazioni radicato nel sistema
locale.
3 Link per scaricare il regolamento: http://www.labsus.org/scarica-regolamento/
In secondo luogo, considerando più nello specifico gli obiettivi di riuso futuri degli edifici mappati, si può
analizzare complessivamente il caso di Pop Hub attraverso tre passaggi che ripercorrono la definizione di
innovazione sociale empirico di Vicari e Moulaert (2009):
1) Soddisfa bisogni materiali o sociali che non trovano risposta nel mercato
Possiamo dire che in questo campo la pratica analizzata si mostra a supporto di quei processi di
utilizzo temporaneo degli spazi che oltre a non trovare risposta nel mercato, tendono ad esserne
esplicitamente ostacolati. Di fatto, la produzione stessa di voids urbani è causata proprio da un
insieme di fattori in cui sono coinvolti sia il mercato che le carenze dello Stato, vale a dire: domanda
debole del mercato immobiliare, lentezza delle politiche e della pianificazione, incertezze sulla
proprietà e costi di riqualificazione eccessivamente alti (Colomb, 2012). Per contro, il supporto di
iniziative di riutilizzo temporaneo/non temporaneo degli spazi inutilizzati tramite la creazione di uno
strumento a disposizione di amministrazione pubblica e privati, incentiva una manutenzione degli
spazi da parte degli attivatori stessi, che impedisce il decadimento o atti di vandalismo di cui possono
cadere vittima le strutture in disuso. Contribuisce inoltre allo sviluppo economico di un territorio,
accogliendo attività volte a raggiungere obiettivi sociali e culturali a costo minimo o nullo per la spesa
pubblica.
2) Aumenta la capacità di azione e partecipazione di individui emarginati/ contribuisce all’empowerment
Per questo secondo punto si può solo parlare per ipotesi, non essendo il progetto ancora attivo nella
sua terza fase di proposte di riuso. Possiamo però ipotizzare che pratiche più fluide di riutilizzo degli
spazi possano stimolare e attivare circoli virtuosi di associazionismo e attività culturali in modo
regolamentato e legale, andando a supplire alla mancanza di spazi per la creatività e l’innovazione.
La creazione di maggiori occasioni di interazione facilita la coesione sociale agendo sulla qualità della
vita e sulle relazioni sociali, agendo come catalizzatore per gli attori tipici dei voids urbani quali
giovani, artisti ed emarginati sociali (Colomb, 2012).
3) Cambia relazioni di potere: maggiore inclusione e giustizia nei processi decisionali
Pop Hub in primo luogo tramite la mappatura cerca di rendere pubbliche tutte quelle informazioni
riguardanti gli edifici pubblici e privati in disuso, qualora non lo fossero, contribuendo alla diffusione
della trasparenza amministrativa e rendendoli accessibili a tutti i potenziali attivatori. Il suo obiettivo
è inoltre far emergere le voci di gruppi e di progetti già presenti sul territorio, anziché stabilire un
approccio chiuso o verticale più tipico delle amministrazioni pubbliche, e creando una rete tra
associazioni e amministrazioni sensibili al tema del riuso sta contribuendo al raggiungimento di una
normativa comune che possa rispondere alle diverse esigenze.
Tra i tipi di innovazione sociale proposti da Pestoff (1998), Pop Hub si inserisce certamente nella terza
categoria: terzo settore in relazione stabile con le amministrazioni, orientato alla produzione di beni e servizi
pubblici, favorendo la transizione da “welfare state” a “welfare society”. È un’iniziativa che solleva infatti i
dilemmi relativi a governance, responsabilità, qualità ed efficienza dei servizi pubblici e privati (2002),
sottolineando come la dimensione territoriale e la distribuzione disomogenea del terzo settore e della
propensione imprenditoriale hanno grande influenza su qualità ed efficienza (vedi la scelta dei casi estremi
di Emilia Romagna e Basilicata).
In conclusione, l’osservazione da vicino di un’esperienza esemplare di innovazione sociale come Pop Hub
deve fungere da esempio per ricordare che un nuovo modo di fare imprenditorialità, giovane, potente e
ispirato a valori sociali e al recupero della qualità delle relazioni, è possibile e soprattutto è alla portata di tutti.
È possibile innescare nuove occasioni di sviluppo culturale e imprenditoriale locale, proponendo modelli di
gestione alternativi a quelli delle logiche di mercato, per fare in modo che la città e i suoi cittadini si
riapproprino dei loro spazi affidandoli alle idee e alla progettualità dei giovani e facendo spazio a un futuro in
cui la collaborazione, il riuso, la creatività siano parte integrante della vita urbana.
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