Principi Di Psicosomatica BioFisica e Biosistemica Energetica

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22/02/12 11:18 Principi di Psicosomatica bioFisica e Biosistemica Energetica Pagina 1 di 12 http://www.ceepsib.org/Principi%20di%20Psicosomatica%20bioFisica.html Principi di Psicosomatica bioFisica A c c a d e m i a del B e n e s Home Page Chi Siamo/Mission Principi di Psicosomatica bioFisica Psicoanalisi Evolutiva Integrata Psicosomatica Metacorporea Fisica Moderna e Guarigione Mistica e Psicologia Filosofando Sprazzi Pedagogici Psicorubrica e Curiosità Bibliografia PsicoLink Ipnosi Umanistica Problem Solving Strategico Settore Counseling Progetti per la Scuola Genitori e Figli Relazioni di Coppia Alimentazione e Salute Globale Psicologia Transpersonale I Tipi Psicologici Einstein e la Spiritualità Cosmica Approcci Terapeutici Sessualità e dintorni Risponde lo PsicoSessuologo Calendario Attività del Centro Modulo di Iscrizione Corsi Mappa del Sito Contattaci Corsi di Formazione & Master Medicina Naturale Vibrazionale Arte-Terapia Integrata PNEI – Emozioni e Salute Parapsicologia – ESP Consulenza via Web Email: [email protected] / [email protected] / [email protected] Corsi di Formazione in Counseling Perfezionamento & Master - Consulenza via Web L’approccio Psicosomatico Energetico bioFisico e la Visione BioSistemica “L’uomo non è figlio delle circostanze, ma sono le circostanze le creature dell’uomo.” Epicuro Indice: Principi di psicosomatica bioFisica - Applicazioni e obiettivi della Psicosomatica bioFisica - La Teoria Sistemica degli Organismi Viventi - Dalla causalità lineare alla circolarità - Totalità, interdipendenza, organizzazione - Rapporti tra sistemi ed embedding: il modello "matrioska - Equifinalità - Apertura e chiusura nei sistemi e tra i sistemi - Cibernetica, ovvero regolazione e autoregolazione nei sistemi - Stato stazionario, perturbazione, auto-riorganizzazione - La funzione omeostatica - Prevenzione e terapia nell'ottica sistemica - La funzione evolutiva - Ordine, disordine, complessità - Conciliare riduzionismo e olismo - La salute nella visione sistemica Principi di psicosomatica bioFisica Compito enorme ma entusiasmante, che travalica assolutamente per ampiezza quello della psicologia classica, e che per compiersi richiederà probabilmente un progressivo distacco da parte della psicoenergetica dalla sua originale matrice psicologica, è la progressiva adozione di linguaggi e strumenti concettuali sempre più diversificati e inclusivi, a cominciare da quelli scientifici come fisica, chimica, matematica, logica, biologia, genetica, filosofia, psicoanalisi evolutiva, pedagogia, bioetica e neurofisiologia. “La vita è giocare un gioco il cui scopo è scoprire le regole, regole che cambiano sempre e non si possono mai scoprire definitivamente.” G.Bateson Proprio perchè la realtà psichica non è disgiunta da quella fisica, è verosimile pensare che ogni fenomeno fisico abbia anche una sua controparte psichica, e viceversa. E questo richiederà un approccio assolutamente interdisciplinare e sinergico a uno sforzo di lettura affrontabile soltanto in un’ottica olistica e globale. È anche verosimile che molti degli attuali fenomeni fisici, così come oggi empiricamente accertati, possano e debbano essere riletti alla luce della loro controparte psichica, e questo in particolare per la fisiologia degli organismi viventi, uomo compreso. La fisica moderna (con il teorema di Bell) è riuscita a dimostrare, in una maniera semplice e definitiva, che la visione ingenua che l’uomo comune occidentale ha del mondo, come un insieme di oggetti distinti, concreti e indipendenti, è definitivamente sbagliata. “Il genio altro non è che la capacità di percepire la realtà da prospettive non ordinarie” W.James La coscienza ci rende dunque vittime di un’illusione, facendoci concentrare sugli aspetti più superficiali e frammentati della realtà, e distraendoci da quelli più profondi e unitari. Più precisamente, badando solo alle increspature che costituiscono la realtà manifesta, sia materiale che mentale, perdiamo di vista l’oceano stesso, a cui diamo rispettivamente i nomi di vuoto e inconscio. In accordo sia con la fisica che con la psicologia moderne, questi sarebbero bacini di energia di cui noi percepiamo non l’intensità assoluta ma solo le variazioni. “Sono le nostre teorie che determinano le nostre osservazioni” A.Einstein

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L’approccio Psicosomatico Energetico bioFisicoe la Visione BioSistemica

“L’uomo non è figlio delle circostanze,ma sono le circostanze le creature dell’uomo.”

Epicuro

Indice: Principi di psicosomatica bioFisica - Applicazioni e obiettivi della Psicosomatica bioFisica - La Teoria Sistemicadegli Organismi Viventi - Dalla causalità lineare alla circolarità - Totalità, interdipendenza, organizzazione - Rapporti trasistemi ed embedding: il modello "matrioska - Equifinalità - Apertura e chiusura nei sistemi e tra i sistemi - Cibernetica,ovvero regolazione e autoregolazione nei sistemi - Stato stazionario, perturbazione, auto-riorganizzazione - La funzioneomeostatica - Prevenzione e terapia nell'ottica sistemica - La funzione evolutiva - Ordine, disordine, complessità - Conciliareriduzionismo e olismo - La salute nella visione sistemica Principi di psicosomatica bioFisicaCompito enorme ma entusiasmante, che travalica assolutamente per ampiezza quello della psicologia classica, e che percompiersi richiederà probabilmente un progressivo distacco da parte della psicoenergetica dalla sua originale matricepsicologica, è la progressiva adozione di linguaggi e strumenti concettuali sempre più diversificati e inclusivi, a cominciare daquelli scientifici come fisica, chimica, matematica, logica, biologia, genetica, filosofia, psicoanalisi evolutiva, pedagogia,bioetica e neurofisiologia.

“La vita è giocare un gioco il cui scopo è scoprire le regole,regole che cambiano sempre e non si possono mai scoprire definitivamente.”

G.Bateson Proprio perchè la realtà psichica non è disgiunta da quella fisica, è verosimile pensare che ogni fenomeno fisico abbia ancheuna sua controparte psichica, e viceversa. E questo richiederà un approccio assolutamente interdisciplinare e sinergico a unosforzo di lettura affrontabile soltanto in un’ottica olistica e globale. È anche verosimile che molti degli attuali fenomeni fisici,così come oggi empiricamente accertati, possano e debbano essere riletti alla luce della loro controparte psichica, e questo inparticolare per la fisiologia degli organismi viventi, uomo compreso.La fisica moderna (con il teorema di Bell) è riuscita a dimostrare, in una maniera semplice e definitiva, che la visione ingenuache l’uomo comune occidentale ha del mondo, come un insieme di oggetti distinti, concreti e indipendenti, è definitivamentesbagliata.

“Il genio altro non è che la capacità di percepire la realtà da prospettive non ordinarie”W.James

La coscienza ci rende dunque vittime di un’illusione, facendoci concentrare sugli aspetti più superficiali e frammentati dellarealtà, e distraendoci da quelli più profondi e unitari.Più precisamente, badando solo alle increspature che costituiscono la realtà manifesta, sia materiale che mentale, perdiamo divista l’oceano stesso, a cui diamo rispettivamente i nomi di vuoto e inconscio. In accordo sia con la fisica che con la psicologiamoderne, questi sarebbero bacini di energia di cui noi percepiamo non l’intensità assoluta ma solo le variazioni.

“Sono le nostre teorie che determinano le nostre osservazioni”A.Einstein

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A.Einstein Nella relatività generale la materia è un buco in un pieno; più precisamente, una discontinuità del campo gravitazionale. Neiluoghi in cui si trova la materia il campo diventa infatti infinito, e cessa dunque di esistere. Come a dire che l’esistenza fisicaincomincia dove finisce quella matematica, e quella materiale dove cessa quella ideale. Senza dimenticare però che solol’esistenza matematica e ideale (il campo) è misurabile, mentre quella fisica e materiale (la discontinuità) è invece unametamorfosi moderna dell’irraggiungibile noumeno kantiano.Il campo gravitazionale è comunque soltanto uno dei molteplici campi di forze considerati nella fisica moderna, a ciascuno deiquali è associato un concetto di vuoto energetico, definito come lo stato di energia minima. La parola “vuoto” è giustificata dalfatto che l’energia del campo gravitazionale è proporzionale alla massa, e dunque in questo caso il vuoto energeticocorrisponde all’assenza di materia, ossia al vuoto materiale.La teoria della relatività generale di Einstein garantisce che la somma dei valori positivi delle energie di tutte le masse e di tuttii loro moti è esattamente controbilanciata dalla somma delle energie potenziali negative associate alle forze gravitazionaliagenti tra esse. L’energia totale è nulla.A livello sia microscopico che macroscopico, il vuoto e il nulla possono oggi essere considerati come la naturale culladell’esistenza e l’essenza ultima della realtà, in pieno accordo con il nichilismo mistico.

“La realtà altro non è che il linguaggio che usiamo per comunicarla e comunicarcela” La comprensione da parte della nostra mente della realtà, è basata sulla sua capacità di giudicarla. La capacità della mente digiudicare la realtà è limitata sia dalla quantità e qualità di esperienze vissute con cui può confrontarla, sia dai limiti stessi dipercezione della realtà da parte dei sensi. In ogni caso è sorprendente e paradossale che secoli di studio scientifico del mondoesterno siano giunti infine alla conclusione che la vera realtà è la coscienza, in accordo con le teorie idealistiche più estreme. La fisica quantistica si ritrova in perfetta sintonia con le posizioni di James. Il collasso della funzione d’onda esibisce le stessecaratteristiche di scelta e determinazione della realtà attribuite alla coscienza. L’interpretazione di Copenhagen riduce l’interarealtà all’osservazione. E gli eventi quantistici rivelano un carattere olistico che non permette di ridurli al comportamentoindividuale delle loro parti. Stapp costruisce una teoria quantistica della mente, definendo la coscienza come la manifestazionedel collasso. In altre parole, nel cervello gli eventi si mantengono in inconscia sovrapposizione di stati fino a quando vengonoresi psicologicamente coscienti dal collasso finale della funzione d’onda.La coscienza è dunque l’immagine isomorfa del collasso della funzione d’onda degli eventi cerebrali.Più generalmente, si può dire che la mente è la manifestazione del processo di attualizzazione delle potenzialità, di cui lacoscienza umana è solo un aspetto particolare.Tutto ciò che esiste, cioè la totalità delle attualità, si manifesta dunque come un atto creativo della mente universale, una sceltache allo stesso tempo è delimitata dallo spazio delle possibilità preesistenti e restringe lo spazio delle possibilità future.La teoria di Stapp si può allora considerare l’ultimo passo dell’evoluzione del concetto di anima mundi, che ha origine nellaconcezione dell’universo come di un grande organismo dotato di un’anima propria che lo dirige e vivifica. Egli ritiene che,come ci sono tre ordini di realtà fisica che possiamo descrivere come classico, quantistico e (nella terminologia di Bohm)implicato, così ci siano tre ordini di esperienza soggettiva, che si possono descrivere come sensoriale, mentale etrascendentale. La corrispondenza tra i vari ordini non è soltanto metaforica, ma costituisce una vera e propria identità: inparticolare, la mente è l’esperienza del livello quantistico della realtà, mentre la meditazione, o l’illuminazione, permette disperimentare l’ordine implicato. Josephson nota prima di tutto che la fisica avrà poco da dire sulla coscienza fino a quando silimiterà allo studio di proprietà spazio-temporali: spazio e tempo sono infatti esempi paradigmatici di costrutti mentali.

“Una tecnologia abbastanza evoluta nei suoi effetti non è dissimile da una magia”A.C.Clarke

La fisica quantistica restituisce alla mente una posizione centrale in natura... L’atto dell’osservazione nella fisica quantisticanon è solo un elemento accidentale, un mezzo per accedere a informazione già esistente nel mondo esterno; l’osservatore entranella realtà subatomica in un modo fondamentale, e le equazioni della fisica quantistica codificano nella loro descrizione l’attostesso dell’osservazione. Schroedinger aggiungeva poi due osservazioni sperimentali. Da un lato, che la coscienza soggettiva viene sempre sperimentatasingolarmente e indivisibilmente. Dall’altro, che le varie coscienze individuali producono un’unica immagine del mondo. E daquesti fatti deduceva:“La sola possibilità è di accettare l’esperienza immediata che la coscienza è un singolare di cui non si conosce plurale: cheesiste una sola cosa, e che ciò che sembra una pluralità non è altro che una serie di aspetti differenti della stessa cosa, prodottada un’illusione (il Maya indiano); la stessa illusione è prodotta da una galleria di specchi, e allo stesso modo Gaurisankar e ilMonte Everest risultarono essere la stessa vetta vista da differenti vallate”. ... Quando nuovi insiemi di fenomeni inducono a cambiamenti negli schemi di pensiero... persino il più eminente dei fisiciincontra difficoltà insormontabili. Poiché la richiesta di cambiamento degli schemi mentali può generare la sensazione che ilterreno sfugga da sotto i piedi… Credo che a questo punto difficilmente le difficoltà possano essere sopravvalutate. Quandouno ha sperimentato la disperazione con cui intelligenti e concilianti uomini di scienza hanno reagito alla richiesta di uncambiamento dei propri schemi mentali, può solo rimanere stupito che simili rivoluzioni nella scienza siano semplicementestate possibili. L’obiettivo di tale approccio multidisciplinare è l’apprendimento delle modalità con cui, a partire dall’idea mentale, la realtàviene strutturata in esperienza quadridimensionale.

“Non c’è nulla di nuovo sotto questo cielo se non il dimenticato…”

G.Santayana

Un gruppo emergente di fisici, che sono più radicali se vogliamo, sostiene che la coscienza abbia tutto a che fare con la fisicaquantistica. Questi nuovi fisici rivoluzionari sono più allineati con i primi fisici dei quanti, come Heisemberg o Bohr, i qualierano molto interessati alla questione della coscienza. Questa seconda scuola di pensiero si pone una domanda molto semplice

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e per questo capace di sconvolgere: "Come è possibile escludere la coscienza dalle conclusioni delle teorie della fisicaquantistica, che descrivono l'universo, dal momento in cui la coscienza è indubitabilmente parte integrante dell'universo?" C'èda chiedersi dunque che cosa sia un pensiero? Quando si esamina l'attività del cervello, quando si tenta di descrivere ilprocesso cognitivo, i concetti della fisica quantistica dimostrano la loro adeguatezza: il pensiero non è altro che un'attivitàquantica, è una fluttuazione di fotoni. Questo non vuol dire che il fotone generi il pensiero, o che il pensiero generi il fotone.Entrambe potrebbero essere attività parallele, non lo sappiamo ancora. Sappiamo tuttavia che quando noi applichiamo iprincipi della fisica dei quanti, comprendiamo la coscienza molto meglio di quando rifiutiamo di applicare questi principi.Qualsiasi studioso di percezioni, oggi, vi può dire che per conoscere la natura della realtà non possiamo fidarci soltantodell'osservazione sensoriale. Sir Arthur Eddington, un grande scienziato del secolo scorso disse: "Qualcosa di sconosciuto stalavorando, noi non sappiamo cosa". Più vogliamo capire le percezioni, più non le comprendiamo. Non esiste un mondo esternoin quanto tale. Tutto quello che chiamiamo universo, alberi, stelle, galassie - ogni cosa che osserviamo come mondo esterno - èuna traslazione di processi fisici in codici binari, attraverso le membrane cellulari, di fotoni in neuroni. Questo è il motivo peril quale, nella tradizione ayurvedica, diciamo che non siamo nel mondo; il mondo è in noi. Non esistiamo nel mondo; il mondoesiste in noi. Non esistiamo nel corpo; il corpo esiste in noi. Non esistiamo nella mente; la mente esiste in noi. Ci curviamo innoi stessi e creiamo la mente, il corpo e il mondo fisico. Li manifestiamo. Produciamo tutto: la mente, il corpo e l'universointero. Non sto parlando filosoficamente o usando una metafisica orientale. Questa è scienza. Una delle scoperte piùaffascinanti di questo secolo, è stata la dimostrazione di sostanze di natura peptidica, dette Neuropeptidi, da parte dellaricercatrice Candice Pert, che le ha studiate in relazione al loro effetto sugli stessi recettori su cui agisce la morfina: risvolto diquesta scoperta è che ad ogni pensiero, o immagine seguono tutta una serie di immissione in circolo, da parte del cervello, diqueste sostanze con effetti immediati alla periferia, sugli organi. Come si può intuire da questo meccanismo, noi siamo ingrado di influenzare, regolando l’attività di questi Neuropeptidi, il funzionamento del nostro corpo (Benson, Austin, Epstein).Per esempio, a seguito di una esperienza piacevole, quindi mentale, si hanno dei risvolti positivi su molte funzioni corporee,per immissione in circolo di Endorfine (sostanze simili alla morfina !): lo stesso sistema immunitario ne trae giovamento,potenziandosi; i glucocorticoidi (gli ormoni dello stress) si riducono, e cuore, polmoni, circolazione, metabolismo, radicaliliberi si assestano a valori ideali per la salute. Tecniche come la visualizzazione creativa (immagini mentali),la MeditazioneTrascendentale, la Risposta di Rilassamento (Benson e gli effetti sull’ipertensione), Yoga, Zen, sono in grado di provocare unaparticolare attività cerebrale, caratterizzata da onde alpha, dove avvengono gli importantissimi e delicati legami fra mente ecorpo: aperta questa porta, possiamo agire sulle funzioni corporee!!! I buddisti che praticano lo Zen, nudi sulla neve, sono ingrado di riscaldare delle coperte inzuppate di acqua ghiacciata; il cardiologo americano Dean Ornish associando questetecniche con l’alimentazione vegetariana, lo Yoga, e la ricerca spirituale, ha ottenuto la scomparsa delle placchearteriosclerotiche alle coronarie di cardiopatici, pronti per l’intervento chirurgico di bypass. E’ ovvio che ciò comporta unametodica di training mentale, il cui impegno quotidiano è alla base dei risultati, apparentemente inusuali per noi occidentalistaccati dal mondo dei rapporti mente-corpo (in medicina è noto l’effetto placebo, a dimostrazione di questi legami): la menteallenata è in grado di influire sulla fisiologia corporea. La fisica quantistica è andata oltre dimostrando in laboratorio comeentità immateriali (pensieri, immagini vivide) di natura quantistica, sotto l’effetto dell’osservatore, cioè della nostra attenzione,si trasformano da onde di probabilità, invisibili, in particelle, visibili (effetto mente-corpo): in poche parole siamo creatori delnostro mondo, quindi della nostra realtà !!! Il cervello quindi diventa il mezzo attraverso cui agisce la mente: ma, secondo lafisica quantistica applicata alla fisiologia, ci sarebbero tante piccole menti, quante sono le molecole del nostro corpo, checooperano con la mente più grande, in un'unica rete di scambi immediati. Inoltre è stato provato il teorema di Bell, altro fisico,che riguarda la non-località: due particelle (quindi oggetti materiali) che vengono separate, dimostrano di essere unite,qualunque sia la distanza, con fenomeni che riguardano entrambe contemporaneamente, come se ci fosse, ed è statodimostrato, un legame che va oltre la velocità della luce. Per la psicoenergetica un pensiero, un impulso, un sentimento sono entità reali, autonome e autoconsistenti, mentre alcontrario per la psicologia classica essi sono non meglio definite espressioni della struttura psichica dell’individuo, esoprattutto del suo vissuto. Un’ossessione, o un pensiero fisso, non sono ad esempio considerati dalla psicologia come entità orealtà a sè stanti, ma soltanto come un puro meccanismo o evento psichico, ovvero una semplice modalità di comportamentodella psiche (in questo caso di natura patologica).Che cosa sia poi la psiche stessa per la psicologia classica, anche questo rimane nel non definito, soprattutto perchè lapsicologia è in realtà nata come studio della psicopatologia, e come tale la sua tendenza primaria era ed è quella di imparare acorreggere i meccanismi psichici malfunzionanti, piuttosto che quella di comprendere e approfondire la natura e lecaratteristiche delle strutture psichiche in se stesse, in quanto tali. Al contrario, la sfera di interesse della psicoenergetica èinvece molto più ampia.Il concetto di energia è quello più ampio e inclusivo oggi a disposizione e rappresenta il comune denominatore più ovvio perdefinire la manifestazione psicofisica. Anche l’energia psichica si esprime sotto forma di onde, esistano campi psichici,magneti psichici, correnti psichiche, forme psichiche e, perchè no, anche materia o sostanza psichica, visto che già la materiastessa del piano fisico a livello subatomico non è distinguibile dall’energia, in quanto le due coincidono. È quindi unaprobabile scoperta del futuro quella che l’espressione “i pensieri hanno un peso” si riveli di significato reale, e non piùsolamente metaforico! Applicazioni e obiettivi della Psicosomatica bioFisica

“Il miglior modo per venirne fuori è passarci nel mezzo”R.Frost

Secondo le leggi della Psicosomatica Energetica bioFisica, la malattia nasce da uno o più conflitti psicobiologici dovuti acause personali, interpersonali e transpersonali, il più delle volte inconsci, vissuti in isolamento dall’individuo. Tali conflitticreando inevitabilmente squilibri più o meno gravi all’intero sistema energetico del soggetto, influenzano e condizionano, inmodo non adeguato, interazioni, relazioni e situazioni di ogni tipo fino a mettere a repentaglio la qualità della vita del soggettostesso. Nel lavoro con l’energia psicosomatica si recupera un’esistenza serena non appena sciolti i nostri conflitti e, solo dopoaver superato la propria ombra psichica, è possibile una vera crescita, un’autentica e fluida evoluzione.La guarigione è sempre collegata a una maturazione e ad una dilatazione della coscienza, ed è per questo che la metodologiapsicoenergetica, fondata sulla base di un pluralismo teorico costruttivista, permette di ottenere una comprensione più ampia dise stessi nonché degli altri, ristabilendo l’equilibrio e il benessere psicosomatico e relazionale, all’interno di un processo,

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particolarmente accurato e a misura del soggetto, risanando capacità di amare e gioia di vivere, fino a gustare il senso dellapropria vita.Nonostante tutto, i conflitti e i sintomi quindi, non sono sempre negativi, anzi, spesso sono la soluzione… ogni persona puòmaturare e crescere in virtù di questi e ottenere più comprensione di se stessa riconoscendo in pieno il proprio potenzialepersonale e transpersonale. Per questo, è assolutamente necessaria la consapevolezza che il malessere è un messaggio che deveessere ascoltato e accuratamente valutato per poi essere adeguatamente trattato.Una volta scovati i rapporti nascosti fra i centri vegetativi nel corpo e i conflitti psichici, grazie soprattutto alle ultimissimericerche scientifiche, possiamo vivamente affrontare con fiducia e ottimismo qualunque tipo di disagio… Ad esempio, c’è unacorrispondenza scientificamente provata tra organi ed emozioni… se saremo portatori di rabbia rancorosa, avremo problemialla vescicola biliare… nell’approccio energetico, liberarsi della rabbia rancorosa sarà uno degli obiettivi primari daperseguire.Mettendo in pratica i principi della psicoenergetica possiamo rigenerare un corpo affaticato, gestire in modo più efficace lostress e liberarci dai più comuni disturbi: rafforzare il sistema immunitario, circolatorio, linfatico e respiratorio; alleviare ildolore e la depressione; migliorare la memoria e la capacità d’apprendimento; alleviare cefalee muscolotensive; affrontaredifficoltà digestive; superare paure, fissazioni, ossessioni, paranoie e dipendenze di ogni genere e grado ecc… Chi medita scopre ora come l’atteggiamento astratto attribuito da Heidegger e Merleau-Ponty alla scienza e alla filosofia sia inrealtà il nostro atteggiamento quotidiano quando non siamo presenti a noi stessi. Questo atteggiamento astratto è, per così dire,la tuta spaziale, l’imbottitura di abitudini e preconcetti, l’armatura con la quale teniamo a distanza la nostra esperienza.Forse costruiamo il mito che noi siamo dentro di noi proprio perchè nella nostra testa non esiste alcuna persona che ci facciafare le cose che vogliamo o anche che ci faccia voler volere… ma la grande armonia delle sfere celesti è anche in te: fasilenzio, ascolta; la udrai salire sommessa e potente dalle misteriose profondità del tuo essere.

La Teoria Sistemica degli Organismi Viventi

“Solo se riusciremo a vedere l’universo come un tutt’unoin cui ogni parte riflette la totalità e in cui la grande bellezza sta nella sua diversità,

cominceremo a capire chi siamo e dove stiamo.Altrimenti saremo solo come la rana del proverbio cinese che,

dal fondo di un pozzo, guarda in su e crede che quel che vede sia tutto il cielo…”

La visione sistemica della vita è quanto più profondamente ci coinvolge con tutto ciò che ci circonda. Essa rappresenta la controparte di unaconcezione riduttivistica ed elementarista dei fenomeni osservati, promossa dalla scienza classica di Newton e Cartesio.La scienza sistemica, analogamente alla fisica quantistica, sostiene che i sistemi viventi non possano essere analizzati nei termini delleproprietà delle sue parti. Le proprietà essenziali di un organismo sono proprietà del tutto, che nessuna delle parti possiede singolarmente. Neconsegue che tali proprietà mutino radicalmente quando il sistema viene sezionato, materialmente o teoricamente, in elementi isolati.Ancora una volta, cosa possiamo dire di conoscere nella sua interezza? La teoria dei sistemi, come l’intera scienza moderna, si poggiainteramente su un’unica certezza, vale a dire che esiste solo una conoscenza approssimata. Questa intuizione è di importanza cruciale, inquanto è la constatazione che tutti i concetti e le teorie scientifiche sono limitate ed impossibilitate a fornire comprensioni complete edefinitive. Ma vediamo lo sviluppo di questa visione.Iniziatore sistemico per eccellenza è stato Ludwig von Bertalanffy. Egli per primo si rese conto che i sistemi viventi non potevano esseredescritti secondo le leggi della termodinamica classica, i cui presupposti sono che ogni sistema fisico deve per forza procedere nelladirezione di un disordine sempre crescente (o entropia). Ciò che veniva osservato infatti, era la direzione esattamente opposta, vale a direche l’universo vivente era un sistema aperto che si evolve effettivamente dal disordine verso l’ordine.Caratteristiche primarie dei sistemi aperti è il flusso e il cambiamento continui per rimanere vivi, una sorta di costante riflusso di materia edenergia dal loro ambiente con cui si auto-organizzano.Il concetto di auto-organizzazione o auto-regolazione fu approfondito dalla cibernetica, ed in particolar modo da Norbert Wiener e Johnvon Neumann. La macchina cibernetica infatti, è una sorta di simulazione dell’organizzazione dei sistemi viventi.Essa è fondata sul feedback loop, o anello di retroazione, che altro non è che una disposizione circolare di elementi connessi casualmente,in cui una causa iniziale si propaga lungo le connessioni dell’anello, in modo tale che ogni elemento agisca sul successivo finché l’ultimopropaga di nuovo l’effetto al primo elemento del ciclo. La conseguenza di questa disposizione è che la prima connessione (input) subiscel’effetto dell’ultima (output), il che dà come risultato l’autoregolazione dell’intero sistema.Heinz von Foester coniò, sul finire degli anni ’50, l’espressione ordine dal rumore, per indicare che un sistema che si auto-organizza non silimita a importare ordine dal proprio ambiente, ma assorbe materia ricca di energia, la integra nella propria struttura e in questo modoaccresce il proprio ordine interno.Fu invece Ilya Prigogine a mettere in luce che la dissipazione di energia, normalmente associata ad una perdita, sia in realtà una fonte diordine e di complessità nei sistemi aperti.Egli partì dal fenomeno di convezione del calore noto come instabilità di Bènard, caso classico di auto-organizzazione. Come tuttipotremmo osservare con macchinari adeguati, quando un liquido viene riscaldato uniformemente dal basso, si stabilisce un flusso costante dicalore dal basso verso l’alto. Nel momento in cui la differenza di temperatura fra le superfici superiore e inferiore raggiunge un dato valorecritico, alla soglia dell’instabilità, alla conduzione subentra improvvisamente la convezione. A questo punto appare al microscopio unoschema sorprendente di celle esagonali , in cui il liquido più caldo sale attraverso il centro delle celle, mentre il liquido più freddo scendeverso il fondo lungo le loro pareti.Anche il laser può essere considerato un fenomeno di auto-organizzazione tipico di un sistema lontano dall’equilibrio. Negli anni ’70 infatti,Hermann Haken mostrò che l’attività del laser ha inizio al raggiungimento di un dato valore critico; a questo punto un’onda di luce in unamiscela incoerente di piccole onde emesse da singoli atomi, stimola un atomo eccitato ad emettere energia in modo tale che l’onda luminosavenga amplificata. Questa a sua volta può stimolare un altro atomo ad amplificarla ulteriormente e così via, fino a che il passaparola nonporterà ad una valanga di amplificazioni (forse non tutti sanno che il termine “laser” è un acronimo di Light Amplification through StimulatedEmission of Radiation).Humberto Maturana e Francisco Varela hanno ricondotto la proprietà della circolarità, per cui ogni componente di un sistema partecipaalla produzione o alla trasformazione di altre componenti della rete, alla organizzazione di base di tutti i sistemi viventi, la “veraorganizzazione del vivente”. A tale proprietà i due neurofisiologi diedero il nome di autopoiesi.Gli studi di James Lovelock, chimico dell’atmosfera, conducono alla considerazione del fatto che queste proprietà sono presenti nei micro-organismi viventi esattamente come nei macro-organismi. L’atmosfera terrestre infatti è una miscela di gas straordinariamente instabile,eppure la sua combinazione rimane costante per periodi di tempo molo lunghi grazie al meccanismo dell’auto-regolazione.Lovelock ipotizzò allora che la Terra sia in grado di regolare la sua temperatura, la composizione dell’atmosfera, la salinità del mare e tutte lealtre componenti proprio come certi organismi viventi sono in grado di autoregolare e mantenere costanti la temperatura corporea e altrevariabili (è questa la famosa ipotesi che un romanziere chiamò “ipotesi di Gaia”).La caratteristica notevole degli anelli di retroazione di Gaia consiste nel fatto che essi collegano sistemi viventi e non viventi, per cui nonpossiamo più pensare alle rocce, agli animali e alle piante come entità separate, ma come componenti di un anello strettamente concatenati.

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La concezione sistemica della vita porta spontaneamente alla questione dell’ecologia. Fritjof Capra, il cui contributo è illuminante in questosenso, distingue tra ecologia superficiale e profonda. La prima è antropocentrica, cioè centrata sull’uomo, considerato come al di sopra o al difuori della Natura, come fonte di tutti i valori. La seconda invece non separa gli esseri umani, né ogni altra cosa, dall’ambiente naturale: essanon vede il mondo come un insieme di oggetti separati, ma come una rete di eventi interconnessi e interdipendenti. In essa, l’uomo èsemplicemente un filo particolare nella trama della vita.Ogni sistema naturale, in accordo con la teoria sistemica, è considerato una totalità. Le strutture specifiche di ogni sistema, derivano dalleinterazioni e dall’interdipendenza delle loro parti, ed esse vengono distrutte, o quanto meno profondamente alterate, alla scomposizione delsistema in componenti isolati.Ora, se si considera il funzionamento di una macchina, con un numero definito di componenti assemblate insieme in modo preciso edeterminato, è risaputo che, qualora ci fosse un guasto, sarebbe possibile identificarlo in una di queste componenti. La riparazione consisterànella sostituzione della parte danneggiata e il sistema riprenderebbe a funzionare.Ma se le macchine funzionano come catene lineari di causa ed effetto, lo stesso non si può dire, come abbiamo visto, di tutto ciò che è“vivente”. In un anello di retroazione il “guasto” è causato da fattori multipli che possono amplificarsi reciprocamente per mezzo di anelli diretroazione indipendenti. Ecco perché qualsiasi intervento che non tenga conto dell’intero sistema può risultare di una pericolosità estrema:pensiamo all’ecologia ambientale, alla cura medica, al supporto psicologico, agli interventi di sfruttamento di popoli e territori. I risultati infatti,parlano decisamente chiaro. Scrive Capra:Quanto più si studia il mondo vivente, tanto più ci si rende conto che la tendenza ad associarsi, a stabilire connessioni, a vivere l’unoall’interno dell’altro e a cooperare è un carattere essenziale degli organismi viventi. [Capra, 1982]I sistemi viventi infatti, descrivono un ordine stratificato che li connette tutti insieme, come in un diagramma ad albero in cui nessun estremodomina sull’altro e in cui tutti i livelli interagiscono in maniera interdipendente per sostenere il funzionamento del tutto.Non è possibile pensare che l’intervento su un qualsiasi sistema, da quello ambientale a quello individuale, non abbia dunque un’importanteinfluenza sul suo funzionamento generale. L’organizzazione del più piccolo dei batteri infatti, è in linea di principio la stessa di ogni organismovivente, e tutti insieme formano, a loro volta, un sistema più ampio e complesso.

La rete della vita contempla tutto, e nulla ne rimane escluso per sua stessa natura.

Dalla causalità lineare alla circolaritàIl metodo meccanicistico-riduzionista vede la realtà fenomenica come un insieme di rapporti lineari tra cause (variabili indipendenti) ed effetti(variabili dipendenti), distinguendo nettamente le prime dai secondi. Le cause sono sempre cronologicamente antecedenti gli effetti e la lororelazione può essere rappresentata geometricamente su un sistema di assi cartesiani come una semiretta o una curva aperta, cheevidenziano come l'influenza proceda sempre in una e una sola direzione, cioè dalla causa all'effetto. Nella concezione sistemica invecequesta distinzione rigida tra variabili indipendenti e dipendenti viene a cadere, poiché, come sostiene il principio di interdipendenza, ognirapporto di influenza è sempre reciproco e quindi, se una certa variabile ne influenza un'altra, anche quest'ultima, in qualche modo e suqualche piano, influenza la prima. L'idea di una rigida distinzione tra cause ed effetti e di una relazione lineare tra di loro può essere fattarisalire per molti versi ai miti della creazione, in cui una causa prima (Dio) genera dal nulla il cosmo: come può ciò che è stato creato (l'effetto)influenzare il creatore (la causa)? L'antico sistema geocentrico, con la Terra immobile e i corpi celesti orbitanti attorno ad essa rifletteulteriormente questa idea che l'influenza fluisca solo in una direzione, dal maggiore al minore, dal più potente al più debole (e qui potremmofare interessanti riferimenti ai sistemi sociali del passato e all'autorità assoluta del sovrano). Neppure Copernico, che pure ebbe il merito discardinare il modello geocentrico, seppe liberarsi dall'idea di un "centro assoluto", seppure attribuito al Sole e non più alla Terra. Fu Keplero,per primo, a scoprire che le orbite planetarie sono ellittiche e non circolari e questo gli causò non pochi timori e perplessità poiché si reseconto delle profonde implicazioni che ciò poteva avere a livello religioso ed anche temporale. Rifece più volte i calcoli e solo dopo moltotempo riuscì ad accettare l'evidenza. Dovremo tuttavia arrivare a Newton per esplicitare le implicazioni causali connesse alla ellitticità delleorbite: Newton, come è noto, formulò la legge di gravitazione universale in termini di attrazione reciproca tra corpi; in nessun caso un corpo èdipendente ed un altro indipendente; se si dà una qualche influenza, essa non può che essere reciproca, interdipendente appunto (perquanto, naturalmente, essa possa avere sui singoli corpi intensità relativa e forma diverse) e questa interdipendenza è ben visibile nellaellitticità delle orbite dei pianeti attorno al sole. L'ellisse, a differenza del cerchio, non ha un solo centro bensì due, denominati "fuochi", il cheesprime in forma manifesta il fatto di essere il prodotto di due soggetti interagenti e non di un soggetto centrale, immobile e attivo e di unoperiferico, del tutto passivo e dipendente. Nonostante siano trascorsi alcuni secoli dai tempi di Newton, il modello causale unidirezionale hacontinuato a dominare la scena, come se il principio di reciprocità fosse una eccezione, valida limitatamente al campo della gravitazione,mentre in tutti gli altri aspetti l'universo continuasse ad essere regolato dagli antichi principi assolutistici. Solo da pochi decenni ci si starendendo conto che l'importanza di queste considerazioni va molto oltre l'ambito della geometria, dell'astronomia e della fisica e che ènecessario riconsiderare alla radice l'intero concetto di "causalità", uscendo dalla antica e statica concezione unidirezionale ad assumendoinvece una prospettiva di reciprocità o interdipendenza in tutti i campi della scienza, dalla fisica alla biologia alle scienze umane e sociali. Totalità, interdipendenza, organizzazioneIl concetto di "sistema" nasce proprio dal riconoscimento della interdipendenza globale: difatti si definisce sistema un insieme di oggetti traloro interdipendenti, vale a dire tali che una variazione nello stato di uno di essi tende sempre a riflettersi sugli altri e sul sistema nella suatotalità; analogamente, un cambiamento nel sistema tende ad influenzare le parti componenti, (ed anche i sistemi-ambiente in cui esso è asua volta inserito, come vedremo più oltre). Tale influenza non è sempre facilmente percepibile dall’osservatore, e può richiedere un certotempo per manifestarsi, magari su piani e aspetti anche molto diversi e distanti da quelli originari. Essa inoltre non segue percorsi di tipolineare, non si esaurisce nel processo di influenza univoco parte —> altre parti oppure parte —> sistema globale, ma dà vita piuttosto ad unprocesso circolare in cui il mutamento della parte modifica il sistema globale che a sua volta rimodifica la parte, fino a che il sistema non sistabilizza, grazie ai meccanismi omeostatici di cui è dotato e che tratteremo in un paragrafo successivo. Inoltre è intrinseco al concetto disistema il fatto che esso non "agisca" mai come un semplice agglomerato di elementi separati e indipendenti, ma piuttosto come una totalità icui componenti sono interconnessi in un’unica rete di relazioni che opera a molteplici livelli; appare pertanto evidente che ogni insieme dioggetti in cui una variazione dello stato di uno di essi non si rifletta sugli altri e sull’insieme stesso non é considerabile un sistema.Dunque, le due caratteristiche prime di un sistema sono l'interdipendenza e la totalità; tuttavia, come sostiene E. Morin (1983: 131) "nonbasta invero l’associazione fra interrelazione e totalità, bisogna legare la totalità all’interrelazione tramite l’idea di organizzazione. Dettoaltrimenti, le interrelazioni tra elementi, eventi o individui, quando hanno un carattere regolare o stabile, diventano organizzazionali ecostituiscono una "fornace". Si può quindi concepire il sistema come unità globale organizzata di interrelazioni fra elementi, azioni o individui".Un gruppo di persone che si incontrano casualmente per strada, o una folla, pur essendo in qualche modo in relazione tra loro, non sonopropriamente un sistema, semmai un sistema allo stato potenziale, embrionale. Una squadra di calcio, una famiglia o una equipe di ricerca –in quanto dotate di una loro organizzazione interna, spontanea o formale che sia — rappresentano invece dei sistemi a tutti gli effetti.L’organizzazione sembra quindi rappresentare il principio essenziale di un sistema, la struttura che connette in modo interdipendente glielementi che lo costituiscono, che "garantisce una solidarietà e una solidità relativa a tali legami e garantisce quindi al sistema una certadurata, nonostante le perturbazioni aleatorie. L’organizzazione dunque: trasforma, produce, connette, mantiene " (ibi, 133).Interdipendenza e organizzazione rinviano necessariamente alla comunicazione: esse infatti si attuano grazie a processi di scambio dimateriali, energia o informazione, che rappresentano i "mezzi" mediante i quali ciò che avviene ad un membro di un sistema può influenzarneun’altro. Man mano che dai sistemi inanimati si passa a quelli biologici e ancor più a quelli umani, cresce l’importanza del livelloinformazionale rispetto a quello energetico o materiale. E questo è uno dei motivi per cui la meccanica — che è mero scambio di materia eenergia — non appare adeguata a descrivere la dinamica dei sistemi complessi, e in particolare di quelli biologici, psicologici e sociali.Quando si studia l’interazione tra corpi inanimati, si osservano in genere scambi di massa/energia: una palla da biliardo che ne urta un’altratrasmette ad essa parte della propria energia cinetica ed è quindi considerabile causa unica del suo spostamento: la seconda palla cioè, nonsi sarebbe mossa senza lo "stimolo" ricevuto dalla prima e trae l’energia per muoversi e la direzione del movimento interamente dalla pallaurtante. Ma se un uomo urta un altro uomo, la reazione del secondo non dipende tanto dall’energia trasmessa dall’urto, ma dal significato chead esso viene attribuito da chi lo riceve e dalle credenze che egli ha riguardo ai modi più appropriati di reagirvi; in altri termini, nell’interazioneumana (e più in generale in quella tra esseri viventi) l'interdipendenza si manifesta primariamente come passaggio di informazione più che dimateria o di energia. Negli eventi della vita (a differenza di quelli tra oggetti inanimati) vi sono di solito due sistemi energetici interdipendenti:uno è il sistema che usa la propria energia per aprire o chiudere il rubinetto o la porta o il relé; l’altro è il sistema la cui energia "scorreattraverso" il rubinetto o la porta quando sono aperti. La posizione ACCESO dell’interruttore è una via di passaggio per energia che ha

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origine altrove. Quando apro il rubinetto, non è il lavoro che compio nell’aprirlo che spinge o attira il flusso dell’acqua. Questo lavoro ècompiuto dalle pompe o dalla gravità, la cui forza viene liberata dall’apertura del rubinetto. (...) Io stabilisco in parte quali percorsi l’acquaseguirà qualora essa fluisca. Che fluisca non è di mia diretta competenza (G. Bateson, 1984: 139, tra par. ns.). Quanto detto rinvia ad unaltro principio di grande importanza epistemologica: quello della non-sommatività degli elementi di un sistema; ciò significa che ilcomportamento di un sistema non è spiegabile con la semplice somma degli elementi che lo costituiscono. Un aspetto, questo, che hamolteplici implicazioni, una delle quali è che le parti componenti un sistema rivelano entro di esso caratteristiche peculiari, che in stato diisolamento possono non emergere affatto, pur essendo presenti a livello virtuale. L’uomo, ad esempio, può realizzare tutta una serie dipotenzialità solo vivendo all’interno di un sistema socioculturale, interagendo con altri individui e simboli secondo certi principiorganizzazionali. Se vivesse in modo solitario, isolato, non avrebbe possibilità di esplorare quella parte delle sue potenzialità e trarnecomprensione e soddisfazione. Più in generale, il principio della non sommatività mette profondamente in crisi il metodo della variazioneunitaria dei fattori su cui si basa il paradigma dominante, aspetto questo su cui torneremo in seguito. Rapporti tra sistemi ed embedding: il modello "matrioskaUna delle proprietà fondamentali dei sistemi naturali (cioè non costruiti in laboratorio) siano essi colonie di batteri, animali, mercati monetari opersone che comunicano con altre persone, è quella di modificare il proprio stato sia in funzione di stimoli interni al sistema (ad es: ilcomportamento di un singolo componente) sia a seguito di influenze esterne: un sistema non esiste nel vuoto ma è sempre inserito in unambiente (fisico, sociale, culturale etc.) che interagisce con esso, influenzandolo. "L’ambiente di un dato sistema è costituito dall’insieme ditutti gli oggetti che sono tali che un cambiamento nei loro attributi influenza il sistema, e (viceversa) anche di quegli oggetti i cui attributi sonocambiati dal comportamento del sistema" (Hall A. D. e Fagen, R. E. 1956, pag. 20; tra parentesi ns.). Naturalmente, distinguere tra"ambiente" e "sistema" va inteso come puro espediente analitico, giacché essi sono in realtà un tutto indivisibile, un "campo", come lodefiniva K. Lewin (1935), e pertanto, al di là della distinzione concettuale, gli eventi ai livelli microcosmico e macrocosmico si influenzanoreciprocamente e sono in realtà una cosa sola, un unico sistema.Oltre ad essere parte di sistemi-ambiente o sovra-sistemi, ogni sistema può essere costituito da "oggetti" più piccoli che sono a loro volta deisistemi, cioè dei sotto-sistemi rispetto ad esso. Ne consegue una organizzazione intersistemica che ricorda le matrioske russe, quellebambole di legno incastonate una nell'altra. Per fare un esempio, un sistema sociale quale un gruppo di amici, ha come sistemi-ambiente (alivelli diversi) la comunità di appartenenza, la eventuale religione di riferimento dei suoi membri, fino ad arrivare alla nazione ed oltre; esso èpoi a sua volta costituito da sottogruppi e singoli individui, che ne sono i sottosistemi. In campo sociale vi è stata la tendenza ad interpretare irapporti gerarchici tra sistemi sovraordinati e subordinati in modo piramidale, attribuendo ai primi assoluta priorità e ai secondi totale epassiva subordinazione. In realtà le cose non stanno rigidamente così: i sistemi regolano i propri comportamenti in funzione dei propri scopi ein genere, nei sistemi biologici, i livelli sovraordinati e sottoordinati condividono gli stessi scopi e ciò che è vantaggioso per l'organismo lo èanche per le parti componenti, cosa del resto nota già nell'antichità e ben esplicitata dall'apologo sulla controversia tra lo stomaco e le altremembra del corpo che il console romano Menenio Agrippa utilizzò nel 494 ca. a. C. per placare la rivolta della plebe arroccata sull'Aventino.Tuttavia, nei sistemi sociali umani non è automatico che ciò che è vantaggioso per la società lo sia anche per i gruppi e gli individui che lacompongono: al contrario, si è dato e si dà assai spesso il caso che coloro che occupano i vertici della gerarchia e decidono i comportamentidei sistemi sovraordinati (le istituzioni, le tribù, gli stati) perseguano finalità del tutto egoistiche che non tornano a vantaggio dei livellisubordinati ma anzi a loro totale svantaggio: si pensi allo sfruttamento delle classi inferiori, alle guerre in cui migliaia o milioni di individui sonostati mandati a morire per le brame o le pazzie di pochi etc.Pertanto la metafora di Menenio Agrippa e più in generale il modello organicista, ripreso in tempi più recenti da vari studiosi, come adesempio il sociologo Herbert Spencer alla fine del XIX secolo, non si può applicare tout court ai rapporti tra i diversi livelli della società, erappresenta semmai lo stato ideale, non quello reale. Inoltre, anche nel mondo biologico i livelli di qualsivoglia sistema non sononecessariamente disposti secondo un ordine lineare e gerarchico, in cui potere e importanza crescono dal basso verso l’alto. Al contrario essisi organizzano circolarmente, in un rapporto paritetico in cui gli obiettivi perseguiti dal sistema sono positivi per tutti i suoi livelli e non solo peralcuni. In apparenza può anche esservi una gerarchia, ma essa non è mai imposta, è sempre cooperativa, autoorganizzata, autoregolata daun flusso continuo di comunicazione (o feedback) tra le singole parti e l'organismo. Solo l'essere umano ha la possibilità di ignorare ointerrompere tale flusso, privilegiando alcune parti a scapito di altre: l'individuo può ignorare i segnali che alcune parti/organi del suo corpo glimandano e continuare a comportarsi in modi che nuocciono a tali parti (ad es: mangiare cibi impropri o fumare o assumere droghe);parimenti, un sistema sociale come ad es. uno stato può ignorare i segnali di malcontento che gli individui e i gruppi componenti gli inviano eintraprendere comunque atti nocivi a tali parti. Ciò però comporta gravi conseguenze il cui nome più comune è: malattie. L'individuo che nonsi preoccupa dell'armonia tra gli scopi della personalità e le esigenze del corpo e del "cuore" si ammala, e lo stesso accade al sistema socialequando non armonizza gli obbiettivi dei vertici con quelli dei suoi sottosistemi componenti. Naturalmente, nelle sue forme esteriori la malattiadell'individuo è ben diversa dalla malattia della società, ma l'origine è simile: una disarmonia tra le diverse esigenze dei diversi livelli sistemiciche genera un conflitto tra tali livelli o parti. E il punto è che, una volta instaurata la malattia, essa si riflette inevitabilmente anche sui vertici enon soltanto sui livelli subordinati. EquifinalitàCome si è visto, i sistemi agiscono in funzione delle proprie finalità o scopi. Il principio di equifinalità stabilisce che uno stesso scopo puòessere perseguito in modi diversi e partendo da basi diverse. Quanto più un sistema è adattivo e flessibile, tanto maggiori saranno le stradepercorribili per giungere alla stessa meta. Ne consegue anche che uno stesso punto di arrivo può essere il frutto di scopi diversi, pertanto,nell'interpretare l'agire di una persona o di un sistema sociale dobbiamo procedere con cautela e avere la consapevolezza che uno stessocomportamento messo in atto da due persone (o sistemi sociali) può avere motivazioni anche molto diverse. Inoltre, lo stato di un sistemaaperto è (relativamente) indipendente dal suo stato iniziale; ne consegue, come sostengono Watzlawick et al. (1967, 122) che "quandoanalizzeremo come le persone si influenzano a vicenda, considereremo l'organizzazione in corso del processo interattivo molto piùimportante degli elementi specifici costituiti dalla genesi e dal risultato"Quasi tutte le ricerche sociologiche e psicologiche hanno studiato la comunicazione da un punto di vista più statico che dinamico,esaminando, in genere, lo stato di un sistema (costituito da una o più fonti di emissione e da un gruppo sperimentale di ricezione o da uncampione di popolazione) prima e dopo una certa comunicazione, tentando poi di spiegare le modificazioni nel frattempo verificatesi,correlandole statisticamente in vario modo con la ricezione del/dei messaggi e/o con la storia passata del sistema. Viceversa, sono assaipoche le ricerche che si sono focalizzate (anche) sulla dinamica "qui ed ora" della comunicazione, che pure, secondo la proprietàdell'equifinalità, risulterebbe assai importante. Ciò non è, naturalmente, casuale ma dipende da diversi fattori, tra cui la maggior semplicità(nonché presunta "scientificità") dei procedimenti quantitativi di comparazione e correlazione rispetto a quelli qualitativi di osservazionediretta. Apertura e chiusura nei sistemi e tra i sistemiSia nella interdipendenza tra le diverse parti di un sistema sia nei rapporti tra il sistema e altri sistemi, la quantità e la qualità dellacomunicazione non è sempre uguale, ma varia in relazione a molteplici fattori. Nei primi modelli sistemici tale concetto veniva espressosenza troppe sfumature con la distinzione tra sistemi chiusi e sistemi aperti. Rientrano tra i primi quei sistemi che non ricevono né emettonoalcunché, che, insomma, né sono influenzati dall’ambiente né lo influenzano: si pensi ad una reazione chimica in un contenitoreermeticamente chiuso e termicamente isolato. Fanno invece parte dei secondi quei sistemi che sono permeabili, scambiando biunivocamentemateria, energia, informazione con l’ambiente: e qui si possono prendere ad esempio gli organismi viventi nel loro habitat naturale.E’ evidente che una distinzione netta come quella suesposta è utile per comprendere il concetto, ma non rende adeguatamente conto dellavarietà di situazioni esistenti; "aperto" e "chiuso" vanno pertanto considerati come poli opposti di un continuum con innumerevoli gradazioniintermedie. E’ inoltre necessario precisare che la chiusura non sembra rientrare tra le caratteristiche dei sistemi naturali, macontraddistinguere piuttosto alcuni tipi di sistema creati artificialmente dall’uomo, in primo luogo quelli controllati delle indagini di laboratorio,ma non solo: molti sistemi sociali e culturali esistenti sul nostro pianeta, sia nella nostra epoca sia ancor più in passato, presentanoinequivocabili segni di chiusura, anche se comunque mai totale, ermetica. Si pensi all’integralismo islamico dei nostri giorni, all’Iraq diSaddam Hussein, alla chiesa cattolica della lotta alle eresie e dell’inquisizione, al sistema delle caste in India etc. Se passiamo dall'ambito deisistemi socioculturali a quello dei sistemi umani individuali – vale a dire le persone – possiamo vedere ancor meglio le varie gradazioni in cuisi può manifestare il fenomeno della chiusura: dalla più leggera, definibile introversione, a quelle intermedie (chiusura mentale, rigidità,egocentrismo), fino alla più marcata: l'autismo.

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Il tipo di chiusura che contraddistingue i sistemi socioculturali e psicoindividuali non è necessariamente biunivoco, ma riguarda in genereprevalentemente uno dei due sensi di flusso, cioè o l’uscita (output) o l’entrata (input): L’integralismo islamico è chiuso in entrata ma non inuscita: rifiuta l’essere colonizzato culturalmente ma non l’eventualità di poter colonizzare; il popolo ebraico, invece, almeno sul pianoreligioso, rappresenta un esempio di chiusura biunivoca, nel senso che non ha mai manifestato apertura all’essere convertito ad altri credo,ma neppure a convertire. Sul piano psicologico-individuale si consideri come esempio del primo caso il soggetto introverso, chiuso in uscita(nel senso che si esprime poco) ma alquanto aperto in entrata, essendo infatti assai spesso un ipersensibile, mentre per l’egocentrico ildiscorso è rovesciato (chiuso all'ascolto degli altri ma spesso molto loquace nel parlare di sé e delle proprie cose), fino a giungere all’autisticoche sembra rappresentare un caso assai marcato di chiusura bilaterale.Una ulteriore precisazione riguarda poi i livelli su cui la chiusura è operante: non è detto infatti che essa sia totale, ma può riguardare, adesempio, il solo livello di scambio materiale (ad esempio l’embargo commerciale) o solo quello informazionale (la censura).Un concetto assai importante, di cui abbiamo preso di recente consapevolezza anche sul piano della ricerca personale, è che nell’uomo, eanche nei sistemi sociali da esso creati, lo stato di chiusura non sorge spontaneo né, una volta sorto, si autoalimenta, ma richiede un impiegodeliberato e costante di energie, e si mantiene in essere solo fintanto che tali energie sono all’opera. Continuando a fare riferimento al campodelle scienze umane e sociali, sono noti numerosi processi che determinano una chiusura (embargo, censura, prigionia, meccanismipsicologici di difesa, maschere sociali, corazze etc.) mentre non esiste un corrispettivo riguardo ai processi di apertura: questa viene infattidescritta da sociologi, psicologi, antropologi, economisti etc. in termini non autonomi ma come: fine della chiusura, cessazione di queiprocessi di isolamento finora attivi etc. Ciò non è casuale, ma riflette una fondamentale verità, (anche se finora implicita, salvo in pochissimiautori), e cioè che lo stato naturale di ogni sistema umano — forse di ogni sistema tout court — è l’apertura, e ad essa tendono anche queisistemi che si sono (o sono stati) deliberatamente chiusi. In linea di principio, per ripristinare l’apertura sarebbe quindi sufficiente interrompereil controllo; togliendo l’energia a quei processi che mantengono artificialmente isolato il sistema, esso si "rilasserebbe" automaticamente nellostato di apertura. Nella realtà, tuttavia, il processo non è così semplice, dovendo fare i conti — come vedremo nei paragrafi successivi — conuna serie di processi omeostatici che non dipendono solo dal sistema in questione ma anche da altri sistemi, sovra- e sottoordinati, con cuiesso è in interrelazione. Torneremo più volte sul concetto di chiusura/apertura, precisandone meglio anche le implicazioni e le possibilitàoperative.Se, alla luce dei concetti esposti riprendiamo in considerazione il metodo meccanicistico riduzionista, vediamo che esso studia la realtà fisicae sociale come se fosse costituita da gruppi di soggetti e oggetti isolati, cioè privi di interrelazioni significative con altri sistemi-ambiente o consottosistemi, e ricerca eventuali relazioni lineari causa-effetto. Nelle indagini di laboratorio si fa di tutto per isolare e separare quanto piùpossibile i vari fattori in gioco, così da poterne osservare l'incidenza uno per volta. Emerge a questo punto un dubbio legittimo: ciò che lascienza meccanicista studia attraverso tale metodo, assomiglia ancora al processo naturale o è una nuova realtà creata artificialmente? Datoche tutto ciò che esiste in natura è tutt'altro che isolato dal resto, fino a che punto le simulazioni di laboratorio della scienza meccanicista e ilprocedimento della variazione unitaria dei fattori sono in grado di comprenderne la dinamica e l'essenza?Ad ogni modo è bene ricordare che l’approccio sistemico non si pone come antagonista nei confronti delle varie teorie settoriali especialistiche ottenute col metodo riduzionista ma anzi può consentire di riunirle, ridefinendole in modo più ampio e flessibile etrasformandole da quadri interpretativi rigidi, settoriali e isolati in tasselli dinamici e interconnessi di un quadro più ampio e interdipendente. Inaltri termini, l’approccio sistemico è qualcosa di più che una semplice teoria: esso è piuttosto la matrice per la reinterpretazione di vecchieteorie e la formazione di nuove, è insomma un vero e proprio METODO nel senso più nobile del termine. Cibernetica, ovvero regolazione e autoregolazione nei sistemiCome si è visto in precedenza, il termine "cibernetica" deriva dalla radice sanscrita Kubera, il timone, e difatti tale disciplina studia i processidi controllo e autoregolazione nei sistemi e tra i sistemi, tant’è che il suo fondatore, Norbert Wiener (1948) la definì esplicitamente la scienzadel controllo e della comunicazione nell’animale e nella macchina.Dato che i sistemi, specie quelli aperti, agiscono in funzione di uno o più scopi, la cibernetica si interessa ai modi in cui il sistema valuta glieffetti del suo agire e compie i necessari aggiustamenti per avvicinarsi alla meta. Un "congegno" cibernetico elementare è ad esempio untermostato, il cui scopo, come dice la parola, è di mantenere costante la temperatura di un ambiente (una stanza, una cella frigorifera,l'abitacolo di un'auto etc). Esso consiste di un sensore, un comparatore e un attivatore: il sensore rileva costantemente la temperatura, ilcomparatore la compara con il valore impostato e, non appena si discosta da esso invia un segnale all'attivatore, che mette in moto unapparato di riscaldamento o di refrigerazione a seconda dei casi. Non appena la temperatura torna al valore impostato il sensore la rileva, ilcomparatore la riconosce e invia un secondo segnale all'attivatore che disattiva il circuito fino a nuovo ordine. Tutto il processo si basa sulfeedback, cioè l'informazione di ritorno, che nel nostro caso è la misura della temperatura dell’ambiente. Il sistema nel complesso comprendetre elementi: 1) il termostato; 2) l'ambiente climatizzato; 3) l'apparato di riscaldamento/raffreddamento. Tuttavia la cibernetica si interessasoltanto al primo elemento, e ai processi di controllo/regolazione da esso espletati.Il termostato del nostro esempio è — potremmo dire metaforicamente — la componente senziente e "intelligente" dell'intero sistema, mentrele altre componenti svolgono un ruolo meccanico o di mero contenimento. Per questo motivo, fin dai suoi inizi la cibernetica fornì non solocontributi indispensabili allo sviluppo delle tecnologie dell'intelligenza artificiale — i computers — ma anche allo studio del cervello edell'intelligenza umana.Come rileva F. Capra (1996: 71) "Macchine che si autogovernano attraverso anelli di retroazione esistevano già da molto tempo quandonacque la cibernetica. Il regolatore centrifugo delle macchine a vapore, inventato da James Watt alla fine del diciottesimo secolo, ne è unclassico esempio, e i termostati furono inventati ancora prima. Gli ingegneri che idearono questi primi dispositivi a retroazione ne descrisseroil funzionamento e ne illustrarono i componenti meccanici in schizzi di progetto, ma non si resero conto dello schema di causalità circolareche era insito in essi" ed è questa la reale novità della cibernetica, l’aver compreso il ruolo che il feedback svolge nei sistemi e in particolarein quelli viventi.La retroazione è, nelle parole di Weiner, ‘il comando della macchina sulla base del suo funzionamento effettivo anziché del suocomportamento previsto’. In senso più ampio, il concetto di retroazione ha assunto il significato di un trasferimento dell’informazione cheriguarda il risultato di un qualunque processo o attività alla sorgente dell’informazione stessa. Uno degli esempi più semplici di anello diretroazione è quello del timoniere, il primo utilizzato da Weiner. Quando la barca devia dalla rotta prestabilita, per esempio verso destra, iltimoniere valuta la deviazione e quindi corregge la direzione muovendo il timone verso sinistra. Questa manovra riduce la deviazione dellabarca, fino al punto, forse, di farle oltrepassare la posizione corretta e quindi di farla deviare a sinistra della rotta prestabilita. Durante lamanovra, a un certo punto il timoniere compie una nuova valutazione della deviazione della barca, corregge la direzione di conseguenza,valuta di nuovo la deviazione e così via. Dunque egli si affida a una retroazione continua per tenere la barca sulla rotta, mentre la traiettoriareale compie delle oscillazioni attorno alla direzione prestabilita. L’abilità del timoniere consiste nel ridurre al minimo queste oscillazioni. (op.cit., 70). Pur essendosi originata nei campi dell'ingegneria, della matematica e (in parte) della fisiologia, la cibernetica ha avuto e hagrandissime implicazioni sulle scienze psicologiche e sociali, come intuì fin dall'inizio Norbert Wiener (1954: 49-50), il fondatore di questa"disciplina": "Questo principio nel controllo (il feedback) si applica non solo alle chiuse di Panama, ma agli stati, agli eserciti e agli esseriumani (...) Questo argomento del feedback sociale riveste un interesse sociologico e antropologico molto rilevante". Naturalmente, gli esseriumani sono sistemi assai più complessi di un ambiente climatizzato o delle chiuse di Panama, così come il cervello umano è un apparatoinfinitamente più complesso di un termostato o di qualsiasi altro apparato cibernetico, ma i principi di base su cui opera sembranosostanzialmente analoghi. Anche nell'uomo abbiamo un sensore — anzi un intero e articolato apparato sensoriale costituito dai cinque sensipiù la cinestesia più altri canali ancor meno noti e più sottili — poi abbiamo un comparatore — in parte automatico (il sistema neurovegetativoe i processi omeostatici di mantenimento) e in parte cosciente (la mente propriamente detta) — e infine un attivatore che mette in moto isistemi neuromotori responsabili della verbalizzazione, della gestualità e del movimento corporeo in genere. Mentre il sistema diclimatizzazione prima descritto o anche il timoniere dell’esempio di Wiener possono essere considerati sistemi semplici, poiché rispondono alfeedback solo in pochi modi prestabiliti: (acceso o spento, barra a destra o a sinistra) un animale (e ancor più un essere umano) è un sistemacomplesso, perché può reagire al feedback in molteplici modi. Inoltre, tali modalità possono essere non solo prestabilite ma ancheimprovvisate creativamente, pertanto quanto più ci si avvicina all'uomo nella catena evolutiva tanto minore è la predicibilità deicomportamenti. Infine, negli esseri viventi e massimamente negli umani il feedback non è costituito da una sola informazione ma da uninsieme articolato di dati che riguardano contemporaneamente dimensioni e obbiettivi diversi. Naturalmente, le caratteristiche suddette vannointese come potenzialità, nel senso che non tutti gli umani le padroneggiano e le usano appieno: molti individui ad esempio hanno uncomportamento molto prevedibile, perché non si discostano mai o quasi dai modelli culturali di appartenenza e dalle proprie abitudiniautomatizzate; altri invece sono altamente creativi e rompono continuamente schemi e abitudini per esplorare nuove possibilità. Alcunecorrenti di pensiero contemporanee, influenzate certamente anche dai contributi della cibernetica, ritengono ad esempio che la peculiarità più

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correnti di pensiero contemporanee, influenzate certamente anche dai contributi della cibernetica, ritengono ad esempio che la peculiarità piùtipicamente umana dopo l'autocoscienza sia la capacità di agire creativamente.

Stato stazionario, perturbazione, auto-riorganizzazioneNei paragrafi precedenti si è visto che pensare in modo sistemico significa prendere in considerazione la molteplicità di interrelazioni checaratterizza qualsivoglia fenomeno, mentre nel pensiero meccanicistico riduzionista si tende a considerare ogni sistema come isolato, cioèprivo di interrelazioni significative con altri sistemi-ambiente o con sottosistemi, limitandosi a ricercare al suo interno relazioni causalimonodirezionali tra singole coppie di fattori. Una ulteriore, importante differenza tra i due modi di vedere è che nel meccanicismo le cause deifenomeni vanno ricercate esclusivamente nel passato, assumendo quella che potremmo chiamare una prospettiva "storico-cronologica";nell’approccio sistemico si tende invece ad attribuire importanza anche al presente, ai fattori attuali che contribuiscono a mantenere in esserequel certo stato/fenomeno, e non solo a quelli che lo hanno originato. Anzi, quando si studiano i sistemi biologici e umani, i fattori attuali sonospesso più significativi di quelli originari: se infatti non vi fossero "forze" che nel presente tendono a far permanere quel certo stato, il sistema,in virtù delle proprie capacità autoregolative, dovrebbe tornare allo stato iniziale o comunque riorganizzarsi in un nuovo e più soddisfacenteequilibrio. Un sistema biologico e ancor più psicologico o sociale non si comporta infatti come un congegno meccanico o un processochimico-fisico ma possiede una flessibilità e una stabilità molto maggiori. Il sistema semplice di climatizzazione in precedenza usato a mo'd'esempio, "agisce" sempre in base alla regolazione iniziale e non può discostarsi da essa, a meno che non venga reimpostatodiversamente; analogamente, la palla di biliardo dell'esempio riportato al par. 2 risentirebbe a lungo di quell’evento del suo passato definitocome "urto" e, se si trovasse nel "vuoto" intergalattico, potrebbe addirittura continuare a muoversi in conseguenza di quell’unico eventoanche milioni o miliardi di anni dopo che la forza originaria non è più all’opera. Essa insomma dovrebbe attendere un ulteriore interventoesterno per modificare il proprio stato. Un essere vivente o un sistema sociale non seguono invece la legge di inerzia, né quella dellaregolazione esterna, in quanto possiedono la capacità di autoriorganizzarsi, di modificare dall’interno gli effetti dell’"urto" degli eventi,rallentando, deviando o trasformando la dinamica iniziale. Se un sistema biologico complesso, dopo una perturbazione "sostenibile" — checioè non lo distrugge o danneggia irrimediabilmente — non ritorna allo stato di equilibrio, può significare:1) che quegli stessi fattori che hanno ingenerato lo stato perturbato sono ancora all’opera (e allora perché andarli a cercare nel passato?)oppure vuol dire2) che tale stato si mantiene in essere a causa dell’azione di nuovi e diversi fattori che ostacolano, depotenziano o sviano le funzioniautoriorganizzanti del sistema, rendendolo apparentemente soggetto alla legge di inerzia. Tali fattori sono evidentemente tuttora in funzione equindi vanno anch’essi ricercati nel presente. Esaminiamo le due eventualità.1) Ammesso che ricorra il primo caso e che sia quindi utile comprendere le cause iniziali dei fenomeni che a noi interessano, sarà possibileattingere, con le dovute cautele, alla ricerca meccanicista tradizionale, che si è estesamente (quasi esclusivamente) soffermatasull’individuazione di tali cause. Ciò, naturalmente, con l’avvertenza basilare di tenere in considerazione la profonda differenza tra laconcezione classica del rapporto causa-effetto e quella sistemica. La prima, infatti, come si è già accennato, è eminentemente lineare eunidirezionale, il che porta a distinguere nettamente tra causa (variabile indipendente) e effetto (variabile dipendente). La seconda invece è ditipo circolare e biunivoco, e pertanto ciò che meccanicisticamente è ritenuto "effetto" può retroalimentare il circuito e divenire a sua voltaelemento propulsore o dissuasore (causa). In altri termini, il modo in cui un determinato soggetto reagisce ad un certo fattore può stimolare oinibire o modificare la produzione successiva di detto fattore, può cioè retroagire sul soggetto inizialmente responsabile dell’attivazione di talefattore. Ciò è massimamente evidente in campo sociale, dove tale retroazione, o feedback, ha natura informazionale più che materiale oenergetica. Ad esempio, le conseguenze di una interazione tra due o più persone non sono mai imputabili all’agire di uno solo dei due, madipendono sempre dal prodotto di entrambe le personalità e dal contesto socioculturale in cui l’incontro avviene. Se — poniamo — A recaoffesa a B, il meccanicismo attribuirà ad A l’intera responsabilità (colpa) di quanto accade dopo; tuttavia, basta un po’ di buon senso perrendersi conto che il risultato dipenderà anche dal modo in cui B reagisce (e questa è una sua responsabilità). Il fatto che A abbia iniziato perprimo non è affatto determinante, per l’ottica sistemica, e, tra l’altro, non è affatto detto che quello sia veramente il punto d’inizio dello scontro:evidentemente qualcosa covava da tempo, o è accaduto qualcosa in precedenza: non si offende qualcuno senza un motivo, giusto o menoche sia, a meno che A non soffra di qualche patologia psichica, nel qual caso B non ha motivo di sentirsi offeso da uno sconosciuto, a menoche non soffra a sua volta di un profondo senso di persecuzione o insicurezza (e questo è un suo problema) etc. etc.Come si vede, attribuire ad A il ruolo di variabile indipendente (o causa) è del tutto arbitrario e infondato. E questo vale, in campopsicosociale, praticamente per ogni genere di situazione. Lo stato stazionario (o di equilibrio) di un sistema aperto è in certa misuraindipendente dal suo stato iniziale, ed è determinato principalmente: a) dalla natura del processo in atto; b) dai parametri del sistema. Neconsegue che "quando analizzeremo come le persone si influenzano a vicenda, considereremo l’organizzazione in corso del processointerattivo molto più importante degli elementi specifici costituiti dalla genesi e dal risultato" (P. Watzlawick et al., 1971: 122). Dunque, più chespezzettare il processo in fasi e ruoli distinti è necessario considerarlo nella sua interezza e circolarità, ponendo i soggetti in gioco tutti sullostesso piano (cioè come influenzatori e influenzati allo stesso tempo) e cercando di capire come ognuno, a suo modo, contribuisce alpermanere di un certo stato di cose. Ciò comporta un cambiamento di prospettiva, non più incentrata sui singoli individui (visione oggettuale-corpuscolare) ma sui processi in atto nel sistema (visione ondulatoria-processuale). In campo sociale ciò porta a interventi basati su unavisione impersonale degli eventi che riduce o elimina l'antagonismo tra le parti, non puntando a stabilire chi abbia ragione e chi torto masemmai come sia possibile migliorare l'interazione con vantaggio reciproco (cfr. E. Cheli, R. Renzini, 1995).2) Nella realtà, la maggior parte dei problemi sociali si mantiene in essere per via di fattori diversi da quelli che hanno innescato il processo: ilcaso 1 si rivela cioè un eccezione, laddove la regola ricade nel caso 2. Occorre dunque procedere all’individuazione di quei nuovi fattori chetendono a mantenere in essere il fenomeno, ostacolando in vario modo la capacità autoriorganizzatrice del sistema. Fattori, cioè, chesvolgono funzioni omeostatiche (dal greco Hòmoios = simile e stàsis = stare; dunque: non cambiare, rimanere uguale). La funzione omeostaticaWalter Cannon (1932) fu forse il primo ad esplicitare il ruolo e l’importanza dell’omeostasi nei sistemi viventi, ma solo grazie al concettocibernetico di anello di retroazione (feedback loop) si comprese a fondo il funzionamento dei processi autoregolativi e la rivoluzione che ciòcomportava in termini di modelli causali. Mentre nella comprensione della dinamica dei sistemi meccanici e fisico-chimici elementari assumegrande rilievo l’individuazione delle cause iniziali (variabili indipendenti) nei sistemi viventi e nei sistemi complessi caratterizzati da processiomeostatici tali cause possono essere molto meno rilevanti, in virtù del fatto che il sistema è in grado, entro certi limiti, di autodeterminare ilproprio stato – mentre assumono rilavanza centrale le variabili attuali (come si è visto ai par. 4 e 7).I processi omeostatici, oltre ad operare dall’interno del sistema, sono spesso presenti anche ad altri livelli, vale a dire nei sovra- e sotto-sistemi con cui esso è in relazione. Ciò determina una ridondanza d’informazione tale che, se anche cessassero di operare i processi propridi un livello vi sarebbero sempre gli altri livelli in funzione e l’equilibrio, se pure precariamente, sarebbe mantenuto. Ciò è molto positivo per lasopravvivenza dei sistemi, ma diviene un handicap assai rilevante quando l’omeostasi tende a perpetuare stati patologici o frena i processievolutivi. Si pensi ad un frigorifero inserito in una stanza climatizzata a bassa temperatura: se anche il termostato del frigo si guasta, la suatemperatura non salirà più di tanto, grazie al termostato dell’ambiente in cui è situato, e ciò consentirà di contenere i danni. Si supponga peròche il frigo entri in uno stato "patologico" di iperattività e debba essere sbrinato, ma che, pur potendo disattivare temporaneamente il frigo nonsi abbia accesso al termostato della stanza: in tal caso il doppio circuito omeostatico risulterà un ostacolo, rendendo più difficile edispendiosa la "terapia". In campo sociale gli esempi sono innumerevoli: ogni individuo possiede infatti non solo omeostati interni ma èinserito in ambienti omeostatici, dalla famiglia al gruppo di amici alla società in generale, che limitano, in bene e in male, le possibilità dioscillazione del proprio stato d’essere. Per fare un riferimento specifico, attinente al campo sociosanitario, possiamo rilevare chegeneralmente le varie terapie (mediche, psicologiche, sociali) quando applicate isolatamente hanno la possibilità di agire sui alcuni dei circuitiomeostatici dell’individuo ma non su altri: ad esempio, un intervento solo farmacologico può temporaneamente risolvere una patologiadell’apparato digerente, ma non può modificare le cattive abitudini alimentari del paziente, che, se lasciate immutate, tenderanno prima o poia riinnescare la patologia. Lo stesso vale per tutte quelle patologie di chiara impronta psicosomatica; in entrambi i casi è necessario "ritarare"circuiti omeostatici che, pur non essendo direttamente presenti nei sintomi, sono strettamente connessi alla genesi o al perdurare dellapatologia. Un altro caso molto frequente è quello di trascurare il ruolo dei vari sistemi-ambiente cui il soggetto appartiene. Citiamo adesempio il caso di una iniziativa organizzata alcuni anni fa nell’ambito di un progetto di prevenzione in un quartiere ad alto disagio socialedell'area fiorentina. Tale intervento consisteva in un gruppo di auto-aiuto per donne che ha dato in un primo tempo notevoli risultati, ma poiha risentito negativamente dell’azione omeostatica proveniente da un altro sistema di cui le singole partecipanti erano membri: la famiglia.Tale azione si è manifestata sotto forma di riduzione o interruzione della partecipazione dovuta — come esplicitamente ammesso dalledirette interessate — ad una resistenza ad abbandonare i propri "doveri" familiari, ad infrangere certe consuetudini (uscire la sera lasciando il

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marito solo) etc.; resistenza che si è manifestata non solo esplicitamente, nelle rimostranze dei mariti, ma anche implicitamente, nei sensi dicolpa interiorizzati dalle donne stesse. Prevenzione e terapia nell'ottica sistemicaLo spirito olistico e circolare che caratterizza il pensiero sistemico, porta a dissolvere la netta linea di separazione tra terapia e prevenzione:se la terapia è vera terapia (cioè va alle radici e non si ferma in superficie, all’apparenza, al sintomo) essa svolge automaticamente anchefunzioni di prevenzione, poiché aiuta il sistema a trovare uno stato di equilibrio più efficiente. E viceversa, un intervento di prevenzione, sesistemicamente appropriato, funge automaticamente da terapia anche per problemi "esterni" alla sua sfera di pertinenza, agli obiettivispecifici per cui esso è stato progettato ed effettuato. Sistemicamente appropriato significa infatti che non si limita a intervenire sui sintomi maaffronta il problema in modo più globale:Stimolando o educando le innate (ma talora assopite, inconsapevoli o represse) capacità del sistema di autoriorganizzazione, i suoi processidi adattamento, cioè di elaborazione e trasformazione delle "perturbazioni";aiutandolo a liberarsi dalle influenze omeostatiche negative dei sistemi ambiente in cui è inserito e ad attivare invece le risorse positive in essicontenute.Quando ciò avviene con successo, i processi attivati tendono automaticamente ad estendersi all’intero spazio di vita del sistema, potendocontribuire alla soluzione di problemi e patologie anche molto "distanti" da quelli per cui l’intervento era stato progettato. Ad esempio, con unaprevenzione medica che punta al potenziamento delle difese immunitarie non solo si potrà prevenire l’insorgere di quelle specifiche malattieper cui la cura è stata progettata, ma si potrà far guarire il soggetto da eventuali altri disturbi già in corso. Nello spirito sistemico i principi e glistrumenti della terapia e della prevenzione sono in larga misura gli stessi, poiché il fulcro su cui agiscono è unico: è la capacità del sistema diautoriorganizzarsi. Solo nella visione di tipo deterministico si crede vi sia differenza, perché ci si sofferma in superficie, sulla manifestazioneesteriore, sul sintomo, e a tale livello il problema può assumere in effetti differenti e multiformi aspetti; ciò porta inevitabilmente a chiedersiquali fattori patogeni, in quali serie di circostanze possano averlo generato. Ma se ci si focalizza in profondità, alle radici del problema, ladomanda essenziale cui rispondere diviene una sola: che cosa trattiene il sistema dal reagire efficacemente ed autoriorganizzarsi su unnuovo e più soddisfacente stato di equilibrio?Questa, in estrema sintesi, è l’essenza dell’analisi e diagnosi sistemica, e altrettanto semplice e chiara è la domanda da porsi per focalizzarel’intervento: come si può stimolare il sistema a liberarsi dai vincoli e ad attualizzare le proprie potenzialità creative di autoriorganizzazione? La funzione evolutivaCome già traspare da quanto sopra accennato, l’omeostasi non è l’unica caratteristica dei sistemi. Specie nei sistemi viventi, e in particolarein quelli umani, è infatti riscontrabile un’altra basilare funzione che costituisce, per così dire, il polo opposto (e complementare) all’omeostasie che potremmo definire: funzione di crescita o funzione evolutiva. Molti studiosi, specie in campo psicologico e sociale (ma anche biologico),l’hanno spesso confusa con la funzione di "adattamento", riducendone sensibilmente la portata: certo, l’uomo ha la facoltà di reagire acambiamenti ambientali anche consistenti, adattandovisi in vario modo (molto utile a riguardo la distinzione piagettiana tra assimilazione eaccomodamento); ma tale adattamento è pur sempre visto come un tentare di mantenere, difendere l’equilibrio preesistente, dunque rinvia inultima analisi ad un processo omeostatico. E’ la procedura di comportamento del celebre automa di Von Neumann, o delle macchine aretroazione di Ashby, la cui unica forma di intelligenza era rappresentata da un circuito di retroazione collegato ad un omeostato. Ciò che quisi intende con funzione evolutiva è invece qualcosa di diverso, di più ampio, qualcosa che nessun automa, reale o teorico, è stato ancora ingrado di fare: è un andare oltre i propri limiti, non accontentandosi di mantenere l’equilibrio preesistente e star bene almeno quanto inpassato, ma desiderando piuttosto di rompere l’attuale equilibrio per ricercarne uno più soddisfacente; in termini sistemici l'evoluzione è latendenza a trascendere l’omeostasi, a proiettarsi nel futuro, a desiderare e ricercare un futuro migliore. Una tendenza evolutiva di cui nonnecessariamente si è consapevoli (e di qui l’opacità di alcuni conflitti interiori) ma che è sempre presente negli organismi viventi e inparticolare nell’uomo. La "crescita" definisce insomma una classe a sé stante di processi di cambiamento, che non sono innescati tanto daperturbazioni esterne o mutamenti ambientali, ma sono piuttosto autogenerati dal sistema stesso, seppure in modo non necessariamenteconsapevole. Per riassumere:L’omeostasi dice: meno si cambia meglio è.La crescita sostiene invece: è possibile cambiare in meglio.Queste due forze esprimono l’eterno confronto tra ordine e disordine, tra il bisogno di prevedibilità e la ricerca dell’indeterminato, del nuovo,dell’ignoto; tra l’esigenza di rassicurazione e dipendenza e il desiderio di novità e autonomia. Anche se omeostasi e crescita possonosembrare tendenze contrapposte, in realtà non lo sono, poiché entrambe puntano al benessere del sistema: se divergono è perchéconcepiscono diversamente cosa debba intendersi per "benessere" e come esso vada raggiunto.In un sistema ideale, completamente "sano", le due tendenze coesistono pacificamente, svolgendo ruoli complementari e cooperando inarmonia: l’omeostasi è il circuito di sicurezza/sopravvivenza, l’evoluzione quello di orientamento/avanzamento. La crescita procede a tappe, enell’intervallo tra una tappa e l’altra lascia all’omeostasi il compito di creare quel tanto di stabilità e tranquillità che consente al sistema di"prendere consapevolezza" del nuovo stato raggiunto e di assimilarne i contenuti; l’omeostasi a sua volta acconsente a disattivare i propricircuiti ogni volta che la crescita ritenga necessario salire un altro gradino, assecondandola invece di ostacolarla, ritarando quindi tali circuitiin modo appropriato al nuovo stato raggiunto.Per quanto riguarda l’umanità va purtroppo osservato che i sistemi socioculturali in cui viviamo si avvicinano ben poco all’ideale suesposto epiù che sani appaiono dissociati se non, in molti aspetti, schizofrenici. Ne consegue che le due funzioni non si conciliano e anzi sicombattono, in genere con una prevalenza dell’omeostasi, più legittimata dai sistemi di credenze e valori dominanti nelle principali cultureumane, mentre la funzione di crescita rimane spesso latente, vuoi perché non coltivata, vuoi perché — per ignoranza, paura ocondizionamento esterno — è stata repressa.Comunque, ogni volta che — come nel caso della prevenzione o della terapia — si vuole stimolare o facilitare un cambiamento migliorativo inun sistema, non si può prescindere dal considerare anche e soprattutto la funzione evolutiva. Il fatto che tale cambiamento richieda un aiutoesterno e che il sistema non abbia proceduto autonomamente in tal senso, può significare che la funzione omeostatica è, per qualche motivo,preponderante, o perché il sistema risente di influenze esterne (vedi l’esempio del frigo nella stanza climatizzata) o perché così si èinternamente organizzato (e in questo secondo caso diremo, in termini antropomorfi, che il sistema "ha paura" del cambiamento). L’interventoandrebbe dunque articolato in due direzioni: allentare la morsa omeostatica e ridare vigore alla funzione evolutiva. In realtà, allo stato attuale,la maggior parte degli interventi in campo politico sociale ed economico preferiscono non andare a toccare tali aspetti basilari ma semmaiintrodurre nuovi meccanismi nel sistema che tamponano, più che realmente risolvere, il problema. Questo modo di procedere, oltre risultareinefficace, finisce per produrre un aumento di complessità del sistema stesso che diviene così ancora più confuso e ingestibile. Si pensi aquanto avviene riguardo ad un problema di rilevanza mondiale quale quello dell’esplosione demografica e alla connessa questione delcontrollo delle nascite: invece di affrontarlo alla radice, depotenziando certi tabù religiosi (riduzione dell’omeostasi) e sottolineando il ruolo dipiacere e comunicazione della sessualità come alternativo a quello di riproduzione pura e semplice (stimolare la funzione di crescita) sipreferisce introdurre meccanismi tampone quali: assistenza ai paesi poveri, adozione di parte dei bambini in eccesso, missioni etc. Il tutto purdi non mettere in discussione credenze che un tempo potevano anche avere un qualche senso, data la scarsa popolazione e l’alta mortalità,ma che oggi sono del tutto anacronistiche ed anzi fortemente pericolose per la sopravvivenza della specie. Ordine, disordine, complessitàL'approccio sistemico conduce ad una visione della realtà assai diversa da quella del modello meccanicista, con un mondo assai più ricco,ma anche più complesso, caratterizzato da un intreccio fittissimo di interrelazioni per il quale non disponiamo, al momento, di strumenti diorientamento all'altezza delle esigenze. Tuttavia, se è vero che lo scopo della scienza è quello di approssimarsi sempre più alla realtà e setale realtà, in ogni sua dimensione è manifestamente complessa e interdipendente, è giusto ed inevitabile affrontarne lo studio con strumenticoncettuali che riconoscano tale stato di fatto, e non che lo neghino o lo minimizzino, operando drastiche quanto distorcenti semplificazioni.L’approccio sistemico tenta appunto di affrontare in modo onesto e coraggioso una complessità che è sempre esistita ma dalla quale ilmeccanicismo-riduzionismo ha tentato di prescindere, quasi di fuggire.Adottare il modo sistemico di pensare, di esplorare, di teorizzare può forse, all'inizio, farci sentire persi in un mare magnum, soverchiati dauna enormità di fattori, da un groviglio di relazioni causali, e forse può anche farci balenare il rimpianto della calma, semplice, rassicurantesponda del meccanicismo-riduzionismo, con le sue strade ordinate, ortogonali e a senso unico. In effetti, una mente come quella occidentale,educata (e confinata) al pensiero logico-razionale, allo spazio euclideo, alla causalità lineare, alle dicotomie, alla personificazione della

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divinità come entità distinta dal sé e dal tutto non può che comprendere con difficoltà aspetti quali l’interdipendenza, la circolarità causale, laglobalità; non può, all’inizio, che avvertire come disordine ciò che, semplicemente, è ordinato secondo criteri non lineari e non bidimensionali;non può che sentire minaccioso ciò che sembra fuoriuscire dai suoi limitati, culturalmente relativi, criteri di valutazione. Per dirla con Geertz,dopo aver abitato per secoli in edifici quadrati, vivendo in stanze quadrate, sedendo su sedie quadrate non possiamo fare altro che pensarepensieri quadrati; ciò non significa però che si debba per sempre rimanere confinati in tali limiti; anzi, come suggerisce Edgar Morin, "bisognaprendere atto che l'ordine ha smesso di essere uno. Vi è dell'ordine nell'universo, non vi è un ordine. Einstein aveva sognato, senza pausa esenza successo, di unificare le interazioni gravitazionali e quelle elettromagnetiche. Sognava un'unica chiave di volta dell'ordine. Ma l'unitàdell'universo dev'essere cercata altrove dall'ordine. L'ordine di un cosmo scoppiato non è necessariamente plurale, disgregato?" (Morin E.,1983: 99)Se si è sufficientemente flessibili, disponibili a non arroccarsi sulle posizioni pregresse, è possibile superare questo momento dicomprensibile sconforto, tipico di ogni avanscoperta in territori sconosciuti e alieni, e giungere così alla consapevolezza che quello chesecondo i vecchi schemi appare un confuso groviglio risulta essere, alla luce dei nuovi, un ordine di livello superiore, più bello, pulsante,armonico di quello sinora noto.Vari studiosi hanno sperimentato in prima persona, ristrutturazioni radicali del proprio campo percettivo,mutamenti della propria immagine della realtà, che li hanno portati a cogliere, se pure a sprazzi, ordini di tipo logico diverso. Emblematico ilcaso dei fisici atomici fondatori della meccanica quantistica:Nel XX secolo i fisici si trovarono per la prima volta di fronte ad una seria sfida alla loro capacità di capire l'universo. Ogni volta che essiponevano una domanda alla natura in un esperimento atomico, la natura rispondeva con un paradosso, e quanto più essi si sforzavano dichiarire la situazione tanto più acuto il paradosso diventava. Nei loro sforzi per comprendere questa nuova realtà, gli scienziati divennerosgradevolmente consapevoli del fatto che i loro concetti di base, il loro linguaggio e tutto il loro modo di pensare erano inadeguati adescrivere fenomeni atomici. Il loro problema era non solo intellettuale, ma implicava una intensa esperienza emotiva ed esistenziale, che èdescritta vividamente da Werner Heisenberg: "Ricordo delle discussioni con Bohr che si prolungavano per molte ore fino a notte piena e checi condussero quasi ad uno stato di disperazione; e quando al termine della discussione me ne andavo da solo a fare una passeggiata nelparco vicino continuavo sempre a ripropormi il problema: è possibile che la natura sia così assurda come ci appariva in quegli esperimentiatomici?"Quei fisici impiegarono molto tempo ad accettare il fatto che i paradossi in cui si imbattevano sono un aspetto essenziale della fisica atomica,e a rendersi conto che essi si presentano quando si cerca di descrivere fenomeni atomici nei termini di concetti classici. Una volta compresoquesto fatto, i fisici cominciarono ad imparare a porre le domande giuste e a evitare contraddizioni. Come dice Heisenberg "essi entrarono inqualche modo nello spirito della teoria quantistica". (...) il cui sistema concettuale non era affatto facile da accettare. Il suo effetto sulla visionedella realtà dei fisici fu veramente distruttivo. La nuova fisica richiedeva profondi mutamenti nei concetti di spazio, tempo, materia, oggetto, edi rapporto causale; e poiché questi concetti sono così fondamentali per il nostro modo di sperimentare il mondo, la loro trasformazione fusentita come un grande trauma. Per citare di nuovo Heisenberg: "Questa violenta reazione ai recenti sviluppi della fisica moderna può essereintesa soltanto se ci si rende ben conto che questa volta hanno cominciato a spostarsi gli stessi fondamenti della fisica; e che questospostamento ha prodotto la sensazione che ci sarebbe stato tolto da sotto i piedi, a opera della scienza, il terreno stesso su cui poggiavamo".(F. Capra, 1984: 66-67)Che una tale ristrutturazione, anche radicale, del campo percettivo sia avvenuta, in questo come in altri casi, è una chiara testimonianza delfatto che, in ultima analisi, la realtà non è né complessa né semplice: come forse direbbe un mistico Essa semplicemente è. Complessa osemplice, unitaria o frammentaria, coerente o paradossale è solo la sua apparenza, non la sua essenza, è cioè il modo in cui noi la vediamo,un modo che oggi sappiamo condizionato alla radice dai nostri schemi percettivo-interpretativi, nelle loro matrici neurofisiologiche,psicologiche e socioculturali. Cambiando quindi schemi — mutando paradigma — cambia anche la realtà, o meglio la realtà come ci appare,che è poi quella che la scienza indaga e con la quale abbiamo comunemente a che fare.Presupposto primo per giungere a un tale cambiamento è il superamento dei confini posti dai modelli di pensiero finora dominanti,innescando un dibattito serio e non pregiudiziale riguardo a cosa debba intendersi per "mente scientifica" e "pensiero scientifico". Fino adoggi a tali concetti venivano immancabilmente associate capacità esclusivamente razionali, quali l'analiticità e l'astrazione, la logica, ildistacco emotivo e via dicendo (riconducibili all'emisfero sinistro del cervello), mentre venivano escluse quelle capacità più intuitive,analogiche, emozionali, globali tipiche dell'emisfero destro, tradizionalmente associate, tra l'altro, alla mente artistica. Arte e scienza, è noto,hanno a lungo rappresentato i due poli di una rigida dicotomia. La visione sistemica richiede il superamento di questa scissione, poiché c'èbisogno di entrambe queste classi di capacità per poter cogliere e comprendere la realtà, nelle sue interrelazioni, interferenze, intreccipluridimensionali, nella sua armonia nascosta. Per citare ancora una volta Morin (op. cit., 181) "le nozioni di arte e scienza, che nell'ideologiatecno-burocratica dominante si oppongono, devono qui associarsi, come in qualunque luogo ove si dia realmente scienza. Il concetto disistema richiede quindi la piena utilizzazione delle qualità personali del soggetto, nella sua comunicazione con l'oggetto". L'arte ha molto dainsegnarci sul rappresentare e gestire la complessità, sul muoversi in spazi non lineari, sull'affrontare contraddizioni e paradossi,sull'assumere un atteggiamento più aperto e ricettivo nei confronti della realtà, senza volerla a tutti i costi ricondurre a schemi preesistenti ead una malintesa oggettività. Spesso l'artista è molto più coraggioso dello scienziato e dell'uomo comune nell'avventurarsi in territorisconosciuti e anche più flessibile, disponibile cioè ad infrangere vecchie consuetudini, a giocare creativamente con i linguaggi, i concetti, lestrutture nel tentativo di rappresentare l'impressione che di quei territori ha ricavato.Ad ogni modo, l'accettazione del modello sistemico non implica tout court di liquidare il paradigma riduzionista; come abbiamo visto nelcapitolo precedente, è di fatto possibile e anzi indispensabile conciliare queste due diverse visioni della realtà, considerandole cioè comecomplementari più che conflittuali. Conciliare riduzionismo e olismoTra le critiche sollevate nei confronti dell'approccio sistemico, le principali riguardano la sua difficile o impossibile traduzione in terminioperativi di ricerca sperimentale, vuoi di laboratorio, vuoi sul campo. Le variabili in gioco sono troppe e per di più molte sono di difficile oimpossibile operazionalizzazione. In effetti non esistono, al momento, metodi operativi né strumenti di indagine atti a tradurre le ipotesisistemiche in disegni di ricerca concretamente realizzabili, e quindi manca quella che per la scienza moderna è il requisito primo discientificità: la possibilità di verificare empiricamente le ipotesi all'interno di protocolli replicabili. I metodi, gli strumenti, i procedimenti statisticiattualmente disponibili sono tutti derivati dall'assunto riduzionista e dal modello di causalità lineare meccanicista; anche quelli più sofisticati,che prendono in considerazione l'interrelazione tra gruppi di variabili, (analisi multivariata, clusterizzazione, analisi fattoriale, etc.) si muovonosempre all'interno di una logica lineare, e pur tentando di simulare lo stato di interdipendenza a causalità circolare, operano sempre conprocedimenti di chiara marca riduzionista: è un po' come tentare di misurare una circonferenza con un righello rigido; per quanto piccolo siatale righello, per quante misurazioni si facciano, quello che avremo non sarà mai una circonferenza ma un poligono, seppure con lati moltopiccoli da assomigliare ad una circonferenza.Dobbiamo tenere presente che i metodi e gli strumenti lineari del riduzionismo-meccanicismo sono il frutto di 4 secoli di ricerca, disperimentazione, di affinamento; il modello sistemico è invece relativamente recente ed è ovvio che non si può pretendere da esso lo stessogrado di elaborazione metodologica del paradigma dominante. Abbiamo visto, nel capitolo precedente, che la scienza della separazione si èsviluppata anche grazie ad un affilato metodo analitico, mentre non esiste niente di simile a disposizione della "scienza dell'unione": non soloessa non ha avuto un equivalente di Cartesio, né un "metodo sintetico" sviluppato quanto il metodo analitico, ma addirittura non si dovrebbe,a rigore, neppure parlare (ancora) di scienza dell'unione, dato il suo ridotto grado di sviluppo. E' solo da pochi decenni che alcuni gruppi distudiosi si stanno dedicando ad affinare ed esplorare detto versante, tra le mille difficoltà del pionierismo e dell'ostilità o indifferenza del restodella comunità scientifica (con conseguente ristrettezza di fondi e di opportunità di ricerca).Ma la questione è più complessa e non si riduce ad un fatto di età.Dobbiamo considerare infatti che la visione sintetica e unitaria della realtà è qualitativamente diversa dalla visione analitica e dualistica, tipicadella scienza come noi la conosciamo e quindi chiedergli di procedere mediante l'operazionalizzazione delle variabili non ha senso, significacontinuare a vedere le cose attraverso gli occhiali del metodo analitico.Pretendere dal paradigma sistemico metodi simili a quelli del paradigma riduzionista è un po' come pretendere che una donna veda la realtàcome un uomo o che un'artista ragioni come un matematico. D'altra parte, se accettiamo che il metodo sintetico rappresenti in un certo sensol'aspetto femminile della conoscenza, l'emisfero cerebrale destro, non c'è da meravigliarsi che nella nostra cultura, ancora profondamentemaschilista, la scienza analitico-riduzionista avanzi simili pretese. Oggi tuttavia è sempre più evidente che non ha senso stabilire chi siamigliore tra l'uomo e la donna, chi debba dominare e chi essere dominato; non si tratta di assumere una logica conflittuale di esclusione deltipo "o l'uno o l'altro" ma di riconoscere che entrambi sono necessari e meritano pari dignità, e le rispettive differenze non vanno viste comeconflittuali ma complementari.

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conflittuali ma complementari.Se trasponiamo questa concezione dall'ambito dei rapporti uomo-donna a quelli tra metodo analitico e metodo sintetico possiamoconsiderarli non più conflittuali ma anzi complementari: due punti di vista diversi sulla realtà ed entrambe necessari, che possono e debbonocollaborare e integrarsi. Ovviamente, è indispensabile rispettare le peculiarità di ognuno, senza pretendere di scimmiottare malamente l'altro:non dobbiamo chiedere all'approccio sintetico-globale di seguire le orme dell'approccio analitico-riduzionista, come pretendono gli scienziatiortodossi e neppure fare l'errore opposto, di chiedere all'approccio analitico di snaturarsi e rinnegare le sue valide e importanti capacità,come certi sostenitori di un malinteso olismo vorrebbero. Cerchiamo piuttosto di accettarli entrambi come punti di vista relativi sulla realtà: sepiuttosto, è indispensabile migliorare la comunicazione tra i due metodi e i rispettivi sostenitori, così da addivenire ad una comprensionereciproca dei due punti di vista.Per comprendere i ruoli che i due metodi potrebbero svolgere in una visione complementare e unificata risulta assai utile il modello a tre livelliproposto da F. Capra per i sistemi viventi e riportato alla tabella 1. Tabella 1– I tre livelli fondamentali di un sistema vivente secondo F. Capra Schema di organizzazioneLa configurazione delle relazioni che determinale caratteristiche essenziali del sistema. StrutturaLa materializzazione fisica delloschema di organizzazione del sistema. Processo della vitaL’attività necessaria alla materializzazione continuadello schema di organizzazione del sistema. In estrema sintesi, ciò che propongo è di interpretare l’autopoiesi, definita da Maturana e Varela, come lo schema della vita (cioè come loschema di organizzazione dei sistemi viventi); la struttura dissipativa, definita da Prigogine, come la struttura dei sistemi viventi; e lacognizione, definita inizialmente da Gregory Bateson e in modo più completo da Maturana e Varela, come il processo della vita.Lo schema di organizzazione determina le caratteristiche essenziali di un sistema. In particolare, stabilisce se il sistema è vivente o no. Nellanuova teoria, l’autopoiesi – lo schema di organizzazione dei sistemi viventi– è quindi la caratteristica che definisce la vita. Per stabilire se unparticolare sistema – un cristallo, un virus, una cellula o il pianeta Terra– è vivo, tutto ciò che ci serve è stabilire se il suo schema diorganizzazione è quello di una rete autopoietica. Se lo è, abbiamo a che fare con un sistema vivente; se non lo è, il sistema non è vivente.Come vedremo, la cognizione, il processo della vita, è legata in maniera indissolubile all’autopoiesi. Autopoiesi e cognizione sono due aspettidifferenti dello stesso fenomeno. Nella nuova teoria tutti i sistemi viventi sono sistemi cognitivi, e la cognizione comporta sempre l’esistenzadi una rete autopoietica.(Capra F.:, 1997: 180-181)Ai nostri fini, il modello di Capra è molto utile perché mette in risalto la diversa natura dei concetti di "schema" e di "struttura", situati su duelivelli assai diversi: "Nello studio della struttura misuriamo e pesiamo le cose. Gli schemi, però, non possono essere misurati o pesati; bisognadarne una rappresentazione grafica. Per comprendere uno schema, dobbiamo disegnare una configurazione di relazioni. In altre parole, lastruttura coinvolge la quantità, mentre lo schema coinvolge le qualità" (ibidem). Questo ci ricollega alla diversa natura dei due approcci,analitico e sintetico, riduzionistico ed olistico: quantitativo il primo e quindi ben adatto a misurare i gradi di differenza della struttura; qualitativoil secondo e dunque adatto a cogliere i collegamenti, evidenziare le analogie, gli isomorfismi e quindi le relazioni presenti sui vari piani. Lostesso Capra è ben consapevole della possibilità e necessità di integrare i due approcci quando sostiene che "la chiave per una teoriacompleta dei sistemi viventi stia nella sintesi di questi due approcci: lo studio dello schema (ovvero di forma, ordine, qualità) e lo studio dellastruttura (ovvero di sostanza, materia, quantità)". (op. cit., p. 178)Tuttavia, pur facendo questa distinzione, dobbiamo tener presente che i tre criteri sono del tutto interdipendenti. E’ possibile riconoscere loschema di organizzazione solo se è materializzato in una struttura fisica, e nei sistemi viventi questa materializzazione è un processocontinuo. Dunque struttura e processo sono legati in maniera indissolubile. "Potremmo dire che i tre criteri – schema, struttura e processo-sono tre modi diversi ma inseparabili di osservare il fenomeno della vita" (ibidem). In altri termini, ciò che dobbiamo fare è una sintesi, nonuna ulteriore suddivisione e spartizione del territorio..La salute nella visione sistemicaRecensendo il libro di Jay Haley, Family Therapy, Gregory Bateson scriveva, nel 1971, che la diffusione della terapia familiare rappresentavaqualcosa di più dell’introduzione di un nuovo metodo o di un cambiamento di unità sociale di riferimento: essa comportava una nuovaepistemologia e una nuova ontologia "cioè un modo nuovo di concepire una mente e una nuova visione del posto dell’uomo nel mondo"(1997, 392). Essa spostava l’accento dalla psicologia individuale ad una qualche forma di teoria dei sistemi o di cibernetica. Per Bateson "unsistema, in ultima analisi, è un’unità contenente una struttura di retroazione: quindi in grado di elaborare informazione". L’unità sistemica tipoè costituita dall’organismo individuale più l’ambiente in cui interagisce: infatti "la regola fondamentale della teoria dei sistemi è che se si vuolecapire un fenomeno lo si deve considerare nel contesto di tutti i circuiti completi ad esso pertinenti" (ib., pp.394-395). La mente, per Bateson,è costituita da notizie di differenze che passano dentro e fuori dell’organismo e che vengono elaborate ricorsivamente per confermarel’accoppiamento fra l’organismo e l’ambiente.Ad un livello molto generale, più che di un adattamento dell’essere vivente all’ambiente si deve parlare di un’interazione cogenerata, per cui icambiamenti di una parte stimolano e permettono i cambiamenti dell’altra. Una certa sincronizzazione reciproca comporta una stabilità delrapporto all’interno di una storia evolutiva. Dunque, certi cambiamenti autocorrettivi o flessibilità rendono possibile una preferenza per lastabilità a salvaguardia di caratteristiche più profonde e necessarie del sistema interno (autopoietico, nella terminologia di Maturana e Varela,1980) e della struttura ecorelazionale (sistema eco-auto-organizzativo, nella definizione di Morin, 1985). La stabilità nel cambiamento passaper degli apprendimenti che si collocano a diversi gradi di profondità delle premesse e del contesto entro cui la forma della relazione vienemantenuta.Si danno tuttavia anche dei processi schismogenetici, in forma "simmetrica" o "complementare", che possono comportare, talvolta, dellerotture nelle forme relazionali e l’intervento di meccanismi regolatori di più ampio livello. Il disordine generato si risolve, generalmente, nellaformazione di nuove strutture organizzative (morfogenesi), ma può comportare anche il collasso e l’eliminazione di forme obsolete,inadeguate al contesto complessivo entro cui una struttura relazionale e comunicativa si definisce.L’interazione fra organismi viventi e la loro nicchia ecologica va molto al di là degli scambi energetici o meccanici individuati dall’ecologiaambientalista: essa comporta scambi informativi che, allorché si riferiscono a strutture relazionali - vitali per la sopravvivenza -, sono realizzatiattraverso un linguaggio analogico e gestaltico, molto diverso da quello analitico, sostanziale e coscienziale che si è evoluto in parallelo nellaspecie umana. La confusione e l’embricazione fra diversi livelli della comunicazione può portare a dei conflitti fra punteggiature e livelli logici(doppi vincoli) che si possono risolvere in apprendimenti, ma che possono anche automantenersi per lunghi periodi generando sofferenzanelle persone coinvolte.La percezione di forme relazionali adeguate, salutogenetiche e autocorrettive è particolarmente legata alla messa in opera di processiprodotti dalla parte destra del cervello, come sogni, metafore, giochi, riti, arte. Essa è, in generale, guidata da una sensibilità estetica e dauna intuizione olistica (il "sacro" per Bateson) che coglie la "danza di parti interagenti" (patterns e coreografie) fra processi e forme biologici(ecologia organismica e ambientale), sociali (ecologia sociale), culturali (ecologia delle idee) e i loro rispecchiamenti reciproci (meccanismi diabduzione).La dimensione estetica e "sacrale" delle relazioni nei sistemi umani spiega la difficoltà di intervenire, ad esempio da parte di un terapeuta,senza istituire dei processi manipolativi o di controllo, ossia trasferendo su un livello analitico e di osservatore esterno dei processi generatisul piano analogico e interno al sistema di cui il terapista è parte. Secondo Bateson, è possibile facilitare certi processi, cercare di evitarnealtri o riconoscere ciò che si è prodotto, ma non è "ecologico" tentare di istituire modalità di guida delle relazioni umane, per una sorta dicontraddizione in termini.L’abituale focalizzazione dei paradigmi medico-terapeutici e di quelli preventivi o "del rischio" sui bit di azione ritenuti cattivi, folli, malati,dipendenti, criminali rappresenta solo una parte di un sistema di relazioni. Questa dicotomizzazione è particolarmente insana in quanto tende

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dipendenti, criminali rappresenta solo una parte di un sistema di relazioni. Questa dicotomizzazione è particolarmente insana in quanto tendea reificare le relazioni classificando una delle parti in gioco e disattivando quei potenziali di retroazione ricorsiva e autocorrezione cheun’intera ecologia di caring solitamente possiedono. Essa genera inoltre una confusione di tipi logici per cui si tende a colpire uncomportamento (atto criminale) con l’intento di "sanare" una classe di fenomeni (criminalità). A livello di "idee", tali pratiche tendono amantenere una visione dicotomica che rende difficile assumere il lato oscuro "delle complementarietà cibernetiche: vita e morte, successo efallimento, salute e patologia" (Keeney, 1985, pp. 154-155).In base a questo frame, si può sostenere che una visione ecosistemica della salute è quella che assume come campo di analisi e interventol’evoluzione delle forme e dei processi di mantenimento-cambiamento che si esplicano a tutti i livelli del vivente considerati nei loro aspettimentali. L’intervento riequilibrante e quello promozionale, ossia facilitativo rispetto alle potenzialità e alle risorse autocorrettive dei sistemiviventi, possono essere attuati ponendosi all’interno di una circolazione comunicativa e introducendo differenze operturbazioni capaci diinnescare un nuovo assetto o una ridefinizione di quello preesistente a diversi livelli comunicazionali: percezioni, modi di pensare,rappresentazioni sociali, regole organizzative, definizioni di contesto, dinamiche ambientali e così via. Tali apporti sono salutari allorché sitraducono in apprendimenti e riescono a portare neghentropia (organizzazione) dentro un sistema relazionale.La concezione batesoniana della salute in chiave sistemica, ha avuto un’evoluzione, che può essere vista come rappresentativa di un ampiomovimento di idee che è andato estendendo la sua influenza fra gli anni ‘50 e gli anni ‘80. In essa possono essere individuati tre modelli:quello legato alla teoria dell’informazione e alla prima cibernetica che interpreta la nozione di feed-back in direzione omeostatica e l’interventoterapeutico o sociale come ripristino o rimozione del meccanismo malato o disfunzionale; quello della seconda cibernetica in cui si accentuala critica del dualismo corpo/mente e salute/malattia: l’osservatore è parte del sistema e quindi sviluppa un’epistemologia e una metodologiadi intervento di tipo costruttivista e relazionale che non vuole guidare ma promuovere dei processi; nella terza fase la visione si allarga ad unolismo ecologico ed estetico che, facendo perno sulle dimensioni emozionali, relazionali e linguistiche della comunicazione nei sistemi umani,si apre alla considerazione degli aspetti simbolici, culturali, mitologici, spirituali, religiosi, poetici. Rispetto alle metodologie attive della primafase o a quelle coevolutive della seconda, si affermano nella terza le dimensioni narrative, le tecniche di ascolto, gli orientamenti al non-fare -in senso quasi-buddhista -, la ricerca delle potenzialità creative, l’attenzione per le pratiche meditative e contemplative, le sensibilità persaper evitare degli errori logici e l’autoeducazione.Il cambio epistemologico che la teoria sistemica ha apportato nell’ambito della salute è stato rilevante soprattutto per le scienze umane esociali, per quelle della comunicazione e quelle della formazione: esso ha permesso, in buona misura, di affrancarsi dal predominio delparadigma bio-medico, di quello psicoindividualista e di quello socioorganicista, per elaborare un punto di vista più autonomo e critico che haposto al centro le dinamiche relazionali dell’intersoggettività, i conflitti fra parti del mondo interno, i pattern socio-psico-somatici, lecomponenti emozionali e contestuali del benessere, la costruzione sociale della salute, le differenze culturali, di senso e spirituali cheincidono nei vissuti, nelle pratiche, negli approcci alla cura e alla promozione della salute.Questi apporti si sono rivelati innovativi e produttivi in campi come l’educazione e la promozione della salute, gli interventi sulle dipendenze esulle patologie relazionali, l’umanizzazione delle cure in ambienti assistenziali, la crescita delle capacità di coping delle famiglie e delle reti, ilcounseling delle crisi familiari, le azioni di supporto sociale, l’empowerment e l’advocacy di gruppi deprivilegiati, la formazione psicosocialedegli operatori sociali e sanitari, l’organizzazione dei servizi sociali, la definizione delle politiche di comunità, il miglioramento della vivibilità edella qualità della vita negli ambienti urbani e in molti altri settori.Il contesto socio-culturale entro cui la teoria dei sistemi ha operato è tuttavia in rapido cambiamento: mentre gli orientamento culturali deglianni ‘70 hanno rappresentato ottimisticamente il sistema sociale in costruzione come Società del Benessere, basato sui consumi privati el’intervento pubblico, le rappresentazioni collettive degli anni ‘90 sembrano dominate da una percezione di rischio incombente e complessitàambientale soverchiante a cui non solo le Istituzioni, ma anche molti dei meccanismi autocorrettivi e connessionisti finora operanti sembranoincapaci di fornire risposte esaustive e rassicuranti.La percezione di insicurezza ambientale, perdita potenziale o reale di benefici e punti di riferimento, sfiducia negli altri e nel futuro, incertacostruzione della propria identità ha portato alla diffusione di atteggiamenti aggressivi, predatori, rabbiosi, difensivi, rassegnati, cinici,superficiali e a nuove forme di disagio e sofferenza in vari campi della vita sociale. Essa tuttavia indica in negativo l’esistenza di unadomanda latente di fiducia, senso e qualità della vita. Tale domanda si esprime, fra l’altro, in un rilevante e crescente interesse per lequestioni di benessere e malessere, agio e disagio, guarigione e terapia, promozione e prevenzione, ascolto e risposta, sicurezza e pericolo,identità e alterità, appartenenza e spaesamento, ragione e emozioni, bellezza ed estetica, credenza e spiritualità e altri temi consimili che siavverte nelle pratiche diffuse e nella comunicazione sociale.La domanda sociale di salute in questa fase è quindi, al contempo, articolata e sfuggente, pressante e multiforme, e dunque pone nuovequestioni ai professionisti della salute e agli operatori sociali, compresi quelli che partono da un frame sistemico. La sfida, oltre che pratica, èancora una volta epistemica e teorica. Molte intuizioni incompiute dell’ultimo Bateson, fra cui quella sul panico epistemologico che staespandendosi in questa fase a cavallo del secolo, indicano un terreno in cui il movimento sistemico non si è ancora pienamente misurato eche necessitano di un’elaborazione creativa adeguata al contesto di una società postmoderna e multiculturale.

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