PrinciPali tiPi di tEssuto - Libri di medicina ... · sa e il metodo di Wright. Le caratteristiche...

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I. CELLULA n Capitolo : PARTE II PRINCIPALI TIPI DI TESSUTO 3. Sangue, emopoiesi e midollo osseo .................. 46 4. Tessuti connettivi ................................................ 65 5. Tessuti epiteliali................................................... 82 6. Tessuti muscolari .............................................. 101 7. Tessuto nervoso ............................................... 122 YOUNG_ch003-0045_0064.indd 45 22/07/14 13:40

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leucocItI

Nella circolazione sono normalmente presenti cinque tipi di leucociti, a loro volta classificati in due gruppi:

Granulociti [(o polimorfonucleati); N.d.C.]• Neutrofili • Eosinofili • Basofili Leucociti mononucleati • Linfociti • Monociti

GranulocitiI granulociti sono così chiamati per la presenza di numerosi e caratteristici granuli citoplasmatici. A seconda della colora-zione dei granuli predominanti si distinguono in: neutrofili (lilla), eosinofili (rossi) e basofili (blu). I granulociti hanno un nucleo segmentato in più lobi che assumono forme variabili, da qui il nome alternativo di leucociti polimorfonucleati o polimorfi. Il termine polimorfonucleato è specialmente usato per indicare i neutrofili, poiché essi sono i più comuni tra i granulociti. I granulociti fanno parte delle cellule mieloidi in quanto originano dal midollo.

I granulociti sono componenti importanti delle difese innate contro le infezioni (vedi Cap. 11); tuttavia essi svolgono spesso questo ruolo nei tessuti e non nel sangue. Tutti i leucociti hanno proteine di superficie che si legano a recettori delle cellule endoteliali dei vasi sanguigni (vedi Cap. 8) e, grazie a questo legame, i granulociti aderiscono alle pareti del vaso e migrano all’interno dei tessuti mediante movimenti pseudopodiali. A eccezione degli eosinofili, che migrano nella mucosa intestinale, i granulociti non migrano nei tessuti normalmente ma solo in risposta a segnali chemiotattici e a seguito di cam-biamenti dell’espressione di recettori di superficie delle cellule endoteliali indotti da mediatori dell’infiammazione acuta.

I neutrofili sono dotati di intensa attività fagocitaria. Essi inglobano e uccidono i microrganismi e ingeriscono detriti cellulari e materiale particolato; rilasciano quindi vari importanti segnali pro-infiammatori e regolatori che contribuiscono globalmente al processo infiammatorio. I granulociti hanno una vita breve ed esauriscono la loro funzione in un solo ciclo difensivo; una volta lasciata la circolazione, muoiono nei tessuti e non ritornano nel circolo sanguigno.

linfociti e monocitiI linfociti e i monociti hanno nuclei non lobulati e furono quindi inizialmente descritti come leucociti mononucleati per distinguerli dai polimorfonucleati.

I linfociti giocano un ruolo chiave in tutte le risposte immunitarie e facilitano e regolano l’infiammazione. A differenza degli altri leucociti, la loro attività è diretta verso specifici agenti estranei (antigeni), garantendo una risposta adattativa e specifica, sia anticorpale sia cellulo-mediata. Di norma, i linfociti migrano attraverso i tessuti, poi confluiscono nei vasi linfatici e nei linfonodi, e infine ritornano nella circolazione sanguigna fornendo così una sorveglianza contro antigeni esterni. Essi hanno una vita media prolungata e sono capaci di proliferare.

I monociti sono cellule dotate di intensa attività fagocitaria, ingerendo microrganismi, detriti cellulari e materiale par-ticolato. Normalmente migrano in alcuni tipi di tessuto e possono maturare in macrofagi, diventando macrofagi tissutali residenti che hanno una sopravvivenza prolungata. I monociti e le cellule linfoidi producono, secernono ed esprimono recettori per un gran numero di mediatori dell’infiammazione.

conta dei leucociti

I leucociti nel sangue rappresentano una popolazione di riserva a disposizione per intervenire nei tessuti sede di infiammazione. In risposta alla stimolazione da parte di chemiotassine e attraver-so il legame a recettori per i leucociti esposti sulla superficie delle cellule endoteliali (le cellule che rivestono i vasi sanguigni), i leucociti fuoriescono dal torrente circolatorio e prendono parte a processi infiammatori nei tessuti. Ci si potrebbe aspettare che, a seguito di ciò, il loro numero nel sangue diminuisca; tuttavia, un gran numero di granulociti maturi resta a disposizione rima-nendo adeso alla superficie dei piccoli vasi. Essi formano una riserva funzionale che non viene inclusa nella conta dei leucociti circolanti, ma rapidamente mobilizzata dai segnali infiammatori delle chemiotassine e delle citochine.

Gli stessi segnali chimici stimolano l’immissione in circolo di cellule mature e quasi mature dal midollo osseo, fornendo un’ul-teriore riserva funzionale. Questi segnali stimolano anche una più rapida maturazione dei granulociti immaturi nel midollo, che for-mano ancora un’altra riserva, e stimolano un aumento di produ-zione cellulare dal midollo a partire dalle cellule staminali; questo è tuttavia un processo più lento.

In gran parte degli stati infiammatori e infettivi la conta dei granulociti nel sangue è aumentata. Tra gli esempi possiamo in-cludere:• Unaumentodellacontadeineutrofili(neutrofilia) è indice d’in-

fiammazione acuta, di solito susseguente a infezioni batteriche.• Unaumentodeglieosinofili(eosinofilia) è associato ad aller-

gie e a infezioni parassitarie.• Un’altacontadilinfociti(linfocitosi) si riscontra nelle infezioni

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IntroduzIone

3 Sangue, emopoiesi e midollo osseo

Il sangue è una sospensione di cellule in un fluido. Viene pompato nei vasi sanguigni attraverso il corpo dal cuore e, come risultato della sua circolazione, il sangue serve come mezzo di trasporto per i gas, i nutrienti, i prodotti di scarto del me-tabolismo, le cellule e gli ormoni.

La componente fluida è nota come plasma ed è tipicamente composta per il 90% di acqua, l’8% di proteine, l’1% di sali inorganici, lo 0,5% di lipidi e lo 0,1% di glucosio; il resto sono componenti minori. Le proteine sono numerose e di diverso tipo, tra cui albumina, fattori della coagulazione sanguigna, anti-proteasi, proteine di trasporto e anticorpi (immunoglo-buline). Complessivamente queste proteine esercitano un effetto di trattenimento dell’acqua, noto come pressione colloido- osmotica, che aiuta a regolare la distribuzione dei fluidi tra il plasma e lo spazio extracellulare, allo scopo di mantenere il fluido all’interno del letto circolatorio.

I componenti del plasma, inclusi ormoni, lipidi, sali minerali, molecole d’acqua e piccole proteine, sono costantemente scambiate con il fluido extracellulare dei tessuti corporei, in accordo alle funzioni di trasporto del sangue. Le proteine e il plasma non possono essere visualizzati in microscopia ottica se non come una colorazione di fondo.

tIpI cellularI del sanGue

Le componenti cellulari del sangue sono:

• Globuli rossi (eritrociti): sono cellule specializzate che contengono il pigmento rosso emoglobina. Garantiscono gran parte del trasporto di ossigeno dai polmoni ai tessuti e gran parte dello scambio di anidride carbonica. Sono cellule incapaci di muoversi autonomamente e assolvono ai loro compiti solo in quanto fatti circolare passivamente all’inter-no dell’albero vascolare. La frazione (in volume) di sangue occupata dagli eritrociti è detta ematocrito ed è compresa tra il 35 e il 50% negli adulti.

• Globuli bianchi (leucociti): costituiscono una parte importante dei meccanismi di difesa innata e del sistema immu-nitario dell’organismo, ma svolgono queste funzioni principalmente nei tessuti; i leucociti nel sangue circolante sono in transito o semplicemente in attesa come riserve.

• Piastrine (trombociti): sono corpuscoli specializzati che si legano e rivestono le pareti vascolari danneggiate, tampo-nano piccole lesioni delle pareti dei vasi e attivano la cascata della coagulazione. Sono essenziali per l’emostasi, il si-stema che limita il sanguinamento.

Nell’adulto tutte queste cellule sono formate nel midollo osseo attraverso un processo noto come emopoiesi o ematopoiesi.

MetodIche IstoloGIche per lo studIo del sanGue e del MIdollo osseo

Oggi la composizione cellulare del sangue è usualmente valutata con specializzati strumenti di laboratorio. La morfologia delle cellule è analizzata al microscopio usando metodi citologici. Un metodo comune è lo striscio di sangue, ottenuto spandendo con un vetrino copri-oggetto una goccia di sangue posta al bordo di un vetrino porta-oggetto, in maniera tale da ottenere un sottile film monocellulare. Questo striscio è quindi essiccato all’aria, il che permette alle cellule di allargar-si come uova fritte, facendo sì che appaiano più grandi e consentendo una chiara visione del citoplasma assottigliato. Gli strisci vengono fissati con alcoli e colorati con metodi simili al Romanowsky, ossia con metodi che impiegano coloranti policromatici contenenti molteplici varianti molecolari così da ottenere sfumature complesse. Questi sono i coloranti mi-gliori per evidenziare la morfologia delle cellule del sangue e del midollo osseo; esempi comuni sono il metodo di Giem-sa e il metodo di Wright. Le caratteristiche distintive di colorazione sono facilmente identificabili e riflettono l’affinità dei diversi organelli cellulari per le differenti componenti del colorante:

• Basofilia (blu scuro): affinità per il colorante basico blu di metilene; questa è una caratteristica del DNA nel nucleo e dell’RNA nel citoplasma, contenuto principalmente nei ribosomi.

• Azzurrofilia (violetto): affinità per coloranti azzurri; questa proprietà è tipica dei lisosomi, uno dei tipi di granuli pre-senti nei leucociti.

• Eosinofilia (rosa/rosso): affinità per il colorante acido eosina, perciò descritta anche come acidofilia.• Neutrofilia (rosa salmone/lilla): affinità per un colorante un tempo ritenuto erroneamente essere a pH neutro; è carat-

teristica dei granuli citoplasmatici specifici dei granulociti neutrofili.

L’esame del midollo osseo emopoietico negli adulti richiede un campionamento prelevato dallo scheletro assiale, general-mente la cresta iliaca della pelvi, costituito da un aspirato midollare o un cilindro osseo. Campioni di aspirato, ma in ge-nere non cilindri ossei, possono essere ottenuti anche dallo sterno. I frammenti di tessuto aspirato sono strisciati e colora-ti come fossero sangue. Le porzioni di tessuto più grandi e i cilindri ossei sono invece esaminati come preparazioni isto-logiche, spesso colorate con ematossilina ed eosina (EE).

uso clinico dei test ematologici

Le analisi di laboratorio delle varie componenti del sangue, inclu-se cellule, sali, proteine varie, ormoni e altro, rappresentano una maniera conveniente (e spesso l’unica maniera) di esaminare varie funzioni dell’organismo. Gli “esami del sangue” hanno un

ruolo importante nella diagnosi e nel trattamento delle malattie. Per esempio, un aumento di enzimi nel sangue, fuoriusciti da cellule muscolari cardiache danneggiate, può diagnosticare un infarto del miocardio.

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Nella circolazione sono normalmente presenti cinque tipi di leucociti, a loro volta classificati in due gruppi:

Granulociti [(o polimorfonucleati); N.d.C.]• Neutrofili • Eosinofili • Basofili Leucociti mononucleati • Linfociti • Monociti

GranulocitiI granulociti sono così chiamati per la presenza di numerosi e caratteristici granuli citoplasmatici. A seconda della colora-zione dei granuli predominanti si distinguono in: neutrofili (lilla), eosinofili (rossi) e basofili (blu). I granulociti hanno un nucleo segmentato in più lobi che assumono forme variabili, da qui il nome alternativo di leucociti polimorfonucleati o polimorfi. Il termine polimorfonucleato è specialmente usato per indicare i neutrofili, poiché essi sono i più comuni tra i granulociti. I granulociti fanno parte delle cellule mieloidi in quanto originano dal midollo.

I granulociti sono componenti importanti delle difese innate contro le infezioni (vedi Cap. 11); tuttavia essi svolgono spesso questo ruolo nei tessuti e non nel sangue. Tutti i leucociti hanno proteine di superficie che si legano a recettori delle cellule endoteliali dei vasi sanguigni (vedi Cap. 8) e, grazie a questo legame, i granulociti aderiscono alle pareti del vaso e migrano all’interno dei tessuti mediante movimenti pseudopodiali. A eccezione degli eosinofili, che migrano nella mucosa intestinale, i granulociti non migrano nei tessuti normalmente ma solo in risposta a segnali chemiotattici e a seguito di cam-biamenti dell’espressione di recettori di superficie delle cellule endoteliali indotti da mediatori dell’infiammazione acuta.

I neutrofili sono dotati di intensa attività fagocitaria. Essi inglobano e uccidono i microrganismi e ingeriscono detriti cellulari e materiale particolato; rilasciano quindi vari importanti segnali pro-infiammatori e regolatori che contribuiscono globalmente al processo infiammatorio. I granulociti hanno una vita breve ed esauriscono la loro funzione in un solo ciclo difensivo; una volta lasciata la circolazione, muoiono nei tessuti e non ritornano nel circolo sanguigno.

linfociti e monocitiI linfociti e i monociti hanno nuclei non lobulati e furono quindi inizialmente descritti come leucociti mononucleati per distinguerli dai polimorfonucleati.

I linfociti giocano un ruolo chiave in tutte le risposte immunitarie e facilitano e regolano l’infiammazione. A differenza degli altri leucociti, la loro attività è diretta verso specifici agenti estranei (antigeni), garantendo una risposta adattativa e specifica, sia anticorpale sia cellulo-mediata. Di norma, i linfociti migrano attraverso i tessuti, poi confluiscono nei vasi linfatici e nei linfonodi, e infine ritornano nella circolazione sanguigna fornendo così una sorveglianza contro antigeni esterni. Essi hanno una vita media prolungata e sono capaci di proliferare.

I monociti sono cellule dotate di intensa attività fagocitaria, ingerendo microrganismi, detriti cellulari e materiale par-ticolato. Normalmente migrano in alcuni tipi di tessuto e possono maturare in macrofagi, diventando macrofagi tissutali residenti che hanno una sopravvivenza prolungata. I monociti e le cellule linfoidi producono, secernono ed esprimono recettori per un gran numero di mediatori dell’infiammazione.

conta dei leucociti

I leucociti nel sangue rappresentano una popolazione di riserva a disposizione per intervenire nei tessuti sede di infiammazione. In risposta alla stimolazione da parte di chemiotassine e attraver-so il legame a recettori per i leucociti esposti sulla superficie delle cellule endoteliali (le cellule che rivestono i vasi sanguigni), i leucociti fuoriescono dal torrente circolatorio e prendono parte a processi infiammatori nei tessuti. Ci si potrebbe aspettare che, a seguito di ciò, il loro numero nel sangue diminuisca; tuttavia, un gran numero di granulociti maturi resta a disposizione rima-nendo adeso alla superficie dei piccoli vasi. Essi formano una riserva funzionale che non viene inclusa nella conta dei leucociti circolanti, ma rapidamente mobilizzata dai segnali infiammatori delle chemiotassine e delle citochine.

Gli stessi segnali chimici stimolano l’immissione in circolo di cellule mature e quasi mature dal midollo osseo, fornendo un’ul-teriore riserva funzionale. Questi segnali stimolano anche una più rapida maturazione dei granulociti immaturi nel midollo, che for-mano ancora un’altra riserva, e stimolano un aumento di produ-zione cellulare dal midollo a partire dalle cellule staminali; questo è tuttavia un processo più lento.

In gran parte degli stati infiammatori e infettivi la conta dei granulociti nel sangue è aumentata. Tra gli esempi possiamo in-cludere:• Unaumentodellacontadeineutrofili(neutrofilia) è indice d’in-

fiammazione acuta, di solito susseguente a infezioni batteriche.• Unaumentodeglieosinofili(eosinofilia) è associato ad aller-

gie e a infezioni parassitarie.• Un’altacontadilinfociti(linfocitosi) si riscontra nelle infezioni

virali.

Unadiminuzionetransitoriadeineutrofilinelsangue(neutropenia) può essere causata dalle citochine prodotte nelle prime fasi di un’in-fezionevirale.Unadiminuzionesostenutaneltempodelnumerodicellule della serie bianca (citopenia) implica invece che la richiesta sia più alta della produzione. Ciò può essere dovuto a un aumenta-to consumo oppure a un’insufficiente produzione midollare.

Nel caso di infezioni a sviluppo molto rapido e grave, la conta delle cellule del sangue può diminuire poiché le riserve di granu-lociti vengono esaurite prima che un incremento della loro produ-zione possa rimpiazzarle. In questi casi può accadere che precur-sori granulocitari immaturi, quali cellule a banda, metamielociti e mielociti (Fig. 3.8), vengano mobilizzati e immessi in circolo. Questo è un fenomeno chiamato left shift [ossia, spostamento a sinistra della formula di Arneth. La formula di Arneth esprime la percentuale delle lobature nucleari dei granulociti; in particolare, si usa rappresentarla in un grafico, riportando sull’asse delle ascisse il numero dei lobi e sull’asse delle ordinate la percentuale di cellu-le corrispondenti. Si parla di “deviazione a destra” quando aumen-ta la percentuale dei granulociti con nucleo molto lobato; si tratta in genere di elementi maturi/vecchi, prossimi alla loro eliminazione dal circolo. Si ha deviazione a sinistra quando aumentano i granu-lociti con nucleo poco lobato; questi sono elementi giovani/imma-turi. N.d.C.]. Una bassa conta dei neutrofili (neutropenia) può essere evidenziata nel caso di sepsi grave, specialmente quando si osserva spostamento a sinistra della formula di Arneth.

Patologie maligne e premaligne dei precursori leucocitari possono portare alla circolazione di un gran numero di cellule anomale (leucemia) oppure, a causa di un’interrotta produzione di cellule normali, possono condurre a citopenia.

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principali fattori di crescita emopoietici L’emopoiesi è regolata dai fattori di crescita e dal microambiente midollare. I fattori di crescita, con la possibile eccezione dell’eritropoietina, sono multifunzionali. Un singolo fattore di crescita può influenzare progenitori a diversi stadi di ma-turazione, agire su più di una linea differenziativa e avere azioni diverse, quali la promozione della proliferazione e/o del differenziamento cellulare, la maturazione, l’uscita delle cellule dal midollo e la loro sopravvivenza nei tessuti. Le diverse azioni di un fattore di crescita sono dovute allo stadio di sviluppo della cellula su cui agisce, al grado di differenziamento, alla dotazione di recettori di membrana e alla moltitudine di altri segnali che essa riceve contemporaneamente (Tab. 3.1).

La cellula staminale emopoietica (HSC) è particolarmente sensibile al fattore delle cellule staminali (stem cell factor, SCF), alle angiopoietine e al ligando di Flt-3, mentre le cellule stromali di supporto nel microambiente sono sensibili all’interleuchina 1 (IL-1) e al fattore di necrosi tumorale (tumor necrosis factor, TNF). Oltre a risiedere nelle nicchie mi-dollari, le cellule staminali emopoietiche sono reperibili in piccola quantità nel sangue dove ricircolano periodicamente e attraverso cui si distribuiscono a occupare le diverse nicchie nel midollo osseo. Questo processo può essere stimolato in-direttamente dal fattore stimolante le colonie granulocitarie (G-CSF) che ne favorisce il rilascio in circolo [(un fenomeno noto come mobilizzazione, che è sfruttato in clinica per la raccolta di cellule staminali emopoietiche da donatore per l’uso nei trapianti); N.d.C.]. Le cellule staminali circolanti migrano nei distretti che esprimono il fattore derivato dalle cellule stromali (stromal-derived factor-1, SDF-1), che è un prodotto del microambiente emopoietico.

Altri importanti stimolatori globali dell’emopoiesi sono l’interleuchina 3 (IL-3), il fattore stimolante le colonie granu-locito-monocitarie (GM-CSF) e l’SCF, che agiscono sulla maggioranza delle linee a diversi stadi di maturazione. La trom-bopoietina, prodotta dal rene e dal fegato, è importante per la produzione di megacariociti e piastrine e inoltre promuove le fasi iniziali della produzione di eritrociti. L’eritropoietina, un ormone proteico prodotto principalmente dai reni, pro-muove soprattutto le ultime fasi della maturazione degli eritrociti (a partire dalle CFU-E) e, a maggiori concentrazioni, agisce anche sui progenitori eritroidi. Il G-CSF e il fattore stimolante le colonie monocitarie (M-CSF) agiscono rispettiva-mente sulla linea dei granulociti e dei monociti, mentre l’interleuchina 5 (IL-5) stimola la produzione degli eosinofili.

Le cellule staminali e i diversi tipi di progenitori non sono distinguibili morfologicamente al microscopio. Molte di esse assomigliano a grandi linfociti e sono identificabili solo in base all’espressione di specifiche combinazioni di molecole di superficie (marcatori di superficie cellulare). Le più precoci tra le cellule riconoscibili in uno striscio di midollo osseo sono i blasti, come i mieloblasti, i proeritroblasti, i monoblasti ecc. Questi sono progenitori piuttosto tardivi, vicini a completare la proliferazione e il differenziamento. Una BFU-E impiega circa 7 giorni a originare un gran numero di CFU-E; ogni CFU-E impiega a sua volta circa 7 giorni per diventare una colonia di proeritroblasti riconoscibili morfologicamente e ogni proe-ritroblasto formerà circa 16 eritrociti maturi in 6-7 giorni. Va notato che a un uomo adulto occorrono circa 2,5 miliardi di nuovi eritrociti per kg di peso corporeo al giorno. Molti dei fattori di crescita appena descritti sono ora disponibili [come molecole ricombinanti. N.d.C.] e utilizzati in ambito terapeutico.

trapianto di midollo osseo

Il trapianto di midollo osseo è in realtà un trapianto di cellule staminali emopoietiche con l’obiettivo di generare un nuovo si-stema emopoietico e, attraverso lo sviluppo dei linfociti, anche un nuovo sistema immunitario. Le cellule staminali sono raccolte come aspirati midollari non coagulati da varie sedi intraossee oppure come concentrati di leucociti raccolti dal sangue perife-rico dopo la mobilizzazione delle cellule staminali con sommini-strazione di G-CSF.

Prima di effettuare il trapianto, il sistema emopoietico origi-nale del paziente viene eliminato mediante la somministrazione di farmaci citotossici e radioterapia. Il prelievo di midollo arric-chito di cellule staminali viene quindi trasfuso e le cellule stami-nali si localizzano nel microambiente emopoietico dove prolife-rano e progressivamente rigenerano l’emopoiesi e il sistema immunitario.

Il donatore di cellule staminali per il trapianto può essere un altro individuo (in tal caso si parla di trapianto allogenico) op-pure lo stesso individuo (trapianto autologo). Quando si impie-

BFu unità formanti colonie a rapida crescita cFu unità formanti colonie e eritroide eMeg eritro-megacariocitario eo eosinofilo G granulocitario GM granulocito-monocitario GMeo granulocito-monocitario-eosinofilo M monocita Meg megacariocita

eMopoIesI

L’emopoiesi è il processo mediante il quale si generano le cellule ematiche mature a partire dai rispettivi precursori. Que-sto è un processo che impegna considerevolmente l’organismo, considerando che un uomo adulto produce 1011 (cioè cento miliardi) di granulociti ogni giorno. All’origine di questo processo vi sono le cellule staminali emopoietiche [da cui originano i vari tipi di progenitori e, a loro volta, da questi originano in gran quantità le cellule mature o differenziate. N.d.C.]. Le cellule staminali costituiscono una riserva che dura per tutta la vita dell’individuo poiché la loro popolazione si automantiene (per autorinnovamento) mentre contribuisce alla produzione dei progenitori. [Le cellule staminali sono molto rare nel midollo osseo e sono in maggioranza in uno stato quiescente, che ha la funzione di proteggere il loro ge-noma dai danni dovuti al metabolismo e alla divisione cellulare. N.d.C.]. Una frazione di queste cellule prolifera e origina i progenitori emopoietici, che hanno alta capacità proliferativa e che, inizialmente da multipotenti, diventano progressiva-mente indirizzati (committed) a originare uno dei diversi tipi di cellule mature. [Uno dei meccanismi che garantiscono il mantenimento della popolazione di cellule staminali per tutta la vita dell’individuo è la divisione cellulare asimmetrica, in cui una cellula staminale produce una cellula staminale figlia identica a se stessa e un progenitore multipotente che darà origine alla progenie di cellule mature del sangue. In questo modo la popolazione di cellule staminali non si esaurisce, dando origine ai progenitori. Le cellule staminali possono però anche effettuare divisioni simmetriche, dando origine ciascuna a due cellule staminali e permettendo così l’espansione della popolazione staminale nel corso dell’accrescimento o in caso di aumentata richiesta emopoietica in particolari situazioni. N.d.C.].

Le cellule staminali emopoietiche sono generalmente studiate usando modelli di trapianto in animali, mentre i proge-nitori possono essere studiati con metodiche di coltura in laboratorio a breve e a lungo termine. Molti dei progenitori identificati sono stati denominati unità o cellule formanti colonie (colony-forming unit o colony-forming cell, CFU o CFC) oppure unità formanti colonie a rapida crescita (burst forming unit, BFU) e le molecole che stimolano questi processi sono chiamate fattori stimolanti le colonie (colony stimulating factors, CSF), riferendosi a questo tipo di saggio sperimentale. Altri fattori di regolazione dell’emopoiesi sono denominati interleuchine, citochine o fattori di crescita, a seconda dei metodi che hanno portato alla loro identificazione.

Le cellule staminali emopoietiche, i progenitori e gli elementi terminalmente differenziati dipendono tutti per la loro crescita, proliferazione e differenziamento da un microambiente complesso. Questo microambiente [(o nicchia); N.d.C.] è determinato da contatti tra tipi cellulari diversi, dalla segnalazione molecolare che passa attraverso tali interazioni e dalla secrezione locale di fattori di crescita. I rapporti tra cellule staminali e microambiente sono stati spesso descritti utilizzando l’analogia del seme (la cellula staminale) che cresce nel suolo (il microambiente).

Eosinofili

Mieloblasti

CFU-Eo

Basofili

Mieloblasti

Neutrofili

Mieloblasti

CFU-G

Globuli rossi

Eritroblasto

CFU-E

Piastrine

Megacariocita

Megacarioblasto

CFU-Meg

Macrofagi

Monociti

Monoblasti

CFU-M

Cellule staminali emopoietiche

BFU-EMeg

BFU-Meg

Progenitorilinfoidi comuni

CFU-GMEo

BFU-E

Mastociti

CelluleNK

LinfocitiB

LinfocitiT

CFU-GM

Progenitori mieloidi comuni

Progenitori staminali multipotenti

FIG. 3.1 cellule staminali emopoietiche e progenitori

Il disegno mostra la relazione tra cellule staminali e alcuni tipi di progenitori identificati nel processo dell’emopoiesi. Progeni-tori staminali multipotenti (multipotent progenitors, MPP) danno origine alle cellule staminali emopoietiche (haematopoie-tic stem cells, HSC), che a loro volta si indirizzano verso la linea linfoide o mieloide, originando rispettivamente i progenitori linfoidi comuni (common lymphoid precursors, CLP) e i proge-nitori mieloidi comuni (common myeloid precursors ‒ CMP ‒ o progenitori eritro-megacariocito/monocito-granulocitari, CFU-GEMM). Da questi ultimi origina una gerarchia di progenitori con progressiva segregazione del potenziale differenziativo ver-

so le diverse linee maturative, passando dai progenitori bipoten-ti eritro-megacariocitari (BFU-EMeg o MEP) e combinati granu-locito-monocitari ed eosinofili (CFU-GMEo o GMP) e arrivando ai progenitori unipotenti per ciascuna linea differenziativa. I progenitori multi- e bipotenti producono una ricca progenie di cellule (centinaia di migliaia di cellule), mentre quelli unipotenti (CFU) danno origine a una progenie di 20-50 cellule. Ogni blasto riconoscibile in uno striscio di midollo osseo produce una media di 16 cellule differenziate.

La linea di derivazione dei mastociti non è chiara, ma si pensa che origini precocemente da un progenitore mieloide multipotente.

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idollo osseoprincipali fattori di crescita emopoietici L’emopoiesi è regolata dai fattori di crescita e dal microambiente midollare. I fattori di crescita, con la possibile eccezione dell’eritropoietina, sono multifunzionali. Un singolo fattore di crescita può influenzare progenitori a diversi stadi di ma-turazione, agire su più di una linea differenziativa e avere azioni diverse, quali la promozione della proliferazione e/o del differenziamento cellulare, la maturazione, l’uscita delle cellule dal midollo e la loro sopravvivenza nei tessuti. Le diverse azioni di un fattore di crescita sono dovute allo stadio di sviluppo della cellula su cui agisce, al grado di differenziamento, alla dotazione di recettori di membrana e alla moltitudine di altri segnali che essa riceve contemporaneamente (Tab. 3.1).

La cellula staminale emopoietica (HSC) è particolarmente sensibile al fattore delle cellule staminali (stem cell factor, SCF), alle angiopoietine e al ligando di Flt-3, mentre le cellule stromali di supporto nel microambiente sono sensibili all’interleuchina 1 (IL-1) e al fattore di necrosi tumorale (tumor necrosis factor, TNF). Oltre a risiedere nelle nicchie mi-dollari, le cellule staminali emopoietiche sono reperibili in piccola quantità nel sangue dove ricircolano periodicamente e attraverso cui si distribuiscono a occupare le diverse nicchie nel midollo osseo. Questo processo può essere stimolato in-direttamente dal fattore stimolante le colonie granulocitarie (G-CSF) che ne favorisce il rilascio in circolo [(un fenomeno noto come mobilizzazione, che è sfruttato in clinica per la raccolta di cellule staminali emopoietiche da donatore per l’uso nei trapianti); N.d.C.]. Le cellule staminali circolanti migrano nei distretti che esprimono il fattore derivato dalle cellule stromali (stromal-derived factor-1, SDF-1), che è un prodotto del microambiente emopoietico.

Altri importanti stimolatori globali dell’emopoiesi sono l’interleuchina 3 (IL-3), il fattore stimolante le colonie granu-locito-monocitarie (GM-CSF) e l’SCF, che agiscono sulla maggioranza delle linee a diversi stadi di maturazione. La trom-bopoietina, prodotta dal rene e dal fegato, è importante per la produzione di megacariociti e piastrine e inoltre promuove le fasi iniziali della produzione di eritrociti. L’eritropoietina, un ormone proteico prodotto principalmente dai reni, pro-muove soprattutto le ultime fasi della maturazione degli eritrociti (a partire dalle CFU-E) e, a maggiori concentrazioni, agisce anche sui progenitori eritroidi. Il G-CSF e il fattore stimolante le colonie monocitarie (M-CSF) agiscono rispettiva-mente sulla linea dei granulociti e dei monociti, mentre l’interleuchina 5 (IL-5) stimola la produzione degli eosinofili.

Le cellule staminali e i diversi tipi di progenitori non sono distinguibili morfologicamente al microscopio. Molte di esse assomigliano a grandi linfociti e sono identificabili solo in base all’espressione di specifiche combinazioni di molecole di superficie (marcatori di superficie cellulare). Le più precoci tra le cellule riconoscibili in uno striscio di midollo osseo sono i blasti, come i mieloblasti, i proeritroblasti, i monoblasti ecc. Questi sono progenitori piuttosto tardivi, vicini a completare la proliferazione e il differenziamento. Una BFU-E impiega circa 7 giorni a originare un gran numero di CFU-E; ogni CFU-E impiega a sua volta circa 7 giorni per diventare una colonia di proeritroblasti riconoscibili morfologicamente e ogni proe-ritroblasto formerà circa 16 eritrociti maturi in 6-7 giorni. Va notato che a un uomo adulto occorrono circa 2,5 miliardi di nuovi eritrociti per kg di peso corporeo al giorno. Molti dei fattori di crescita appena descritti sono ora disponibili [come molecole ricombinanti. N.d.C.] e utilizzati in ambito terapeutico.

trapianto di midollo osseo

Il trapianto di midollo osseo è in realtà un trapianto di cellule staminali emopoietiche con l’obiettivo di generare un nuovo si-stema emopoietico e, attraverso lo sviluppo dei linfociti, anche un nuovo sistema immunitario. Le cellule staminali sono raccolte come aspirati midollari non coagulati da varie sedi intraossee oppure come concentrati di leucociti raccolti dal sangue perife-rico dopo la mobilizzazione delle cellule staminali con sommini-strazione di G-CSF.

Prima di effettuare il trapianto, il sistema emopoietico origi-nale del paziente viene eliminato mediante la somministrazione di farmaci citotossici e radioterapia. Il prelievo di midollo arric-chito di cellule staminali viene quindi trasfuso e le cellule stami-nali si localizzano nel microambiente emopoietico dove prolife-rano e progressivamente rigenerano l’emopoiesi e il sistema immunitario.

Il donatore di cellule staminali per il trapianto può essere un altro individuo (in tal caso si parla di trapianto allogenico) op-pure lo stesso individuo (trapianto autologo). Quando si impie-

ga un trapianto allogenico è importante verificare la compatibilità HLA per minimizzare il rischio di reazione del trapianto verso l’ospite (graft versus host disease, GVDH), una grave compli-cazione in cui le cellule immunitarie mature del donatore ricono-scono il paziente come non-self e lo attaccano.

Il trapianto di midollo osseo è impiegato per il trattamento di gravi deficit del sistema immunitario o emopoietico, come le immunodeficienze primarie e alcune emoglobinopatie. Tra le altre condizioni citiamo l’anemia aplastica, un deficit acquisito dell’e-mopoiesi, e le leucemie. Il trapianto di midollo osseo è impiega-to nelle leucemie poiché la somministrazione di chemioterapia ad alte dosi non elimina soltanto le cellule leucemiche, ma anche le cellule staminali sane del paziente. In alcuni di questi casi può essere impiegato il trapianto autologo, raccogliendo dal paziente le cellule staminali prima della somministrazione della chemiote-rapia e infondendole subito dopo, così da consentire la soprav-vivenza a una dose elevata di farmaci mielotossici e permettere di somministrare una terapia antitumorale più efficace.

taBella 3.1 Principali fattori emopoietici

Fattore sigla cellule bersaglio e azione biologica

Fattore delle cellule staminali SCF Agisce sulle cellule staminali e su molti dei progenitori

Fattore stimolante le colonie granulocito-monocitarie GM-CSF Agisce sulla maggior parte delle linee mieloidi

Interleuchina 3 IL-3 Agisce sulla maggior parte delle linee cellulari

Interleuchina 11 IL-11 Generazione dei megacariociti

Interleuchina 5 IL-5 Generazione degli eosinofili

Fattore stimolante le colonie granulocitarie G-CSF Generazione dei granulociti

Fattore stimolante le colonie monocitarie M-CSF Generazione dei monociti

Trombopoietina TPO Generazione dei megacariociti ed eritropoiesi

Eritropoietina EPO Eritropoiesi

so le diverse linee maturative, passando dai progenitori bipoten-ti eritro-megacariocitari (BFU-EMeg o MEP) e combinati granu-locito-monocitari ed eosinofili (CFU-GMEo o GMP) e arrivando ai progenitori unipotenti per ciascuna linea differenziativa. I progenitori multi- e bipotenti producono una ricca progenie di cellule (centinaia di migliaia di cellule), mentre quelli unipotenti (CFU) danno origine a una progenie di 20-50 cellule. Ogni blasto riconoscibile in uno striscio di midollo osseo produce una media di 16 cellule differenziate.

La linea di derivazione dei mastociti non è chiara, ma si pensa che origini precocemente da un progenitore mieloide multipotente.

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anemia

L’anemia è una riduzione dell’emoglobina presente nel sangue al di sotto dei livelli di normalità. Una ridotta produzione diemoglobina (e quindi di eritrociti) da parte del midollo può av-venire a causa di una carenza di nutrienti essenziali, quali ferro, vitamina B12, vitamina B9 (acido folico); oppure, a causa di un’in-sufficienza midollare primaria, nota anche come anemia apla-

FIG. 3.4 eritropoiesi (a)-(e) Giemsa (HP)

Queste immagini di uno striscio di sangue midollare illustrano i vari stadi dell’eritropoiesi [nell’aspirato midollare usato per gli strisci si trovano sia le cellule ai diversi stadi di differenziamento contenute nei cordoni midollari sia le cellule mature contenute nel sangue dei sinu-soidi. N.d.C.]. Questo processo differenziativo prevede:

• Una progressiva riduzione delle dimensioni del citoplasma e del suo contenuto di organelli, ottenuta attraverso divisioni cellulari che riducono progressivamente il contenuto citoplasmatico nelle prime fasi del processo.

• L’inattivazione e l’estrusione del nucleo.• La progressiva sintesi di emoglobina da parte dei ribosomi e il suo

accumulo.

Il proeritroblasto, mostrato nell’immagine (a), è il primo precursore eri-troide riconoscibile; si tratta di una cellula di dimensioni relativamente grandi con cromatina fine e granulare, contenente uno o più nucleoli chiari. Il citoplasma poco strutturato è spiccatamente basofilo a causa del suo alto contenuto in RNA e ribosomi. Una sottile zona di citoplasma più chiaro presente vicino al nucleo corrisponde all’apparato di Golgi.

I proeritroblasti si dividono e si differenziano, producendo cellule più piccole chiamate eritroblasti basofili o normoblasti precoci, mostra-ti nella fotografia (b). Si tratta di cellule di piccole dimensioni dove sono talvolta visibili addensamenti della cromatina.

Nello stadio successivo di differenziamento si formano gli eritrobla-sti policromatici (o normoblasti intermedi). In queste cellule il citopla-sma sviluppa una colorazione grigiastra dovuta all’aumento dell’emoglo-bina. Dal momento che sussiste una commistione di basofilia ed eosino-filia, il termine impiegato per descrivere questo aspetto è policromasia. La cromatina nucleare diviene sempre più condensata. Queste cellule non sono più capaci di ulteriori divisioni mitotiche. L’immagine (c) mostra eritroblasti policromatici in uno stadio precoce, mentre l’immagine (d) mostra eritroblasti policromatici in uno stadio avanzato di maturazione.

L’ultima forma ancora nucleata, mostrata in figura (e), è l’eritrobla-sto ortocromatico (o normoblasto tardivo). Il suo citoplasma è ricco in emoglobina ma contiene ancora ribosomi che mantengono la sintesi di emogloblina. Gli organelli citoplasmatici sono degenerati. La cromatina nucleare e il nucleo diventano estremamente condensati fino ad arriva-re all’estrusione del nucleo. Il risultato è una cellula eritroide anucleata, il reticolocita (Fig. 3.5).

Il processo di condensazione ed estrusione del nucleo può essere incompleto, lasciando piccoli residui sferoidali di nucleo condensato nell’eritrocita. Questi sono noti come corpi di Howell-Jolly e sono nor-malmente asportati dall’eritrocita con la porzione di citoplasma e di membrana circostante dai macrofagi splenici e quindi non sono identi-ficabili nel sangue. Tuttavia, in individui che abbiano subito una sple-nectomia è normale trovare nello striscio di sangue alcuni eritrociti contenenti corpi di Howell-Jolly.

Gli eritrociti condividono un progenitore comune con i megacariociti. Il fattore di crescita che stimola la proliferazione e il differenziamento del progenitore verso la produzione di globuli rossi è l’eritropoietina, pro-dotta principalmente dai reni, ma nelle prime fasi del processo parteci-pano a questo processo anche la trombopoietina e alcune interleuchine.

Nell’architettura del midollo (e all’osservazione di una sua sezione istologica), i precursori eritroidi sono raggruppati in piccoli gruppi sparsi, detti isole eritroblastiche. Ognuna di esse è organizzata attorno a un macrofago che presenta lunghi processi citoplasmatici e invagina-zioni della membrana cellulare che accolgono i precursori. I precursori migrano lungo i processi citoplasmatici mentre maturano, raggiungen-do così l’endotelio dei sinusoidi attraverso cui entrano nella circolazio-ne. Questi macrofagi supportano il differenziamento attraverso contat-ti cellula-cellula e trasduzione di segnali intracellulari, e controllano il rilascio degli eritrociti maturi nel sangue sinusoidale.

Ogni proeritroblasto in genere dà origine a 16 eritrociti in un tempo che varia tra 5 e 7 giorni. In ognuna delle fotografie degli strisci, si vedono numerosi eritrociti maturi, caratterizzati dall’assenza di nuclei e spesso da una zona più pallida al centro, dovuta alla forma biconcava della cellula.

a

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Ap

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b

FIG. 3.2 emopoiesi nel fegato e nel midollo osseo (a) EE (MP) (b) EE (LP)

L’emopoiesi inizia nelle prime fasi della vita intrauterina in una sede extraembrionaria, ossia nel mesoderma del sacco vitellino (emopoiesi primitiva) [e viene poi sostituita da quella definitiva, quando le prime cellule staminali emopoietiche originano dall’en-dotelio emogenico dell’aorta nella regione AGM (aorta-gonadi-me-sonefro). N.d.C.]. Le cellule derivate dalla regione AGM si stabili-scono poi nei sinusoidi epatici, che sono gli spazi vascolari tra gli epatociti Ep nell’immagine (a), dove si distinguono numerose cellule emopoietiche colorate di scuro. Dal terzo al settimo mese di gestazione, questo è il principale sito di emopoiesi. Con lo svilup-po degli abbozzi delle ossa, l’emopoiesi si instaura negli spazi tra

le trabecole ossee T di ogni osso. Alla nascita, le ossa forniscono lo spazio sufficiente per accogliere tutto il tessuto emopoietico, po-nendo così fine all’emopoiesi extramidollare. Durante la crescita del bambino, gli spazi midollari si espandono velocemente e così, progressivamente, il midollo viene occupato da adipociti Ap. Il midollo emopoietico è macroscopicamente di colore rosso, mentre il midollo in cui dominano gli adipociti è giallo. Nell’adulto, gran parte del midollo delle ossa degli arti è giallo, mentre quello dello scheletro assiale resta rosso ed emopoietico, anche se il 30-60% del suo volume è occupato da adipociti. L’immagine (b) mostra un midollo vertebrale adulto con un moderato numero di adipociti.

E

E

S

S

Ap

Ap

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FIG. 3.3 sinusoidi del midollo osseo EE (HP)

Il midollo osseo ha un’impalcatura di sinusoidi vascolari rivestiti da cellule endoteliali E e spazi chiamati cordoni midollari, sup-portati da una rete di fibroblasti con lunghi e ramificati processi citoplasmatici (detti cellule reticolari) e fibre di reticolina (formate da collagene di tipo III). I macrofagi sono numerosi e anch’essi possono presentare processi cellulari ramificati. Gli adipociti Ap e le plasmacellule sono presenti in numero significativo. Il risultato è un microambiente che supporta l’emopoiesi, e infatti i cordoni midollari sono ricchi di cellule. I megacariociti Mk sono situati in

prossimità dei sinusoidi S, cosicché i loro processi citoplasmatici (propiastrine) possano rilasciare questi corpuscoli direttamente in circolo. Anche le isole eritroblastiche si trovano in prossimità dei sinusoidi, dove i precursori eritroidi aderiscono ai lunghi processi citoplasmatici dei macrofagi che direzionano gli eritrociti verso i sinusoidi e ne regolano l’immissione in circolo. I precursori mie-loidi tendono a essere localizzati lontano dai sinusoidi, ma, poiché granulociti e monociti sono dotati di motilità, una volta mature, queste cellule possono migrare nei sinusoidi.

ap adipocita e nucleo di una cellula endoteliale ep epatocita Mk megacariocita s sinusoide t trabecola ossea

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anemia

L’anemia è una riduzione dell’emoglobina presente nel sangue al di sotto dei livelli di normalità. Una ridotta produzione diemoglobina (e quindi di eritrociti) da parte del midollo può av-venire a causa di una carenza di nutrienti essenziali, quali ferro, vitamina B12, vitamina B9 (acido folico); oppure, a causa di un’in-sufficienza midollare primaria, nota anche come anemia apla-

stica; oppure a causa di anomalie genetiche nel sistema di produzione degli eritrociti (per esempio, la talassemia). In altri tipi di anemie, gli eritrociti normalmente prodotti possono esse-re distrutti (anemia emolitica) a causa di diversi meccanismi, in genere mediati da autoanticorpi, oppure possono essere persi a causa di emorragie.

a

b

c

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e

FIG. 3.4 eritropoiesi (a)-(e) Giemsa (HP)

Queste immagini di uno striscio di sangue midollare illustrano i vari stadi dell’eritropoiesi [nell’aspirato midollare usato per gli strisci si trovano sia le cellule ai diversi stadi di differenziamento contenute nei cordoni midollari sia le cellule mature contenute nel sangue dei sinu-soidi. N.d.C.]. Questo processo differenziativo prevede:

• Una progressiva riduzione delle dimensioni del citoplasma e del suo contenuto di organelli, ottenuta attraverso divisioni cellulari che riducono progressivamente il contenuto citoplasmatico nelle prime fasi del processo.

• L’inattivazione e l’estrusione del nucleo.• La progressiva sintesi di emoglobina da parte dei ribosomi e il suo

accumulo.

Il proeritroblasto, mostrato nell’immagine (a), è il primo precursore eri-troide riconoscibile; si tratta di una cellula di dimensioni relativamente grandi con cromatina fine e granulare, contenente uno o più nucleoli chiari. Il citoplasma poco strutturato è spiccatamente basofilo a causa del suo alto contenuto in RNA e ribosomi. Una sottile zona di citoplasma più chiaro presente vicino al nucleo corrisponde all’apparato di Golgi.

I proeritroblasti si dividono e si differenziano, producendo cellule più piccole chiamate eritroblasti basofili o normoblasti precoci, mostra-ti nella fotografia (b). Si tratta di cellule di piccole dimensioni dove sono talvolta visibili addensamenti della cromatina.

Nello stadio successivo di differenziamento si formano gli eritrobla-sti policromatici (o normoblasti intermedi). In queste cellule il citopla-sma sviluppa una colorazione grigiastra dovuta all’aumento dell’emoglo-bina. Dal momento che sussiste una commistione di basofilia ed eosino-filia, il termine impiegato per descrivere questo aspetto è policromasia. La cromatina nucleare diviene sempre più condensata. Queste cellule non sono più capaci di ulteriori divisioni mitotiche. L’immagine (c) mostra eritroblasti policromatici in uno stadio precoce, mentre l’immagine (d) mostra eritroblasti policromatici in uno stadio avanzato di maturazione.

L’ultima forma ancora nucleata, mostrata in figura (e), è l’eritrobla-sto ortocromatico (o normoblasto tardivo). Il suo citoplasma è ricco in emoglobina ma contiene ancora ribosomi che mantengono la sintesi di emogloblina. Gli organelli citoplasmatici sono degenerati. La cromatina nucleare e il nucleo diventano estremamente condensati fino ad arriva-re all’estrusione del nucleo. Il risultato è una cellula eritroide anucleata, il reticolocita (Fig. 3.5).

Il processo di condensazione ed estrusione del nucleo può essere incompleto, lasciando piccoli residui sferoidali di nucleo condensato nell’eritrocita. Questi sono noti come corpi di Howell-Jolly e sono nor-malmente asportati dall’eritrocita con la porzione di citoplasma e di membrana circostante dai macrofagi splenici e quindi non sono identi-ficabili nel sangue. Tuttavia, in individui che abbiano subito una sple-nectomia è normale trovare nello striscio di sangue alcuni eritrociti contenenti corpi di Howell-Jolly.

Gli eritrociti condividono un progenitore comune con i megacariociti. Il fattore di crescita che stimola la proliferazione e il differenziamento del progenitore verso la produzione di globuli rossi è l’eritropoietina, pro-dotta principalmente dai reni, ma nelle prime fasi del processo parteci-pano a questo processo anche la trombopoietina e alcune interleuchine.

Nell’architettura del midollo (e all’osservazione di una sua sezione istologica), i precursori eritroidi sono raggruppati in piccoli gruppi sparsi, detti isole eritroblastiche. Ognuna di esse è organizzata attorno a un macrofago che presenta lunghi processi citoplasmatici e invagina-zioni della membrana cellulare che accolgono i precursori. I precursori migrano lungo i processi citoplasmatici mentre maturano, raggiungen-do così l’endotelio dei sinusoidi attraverso cui entrano nella circolazio-ne. Questi macrofagi supportano il differenziamento attraverso contat-ti cellula-cellula e trasduzione di segnali intracellulari, e controllano il rilascio degli eritrociti maturi nel sangue sinusoidale.

Ogni proeritroblasto in genere dà origine a 16 eritrociti in un tempo che varia tra 5 e 7 giorni. In ognuna delle fotografie degli strisci, si vedono numerosi eritrociti maturi, caratterizzati dall’assenza di nuclei e spesso da una zona più pallida al centro, dovuta alla forma biconcava della cellula.

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FIG. 3.7 eritrociti (a) Giemsa (HP) (b) ME a scansione ×2400

(c) ME ×6000 (d) EE (HP)

L’eritrocita è una cellula altamente specializzata per la sua prin-cipale funzione di trasporto dell’ossigeno e dell’anidride carbo-nica. Esso consiste semplicemente in una membrana citoplasma-tica supportata da un citoscheletro proteico e contenente un’ele-vata concentrazione di molecole di emoglobina e un numero limitato di enzimi per il mantenimento cellulare. L’emoglobina è una proteina contenente ferro che lega e rilascia l’ossigeno e ga-rantisce la maggior parte del trasporto di ossigeno nel sangue. [L’emoglobina contenuta nell’eritrocita è in soluzione semisatura al 30%. Nei casi di diminuita solubilità dell’emoglobina (come nel caso dell’anemia falciforme, causata da una mutazione della ca-tena β dell’emoglobina), questa si aggrega e l’eritrocita perde flessibilità e si deforma. N.d.C.].

La fotografia (a) mostra il caratteristico aspetto degli eritroci-ti in uno striscio di sangue periferico. La colorazione più chiara della regione centrale è dovuta alla forma a disco biconcavo, meglio visibile in microscopia elettronica a scansione nell’imma-gine (b). La forma a disco biconcavo garantisce una superficie del 20-30% maggiore rispetto a una cellula sferica dello stesso volu-me, facilitando così gli scambi gassosi. Questa forma, assieme alla flessibilità del citoscheletro (Fig. 3.6), consente all’eritrocita di deformarsi facilmente. Infatti, gli eritrociti che hanno un diametro medio di 7,2 µm sono capaci di comprimersi e attraversare capil-lari di diametro di 3-4 µm. La forma a disco biconcavo è determi-nata non soltanto dal citoscheletro, ma anche dal contenuto di elettroliti e acqua e dalla composizione lipidica della membrana.

L’immagine in microscopia elettronica a trasmissione (c) mo-stra gli eritrociti in un capillare. La classica forma a manubrio FM è visibile quando il piano della sezione attraversa la sottile zona centrale al centro della cellula. Si notino l’assenza di organelli interni e l’alta densità agli elettroni dovuta agli atomi di ferro contenuti nell’emoglobina. Nell’immagine è anche visibile una piastrina P.

Gli eritrociti hanno un’alta affinità per l’eosina e appaiono in-tensamente colorati di arancio-rosso nelle immagini di tessuti in EE, come nella fotografia (d). Negli strisci di sangue la colorazione varia con il tipo di colorante di Romanowsky impiegato, ma è generalmente rosso-brunastro, come in figura (a), oppure grigio.

Il trasporto di ossigeno da parte dell’emoglobina non è dipen-dente dal metabolismo dell’eritrocita; gli eritrociti, tuttavia, usano energia per mantenere i gradienti di elettroliti attraverso la mem-brana plasmatica, [contrastare la pressione osmotica dovuta all’al-to contenuto proteico. N.d.C.] e proteggersi dal danno ossidativo. L’energia richiesta per questi processi deriva dal metabolismo ana-erobico del glucosio, in quanto essi non posseggono mitocondri.

l’esame del sangue aiuta a determinare le cause di anemia

Nei casi di carenza di ferro, la produzione di emoglobina è difet-tosa e gli eritrociti prodotti sono di piccola dimensione. Gli eri-trociti con questo aspetto sono descritti come ipocromici e microcitici, il che significa, rispettivamente, che hanno una scar-sa colorazione e una piccola dimensione delle cellule.

Le vitamine B12 e B9 (acido folico) sono necessarie per la maturazione e la divisione nucleare. Nel caso di un deficit di queste vitamine, la maturazione del nucleo e le divisioni cellulari

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FIG. 3.5 reticolociti (a) Blu di cresile/Eosina (HP) (b) ME ×16.000

I reticolociti sono globuli rossi immaturi e corrispondono allo stadio in cui vengono rilasciati dal midollo osseo. Essi contengono ancora alcuni mitocondri, ribosomi ed elementi di Golgi e conti-nuano a sintetizzare emoglobina. La tappa finale di maturazione a eritrociti avviene circa 48 ore dopo il rilascio. Il tasso di rilascio dei reticolociti nella circolazione, in genere, eguaglia il tasso di rimozione degli eritrociti senescenti da parte della milza e del fegato. Dal momento che la vita media degli eritrociti circolanti è di circa 120 giorni, i reticolociti costituiscono poco meno dell’1% degli eritrociti circolanti [il che garantisce il ricambio di quel poco meno di 1% di cellule ormai senescenti che ogni giorno viene ri-mosso. N.d.C.]. I reticolociti sono leggermente più grandi degli eritrociti maturi e la loro colorazione è debolmente basofila a causa della presenza residuale di ribosomi e RNA. Un aumento dei reticolociti può essere sospettato all’esame di uno striscio di sangue in base a un’aumentata e variabile basofilia delle cellule, un fenomeno chiamato policromasia (molti colori). Un’identifica-zione e conta affidabile dei reticolociti richiede però tecniche spe-cifiche, quali una colorazione sopravitale, mostrata nell’immagine (a). Un campione di sangue fresco viene incubato con un coloran-

te basico, il blu di cresile, che produce un precipitato reticolare R di colorazione blu, dovuto all’interazione del colorante con l’RNA dei poliribosomi. L’identificazione e la conta dei reticolociti a uso diagnostico vengono oggi fatte con metodi automatici come la citometria a flusso.

L’immagine (b) mostra l’organizzazione ultrastrutturale di un reticolocita e parte di un eritrocita maturo adiacente E, come paragone. La densità del citoplasma del reticolocita è complessi-vamente minore, dovuta a una più bassa concentrazione di emo-globina. Sono ancora visibili ribosomi sparsi, accanto ad alcuni mitocondri M, occasionali mitocondri in degenerazione D e un piccolo residuo dell’apparato di Golgi G.

Quando si verifica una massiva perdita di eritrociti, per esem-pio a seguito di emorragia o emolisi, il tasso di produzione di eritrociti da parte del midollo aumenta e la proporzione di reti-colociti nel sangue circolante si eleva (reticolocitosi). Dal punto di vista clinico, una conta di reticolociti elevata indica un midol-lo funzionale, mentre una conta bassa può indicare una produ-zione insufficiente o compromessa. È utile considerare questo parametro quando si valuta uno stato di anemia.

Complesso 4.1Il perno Antigeni

che determinanoil gruppo sanguigno

Il complesso dell’anchirinaIl supporto per i raggi

Giunzionispectrina-spectrina

Actina, tropomiosina

Dimeri di spectrinaI raggi

Anchirina

FIG. 3.6 citoscheletro dell’eritrocita

La membrana citoplasmatica dell’eritrocita è composta da un doppio foglietto lipidico stabilizzato dalla presenza di numerose proteine. Gli elementi caratterizzanti i diversi gruppi sanguigni sono carboidrati e antigeni proteici presenti sulla superficie. La spectrina è un grande dimero proteico con proprietà elastiche, che forma una rete a forma di cupola geodetica subito al di sotto della membrana plasmatica. Le molecole di spectrina si dispon-gono a raggiera a partire da un centro ancorato alla membrana e contenente, tra le altre, la proteina 4.1, l’actina e la tropomiosina. Ogni raggio di questa struttura è ulteriormente supportato per tutta la sua lunghezza da un secondo complesso proteico conte-nente anchirina. All’estremità più distale, i raggi di spectrina formano legami non covalenti spectrina-spectrina. Quando la membrana dell’eritrocita si piega, le molecole di spectrina si al-lungano. Quando la deformazione diventa estrema, le giunzioni dimeriche spectrina-spectrina si separano, consentendo al centro e ai raggi di separarsi e riarrangiarsi, così da riassestare dinami-camente il citoscheletro. L’actina fa parte di un segmento contrat-tile, che probabilmente applica tensione alla spectrina.

d mitocondrio in degenerazione e eritrocita maturo FM eritrocita con forma a manubrio G residui dell’apparato di Golgi M mitocondrio p piastrina r precipitato reticolare in reticolocita

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FIG. 3.7 eritrociti (a) Giemsa (HP) (b) ME a scansione ×2400

(c) ME ×6000 (d) EE (HP)

L’eritrocita è una cellula altamente specializzata per la sua prin-cipale funzione di trasporto dell’ossigeno e dell’anidride carbo-nica. Esso consiste semplicemente in una membrana citoplasma-tica supportata da un citoscheletro proteico e contenente un’ele-vata concentrazione di molecole di emoglobina e un numero limitato di enzimi per il mantenimento cellulare. L’emoglobina è una proteina contenente ferro che lega e rilascia l’ossigeno e ga-rantisce la maggior parte del trasporto di ossigeno nel sangue. [L’emoglobina contenuta nell’eritrocita è in soluzione semisatura al 30%. Nei casi di diminuita solubilità dell’emoglobina (come nel caso dell’anemia falciforme, causata da una mutazione della ca-tena β dell’emoglobina), questa si aggrega e l’eritrocita perde flessibilità e si deforma. N.d.C.].

La fotografia (a) mostra il caratteristico aspetto degli eritroci-ti in uno striscio di sangue periferico. La colorazione più chiara della regione centrale è dovuta alla forma a disco biconcavo, meglio visibile in microscopia elettronica a scansione nell’imma-gine (b). La forma a disco biconcavo garantisce una superficie del 20-30% maggiore rispetto a una cellula sferica dello stesso volu-me, facilitando così gli scambi gassosi. Questa forma, assieme alla flessibilità del citoscheletro (Fig. 3.6), consente all’eritrocita di deformarsi facilmente. Infatti, gli eritrociti che hanno un diametro medio di 7,2 µm sono capaci di comprimersi e attraversare capil-lari di diametro di 3-4 µm. La forma a disco biconcavo è determi-nata non soltanto dal citoscheletro, ma anche dal contenuto di elettroliti e acqua e dalla composizione lipidica della membrana.

L’immagine in microscopia elettronica a trasmissione (c) mo-stra gli eritrociti in un capillare. La classica forma a manubrio FM è visibile quando il piano della sezione attraversa la sottile zona centrale al centro della cellula. Si notino l’assenza di organelli interni e l’alta densità agli elettroni dovuta agli atomi di ferro contenuti nell’emoglobina. Nell’immagine è anche visibile una piastrina P.

Gli eritrociti hanno un’alta affinità per l’eosina e appaiono in-tensamente colorati di arancio-rosso nelle immagini di tessuti in EE, come nella fotografia (d). Negli strisci di sangue la colorazione varia con il tipo di colorante di Romanowsky impiegato, ma è generalmente rosso-brunastro, come in figura (a), oppure grigio.

Il trasporto di ossigeno da parte dell’emoglobina non è dipen-dente dal metabolismo dell’eritrocita; gli eritrociti, tuttavia, usano energia per mantenere i gradienti di elettroliti attraverso la mem-brana plasmatica, [contrastare la pressione osmotica dovuta all’al-to contenuto proteico. N.d.C.] e proteggersi dal danno ossidativo. L’energia richiesta per questi processi deriva dal metabolismo ana-erobico del glucosio, in quanto essi non posseggono mitocondri.

La vita media di un eritrocita è di 120 giorni. Essendo privi di organelli, gli eritrociti non sono in grado di ricambiare enzimi e proteine di membrana deteriorate né di riparare i danni. Allo stesso tempo, il metabolismo anaerobico garantisce all’eritrocita una vita media relativamente lunga, poiché riduce la produzione di radicali ossidanti che danneggiano i componenti cellulari. Gli eritrociti deformati in modo irreversibile e quelli con un citosche-letro che abbia perso flessibilità vengono rimossi dalla circolazio-ne grazie all’azione dei macrofagi nella milza e nel fegato.

l’esame del sangue aiuta a determinare le cause di anemia

Nei casi di carenza di ferro, la produzione di emoglobina è difet-tosa e gli eritrociti prodotti sono di piccola dimensione. Gli eri-trociti con questo aspetto sono descritti come ipocromici e microcitici, il che significa, rispettivamente, che hanno una scar-sa colorazione e una piccola dimensione delle cellule.

Le vitamine B12 e B9 (acido folico) sono necessarie per la maturazione e la divisione nucleare. Nel caso di un deficit di queste vitamine, la maturazione del nucleo e le divisioni cellulari

restano indietro rispetto allo sviluppo del citoplasma, dando ori-gine a precursori eritroidi di notevoli dimensioni e con nuclei abnormemente grandi e cromatina aperta rispetto allo stadio di maturazione citoplasmatica.

Queste cellule sono dette megaloblasti e il processo pato-logico che porta alla loro formazione viene definito anemia me-galoblastica. Gli eritrociti risultanti sono anch’essi grandi e de-nominati macrociti.

te basico, il blu di cresile, che produce un precipitato reticolare R di colorazione blu, dovuto all’interazione del colorante con l’RNA dei poliribosomi. L’identificazione e la conta dei reticolociti a uso diagnostico vengono oggi fatte con metodi automatici come la citometria a flusso.

L’immagine (b) mostra l’organizzazione ultrastrutturale di un reticolocita e parte di un eritrocita maturo adiacente E, come paragone. La densità del citoplasma del reticolocita è complessi-vamente minore, dovuta a una più bassa concentrazione di emo-globina. Sono ancora visibili ribosomi sparsi, accanto ad alcuni mitocondri M, occasionali mitocondri in degenerazione D e un piccolo residuo dell’apparato di Golgi G.

Quando si verifica una massiva perdita di eritrociti, per esem-pio a seguito di emorragia o emolisi, il tasso di produzione di eritrociti da parte del midollo aumenta e la proporzione di reti-colociti nel sangue circolante si eleva (reticolocitosi). Dal punto di vista clinico, una conta di reticolociti elevata indica un midol-lo funzionale, mentre una conta bassa può indicare una produ-zione insufficiente o compromessa. È utile considerare questo parametro quando si valuta uno stato di anemia.

FIG. 3.6 citoscheletro dell’eritrocita

La membrana citoplasmatica dell’eritrocita è composta da un doppio foglietto lipidico stabilizzato dalla presenza di numerose proteine. Gli elementi caratterizzanti i diversi gruppi sanguigni sono carboidrati e antigeni proteici presenti sulla superficie. La spectrina è un grande dimero proteico con proprietà elastiche, che forma una rete a forma di cupola geodetica subito al di sotto della membrana plasmatica. Le molecole di spectrina si dispon-gono a raggiera a partire da un centro ancorato alla membrana e contenente, tra le altre, la proteina 4.1, l’actina e la tropomiosina. Ogni raggio di questa struttura è ulteriormente supportato per tutta la sua lunghezza da un secondo complesso proteico conte-nente anchirina. All’estremità più distale, i raggi di spectrina formano legami non covalenti spectrina-spectrina. Quando la membrana dell’eritrocita si piega, le molecole di spectrina si al-lungano. Quando la deformazione diventa estrema, le giunzioni dimeriche spectrina-spectrina si separano, consentendo al centro e ai raggi di separarsi e riarrangiarsi, così da riassestare dinami-camente il citoscheletro. L’actina fa parte di un segmento contrat-tile, che probabilmente applica tensione alla spectrina.

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FIG. 3.9 neutrofili (a) Giemsa (HP) (b) EE (HP) (c) EE (MP) (d) Giemsa (HP)

I neutrofili rappresentano dal 40 al 60% dei leucociti circolanti nel sangue, con una concentrazione tra 1 e 5 × 109/L. Il loro diametro varia tra 12 e 14 µm. La vita media di un neutrofilo è di pochi gior-ni, e infatti queste cellule sono raramente visibili nei tessuti normali.

Durante la maturazione i neutrofili mostrano una progressiva segmentazione del nucleo, con le cellule più giovani che hanno 2 lobi, quelle intermedie da 3 a 4 lobi e le cellule più mature 5 lobi. Il citoplasma è rosa, granulare e leggermente puntinato a causa di numerosi piccoli granuli (di diametro da 0,2 a 0,8 µm) circon-dati da membrana, come nella fotografia (a). Questi granuli in-cludono i granuli primari azzurrofili (violacei), i granuli secon-dari specifici, i granuli terziari e i granuli secretori. Nelle colora-zioni di routine, i granulociti mostrano un citoplasma rosa o rosso chiaro, come nell’immagine (b).

I neutrofili abbandonano i vasi in risposta a stimoli chemiotat-tici generati dall’infiammazione. Sono cellule ad alta motilità che fagocitano i batteri e li uccidono fondendo il fagosoma con i gra-nuli primari e producendo radicali ossidanti. In alcune condizioni essi possono degranulare rilasciando all’esterno il contenuto dei granuli ricco in mediatori dell’infiammazione, enzimi antibatterici

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FIG. 3.8 Granulopoiesi (a)-(e) Giemsa (HP)

Questa serie d’immagini illustra i vari stadi del processo di differenzia-mento dei granulociti neutrofili. Gli stadi di sviluppo degli eosinofili e basofili sono simili.

Il mieloblasto (a) è lo stadio più precoce della granulopoiesi iden-tificabile morfologicamente. Questo nome è tuttavia inappropriato e deriva dall’erronea assunzione che i granulociti fossero l’unico tipo di leucociti prodotto dal tessuto mieloide (ossia dal midollo osseo). I mie-loblasti sono cellule grandi con cromatina dispersa, vari nucleoli di grandi dimensioni e un citoplasma basofilo. Forme più differenziate di mieloblasti (mieloblasti II) presentano un piccolo numero di granuli primari azzurrofili (violacei). Nonostante la differenziazione finale di queste cellule a granulociti sia stata provata biologicamente, essa non è visibile fino allo stadio di mielocita, quando la produzione di granuli secondari (specifici) ne consente l’identificazione. L’immagine mostra anche un eritroblasto ortocromatico EO.

I promielociti (b) sono lo stadio successivo di maturazione e hanno abbondanti granuli primari azzurofili. Essi possono mostrare una leg-gera condensazione della cromatina all’interno di una struttura croma-tinica altrimenti dispersa.

I mielociti (c) sono identificabili dalla comparsa di granuli seconda-ri o specifici e da una progressiva condensazione della cromatina; tale processo continua per varie divisioni cellulari successive. Il numero e la proporzione di granuli primari diminuiscono progressivamente, diluiti dalle successive divisioni del citoplasma, mentre aumenta, di contro, la produzione dei granuli specifici. Il mielocita mostrato in figura è un mielocita neutrofilo, caratterizzato da citoplasma di colorazione rosa a causa della presenza di granuli secondari neutrofili. I mielociti eosinofi-li avrebbero invece granuli specifici eosinofili e così per i basofili.

Il metamielocita (d) è una cellula terminalmente differenziata, in-capace di ulteriori divisioni mitotiche. Esso inizia un processo di seg-mentazione nucleare, mostrando un nucleo progressivamente indenta-to e un citoplasma sempre più maturo. I precursori immediati dei gra-nulociti maturi tendono ad avere un nucleo irregolare a ferro di cavallo e perciò sono detti forme a banda (e).

I neutrofili immaturi vanno a far parte di un pool di riserva funzio-nale trattenuto nel midollo e corrispondente al prodotto di circa 5 gior-ni di attività midollare. Al momento dell’immissione in circolo, circa metà di queste forme a banda entra a far parte della circolazione san-guigna, mentre il resto aderisce all’endotelio dei piccoli vasi, formando il cosiddetto pool marginato. Questi pool constituiscono un’importante riserva che può essere mobilizzata all’occorrenza (per esempio, in rispo-sta a chemiotassine).

Se la richiesta aumenta notevolmente, anche i mielociti e i metamie-lociti sono mobilizzati in circolo e, da qui, nei tessuti; questo fenomeno è noto come left shift (sbilanciamento a sinistra, ovvero verso i precursori). Al contrario, il fenomeno di aumento delle forme mature è detto right shift (sbilanciamento a destra), ma non è comunemente osservabile.

Il normale processo di sviluppo nel midollo dal mieloblasto al mie-locita impiega 6 giorni e dal mielocita al rilascio di un neutrofilo matu-ro nel sangue altri 7 giorni. La produzione è stimolata da una serie di fattori di crescita e citochine, inclusi G-CSF, GM-CSF, IL-3 e IL-5.

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FIG. 3.9 neutrofili (a) Giemsa (HP) (b) EE (HP) (c) EE (MP) (d) Giemsa (HP)

I neutrofili rappresentano dal 40 al 60% dei leucociti circolanti nel sangue, con una concentrazione tra 1 e 5 × 109/L. Il loro diametro varia tra 12 e 14 µm. La vita media di un neutrofilo è di pochi gior-ni, e infatti queste cellule sono raramente visibili nei tessuti normali.

Durante la maturazione i neutrofili mostrano una progressiva segmentazione del nucleo, con le cellule più giovani che hanno 2 lobi, quelle intermedie da 3 a 4 lobi e le cellule più mature 5 lobi. Il citoplasma è rosa, granulare e leggermente puntinato a causa di numerosi piccoli granuli (di diametro da 0,2 a 0,8 µm) circon-dati da membrana, come nella fotografia (a). Questi granuli in-cludono i granuli primari azzurrofili (violacei), i granuli secon-dari specifici, i granuli terziari e i granuli secretori. Nelle colora-zioni di routine, i granulociti mostrano un citoplasma rosa o rosso chiaro, come nell’immagine (b).

I neutrofili abbandonano i vasi in risposta a stimoli chemiotat-tici generati dall’infiammazione. Sono cellule ad alta motilità che fagocitano i batteri e li uccidono fondendo il fagosoma con i gra-nuli primari e producendo radicali ossidanti. In alcune condizioni essi possono degranulare rilasciando all’esterno il contenuto dei granuli ricco in mediatori dell’infiammazione, enzimi antibatterici

ed enzimi che degradano la matrice tissutale. Ammassi di neutro-fili e oro detriti sono riconoscibili nel pus, come mostrato nell’im-magine (c). [I neutrofili riconoscono la presenza di microrganismi e/o di danno tissutale attraverso recettori di membrana (pattern recognition receptor ‒ PRR ‒, appartenenti alla famiglia dei recet-tori toll-like ‒ TLR) che legano alcuni tipi di molecole tipicamente prodotte da certe famiglie di patogeni (pathogen-associated mole-cular pattern, PAMP) o derivate da danno cellulare (damage- associated molecular pattern, DAMP). Se lo stimolo è elevato, il neutrofilo può espellere il proprio DNA che, grazie alla natura di polimero anionico viscoso, va a costituire la cosiddetta trappola extracellulare dei neutrofili (NET o rete) che intrappola i patogeni e contribuisce alla consistenza gelatinosa del pus. N.d.C.]. I neu-trofili extravasati non rientrano nella circolazione sanguigna, ma vanno incontro a lisi o apoptosi nei tessuti.

Nei neutrofili del sangue di individui di sesso femminile, il cromosoma X inattivato può essere visibile sotto forma di una piccola appendice nucleare a mazza di tamburo MT nel 3% circa dei neutrofili, come in immagine (d). [Questa appendice è nota anche come corpo di Barr. N.d.C.].

eo eritroblasto ortocromatico Mt appendice a mazza di tamburo

taBella 3.2 Prodotti funzionali dei granuli dei neutrofili

tipo di granuli principali componenti attivi azioni biologiche

Granuli primari MieloperossidasiDefensine dei neutrofili

Distruzione e degradazione dei microrganismi fagocitati

Granuli secondari specifici

Lisozima, gelatinasi, collagenasi, lactoferrina, catelicidine, transcobalamina I

Sostanze antimicrobiche e degradazione della matrice extracellulare

Granuli terziari GelatinasiMolecole di adesione

Degradazione della matrice extracellulareEsposizione sulla membrana plasmatica

Granuli secretori Proteine di membrana

Enzimi, fosfatasi alcalina ecc.

Esposizione sulla membrana plasmatica; recettori per il legame alla membrana delle cellule endotelialiDegradazione dei tessuti

FIG. 3.8 Granulopoiesi (a)-(e) Giemsa (HP)

Questa serie d’immagini illustra i vari stadi del processo di differenzia-mento dei granulociti neutrofili. Gli stadi di sviluppo degli eosinofili e basofili sono simili.

Il mieloblasto (a) è lo stadio più precoce della granulopoiesi iden-tificabile morfologicamente. Questo nome è tuttavia inappropriato e deriva dall’erronea assunzione che i granulociti fossero l’unico tipo di leucociti prodotto dal tessuto mieloide (ossia dal midollo osseo). I mie-loblasti sono cellule grandi con cromatina dispersa, vari nucleoli di grandi dimensioni e un citoplasma basofilo. Forme più differenziate di mieloblasti (mieloblasti II) presentano un piccolo numero di granuli primari azzurrofili (violacei). Nonostante la differenziazione finale di queste cellule a granulociti sia stata provata biologicamente, essa non è visibile fino allo stadio di mielocita, quando la produzione di granuli secondari (specifici) ne consente l’identificazione. L’immagine mostra anche un eritroblasto ortocromatico EO.

I promielociti (b) sono lo stadio successivo di maturazione e hanno abbondanti granuli primari azzurofili. Essi possono mostrare una leg-gera condensazione della cromatina all’interno di una struttura croma-tinica altrimenti dispersa.

I mielociti (c) sono identificabili dalla comparsa di granuli seconda-ri o specifici e da una progressiva condensazione della cromatina; tale processo continua per varie divisioni cellulari successive. Il numero e la proporzione di granuli primari diminuiscono progressivamente, diluiti dalle successive divisioni del citoplasma, mentre aumenta, di contro, la produzione dei granuli specifici. Il mielocita mostrato in figura è un mielocita neutrofilo, caratterizzato da citoplasma di colorazione rosa a causa della presenza di granuli secondari neutrofili. I mielociti eosinofi-li avrebbero invece granuli specifici eosinofili e così per i basofili.

Il metamielocita (d) è una cellula terminalmente differenziata, in-capace di ulteriori divisioni mitotiche. Esso inizia un processo di seg-mentazione nucleare, mostrando un nucleo progressivamente indenta-to e un citoplasma sempre più maturo. I precursori immediati dei gra-nulociti maturi tendono ad avere un nucleo irregolare a ferro di cavallo e perciò sono detti forme a banda (e).

I neutrofili immaturi vanno a far parte di un pool di riserva funzio-nale trattenuto nel midollo e corrispondente al prodotto di circa 5 gior-ni di attività midollare. Al momento dell’immissione in circolo, circa metà di queste forme a banda entra a far parte della circolazione san-guigna, mentre il resto aderisce all’endotelio dei piccoli vasi, formando il cosiddetto pool marginato. Questi pool constituiscono un’importante riserva che può essere mobilizzata all’occorrenza (per esempio, in rispo-sta a chemiotassine).

Se la richiesta aumenta notevolmente, anche i mielociti e i metamie-lociti sono mobilizzati in circolo e, da qui, nei tessuti; questo fenomeno è noto come left shift (sbilanciamento a sinistra, ovvero verso i precursori). Al contrario, il fenomeno di aumento delle forme mature è detto right shift (sbilanciamento a destra), ma non è comunemente osservabile.

Il normale processo di sviluppo nel midollo dal mieloblasto al mie-locita impiega 6 giorni e dal mielocita al rilascio di un neutrofilo matu-ro nel sangue altri 7 giorni. La produzione è stimolata da una serie di fattori di crescita e citochine, inclusi G-CSF, GM-CSF, IL-3 e IL-5.

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FIG. 3.11 Basofili (a) Giemsa (HP) (b) ME ×10.500

I basofili, nell’immagine (a), sono la forma di leucociti meno comu-ne e rappresentano <0,5% dei leucociti del sangue. Hanno dimen-sioni intermedie (diametro 14-16 µm) tra i neutrofili e gli eosinofili. Un basofilo maturo ha un nucleo bilobato che però è spesso coper-to da numerosi granuli specifici fortemente basofili (blu scuro), che sono più grandi ma in numero minore rispetto a quelli degli eosi-nofili. Il contenuto dei granuli è altamente solubile in acqua e pos-sono quindi dissolversi durante la preparazione istologica.

I basofili originano nel midollo osseo emopoietico, condivi-dono un precursore comune con gli eosinofili e si sviluppano attraverso stadi differenziativi analoghi a quelli descritti per i neutrofili e gli eosinofili. I basofili migrano nei tessuti in risposta a uno stimolo infiammatorio e a chemiotassine. Si ritiene che non possano rientrare in circolo e la durata della loro vita media nei tessuti è incerta.

Dopo colorazione con blu di toluidina, un colorante basico, i granuli dei basofili legano il colorante ma appaiono di colore

Funzioni dei basofili e dei mastociti

I basofili e i mastociti hanno recettori ad alta affinità per la por-zione Fc delle IgE; pertanto sono capaci di legare IgE, una clas-se di immunoglobuline coinvolte nei fenomeni allergici. Il legame di questi recettori alle IgE complessate con l’antigene stimola la degranulazione della cellula causando una reazione di ipersen-sibilità immediata (anafilattoide). Appartengono a questo tipo di reazioni la rinite allergica (febbre da fieno), l’asma bronchiale, l’orticaria cutanea e lo shock anafilattico (antigeni comuni che possono scatenare tali reazioni includono antigeni delle arachidi, il veleno delle api, la penicillina).

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n lobo nucleare p granulo primario s granulo secondario

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FIG. 3.10 neutrofilo ME ×10.000

In microscopia elettronica, i neutrofili presentano tre aspetti ca-ratteristici. Il primo è rappresentato dai numerosi lobi nucleari N, con cromatina condensata; questi lobi appaiono separati nelle sezioni sottili in ME. Come secondo aspetto, il citoplasma contie-ne molti granuli rivestiti da membrana. I granuli primari P sono grandi, sferoidali ed elettrondensi. I granuli secondari o specifici S sono più numerosi e piccoli, hanno spesso forma di bacchetta e sono di densità variabile. I granuli terziari e i granuli secretori non sono facilmente distinguibili da altre vescicole rivestite da membrana. Il terzo aspetto è che gli altri organelli citoplasmatici sono scarsi. In aggiunta, il citoplasma è particolarmente ricco in granuli di glicogeno dispersi. Il neutrofilo maturo ha pochi orga-nelli deputati alla sintesi proteica e ha una capacità limitata di ri-

generare le proteine secrete; esso tende a degenerare dopo una stimolazione che ne abbia attivato fagocitosi e degranulazione. La scarsità di mitocondri e l’abbondanza di glicogeno nei neutrofili riflettono l’importanza del metabolismo anaerobico. La produzio-ne di energia via glicolisi permette ai neutrofili di funzionare anche nell’ambiente poco ossigenato di un tessuto danneggiato. I neutrofili sono dotati di alta motilità, capaci di attraversare gli spazi extracellulari con un movimento ameboide guidato da uno pseudopodio ondulante, generalmente proiettato in avanti a orientare la direzione del movimento. La motilità e l’attività fa-gocitaria sono dimostrate dall’alta presenza di proteine contratti-li, actina e miosina, ma anche da tubulina e proteine associate ai microtubuli.

Funzioni dei neutrofili

I neutrofili circolanti sono attratti da fattori chemiotattici (chemio-tassine) rilasciati dai tessuti danneggiati o generati dall’interazio-ne di anticorpi con gli antigeni di superficie dei microrganismi (vedi Cap. 11). Le chemiotassine stimolano i neutrofili e li indu-cono a fondere i granuli secretori con la membrana cellulare, così da esporre proteine di adesione che permettono al neutrofilo di aderire all’endotelio vascolare e di iniziare a muoversi all’interno dei tessuti. [Il processo di uscita dal vaso (extravasazione) inizia con il rotolamento (rolling) della cellula, mediato da lectine sul-la membrana delle cellule endoteliali dei piccoli vasi attivati dall’infiammazione, e prosegue con l’arresto mediato dal legame alle caderine e l’attraversamento della parete (diapedesi). Il rico-noscimento di un microrganismo attraverso un TLR di membrana o degli anticorpi a esso legati stimola la fagocitosi da parte del neutrofilo. N.d.C.]. Come prima tappa della fagocitosi, il micror-ganismo è avvolto da pseudopodi che progressivamente si fon-dono tra loro, racchiudendolo in una vescicola endocitica detta fagosoma. Il fagosoma si fonde quindi con i granuli citoplasma-tici, in particolare i granuli primari, che scaricano il loro contenu-

to esponendo il microrganismo a una potente miscela di proteine antimicrobiche, in un ambiente acido. L’uccisione del microrga-nismo è favorita dalla generazione di perossido d’idrogeno e anione superossido, prodotti dalla riduzione enzimatica dell’os-sigeno (burst ossidativo).

L’attività fagocitaria dei neutrofili (e dei monociti) è favorita dal rivestimento del microrganismo da parte di anticorpi ed ele-menti del complemento (opsonine). I neutrofili hanno recettori di superficie per la porzione Fc (costante) delle immunoglobuline e per varie proteine del complemento. Questi recettori si legano alle opsonine e stimolano l’internalizzazione mediante fagocitosi. Questo stimolo alla fagocitosi è noto come opsonizzazione.

Se si verifica un sufficiente stimolo dei recettori del neutro-filo, esso può esocitare il contenuto dei suoi granuli per degra-nulazione, che si verifica attraverso la fusione della membrana dei granuli con la membrana citoplasmatica e l’espulsione del contenuto. I granuli terziari sono i primi a essere rilasciati, se-guiti dai granuli specifici (secondari) e, raramente, anche dai granuli primari.

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FIG. 3.11 Basofili (a) Giemsa (HP) (b) ME ×10.500

I basofili, nell’immagine (a), sono la forma di leucociti meno comu-ne e rappresentano <0,5% dei leucociti del sangue. Hanno dimen-sioni intermedie (diametro 14-16 µm) tra i neutrofili e gli eosinofili. Un basofilo maturo ha un nucleo bilobato che però è spesso coper-to da numerosi granuli specifici fortemente basofili (blu scuro), che sono più grandi ma in numero minore rispetto a quelli degli eosi-nofili. Il contenuto dei granuli è altamente solubile in acqua e pos-sono quindi dissolversi durante la preparazione istologica.

I basofili originano nel midollo osseo emopoietico, condivi-dono un precursore comune con gli eosinofili e si sviluppano attraverso stadi differenziativi analoghi a quelli descritti per i neutrofili e gli eosinofili. I basofili migrano nei tessuti in risposta a uno stimolo infiammatorio e a chemiotassine. Si ritiene che non possano rientrare in circolo e la durata della loro vita media nei tessuti è incerta.

Dopo colorazione con blu di toluidina, un colorante basico, i granuli dei basofili legano il colorante ma appaiono di colore

viola. Il fenomeno per cui una struttura fa virare il colore del colorante legato è noto come metacromasia (vedi anche Fig. 4.20).

In microscopia elettronica, come nell’immagine (b), il basofi-lo mostra i granuli specifici (secondari) di forma ovale e di gran-di dimensioni, ripieni di materiale elettrondenso. All’interno dei granuli sono anche individuabili (non in questa immagine) cri-stalloidi, lipidi spiraliformi e inclusioni dense.

I granuli hanno un nucleo di glicosaminoglicani solfati, in particolare condroitin solfato e, in minore quantità, eparan sol-fato, che sono responsabili della loro caratteristica colorazione. Funzionalmente, i granuli contengono istamina, altre sostanze vasoattive ed enzimi (Tab. 3.3).

I mastociti sono cellule residenti nei tessuti con varie analo-gie con i basofili; anch’essi derivano dal midollo emopoietico ma vanno considerati una linea cellulare distinta (vedi anche Fig. 4.20).

Funzioni dei basofili e dei mastociti

I basofili e i mastociti hanno recettori ad alta affinità per la por-zione Fc delle IgE; pertanto sono capaci di legare IgE, una clas-se di immunoglobuline coinvolte nei fenomeni allergici. Il legame di questi recettori alle IgE complessate con l’antigene stimola la degranulazione della cellula causando una reazione di ipersen-sibilità immediata (anafilattoide). Appartengono a questo tipo di reazioni la rinite allergica (febbre da fieno), l’asma bronchiale, l’orticaria cutanea e lo shock anafilattico (antigeni comuni che possono scatenare tali reazioni includono antigeni delle arachidi, il veleno delle api, la penicillina).

I basofili e i mastociti prendono anche parte alla risposta immunitaria innata alle infezioni (vedi Cap. 11) e facilitano il re-clutamento dei neutrofili prima dell’innesco di una risposta im-munitaria adattativa. Essi svolgono anche un ruolo nella difesa dai parassiti, come nella risposta alle larve di alcune specie di vermi che migrano attraverso la cute (larva migrans cutanea).

Unaumentodelnumerodeibasofilinelsanguesi riscontrafrequentemente in pazienti affetti da lesioni premaligne del midol-lo emopoietico, come la mielodisplasia, e da leucemia mieloide cronica (LMC).

taBella 3.3 Prodotti funzionali dei basofili

prodotti azioni

Proteina basica maggiore Stesso prodotto degli eosinofili Tossicità per alcuni parassiti

Proteina di Charcot-Leyden Come per gli eosinofili ma prodotta in minore quantità

Istamina e altre ammine vasoattive Modulazione della permeabilità e del tono vascolareCongestione ed edema

Triptasi Enzima; utilizzato come marcatore per l’attività di basofili e mastociti

Carbossipeptidasi Enzima

Leucotrieni e prostaglandine Mediatori di natura lipidica

Interleuchina (IL)-4, IL-13, exotassine Rilascio di citochine

Fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF) Rilascio di fattori di crescita

to esponendo il microrganismo a una potente miscela di proteine antimicrobiche, in un ambiente acido. L’uccisione del microrga-nismo è favorita dalla generazione di perossido d’idrogeno e anione superossido, prodotti dalla riduzione enzimatica dell’os-sigeno (burst ossidativo).

L’attività fagocitaria dei neutrofili (e dei monociti) è favorita dal rivestimento del microrganismo da parte di anticorpi ed ele-menti del complemento (opsonine). I neutrofili hanno recettori di superficie per la porzione Fc (costante) delle immunoglobuline e per varie proteine del complemento. Questi recettori si legano alle opsonine e stimolano l’internalizzazione mediante fagocitosi. Questo stimolo alla fagocitosi è noto come opsonizzazione.

Se si verifica un sufficiente stimolo dei recettori del neutro-filo, esso può esocitare il contenuto dei suoi granuli per degra-nulazione, che si verifica attraverso la fusione della membrana dei granuli con la membrana citoplasmatica e l’espulsione del contenuto. I granuli terziari sono i primi a essere rilasciati, se-guiti dai granuli specifici (secondari) e, raramente, anche dai granuli primari.

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FIG. 3.13 eosinofilo (a)Uomo,ME×25.000(b)Topo,ME×20.000

In microscopia elettronica queste cellule sono caratterizzate dai granuli specifici S grandi e ovoidali, ognuno contenente un cri-stalloide allungato. Nell’uomo, come mostrato in immagine (a), i cristalloidi sono relativamente elettrontrasparenti e di forma irre-golare; in molti altri mammiferi, hanno invece una forma discoi-dale più regolare.

eosinofili in patologia

Gli eosinofili sono cellule infiammatorie multifunzionali. Essi hanno un ruolo centrale nella difesa dai parassiti, specialmen-te i vermi (elminti), e nell’induzione e mantenimento della rispo-sta infiammatoria allergica; esempi di quest’ultima sono le ri-niti allergiche (febbre da fieno) e l’asma. Gli eosinofili svolgono anche un ruolo nelle infezioni virali e, in misura minore, in vari processi infiammatori, nonché un ruolo secondario come cel-lule presentanti l’antigene. [Grazie all’azione immunomodula-toria delle sostanze contenute all’interno dei granuli, gli eosi-nofili possono contribuire ad attenuare la risposta immunitaria

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FIG. 3.12 eosinofili (a) Tessuto, EE (HP) (b) Striscio di sangue, Giemsa (HP)

Gli eosinofili rappresentano dall’1 al 6% dei leucociti circolanti nel sangue; il loro numero subisce variazioni circadiane, essendo maggiore al mattino e più basso nel pomeriggio. La produzione di eosinofili dal midollo è controllata dalla citochina interleuchi-na 5 (IL-5) e, in misura minore, dall’interleuchina 3 (IL-3) e dal fattore stimolante le colonie granulocito-monocitarie (GM-CSF).

Gli eosinofili circolano nel sangue per circa 18 ore, dopodiché fuoriescono dai capillari per entrare nei tessuti, dove risiede la maggioranza (>95%) degli eosinofili.

In condizioni normali, gli eosinofili tissutali sono identifica-bili nella mucosa del tratto gastrointestinale, specialmente nell’in-testino. Un basso numero di eosinofili, probabilmente in transito, si trova anche nella milza e nei linfonodi.

Gli eosinofili entrano in altri tessuti in risposta a segnali che-miotattici generati dalla mucosa infiammata o nel corso di una reazione allergica; questi segnali includono le chemochine eotas-sina-1 ed eotassina-2, IL-5 e alcuni leucotrieni. Il processo di ex-travasazione attiva parzialmente gli eosinofili, che vengono poi ulteriormente attivati dai mediatori rilasciati nel corso di una ri-sposta immunitaria di tipo T helper 2 (TH2), quali IL-5, IL-3 e GM-CSF. Una stimolazione adeguata causa il rilascio di granuli e dei mediatori. A differenza dei neutrofili, gli eosinofili non sono cellule fagocitarie.

Si pensa che gli eosinofili possano sopravvivere a lungo nei tessuti (8-12 giorni o anche di più), ma i dati sperimentali a ri-guardo sono ancora pochi. Gli eosinofili in genere non ritornano in circolo; nell’intestino migrano nel lume del viscere o vanno incontro a lisi.

Un eosinofilo (diametro 12-17 µm) è più grande di un neutrofi-lo e facilmente riconoscibile per l’abbondanza di grandi granuli specifici, che si colorano di rosso brillante con l’eosina, come nella fotografia (a), e di un rosso mattone con i metodi di Romanowsky, come nell’immagine (b). La maggioranza delle cellule presenta un nucleo bilobato, ma, con il procedere della maturazione nel tessuto, il nucleo può segmentarsi ulteriormente. I granuli citoplasmatici, densamente impaccati, possono parzialmente oscurare il nucleo.

I granuli specifici sono circondati da membrana, hanno dimen-sioni uniformi e contengono una matrice e un cristalloide a retico-lo cuboidale (Fig. 3.13). Essi contengono proteine estremamente alcaline (cioè basiche), in particolare la proteina basica maggiore (major basic protein, MBP). Altre proteine sono la proteina catio-nica degli eosinofili (eosinophil cationic protein, ECP), la neuro-tossina derivata dagli eosinofili (eosinophil-derived neurotoxin, EDN) e una perossidasi eosinofila (eosinophil peroxidase, EPO). Queste proteine esercitano azione tossica su molti parassiti, alcuni virus a RNA e in certi casi anche sui tessuti.

M mitocondrio n nucleo r ribosomi rel reticolo endoplasmatico liscio rer reticolo endoplasmatico rugoso s granuli specifici

taBella 3.4 Prodotti funzionali degli eosinofili

prodotti Funzioni

Proteina basica maggiore Tossicità per alcuni parassitiDegranulazione di mastociti e basofili

Neurotossina degli eosinofili (EDN) Ribonucleasi con attività antivirale

Proteina cationica degli eosinofili (ECP) Danni alle membrane cellulariDegranulazione dei mastociti

Perossidasi degli eosinofili (EPO) Generazione di radicali ossidanti dall’ossigeno, incluso l’anione superossido, e di acido ipobromico (da ioni bromuro)

Istaminasi, fosfolipasi, fosfatasi acida, arilsulfatasi, catepsina Enzimi

Leucotrieni e prostaglandine Mediatori di natura lipidica

Interleuchina (IL)-1, IL-2, IL-4, IL-5, IL-8, IL-13, fattore di necrosi tumorale α (TNF-α)

Citochine

Fattore di crescita trasformante β (TGF-β), fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF), fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF)

Fattori di crescita

Proteina cristallina di Charcot-Leyden (galectina-10) Non nota, forma cristalli nei tessuti

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FIG. 3.13 eosinofilo (a)Uomo,ME×25.000(b)Topo,ME×20.000

In microscopia elettronica queste cellule sono caratterizzate dai granuli specifici S grandi e ovoidali, ognuno contenente un cri-stalloide allungato. Nell’uomo, come mostrato in immagine (a), i cristalloidi sono relativamente elettrontrasparenti e di forma irre-golare; in molti altri mammiferi, hanno invece una forma discoi-dale più regolare.

La fotografia (b) mostra un eosinofilo all’interno di un tessu-to di topo; anche in questa specie, i cristalloidi sono relativamen-te elettrontrasparenti. Gli eosinofili contengono pochi mitocondri, un esteso reticolo endoplasmatico liscio REl e tracce di reticolo endoplasmatico rugoso REr. Si notano anche ribosomi R liberi e il nucleo N bilobato.

eosinofili in patologia

Gli eosinofili sono cellule infiammatorie multifunzionali. Essi hanno un ruolo centrale nella difesa dai parassiti, specialmen-te i vermi (elminti), e nell’induzione e mantenimento della rispo-sta infiammatoria allergica; esempi di quest’ultima sono le ri-niti allergiche (febbre da fieno) e l’asma. Gli eosinofili svolgono anche un ruolo nelle infezioni virali e, in misura minore, in vari processi infiammatori, nonché un ruolo secondario come cel-lule presentanti l’antigene. [Grazie all’azione immunomodula-toria delle sostanze contenute all’interno dei granuli, gli eosi-nofili possono contribuire ad attenuare la risposta immunitaria

ad alcune popolazioni di flora batterica residente (per esempio, la flora batterica intestinale). Gli eosinofili possono, in alcuni casi, espellere il loro DNA mitocondriale al fine di creare una rete extracellulare viscosa (NET) che intrappola i microrgani-smi, come accade per i neutrofili, che però utilizzano il DNA nucleare. N.d.C.].

I processi infiammatori che coinvolgono gli eosinofili risultano spesso in un aumento del numero di queste cellule nel sangue (>0,5 × 109/L), una condizione nota come eosinofilia, che può essere dovuta a parassitosi e/o condizioni allergiche.

Si pensa che gli eosinofili possano sopravvivere a lungo nei tessuti (8-12 giorni o anche di più), ma i dati sperimentali a ri-guardo sono ancora pochi. Gli eosinofili in genere non ritornano in circolo; nell’intestino migrano nel lume del viscere o vanno incontro a lisi.

Un eosinofilo (diametro 12-17 µm) è più grande di un neutrofi-lo e facilmente riconoscibile per l’abbondanza di grandi granuli specifici, che si colorano di rosso brillante con l’eosina, come nella fotografia (a), e di un rosso mattone con i metodi di Romanowsky, come nell’immagine (b). La maggioranza delle cellule presenta un nucleo bilobato, ma, con il procedere della maturazione nel tessuto, il nucleo può segmentarsi ulteriormente. I granuli citoplasmatici, densamente impaccati, possono parzialmente oscurare il nucleo.

I granuli specifici sono circondati da membrana, hanno dimen-sioni uniformi e contengono una matrice e un cristalloide a retico-lo cuboidale (Fig. 3.13). Essi contengono proteine estremamente alcaline (cioè basiche), in particolare la proteina basica maggiore (major basic protein, MBP). Altre proteine sono la proteina catio-nica degli eosinofili (eosinophil cationic protein, ECP), la neuro-tossina derivata dagli eosinofili (eosinophil-derived neurotoxin, EDN) e una perossidasi eosinofila (eosinophil peroxidase, EPO). Queste proteine esercitano azione tossica su molti parassiti, alcuni virus a RNA e in certi casi anche sui tessuti.

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FIG. 3.15 piastrine (a) Giemsa (HP) (b) ME ×18.000

L’immagine (a) mostra alcune piastrine Pi. Le piastrine (trombociti) sono piccoli frammenti anucleati di citoplasma, prodotti dai me-gacariociti. Le piastrine hanno forma tonda, ovale o a disco bicon-vesso, con diametro compreso tra 1,5 e 3,5 µm. Negli strisci di sangue hanno un aspetto granulare colorato di viola al centro, a causa dei numerosi organelli, mentre la parte periferica risulta pallida e poco visibile. Il numero di piastrine circolanti nel sangue varia da 150 a 500 × 109/L, e la loro vita media va da 5 a 10 giorni.

Le piastrine posseggono la maggior parte degli organelli del-le altre cellule, a parte il nucleo. I granuli ben visibili in ME (b) possono essere classificati come segue:

• Granuli a, di dimensioni e forma variabili, contenenti nume-rose proteine dell’adesione cellulare, fattori della coagulazio-ne e fattori di crescita per la riparazione tissutale.

• Granuli densi, altamente elettrondensi, contenenti serotoni-na, ADP, ATP, Ca2+ e Mg2+.

• Lisosomi, come in ogni cellula contenenti gli usuali enzimi litici (vedi Cap. 1).

Le piastrine sono sorprendentemente complesse. Esse presentano una banda marginale di microtubuli alla periferia del citoplasma, associata ad abbondanti proteine contrattili, actina e miosina, che costituiscono un apparato contrattile.

All’interno della banda marginale di microtubuli e diffuso per tutto il citoplasma, si trova il sistema tubulare denso (dense tubu-lar system, DTS), costituito da sottili tubuli membranosi dal con-tenuto elettrondenso. Questi tubuli contengono Ca2+ e gli enzimi necessari alla sintesi dei mediatori lipidici dell’attivazione piastri-nica, in particolare la cicloossigenasi e la trombossano sintetasi.

Malattie delle piastrine

Unridottonumerodipiastrineèunacondizionenotacometrom-bocitopenia. Livelli bassi, in particolare <20 × 109/L, sono asso-ciati a spontaneo sanguinamento dei piccoli vasi (con formazione di petecchie), in genere a livello della cute e della parete intesti-nale; questa è una condizione potenzialmente letale.

Vi sono diverse malattie genetiche dovute alla mutazione di varie proteine che compromettono la funzionalità delle piastrine.

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FIG. 3.14 piastrine e megacariociti (a) Giemsa (HP) (b) EE (MP) (c) ME ×6000

I megacariociti sono responsabili della produzione delle piastrine e sono le cellule più grandi reperibili nel midollo osseo (30-100 µm). Negli strisci, come nella fotografia (a), mostrano grandi nuclei poli-lobati contenenti sparsi aggregati di cromatina e nucleoli poco cospi-cui e un abbondante citoplasma ricco di granuli fini e basofili. Nelle preparazioni istologiche colorate in EE, come nell’immagine (b), i megacariociti Mk sono facilmente riconoscibili per la loro dimensio-ne, i nuclei lobulati e il citoplasma abbondante, chiaro ed eosinofilo.

Lo sviluppo e la maturazione dei megacariociti sono comples-si e i precursori precoci non sono riconoscibili in modo affidabile in microscopia ottica. Il precursore del megacariocita nel midollo è detto megacarioblasto.

Le cellule mature sono poliploidi, essendo andate incontro a vari cicli di replicazione del DNA non seguiti da divisione cito-plasmatica (endomitosi). Una cellula matura può andare incontro fino a sette duplicazioni successive dei componenti nucleari e citoplasmatici senza divisione cellulare; da qui originano le gran-di dimensioni e il nucleo multilobato.

Mentre le cellule maturano, il citoplasma si riempie di fini granuli basofili che riflettono una profusione di organelli citopla-smatici, granuli, vescicole e tubuli. C’è anche un esteso sistema di membrane di demarcazione, complesse invaginazioni della membrana plasmatica che sono alla base della frammentazione del citoplasma, che dà origine alle piastrine.

I megacariociti si trovano adiacenti ai sinusoidi del midollo osseo e, quando sono maturi, estrudono pseudopodi, noti come propiastrine, verso il lume del sinusoide. Questi pseudopodi poi si frammentano rilasciando le piastrine. Un megacariocita può entrare per intero nel lume dei sinusoidi, e infatti queste cellule sono occasionalmente reperibili nei capillari polmonari, dove pre-sumibilmente rilasciano piastrine. La proporzione di piastrine rilasciate in questi due siti non è nota, nonostante si pensi che il rilascio midollare sia predominante.

Ogni megacariocita genera da 2000 a 4000 piastrine. Una per-sona adulta necessita di circa 100 milioni di megacariociti (108) per produrre 2 × 1011 nuove piastrine ogni giorno.

Al microscopio elettronico le cellule mature mostrano, come nell’immagine (c), una zona perinucleare N con i classici organel-li (apparato di Golgi, reticolo endoplasmatico liscio e rugoso, granuli in maturazione e centrioli), una zona intermedia I con un esteso sistema di membrane di demarcazione interconnesse e una zona esterna E ancora più ricca di membrane e filamenti del ci-toscheletro.

I megacariociti e gli eritrociti hanno un precursore comune. La produzione, il differenziamento e la maturazione dei megaca-riociti sono in parte regolati dalla trombopoietina, un fattore di crescita prodotto principalmente dal fegato, assieme a interleu-chine (IL-3 e IL-11) e ad altri fattori di crescita.

e piastrine in formazione e mature (zona esterna) I zona intermedia Mk megacariocita n zona perinucleare pi piastrina

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FIG. 3.15 piastrine (a) Giemsa (HP) (b) ME ×18.000

L’immagine (a) mostra alcune piastrine Pi. Le piastrine (trombociti) sono piccoli frammenti anucleati di citoplasma, prodotti dai me-gacariociti. Le piastrine hanno forma tonda, ovale o a disco bicon-vesso, con diametro compreso tra 1,5 e 3,5 µm. Negli strisci di sangue hanno un aspetto granulare colorato di viola al centro, a causa dei numerosi organelli, mentre la parte periferica risulta pallida e poco visibile. Il numero di piastrine circolanti nel sangue varia da 150 a 500 × 109/L, e la loro vita media va da 5 a 10 giorni.

Le piastrine posseggono la maggior parte degli organelli del-le altre cellule, a parte il nucleo. I granuli ben visibili in ME (b) possono essere classificati come segue:

• Granuli a, di dimensioni e forma variabili, contenenti nume-rose proteine dell’adesione cellulare, fattori della coagulazio-ne e fattori di crescita per la riparazione tissutale.

• Granuli densi, altamente elettrondensi, contenenti serotoni-na, ADP, ATP, Ca2+ e Mg2+.

• Lisosomi, come in ogni cellula contenenti gli usuali enzimi litici (vedi Cap. 1).

Le piastrine sono sorprendentemente complesse. Esse presentano una banda marginale di microtubuli alla periferia del citoplasma, associata ad abbondanti proteine contrattili, actina e miosina, che costituiscono un apparato contrattile.

All’interno della banda marginale di microtubuli e diffuso per tutto il citoplasma, si trova il sistema tubulare denso (dense tubu-lar system, DTS), costituito da sottili tubuli membranosi dal con-tenuto elettrondenso. Questi tubuli contengono Ca2+ e gli enzimi necessari alla sintesi dei mediatori lipidici dell’attivazione piastri-nica, in particolare la cicloossigenasi e la trombossano sintetasi.

Le piastrine contengono anche un sistema di canali di mem-brana interconnessi, il sistema canalicolare connesso alla super-ficie (SCCS), che è in continuità con l’ambiente esterno tramite invaginazioni della membrana citoplasmatica. I granuli si fondo-no con questo sistema per rilasciare il loro contenuto all’esterno.

Le piastrine sono complesse anche dal punto di vista funzio-nale e presentano più di 50 tipi diversi di recettori di superficie. Esse rispondono al danno vascolare per bloccare il sanguinamen-to, partecipano alla coagulazione del sangue e promuovono la riparazione tissutale. Quando l’endotelio viene danneggiato, le piastrine aderiscono al collagene esposto e ad altre proteine della membrana basale sottostante tramite i loro recettori di membra-na. Ne segue l’attivazione che porta alla contrazione del sistema di microtubuli e alla degranulazione con il rilascio del contenuto dei granuli, serotonina e ADP. Le piastrine attivate producono anche il mediatore lipidico trombossano. Questi segnali richia-mano altre piastrine e ne stimolano l’adesione, portando così alla formazione di un tappo piastrinico.

Le piastrine attivate assumono una forma stellata con lunghi pseudopodi. La successiva contrazione dei citofilamenti riduce il diametro del coagulo, attraverso un fenomeno noto come retra-zione del coagulo.

Le piastrine rilasciano anche una serie di fattori di crescita che simulano la riparazione tissutale, tra cui il fattore di crescita derivato dalle piastrine (platelet-derived growth factor, PDGF) e il fattore di crescita trasformante b (transforming growth factor b, TGF-b). Molti dei prodotti delle piastrine sono ereditati dal me-gacariocita di origine, ma alcuni sono captati dal plasma via en-docitosi mediata da recettore e poi accumulati nei granuli, come, per esempio, la 5-HT (serotonina).

Malattie delle piastrine

Unridottonumerodipiastrineèunacondizionenotacometrom-bocitopenia. Livelli bassi, in particolare <20 × 109/L, sono asso-ciati a spontaneo sanguinamento dei piccoli vasi (con formazione di petecchie), in genere a livello della cute e della parete intesti-nale; questa è una condizione potenzialmente letale.

Vi sono diverse malattie genetiche dovute alla mutazione di varie proteine che compromettono la funzionalità delle piastrine.

La più comune di esse è la malattia di von Willebrand, dovuta a difetti del fattore di von Willebrand (FVIII-vWF), un complesso fattore di adesione prodotto dall’endotelio e dai megacariociti.

Anche alcuni farmaci possono compromettere l’attività delle piastrine. L’aspirina (acido acetilsalicilico) blocca l’enzima ciclo-ossigenasi, inibendo la produzione di trombossano e quindi la funzionalità delle piastrine.

I megacariociti si trovano adiacenti ai sinusoidi del midollo osseo e, quando sono maturi, estrudono pseudopodi, noti come propiastrine, verso il lume del sinusoide. Questi pseudopodi poi si frammentano rilasciando le piastrine. Un megacariocita può entrare per intero nel lume dei sinusoidi, e infatti queste cellule sono occasionalmente reperibili nei capillari polmonari, dove pre-sumibilmente rilasciano piastrine. La proporzione di piastrine rilasciate in questi due siti non è nota, nonostante si pensi che il rilascio midollare sia predominante.

Ogni megacariocita genera da 2000 a 4000 piastrine. Una per-sona adulta necessita di circa 100 milioni di megacariociti (108) per produrre 2 × 1011 nuove piastrine ogni giorno.

Al microscopio elettronico le cellule mature mostrano, come nell’immagine (c), una zona perinucleare N con i classici organel-li (apparato di Golgi, reticolo endoplasmatico liscio e rugoso, granuli in maturazione e centrioli), una zona intermedia I con un esteso sistema di membrane di demarcazione interconnesse e una zona esterna E ancora più ricca di membrane e filamenti del ci-toscheletro.

I megacariociti e gli eritrociti hanno un precursore comune. La produzione, il differenziamento e la maturazione dei megaca-riociti sono in parte regolati dalla trombopoietina, un fattore di crescita prodotto principalmente dal fegato, assieme a interleu-chine (IL-3 e IL-11) e ad altri fattori di crescita.

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Fig. 3.17 linfociti (a-c) Giemsa (HP) (d) ME ×15.000

I linfociti hanno un ruolo fondamentale nei meccanismi di difesa immunologici e saranno descritti in dettaglio nel Cap. 11. La produzione di linfociti da parte della cellula staminale emopoie-tica inizia nel midollo. La più precoce cellula riconoscibile è il linfoblasto Lb, illustrato nella fotografia (a), con un linfocita Lc adiacente. Il linfoblasto è più grande del linfocita e presenta cromatina nucleare fine e dispersa, piccoli nucleoli pallidi e scar-so citoplasma. Alcuni linfoblasti maturano nel midollo diventan-do linfociti B, altri raggiungono il timo dove maturano in linfo-citi T, mentre altri ancora differenziano in cellule natural killer (NK) nel midollo.

I linfociti circolano attraverso i vari tessuti linfoidi e gli altri tessuti del corpo attraverso i vasi sanguigni e linfatici. Essi tran-sitano continuamente attraverso i tessuti e ritornano nella circo-lazione come parte del processo di sorveglianza immunitaria. Le cellule linfoidi hanno una vita media variabile da alcune settima-ne a un tempo indefinito e, a differenza dei granulociti, non sono cellule terminali; essi possono infatti proliferare, e infatti la mag-gior parte della loro proliferazione avviene proprio nei tessuti. La linfopoiesi è un’attività costante del midollo, ma proporzional-mente minoritaria.

I linfociti costituiscono dal 20 al 40% dei leucociti circolanti, variando da 1 a 4,5 × 109/L. I linfociti sono i più piccoli tra i leucociti, solo leggermente più grandi degli eritrociti. Essi presen-tano in genere un nucleo rotondo, oppure ovale, densamente

Malattie dei linfociti

La mononucleosi infettiva è un’infezione virale dovuta al virus di Epstein-Barr. Tra i suoi sintomi vi sono linfoadenopatia (ingrossa-mento dei linfonodi) e, spesso, un notevole incremento della conta di linfociti ematici (linfocitosi). Nei linfociti circolanti sono evidenti una marcata attivazione e cambiamenti reattivi, da cui il

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Fig. 3.16 Monociti (a)-(c) Giemsa (HP) (d) ME ×20.000

La monocitopoiesi, cioè il processo di formazione dei monociti, si distingue in tre stadi morfologici successivi. Il primo è lo stadio di monoblasto, illustrato nella fotografia (a). Queste cellule in seguito maturano, sviluppando granuli citoplasmatici che inizia-no a conferire al citoplasma un aspetto a vetro smerigliato; in questo stadio, la cellula è detta promonocita, come mostrato nell’immagine (b). I promonociti proliferano e maturano a mono-citi, visibili nel campione (c). Un tipico promonocita effettua due divisioni cellulari successive per produrre quattro monociti in un processo che impiega circa 60 ore.

I monociti sono i più grandi tra i leucociti (possono raggiun-gere i 20 µm di diametro) e costituiscono dal 2 al 10% dei leuco-citi circolanti nel sangue periferico. Essi circolano nel sangue in media da 3 a 4 giorni prima di migrare nei tessuti. Queste cellule hanno alta motilità e attività fagocitaria e possono maturare nei tessuti a macrofagi residenti tissutali, dove possono sopravvivere a lungo, proliferare e assumere forma e funzioni diverse. Tra le cellule di origine monocitaria si annoverano anche le cellule den-dritiche della milza e dei linfonodi, le cellule di Langherans della cute, le cellule di Kupffer del fegato, gli osteoclasti e la microglia del sistema nervoso. Anche se tutte queste cellule originano dal compartimento mieloide e condividono alcuni progenitori con i monociti, la loro migrazione nei tessuti avverrebbe solo in certe fasi precoci dello sviluppo e il loro mantenimento sarebbe garan-tito in condizioni normali dalla proliferazione in situ.

I monociti, nella fotografia (c), sono caratterizzati da un gran-de nucleo eccentrico che si colora meno intensamente degli altri

leucociti a causa di una cromatina meno addensata. La forma del nucleo è variabile, ma in genere presenta una profonda indenta-tura nella parte del nucleo rivolta verso il centro della cellula, avendo così l’aspetto tipico di un ferro di cavallo. Possono esse-re evidenti due o più nucleoli. Il citoplasma è abbondante e si colora di grigio-blu pallido con il metodo di Romanowsky. Si vedono anche numerosi piccoli granuli lisosomali colorati di viola e vacuoli citoplasmatici che conferiscono l’aspetto a vetro smerigliato.

In microscopia elettronica, immagine (d), è evidente che il citoplasma contiene vari ribosomi, poliribosomi e un po’ di reti-colo endoplasmatico rugoso. L’apparato di Golgi G è ben svilup-pato e localizzato, con il centrosoma in prossimità dell’indenta-tura del nucleo. Sono evidenti anche molti piccoli mitocondri M di forma allungata. Brevi pseudopodi P si estendono dalla cellu-la, riflettendone l’attività fagocitaria e i movimenti ameboidi.

I granuli citoplasmatici Gr dei monociti sono elettrondensi e omogenei. Metà di essi assomiglia ai granuli primari (azzurrofili) dei neutrofili e contiene mieloperossidasi, fosfatasi acida, elastasi e catepsina G. L’altra metà è costituita da granuli secretori conte-nenti proteine del plasma, proteine di adesione di membrana e fattore di necrosi tumorale α (tumor necrosis factor alfa, TNF-α).

I monociti sono in grado di espletare fagocitosi e digestione lisosomale in modo continuativo grazie alla capacità di rigenera-re i propri componenti e di utilizzare un metabolismo aerobio oppure anaerobio a seconda della disponibilità di ossigeno nel tessuto.

G apparato di Golgi Gr granuli lb linfoblasto lc linfocita M mitocondrio p pseudopodio

Funzioni dei monociti

I monociti circolano nel sangue e rispondono a segnali chemio-tattici provenienti dai tessuti danneggiati, dai microrganismi e dai focolai di infiammazione migrando nei tessuti e differenziandosi in macrofagi. Grazie alla loro attività fagocitaria e al ricco conte-nuto di enzimi idrolitici, essi incorporano e degradano i detriti dei tessuti e i corpi estranei. I monociti sopravvivono e proliferano nei tessuti come macrofagi se vengono adeguatamente stimola-ti da fattori di crescita, come l’M-CSF, il GM-CSF e l’IL-3, ma non rientrano nella circolazione sanguigna.

I macrofagi presentano recettori per molte citochine e che-miochine, tra cui l’interferone γ (IFN-γ), una citochina prodotta dai linfociti T (vedi Cap. 11).

Essi possono processare gli antigeni e presentarli alle cellule T per promuovere la risposta immunitaria adattativa.

Possono anche secernere numerose chemiochine, citochine e fattori di crescita implicati nell’infiammazione, nella riparazione e rigenerazione dei tessuti.

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Fig. 3.17 linfociti (a-c) Giemsa (HP) (d) ME ×15.000

I linfociti hanno un ruolo fondamentale nei meccanismi di difesa immunologici e saranno descritti in dettaglio nel Cap. 11. La produzione di linfociti da parte della cellula staminale emopoie-tica inizia nel midollo. La più precoce cellula riconoscibile è il linfoblasto Lb, illustrato nella fotografia (a), con un linfocita Lc adiacente. Il linfoblasto è più grande del linfocita e presenta cromatina nucleare fine e dispersa, piccoli nucleoli pallidi e scar-so citoplasma. Alcuni linfoblasti maturano nel midollo diventan-do linfociti B, altri raggiungono il timo dove maturano in linfo-citi T, mentre altri ancora differenziano in cellule natural killer (NK) nel midollo.

I linfociti circolano attraverso i vari tessuti linfoidi e gli altri tessuti del corpo attraverso i vasi sanguigni e linfatici. Essi tran-sitano continuamente attraverso i tessuti e ritornano nella circo-lazione come parte del processo di sorveglianza immunitaria. Le cellule linfoidi hanno una vita media variabile da alcune settima-ne a un tempo indefinito e, a differenza dei granulociti, non sono cellule terminali; essi possono infatti proliferare, e infatti la mag-gior parte della loro proliferazione avviene proprio nei tessuti. La linfopoiesi è un’attività costante del midollo, ma proporzional-mente minoritaria.

I linfociti costituiscono dal 20 al 40% dei leucociti circolanti, variando da 1 a 4,5 × 109/L. I linfociti sono i più piccoli tra i leucociti, solo leggermente più grandi degli eritrociti. Essi presen-tano in genere un nucleo rotondo, oppure ovale, densamente

colorato con cromatina addensata e relativamente scarso citopla-sma chiaro, basofilo e agranulare, come si nota nel leucocita del campione (a). Questi piccoli linfociti sono forme “inattive”.

Una parte dei linfociti normali è più grande e con nuclei più grossi, più citoplasma e un piccolo numero di granuli citoplasma-tici. Queste forme sono dette grandi linfociti granulari (large granular lymphocytes, LGL) e rappresentano le cellule natural killer o linfociti T citotossici nell’immagine (b).

Lo stato del nucleo e la quantità di citoplasma sono dipen-denti dall’attività della cellula. Quando si trovano in fase di atti-vazione o proliferazione, i linfociti aumentano la loro dimensione e presentano nuclei più grandi, con cromatina dispersa, nucleoli grandi e visibili e citoplasma più abbondante. Alcune di queste cellule reattive possono circolare nel sangue, in particolare duran-te i processi infiammatori; i linfociti B attivati possono stabilirsi nei tessuti e maturare a plasmacellule che vivono più a lungo e secernono abbondanti anticorpi.

L’immagine ultrastrutturale in (d) mostra un piccolo linfocita circolante all’interno di un capillare polmonare. Il nucleo è roton-do ma leggermente indentato e la cromatina moderatamente ad-densata; non sono presenti nucleoli. Il citoplasma sparso contiene pochi mitocondri, un rudimentale apparato di Golgi, poco retico-lo endoplasmatico e, di contro, un gran numero di ribosomi liberi. La membrana plasmatica mostra piccole proiezioni citoplasmati-che che sembrano piccoli microvilli.

Malattie dei linfociti

La mononucleosi infettiva è un’infezione virale dovuta al virus di Epstein-Barr. Tra i suoi sintomi vi sono linfoadenopatia (ingrossa-mento dei linfonodi) e, spesso, un notevole incremento della conta di linfociti ematici (linfocitosi). Nei linfociti circolanti sono evidenti una marcata attivazione e cambiamenti reattivi, da cui il

nomedellapatologia.Unaumentodipiccoli linfociti dipiccolataglia e forma omogenea è invece evidenziabile nel sangue di pazienti affetti da leucemia linfatica cronica (LLC), una patologia oncoematologica più frequente nell’anziano.

leucociti a causa di una cromatina meno addensata. La forma del nucleo è variabile, ma in genere presenta una profonda indenta-tura nella parte del nucleo rivolta verso il centro della cellula, avendo così l’aspetto tipico di un ferro di cavallo. Possono esse-re evidenti due o più nucleoli. Il citoplasma è abbondante e si colora di grigio-blu pallido con il metodo di Romanowsky. Si vedono anche numerosi piccoli granuli lisosomali colorati di viola e vacuoli citoplasmatici che conferiscono l’aspetto a vetro smerigliato.

In microscopia elettronica, immagine (d), è evidente che il citoplasma contiene vari ribosomi, poliribosomi e un po’ di reti-colo endoplasmatico rugoso. L’apparato di Golgi G è ben svilup-pato e localizzato, con il centrosoma in prossimità dell’indenta-tura del nucleo. Sono evidenti anche molti piccoli mitocondri M di forma allungata. Brevi pseudopodi P si estendono dalla cellu-la, riflettendone l’attività fagocitaria e i movimenti ameboidi.

I granuli citoplasmatici Gr dei monociti sono elettrondensi e omogenei. Metà di essi assomiglia ai granuli primari (azzurrofili) dei neutrofili e contiene mieloperossidasi, fosfatasi acida, elastasi e catepsina G. L’altra metà è costituita da granuli secretori conte-nenti proteine del plasma, proteine di adesione di membrana e fattore di necrosi tumorale α (tumor necrosis factor alfa, TNF-α).

I monociti sono in grado di espletare fagocitosi e digestione lisosomale in modo continuativo grazie alla capacità di rigenera-re i propri componenti e di utilizzare un metabolismo aerobio oppure anaerobio a seconda della disponibilità di ossigeno nel tessuto.

I macrofagi presentano recettori per molte citochine e che-miochine, tra cui l’interferone γ (IFN-γ), una citochina prodotta dai linfociti T (vedi Cap. 11).

Essi possono processare gli antigeni e presentarli alle cellule T per promuovere la risposta immunitaria adattativa.

Possono anche secernere numerose chemiochine, citochine e fattori di crescita implicati nell’infiammazione, nella riparazione e rigenerazione dei tessuti.

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taBella 3.5 Caratteristiche dei principali tipi cellulari del sangue

eritrociti neutrofili eosinofili Basofili linfociti Monociti piastrine

Dimensioni 6,7-7,7 µm 12-14 µm 12-17 µm 14-16 µm 5-20 µm 16-20 µm 1,5-3,5 µm

Numero in circolo

3,9-6 × 1012/L 1,5-7,5 × 109/L

0,04-0,5 × 109/L

<0,2 × 109/L 1,5-4 × 109/L 0,2-0,8 × 109/L

150-500 × 109/L

Percentuale dei leucociti totali

40-75% 1-6% <1% 20-50% 2-10%

Durata media del diffe- renziamento

5-7 giorni dallo stadio di pro- eritroblasto

7 giorni dallo stadio di mielocita

6-9 giorni dallo stadio di mielocita

6-9 giorni dallo stadio di mielocita

1 giorno dallo stadio di precursore maturo

2-3 giorni dallo stadio di pro-monocita

4-5 giorni dallo stadio di mega- cariocita precoce

Tasso giornaliero di produzione dal midollo per kg di peso corporeo

3 × 109 1,5 × 109 0,22 × 109 0,17 × 109 2,5 × 109 piastrineda ~106 megacariociti

Tempo medio di permanenza in circolo

120 giorni 8-12 ore 18 ore 3 giorni In transito 30 ore 7-10 giorni

Vita media dopo rilascio dal midollo

120 giorni 3-4 giorni 3-12 giorni Giorni: più a lungo nei tessuti(?)

Variabile Giorni: anche anni come macrofago tissutale

7-10 giorni

taBella 3.6 Funzioni dei principali tipi cellulari del sangue

tipo cellulare Funzione altre informazioni

Globuli rossi (eritrociti)

Trasporto di ossigeno e anidride carbonica

Cellule terminali anucleate; specializzate per flessibilità meccanica; vita media 120 giorni; contengono alte concentrazioni di emoglobina

Neutrofili Infiammazione e difesa antibatterica

Cellule terminali differenziate; migrano nei tessuti e non ritornano in circolo; contengono numerosi granuli con funzioni pro-infiammatorie e antimicrobiche; fagocitano e distruggono i batteri

Eosinofili Infiammazione e difesa da parassiti

Cellule terminali differenziate; migrano nei tessuti e non ritornano in circolo; contengono numerosi granuli con funzioni pro-infiammatorie e antiparassitarie

Basofili Infiammazione, allergie e difesa da parassiti

Cellule terminali differenziate; migrano nei tessuti e non ritornano in circolo; contengono numerosi granuli con funzioni pro-infiammatorie

Monociti Infiammazione e difesa dalle infezioni

Migrano nei tessuti e maturano in macrofagi; possono diventare cellule residenti a lungo termine nei tessuti con forma e funzioni specializzate; fagocitano microrganismi e detriti; principale fonte di produzione di citochine

Linfociti Risposta immunitaria adattativa

Dopo maturazione negli organi linfoidi primari possono proliferare nei tessuti e ricircolano attraverso il sangue

Piastrine (trombociti)

Coagulazione del sangue (emostasi)

Corpuscoli cellulari anucleati prodotti dalla frammentazione del citoplasma dei megacariociti; principale fonte di fattori di crescita nei siti di danno vascolare e tissutale

rIepIloGo

L’esame del sangue (esame emocromocitometrico, abbreviato più comunemente in emocromo) generalmente prevede la conta delle cellule nel sangue e informazioni sulla dimensione degli eritrociti e delle piastrine. Questi parametri variano in diverse condizioni. I valori di normalità nel neonato variano con l’età e possono cambiare da un giorno al successivo. I valori di normalità del bambino sono diversi da quelli dell’adulto e i valori nell’uomo e nella donna sono diversi a par-tire dall’adolescenza e fino alla menopausa. Vi sono anche differenze legate all’etnia, piccole differenze dovute alla tecno-logia di conta impiegata e differenze dovute alla calibrazione del singolo strumento. Per tutte queste ragioni, i numeri delle conte ematiche riportati in Tab. 3.5 sono semplicemente indicativi. Per facilitare l’interpretazione dell’emocromo, ogni laboratorio di analisi fornisce appropriati intervalli di normalità di ogni parametro calibrati sulla demografia dei pazienti.

Le informazioni riguardanti le dinamiche cellulari, quali la vita media e il tasso di produzione, non sono parte dei normali esami ematologici.

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