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a cena col vampiro MAMMAEDITORI Alice Winchester Miele nero 2011 n.8 Cosa provi quando pensi a lei? Ora che l’hai incontrata. Niente, non provo niente, mentii veloce, sibilando tra i denti.

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Niente, non provo niente, mentii veloce, sibilando tra i denti. M aMMaeditori Cosa provi quando pensi a lei? Ora che l’hai incontrata. 2011 a cena col vampiro n.8

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a cena col vampiroMaMMaeditori

Alice Winchester

Miele nero

2011n.8

Cosa provi quando pensi a lei? Ora che l’hai incontrata.

Niente, non provo niente,mentii veloce, sibilando tra i denti.

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ISBN 978-88-87303-49-0 1° edizione marzo 2011

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Immagine di copertina di Valda

In fatto di vampiri ed esseri soprannaturali vari la ma-gia dell’epica sembra più che mai rinnovarsi. Nella koinè letteraria, migliaia di fans di ogni paese, continuano a im-maginarne e a leggerne le avventure. Per questi tipi, la col-lana A cena col vampiro intende dar conto del fenomeno, con l’avvertenza, che non tutte le storie mantengono il profilo adolescenziale e romantico, alcune autrici hanno voluto narrare in modo più crudo le passioni, altre più attratte dal titanismo dei signori della notte, ne hanno descritto detta-gliatamente la violenza. Altre ancora tornano al momento magico in cui sboccia l’amore impossibile.

a cena col vampiro

Collana

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“L’amore è il più bel “demone” che esista.Con un bacio avvelena il sangue.Con uno sguardo rapisce l’anima.

Con una parola incatena il cuore.”R.O.

Lo dedico al mio Papà mago che mi guarda da lassù,

mi manchi.

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Capitolo 1 Il Pentaclo

Gabriel osservava i due corvi nel giardino

La donna riversa a terra gemeva ad intervalli irregolari.Era caduta di schiena, le braccia allargate e le ginocchia

piegate in modo innaturale. I sussurri strozzati fluttuavano nell’ampia stanza vuota, rimbalzando sulle pareti sciupate, impregnate di odore nauseante di muffa e ricordi desolan-ti.

L’unico mobile presente era una poltrona barocca, sulla quale mi trovavo seduto io. Mi ero scelto un’ottima posta-zione; dall’angolo in fondo alla parete, potevo scorgere il giardino traboccante di erbacce attraverso la finestra rotta alla mia sinistra.

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Notai due grossi corvi neri che lottavano a colpi d’ala per contendersi una piccola vittima che non riuscivo però ad identificare. Il loro gracchiare produceva un’eco strana in tutto l’edificio. L’aria calda, di agosto forse, non tenevo più il conto da parecchio ormai, strisciava indifferente nella stanza, passando attraverso i vetri spaccati. Adoravo il cli-ma italiano.

Un terrificante colpo di tosse della donna attirò nuova-mente la mia attenzione su ciò che succedeva all’interno.

Il suo petto si alzava e si abbassava lentamente.Quella ragazza aveva sopportato con dignità impressio-

nante diverse ore di tortura. Lo stoicismo andava ricono-sciuto. Notai il movimento del braccio in un ultimo, inu-tile e straziante tentativo di difendersi. Ovviamente, Blu fu più veloce.

In un secondo le arrivò accanto e, con il piede, calpestò la mano, rompendole qualche falange. La strega si contorse in uno spasmo ed emise il primo vero grido di dolore da quando era iniziato tutto.

Dalla bocca le uscì un abbondante fiotto di sangue: segno che l’emorragia si stava diffondendo all’interno del corpo martoriato. Sbattei le palpebre e sospirai, stanco.

«Accidenti, Blu! – sbottai –. Siamo qui da non so quanto tempo, la vuoi smettere? Tanto non otterrai niente così.»

L’uomo alto dagli occhi neri più dell’inferno, mi rivolse uno sguardo sibillino e sogghignò. Era intento a ripulire la lama del prezioso pugnale rubato alla strega giusto qual-che ora prima. Non aveva certo perso tempo a cercare di capire quale potesse essere il suo miglior utilizzo. Restò per qualche istante come ipnotizzato a fissare la lama sottile e trasparente mossa da un bagliore liquido. Poi fece spallucce con aria sprezzante.

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«Andiamo, Gabriel. Volevo solo fare qualche doman-da alla nostra amica. E poi sai quanto stravedo per l’odore speziato di sangue di strega. Mi allieta la giornata.» Le ma-scelle perfette si contrassero in un sorriso diabolico che per un nanosecondo, lasciò intravedere il demone che si celava dietro l’involucro umano di un bel giovane sulla trentina. Sbuffai e lasciai andare pesantemente la testa sullo schiena-le della poltrona scomoda, battendo entrambe le mani sui braccioli.

Perché doveva essere sempre così maledettamente tea-trale? Se almeno avessi avuto con me il blocco da disegno avrei potuto distrarmi. Era da sempre un piacere irrinun-ciabile per me.

Blu si spostò vicino alla testa della donna; incrociando le braccia si mise a fissarla dall’alto in basso. La pozza di sangue iniziava ad allargarsi sotto il corpo morente, scivo-lando verso sinistra e tingendo di rosso scuro il marmo del pavimento.

L’aroma mi stuzzicò il naso. La mia parte vampiresca ogni tanto aveva bisogno di nutrirsi, ma non ero un vam-piro. Così, altrettanto, a volte la mia parte demoniaca re-clamava di impossessarsi di anime innocenti, ma non ero un demone. Ero entrambe le cose… e qualcosa di più. Un abominio, un esperimento. E nemmeno tanto ben riuscito. La femmina vampiro che si era prestata al tentativo di gene-rare una nuova specie si era concessa a un demone maschio ed era riuscita a dar vita a me. Non avevo mai scoperto che fine avessero fatto entrambi. Fatto sta che mia madre in quanto vampiro era anche umana, perciò ero un essere con tre anime, una di vampiro, una di demone e una umana.

Quando poi, nessuno dei tre mondi si era dimostrato adatto ad accogliermi pienamente, erano apparsi Blu e Isla, i quali mi avevano preso sotto la loro “ala”. Il nostro trio aveva esistenza dai tempi delle crociate, se non ricordavo

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male. Loro due erano antichi, tra i più antichi. Erano de-moni che da millenni girovagavano indisturbati in quella valle di lacrime, meglio conosciuta come Terra, seminando e commettendo ogni sorta di orrore in nome del proprio divertimento. Blu adorava giocare con le sue vittime, spe-cialmente davanti a un pubblico. E io odiavo segretamente quelle esibizioni.

Anzi, le detestavo.Con un movimento preciso della mano, Blu stava fa-

cendo sollevare il corpo della donna come se fosse mosso da fili invisibili. Esso fluttuò sospeso nell’aria fino a trovarsi in piedi a pochi centimetri di distanza dal suo boia. Le palpebre della ragazza facevano visibilmente fatica a non chiudersi per sempre.

«Solo una domanda, giuro», le sussurrò all’orecchio.«Come mai voi streghe odiate tanto noi poveri demoni?

Eppure saprei essere talmente gentile. In realtà non deside-ro altro che carpire qualche segreto della vostra, mi duole ammetterlo, assai potente magia. Ma a mali estremi, estre-mi rimedi, lo dovresti sapere strega.» Aveva parlato sciori-nando un perfetto italiano. Tra le nostre molteplici capaci-tà, vi era il privilegio della conoscenza di tutte le lingue e di tutti i vari dialetti correnti dell’intero globo.

Per tutta risposta, la strega mugolò piano qualcosa di incomprensibile. Iniziavo a chiedermi se ce ne saremmo mai andati.

«Che combinate di bello?» Una voce femminile rim-bombò nella stanza richiamando la mia attenzione verso la porta d’ingresso. Appoggiata allo stipite consunto c’era una ragazza il cui profumo di patchouli mi accarezzò subi-to l’olfatto. I capelli scuri erano perfettamente piegati in un taglio corto a caschetto, lasciandole il collo scoperto. Isla aveva nuovamente cambiato ospite: i demoni erano incor-porei, fatti soltanto di malvagità pura e cattiveria, non po-

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tevano agire materialmente sulla Terra a meno di non im-possessarsi di un corpo. I posseduti venivano praticamente annullati e, nella maggior parte dei casi, non sopravviveva-no all’invasione. Blu non aveva mai cambiato il suo ospite, diceva che ormai si era abituato, ma a Isla piaceva cambiare molto spesso. E le piacevano anche molte altre cose.

A ogni modo, il sesso era pazzesco con lei. Ci lanciam-mo un’occhiata esplicita, poi Blu le rispose: «Bé, ora che mi ci fai pensare...direi niente ormai. Anzi, mi sono stancato.» Detto questo fece sparire il pugnale.

Sospirai di sollievo.Ancheggiando in maniera vistosa, Isla superò Blu e la

sua vittima per dirigersi verso di me. Il rumore che i suoi tacchi producevano quando incontravano il prezioso pavi-mento in marmo scandiva un ritmo lento e invitante, il suo vestito aderente color grigio chiaro esaltava le forme del giovane involucro. Una volta giunta davanti a me, si chinò lentamente, quanto bastò a farmi intravedere il reggiseno rosso, e quando le labbra in prestito assaggiarono le mie, m’invase subito il sapore metallico del sangue fresco. Il viso di lei s’illuminò in un una smorfia maligna.

«Era necessario ucciderla? – provai a chiederle.– Quan-ti anni poteva avere? Diciotto? Diciannove?» La fissavo in quegli occhi scuri, ormai privi di vita. Le tracce di sangue nella sua bocca erano segno, probabilmente, che la ragazza aveva provato a sfuggire al miserabile destino di possessione. Isla, indifferente ad una sola mia parola, fece una piroetta frivola su se stessa, come per farsi ammirare al meglio, e poi esordì: «Vi piace? Io l’ho adorata subito. È bella, giovane, in salute e...– mi guardò leccandosi il labbro superiore –. Anche vergine.» Fece schioccare la lingua.

Io distolsi lo sguardo da lei, cercando di tenere a bada tutte le fantasie che mi stavano prepotentemente invaden-do la mente.

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Blu fece un fischio di approvazione.«Bel colpo Isla. In questo periodo scarseggiano.» Stava

ancora contemplando la strega morente di fronte a lui. Isla sghignazzò sprezzante, mettendo le mani sui fian-

chi. «Ma guarda Blu – disse in tono canzonatorio –. Ga-briel muore dalla voglia di saltarmi addosso eppure, nono-stante gli infiniti anni che ha passato con noi, si fa ancora delle remore!»

Sbuffai, consapevole di essere stato colpito nel segno, ma non risposi, il demone maschio lo fece per me: «Remo-re. Questa è esattamente la cosa alla quale dovremo porre rimedio al più presto, caro il mio esperimento mezzosan-gue. Lo sai che chi non abusa del proprio potere non meri-ta affatto di averlo?» La voce di Blu era glaciale, da brividi.

Mi sistemai meglio sulla poltrona, improvvisamente a disagio per quelle parole. Se avesse voluto uccidermi lo avrebbe già fatto, no? Comunque non era saggio da par-te mia farglielo presente, specialmente perché parole come “porre rimedio” in bocca a lui non potevano certo essere rassicuranti.

In ogni caso potevo farci ben poco. Ero un’entità mali-gna fatta di carne e con una specie di coscienza, ovvero, la peggior cosa quando ti trovavi a condividere l’eternità con il male puro.

Isla mi schernì: «Oh, povero il mio Gabriel», la voce teatrale accentuata. Poi mi si avvicinò all’orecchio e bisbi-gliò: «E dimmi, questi tuoi famosi sentimenti umani dove li metti tutte le volte che mi allarghi le gambe, eh?» Si al-lontanò velocemente da me, ridendosela di gusto.

Sospirai. Non potevo vincere contro loro due.La “missione” di quei demoni era farmi diventare una

delle creature più malvagie che si fossero mai viste, anche se potevo già essere tranquillamente dannato per tutto ciò

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che ero stato capace di fare sotto i loro ordini. Come se rispondessi a comando a un istinto primordiale che a gran voce m’incitava a dare il peggio di me. Ma avevo dei “limi-ti”, come Blu aveva deciso di definirli: la mia condizione di mezzosangue mi rendeva in grado di attingere al male puro sia dalla componente vampiresca, sia da quella demoniaca ma, in fondo, da qualche parte, nascosta chissà dove, c’era anche qualcosa di umano a cui dovevo rendere conto. Non ero mai riuscito a far tacere quella parte di me, o forse non avevo mai voluto, neppure in tutti quei secoli passati in compagnia di demoni venuti dall’inferno. Sospettavo for-temente che quella caccia alle streghe, l’ultima ossessione di Blu appunto, avesse a che fare con questo.

Avevo la netta sensazione che loro due stessero architet-tando qualcosa per poter completare la trasformazione, e sicuramente si sarebbe trattato di una cosa estremamente dolorosa per me. Ricordavo sempre con un brivido le altre centinaia di esperimenti ai quali mi ero sottoposto.

Da parte mia, dovevo ammettere che adoravo perce-pire il crescente, dolce scorrere del male puro nelle vene. Ah, quella sensazione era potere assoluto, droga potente e affascinante. E, tuttavia, terribilmente pericolosa. In quei momenti assaggiavo l’invincibilità, conscio di poter fare e avere qualsiasi cosa desiderassi.

«Questa è ancora viva?», domandò stupefatta Isla, guar-dando la strega con la fronte corrucciata.

«Così pare», rispose annoiato Blu. Lei rise mostrando i denti dritti e bianchi, e si avvicinò all’orecchio dell’altro demone, guardando però me. Mi sporsi in avanti, poggian-do i gomiti sulle ginocchia con fare interrogativo.

Isla si ricompose, mise le mani sui fianchi burrosi e mi fece l’occhiolino prima di allontanarsi con passi sensuali e precisi verso l’uscita. Bene, forse ce ne stavamo andando.

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Blu mi squadrò sollevando lentamente l’angolo destro della bocca, l’espressione apertamente minacciosa. Sbatté le palpebre con forza e il corpo della ragazza si afflosciò in maniera scomposta sul pavimento freddo, emettendo un suono strozzato.

Poi rimase immobile. Probabilmente aveva smesso di soffrire.

Mi sollevai svelto in piedi. «Bé? Allora andiamo?» «Certo. Noi – precisò Blu, indicando l’uscita con un

cenno del capo –. Tu, Gabriel, finisci con la strega.» «“Finisci con la strega”?!» ripetei incredulo.Il demone si schiarì la voce.«Esigo che il corpo sparisca e sai cosa intendo. Non vo-

glio lasciare tracce casomai ci fossero altre della sua specie da queste parti. Come si dice… – sorrise – Quelle ne sanno una più del diavolo. Finito il lavoro, raggiungici.»

«Ma è già morta» replicai nervoso. Detestavo finire i suoi lavori sporchi. Blu drizzò le spalle mentre portava le braccia dietro la schiena. I suoi occhi neri come la pece mi trapassarono il cervello e oltre. Per un secondo invidiai la sicurezza che solo quel genere di potere poteva darti: si sentiva un dio invincibile, e il mio maledetto sguardo che si abbassava ne era la prova. Non ero in grado di sostenere quello scontro e nemmeno mi conveniva.

Corrucciò il mento con fare indifferente mentre sposta-va la sua attenzione da me, al corpo della donna.

«Credimi...– sussurrò con una voce che pareva provenire direttamente dall’inferno –. Con queste qui non si sa mai.» Poi sparì dalla mia vista come solo un demone sa fare.

I corvi nel giardino si librarono in aria con un sordo gracchiare e, subito dopo, nella stanza calò un silenzio sur-reale. Sospirai.

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Certo, per me sarebbe stato tutto molto meno compli-cato se avessi lasciato scorrere nelle vene quella malvagità fredda e distaccata. Invece no. Non ne ero in grado.

Mi concentrai sulla ragazza: il suo cuore aveva smesso di lottare. Meno male, almeno non avrei dovuto darle il colpo di grazia. Avvicinandomi lentamente, un passo dopo l’al-tro, notai in maniera fugace grossi nuvoloni neri nel cielo. Il vento era diventato improvvisamente freddo.

Mi chinai di fianco alla strega e la osservai per qualche minuto. Era davvero carina. Anche tra i lividi, le abrasioni e le chiazze sparse di sangue, potevo intravedere una pelle chiara, rosea. I capelli color rame che ricadevano scomposti sul pavimento e sul suo volto, una volta dovevano essere stati morbidi e lucenti. Lentamente, le abbassai la gonna del vestito scuro che si era alzata involontariamente nella caduta, fino a scoprire il suo indumento intimo. Se fosse stata ancora viva le avrei potuto cancellare i ricordi e nes-suno avrebbe scoperto nulla, come spesso mi capitava di fare all’insaputa dei due demoni. Okay, le streghe erano potenti, ma in quel particolare caso, debole e ferita, la mia volontà sarebbe stata superiore alla sua. E avrebbe potuto tornare a casa.

L’improvviso rantolo che la strega emise mi colse del tutto impreparato, ridestandomi dai pensieri. Era ancora viva! Non ci potevo credere. Con calma calcolata, sollevai la mano fino al suo viso per scostarle dalla bocca una ciocca di capelli impiastricciata di sangue ancora caldo. Adesso che potevo fare? Lei, sempre con le palpebre abbassate, ten-tò di sottrarsi al mio tocco, procurandosi altro devastante dolore. Allora mi decisi. La sollevai un po’ per il torace, delicato ma deciso, cercando di aiutarla a respirare.

Dimenò la testa iniziando a tremare.

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«No, no, calma, non agitarti. Non ti faccio niente, cerca di stare tranquilla», sussurrai. Le colò dalla bocca altro san-gue, ma almeno riuscì a prendere una boccata d’ossigeno.

«Ecco, brava, respira.» Quello era il momento perfetto per cancellarle la memoria. Le sollevai il volto cercando i suoi occhi.

«Guardami. Tu non ricorderai...» Il terreno tremò forte sotto di noi e non terminai la frase.

Un bisbiglio lontano mi arrivò all’orecchio: «Non sono più corpo, il mio spirito è pronto.»

In quel momento, senza preavviso, ondate gelide si irra-diarono ovunque. Sobbalzai ma non mollai la presa. Il ven-to, con una potente folata, terminò di rompere i vetri della finestra e penetrò nella stanza portando aria polare densa di sussurri. Mi voltai a destra e sinistra, sorpreso.

Fu un secondo.D’improvviso mi sentii afferrare il polso da una stretta

micidiale e fredda. Mi girai di scatto e rimasi di sasso. La ragazza mi teneva saldamente, con forza inaudita per

una che doveva essere morta. In quell’istante mi piomba-rono nella mente le parole di avvertimento di Blu: “Con queste qui non si sa mai”.

Avevo compreso il concetto.Nel momento in cui incontrai gli occhi della strega,

ora spalancati e vitrei, percepii il corpo diventare di pietra. Non riuscivo a muovere un muscolo, ero totalmente bloc-cato! Che diavolo stava succedendo? Guardavo inerme la strega mentre, senza mai sbattere le palpebre, muoveva le labbra facendo rotolare fuori parole in una lingua che non conoscevo. Tentavo in ogni modo di divincolarmi ma lei era più forte.

Ero in trappola.

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Mentre una sensazione orribile mi strisciava nelle vene, il vento attorno a noi aveva preso a vorticare, all’interno della stanza in modo del tutto innaturale. Tutto ciò che ci circondava sembrò sgretolarsi, man mano che la potenza del vortice aumentava. Quasi non riuscivo, inspiegabil-mente, a udire o percepire niente di ciò che avevo intorno. Ero completamente ipnotizzato da quei sussurri incom-prensibili. Proprio quando credetti che sarei stato sbalzato via dalla forza spaventosa del vento, tutto terminò.

Era tornato il silenzio.Mi ritrovai immobile, come lei, ancora completamente

bloccato dai suoi occhi privi di espressione. Dopo l’arre-starsi del vento, un alone verdastro ci aveva circondati.

Era come trovarsi sott’acqua. I suoi capelli e i suoi ve-stiti, come probabilmente i miei, iniziarono a sollevarsi e a muoversi come seguissero un moto ondoso. Non avevo mai visto niente del genere. Non avevo mai provato nulla del genere.

A un tratto, la strega aprì la bocca e parlò, quasi bisbi-gliando: «Sei legato a lui più di quanto tu non sappia. At-traverso te, avrò la sua testa.» La sua voce mi rimbombava nella pelle sotto forma di ondate calde e quelle parole mi corsero nelle vene come fiumi di ghiaccio.

Diavolo, non riuscivo a liberarmi dalla forza spaventosa che continuava ad inchiodarmi al pavimento. Tentavo di urlare, di colpire, di scappare, ma invano.

Rantolò: «Le parole che dirò sono per colui che è diviso tra tre mondi. Sarai libero di scegliere se varrà la pena di lottare per l’unica cosa che ti rende umano.» Tentavo di chiamare a raccolta tutto il mio potere, ma niente. Quando la strega parlò ancora, iniziai a percepire un dolore fitto, come se migliaia di aghi mi stessero trafiggendo il cuore. La sensazione aumentò fino a farsi lancinante, tanto che sperai di morire in fretta. Tutto, purché la smettesse.

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«A te che hai compiuto l’abominio, salvato dal fuoco e condannato dall’acqua sarai, davanti al migliore dei mali ti piegherai. Solo con la tua morte, pace mi darai.»

Di colpo, i suoi occhi si rovesciarono all’indietro, il chiarore verdarstro si dissolse in una nebbiolina bianca e io venni improvvisamente sbalzato contro la parete vicino alla finestra.

Crollai a terra. Presi a tossire in maniera convulsa, cercando avidamente

ossigeno. Ero piegato su me stesso e mi premevo con forza le mani sul petto, ancora in preda a un dolore lancinante.

E, come tutto era cominciato, tutto finì. In un secondo.Impiegai non poco a riprendere a pieno le facoltà moto-

rie, indolenzito e scosso. Dopo numerosi tentativi di rimet-termi in piedi, alla fine, stremato, rimasi seduto, schiena contro la parete, in preda al fiato corto. Ero uno straccio sudato.

Poi, lentamente, iniziai a mettere a fuoco ciò che mi doveva essere capitato. Mentre guardavo sconvolto il corpo della strega, stavolta davvero senza vita, notai una strana macchia di sangue al suo fianco: sembrava un cerchio con all’interno strane linee e curiosi scarabocchi.

Cazzo.Un pentacolo. Per la miseria, se era stata furba! Le mie

viscere si contorsero con angoscia per la sinistra consapevo-lezza: ero stato maledetto.

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Capitolo 2 Il Sangue, il Fuoco e l’Acqua

Gabriel osservava la scena con interesse

Adagiai il corpo straziato della strega all’imbocco del viottolo in pietra poco distante da una casa. Era lì che Blu l’aveva rapita. Non ero inspiegabilmente riuscito ad adem-piere al suo ordine di far sparire ogni traccia. Come se mi avesse dominato una sorta di doveroso rispetto per la vita che non c’era più, o qualcosa del genere. Magari ero sem-plicemente ancora intimorito... Avevo permesso ai “famosi sentimenti umani” di annebbiarmi la mente con stupide smancerie, mentre lei si stava silenziosamente pregustando la vendetta! Ribollivo di rabbia e frustrazione accarezzando con sguardo truce quell’ammasso di carne ormai freddo.

Ripassai al setaccio nel mio cervello le parole che erano rotolate fuori da quella bocca adesso immobile, e lo fece forse per la centosettantesima volta: “Salvato dal fuoco e condannato dall’acqua sarai, davanti al migliore dei mali ti piegherai. Solo con la tua morte, pace mi darai”.

Sbuffai inferocito. Quelle parole erano destinate a colui che “è diviso tra tre mondi”. E chi lo era più di me, per un terzo demone, per un terzo vampiro, per un terzo umano?

Non avevano senso però. Nulla di ciò che era accaduto ne aveva. La mia morte poi? E a che cos’è che dovevo pie-garmi?

Ingollai una grossa quantità di veleno, continuando a fissare il volto della ragazza, le mani strette a pugno. Mi concentrai su ciò che aveva detto prima: “Sei legato a lui

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più di quanto tu non sappia. Attraverso te avrò la sua te-sta”. Solo vaneggiamenti. Per forza.

In seguito, a ruota, soppesai mentalmente la frase che più di tutte mi aveva impressionato e colpito: “Sarai libe-ro di scegliere se varrà la pena lottare per l’unica cosa che ti rende umano”. Deglutii nervoso. Come faceva a sapere questa cosa? Cosa avrebbe potuto farmi lottare in nome dei miei sentimenti umani?

Magari si era sbagliata, magari stava bluffando ed io mi sarei dimenticato presto di quell’episodio sgradevole. Spe-ravo proprio di sì.

Stava calando la sera e tutto intorno a me sembrava normale, nessuna traccia delle strane nubi scure comparse misteriosamente poco prima. La differenza era che a me scoppiava la testa e ronzavano sgradevolmente le orecchie. Dannazione! Perché mi ero distratto! Come potevo riferire la cosa a quei due demoni di Blu e Isla? Sobbalzai al pen-siero. Non dovevano neppure sapere che avevo riportato il cadavere a casa.

Non avrei affrontato nessun discorso con nessuno.Non avrei dato importanza alla cosa e fine della discus-

sione. Avrei fatto assolutamente meglio ad eclissarmi da quel luogo e non pensarci...

«Sofiaaaaa!» Un grido mi fece alzare lo sguardo di colpo. I miei occhi registrarono una bambina dai capelli rama-

ti e arruffati che, urlando, stava correndo a perdifiato nella mia direzione. Incontrai le sue pupille umide di lacrime solo per un secondo e in altrettanto minor tempo mi ero già rifugiato al sicuro in cima all’albero poco distante. Vo-levo osservare la scena.

La bambina si era catapultata in malo modo vicino al corpo della strega, iniziando a scuoterlo e scoppiando in

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un pianto terrificante per le mie orecchie, già tormentate dal ronzio.

Avevo sentito parlare del dolore e della sofferenza, spes-so ne ero stato anche l’artefice, ma non lo avevo mai visto manifestato in maniera così disperata. Specialmente in una creatura così giovane.

O meglio, forse non me ne ero mai preoccupato.Rapito, non riuscii a muovere un muscolo, ipnotizzato

dal pianto della bambina. In quel momento lei, ancora in preda ai singulti, si era

afflosciata sopra il petto della ragazza.Dopo qualche istante, venne raggiunta da tre donne,

due giovani e una visibilmente più matura. Una di loro si coprì la bocca con entrambe le mani restando in piedi, mentre le altre si strinsero attorno alle due figure a terra.

Portavano collane con strani ciondoli. Streghe.Troppe per affrontarle da solo, ero stato maledetto a suf-

ficienza quel giorno, grazie. Mi allontanai senza che nessu-no si accorgesse della mia presenza.

Merda. Streghe. La morta aveva delle compagne. Ce n’erano davvero parecchie da quelle parti come Blu temeva. Avevo agito esattamente all’opposto di quanto mi era stato detto di fare. Blu non ne sarebbe stato felice.

In poco tempo raggiunsi il quartier generale del trio. Grazie al potere del controllo della mente umana, poteva-mo avere tutto ciò che desideravamo in un batter d’occhio. E non era poi così difficile abituarsi alla bella vita.

Risiedevamo in un albergo di Torino, io nella Suite pre-sidenziale, e approfittai della enorme stanza da bagno in marmo per farmi una vasca ad idromassaggio. Sotto il getto d’acqua, il fastidioso ronzio smise di torturarmi, anche se

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per poco. Per un lasso di tempo infinito, cercai di riordina-re le idee e stabilire un piano sul da farsi.

Okay.Per il momento avrei tenuto la bocca chiusa, tanto non

c’era niente di cui parlare, giusto? Quando uscii dalla vasca gocciolante d’acqua, mi cinsi alla vita un morbido asciuga-mano di spugna e mi soffermai ad osservare la mia imma-gine riflessa nello specchio, incuriosito dall’idea di poter scorgere qualcosa di diverso. Magari le maledizioni delle streghe avevano qualche effetto collaterale esterno, a par-te il dannatissimo ronzio. Poggiai entrambe le mani sulla mensola del lavabo e mi abbassai un poco.

Apparentemente, nulla sembrava diverso.L’immagine riflessa di eterno ventenne mi scrutava di

rimando.Feci scorrere attentamente le dita sul profilo della ma-

scella, voltandomi prima a destra poi a sinistra, mi passai una mano nei capelli castani e fissai i miei occhi grigi scre-ziati di nero, la parte palesemente umana di me. Nessuna creatura demoniaca o vampiresca possiede sfumature negli occhi che siano simili al colore di quelli umani.

In seguito, sfiorai con i polpastrelli il punto esatto in cui avevo sentito come se mille spilli mi stessero perforan-do mentre quella strega pronunciava la sua maledizione, esattamente nel centro del petto. Forse in quel punto...no, niente di anormale.

Sospirai sollevato. Avrei fatto meglio a non farmi sug-gestionare.

A un tratto, qualcosa o qualcuno, comparve prepoten-temente nel riflesso dello specchio.

«Isla.» Non l’avevo sentita materializzarsi.«Adoro il tuo bel visino da predatore.» La voce era bassa.

La stanza si riempì velocemente del profumo di patchouli.

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Seguii con occhi sospettosi quel riflesso avvicinarsi a me, fino a trovarsi accanto al mio fianco destro.

Lo aveva fatto intenzionalmente piano, per permetter-mi di ammirare la sua giovane ospite.

In effetti, così era stato. Indossava un bustino nero stret-to senza spalline che le metteva in mostra il seno generoso, un perizoma dello stesso colore e le scarpe alte, impertinen-ti. Qualcosa dentro di me si mosse, stimolato.

Mi concentrai nuovamente sul mio riflesso.«Non ora, Isla.» Avevo veramente troppi pensieri. Come

se non mi avesse affatto sentito, mi scostò un poco indietro e s’infilò davanti a me, a ridosso del lavandino di ceramica, e iniziò a passarmi in rassegna gli addominali con l’unghia del dito indice. La pressione dell’unghia aumentava e dimi-nuiva a tratti. Gli occhi neri si insinuarono violentemente nei miei pretendendo attenzione come una bambina ca-pricciosa. Ridacchiò sorniona, iniziando a strusciarsi, cre-ando vibrazioni interessanti mirate al mio asciugamano. Cominciò a leccarmi le gocce d’acqua residue sul petto fino al collo e un brivido di eccitazione mi serpeggiò lungo la schiena.

Arrivata all’altezza dell’orecchio, sussurrò: «Ci hai mes-so un po’ oggi con quella strega. Non è che ti sei divertito a mia insaputa, vero?» Isla adorava essere volgare, diceva che si eccitava. E io avrei dovuto evitare di fare lo strano, o avrebbe sicuramente capito che le nascondevo qualcosa. Non si può ingannare il maestro dell’inganno.

«Tranquilla, quando voglio divertirmi so benissimo chi chiamare.» Dovevo distrarla da quel discorso.

Mi inumidì le labbra con la lingua, prima il labbro in-feriore poi quello superiore e, istintivamente, i canini da vampiro mi sbucarono dalle gengive, accompagnati da un ringhio basso di gola.

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Isla si issò a sedere sulla mensola gelida del lavabo allar-gando le gambe lentamente, invitandomi silenziosamente. Feci scivolare le mani su quei seni giovani e sodi, strap-pandole dei gemiti e lasciando che la voglia di sesso si im-padronisse completamente di me. Tra noi non esistevano “preliminari”, si trattava di pura lussuria.

Isla mi si aggrappò alla schiena attirandomi e facendo-mi cadere l’asciugamano a terra. Continuava a bisbigliare parole in lingue arcane.

Non mi feci pregare oltre: le strappai il perizoma con decisione ed entrai in lei con forza, serrandole una mano dietro la schiena e facendola gridare di piacere. Affondavo in quelle cosce senza rispetto con colpi vigorosi, fino a che l’odore inebriante del sangue della vergine di cui Isla si era impadronita mi tramortì la gola, risvegliando una sete che da molti giorni non placavo. Lei inclinò la testa da un lato, eccitandosi di più all’idea di ciò che stavo per fare.

Inutile resistere.Le feci penetrare i denti aguzzi nel collo dissetandomi

con urgenza, nello stesso momento in cui lei raggiungeva l’orgasmo. Il calore del sangue fresco si avventò veloce e straordinario in tutto il mio corpo, regalandomi scariche di piacere e facendomi esplodere dentro di lei poco dopo.

Banale sesso demoniaco che non servì infatti a togliermi di dosso il pensiero fastidioso della strega. Ma bastò a nutrir-mi dal momento che quello era il sangue di una donna che avevo deflorato io stesso. L’ospite di Isla era rimasta vergine fino a pochi istanti prima per tutta la sua breve vita.

L’anatema continuò a torturarmi quella notte e i giorni che seguirono.

Ne erano passati circa trenta da quando avevo avuto lo spiacevole incontro. Tutto era tornato nella quotidianità,

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né più né meno. Lo sapevo che non avrei dovuto stare in allarme. “Meglio così”, mi ripetevo assai soddisfatto.

Eravamo sempre a Torino ma Isla aveva espresso la vo-lontà di volersi spostare e preferibilmente verso Oriente. In ogni caso Torino vantava una speciale posizione esote-rica, situata esattamente sul quarantacinquesimo parallelo, ovvero sulla metà del’emisfero Nord e collocata sopra un importante nodo energetico grazie alla confluenza di tre fiumi. Era però nell’oscurità dei suoi cunicoli pieni di sim-boli magici che la città traeva la sua forza oscura. Formava, collegata con Londra e San Francisco, il mistico “triangolo nero”. E a tratti, percepivo chiare vibrazioni maligne.

Quel giorno ci stavamo dirigendo, Blu e io, ad esamina-re ancora una volta il “quadrato magico”. Il demone con-tinuava a credere che quel palindromo formato da cinque parole e impresso su un muro potesse fornirgli una sorta di rivelazione.

Io continuavo ad attribuire il suo significato proprio alla capacità di imbrigliare demoni come lui costringendoli a leggere e rileggere le medesime lettere, ma decisi comun-que di proseguire in sua compagnia verso il centro della cit-tà. Isla non era venuta con noi, ci aveva liquidato dicendoci di aver altro a cui dedicarsi.

Il nostro transito a piedi per le strade non passava mai inosservato. Tutto di noi attirava l’attenzione: il modo di camminare, il nostro sguardo, il profumo, il fisico attra-ente. L’energia che riuscivamo ad emanare colpiva tutti indistintamente, uomini, donne e bambini, anche se in maniera differente per ogni categoria; il nostro spirito di adattamento era strabiliante perché, con lo studio e con l’attenta osservazione, riuscivamo a tenerci aggiornati su tutto ciò che ci circondava anche se non eravamo figli di quel tempo.

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La nostra escursione procedette tranquillamente fino a che Blu, improvvisamente annoiato da tutta quella calma, decise di movimentare un po’ le cose. Non avevo ancora capito le sue intenzioni che lui scomparve alla mia vista e, immediatamente dopo, un forte scoppio si levò dall’edifi-cio di fronte, seguito da grida di disperazione, fumo denso e grigio, detriti ovunque e da un fuggi-fuggi generale. Cer-te cose non cambiano mai, pensai.

Blu diceva che i momenti di panico generale erano i migliori per concludere “affari” perché la paura di morire faceva fare alla gente qualsiasi cosa. In quei momenti lo spi-rito di sopravvivenza prendeva il sopravvento e le persone diventavano splendidamente egoiste, dando così il peggio di loro stesse.

Chiusi gli occhi e sospirai. Sapevo di stonare in quello scenario apocalittico, fermo ed immobile com’ero, mentre la gente mi correva accanto in fuga.

Un altro scoppio. Altro fumo. Altre grida. Poi le fiam-me. Cazzo, Blu si stava proprio divertendo. Di lì a poco sarebbero arrivati i vari soccorsi e se volevo approfittare della situazione per nutrirmi, avrei dovuto sbrigarmi. Mi concentrai allora alla ricerca di una voce in particolare, o meglio, di un grido in particolare. Un grido femminile e dolce dalle note di freschezza inconfondibili. Le note che contraddistinguevano le voci delle vergini, le uniche che volevo udire. Una donna già introdotta al sesso non dal sottoscritto mi avrebbe solamente indebolito.

Cercai di individuare la fonte di quel suono argentino. Poi di colpo... trovata. Una ragazza chiedeva aiuto dal retro dell’edificio, forse era intrappolata. Perfetto.

Riaprii gli occhi e mi fiondai in quella direzione. Zigza-gai tra la gente veloce come una folata di vento fino a che non individuai la ragazza, la quale era a terra, con una gam-ba mezza sotterrata dalle macerie dell’ex muro portante.

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C’era molto sangue, l’odore era penetrante e inconfondi-bile. Non mi ero sbagliato, era ciò che faceva al caso mio.

Lei stava cercando di divincolarsi dalla morsa dei detri-ti. Intorno non c’era nessuno che potesse vederci. La rag-giunsi e mi sistemai vicino a lei, che subito mi afferrò la mano saldamente, ripetendo senza sosta “aiutami ti prego” con voce tremante.

Quando incontrò i miei occhi si chetò per alcuni secon-di e poi tentò di balbettare qualcosa di incomprensibile. Con una mano le presi la sua e con l’altra le tenni la testa per sorreggerla, senza mai staccare il contatto visivo, fonda-mentale per il controllo della volontà.

«Stai tranquilla», le sussurrai, certo che lei potesse udir-mi distintamente malgrado tutto quel fracasso. Funzionava così. «Non sentirai niente e non ricorderai niente.» In segui-to l’avrei posizionata vicino ai soccorsi e mi sarei dileguato.

Mi feci prepotentemente strada nella sua mente, scan-sando ricordi, emozioni e pensieri fino a che il suo corpo mi si rilassò tra le braccia. Notai subito che sul braccio ri-portava abrasioni piuttosto profonde. Mi sarei nutrito da lì onde evitare di lasciare tracce evidenti.

All’improvviso un nuovo scoppio, altri detriti volarono fuori dalla breccia nel muro, accompagnati anche da lingue di fuoco. Il fumo nero ci avvolse entrambi facendomi per-dere per pochi secondi il contatto visivo. In quella frazione di momento la ragazza gridò ancora, si mosse sconvolta e si aggrappò a me in maniera scomposta, strappandomi mezza camicia e sporcandomi di sangue. Il suo respiro ed il battito del cuore stavano diventando pericolosamente irregolari. Non c’era più tempo.

Anche se iniziavo a sentire addosso il caldo del fuoco, ormai dovevo finire.

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I canini si erano già allungati allo scoperto, pronti e in attesa. Sentii vicino le sirene di ambulanze. Deglutii con forza ed afferrai il viso della giovane con entrambe le mani, concentrandomi.

Dovevo riportarla subito sotto il mio controllo.«Ascolta la mia voce e rilassati. Voglio che tu ti abban-

doni a me.» Lo fece.«Dimmi che lo vuoi anche tu.» Nessuna aveva mai detto

di no.«S-sì», gracchiò.«Dormi. Ora. Al tuo risveglio non ricorderai più nien-

te.» Quando la ragazza chiuse gli occhi io affondai i miei denti nella carne tenera del suo avambraccio e ingollai, al primo sorso, una notevole quantità di sangue.

Ah, magnifico.Era dolce, giovane, saporito, poco denso. Succhiai anco-

ra, però iniziava a fare decisamente troppo caldo. Di nuovo un sorso... percepii nettamente ogni singolo muscolo del mio corpo che riprendeva vigore. Avevo scelto assai bene...poi uno strano odore mi arrivò al naso, ma ero troppo con-centrato nell’atto di nutrirmi...

«Oddio! Stai attento!» Una voce gridò forte alle mie spalle.

Diceva a me? Feci per voltarmi, nel tentativo di capire cosa poteva avermi distratto quando...

Venni completamente sommerso da un getto di acqua gelida provando, inspiegabilmente, un certo sollievo. Sob-balzai colto alla sprovvista mi voltai di scatto.

«Stavi quasi prendendo fuoco!» Mi passai velocemente le dita sulle palpebre bagnate e

scandagliai ciò che si trovava davanti a me.Una ragazza con in mano un contenitore scuro. Feci

per dirle di andarsene, trattenendo a stento un ringhio, ma

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quando incontrai i suoi occhi fu come se tutto intorno a me assumesse all’improvviso un’inquietante modalità sfumata.

Non c’era nient’altro oltre a lei e ai suoi occhi mera-vigliosamente verdi. Poi di colpo avvertii un dolore netto al petto, come se artigli affilati si stessero divertendo a vi-visezionare il muscolo del cuore. Durò un solo secondo e passò.

Vidi quel viso d’angelo corrucciarsi, forse dovevo dire qualcosa?, e venire verso di me. Deglutii, completamente inebetito e sconvolto dalla miriade di sensazioni da cui ero bersagliato. Lo stomaco iniziò a contorcersi come mai mi era capitato. Il suo profumo, forse muschio bianco?, s’im-possessò feroce dei polmoni, rendendoli felici. Da quel cor-po proveniva un’energia che mi era totalmente sconosciuta. Che diavolo mi stava succedendo? Non ragionavo più, non riuscivo a pensare in maniera razionale, sapevo soltanto che mai avrei voluto smettere di fissare quella creatura.

Mi stavo pure dimenticando della ragazza che tenevo tra le mani.

Quando fu a un passo da me, chiese preoccupata: «Come ti senti? Ce la fai a camminare almeno tu?» Si acco-vacciò alla mia altezza.

Cazzo, com’era bella.Era magnifica. Era...Avrei voluto...cosa? Morderla? Toccarla? Farla mia? Ba-

ciarla? Accarezzarla? Pregare che mi volesse? Sì e no tutte quelle cose… io...io...non riuscivo a muovermi, ero come in trance.

Mi poggiò con fermezza la mano sulla spalla, facendomi involontariamente trasalire.

«Non ti preoccupare, resta qui, vado subito a chiamare i soccorsi!»

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Dalla bocca invitante e rossa naturale erano uscite delle parole, ma non le avevo comprese. Ero troppo occupato a constatare che, sotto il suo tocco, il mio corpo da uomo aveva risposto e le orecchie avevano cessato di ronzare.

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Capitolo 3 Un tipo strano e bellissimo

Alissa udì uno scoppio

Quella mattina di settembre il sole non lasciava scam-po a nessuno. Risplendeva nel cielo privo di nuvole. Mi ero svegliata presto perché, oltre a evitare così le ore più calde, dovevo andare a ritirare dal fotografo le mie nuove stampe per il ristorante. Papà mi aveva dato il permesso di attaccarne un’altra alla parete della sala più grande. Ado-ravo la fotografia e stavo lavorando al progetto di poter adibire una stanza di casa come camera oscura personale. Dovevo ancora darmi da fare: mio padre non si era per il momento rassegnato ad accettare il mio rifiuto di andare all’università, ed era meglio non avanzare troppe pretese. Avevo appena finito la maturità diplomandomi alla scuola d’arte con il massimo dei voti ma il lavoro al ristorante mi era sempre piaciuto e lo avevo sempre svolto con allegria. L’idea un giorno di rilevare l’attività non mi dispiaceva per niente. Quindi avevo chiesto il permesso di poter vivere l’esperienza di un anno sabbatico, in attesa di trovare l’ispi-razione. Mio padre aveva mugugnato per un intero mese, ma sapevo che la mia costante compagnia al ristorante gli faceva piacere: io mi dedicavo di accogliere i clienti, servivo ai tavoli, rispondevo al telefono e stavo alla cassa. Alleg-gerivo in pratica la mole di lavoro che altrimenti sarebbe ricaduta su di lui, che era lo chef, e sugli altri due, i gemelli trentenni Paolo e Renato. Il primo era l’aiuto cuoco e il secondo il cameriere tuttofare.

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Eravamo una specie di famiglia allargata, considerando il fatto che passavamo tutti più tempo al lavoro che a casa. L’unica mia fortuna in quel senso era che abitavamo sopra il ristorante; diciamo che facevo presto a tornare a casa ma che alla fine non mi sentivo mai completamente libera.

Mi preparai velocemente, avevo optato per una maglia a strisce bianche e grigie con una spallina sola e dei jeans corti, per via della temperatura. Lasciai papà a dormire, inforcai le cuffie del mio mp3 accendendolo sulla mia can-zone preferita degli AC/DC, “Anything goes”, e partii in missione per una bella passeggiata.

Camminavo sicura e spedita, le note della musica sovra-stavano perfettamente il ritmo caotico e stressante che c’era intorno a me. Percepivo solo il vento caldo che mi colpiva il corpo come provenisse da un forno e mi scostai i lunghi capelli dal collo. Iniziavano a darmi fastidio come avessi avuto una sciarpa. Ero quasi giunta alla meta quando, mu-sica o non musica, lo sentii: uno scoppio tremendo, fortis-simo. Io, come tutte le persone nelle immediate vicinanze, sobbalzammo strillando.

Strappai velocemente le cuffie dalle orecchie e mi venne istintivo dirigermi verso quel rumore, seguendo uno sparu-to gruppetto di coloro che avevano impiegato meno tempo di me a domandarsi che cosa fosse successo. L’adrenalina mi andò subito alla testa, il cuore a mille. Dopo aver per-corso correndo qualche centinaio di metri arrivai davanti a ciò che fino a poco prima era stato un bar. Attimi di panico. Intorno a me era il delirio, gente ferita che gridava, altri che correvano, altri che assistevano impietriti, altri che spiegavano cosa era accaduto.

Iniziarono a tremarmi le gambe e percepii la nausea al-largarmi prepotentemente lo stomaco. Sembrava l’apoca-lisse! L’aria era quasi bianca tanta era la polvere intorno, a terra solo detriti. Poi il fuoco. Feci per prendere il cellulare

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ma le mani tremavano così tanto che dovetti rinunciare. Sicuramente qualcuno più lucido di me aveva già avver-tito le autorità! Avevo il fiato corto e un grosso problema motorio, ma cercai comunque di impormi di tentare di fare qualcosa. Una qualsiasi fottuta cosa. Poi notai che le persone dei negozi adiacenti al bar distrutto erano riusciti a trovare dei secchi e in diversi stavano miseramente ten-tando di smorzare le fiamme. Poi il peggio: un altro terri-bile scoppio, altre fiamme, altro fumo e altri pezzi di edi-ficio schizzarono via. Molti si allontanarono e pregai che dentro non fosse rimasto intrappolato nessuno, anche se avevo dubbi a riguardo. Ma quanto cavolo ci mettevano i soccorsi ad arrivare? Voltavo lo sguardo a destra e sinistra, ancora più spaventata al pensiero di cosa sarebbe potuto ancora accadere se non si sbrigavano ad intervenire, quan-do intravidi due sagome. Strizzai le palpebre tentando di proteggere gli occhi dal pulviscolo. Si, erano due figure! Non sembrava che qualcuno li avesse notati perché stavano nel vicolo adiacente al bar, mentre tutti erano impegnati a recuperare le persone che stavano davanti. Oddio, a uno di quei due stava prendendo fuoco una gamba! E lui era immobile! Non posi tempo in mezzo, una volta strappato di mano un misero contenitore di plastica colmo d’acqua a un signore, scattai il più velocemente possibile verso en-trambi. Superai i vari detriti, scartando a destra e sinistra e cominciai ad urlare a squarciagola: «Oddio! Stai attento!»

Presi maldestramente la mira e rovesciai tutto il secchio addosso al ragazzo.

Lo vidi trasalire e voltarsi di scatto. Molto di scatto.Stava cercando di aiutare qualcuno. Sotto di lui sembra-

va esserci una ragazza. Forse nel panico non si era accorto che lui stesso stava rischiando di bruciare vivo. «Stavi quasi prendendo fuoco!!», lo incalzai.

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Lui si passò velocemente la mano sugli occhi, asciugan-doseli, e poi mi fissò. O meglio. Mi catturò completamente nelle sue pupille grigie. Per un attimo mi si bloccò il respiro tanto era bello.

Smettila Alissa! Vergogna! Guarda a cosa stavo pensan-do in un momento simile! Lui non disse niente, forse era sotto shock.

Lo guardai corrucciata e notai il pomo d’Adamo muo-versi su e giù. Era tutto sporco di sangue...per non parlare di quella ragazza ferita che teneva così saldamente tra le braccia. Aveva gli occhi chiusi e pregai che non fosse grave. Forse era la sua ragazza. Lo avrei aiutato a portarla all’am-bulanza. Mi avvicinai svelta e chiesi preoccupata: «Come ti senti? Ce la fai a camminare almeno tu?»

Niente. Mi fece una gran pena in quello stato, così mi accovacciai sulle ginocchia. Sembrava star maledettamente male. Ovvio Alissa...

La sua bellezza era prepotente, anche ridotto in quella maniera. Era gocciolante d’acqua, sporco di polvere e mac-chiato di sangue. Ma quella camicia nera aderiva a un cor-po da infarto e visto che era semi strappata potevo anche ammirare il petto scolpito. Oddio cosa andavo a pensare in quei momenti!

E lui non aveva ancora pronunciato mezza sillaba, stava lì e mi fissava. Posai allora con decisione la mano sulla sua spalla. Lo sentii trasalire, forse gli doleva. Dovevo muover-mi ad agire. «Non ti preoccupare, resta qui, vado a chiama-re i soccorsi.» Cercai di mostrarmi decisa e sicura.

Ancora silenzio. Okay, avrei fatto presto. Mi voltai e tornai sui miei passi, sempre cercando di non cadere. La situazione era un po’ migliorata, i pompieri si stavano dan-do da fare a domare le fiamme, la polizia teneva lontani i curiosi ed il personale medico si stava occupando del recu-pero dei feriti e dei...morti. Oddio. Cercai di non guardare

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o non ce l’avrei fatta a proseguire. Santo Cielo, un conto era vederli in un film, un altro era trovarseli davvero di fronte. Mi fiondai da un medico che stava aiutando a ca-ricare una barella con sopra una ragazza che si lamentava in maniera straziante, e gli spiegai la situazione. «Fammi vedere dove sono!», mi disse parlando velocemente e con il fiatone. Obbedii. Percorsi la strada una terza volta ed arri-vai arrancando fino alla... ragazza? E lui dov’era? Mi guar-dai intorno stordita cercando di individuarlo...magari si era allontanato pure lui in cerca di aiuto...forse...

«Ma non avevi detto che erano un ragazzo e una ragaz-za?» volle sapere il primo medico, mentre già si stavano mettendo all’opera per recuperarla.

«Ehm, sì io veramente avevo visto...o forse...» ciancicai imbarazzata. Non potevo essermelo sognato.

«Ascoltami, intanto portiamo all’ospedale questa pove-retta. Magari quel tipo si è allontanato. Adesso torna a casa e riposati. Sei ferita?»

«Eh? No...no...», risposi distratta, sempre con lo sguar-do alla ricerca di quel tipo misterioso. Eppure io...

«Corri a casa, dammi retta!» La voce del medico era un ordine.

Una volta giunta a casa, decisamente frastornata, un pò sbucciata, ma sana e salva, raccontai tutta la storia e per poco a mio padre non prese un accidente. Si arrabbiò mol-to, dicendomi che ero stata un’irresponsabile incosciente a correre in mezzo a quel disastro per fare l’eroina. Subito dopo mi abbracciò, dicendomi che probabilmente lui al mio posto avrebbe fatto lo stesso e che per cena mi avrebbe cucinato qualcosa di speciale solo per me. Poi mi spedì di sopra a fare la doccia e riposarmi e mi disse di chiamar-lo se avessi avuto bisogno di qualcosa. Lui doveva iniziare a preparare per la cena perché c’era una prenotazione per

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cinquantasette di un gruppo di viaggio. E poi ovviamente ci sarebbero stati avventori non prenotati.

Feci un bel bagno ristoratore e un bel pianto di sfo-go, per liberarmi dalla tensione. Dovevo riuscire a tornare tranquilla per essere in grado di scendere comunque per aiutarlo quella sera.

Una volta in camera mia, avvolta in un morbido e pro-fumato asciugamano, mi stesi sul letto con poca grazia e misi su un po’ di musica launge per rilassarmi. Quando, a pancia sotto, affondai il viso nel cuscino e chiusi gli occhi, rividi il suo volto. Il volto bellissimo di quel tipo misterioso e mi venne da sospirare. Non so cosa avrei dato per sapere che fine avesse fatto. Certo, ammesso che non me lo fossi sognato! Sapevo che lo stress può causare allucinazioni...ma io lo avevo toccato. Pensa e ripensa, alla fine mi addor-mentai. Mi svegliò un papà preoccupato che era venuto per accertarsi che stessi bene.

«Hai dormito un po’? Bene. Guarda che non sei tenu-ta ad aiutarmi stasera. Preferirei che stessi qui a riposarti.» Parlò piano mentre si mise seduto accanto a me.

«No, ma figurati», obiettai, la voce impastata, la bocca secca. «Ora sto meglio, anzi, lavorare mi aiuterà a distrar-mi. Mi farà bene pà.» Non lo vidi molto convinto, ma non protestò. Di lì a un’ora ero pronta per scendere. Quella sera optai per gonna scura, camicetta attillata celeste e scarpe comode.

Poi raccolsi i capelli leggermente mossi in una coda alta.

Tanto mascara e lucidalabbra trasparente.La serata fu un massacro come previsto ma mi aiutò a

tener impegnata la mente. Nei brevissimi momenti di ripo-so i gemelli tentarono di capire come mi sentissi cercando in tutti i modi di farmi ridere.

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Loro avevano appreso la notizia dal telegiornale. A fine serata pregai solo che non si presentasse Riccardo: era un ragazzo con cui ero uscita una mezza volta un mese prima e quando, dopo nemmeno un’ora di conversazione, aveva tentato di raggiungere l’elastico delle mie mutande, l’ave-vo silurato velocemente. Ma sembrava avere problemi di comprendonio. Siccome giocava nelle giovanili di calcio del Toro, si sentiva già un campione strapagato, abituato ad avere tutto. Fatto sta che almeno una volta alla settimana si presentava al ristorante con il gruppetto sottosviluppato dei suoi amici, facendo casino come un branco di lemuri e dando noia a me. Era che, come diceva mio padre, non avevano fatto ancora niente di così eclatante da essere but-tati fuori dal ristorante, e noi non potevamo certo permet-terci di fare gli schizzinosi con i clienti. Troppa pubblicità negativa.

Eravamo rimasti solo papà ed io ed era tardi. Lui si stava occupando della cassa e io ero intenta a riordinare. Stanchi ma soddisfatti. Andai velocemente fuori a buttare la spaz-zatura, ignorando le proteste paterne. Era buio sì, ma la sera era anche l’unico momento in cui si poteva respirare un po’ d’aria fresca. Quando feci per rientrare mi bloccai e mi voltai. Avevo la strana sensazione che ci fosse qualcuno ma non riuscivo a vederlo. Mi grattai il collo annientando sul nascere un piccolo brivido e sospirai nervosa. Girai sui tacchi e montai il primo scalino dei totali tre per rientrare nel ristorante quando sentii il rumore di un passo dietro di me. Se Riccardo era venuto per spaventarmi stavolta gli avrei tirato uno zoccolo. O un piatto. Era lo stesso.

Sentii i peli sul braccio rizzarsi allertati e mossi svelta l’altro piede sul secondo gradino.

«Aspetta.» Mi bloccai. Dovevo gridare? O avrei fatto in tempo a

fiondarmi dentro? Però non era la voce di Riccardo...

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Deglutii e voltai solo la testa, storcendomi un poco.«Ti ho spaventato?» Era lui. Era il tipo bellissimo e misterioso dell’inciden-

te. Allora non ero matta. Accidenti, non me lo ricordavo così bello...o meglio, sì, mi ricordavo che era bello ma non così maledettamente bello. Era tutto ripulito, indossava un paio di jeans scuri ed una maglietta a maniche corte grigia chiara con lo scollo a “v”. Aderente. Anche troppo per il mio piccolo cuore. I capelli sembravano bagnati e gli rica-devano sul viso in maniera scomposta, libera. Ma che occhi meravigliosamente grigi e intensi...

La bocca mi era rimasta aperta. Dovevo dire qualcosa prima che mi ci entrassero i moscerini.

«S-spaventata? No, ma che dici... io... ecco, io non me lo aspettavo, tutto qua.» Wow, complimenti a me stessa. Poi ripresi un po’ di lucidità. «Come stai? Credevo che ti fosse successo qualcosa, non ti ho più visto... Un momen-to, ma tu che ci fai qui?» Era notte. Era tardi. E come mi aveva trovato? E se non la smetteva di guardarmi così io...

Si passò una mano tra i capelli, ravvivandoseli, e un pro-fumo buonissimo s’impossessò del mio naso.

«Sì, infatti, volevo ringraziarti dell’aiuto. Mi ci è voluto diverso tempo per rintracciarti. Ma ora sono qui.» La sua voce bassa, controllata e calda, mi ipnotizzò. Mi stava con-templando. Oh, al diavolo come mi aveva trovata! Quella statua greca era venuta per me e io lo lasciavo sulla porta per fargli un interrogatorio? Mi ridestai.

«Ringraziarmi? Figurati, non pensarci. Ma ti prego, entra un momento, ti offro qualcosa.» Con quella scusa approfittai per afferrargli la mano e iniziai a trascinarlo dentro.

«No, davvero, è meglio che...», protestò invano mentre già eravamo nella sala.

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«Dai, fammi contenta. Papà! Papà! Vieni un attimo!» Io sorridevo come una scema, e quando mi voltai a guardarlo notai che gli occhi del ragazzo erano concentrati sulle no-stre mani unite. In effetti mi ero permessa una confidenza eccessiva, in fondo era un totale estraneo, ma non potei farci niente. Poi mi ricordai che non sapevo il suo nome.

«Che scema! Non mi sono nemmeno presentata: piace-re, mi chiamo Alissa De Santis. Papà vieni!» Cambiai mano e allacciai la mia destra alla sua. Ti prego parla ancora an-gelo...

«Gabriel.» Niente cognome? Sembrava scosso. Sentii la sua mano

tremare.«Tutto bene? Sicuro?» Lo vidi passarsi velocemente la lingua sui denti. Si

schiarì la voce.«Io...» «Alissa, cosa urli a quest’ora?» Finalmente mio padre

entrò nella sala e si diresse verso di noi. «Che succede?» Il suo sguardo andò prima all’estraneo e poi a me.

Nel frattempo avevo ritirato prontamente la mano. Spiegai veloce: «Eccoti! Pà guarda, ti presento Gabriel, lui è quel ragazzo che è rimasto coinvolto nell’incidente di sta-mani. È passato per ringraziarmi. Gli offriamo almeno da bere?»

Mio padre rimase interdetto ancora per qualche secon-do. Probabilmente si stava chiedendo come mai questo tipo avesse avuto l’urgenza di venire a quell’ora e non aves-se aspettato ormai il giorno seguente. Ma si riprese subito e regalò uno di quei sorrisi da padre al nostro ospite. «Ma certo, ma certo! Piacere, Elio De Santis», e strinse la mano di un Gabriel sempre più visibilmente a disagio? «Prego accomodati. Ti porto una coca?»

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Lanciai un’occhiata assassina a mio padre. Una coca? Ma che figura mi faceva fare! Lo aveva guardato bene? Si-curamente doveva avere vent’anni se non di più.

«Andiamo pà, una coca a quest’ora?...» cominciai.«No, veramente. Sono a posto. È tardi. Me ne devo an-

dare ma grazie», mi interruppe rapidamente Gabriel. Sem-brava che qualcosa lo avesse punto, tanto era trasalito.

Fece un cenno con il capo e uscì a velocità fulminea.Ci colse entrambi di sorpresa e io rimasi a fissare la

porta incredula, con ancora il suo profumo di buono nella stanza.

Avevo fatto qualcosa di sbagliato? Mi era sfuggito un dettaglio? Tornai a concentrarmi su mio padre il quale, per tutta risposta, si strinse nelle spalle dicendo: «Un po’ stra-volto il tipo, non trovi? Però è vero che è tardi bambolina. Hai avuto una giornata pesante.»

Sospirai grattandomi la testa e mordendomi il labbro inferiore. Lanciai un’ultima occhiata alla porta.

«Non ti crucciare così. Forza, fila a letto.» Non mi rimaneva altro.

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Capitolo 4 La tortura

Gabriel non capiva cosa gli stesse accadendo

Uscii velocemente dal ristorante e mi fiondai come un lampo nel buio. In tre secondi mi ritrovai dall’altra parte della città, immergendomi nell’assenza di luce, lasciando-mi alle spalle i rumori delle strade congestionate e dei locali notturni.

Cercai un vicolo dove potermi infilare e ragionare con calma. Avevo il fiato corto e non capivo perché.

Non capivo più niente! Trovai il vicolo, era senza uscita e per fortuna altrui non c’era nessuno. Quel buco dimen-ticato puzzava di marcio, di muffa e piscio di gatto. Mi appoggiai con una mano al muro nel tentativo di ripren-dermi.

Perché mi sentivo così? No. Non poteva davvero essere la maledizione...no, non ci potevo credere! Quella ragazza, quella Alissa...Cazzo, il solo pensare il suo nome mi scate-nava una forza pazzesca dentro.

Avevo appena ricollegato i fatti, lei mi aveva trovato cir-condato dal fuoco...e poi sommerso d’acqua.

“Salvato dal fuoco e condannato dall’acqua”...Diavolo, erano le stesse parole che aveva usato quel-

la strega malefica! Non poteva essere una coincidenza. E quella mattina, quando avevo incontrato i suoi occhi, era cambiato tutto. L’avevo seguita per tutto il giorno, l’avevo spiata, l’avevo guardata dormire, i miei occhi le avevano accarezzato il corpo. Io volevo quel corpo.