PreTesti • Occasioni di letteratura digitale • Gennaio 2012 • Numero 1 • Anno II

49
| Gennaio 2012 pretesti 1 6 dicembre 2011 di Valeria Parrella Lo spirito della narrazione di Romano Màdera Nella bocca del pesce siluro di Massimo Gardella Area contaminata di Luca Masali Occasioni di letteratura digitale pretesti Gennaio 2012 • Numero 1

description

Magazine di letteratura digitale di Telecom Italia S.p.a. Per informazioni [email protected]

Transcript of PreTesti • Occasioni di letteratura digitale • Gennaio 2012 • Numero 1 • Anno II

| Gennaio 2012pretesti1

6 dicembre 2011di Valeria Parrella

Lo spirito della narrazionedi Romano Màdera

Nella bocca del pesce siluro di Massimo Gardella

Area contaminatadi Luca Masali

Occasioni di letteratura digitale

pretesti

Gennaio 2012 • Numero 1

I TUOI LIBRI SEMPRE CON TE E UN’INTERA LIBRERIA A DISPOSIZIONE

www.biblet.it

APERTA 24 ORE SU 24!

| Gennaio 2012pretesti3

I grandi chef sostengono che la cucina sia una sapiente fusione degli ingredienti più diversi: per esempio l’aroma del mare delle acciughe con la freschezza delle verdure di terra, come accade nella bagna càuda piemontese. Tanto più il gusto si eleva, quanto più la fusione degli ingredienti sa riproporre nuove sensazioni organiche e variegate allo stesso tempo.Il medesimo fenomeno sembra avvenire, per altre questioni di gusto, in letteratura. Così grazie alla spinta di nuovi sistemi tecnologici di archiviazione e condivisione, an-che la narrativa e la saggistica testuale devono affrontare nuove sensibilità.I racconti di Valeria Parrella e Luca Masali ci aiuteranno a scoprire in estreme condizio-ni proprio le contaminazioni di fatti ed eventi e un nuovo modo di intrattenimento della fantasia dei lettori. Romano Màdera sosterrà gli esperimenti pratici dei due scrittori con una riflessione attenta sulla narrazione e le sue dinamiche più profonde.Roberto Dessì per Il mondo dell’ebook lega la fine del mondo annunciata dai Maya al cam-biamento epocale che dalla carta porterà il nostro intrattenimento e la trasmissione del nostro sapere al digitale. Daniela De Pasquale ci darà degli utili elementi per compren-dere il mondo del cloud computing e le sue implicazioni per la diffusione dell’ebook.L’Accademia della Crusca con Michele A. Cortelazzo ci farà entrare nello spirito delle parole del discorso di fine 2011 tenuto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napoli-tano.Per Buona la prima Luca Bisin seguirà le tracce del celebre patto col diavolo del Faust nar-rato da Thomas Mann e Fabio Fumagalli ci aprirà la porta d’Oriente raccontandoci della vocazione di Istanbul a essere “città di contaminazioni”. Francesco Baucia invece ci farà entrare nel mondo culinario di Cechov tra ostriche, champagne e zuppe di cavolo.L’augurio migliore per il 2012 allora non può che essere questo: “Lasciamoci contami-nare!”. Ne trarrà beneficio il nostro gusto e senz’altro la nostra economia.

Buoni PreTesti a tutti.Roberto Murgia

Editoriale

| Gennaio 2012pretesti4

31-33Buona la primaThomas Mann Doktor Faustus (1947)di Luca Bisin34-36Sulla punta della linguaIl discorso del Presidentedi Michele A. Cortelazzo37-39Anima del mondoNarrare la porta dell’Orientedi Fabio Fumagalli40-43Alta cucina Tra ostriche e champagne, trionfa lo ščidi Francesco Baucia44-45 Recensioni

46Appuntamenti

47 Tweets / Bookbugs

RUBRIChETESTI

05-09Racconto6 dicembre 2011di Valeria Parrella10-15SaggioLo spirito della narrazionedi Romano Màdera16-18AnticipazioneNella bocca del pesce siluro di Massimo Gardella 19-23Racconto Area contaminatadi Luca Masali

IL MONDO DELL’EBOOk

24-272012, la fine (del libro) è vicina?di Roberto Dessì28-30Gli eBook tra le nuvoledi Daniela De Pasquale

Indice

| Gennaio 2012pretesti5

di Valeria Parrella

Racconto

6 dicembre 2011*

| Gennaio 2012pretesti6

li dei erano dentro, e il mondo degli umani era fuori.Gli dei si guardavano negli occhi e cercavano di capirsi.

Avevano solo gli occhi per farlo. Uno di essi infatti parlava con le mani e le espres-sioni del viso, muovendo avanti e indie-tro il corpo dalla posizione in cui stava, cioè sul pavimento, a gambe incrociate.Gli dei erano antropomorfi, avevano gambe e braccia e testa e occhi come gli umani, in questa storia loro scelgono di rivelarsi così, perché già la confusione era molta, ed essere nulla, o una nuvola di vapor acqueo, o semplice luce, o tuono, avrebbe reso ancora più complicata la loro relazione. Dovendo parlare di cose umane si erano decisi entrambi, senza manco doversi accordare, per la forma umana, e dunque stavano così, dentro, mentre il mondo era fuori.L’altro dio stava un poco disteso sul pa-vimento, come in un triclinio, poggia-va la testa sul braccio destro che faceva un angolo acuto, e guardava fisso l’altro, cercando di comprenderlo. Egli infatti, o meglio, ella, giacché per un vezzo del tutto incomprensibile aveva preferito essere donna, non era assolutamente in grado di decodificare ciò che l’altro gli stava di-cendo. Essendo donna preferiva parlare con la voce, e avrebbe compreso tutte le lingue del mondo umano, se solo l’altro dio ne avesse scelta una vocale. Invece no: quello stava così, a dire con i segni, con il corpo, senza emettere un suono.La dea aspettava. Avendo a disposizione l’eternità sapeva che prima o poi avrebbe capito. E poi non voleva dare l’impressio-

ne di essere molto colpita dal disordine che si stava creando, che stavano creando.Quel disordine loro interno era lo stesso che proiettavano fuori.Gli dei creavano e disfacevano senza doverci neppure pensare, in essi non si muoveva volontà, né intento: il mondo degli uomini era una loro emanazione. Il dio che parlava a segni si fermò, con una domanda sospesa tra le sopracciglia. Nel tempo di quel discorso, fuori, nel mondo, erano morte in un solo punto, in un solo momento quaranta persone, fra cui molte donne e bambini, per l’esplosione in un santuario di fedeli radunati per celebrare una ricorrenza dell’Islam sciita. Diceva il mondo: “Secondo fonti della polizia po-trebbe essersi trattato dell’azione di un kamikaze. L’ospedale di Emergency a Kabul ha ricevuto quarantacinque feriti, dodici sono arrivati già morti. È stato atti-vato il mass casualties plan, il protocollo di emergenza usato per gestire l’afflusso in contemporanea di numerosi pazienti. Le tre sale operatorie stanno lavorando senza sosta”.La dea scosse la testa. Era già un buon punto di partenza: non aveva detto “non capisco” oppure “Ich verstehe nicht” oppure “sorry, I really do not under-stand”, ma istintivamente aveva scosso la testa amareggiata. Così il dio aveva capito. Cioè aveva capito che lei non aveva capito ma che era veramente di-sposta a farlo. La dea continuò con la voce, cosa che le piaceva in sommo grado, usare la voce umana, e femminile. Le pia-ceva assai sentirsi e si era anche messa a sedere per farsi sentire meglio, aveva una

G

| Gennaio 2012pretesti7

dizione perfetta. Ma stavolta era il dio a non capire. La guardava fisso fisso all’al-tezza delle labbra. Tentava un sorriso se lei sorrideva, o si corrucciava d’improv-viso quando gli sembrava che il discorso avesse assunto toni roboanti. Ma la verità era che non capiva, ed era brutto stare lì, dentro, a creare creare creare tutta quella confusione.Nel breve tempo di quel monologo tra gli dei, breve o lungo che fosse lì dentro il tempo, fuori, nel mondo, colonne di camion militari si sta-vano dirigendo verso il centro di Mosca, pre-sidiato da migliaia di poliziotti e truppe del ministero degli Interni. Le autorità temevano nuove manifestazioni di protesta dopo quella che la sera precedente aveva condannato da-vanti a migliaia di per-sone i brogli elettorali. Diceva il mondo: “‘Dob-biamo continuare ad appellarci alla gente e informarla su cor-ruzione e frodi – aveva detto il blogger pochi minuti prima, intervistato dall’a-genzia italiana Ansa – le grandi città sono le più insoddisfatte.’ Poi Navalnyj è stato trascinato via dagli agenti antisommossa. Non si è trattato questa volta di un sem-plice fermo: da questa mattina di Naval-nyj non si ha più notizia mentre un altro leader dell’opposizione, Ilja Jashin, è stato

condannato a quindici giorni per disubbi-dienza alle forze dell’ordine.”Dunque la dea, che non aveva nessuna voglia di restare incompresa, perché cre-deva veramente in ciò che aveva detto e quell’occasione di incontro le sembra-va importante, cominciò a parlare piano piano, muovendo le labbra piano, fer-

mandosi dopo ciascuna parola, ed esagerando le espressioni, faceva grossi sorrisi e mimava le idee, con il corpo e con le mani e disegnava da-vanti a sé ciò che voleva dire così il dio iniziò a leggere il suo pensiero e finalmente capì cosa lei gli stesse dicendo e scoprì che si stavano di-cendo la stessa cosa.Più o meno, per come quel concetto di dea si possa oggi riporta-re in una lingua degli uomini, lei gli stava di-cendo: “Ci dobbiamo sganciare da quelli lì fuori, è una responsabi-

lità troppo grande portarseli dietro”.Il dio volle risponderle, e cercò di scio-gliere le mani da quei segni così codificati a una forma più corrispondente alle cose, cercò di dare un’immagine del suo pen-siero, e si aiutò anche con qualche suono della voce, che uscì roco, però pensò che la dea l’avrebbe trovato un omaggio ro-mantico come l’arcobaleno quando d’im-provviso attraversa la pioggia.

Gli dei creavano e disfacevano senza doverci neppure

pensare, in essi non si muoveva volontà, né

intento: il mondo degli uomini era una loro

emanazione

| Gennaio 2012pretesti8

E più o meno, per come quel concetto di dio si possa oggi riportare in una lingua degli uomini, lui le stava dicendo:“Ci ho pensato anche io, ma non sono sicuro che si possa fare: è così da sempre. Noi dentro che siamo, loro fuori che scorrono”.Nel breve tempo del dialogo tra i due dei, nel tempo in cui essi si capirono, per breve o lungo che fosse il tempo degli dei, in Lussem-burgo la corte europea aveva deciso che non si poteva procedere alla carcerazione degli im-migrati clandestini du-rante la procedura di rimpatrio. E nello stesso identico momento nel distretto di Turkana, in Kenya, il governo di Nairobi e l’Unicef ave-vano creato il Kak-wan-yang Health Center, un centro medico per aiutare i piccoli e le loro famiglie. Al Kak-wan-yang Health Center i medici somministravano ai pa-zienti servizi sanitari, vaccinazioni e nu-trizione. Il mondo diceva: “Il piccolo è stato male tra luglio ed agosto – spiega la zia – aveva diarrea, febbre alta e perdeva vistosamente peso. Appena lo abbiamo portato qua i medici lo hanno ammesso al programma di alimentazione terapeutica, e pian piano gli hanno salvato la vita”. E nello stesso momento, dopo l’arresto di un poeta cinese, il mondo diceva: “The in-ternational literature festival Berlin calls

on cultural institutions, schools, radio stations and interested parties to partici-pate in a worldwide reading of prose and poems by the Chinese author and 2010 Nobel Peace prize laureate Liu Xiaobo on March 20th 2012”. Gli dei continuarono a dialogare e anche se non la pensavano proprio allo stesso

modo, lui e lei dimenan-do il corpo e le mani, lui e lei risparmiando o di-spensando voce, anda-vano decidendo sul da farsi:“Che ne sarà di loro se li sganciamo?”.“Che importa, piuttosto come si sganciano?”“Io oramai mi sono abi-tuato, sai? Manco ci penso più che come mi muovo fuori succede qualcosa, io sto dentro, capisci?”“Io a tratti mi distraggo,

ma se ci ripenso e sbircio fuori... no, dob-biamo trovare il modo.”“Non c’è un modo.”“C’è, ci deve essere.”“Ma è così DA SEMPRE.”“Non urlare” disse la dea, che iniziava a innervosirsi “se urli la tua voce esce male e non si capisce più niente.”Difatti già non si capiva più niente, e pure lei era impacciata e senza controllo in quelle mani, e così senza volerlo, senza volontà né intenzione tornarono a guar-darsi strano. La dea beffarda guardava il dio parlare a segni. Il dio con una smorfia

“Ci dobbiamo sganciare da quelli lì fuori, è una responsabilità troppo

grande portarseli dietro.”

| Gennaio 2012pretesti9

cercava di leggere le labbra di lei, finché si scocciò e fece tuonare così forte lì dentro che manco la dea sentiva più la sua voce. Lei ugualmente fece venir giù la notte così che le mani del dio scomparvero.In quel preciso momento, per quanto lungo o istantaneo potesse essere stato il tempo tra gli dei, la polizia greca sparava gas lacrimogeni contro decine di contesta-tori vestiti di nero che, ad Atene, avevano lanciato bombe molotov e sassi mentre centinaia di persone stavano manifestan-do davanti al parlamento nel giorno della commemorazione dell’uccisione di un giovane da parte della polizia.Approfittando del buio gli dei tornaro-no al loro sembiante di vapor acqueo, o lampo o nulla e non si incontrarono mai più, se dire mai ha un senso, dentro.Fuori, nel mondo, era trascorsa solo mezza giornata.•

* Questo racconto è costruito sugli acca-dimenti riportati dalle testate online rife-rite alla data del titolo dalle 9,30 alle 18, circa.

© 2012 by Valeria Parrella.Published by arrangement with Agenzia Letteraria Santachiara.

Valeria Parrella ha scritto per l’editore minimum fax Mosca più ba-lena (2003) e Per grazia ricevuta (2005), per Einaudi Lo spazio bianco (2008) e Lettera di dimissioni (2011) e la pièce teatrale Tre terzi (2009), per Rizzoli Ma quale amore (2010), per Bompiani Ciao maschio (2009) e Il verdetto (2007), ha inoltre curato la riedizione italiana de Il Fiu-me, di Rumer Godden (2012). Per Ricordi, in apertura della stagione sinfonica al Teatro San Carlo, ha firmato il libretto Terra su musica di Luca Francesconi (2011). I suoi libri sono tradotti in Germania, Francia, Spagna, Israele, Serbia, Svezia e Stati Uniti. Da anni cura la rubrica di libri di Grazia.

Valeria Parrella

| Gennaio 2012pretesti10

Saggio

di Romano Màdera

Lo spirito deLLa narrazioneil racconto come destino, mito e rito

| Gennaio 2012pretesti11

rendiamo in mano un libro di un grande narratore, non è uno scrit-tore di romanzi, è Oliver Sacks, un medico che lavora sulle malat-

tie neurologiche e racconta storie di cura. Sacks, a proposito dei casi, dice: “Approfondire la storia di un caso in una narrazione”, poi ag-giunge: “Solo allora avremo un ‘chi’ e un ‘cosa’, una persona reale, potremo toccare davvero la storia viva di una persona, avremo il carattere individuale, irripetibile di questa persona”. Sembrerebbe che qui Sacks con “narrazione” intenda qualcosa di più forte del “mettere storie in comune”, come nella essenziale definizione di Paolo Jedlowski, secondo la quale la narrazione è un approfondimento speciale delle sequenze di eventi che ci raccontiamo. Se noi seguissimo questa pista, ci troveremmo a dire che nella narrazione c’è qualcosa di più che nella storia, e che nella storia di un caso c’è qualcosa di più della ricostruzione storica dei fatti. Cosa sarà questo qualcosa di più?Citerò un brano di Mann tratto da Giuseppe e i suoi fratelli. Mann scrive che le narrazioni hanno la forza della curiosità per l’accadere, ma da questo punto di vista, dice, siamo svantag-giati rispetto a quelli che stanno vivendo concretamente la storia: perché la loro cu-riosità e la loro eccitazione sono ancora più vive. Qual è allora il vantaggio della nar-razione? Verso la fine del romanzo Mann se ne esce con questa frase: “Noi abbiamo

potere sulla misura del tempo” e fa un esempio semplicissimo: “Non dobbiamo distillar goccia a goccia quest’anno d’attesa in tutti i suoi giorni e le sue ore come do-vette fare Giacobbe con i suoi sette anni in

Mesopotamia. Il narratore può condensare tutto in una parola e dire semplicemente: un anno passò. Ed ecco, è passato, e Gia-cobbe è stanco” (Thomas Mann, Giuseppe e i suoi fratelli [1927-1942], A. Mondadori, Milano, 1954, p. 2042). Questo è il potere sulla misura del tempo.Se la narrazione è una sequenza di eventi nella quale non è a tutta prima chiaro un senso, adesso possiamo dire che nella nar-razione c’è un filo, anzi, anticipando una definizione, c’è un destino del senso. Vuol dire che se le narrazioni sono narrate o scritte da chi le conosce, chi le conosce ha un potere speciale sulla misura del tempo. Appunto, il potere di chi conosce la fine e

p

Thomas Mann

| Gennaio 2012pretesti12

quindi sa che può semplicemente ritornare alla prima pagina dopo aver scritto l’ultima. E di solito si fa proprio così.Significa che il potere sul tempo stabilisce un filo del senso che dalla fine riprecipita sull’inizio: un destino.Chi comincia a narrare sa già come va a finire e, dal punto di vista del racconto, il racconto diventa un destino. Questo non significa che accade qualcosa e noi subiamo passivamente, significa che c’è una con-nessione necessaria dentro la narrazione, semplicemente perché è una narrazione, una connessione necessaria che lega tutti i momenti e lega l’inizio e la fine. Quindi un destino del senso, dell’orientamen-to in quella sequenza di eventi. Quando dico “sequenza di eventi” vorrei tenere sullo sfondo dell’orizzonte del senso la sequenza ancora pre-riflessiva: noi tutti, comunque, anche se non è presente una riflessione esplicita, abbiamo l’idea che la nostra vita sia una sequenza di eventi. Allora un destino del senso, dell’orienta-mento nella narrazione, sarà immettere un qualche ordine in questa opaca sequenza di eventi della vita; dunque un orientamento ulteriore rispetto alla ricostruzione storica dei fatti: questo sovrappiù, avendo potere sulla misura del tempo, dunque avendo potere sulla fine e sull’inizio, ricostruisce in un senso ciò che potrebbe rimanere una opaca sequenza di eventi. Ma che cosa ci interessa nel ricercare un sovrappiù oltre la ricostruzione storica dei fatti? Perché la

narrazione ci sta particolarmente a cuore? Direi che qui abbiamo bisogno di dire qual-cosa circa questa sorta di felicità che si può provare nell’aver potere sulla misura del tempo. La prima, molto semplice osser-vazione: chi, pensando alla propria vita, e non soltanto alla propria, ma anche alla vita che ha visto e che ha letto, e alla storia, non pensa con una qualche costrizione a questo addensarsi caotico di eventi, a questo caos per certi versi angoscioso, che non ha né capo né coda e che spesso, nella ripetizio-

ne, sfida proprio l’idea che un senso ci sia? Già intuiamo che il bisogno della narrazione è un bi-sogno importante.Dicevo di eventi opachi, spesso caotici, tanto nella nostra biografia quanto nella storia. L’imprevisto nel passa-to, l’imprevedibile nel futuro, danno un senso

di smarrimento, ma eccitano curiosità e voglia di avventura, cioè quello che la nar-razione cerca di far ri-vivere, o addirittura di far vivere: ma raccolti in un riparo sicuro, perché il narratore ha il potere sulla misura del tempo. Carlos Fuentes, in Tutti i soli del Messico, scrive: “Viaggio e narrativa sono gemelli perché entrambi implicano uno spostamen-to, un abbandono del posto, la piazza, un addio al luogo comune e un tuffo nei ter-ritori del rischio, dell’avventura, della sco-perta, dell’insolito. Viaggio e narrativa sono sicuramente tutto questo, eppure alla fine sono semplicemente voci che ci dicono che il mondo è nostro, ma è un mondo alieno.”

“L’astro del narratore non è forse la luna,

signora del cammino, la viatrice che si ferma a ogni stazione del cielo per poi allontanarsene

e proseguire il suo cammino?”

| Gennaio 2012pretesti13

È un mondo alieno l’opacità degli eventi, ma è “nostro”, lo raccontiamo. Ecco, credo che questa sia la tensione fra la narrazione, la percezione degli eventi e la ricostruzio-ne storica dei fatti. Finché rimaniamo alla ricostruzione storica dei fatti il mondo può essere anche soltanto alieno e poco nostro, oppure può essere così nostro da nasconde-re ogni estraneità: credo che l’elemento tra-smutatore e commutatore, fra spaesamento e sentirsi a casa, sia la narrazione. Viaggio, tempo, il mondo nostro, il mondo alieno...L’altro brano che volevo richiamare è ancora di Thomas Mann, perché da lui deriva il titolo di questo intervento. Forse non a caso lo spi-rito della narrazione è un grande tema del prologo di Giuseppe e i suoi fratelli. Il romanzo è stato composto fra il 1927 e il 1942 e Mann riscrive, proprio negli anni del tentativo di tagliare definiti-vamente le radici ebraiche della cultura eu-ropea, un famoso episodio biblico. Ascoltia-mo: “Quanto a noi […] non vogliamo fare alcun mistero della comprensione istintiva e illimitata per l’irrequieta ripugnanza di Giacobbe contro ogni idea di stabilità e di fissa dimora […] L’astro del narratore non è forse la luna, signora del cammino, la via-trice che si ferma a ogni stazione del cielo per poi allontanarsene e proseguire il suo cammino […]? Non è il passato elemen-to e aria vitale del narratore, la forma del tempo a lui familiare e congeniale come al pesce l’acqua? Sì, certamente. Ma perché il nostro cuore, curioso e pavido a un tempo, non vuole acquietarsi con questa risposta

così ragionevole? Senza dubbio, perché l’e-lemento del passato, dal quale siamo soliti lasciarci sospingere alle più remote lonta-nanze, è diverso dal passato verso cui ora, con angoscia e tremore scendiamo; il passa-to della vita, il mondo che fu, che è defunto, a cui una volta dovrà appartenere sempre più profondamente anche la nostra vita, e a cui già appartengono, ad una profondità abbastanza grande, i suoi inizi. Morire si-gnifica, non vi è dubbio, lasciare il tempo e uscire da esso, ma in compenso guadagnare

eternità e onnipresenza, quindi veramente la vita. Perché l’essenza della vita è il presente e solo miticamente il suo mistero si mostra nelle forme temporali del passato e del futuro. Queste sono, per così

dire, le forme popolari in cui la vita si ma-nifesta, mentre il mistero appartiene agli iniziati. Al popolo si insegni che l’anima trasmigra. Ma il savio sa che la dottrina è soltanto la veste in cui si avvolge il miste-ro e l’onnipresenza dell’anima e che a lei appartiene l’intera vita quando la morte infrange il carcere in cui ogni singola indi-vidualità è prigioniera. Nella nostra bocca è il sapore della morte e della conoscenza quando, come avventurosi rapsodi, muo-viamo verso il passato […] Perché il pas-sato è, è sempre, anche se l’espressione del popolo suona: fu. Così parla il mito che è soltanto la veste solenne del mistero, ma la veste solenne del mistero è la festa che torna a date fisse, supera le temporali distanze e agli occhi del popolo rende presente il pas-sato e il futuro. Quale meraviglia se nelle

La narrazione, se è vera narrazione, se è capace di seguire il suo spirito, è rito, cioè parola efficace, parola creatrice di realtà

| Gennaio 2012pretesti14

feste l’elemento umano sempre rifermentò e, con il consenso della morale, degenerò in licenza, perché appunto nelle feste vita e morte si riconoscono? Festa del narrare, fe-stivo abito del mistero della vita, per i sensi del popolo tu abolisci il tempo ed evochi il mito perché si attui nell’immediato presente. Festa della morte, discesa all’inferno, tu sei veramente una festa e un piacere per l’anima della carne che non invano ama il passato, le tombe e la pia formula che suona: fu. Ma anche lo spirito sia con te, in te si trasfonda affinché tu sia benedetta con la benedizione dall’alto e con la benedizione dal profondo!”.Questo pezzo avrebbe bisogno di essere commentato quasi parola per parola. Dico qui soltanto una cosa: Mann ha fatto vedere che questo “spirito della narrazione”, benedetto dall’alto e dal profon-do, quindi che tiene insieme la verticale del senso, deve incontrare il massimo scacco del tempo e dell’opacità storica, deve incontrare la morte, lo scioglimento del tempo in un non-senso, nell’assenza di senso come orien-tamento vitale. Dunque la narrazione deve rispondere alla fuga del tempo – ma anche al disorientamento nello spazio: narrare è viaggiare.Il tempo viene eternato, ma in una forma peculiare di eternizzazione, che tiene conto dell’“attimo fuggente”, e del particolare più infimo. L’alto e il profondo, ma anche innu-merevoli e fuggevoli banalità vengono con-sacrate nell’eternità. Non a caso Mann ci ha parlato del rito,

della festa e del mito, dicendo che rito e mito sono le forme nelle quali appare ori-ginariamente lo spirito della narrazione.A proposito di rito e mito vorrei citare un passo dalla prefazione a I racconti dei Chas-

sidim di Buber: ma con la sottolineatura che qui non si tratta di mito e rito in generale, bensì del rito del narrare stesso.“I Chassidim si narrano storie dei loro zad-dikim, dei capi spirituali delle loro comunità: questo fa parte essenziale del movimento chassidico. Si sono viste grandi cose, vi si è preso parte, bisogna dirlo, darne testimo-nianza. La parola che narra è più che sem-plice parola, essa trasmette effettivamente l’accaduto alle generazioni future, anzi la narrazione è accadimento essa stessa, ha la sacralità di un rito. […] Il racconto è più che un’immagine riflessa: l’essenza sacra di cui dà testimonianza continua a vivere in essa. Il miracolo che si racconta riacquista potere.

Martin Buber

| Gennaio 2012pretesti15

La forza che un giorno operava si trasmette alla parola vivente e opera ancora dopo ge-nerazioni. A un rabbi, il cui nonno era stato discepolo del Baalshem [il fondatore del chassidismo], fu chiesto di raccontare una storia. ‘Una storia’ disse egli ‘va racconta-ta in modo che sia essa stessa un aiuto.’ E raccontò:‘Mio nonno era storpio. Una volta gli chiese-ro di raccontare una storia del suo maestro. Allora raccontò come il santo Baalshem so-lesse saltellare e danzare mentre pregava. Mio nonno si alzò e raccontò, e il racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare saltellando e danzando come facesse il ma-estro. Da quel momento guarì. Così vanno raccontate le storie’” (Martin Buber, I racconti dei Chassidim [1949], Garzanti, Milano, 1979, pp. 3-4).Come abbiamo ascoltato, è qui esplicita la convinzione che la narrazione, se è vera nar-razione, se è capace di seguire il suo spirito, è rito, cioè parola efficace, parola creatrice di realtà. Recupera la forza della parola mitica: è ciò che dice, è parola di un rito sacramentale.

Il gesto e la parola efficace si dicono, teo-logicamente, sacramentali, proprio perché essi compiono nel loro effettuarsi ciò che annunciano.Perché allora il racconto, il narrare, hanno espressione nel rito e nel mito, e trasmetto-no un valore sacramentale, una parola effi-cace che è accadimento essa stessa? E qual è l’accadimento di questa parola?Potremmo rispondere: l’accadimento che avviene nel narrare, che rinnova la forza del rito e del mito, è l’accadimento del senso.Le storie raccontano sequenze di eventi opachi, ma c’è una storia che racconta at-traverso, dentro le storie opache, l’accadi-mento del senso, l’evento del senso.•

Romano Màdera insegna Filosofia morale e Pratiche filosofiche all’Università di Milano Bicocca. In passato è stato professore all’Università della Calabria e all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Fa parte delle associazioni di psicologia analitica AIPA (italia-na) e IAAP (internazionale) e della redazione della Rivista di psi-cologia analitica. Collabora alle pagine culturali del quotidiano “L’Unità”. Ha scritto, tra gli altri, i libri: C.G. Jung. Biografia e teo-ria (B. Mondadori 1988), L’animale visionario (Il Saggiatore 1999), La filosofia come stile di vita (con L.V. Tarca, B. Mondadori 2003) e Il nudo piacere di vivere (A. Mondadori 2006).

romano màdera

| Gennaio 2012pretesti16

Pubblichiamo in esclusiva per i lettori di PreTesti un brano tratto dalle prime pagine del romanzo Il male quotidiano (Guanda) di Massimo Gardella, in libreria dal 12 gennaio.

ispettore Jacobi aveva bisogno di un caffè. Al volante dell’Al-fa 155 blu scuro, percorreva il tratto di strada pro vinciale che

da Vidigulfo portava a Linarolo. Un’om-bra in movimento nella notte, definita solo dal raggio inclinato degli anabba-glianti. La luce del nuovo giorno faceva capo lino dalla macchia di vegetazione alle spalle del castello visconteo in rovina.

Un paesaggio antico, che Jacobi imma ginava popolato da schiere di armati, mentre ta-gliavano la cappa di bruma mattutina con lunghe lance e armature ammaccate dalle battaglie. Mentre superava il maniero di roccato lanciò come tutte le volte un’oc-chiata al ponticello di pietra celato tra le frasche: bisognava sapere dove guar dare. Un luogo indicato per scene romantiche, con giovani amanti clandestini e coppie cronicamente perfette che si tenevano per mano, giurandosi amore eterno. Tuttavia non c’era niente di romantico nella levataccia di quell’alba primaverile. Il cel-lulare lo aveva strappato al son no poco

Anticipazione

Cronache del male quotidiano dalla nuova voce italiana del noir

di Massimo Gardella

L’

neLLa bocca deL pesce siLUro

| Gennaio 2012pretesti17

prima delle sei. Il suo vice Borghesi, meti-coloso apprendista, aveva la voce più as-sonnata della sua.“Remo, giuro che è da non crederci.”Jacobi proseguì sulla strada provincia-le verso Lardirago, alla rotonda svoltò per im-boccare la SS 617 Bro-ni-Stradella: nel giro di venti minuti sarebbe arrivato al Ponte della Bec ca, nel punto in cui il fiume Ticino diventa Po, e dove Borghesi lo aspettava insieme a due volanti e un capannello di canottieri. Anche una squadra della scienti-fica era in viaggio per raggiungerli.L’ispettore aveva spe-cificato a Borghesi di stare bene attento che nessuno dei presenti usasse cellulari o si allon tanasse, per evita-re la diffusione di pettegolezzi. La provin-cia era un mondo in miniatura, nel giro di pochissimo tem po sarebbero arrivati sul posto i cronisti rapaci, e prima di tutto voleva essere certo che le notizie riferite da Borghesi non fossero esagerazioni.“Secondo i canottieri è un esemplare da record” aveva spiegato tra i fumi del sonno Borghesi. “Il pesce siluro più grosso mai pescato in questa zona del fiume, sicura-mente del Ticino e forse anche del Po.”Non era per il silurus glanis che erano stati chiamati, ma per ciò che spuntava dalla sua bocca, incorniciata dai bar bigli.“Non fate niente finché non arrivo” aveva

biascicato Jacobi nel buio della camera da letto. Poi aveva chiuso la comunicazione e si era alzato di peso, sbuffando. Remo si sciacquò rapidamente in bagno e la voce sfumata di sua madre Eleonora si unì al

flusso d’acqua del rubi-netto: pa role rimaste nella memoria dagli anni della sua giovinezza, il ritornel-lo tipico di ogni volta che scappava di corsa alla fer-mata dell’autobus diretto in città, per il liceo: “Mi raccomando, non lavarti come i gatti”. In quel mo-mento, sve gliato alla fine della notte per presentarsi sulla scena di un crimine – se così poteva definir-lo, in base a quanto aveva riferito Borghesi – quasi rimpianse le corse per non arrivare tardi a lezione, con il “pericolo” di essere

schernito dai compagni o ripreso da alcuni professori.Suo padre era già in piedi. Lo trovò in cucina che si rollava una sigaretta seduto al tavolo, di spalle. Remo si chinò per ba-ciarlo sulla nuca. Davanti a lui erano ancora sparpagliate le carte Modiano, le vestigia del solitario in cui Johan si era cimentato la sera prima. Il suo innocuo sonnifero.“Ciao, tata.”Johan ricambiò mugugnando mentre lec-cava la cartina per sigillarla. “Vuoi un caffè?”“Non ho tempo.”Infilò la sigaretta tra le labbra, poi la accese con uno svedese da cucina, strin-

| Gennaio 2012pretesti18

gendo il fiammifero tra le dita scre polate da più di sessant’anni di lavoro nei can-tieri, segnate dalla calce e ruvide come la pellaccia di uno squalo.Jacobi aprì il frigorifero e si versò un bicchie-re di succo di pompelmo, buttò dentro una dose abbondante di zucchero e lo mandò giù d’un sorso.“La pillola non la prendi?” Johan indicò con uno sbuf fo di fumo una confezione di medicinali sul banco della cucina.“Dopo. Ora devo scappare.” Jacobi raccol-se da una ciotola di legno le chiavi dell’au-to e aprì la porta della cucina che si affac-ciava sul cortile. Vivevano in una cascina che il padre aveva rimesso in sesto nell’ar-co di trent’anni, e dove lui aveva vissuto fin da ragazzino. C’era tornato dopo il di-vorzio da Monica. Ora lui e Johan si face-vano compa gnia a vicenda, e Remo si sen-tiva più vicino all’età morale del padre che ai suoi effettivi cinquant’anni. Tra lui e il vedovo Johan si era instaurato un rapporto che andava oltre il legame di sangue, erano compatibili a livello più emotivo: entrambi soli, a loro modo tacitamente disperati per quelle assenze che un tempo avevano im-preziosito la loro esistenza.

“Ti chiamo più tardi.” Remo salutò il padre dalla soglia. Johan sorrise a labbra strette, per Remo era come un vec chio cane lupo che sa di essere amato e accudito. Il figlio faceva un lavoro di merda, proprio com’e-ra stato il suo, e con la stessa dedizione e caparbietà. Era l’unica cosa che sapesse fare, ed era bravo a farla. Non ecceziona-le, ma capace. Erano tutti e due uomini semplici, onesti. Gran lavoratori.“Copriti che fuori fa fresco” lo avvisò inutil-mente Johan. Dopo due terzi della sua vita su suolo italiano, Johan non aveva ancora del tutto perso una vaga ma inequivoca-bile inflessione rumena, che a suo modo lo rendeva esotico.Remo annuì e chiuse la porta alle sue spalle.Per fortuna Johan non gli aveva chiesto il perché della sua uscita mattutina, di certo non così usuale come ci si aspetterebbe da un ispettore della polizia criminale. Remo non aveva mai mentito ai genitori, e non avrebbe saputo come mascherare la no-tizia. Un pesce siluro di almeno tre metri che un gruppo di canottieri aveva trovato morto, a pancia in su nel fiume, e dalla cui bocca spuntava la mano di un bambino.•

massimo Gardella

Massimo Gardella è nato nel 1973 e vive a Milano. È traduttore di saggi e romanzi per diversi editori italiani. Nel 2009 è uscito il romanzo Il Quadrato di Blaum (Cabila Edizioni). Come musicista ha scritto le musiche per il documentario di Giorgio Fornoni Ai confini del mondo (Chiarelettere 2010).Il suo sito internet è www.massimogardella.com

| Dicembre 2011pretesti19

di Luca Masali

area contaminata

Racconto

| Gennaio 2012pretesti

uel giorno alla tv andava in onda l’ultima puntata di X Factor. Per non perdersela, buttò in lavatrice tutto quello

che c’era nel cesto dei panni sporchi, al dia-volo pure il codice colore, per una volta. Oggi non c’era bucato del blu o del rosso, ma un unico carico che andava bene per tutto. La mano agguantava nevrotica ma-gliette, gonne e calzini e ricompattava nell’oblò. Senza andare troppo per il sotti-le, rinunciando a ogni ispezione. Nella tasca della tuta aveva dimenticato il lettore di ebook. Che roteò mollemente e a lungo nel cestello, cullato dal ritmo re-golare del programma di lavaggio. Sembrò superare indenne l’immersione nell’acqua calda. Persino l’ammorbidente, economico e di pessima qualità, non turbò gli ordinati circuiti logici della macchinetta. E venne il momento in cui il movimento si arrestò e l’acqua scivolò via dai mille buchi del tamburo d’acciaio. Sembrava fatta. Ma poi partì la centrifuga. Solo allora qualcosa accadde nel cervello di silicio del lettore sballottato e shakerato a 600 giri al minuto.“Nel mezzo del cammin di mia vita, già mi trovai per una simile selva oscura. E proprio come allora, la retta via mi par smarrita.”L’uomo dal naso adunco, vestito di raso rosso e la testa cinta di una corona d’alloro, in piedi sulla sommità di una collina zeppa di conigli che copulavano, vagava con lo sguardo nel paesaggio da incubo che lo cir-condava. Ai piedi della collina si stendeva una foresta inestricabile. In lontananza si scorgeva un guerriero magrissimo con la

lancia in resta, in sella a un cavallo sche-letrito, accompagnato da uno scalcinato scudiero grasso che montava un somaro. La strana coppia percorreva lentamente un sentiero dorato che si snodava nei boschi, dove saltellava e cantava una garrula bam-bina con scarpette rosse ai piedi, scortata da un leone, un uomo di latta e uno spaven-tapasseri. Poco lontano, scimmie volanti ronzavano come aerei attorno a un gorilla gigantesco, alto più di trenta metri, arram-picato sulla cima di un grattacielo del tutto fuori posto in quel bosco: il quadrumane colossale teneva nell’enorme mano pelosa una ragazzina, poco più di una bambina, che si atteggiava a strafica, ritta nel suo

metro e quarantasette, con un calzino solo e uno sguardo ammaliatore dietro a vezzosi occhiali rosa a forma di cuore. Uno sguar-do che faceva sciogliere d’amore l’orrendo gorilla che la maneggiava con insospetta-bile delicatezza. Più lontano ancora, dove finiva la selva po-polata da tali strampalate creature, si scor-geva l’azzurro del mare. Un antico velie-ro, nero come la pece, tutto ornato di ossa di capodoglio, comandato da un tenebro-so capitano con un gran cappello nero e

20

Q

Nella tasca della tuta aveva dimenticato il lettore di ebook. Che roteò mollemente e a lungo nel cestello, cullato dal ritmo regolare del programma di lavaggio.

| Gennaio 2012pretesti

la gamba di avorio, inseguiva una grossa balena bianca. La balena non pareva im-pressionata della baleniera a vela, anzi, sbadigliò e dalla sua bocca uscirono un tonno e un burattino con un gran naso di legno. Il veliero pareva non avere altro pensiero che precipitarsi contro il leviata-no bianco, tanto da non badare alla rotta. Così rischiò di venire speronato da un sot-tomarino dall’aspetto antiquato che batte-va bandiera francese, tutto ottone lucente e grandi cupole di cristallo. La balena bianca si tuffò nelle onde, per tornare a galla sotto forma di una fanciulla con le vesti straccia-te, che diede vigorose bracciate verso terra. La baleniera virò di bordo e si gettò all’in-seguimento della ragazza. Il fiociniere, uno spaventevole indigeno di chissà che parte sperduta del mondo, tutto tatuato e gi-gantesco, le lanciò anche l’arpione contro, senza tuttavia colpirla.“Messer Alighieri! Finalmente vi ho trova-to. Venite con me, vi porto via da questo incubo.”A parlare era un uomo di mezza età, con una camicia azzurra tutta sudata per la faticosa salita fino alla sommità della col-lina, con in testa un fazzoletto annodato per riparare la pelata dal sole. “Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte che spandi di parlar sì largo fiume?” L’ometto gli tese la mano. “Borges. Jorge Luis Borges. Potete chiamarmi Jorge: siamo colleghi.”Alighieri non strinse la mano, anzi, alzò il sopracciglio. “Speziale anche voi? Non mi pare di aver avuto l’onore di conoscervi alla gilda, messere.”

L’altro abbassò la mano impacciato. “Scrit-tore. Sono anch’io scrittore. Ma soprattut-to, sono il bibliotecario della biblioteca di Babele.”“Biblioteca? Qui vedo tutto fuorché una biblioteca” brontolò Alighieri. “Voi potete forse spiegare questo caos?”Borges si strinse nelle spalle. “Io m’ar-rischio a insinuare questa soluzione: La Biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una di-rezione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine.”

21

| Gennaio 2012pretesti

“E questa convien che fosse una spiega- zione?”“Volumi in disordine, messere. Qualcosa, una forza sconosciuta ha mescolato storie e personaggi in un caos primordiale, as-surdo, e io debbo rimettere ordine a tutto questo. Voi siete il primo; venite con me, vi rimetterò nella vostra Commedia.”“Se vuo’ campar d’esto loco selvaggio, devi perdurar maggior pazienza, mastro Borges: da quelle fronde s’avanza a noi la medesi-ma fanciulla ch’io vidi poc’anzi mutar da balena in donna, in quel mar là giù colà dove la batte l’onda.”La fanciulla che fino a poco prima era una balena bianca si avvi-cinò sorridendo ai due scrittori, strizzandosi acqua dalla gonna fra-dicia. Il vestito era tal-mente sbrindellato da lasciarla più nuda che vestita. A Borges non sfuggì che i seni erano attraversati da segni rossi di recenti scudisciate.“Justine!” esclamò. “Che ci fai qui? Vai via, sparisci!”Alighieri lo fermò. “Ma che fate? Tanto gentile e tanto onesta pare…”“Gentile? Onesta? Ma che dite, questa è una diabolica creatura di De Sade!”Gli occhi della fanciulla si riempirono di lacrime. “Oh, quanto è misera la virtù in catene! La mia vita non è altro che un sus-seguirsi di sventure. Appena mi ero risve-gliata in quel terribile mare che un uomo crudele, zoppo su una nave nera, voleva frugare con la sua fiocina di ferro nelle

profondità della mia intimità, impalando-mi al suo membro metallico per il suo pia-cere perverso. Mi chiamava, chissà perché, Moby Dick! Dick, capite? Io ben so cosa si-gnifica Dick! Anche voi messeri avete af-filate armi con cui volete straziare le dolci profondità del mio grembo?”Alighieri le mostrò la penna d’oca. “La penna è la mia sola arma.”Justine sorrise maliziosa, e col polpastrel-lo saggiò il pennino d’oro intriso di in-chiostro, fino a farsi uscire una goccia di sangue. “Oh, messere, quale celestiale mi-

scuglio di dolore e pia-cere potete donare a una vergine, se con quella punta aguzza la pene-trate a fondo e nel con-tempo con quella piuma le solleticate la delizia nascosta tra le sue segre-te labbra dell’amore.“Alighieri si rimise la penna dietro l’orecchio,

con un gesto più da salumiere che da poeta. “Qui mi scusi la vanità, se il fior suo la mia penna abborra. Ma a ben altro uso l’inchio-stro mio è aduso.” Un po’ delusa, Justine mise il broncio. “Così non volete approfittare della mia virtù? Lo dicevano anche quei due sulla spiaggia… Due perverse canaglie, sapete? Lui con quattro capponi legati per le zampe, lei coi capelli adornati di una ruota di spil-loni lombardi…” “Renzo e Lucia! Loro sono i prossimi, dove si trovano?” si intromise Borges.“Sono andati via con i loro amici pirati, quel corsaro tutto nero e quell’altro mezzo

22

– Justine! – esclamò. – Che ci fai qui? Vai via, sparisci!

Alighieri lo fermò. – Ma che fate?

Tanto gentile e tanto onesta pare…

| Gennaio 2012pretesti23

indiano col turbante. Ma perché li cercate? Sono terribili! Lui ha preteso che io soddi-sfacessi le sue turpi voglie sulla spiaggia, inginocchiata sulla sabbia come una cagna, mentre lei per aumentare il suo piacere ha preso i suoi aguzzi spilloni e… Guardate voi stessi, gentiluomini, cosa mi ha fatto! Ne porto ancora i segni!” Justine lasciò sci-volare a terra il vestito.Borges si coprì gli occhi con la mano. “Uuuuh, che male cane! Rivestitevi! Quei due sono diventati così perché sono stati piratati, a loro penseremo poi.”“Piratati?” chiese Justine, perplessa.“Alcuni di noi sono arrivati in questo mondo in un modo non proprio regolare… Difficile spiegare, diciamo che sono stati piratati: sono clandestini e per il fatto di esser costretti a vivere nell’illegalità sono diventati malvagi. Ma ora, messer Alighie-ri, andiamo, è tempo di tornare alla Com-media! Non volete riabbracciare la casta Beatrice d’umiltà vestuta?”

Alighieri cercò lo sguardo di Justine, che vestuta non era per nulla. Lei gli sorrise.“Mastro Borges tornateci voi, nella vostra storia” rispose il poeta. “Sto impadronen-domi dell’inesplorato potere della lingua di oggi. Dove voi vedete disordine e pi-rateria, io vedo un creativo, potente, pri-mordiale crogiuolo di parole, emozioni e poesia. Voglio vivere qui, in questo dolce stil letterario novo, fatto di mescolamento e contaminazione. Tra questa gente, inebria-to da questi umori vitali, potrò sentirmi di nuovo vivo. E finalmente, dopo settecento anni ad ammuffire nella carta, potrò dav-vero tornare a riveder le stelle.”•

Luca Masali è nato a Torino nel 1963, ma vive da tempo in Lombardia. Giornalista, ha pubblicato il suo primo romanzo, I biplani di D’Annunzio, vincendo il premio Urania di Mondadori nel 1995 e, l’anno successivo, il premio Bob Morane come miglior romanzo straniero al Festival del libro fantastico di Bruxelles. Negli ultimi anni, dopo aver pubblicato La balena del cielo (Urania Mondadori 1997, Oscar Mondadori 2004, Sironi 2008) e La perla alla fine del mondo (Urania Mondadori 1999, Sironi 2007) si è dedicato al noir, conquistando il premio Azzeccagarbugli con L’inglesina in soffitta (Sironi, 2004). Da Castelvecchi è uscito nel 2010 il suo ultimo romanzo, La Vergine delle ossa. I libri di Luca Masali sono disponibili in ebook da Biblet, nella collana Masali Collection di Delos Books che raccoglie per la prima volta in formato ePub tutti i romanzi e i racconti dell’autore.

Luca masali

scopri su www.biblet.it

| Gennaio 2012pretesti24

Il mondo dell’ebook

v

2012, la fine (del libro) è vicina?anche nel nostro paese prende piede il fenomeno ebook: numeri piccoli ma percentuali di crescita a tre cifre. intanto, negli stati Uniti e in corea del sud…

di Roberto Dessì

| Gennaio 2012pretesti25

econdo la discutibile interpre-tazione di una profezia Maya, il 2012 porterà alla fine della civil-tà per come la conosciamo. Cosa

accadrà? Sarà un terribile terremoto a far collassare la Terra? O un asteroide si abbat-terà sul nostro pianeta, seminando terrore e distruzione? Pragmaticamente parlando – e non ce ne vogliano pseudo-scienziati e profeti di sventura vari – è ben più probabile che l’anno 2012 venga archiviato come quello dell’apocalisse per il libro stampato, con un’eclissi chiamata eBook capace di oscu-rare secoli di tradizio-ne fatta di inchiostro, caratteri mobili e stam-panti industriali. Cerchiamo di dare so-stanza alle congetture. Il trend registrato negli ultimi cinque anni negli Stati Uniti è chiaro, l’AAP – l’associazione americana degli editori – sgrana con cadenza mensile per-centuali di crescita a tre cifre nel settore eBook, contraltare alla perdurante crisi del cartaceo. La stima al ribasso conferma che nel primo trimestre del 2012 i libri digita-li varranno il 20% dell’industria editoriale nel complesso. Dai numeri alla fantasia il passo è stato breve, e la “morte del libro” improvvisamente vicina. Non molto tempo fa TechCrunch pubblica-va un articolo dal titolo alquanto esplicati-vo: “Il futuro del libro: una tabella di marcia antiutopica”. Col crescente successo dei di-spositivi eInk e dei tablet, e i loro prezzi in picchiata, l’autore abbozzava una timeline

in cui prima le piccole librerie indipenden-ti, poi le grandi catene sarebbero state in-ghiottite nella grande pancia del digitale, mettendo termine – nel 2019 – al mercato dei libri cartacei così come lo conosciamo.Mike Shatzkin, altro blogger ben informato sui fatti, è persino più apocalittico: la tran-sizione ipotizzata, cifre alla mano, sposta di sei anni indietro la deadline, dal 2019 al 2013. Quando, perdurando gli attuali trend di crescita, gli eBook varranno negli USA circa l’80% dell’intera torta editoriale. Gli eReader ancora una volta sono il fattore che guida alla migrazione dei lettori dal

cartaceo al digitale (so-prattutto quelli “forti”), con punti di picco in prossimità dalle festivi-tà natalizie dove si ven-dono (e regalano) più device. Fin qui realtà e teorie made in USA, più o

meno esagerate e suggestive. Tornando all’Italia, nei fatti quanto vale il mercato degli eBook? Anche alle nostre latitudini le cose stanno cambiando, e con estrema rapidità. Di recente l’AIE ha pubblicato un report sulla crescita del mercato eBook interno nel 2011: il fatturato è di appena tre milioni di euro, poco più dello 0,1% dell’intero edito-riale. Cifre modeste, ma comparandole con i dati del 2010 ciò rappresenta un +200% perfino migliorabile; a patto naturalmente di saper miscelare cum grano salis i tre prin-cipali ingredienti nel cocktail di crescita: prezzo degli eReader, prezzo degli eBook, disponibilità di titoli in catalogo.

È probabile che l’anno 2012 venga

archiviato come quello dell’apocalisse per il libro stampato

s

| Gennaio 2012pretesti26

v

Secondo lo studio dell’associazione edito-ri si passa da meno di 2.000 (2009) a oltre 20.000 libri disponibili in digitale; vuoi perché le case editrici cominciano a com-prendere e apprezzare il fenomeno eBook (con più ritardo le “big”, a onor di vero), vuoi perché l’autopubblicazione garantisce un’ulteriore infornata di titoli tra cui sce-gliere per chi investe soldi su un eReader. A proposito di eBook reader, c’è da ag-giungere che la ricerca AIE è stata effettua-ta poco prima dell’avvento del Kindle in Italia: l’impatto di un device acquistabile a poco meno di 100 euro dà un ulteriore scrollone al dormiente mercato digitale ita-liano, seguito a stretto giro di posta dal con-tro-annuncio Telecom Italia: anche il Biblet Reader è disponibile a 99 euro, qualità e scelta a prezzi decisamente accattivanti.Varietà di titoli, device economici e prezzo medio degli eBook che è circa la metà ri-spetto al cartaceo, soprattutto per i titoli meno recenti: new entry e best seller man-tengono percentuali di sconto attorno al 20-30%, con rare eccezioni. Su questo, è in-discutibile, le case editrici potrebbero fare di più.Da oggetto del mistero a oggetto del de-siderio insomma: gli stand dei megastore di elettronica dove gli eReader fanno bella mostra di sé vengono presi d’assalto, la

parola chiave “eBook” è tra le più digitate sui motori di ricerca in Rete, i social net-work diventano i nuovi circoli letterari at-traverso cui reperire recensioni, dialogo di-retto con gli autori, guide per neofiti della tecnologia a inchiostro elettronico. Non si vive però di soli bit, e l’eBook si appresta

ad abbandonare la dimensione virtuale per entrare nella realtà tangibile e quotidiana. Il 23 dicembre scorso il neoministro dell’I-struzione Francesco Profumo dichiara-va: “I libri scolastici si spostino sui tablet. Si possono scaricare, non gratis, le cose hanno un valore. Possono così divenire dei ‘book in progress’, sfruttare al massimo l’interattività. E alla fine si risparmia, pur considerando l’acquisto del tablet”; il suo predecessore, Maria Stella Gelmini, attra-verso una circolare ministeriale caldeggia-va l’adozione degli eBook per superare il problema del “caro libri” e del peso degli zaini; le classi sperimentali in cui la didatti-ca è fatta su libri digitali e device elettronici non si contano più. Ottime intenzioni, ma transizione ancora troppo lenta rispetto a

Gli eBook stanno mutando, da oggetto del mistero a oggetto del desiderio

Dopo il kindle, anche il Biblet Reader è disponibile a 99 euro: qualità e scelta a prezzi decisamente accattivanti

scopri biblet reader su www.biblet.it

| Gennaio 2012pretesti27

chi, in altre parti del mondo, sta agendo ra-pidamente. Dal 2015 le scuole della Corea del Sud metteranno per sempre nel casset-to i libri di testo scolastici, passando agli eBook. Non stupisce la decisione di Seul, in un Paese che è secondo al mondo (dopo gli inarrivabili States) per grado di pene-trazione del libro elettronico, e vanta un partner tecnico che di nome fa Samsung. E ancora, eBook in prestito nelle bibliote-

che pubbliche, eBook in omaggio con l’ac-quisto di un quotidiano, eBook che sosti-tuiscono i manuali d’istruzioni... verrebbe da pensare che i Maya ci abbiano preso: il 2012 potrebbe essere davvero un anno di transizione, di cambiamento epocale. Da carta a eBook, con il futuro del libro simile al presente dei vinili: una curiosità da ama-tore per inguaribili nostalgici del profumo di cellulosa.•

| Gennaio 2012pretesti28

v

propositi per il nuovo anno si fanno a gennaio e si dimenticano per i successivi 11 mesi. Se tra i vostri c’è quello di essere più precisi e di avere meno la testa tra le

nuvole, siete fortunati, perché il 2012 è l’anno della Nuvola. Non ci riferiamo al calendario cinese, né a una nube apocalittica legata alle profezie Maya. Secondo la società di ricer-ca Idc, un quarto delle aziende italiane entro l’inizio del 2012 adotteranno soluzioni legate alla nuvola, per un giro d’affari di 280 milioni di euro.

Cos’è questa nuvola e come funziona? La nuvola è il temine informale con cui si indica il cloud computing, un insieme di tecno-logie che consente l’accesso a risorse hardwa-re, servizi software e sistemi di archiviazione via remoto. Pc, smartphone, eReader e tablet risultano così alleggeriti di dotazioni tecniche, e l’utente ha un’unica porta virtuale, costitui-ta da browser e applicazioni, per utilizzare strumenti online pronti all’uso, configurabili

e tagliati su misura per le sue esigenze, e per salvare i dati in enormi archivi digitali.

Chi utilizza la nuvola?Lo sviluppo del cloud è legato in gran parte alla benevola accoglienza all’interno delle azien-de, sia piccole che grandi, che hanno potuto abbattere costi di acquisto e gestione dell’IT. I vantaggi principali stanno nella riduzione dei tempi da destinare a formazione e supporto, ma soprattutto nella flessibilità: dalla gestio-ne del budget, semplificata dalle modalità pay per use, alla scalabilità dei servizi, che permet-te aggiornamenti e rimodulazioni in base a esigenze mutevoli, alla semplificazione delle infrastrutture interne, dal momento che i ser-vizi cloud si utilizzano tramite browser e sono quindi accessibili da sedi differenti. Fuori dal contesto aziendale, lo sviluppo della nuvola è stato possibile grazie alla diffusione della banda larga, dei dispositivi mobili e dei social network, che hanno abituato gli utenti a non avere i propri dati in un luogo fisico, ma a ri-

Gli ebook tra le nuvole

I big del web stanno sviluppando sistemi di cloud computing, all’interno dei quali si delineano

anche il presente e il futuro degli eBook e le abitudini di acquisto e fruizione dei lettori digitali

Il mondo dell’ebook

di Daniela De Pasquale

I

| Gennaio 2012pretesti29 v

v

chiamarli da qualunque dispositivo connesso a internet.

Cosa c’entra la nuvola con il web e soprattut-to con gli eBook?Gli strateghi del marketing hanno spostato la pubblicità online e il dialogo con i consuma-tori dai siti istituzionali a quelli in cui si tra-scorre più tempo: i social network. La logica alla base della tecnologia cloud è la stessa: non stiamo parlando dell’utente sbadato e quindi “tra le nuvole”, ma di un utente sempre in movimento, sempre connesso, che ha biso-gno di viaggiare leggero e allo stesso tempo di avere sempre a disposizione i suoi documen-ti. Grazie alla nuvola, non c’è più bisogno di salvare file su chiavette USB, DVD o CD. Se avete lavorato fino a notte fonda a un proget-to da presentare l’indomani a un cliente, non dovrete più svegliarvi con l’incubo di averlo salvato solo sul vostro pc di casa. Pensando agli eBook, tutto il contenuto dei nostri scaffa-li digitali è depositato su Internet e possiamo sfogliare i nostri libri sempre e ovunque. Gli esempi potrebbero continuare all’infinito, lo schema è lo stesso: niente più hard disk, penne di memoria, cavi, ma solo una connessione a internet, l’unica definitiva chiave di accesso ai propri documenti. Basta un clic, e l’insieme di bit galleggianti e sospesi si trasformerà sul monitor in foto, film, musica e eBook, proprio come le particelle d’acqua delle nuvole che, spostandosi, le fanno assomigliare ora a un animale, ora a un essere mitologico, ora a un volto che sorride.

Chi sta sperimentando la nuvola?Forse non lo sapete, ma state utilizzando una nuvola quando caricate un video su Youtube, condividete un documento con i vostri colle-

ghi con Google Docs o leggete la posta trami-te Gmail. Si tratta di alcuni dei servizi cloud di Google che, insieme agli altri big del web, stanno sviluppando le proprie app e il proprio ecosistema, all’interno del quale stanno dise-gnando anche il presente e il futuro dei libri digitali.È stato proprio il CEO di Google Eric Schmidt a coniare l’espressione cloud computing nel 2006, quando suggeriva che il posto di har-dware e software era “in qualche nuvola da qualche parte”.

Amazon è stata la prima a proporre l’Amazon Elastic Compute Cloud. E ancora oggi punta forte sul modello per lo streaming musicale e video, grazie ad Amazon Prime, Amazon Mp3, Amazon Cloud Player, l’App Store per le applicazioni Android e, aspetto che ci inte-ressa di più, il negozio online per gli eBook e il Kindle Cloud Reader. L’ultimo nato in casa Amazon, il Kindle Fire, non ha uno slot per l’aumento della memoria, il che la dice lunga sulla volontà di affidare alla nuvola l’utilizzo delle applicazioni e lo storage dei dati. Anche Microsoft si è lanciata nel settore, con la piattaforma Azure per le piccole e medie imprese.

La nuvola permette di acquistare canzoni, noleggiare film, sfogliare eBook sempre e ovunque, trasformando i beni immateriali in commodities e pagando solo ciò che si consuma, come si fa con l’energia elettrica

| Gennaio 2012pretesti30

v

E non si può non citare iCloud, con cui Apple permette di “accedere a tutto quello che hai, da tutti i tuoi dispositivi. Non devi sincroniz-zare i contenuti, non devi gestirli, non devi fare nulla, perché fa tutto iCloud.”Un’esperienza molto vicina a noi è Tim Cloud, con cui Telecom Italia apre al mercato consu-mer la sua “Nuvola Italiana”: 1 GB di memo-ria a disposizione dei clienti Tim e dei posses-sori di uno smartphone Android o Symbian per salvare nella nuvola musica, video, eBook e ogni tipo di file, che possono essere organiz-zati in cartelle, riprodotti in streaming e condi-visi tramite i social network.

Non si corrono dei rischi?Attività svolte e dati salvati nella cloud sono sempre meno legati alla prossimità fisica e al controllo diretto, e questo presenta inevitabil-mente degli svantaggi. Innanzitutto, la dispo-nibilità dei dati è strettamente legata alla pre-senza di una connessione. In secondo luogo, depositare i dati in remoto non equivale ad averli sui propri sistemi: non esistono copie se non quelle salvate dall’utente stesso. Il terzo problema è quello principale: la protezione dei dati. Nonostante le garanzie prestate dai fornitori, molte aziende non sono propense ad affidare alla nuvola dati sensibili o strategici. Quello della privacy è il tasto su cui, in par-ticolare, batte Richard Stallman, leader del

movimento per il software libero, secondo cui utilizzare web application e affidare all’onestà e solidità di un’azienda tutte le informazioni personali o di lavoro (foto, agende, ma anche bilanci e piani strategici) significa assumersi tutti i rischi di boicottaggio o incidenti che po-trebbero verificarsi.

Cloud Computing: rischio o opportunità?Quello che Stallman definisce una moda è un fenomeno tutt’altro che temporaneo e rappre-senta la naturale evoluzione del modo in cui si utilizza la rete, che da strumento per la condi-visione di documenti diventa sempre più un provider di servizi. Si possono acquistare can-zoni, noleggiare film, sfogliare eBook come e quando si vuole, pagando solo ciò che si con-suma come si fa con l’energia elettrica.Si tratta di un’evoluzione che sta cambiando anche i nostri comportamenti, oltre alle nostre abitudini di acquisto, e sta migliorando anche molti aspetti della nostra vita. Basti pensare all’ambito sanitario: all’Ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma sono già in corso spe-rimentazioni per dotare ogni paziente di una identità clinica digitale, accessibile in ogni mo-mento da tutti gli ospedali collegati. Un bel sogno di innovazione, da realizzare affrontando e minimizzando i punti deboli del sistema. Il cloud computing, come tutte le cose, può rappresentare un rischio o un’op-portunità, a seconda dei punti di vista. Come quelli che servono per interpretare i quadri di René Magritte, in cui proprio le nuvole, mu-tevoli come i pensieri, sono un elemento ri-corrente e significativo, e hanno contribuito a caratterizzarne lo stile tanto da farlo ricordare come “il pittore dei sogni”.•

Attraverso la sola connessione a internet, il cloud computing manda in pensione hard disk, penne di memoria e tutti gli altri strumenti di archiviazione

31 | Gennaio 2012pretesti

oceano è più indovinato che visto dietro l’accavallarsi armonioso dei crina-li. Verso ovest i rilievi del Rustic Canyon tagliano scorci più netti e selvatici, appena punteggiati da rade abitazioni che sanno ancora di conquista e ardi-mento, ma di là dal flessuoso tracciato del Sunset Boulevard, dove spiccano

come macchie i prati ben curati dei country club, le colline tracciano profili levigati nel loro morbido digradare a sudest, prima di precipitare a scogliera sul litorale. Più in basso, Santa Monica si distende piatta e languida fino al Pacifico, segnata dal reticolo delle strade che si incrociano dritte e regolari, e dietro la linea del lungomare, sul quale si slanciano

thomas mann

“doktor FaUstUs” (1947) di Luca Bisin

L’

Buona la primaStorie di libri ed edizioni

31

i fusti delle palme e si affacciano le case dei divi hollywoodiani, la spiaggia si al-lunga a perdita d’occhio, bianca e assolata, già animata fino a Venice Beach. Quassù, nella quiete un po’ defilata di Pacific Pa-lisades, l’oceano arriva solo come un’idea che si sente nell’aria, un presagio di onde e di luce che la brezza insinua tra i foglia-mi fitti dei pini e degli eucalipti, mischia-to al profumo dei limoni che costeggiano le strade sinuose a cui qualcuno ha dato i nomi di città italiane. È il 23 maggio del 1943, una domenica matti-na, e nel suo studio al pianterreno di una casa imponente, dalle linee forse un po’ troppo severe per la California del Sud, al 1550 di San Remo Drive, Thomas Mann si accinge a scri-vere il Doctor Faustus.Che questo romanzo “così assolutamente te-desco” da essere quasi intraducibile, come dirà il suo autore, sia nato nella florida sva-gatezza della crescente Los Angeles è forse solo la più esteriore e involontaria delle tante trasfigurazioni che contribuiscono alla sua complessità e potenza simbolica. “Dove io sono, là è la Germania”, diceva l’esiliato Mann; e più forse che un eserci-zio di presunzione, si trova in questo an-nuncio la condizione di uno straniamento interiore che egli condivideva con i tanti intellettuali tedeschi e austriaci scampati negli anni quaranta alla ferocia nazista e riparati in gran numero tra le lucenti colli-

ne della baia di Santa Monica. Toccato dal sentore dell’oceano, attorniato dalla rigo-gliosa esuberanza dei cedri e delle palme, dei pini e delle buganvillee, Mann conti-nua però lavorare sulla pesante scrivania in mogano che dalla casa di Monaco lo ha seguito nelle tappe del suo esilio, traccia vi-sibile di un legame con la patria che, forza-tamente interrotto, non smette di bruciare e non manca di manifestarsi nel romanzo fin dalle sue prime pagine: è il 23 maggio

del 1943, una domenica, quando l’erudito e uma-nista Serenus Zeitblom, nel suo vecchio studio-lo a Freising sull’Isar, si accinge a racconta-re la storia dell’amico e compositore Adrian Le-verkühn, che dalla fitti-zia cittadina di Kaiser- saschern percorre una parabola vitale tragi-camente dispersa tra lo slancio della creazione

artistica e il disfacimento della malattia, tra l’impeto ideale della musica e la per-dizione fatale di un patto con il diavo-lo che assume inevitabilmente i contor-ni allegorici della Germania hitleriana. E quando Leverkühn consumerà il fatale colloquio con Satana, esprimendo lo stu-pore di incontrare il diavolo, così popolare fra i tedeschi, in Italia piuttosto che nella natia Kaisersaschern, Mann affiderà la ri-sposta proprio a quella sua dichiarazione di orgoglio tedesco che pronunciata dal demonio si muta quasi in una sentenza in-flessibile: “Se tu avessi il coraggio di dirti:

32 | Gennaio 2012pretesti

‘Dove io sono, ivi è Kaisersaschern’, ecco che tutto sarebbe a posto”.Opera “cupa, spaesante, inquietante”, mae-stosa e definitiva come può esserlo solo una resa dei conti, il Doctor Faustus è forse anzitutto per Mann il tentativo di replica-re in un esercizio di scrittura quel “gioco ironico della natura” che, nel finale del ro-manzo, tra la tragedia ormai compiuta di Leverkühn e quella già annunciatasi della Germania nazista, sa produrre “l’immagine della più sublime spiri-tualità là dove la spiri-tualità è scomparsa”. In ossequio a quell’”in-trecciarsi mutevole e affine di tutte le cose” che è la musica stessa, nella voracità dei riferi-menti e delle allusioni, delle allegorie e delle traslazioni che attirano e sublimano tra le pagine del romanzo le più sva-riate suggestioni della cultura tedesca, l’esilia-to Mann traccia dalle coste della California i lineamenti ambigui di un’identità tedesca che, dalla tragedia ormai compiuta, si mette alla ricerca di una nuova spiritualità. Forse, la vittima più illustre di questo esercizio sarà il compositore austriaco Arnold Schönberg,

anch’egli rifugiatosi nella placida quiete di Los Angeles, non distante dall’abitazione dello scrittore, e naturalizzato americano fin dal 1941. Nella finzione del Doctor Fau-stus, infatti, la musica dodecafonica di cui Schönberg è il teorico e il propugnatore di-viene l’espressione caratteristica del genio inquieto di Adrian Leverkühn e delle ten-sioni più cupe della sua anima. Alla pubbli-cazione del romanzo nel 1947, preoccupato che l’invenzione manniana potesse offusca-

re il suo nome ai poste-ri, Schönberg ingaggerà con lo scrittore un’ope-ra di persuasione assil-lante, a tratti grottesca, affinché fosse esplicita-mente dichiarata la sua paternità spirituale della tecnica dodecafonica.Mann cederà, infine, ap-ponendo alla nuova edi-zione una nota esplica-tiva, senza peraltro che questo chiarimento po-tesse dissolvere l’ombra

ben più ingombrante e difficile che il Doctor Faustus gettava sulla musica di Schönberg come su tutta la cultura tedesca: l’onere di una tragedia storica che nessuna distanza poteva alleviare e nessuna visione d’ocea-no rendere meno tedesca.•

33

v

| Gennaio 2012pretesti

Arnold Schönberg

| Gennaio 2012pretesti34

il discorso del presidenteGiorgio napolitano e il messaggio di fine 2011

di Michele A. Cortelazzo

discorsi dei Presidenti della Repub-blica sono stati definiti un interes-sante esempio di linguaggio politico pienamente istituzionale. Il connubio

tra linguaggio politico e linguaggio istitu-zionale può avere una particolare rilevanza oggi, in un momento di crisi, economica e politica, come l’attuale, nel quale il Presi-dente della Repubblica ha dovuto seguire molto da vicino l’evolversi della situazio-ne politica e, particolarmente, governativa. Ci si può attendere che delle due polarità discorsive, quella politica possa aver accre-sciuto la sua incidenza a scapito di quella istituzionale.Può essere interessante verificare cosa in effetti sia accaduto in un’occasione forte-mente rappresentativa, e in qualche misura rituale, nella vita civile della nostra Repub-blica, e cioè nell’ultimo messaggio di fine anno, quello tenuto il 31 dicembre 2011 dal Presidente della Repubblica Giorgio Na-

politano. Ci spingono a esaminare questo discorso almeno tre ragioni: la prima, as-solutamente contingente, è che si tratta di un discorso che abbiamo ascoltato pochi giorni fa e mantiene, quindi, delle caratte-ristiche di attualità; la seconda è che sullo specifico genere testuale dei discorsi di fine anno possediamo i risultati di una recente ricerca, condotta da un gruppo interdisci-plinare dell’Università di Padova (poi pub-blicati, per i tipi della Marsilio, col titolo Messaggi dal colle) e i relativi strumenti di analisi, anche di natura statistica; la terza che il messaggio di fine anno è uno dei di-scorsi pubblici di più alto valore simbolico, dal momento che la più alta figura istitu-zionale della nostra Repubblica si rivolge direttamente ai cittadini.Il tono dei discorsi del Presidente Napoli-tano, di tutti i suoi discorsi, è sempre for-temente istituzionale: sobrio nelle scelte lessicali, controllato, e mai piatto, nelle co-struzioni sintattiche, fluido nell’esecuzio-ne (con poche pause e pochi tempi morti), orientato a sollecitare coesione e concordia nei cittadini. È il tono che il Presidente ha mantenuto anche nel discorso di fine anno.Può parere strano, ma una delle parole che più caratterizza Napolitano, per il suo uso ricorrente (e superiore alla frequenza con cui l’avevano usato i suoi predecessori) è la congiunzione e. Parrebbe una curiosità,

Sulla punta della lingua Come parliamo, come scriviamo

Rubrica a curadell’Accademia della Crusca

i

| Gennaio 2012pretesti35

un valore che riguarda le stranezze della distribuzione delle parole nei nostri discor-si, e non un dato che ci apre prospettive di comprensione dell’atteggiamento dell’ora-tore. Ma non è così. Questa paroletta è in-dicatrice di una tendenza di Napolitano, quella a unire gli elementi del suo discor-so, spesso in strutture binarie. Bastereb-be leggere la frase iniziale del messaggio del 2011, quando ringrazia gli italiani che ha incontrato, “uomini e donne”, “di tutte le generazioni e di ogni parte del paese”, oppure quando sostiene che il risanamento dell’economia “dipende da adeguate scelte politiche e imprenditoriali, come da com-portamenti diffusi, improntati a laboriosità e dinamismo, capaci di produrre coesio-ne sociale e nazionale”. La logica binaria, tipica dell’attuale Presidente (a differenza di alcuni predecessori che prediligevano strutture ternarie o accumulative) è “par-ticolarmente funzionale all’oratoria di chi lavora per ricomporre un Paese dimidia-to dal bipolarismo, cercando d’incarnare – come Napolitano – l’«imperativo dell’u-nità nazionale» di fronte a «elettori divisi in due parti quasi uguali»” (come ha scrit-to Giuseppe Antonelli nel 2007 sul “Sole 24 ore”).Il carattere di fondo dell’eloquio di Napo-litano non pare, dunque, essere mutato nel discorso 2011 rispetto alle consuetudini oratorie del Presidente. Ma il vocabolario?Neppure il vocabolario sembra discostarsi dal fondo consolidato delle scelte lessicali del Presidente. Se cerchiamo, con opportu-ni strumenti statistici, le parole “specifiche” del discorso di quest’anno, ne troviamo ben poche; e solo una di queste è seman-

ticamente significativa: sacrifici. La parola è stata usata 6 volte nei messaggi di fine anno di Napolitano, e quasi esclusivamen-te (5 volte) nel messaggio di quest’anno. Non c’è da stupirsene, dato che il tema dei sacrifici richiesti agli italiani per risanare la situazione finanziaria dello Stato è il tema del giorno. Si tratta di una parola che sta in

compagnia di altre parole, statisticamente meno rilevanti, ma comunque presenti solo nel discorso di quest’anno: evasione, corru-zione, recessione, mercati, finanziario, risana-mento. Insomma: tra le scelte lessicali che rappresentano una novità nella serie dei messaggi di fine anno di Napolitano, spic-cano quelle legate alla contingente situazio-ne economica. Possiamo considerare queste parole come parole politiche? In una certa misura sì, ma si tratta di parole indotte dalle priorità dell’agenda politica di questo mo-mento, parole che, probabilmente, tutti noi usiamo più spesso in questi mesi rispetto a qualche tempo fa. Troppo poco per poter sostenere un accrescimento del peso della politica nel discorso di fine d’anno.In realtà, questo discorso di fine anno si in-serisce perfettamente nella serie storica dei messaggi di Napolitano. Se cerchiamo, con

Il tono dei discorsi del Presidente Napolitano, di tutti i suoi discorsi, è sempre fortemente istituzionale: sobrio nelle scelte lessicali, controllato, e mai piatto

| Gennaio 2012pretesti36

Giorgio Napolitano

un altro mezzo statistico, di misurare la si-milarità del discorso del 2011 con gli altri messaggi di fine anno di tutti i Presidenti, possiamo verificare che l’ultimo messaggio risulta strettamente simile agli altri discorsi dello stesso Presidente, e solo dopo appare apparentato ad alcuni discorsi di Ciampi e di Cossiga. Si tratta di somiglianze notate già a partire dal primo discorso del 2006 (il quale mostrava un’ancora maggiore conti-

nuità con le modalità discorsive di Ciampi). Napolitano appare simile a Ciampi per quel che riguarda la promozione della coesione tra le parti, la sensibilità per il mondo fem-minile e l’attenzione al processo di integra-zione europea; si avvicina, invece, a Cossiga per l’accento su argomenti più strettamente istituzionali. Per la prima volta, quest’anno, il discorso di Napolitano si avvicina, sia pure debol-mente, anche a un discorso di Leone. I di-scorsi di Giovanni Leone si caratterizzava-no per lo spazio dedicato alle inquietudini e agli allarmi del tempo. Non è certo un caso che proprio quest’anno si verifichi questo leggero avvicinamento al precedente Pre-sidente napoletano, con un’attenuazione, quindi, del tono generalmente ottimistico dei messaggi di fine anno di Napolitano (ve n’è anche una spia lessicale, dal momento che il Presidente inserisce nel suo discorso, per la prima volta, la parola travagli).Insomma: il messaggio dell’attuale Presi-dente mostra una fortissima coerenza con le consuetudini discorsive che Napolita-no si è creato subito dopo l’assunzione del mandato. Le poche vere novità sono indot-

te dalle contingenze dell’attuale momen-to economico e sociale. Non pare che

l’emergenza politica abbia scalfito in maniera sensibile la forte isti-

tuzionalità dei discorsi del Pre-sidente Giorgio Napolitano.•

| Gennaio 2012pretesti37

Anima del mondo

Paesaggi della letteratura

narrare La porta deLL’orienteIstanbul attraverso i romanzi di Orhan Pamuk e di Elif Shafakdi Fabio Fumagalli

l mistero, ciò che è inspiegabile razio-nalmente, possiede due caratteristi-che essenziali: un’ambiguità di fondo, figlia di un’intima contraddizione

dell’evento, e una costitutiva bellezza deca-dente che suscita nello spettatore sentimen-ti contrastanti. Non è difficile incontrarlo. Molto spesso esso si pone di traverso sul nostro cammino, lasciandoci attoniti e privi dei nostri consueti meccanismi di difesa. Le cose si complicano quando si tratta di trasmetterlo, di raccontarlo. È necessaria allora l’abilità di un grande narratore per far emergere tutte le qualità che esso possiede. Istanbul, centro culturale ed economico

della Turchia nata dalla rivoluzione kema-lista, sembra concretizzare in sé questo tipo di fenomeno. Posta a cavallo di due con-tinenti, l’asiatico e l’europeo, e installata sulle rive del Bosforo, del Corno d’oro e del Mar di Marmara, questa porta dell’Oriente sembra, infatti, porre un’eterna sfida a chi cerca di descriverla. Innanzitutto vanno fatti i conti con la sua storia. Capitale di due grandi imperi, quello bizantino e quello ottomano, e, assieme a Roma, centro dell’arte e della scienza per circa sei secoli, il suo passato si perde in mille rivoli contraddittori. Si prenda, ad esem-pio, il museo di Santa Sofia, posto a guardia

i

| Gennaio 2012pretesti38

dell’intera città sulla sommità del quartiere storico Sultanahmet. Questo edificio, eretto per la prima volta da Costantino il Grande, fu il centro della vita religiosa di Bisanzio per poi diventare, con l’avvento dei turchi, una moschea. È a partire dal 1935, grazie all’iniziativa di Atatürk, che viene ad assu-mere l’attuale funzione di museo.

Ma non è solamente nei grandi monumen-ti che emerge l’aura misteriosa e piena di fascino di Istanbul. Perché la megalopoli turca è come un libro aperto con scaraboc-chiate dieci milioni di storie, tutte assolu-tamente uniche e irripetibili. Ed è proprio da queste storie che il narratore esperto sa trarre la magia di un’intera città. A questo proposito, tornano alla mente le figure di Asya e sua madre Zeliha, protagoniste del libro La bastarda di Istanbul della scrittrice turca Elif Shafak. Durante il loro tormentato rapporto, un unico momento di riconcilia-zione fa percepire al lettore “la pulsazione della città”, il ritmo vitale che l’attraversa, “come e perché la gente [possa] innamorarsi

di Istanbul”. Questa pulsazione può essere compresa esclusivamente da un orecchio vigile e attento, che immediatamente sa tra-sformarla in un’avventura degna di essere raccontata.Mistero, contraddizioni, magia. Tutto questo e altro ancora appare allo spettatore di Istan-bul. Specchio fedele di quanto detto è il Bo-

sforo, lo stretto che unisce il Mar Nero e il Mar di Marmara, e che divide la città su due continenti. Immaginandoci su di una riva, sostenuti nel nostro volo di fan-tasia dalla penna dello scrittore premio Nobel Orhan Pamuk, sulle sue acque vediamo tran-sitare petroliere rumene, picco-le barche a vela di pescatori in arrivo da Trabzon, chiatte piene di carbone, traghetti che fanno la spola sulle due sponde, ele-ganti transatlantici italiani, una varietà pressoché infinita di navi. Secondo lo scrittore turco

“proprio per questa esigenza spirituale di vedere, anche se da lontano, lo stretto, nelle case di Istanbul la finestra che si affaccia sul mare è come la mihrap nelle moschee, la nic-chia che indica la direzione della Mecca”. Ma c’è una zona nascosta e inconscia del Bosforo che, benché invisibile, lo rende un luogo assolutamente speciale. Si tratta del suo fondale, uno scrigno che racchiude i resti di tutto ciò che Istanbul è stata, tutti i suoi misteri e tutte le sue contraddizioni. Solo un narratore esperto come Orhan Pamuk può accompagnarci nei suoi abissi, facendoce-ne conoscere i segreti. Con un’abile inven-zione letteraria nel Libro nero egli si imma-gina infatti che le acque del Bosforo stiano

| Gennaio 2012pretesti39

regredendo lasciando emergere in superfi-cie i ricordi che esso conserva: “Nel cuore di questo caos apocalittico si staglieranno i resti di traghetti delle linee marittime di una volta, adagiate sul fianco in mezzo a diste-se di meduse e tappi di gazzosa. L’ultimo giorno di repentino regresso delle acque, fra le navi da crociera americane rimaste in secca e le colonne ioniche ricoperte di alghe, emergeranno scheletri celtici e lici […] tesori bizantini incrostati di mitili, forchette e col-telli d’argento e di latta, barili di vino seco-lari, bottigliette di gazzosa, carcasse di af-filate galere…”. Potenza della scrittura che porta lo spettatore là dove il mistero si fa più presente, dove risiede la vera essenza di Istanbul. Grazie ad essa infatti riusciamo a percepire il sentimento che lega insieme una città così ricca di storia e di ricordi: esso

prende il nome turco di hüzün, tristezza, perché, secondo Pamuk, “a Istanbul, a dif-ferenza di quanto succede nelle città occi-dentali […] le rovine convivono con la città. Ma le antenne della città ricordano ai suoi abitanti sensibili che la forza e la ricchezza del passato sono scomparse […] e il pre-sente è povero e confuso”, inconfrontabile col passato. Allora l’unico rimedio sarebbe rispondere in maniera affermativa alla do-manda che Elif Shafak pone costantemente in tutti i suoi romanzi: “Non è forse meglio dimenticare?”. Ma ormai sappiamo che un vero scrittore non può accettare questa ri-sposta. “Perché”, afferma il premio Nobel turco, “non c’è nulla di sorprendente come la vita. Tranne lo scrivere. Lo scrivere. Sì certo, tranne lo scrivere. L’unica consolazio-ne che abbiamo.”•

| Gennaio 2012pretesti40

di Francesco Baucia

tra ostriche e champaGne, trionFa Lo ščiTavole imbandite nei racconti di Anton Cechov

Alta cucinaLeggere di gusto

Anton Cechov

| Gennaio 2012pretesti41

nche e soprattutto nei nostri tempi di sobrietà forzata, ostri-che e champagne mantengono uno status di simboli eterni del

lusso. I loro nomi evocano fantasmi di agia-tezze sepolte nel passato o di speranze che baluginano in un futuro indefinito. Nella Russia imperiale di fine Ottocento, Anton Cechov dovette certo pensare alla forza evocativa di questi oggetti del desiderio quando scrisse due dei suoi racconti più rapidi e raggelanti, che intitolò appunto Le ostriche e Lo champagne. Nel primo, un ra-gazzino ridotto alla fame viene fatto ingoz-zare di ostriche per burla da un gruppo di sedicenti gentiluomini, mentre il padre, uno scri-vano caduto in disgrazia che ha assistito attonito allo spettacolo, si doman-da come mai non sia stato capace di chiedere a quei signori un semplice atto di carità. Nel secondo, il meschino capo di una stazione ferroviaria sperduta nella steppa festeggia il capodanno stappando una bot-tiglia di Veuve Clicquot insieme alla moglie, la quale, nonostante lo squallore della loro vita, lo ama perdutamente; aprendola ne rovescia un bicchiere e viene redarguito dalla donna, secondo cui quel vino versa-to è presagio di disgrazie future. L’uomo sbotta: “Come è possibile che nella mia vita ci sia spazio per qualcosa di più brutto che quello che mi è già toccato in sorte?”. Non immagina che di lì a poco arriverà in casa sua una donna, parente della moglie, della quale si invaghirà e che gli farà perdere tutto, lavoro e amore della consorte com-

presi. Cechov si stupiva del fatto che molti ammiratori non cogliessero l’umorismo di cui sosteneva fossero intessuti i suoi lavori. Difficile dargli ragione di fronte a due pa-rabole aspre come queste. Se di umorismo si tratta, tuttavia, bisogna riconoscere che ci troviamo davanti a uno spirito corrosivo che non risparmia i miti del benessere di cui da sempre sono nutriti i sogni più distruttivi. È questo un aspetto della sua opera che lo avvicina a Gustave Flaubert: la sua eroina Emma Bovary, andando verso la rovina, si indebita per circondarsi di vestiti e arredi lussuosi. Ma Cechov non sarebbe il maestro assoluto che è se fosse soltanto un castiga-

tore di costumi. L’atten-zione tutto sommato af-fettuosa per le abitudini delle classi benestanti è per lui l’altra faccia della medaglia del disincanto che sempre accompagna il suo sguardo sui mede-simi strati della società. Non rifiuta pertanto di

soffermarsi, ad esempio, sulle consuetudini culinarie dei suoi personaggi. È esemplare in questo senso il racconto Il regno delle donne, apparso nel gennaio del 1894. Vi si racconta la giornata di Natale di una giovane donna, Anna Akìmovna, proprietaria di uno sta-bilimento industriale ereditato dal padre. La sua vita si trascina nell’indecisione, dal momento che si sente estranea al mondo degli operai – cui tuttavia, prima di fare fortuna, il padre apparteneva – così come da quello degli aristocratici – non vantando infatti alcuna ascendenza altolocata. In una visita a una famiglia indigente per adem-piere a un’opera di carità ha conosciuto un

a

Ci troviamo davanti a uno spirito corrosivo

che non risparmia i miti del benessere di cui da sempre sono nutriti i sogni più distruttivi

| Gennaio 2012pretesti42

operaio che vagheggia di sposare. Il pen-siero di questa possibilità attraversa la sua mente per tutto il giorno di Natale, mentre attorno a lei si agita la folla di servitori che apparecchiano la casa per la celebrazione della festività e quella degli ospiti giunta a porgerle gli omaggi. La casa di Anna è or-ganizzata su due piani, il piano superiore è chia-mato “quartiere buono o nobile e appartamento” mentre quello inferiore “quartiere degli affari, o dei vecchi, o semplice-mente delle donne”. Nel primo sono ricevuti i no-tabili, “le persone distin-te e istruite”, mentre nel secondo la gente di sem-plice condizione e i cono-scenti della zia di Anna. Il pranzo di Natale, incentrato su pietan-ze russe (“minestra di cavoli, un porcellino, un’oca con le mele”), si accompagna esclusi-vamente per gli ospiti del piano superiore al cosiddetto “pranzo francese”, classico esempio della moda francofila che amma-liava i ceti russi più agiati nell’Ottocento. Si succedono dunque, sulla tavola del piano superiore, oltre agli immancabili vodka e salmone, funghi freschi alla panna e “una salsa alla provençale di ostriche e code di gamberi arrosto” mentre un invitato, l’av-vocato Lysevič, rammenta con nostalgia l’abilità di un vecchio cuoco del posto nel preparare la salsa matelote (un condimento a base di ritagli di pesce). Serve le pietanze

l’arcigno cameriere Mìšen’ka, “con la gravi-tà d’un professore di magia nera”. Tra tutte quelle delizie, però, Anna rimane presso-ché a digiuno, tormentata com’è dall’ansia di imprimere al più presto un senso alla sua vita. Alla sera, andati via gli ospiti, le donne di casa rimangono da sole e si conce-

dono un secondo round a tavola (carne salata con senape, una tacchina, mele in conserva, uva spina e per accompagna-re le chiacchiere del dopo cena panforti alla menta, noci e uva passa). Anche Anna ha riacquistato l’appetito: sembra ormai decisa a proporsi in ma-trimonio all’operaio, e ne fa l’annuncio quella sera stessa, ma poco dopo ritratta, dicendo che è stato solo uno scherzo. Finirà così la sua gior-nata insieme alla fedele cameriera Maša, inna-morata senza speranza

del servo Mìšen’ka, a piangere e a ridere allo stesso tempo della misteriosa mutevo-lezza del cuore. Ma chissà poi se il buon operaio Pimenov – oggetto delle fantasie della sua datrice di lavoro – si sarebbe mai trovato a proprio agio al tavolo da festa di Anna, se i due fossero davvero convolati a nozze? Forse, a differenza del terribilmente snob Lysevič, si sarebbe concentrato con più attenzione sulle pietanze nazionali e tra queste, più di tutte, su uno dei classici per eccellenza della cucina russa: la minestra di cavoli (šči).

C’è un detto arcinoto in Russia che recita

“Šči e kaša sono il nostro cibo”

| Gennaio 2012pretesti43

C’è un detto arcinoto in Russia che recita “Šči e kaša sono il nostro cibo” (irriprodu-cibile in italiano la rima che rende spirito-so il proverbio originale), il quale testimo-nia come la minestra di cavoli e la zuppa di grano saraceno bastino da sole a de-terminare l’identità culinaria russa. Lo šči si ottiene preparando un buon brodo di carne e aggiungendovi, tagliate a pezzetti e listarelle, una serie di verdure: carote, po-modori, sedano rapa, rapa e, ovviamente, sua maestà il cavolo cappuccio, insieme a qualche foglia di alloro, sale e pepe. Invece del cavolo cappuccio è possibile utilizza-re anche crauti (attentamente scolati), se

si intende ottenere un minestra dal gusto più acidulo. Il tutto deve cuocere a fuoco basso per circa tre quarti d’ora e poi restare a lungo a riposo. Per servirla, la si scalda a fiamma bassa, si taglia a pezzetti la carne utilizzata per fare il brodo e la si dispone nei piatti; infine, si versa sopra la carne la zuppa bollente unendo una cucchiaiata ab-bondante di panna acida e una spolverata di aneto fresco. Si possono placare i roventi spiriti della minestra di cavoli con un bic-chiere di rosso proveniente dalla Russia meridionale, area geografica caratterizzata da una buona produzione vinicola, e da cui d’altronde proveniva lo stesso Cechov.•

Ingredienti (per 2/3 persone):½ kg di carne di manzo½ kg di cavolo cappuccio2 carote2 pomodori3 patate1 cipolla1 sedano rapa1 rapaAlloroSalePepePanna acidaAneto fresco

MINESTRA DI CAVOLI (ŠčI)

| Gennaio 2012pretesti44

Si dice che gli assassini tornano sempre sul luogo del delitto, e in questa propensione fanno loro buona compagnia gli artisti, i quali frequentemente amano rivisitare nel corso della carriera le proprie ossessioni creative. Forse per tale motivo, nel titolo di una raccolta di raccon-ti, Raymond Chandler ha definito il delitto un’arte semplice. Stephen King è uno scrittore che non fa eccezione a tale regola, e ce lo dimostra una volta per tutte in questo ultimo exploit, che ha voluto espressamente fosse com-mercializzato soltanto in formato digitale, ambito di cui King è un po’ un pioniere tra gli scrittori sin dai tempi di Riding the bullet (per approfondire, rimandiamo all’articolo di Daniela De Pasquale sul numero 3 di PreTesti). Miglio 81 (apparso in Italia per Sperling & Kupfer) si basa in-fatti su un’idea che ha reso celeberrimo il suo romanzo del 1983 Christine, la macchi-na infernale: come allora, il mostro di questa favola gotica contemporanea è un’automo-bile, qui dotata della prerogativa di sgra-

nocchiarsi le persone che le capitano a tiro come se fosse un’enorme tritacarne. L’auto, un’indefinibile station wagon inzacchera-ta di fango, arriva, quasi dal nulla, in una stazione di servizio abbandonata di un’au-tostrada del Maine, e fagocita, in serie, un

assicuratore invasato dalla religione (tanto da defi-nire la Bibbia “il manuale del perfetto assicuratore”), una ex wrestler lesbica ap-partenuta a un gruppo iti-nerante di lotta nel fango, i due genitori ansiosi di una coppia di bambini e, per concludere, un poliziotto armato di iPad e appas-sionato di Scarabeo. Come vuole la tradizione fiabe-sca, la salvezza non appar-tiene al mondo degli adulti e infatti sarà proprio un preadolescente – capitato per caso nella stazione ab-

bandonata per cercare di compiere un’im-presa degna dell’attenzione del fratello più grande e dei suoi amici – a ingaggiare la lotta più efficace con la macchina infernale che, come si scoprirà, non proviene dall’a-bisso dell’aldilà, ma dalle profondità dello spazio.

disponibile su www.biblet.it

LA STATION WAGON VENUTA DA UN ALTRO MONDO

miGLio 81di Stephen king

Recensioni

| Gennaio 2012pretesti45

Il racconto, ricco di dettagli umoristici, grandguignoleschi, citazioni e autocitazio-ni, si dipana, con la maestria cui il Re ci ha da tempo abituati, in sei rapidi capitoli. Ci sono tutti gli ingredienti che possono far gridare, una volta apparsa l’ultima riga del testo sullo schermo del nostro eReader, un liberatorio: “That’s entertainment!”: mo-menti di suspense, personaggi schizzati a tutto tondo con pochi tratti sicuri e soprat-tutto il piacere un po’ perverso di intrave-dere, giusto un passo dietro a quanto de-scritto nel racconto, scenari ancora più in-quietanti di quelli che scorgiamo attraverso lo spioncino della storia. Recentemente alcuni psicologi hanno so-stenuto che film e storie dell’orrore, assunti in giusti quantitativi, favoriscono un sano sviluppo delle facoltà mentali dei ragazzi. Si riscopre, dopo la demonizzazione un po’ moralistica dello spavento, il valore della prova del negativo che proprio la ricchezza delle varie raccolte nazionali di favole da sempre testimonia. Quando tornate a casa, potremmo quasi affermare, date da leggere un racconto horror ai vostri bambini. Magari lo stesso Miglio 81. Perché essi, parafrasan-

do Freud, sono capaci, a differenza degli scettici – e a volte ottusi – adulti, di “lot-tare contro il demone in modo composto”. Questo, dietro alla sua maschera giocosa, ci insegna da lungo tempo Stephen King, e ce lo ripete ancora una volta in quest’ultimo lavoro.•

Recensioni

Stephen King

| Gennaio 2012pretesti46

VI RACCONTO UN ROMANZOe gli altri eventi del mese

Appuntamenti

VI RACCONTO UN ROMANZOTorna la grande letteratura all’Auditorium Parco della musica di Roma, dove prosegue il ciclo di letture Vi racconto un romanzo, una serie di “incontri” a cura di Valerio Magrelli con alcuni dei grandi capolavori della lettera-tura italiana del dopoguerra. L’iniziativa offre al pubblico la possibilità di stabilire un contat-to ravvicinato con gli aspetti più interessanti della creazione narrativa attraverso letture affidate ai principali interpreti del teatro ita-liano. Questi i testi che verranno proposti nel 2012: il 16 gennaio Il porto di Toledo di Anna Maria Ortese (letto da Licia Maglietta, con in-troduzione di Monica Fernetti), il 20 febbra-io Racconto d’autunno di Tommaso Landolfi (letto da Milena Vukotic, con introduzione di Andrea Cortellessa), il 5 marzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (letto da Remo Girone, con introduzione di Domenico Scarpa), il 2 aprile Le città invisibili di Italo Cal-vino (letto da Isabella Ragonese, con introdu-zione di Marco Belpoliti) e il 7 maggio L’isola di Arturo di Elsa Morante (letto da Iaia Forte, con introduzione di Nadia Setti). Fino al 7 maggio

CONVIVIO. INCONTRI LETTERARI ED ENOGASTRONOMICI A KM 0Organizzato dalla Fondazione d’Andrade e giunto ormai alla quarta edizione, l’evento culturale Convivio, che ha luogo nel piccolo comune di Pavone Canavese (in provincia di Torino), trova la sua peculiarità nel saper coniugare letteratura, teatro, musica e pro-dotti enogastronomici. L’edizione 2011-2012, avente per titolo Note e parole. Musica e lette-

ratura, ha in programma una serie di incontri in cui prenderà corpo una magica fusione tra testi (scritti e raccontati) e musiche. Il primo appuntamento ha visto come protagonista il libro Novecento di Alessandro Baricco in-terpretato da Omar Ramero. Queste le altre letture: venerdì 13 gennaio Racconti musicali, con Lucia Gravante e Giuseppe Cigno, ve-nerdì 10 febbraio La mia storia con Mozart di Éric-Emmanuel Schmitt con Dimitri Riccio e infine venerdì 16 marzo Canone inverso di Paolo Maurensig con Marco Panzanaro. Fino al 16 marzo

IL CAMMINO DELLE PAROLEAll’interno del magnifico palcoscenico di Pa-lazzo Firenze a Roma, la Società Dante Ali-ghieri, in collaborazione con Paesaggio Cul-turale Italiano – I Parchi Letterari, propone una rassegna di incontri culturali che avran-no come fine quello di valorizzare, accanto a quello artistico e letterario, l’ambito eno-gastronomico. Tale progetto si fonda su una serie di conferenze che si pongono l’obiettivo di fornire un’ampia panoramica su alcuni dei maggiori scrittori italiani, tra cui ricordiamo Pier Paolo Pasolini e Carlo Levi. Al termine di questi incontri, che vedranno la partecipa-zione di numerose personalità di spicco del mondo della cultura, verranno proposte de-gustazioni di prodotti tipici provenienti dai territori dei Parchi Letterari. La manifestazio-ne, inaugurata il 23 novembre 2011 con una tavola rotonda su Giosue Carducci, si conclu-derà il 13 giugno 2012 con l’iniziativa Trovato-ri e Virgilio, parole in viaggio. Fino al 13 giugno

| Gennaio 2012pretesti47

tweets

bookbugs

@carloalberto

L’Italia digitale più istituzionale

appare dimessa e sconfortata,

mentre questo è il momento più

eccitante per i folli affamati

@5AdicoXtinala cioccolata è un regalo

sempre gradito, ma anche

gli ebook ultimamente ;)

@Pianeta_eBookGli #eBook reader e i #tablet tra i regali di Natale più scartati nel mondo. Scommettiamo che anche in Italia...?

@FaziEditoreIn Usa gli #ebook battono i

libri: 42 titoli su 50. In Italia

siamo agli esordi, seguiremo il

trend?

@eroticnotesBaratto. Un bacio con un

sillogismo, una carezza necessaria

con una messa in piega, un

ebook con un neologismo.@trittoli#ebook #murakami Bisognerebbe poter ascoltare la musica citata mentre si legge. Sarebbe godurioso. Basterebbe un click.

I TUOI LIBRI SEMPRE CON TE E UN’INTERA LIBRERIA A DISPOSIZIONE

www.biblet.it

APERTA 24 ORE SU 24!

PreTesti • Occasioni di letteratura digitaleGennaio 2012 • Numero 1 • Anno II

Telecom Italia S.p.A.

Direttore responsabile:Roberto Murgia

Coordinamento editoriale:Francesco Baucia

Direzione creativa e progetto grafico:Fabio ZaninoIrina Galleri

Redazione:Sergio BassaniLuca BisinFabio FumagalliPatrizia MartinoFrancesco Picconi

Progetto grafico ed editoriale:Hoplo s.r.l. • www.hoplo.comIn copertina: Valeria Parrella

L’Editore dichiara la propria disponibilità ad adempiere agli obblighi di legge verso gli eventuali aventi diritto delle immagini pubblicate per le quali non è stato possibile reperire il credito.

Per informazioni [email protected]

Occasioni di letteratura digitale

pretesti

www.biblet.it