PREMIO TESI DI LAUREA SULL’ECONOMIA TREVIGIANA · ospitalità essenziali per lo sviluppo del...

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PREMIO TESI DI LAUREA SULL’ECONOMIA TREVIGIANA 6^ edizione 2003

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PREMIO TESI DI LAUREA

SULL’ECONOMIA TREVIGIANA

6^ edizione

2003

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INDICE Il sistema delle relazioni distrettuali e la pianificazione strategica territoriale Il caso enoturistico di Conegliano Laureanda: Eleonora Da Ros Pag. 9 L’impatto paesaggistico ambientale dell’agricoltura Veneta Un’analisi economica della zona del Quartier del Piave Laureanda Barbara Berton Pag. 57 Il proto-distretto del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene Laureanda: Paola Bettiol Pag. 103

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Presentazione La Camera di Commercio di Treviso è lieta di pubblicare gli elaborati dei vincitori della sesta edizione del Premio Tesi di Laurea sull’Economia Trevigiana curati da Eleonora Da Ros, Barbara Berton e Paola Bettiol. Il Premio è ormai da tempo un'iniziativa della Camera di Commercio tesa a promuovere la conoscenza dei processi in atto all’interno dell’economia provinciale, nonché a sostenere l’attività dei giovani ricercatori iscritti alle Università italiane o frequentanti le stesse nell’ambito degli scambi interuniversitari previsti dall’Unione Europea. Per questa edizione, al fine di favorire maggiormente l’interscambio di conoscenza fra il mondo dell’università e le esigenze di approfondimento da parte dell’Ente camerale, oltre ad ammettere in concorso tutte le tesi concernenti l’economia trevigiana, il Premio ha proposto una serie di temi quali: new e old economy e le sue integrazioni e relazioni nel sistema

economico trevigiano; analisi di casi di successo nell’ambito della subfornitura, nella

meccanica, nel legno-arredo, nel tessile-abbigliamento e nel calzaturiero; analisi sulla filiera dell’agroalimentare; studi sull’evoluzione del terziario e sulla modernizzazione della rete

distributiva. Tra i numerosi elaborati presentati in concorso, che hanno coperto le diverse aree di indagine proposte dal bando, la Commissione Giudicatrice composta da tre docenti dei principali atenei veneti (prof. Ferruccio Bresolin, prof. Franco Bosello e prof. Giovanni Zalin) ha premiato le tesi che si sono distinte per originalità e qualità e ritenute quindi meritevoli di pubblicazione in questo profilo. Il primo premio è stato assegnato ad Eleonora Da Ros, laureatasi in Scienze Statistiche ed Economiche presso l’Università di Padova presentando la tesi: “Il sistema delle relazioni distrettuali e la pianificazione strategica territoriale. Il caso enoturistico di Conegliano”, curata dal prof. Luciano Pilotti. Si tratta di un elaborato che ha cercato di focalizzare l’attenzione sugli aspetti utili ad identificare il distretto enoturistico tenendo conto delle tendenze attuali della domanda di servizi turistici e di prodotti enologici ed in particolare indagando su come la disciplina di marketing possa

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svilupparsi all’interno di un sistema organizzativo complesso quale la rete di reti, al fine di approntare policies di pianificazione strategica del territorio. Il secondo premio è stato assegnato a Barbara Berton, laureatasi in Economia Aziendale presso l’Università di Udine con la tesi: “L’impatto paesaggistico-ambientale dell’agricoltura veneta. Un’analisi economica nella zona del Quartier del Piave”, curata dal prof. Francesco Marangon. E’ un elaborato centrato sulla problematiche di tutela e valorizzazione dell’ambiente e del paesaggio rurale, che si è posto in particolare l’obiettivo di offrire una nuova base di appoggio alle decisioni politiche in materia agro-alimentare, che fondino i loro principi ispiratori nella volontà di sostenere l’agricoltura come settore in grado di produrre effetti positivi sulle risorse naturali. Il terzo premio è stato assegnato a Paola Bettiol, laureatasi in Economia e Commercio presso l’Università di Udine con la tesi: “Il proto-distretto del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene”, curata dal prof. Andrea Moretti. E’ una ricerca che ha come oggetto di studio il sistema produttivo del Prosecco doc di Conegliano e Valdobbiadene, tesa a fotografarne la situazione, valutarne le prospettive e la presenza di requisiti che lo possano identificare come distretto. La Commissione ha ritenuto inoltre di assegnare tre premi di segnalazione a Roberto Dalla Pellegrina, Marta Mion e Sara Zanatta, per studi rispettivamente riferiti a: indagine sulla creazione del valore e sui metodi della sua misurazione per comprendere come le potenzialità della filosofia di gestione che sta alla base della creazione del valore possano essere impiegate nelle imprese che operano in contesti distrettuali; approfondimento mirato al settore nonprofit, in particolare relativo al ruolo assunto dalle organizzazioni del terzo settore all’interno delle politiche pubbliche di intervento che le vedono oggi al centro del dibattito come soggetti in grado di rinnovare il vecchio sistema di welfare state italiano e come terreno favorevole alla crescita dell’occupazione e dell’economia del nostro Paese; ricerca indirizzata all’importanza fondamentale del ruolo delle Fondazioni Bancarie quali attori fondamentali nello sviluppo dei territori di riferimento, sia in termini di capacità di intervento che di risorse nell’organizzazione dei “grandi eventi”.

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Si ringraziano i vincitori e tutti i partecipanti a questa edizione del Premio per l’alta qualità degli elaborati presentati, che saranno conservati dall’Ente inserendoli in un catalogo dedicato presso la Biblioteca Camerale. In questa pubblicazione vengono riassunte dagli stessi autori le tre tesi vincitrici del Premio.

Federico Tessari

Presidente della Camera di Commercio di Treviso

Renato Chahinian Segretario Generale della Camera di Commercio di Treviso

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA

FACOLTA’ DI SCIENZE STATISTICHE

Corso di laurea in Scienze Statistiche ed Economiche

Tesi di laurea

IL SISTEMA DELLE RELAZIONI DISTRETTUALI E

LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA

TERRITORIALE

Il caso enoturistico di Conegliano Relatore: Laureanda: Chiar.mo Prof. Luciano Pilotti Eleonora Da Ros

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ANNO ACCADEMICO 2001-2002

Gli onorevoli parleranno domani sulla rinascita delle colline […], serie possibilità di competizione da piano a monte da colle a colle […] il tuo vino è uno schiaffo al medico è un calcio allo stento alla sofisticazione da ”La Beltà”, Andrea Zanzotto

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INDICE

1. INTRODUZIONE PAG. 15 2. IL DISTRETTO ENOTURISTICO COME

SISTEMA DI SISTEMI PAG. 17

3. TEORIE ED APPROCCI STRATEGICI PAG. 21 3.1 La scelta del modello di gestione reticolare 3.2 Marketing territoriale e marketing relazionale

4. IL CASO ENOTURISTICO DI CONEGLIANO PAG. 29 4.1 L’analisi relazionale attraverso la network Analysis 4.2 Commento sullo stato dell’arte 4.3 Proposte di scenari strategici di sviluppo

Scenario con l’introduzione di un nuovo attore Scenario con una maggiore integrazione degli attori eistenti

4.4 Commento sulla situazione ipotizzata 4.5 Considerazioni per lo sviluppo del sistema

enoturistico

5. CONCLUSIONI Pag. 49 BIBLIOGRAFIA Pag. 51

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1 Introduzione La competizione tra ambiti territoriali locali costituisce un fenomeno non nuovo, ma che negli ultimi vent’anni, per inserirsi nella dimensione globale, ha conosciuto un notevole sviluppo. In realtà, non esistono conflitti nel perseguire simultaneamente l’obiettivo locale di vocazione del territorio e l’altro obiettivo di inserimento nella globalizzazione dei mercati. Anzi, si riesce ad essere tanto più globali e tanto più ad avere uno spettro d’azione ampio, quanto più si riesce ad attrezzare il territorio in modo tale da potersi inserire facilmente in questo dinamismo, facendo leva sulle sue diversità e assumendole come elemento distintivo, costante e strutturale. Alla luce di queste considerazioni e partendo dalle motivazioni alla base della domanda di turismo e dall’evoluzione in atto in questo settore, siamo pervenuti ad identificare un complesso insieme di risorse dell’accoglienza ed ospitalità essenziali per lo sviluppo del turismo, in particolare del turismo del vino. Tali elementi costituiscono parte integrante di un contesto in cui il territorio, il paesaggio, così come le valenze delle aziende vitivinicole stesse, rappresentano la ”tipicità” su cui si gioca la competitività di un prodotto turistico di nicchia, con forti potenzialità di diffusione sul territorio nazionale, ma anche essenziale fattore di sostegno del comparto agricolo nel suo complesso. In particolare, si è cercato un approccio che ci permettesse di focalizzare l’attenzione su quegli aspetti che sono utili ad identificare un distretto enoturistico.

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2 Il distretto enoturistico come sistema di sistemi La logica del ”distretto” cui si è fatto ricorso, lungi dall’essere una trasposizione acritica di un modello industriale fondato su produzioni di tipo manifatturiero, rappresenta un utile impianto teorico e metodologico per cogliere appieno tutti i fenomeni e le problematiche connesse ad un insieme composito e multiforme di componenti dell’offerta. Esse sono il frutto dell’operare di attori diversi, pubblici e privati, occupati in fasi ed operazioni diverse della complessa filiera turistica e vitivinicola, ma caratterizzati da un denominatore comune, il territorio, in un’ottica di ”prodotto area” o ”prodotto sistema”, che fonda le basi del successo su caratteristiche spaziali distintive, quali l’identità del luogo, le tradizioni, il know-how, la qualità della vita, traducibili per esempio in marchi d’area. I criteri di identificazione di un distretto enoturistico non sono mutuabili in modo diretto da quelli tipici della produzione industriale e differiscono in certa misura anche da quelli turistici in senso stretto. Il fattore cruciale che caratterizza il distretto enoturistico è la compresenza di due tipologie diverse di sistemi distrettuali: quello enologico, che è più equiparabile, almeno in certi tratti, ai sistemi industriali1; mentre l’altro, quello turistico, è più vicino ai sistemi distrettuali dei servizi. Ognuno di questi due sistemi ingloba in sé almeno quattro sottosistemi fondamentali, la cui origine è da ricercare nel sistema del valore relativo al prodotto turistico2.

1 L'impresa vitivinicola va considerata nella sua triplice natura di impresa agricola, di azienda industriale, di struttura commerciale. 2 Per approfondimenti si rimanda alla tesi, cap. 2.4, Il distretto come filiera economica.

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Figura 1 - Il distretto enoturistico come sistema di sistemi

1. SISTEMA DELLE RISORSEagricole, ambientali, ecc.

2. SISTEMA DELL'OFFERTAcantine, vigne,

imprese vitivinicole, ecc.

3. ISTITUZIONI LOCALIassociazioni di categoria,

Consorzi di Tutela, Assessorato all'Agricoltura, ecc.

4. COMUNITA' LOCALEgli stakeholders,

la popolazione residente, ecc.

1. SISTEMA DELLE RISORSEvitivinicole, culturali, artistiche,

gastronomiche, paesaggistiche, ecc.

2. SISTEMA DELL'OFFERTAalberghi, ristoranti, intermediazione, ecc.

3. ISTITUZIONI LOCALIassociazioni di categoria, Apt, Assessorato al Turismo, ecc.

4. COMUNITA' LOCALEgli stakeholders,

la popolazione residente, ecc.

SISTEMA ENOLOGICO SISTEMA TURISTICO

SISTEMA ENOTURISTICO

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Queste due diverse reti devono essere integrate all’interno di un unico sistema reticolare, le cui caratteristiche peculiari sono riconducibili a: 1. come la risorsa vitivinicola è inserita tra le risorse turistiche, sia dal

punto di vista dei processi produttivi (con tutto quanto ne discende in termini di compatibilità, integrazione, ecc.) sia da quello della tutela;

2. il raccordo tra le strutture dell’offerta turistica e quelle della produzione vitivinicola; si tratta del fattore più critico dal punto di vista economico, in quanto è in questo raccordo che si possono realizzare economie tipicamente distrettuali3: - economie di scala nella promozione e commercializzazione (sia a

livello di azienda, che di area locale o nazionale); - economie di specializzazione e di scopo nella produzione e nel

raccordo con i mercati (si pensi alle relazioni con le enoteche, alla politica di prezzo con altri canali, all’analisi delle informazioni finalizzate alle ricerche di mercato, ecc.);

- economie di agglomerazione. 3 la relazione interna tra le diverse istituzioni locali preposte al controllo,

alla regolamentazione, nonché all’incentivazione dei rispettivi settori. Un esempio potrebbe essere quello del riconoscimento di una Doc o di una Docg.

Questi nodi cruciali evidenziano anche l’importanza di sviluppare adeguate forme di coordinamento. In sintesi, pertanto, il distretto enoturistico può essere definito come: ”una destinazione turistica, individuata da un’area territoriale delimitata e continua al suo interno, caratterizzata da una comunanza di elementi di identità locale sul piano storico, culturale e dei modelli sociali in cui il vino ha una sua collocazione precisa ed identificabile, ed interessata dalla compresenza attiva di una popolazione di imprese vitivinicole che interagiscono nel processo di produzione/erogazione del prodotto turistico locale”4. Da questo assunto è possibile evidenziare come il distretto enoturistico si configuri come località già interessata dalla presenza, ad intensità significativa, sia di attività che di flussi turistici, e pertanto si inserisca in una fase del ciclo di vita di una destinazione turistica. In tale area convivono e interagiscono una comunità locale e una popolazione di imprese attraverso una fitta rete di relazioni incentrate sugli elementi di identità locale, in cui il vino si caratterizza come l’elemento aggregativo primario nei confronti della domanda.

3 Non si dimentichi infatti che il turismo rappresenta un canale privilegiato di distribuzione del prodotto, mentre il vino rappresenta un fattore di attrattività. 4 Magda Antonioli Corigliano, 1996, pag. 184.

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E’ anche grazie a questi elementi, proposti così come la comunità locale li ha sempre combinati nella propria storia, che il turista enogastronomico può, almeno in parte, calarsi in questo nuovo contesto e vivere il tempo della sua permanenza in simbiosi con il suo territorio e la sua comunità. Ciò concorre da un lato alla omogeneità e caratterizzazione del relativo prodotto turistico, e dall’altro ne rende possibile il passaggio da oggetto di semplice fruizione turistica a realizzazione di una ”esperienza di vita”, permettendogli di distinguersi nel panorama dei prodotti turistici similari. I risultati ottenuti indicano che nella realtà distrettuale gli investimenti migliori sono quelli che intervengono nel sistema delle relazioni, la cui organizzazione e gestione necessita di un approccio metodologico innovativo multidisciplinare.

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3 Teorie ed approcci strategici Il sistema turistico soffre il fatto di essere considerato come semplice sommadi singole entità. La realtà poi evidenzia come fra attori impegnati nella stessa causa, per esempio la promozione turistica di una zona, esistano piani, idee, opinioni spesso totalmente contrastanti. Manca, quindi, il coordinamento, la collaborazione, la comunicazione fra i singoli attori, e ciò testimonia l’incapacità di saper concepire in maniera globale l’intero sistema in cui si agisce. Pertanto, una successiva implicazione dell’adozione di una logica di tipo sistemico, come una filosofia reticolare impone, è il ripensamento del sistema turistico in maniera globale. Abbiamo già visto come nelle variabili di riferimento del distretto turistico, ovvero nelle ragioni di una risposta comune, emergono, oltre alle peculiarità territoriali, le forme di collegamento che necessariamente costituiscono l’ossatura di tutto il processo. Se, infatti, è sulla centralità del concetto di relazione che si fonda la creazione di un circolo virtuoso, per la creazione e, soprattutto, il mantenimento di tale circolo, si rendono indispensabili quelle forme di cooperazione formalizzata che si vengono ad instaurare nella rete e nell’organizzazione. La molteplicità di attori coinvolti, così come la compenetrazione e le interrelazioni fra gli stessi, nonché la centralità della risorsa umana in tutte le fasi, impongono una forte azione aggregativa, dalla quale deriverà appunto la validità delle azioni intraprese e il valore aggiunto globale ottenuto, nonché l’abilità ad accrescere le ricadute economiche all’interno dell’area. Si passa allora da una concezione di sistema turistico come ”prodotto fisico” ad una concezione di sistema turistico come ”prodotto globale”, come ”servizio” o, per meglio dire, come ”sistema interagente di servizi”.

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Figura 2 - Sistema turistico come prodotto e come servizio

NON "VENDEREMO" UN PRODOTTO TURISTICO

PRODOTTO VACANZA

MA "VENDEREMO" IL SERVIZIO TURISTICO DEL SISTEMA DISTRETTUALE

SISTEMA RELAZIONALE DISTRETTUALE

PRODOTTO VACANZA

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Il ”prodotto/servizio sistema turistico” risulta influenzato dall’effetto congiunto delle reciproche interazioni anziché dalla somma delle singole componenti. Poiché ciascuna componente può essere ricondotta ad uno specifico momento decisore, alla complessità intrinseca al fenomeno turistico relativamente alla domanda, si aggiunge quella relativa alla numerosità dei decisori e degli attori coinvolti nel processo di governo: si viene così a creare una situazione di ”complessità della complessità”. Tale situazione, a sua volta, è dovuta al fatto che ogni singola componente non è e non può essere trattata quale entità isolata dalle altre. Il punto essenziale di svolta per la risoluzione di tale complessità risiede, allora, nella volontà e nella capacità di approntare e di realizzare un sistema di reti relazionali non solo interno ai diversi decisori ed ai diversi operatori, ma anche di collegamento fra questi due livelli. La soluzione sarà tanto più efficace quanto più nelle parti si radica la convinzione della necessità e dell’opportunità di una conciliazione dei termini della questione, e quanto più è efficiente la rete delle relazioni e la tempestività degli interventi che si vengono ad instaurare. Queste osservazioni di fondo possono venire articolate schematicamente nei seguenti punti: • gli attori agenti all’interno dell’area turistica, dagli operatori

pubblici a quelli privati agli stakeholders, generalmente non partono da obiettivi e finalità comuni, ma tendono a muoversi in base ad ordini di priorità molto differenti e talvolta contrastanti;

• il prodotto turistico di un’area o di una singola località è il frutto di una organizzazione che a sua volta emerge sia da un processo di coordinamento delle decisioni e degli strumenti di intervento, sia in seguito alla realizzazione di una rete di sinergie;

• questa necessità di coordinamento si evidenzia non solo all’interno, ma soprattutto fra una molteplicità di livelli di decisione e di attuazione, collocati sia al di sopra del livello regionale, sia all’interno del governo regionale, sia a livello territoriale periferico;

• il passo fondamentale è la conciliazione fra le due contrapposte esigenze di unitarietà delle linee guida e di rispetto delle diversità dei contesti: se da un lato, infatti, un’azione di governo richiede una stretta correlazione e omogeneità delle linee strategiche, dall’altro è controproducente trascurare i connotati fortemente locali del turismo.

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Poiché la gestione delle dinamiche relazionali travalica la dimensione aziendale in senso stretto5, e considerando che gli operatori pubblici, data la rilevanza della dimensione territoriale, svolgono funzioni che hanno influenze dirette sui processi produttivi dell’area, da un punto di vista economico si rivela decisiva e prioritaria l’armonizzazione delle rispettive attività dei soggetti pubblici e privati del comparto, in quanto punto di partenza necessario per una loro cooperazione, nonché tra gli stessi operatori e gli stakeholders.

5 Il "prodotto/servizio turistico" non è inquadrabile in una logica di tipo puramente aziendale; se così fosse, sarebbe come presupporre che tutti gli attori agenti all'interno dell'area turistica avessero obiettivi e finalità comuni, cosa che non è affatto scontata.

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Figura 3 - Gli attori coinvolti nell’attività enoturistica

Organismi internazionali

OMTCE

WTOONU

Regione(Assessorati)

Agricoltura Turismo Beni Culturali Trasporti e Territorio Ambiente

Province

Organismi statali

Ministeri - Agricoltura - Ambiente

Presidenza Consiglio deiMinistri

Dipartimento del Turismo

ENITISTAT

ICE

Operatori

CantineAziende vinicole

Agriturismi RistorantiTrattorie

Strutture ricettivealberghiere edextra-alberghiere(alberghi,hotel,residence,bungalow,agricampeggi,case private, ecc.)

Infrastrutturedi interesseartistico-culturale(musei etnografici,musei del vino,mostre,edifici storici, parchi,enoteche, ecc.)

Intermediazioneturistica(tour operator,agenzie di viaggi,consorzi dipromozioneturistica, ecc.)

Scuole(Istitutienologici, Istitutiper il turismo,Scuolealberghiere

Associazioni

Nazionali:MovimentoTurismo del Vino,Città del Vino,Strade del Vino,Slow Food,Ass. ItalianaSommeliers, ecc.

di categoria:Ass. Albergatori,Ass. Ristoratori,Ass. agrituristiche,Ass. Enologi edEnotecnici, ecc.

locali:confraternite,circoli culturali,ecc.

TURISTI

UTENTI CONSUMATORI CITTADINI

Comuni Comunità Montane APT Pro LocoCCIAA

IAT

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3.1 La scelta del modello di gestione reticolare Alla luce di queste considerazioni, ciò che è importante considerare è il carattere di trasversalità del settore turistico. In esso, più che in altri settori, sono andate affermandosi forme di integrazione verticale ed orizzontale delle attività, ma proprio la trasversalità del settore e l’inscindibile connessione tra le strutture dell’offerta, i trasporti ed il vasto sistema territoriale delle risorse naturali e culturali dell’area turistica, fanno sì che non sia più possibile concepire il prodotto turistico come un insieme di servizi avulso dal contesto del loro luogo di produzione e dal sistema relazionale che si instaura tra le componenti stesse dell’offerta. Si rende pertanto necessaria l’organizzazione sistemica dell’area turistica per mezzo di un insieme di reti relazionali che possono far interagire in modo efficiente ed ottimale le variabili economiche ed extraeconomiche della produzione in un’area turistica, nonché far fronte ad una domanda in cui la dimensione culturale, intesa in senso allargato, nell’ambito dei comportamenti motivazionali, ha acquisito un’importanza primaria. L’approccio cui si fa riferimento si basa pertanto sul concetto di rete o di rete di reti, ove il termine rete definisce l’insieme di due o più organizzazioni coinvolte in una relazione a lungo termine, allo scopo di poter sfruttare al meglio le possibili economie di scala e di specializzazione e di ridurre i costi di transazione. Procedendo in tal modo, l’analisi viene spostata dal singolo nodo del network (impresa, consumatori, associazioni commerciali, istituzioni pubbliche, ecc.) alla rete, mediante l’introduzione di specifici modelli e strumenti (di analisi reticolare appunto). L’obiettivo che ci siamo posti è stato allora quello di comprendere come la disciplina di marketing si sarebbe potuta sviluppare all’interno di un sistema organizzativo complesso quale la rete di reti in analisi per intervenire con appropriate local policies. 3.2 Marketing territoriale e marketing relazionale Le indicazioni ricavate ci hanno indirizzato verso un’evoluzione del marketing che prende sempre più nettamente le distanze dal marketing inteso in termini classici: un programma di marketing teso alla valorizzazione del distretto non può che scaturire da un sistema di tipo reticolare in cui si trovano collegati tutti quei soggetti che attraverso la loro attività possono generare effetti sinergici nei processi di produzione del valore e incidere sulle caratteristiche del sistema. Se infatti è sulla centralità del concetto di relazione che si fonda la creazione di un circolo virtuoso, per lo sviluppo sostenibile ed il mantenimento di tale circolo si rendono indispensabili

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quelle forme di cooperazione formalizzata che si vengono ad instaurare nella rete e nell’organizzazione e/o nella Rete di Reti. Il marketing, secondo l’approccio che stiamo esaminando, è inteso pertanto come management delle relazioni ed è rivolto alla guida dei processi di networking attivati dalle istituzioni, economiche e non. Lo studio proposto affronta queste tematiche come punto di partenza per la promozione integrata del territorio che faccia leva su un settore, quello del turismo vitivinicolo, ancora, ci pare, troppo spesso sottovalutato. L’approccio che a noi interessa deve portare alla costruzione di una idea forte di promozione territoriale, che va oltre la promozione turistica più tradizionale e per questo deve proporre il territorio attraverso un sistema composto da più sistemi. In un Paese come l’Italia, che vanta un sorprendente mosaico di giacimenti gastronomici ed enologici, il prodotto agroalimentare di qualità diventa dunque uno strumento essenziale per veicolare la cultura di un certo territorio. Perché si è scelto il vino quale testimonial privilegiato e credibile di un’area? Tale scelta è dettata da fattori diversi, quali il bagaglio storico, culturale ed evocativo, ma che inducono ad identificare vino e territorio come parti inscindibili di un unico prodotto che ritrova la sua origine, appunto, nella “terra”. E’ in questo quadro concettuale che abbiamo introdotto un case-study specifico: quello del distretto di Conegliano.

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4 Il caso enoturistico di Conegliano Un’indagine preliminarmente svolta sulla situazione economica ed in particolare sull’attività vitivinicola e sulle dinamiche turistiche, ha fatto emergere le forti potenzialità, finora poco considerate, che il territorio riserva, al di là dello sviluppo basato sulla concentrazione delle Pmi manifatturiere, e le enormi opportunità offerte dal connubio enoturistico. Esistono infatti strette connessioni tra modernizzazione dell’agricoltura, tutela dell’ambiente e sviluppo integrato con i settori extra-agricoli, in particolare con il turismo innovativo, come ad esempio l’enoturismo, il turismo rurale, l’ecoturismo, il turismo culturale. Il ruolo trainante che l’enoturismo può esercitare sull’economia locale, grazie alla sua trasversalità sugli altri settori produttivi e agli effetti moltiplicatori su tutto il tessuto economico-sociale, è evidenziato dalla letteratura recente. Nel caso di Conegliano, l’enoturismo verrebbe ad inserirsi in un tessuto ricco che già si esprime molto bene nel settore manifatturiero ed industriale6, e per questo assume una funzione importantissima per creare maggior valore per le imprese e per il sistema e le istituzioni nel loro complesso. In questa prospettiva, la diffusione di un turismo sostenibile, integrato all’agricoltura, rispettoso dell’ambiente e degli equilibri naturali e culturali del territorio, rappresenta un’operazione di ampio respiro culturale, praticabile attraverso lo sviluppo di politiche locali che prevedono quale fattore strategico quello di ottimizzare le relazioni di scambio tra le attività umane d’impresa e istituzionali della realtà territoriale nel suo complesso. Favorire e valorizzare tali intrecci virtuosi è compito della pianificazione attraverso strumenti innovativi, quali il marketing territoriale. La creazione di sinergie fra operatori diversi che vanno ben oltre le strategie specifiche delle singole unità produttive, costituisce inoltre quell’insieme di elementi essenziali per identificare la competitività d’area e migliorare la sua capacità attrattiva. Scopo dell’analisi era:

• verificare la capacità di organizzare e promuovere il sistema enoturistico del distretto di Conegliano;

• evidenziare quali relazioni già esistono e quali altre potrebbero o dovrebbero essere potenziate per incentivare sviluppi futuri;

• delineare i ruoli dei diversi operatori;

6 La crisi in tale settore dovuta alla delocalizzazione è emersa in modo preponderante due anni dopo la stesura di questo lavoro e dà maggior risalto alle opportunità che riserva lo sviluppo dell'enoturismo.

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• indagare sull’esistenza o meno di sottogruppi significativi all’interno del sistema.

Lo strumento operativo da noi utilizzato per studiare le caratteristiche delle relazioni esistenti tra i vari attori è stato identificato nella network analysis. 4.1 L’analisi relazionale attraverso la network analysis L’analisi relazionale ci permette di descrivere e predire comportamenti e strutture partendo dall’analisi delle relazioni esistenti tra gli attori del network distrettuale. E poiché avere un ben definito quadro relazionale del sistema risulta fonte di vantaggio competitivo, l’analisi relazionale si configura quale elemento indispensabile nell’economia del nostro studio. La network analysis si propone di studiare gli attori e le relazioni che contraddistinguono un qualsiasi sistema interorganizzativo associandolo ad una rete neurale. L’analisi relazionale sviluppata in questo studio ci consente di definire l’identikit relazionale dei singoli attori e di ottenere informazioni sulla struttura organizzativa e sugli assetti relazionali presenti nel sistema enoturistico di Conegliano. Il piano della ricerca è stato specificamente creato per valutare l’effettiva incidenza di alcune tipologie di relazioni che si instaurano fra gli attori del sistema. Il nostro obiettivo è stato quello di ricavare informazioni su di esse per poi arrivare a classificare le relazioni di ogni singolo attore con i rimanenti, attribuendogli un valore che identifica le caratteristiche di ciascun legame. Per arrivare a ciò, abbiamo concentrato l’analisi del network su due tipologie relazionali: le relazioni informativo-comunicative e le relazioni collaborativo-progettuali. Poiché i legami collaborativi e progettuali sono fondamentali per lo sviluppo del sistema, e quelli informativi e comunicativi sono conditio sine qua non per la loro presenza e per una gestione programmata dei rapporti, è nostra convinzione che questi due aspetti siano i fattori fondamentali da analizzare per comprendere l’effettiva dinamica relazionale del sistema distrettuale. Per quanto riguarda la forma delle singole relazioni, il nostro interesse è stato rivolto al rilievo e alla misurazione delle seguenti dimensioni della relazione: - l’esistenza; - la direzione; - l’intensità; - la frequenza dei contatti; - gli esiti sortiti. Lo studio delle due tipologie relazionali è stato sviluppato su due piani:

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1 facendo riferimento solo alle adiacenze rilevate e considerando unitarie le distanze tra attori che si relazionano;

2 facendo riferimento ai punteggi accumulati nelle diverse domande. La prima analisi ci consente di avere un quadro generale del sistema relazionale, considerando tutte le relazioni dichiarate. Tuttavia, questo approccio comporta una perdita informativa che potrebbe in qualche modo falsificare i risultati e non permettere di identificare gli attori che meglio canalizzano le relazioni. Per ovviare a tale difficoltà, abbiamo considerato una nuova matrice di adiacenza ottenuta prendendo in considerazione solo le relazioni con un punteggio uguale o superiore alla metà del massimo punteggio conseguibile, e sulla base di questa sono state condotte le successive analisi. Per raccogliere e codificare i dati, è stato elaborato un opportuno questionario che mira ad indagare le relazioni di tipo informativo-comunicativo e collaborativo-progettuale, e lo abbiamo sottoposto ad un gruppo di dieci attori: 1. Provincia di Treviso 2. Comune di Conegliano 3. Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura 4. U.N.P.L.I. provinciale 5. Consorzio di Promozione Turistica 6. Consorzio di Tutela del Prosecco 7. Consorzio di Tutela del Colli di Conegliano 8. Confraternita Colle di Giano 9. Università Internazionale delle Città delle Scuole del Vino 10. Comuni del comprensorio di Conegliano Tale scelta non ha alcuna pretesa di rappresentare in modo esaustivo il sistema, ma intende piuttosto coglierne la dinamicità e testare le potenzialità dello strumento della network analysis. Appare ovvio, infatti, che studiare il network considerando tutti i soggetti, le imprese, gli enti pubblici e privati, le organizzazioni e le istituzioni che in esso agiscono (la cui ricerca è stata condotta preliminarmente all’analisi) comporterebbe sicuramente notevoli complicazioni sia a livello operativo che a livello computazionale, nonché nell’acquisizione dei dati; inoltre ci sarebbe risultato comunque impossibile effettuare un’analisi esaustiva dei legami reticolari. Sono state poste fondamentalmente le stesse domande per le due diverse tipologie relazionali e per due situazioni diverse: quella realmente esistente e quella rispondente ai desiderata dei singoli attori in un ipotetico quadro di efficienza ed efficacia distrettuale. In questo modo ci è stato possibile ”fotografare” l’attività relazionale esistente e suggerire due possibili scenari di sviluppo: un primo scenario basato sull’idea di un unico attore al centro del network in grado di fungere da meta-organizer, e un secondo scenario

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che prevedeva una maggiore integrazione degli attori esistenti e molteplici meta-organizer. 4.2 Commento sullo stato dell’arte L’uso della network analysis ha valenza strategica nel discriminare i comportamenti degli attori, in quanto risulta chiaro quali sono i soggetti del sistema che svolgono una più intensa attività relazionale a livello di informazioni e semplice comunicazione, o a livello di vere e proprie collaborazioni e predisposizioni di progetti, quali quelli con le maggiori potenzialità di controllo sulle connessioni attivate con gli altri attori e, infine, quali quelli con cui risulta più facile mettersi in relazione per scambiare informazioni, attivare collaborazioni, provvedere ad azioni comuni o ideare ed elaborare progetti. Queste capacità discriminatorie tra gli attori sono state analizzate soprattutto mediante lo studio della centralità. Dai risultati ottenuti, possiamo affermare che il distretto di Conegliano gode di un livello di interazione complessivo mediamente elevato e di una buona efficienza strutturale. Gli indici suggeriscono la presenza di un network sostanzialmente piatto, in quanto non esiste un attore in grado né di proporsi come centro assoluto della rete, né di controllare i flussi di scambio. Tuttavia è possibile identificare nel gruppo composto da Provincia e Consorzio di Tutela del Prosecco il nucleo di riferimento relazionale per l’intero distretto, sia per quanto riguarda gli scambi informativi che per le collaborazioni su progetti. Questi ultimi si sono dimostrati gli attori più attivi: essi intrattengono una fitta rete di relazioni sia in entrata che in uscita, e da qui discende la loro posizione maggiormente centrale. Le relazioni che essi attivano sono particolarmente significative e non superficiali: ciò trova conferma nel fatto che quando andiamo ad analizzare le matrici dei punteggi, le relazioni che risultano più intense sono proprio quelle che coinvolgono questi due attori. Questo risultato non ci stupisce, dati i ruoli che questi due soggetti ricoprono all’interno del distretto. Ci sorprende invece, date le aspettative iniziali di comportamento, il Consorzio di Promozione Turistica. Considerando infatti l’intensa attività svolta da questo attore, ci si aspetterebbe di trovarlo in una posizione di maggior rilievo, mentre gli indici evidenziano un ruolo non certo centrale. Ciò trova spiegazione nel fatto che il Consorzio concentra l’attività relazionale su pochi attori, considerati fondamentali, trascurando gli altri o non prendendone assolutamente in considerazione alcuni, portandolo così ad avere poche relazioni ma molto intense.

33

COMUNI

PROVINCIA CONEGLIANO

CCIAA

UNPLIUNIVERSITÀ

GIANO

COLLI

PROM.TUR.

PROSECCO

Grafo 1 -Relazioni collaborativo-progettuali (realtà)

COMUNI

PROVINCIA CONEGLIANO

CCIAA

UNPLIUNIVERSITÀ

GIANO

COLLI

PROM.TUR.

PROSECCO

Grafo 2 - Relazioni collaborativo-progettuali significative (realtà)

Il nucleo di attori considerato fondamentale dal Consorzio di Promozione Turistica è quello composto dalla Provincia, i due consorzi di tutela e la CCIAA, mentre viene data scarsa rilevanza ai singoli comuni ed all’Unpli provinciale, e non vengono considerati affatto la Confraternita e l’Università Internazionale. Escludendo questi ultimi due attori dal network di analisi,

34

troveremmo una nuova rete ancor più connessa di quella analizzata, ma i comuni verrebbero a trovarsi ancor più ai margini della rete. Fondamentale in tal senso risulta infatti la posizione della Confraternita. Essa è in grado di esercitare, come confermano gli indici di Freeman, un certo controllo sugli attori del network: è infatti il ”canale” preferenziale, se non l’unico, che consente ai comuni ed all’Università di non rimanere totalmente isolati. Mentre però l’Università rappresenta sicuramente l’attore ai confini del sistema, come dimostrano gli indici, dall’analisi dei comuni emerge sì una scarsa interattività, ma accompagnata da un tentativo di ricerca da parte del resto del network, soprattutto a livello progettuale: purtroppo però la qualità delle relazioni non consente di costruire solide fondamenta strutturali. Rispetto ai comuni limitrofi, il comune di Conegliano si dimostra maggiormente attivo e coinvolto, anch’esso soprattutto a livello progettuale, particolarmente grazie alla Confraternita ed al Consorzio di Tutela del Colli di Conegliano. Tuttavia il grado di interazione risulta ancora basso, soprattutto se ne consideriamo le potenzialità, e andrebbe rafforzato, magari facendo ”leva” proprio sull’asse relazionale dominante con la Confraternita ed il Consorzio del Colli di Conegliano. Per quanto riguarda quest’ultimo soggetto, è interessante far notare il margine di crescita che gli indicatori dello studio mettono in luce. Le relazioni con questo, infatti, sono considerate dagli attori del network parimenti a quelle con l’altro Consorzio di Tutela, quello del Prosecco, a differenza del quale però l’attività relazionale si ferma a livelli inferiori degli attori principali. Addirittura, a livello progettuale le relazioni in ingresso raggiungono un punteggio superiore, seppur di poco, a quello registrato in uscita. Questo significa che la rete ”si aspetta” qualcosa in più da questo Consorzio. Per completare l’analisi dei singoli attori, concludiamo facendo notare il particolare posizionamento di CCIAA ed Unpli. Gli indici relativi alla CCIAA danno risultati al di sopra delle aspettative, soprattutto alla luce del fatto che questa sostiene un servizio principalmente rivolto alle Pmi. Le performances che caratterizzano questo attore sono sostanzialmente imputabili, a nostro giudizio, al fatto di essere tra gli associati del Consorzio di Promozione Turistica, ed è proprio il valore di questa relazione che influenza significativamente tutti gli indici che lo caratterizzano. L’importanza della CCIAA è quindi rilevante, specialmente se si pensa a quali sono le effettive fonti finanziarie per l’economia del network, ma viene sicuramente ridimensionata soprattutto rispetto alla Provincia ed ai Consorzi.

35

E’ importante inoltre far notare come il sistema soffra del fatto che due attori importanti, quali sono la Provincia e la CCIAA, non interagiscono in modo sistematico e costruttivo. L’importanza dell’Unpli va ricercata nel suo configurarsi come fondamentale canale di comunicazione trasversale dall’ ”alto” (della Provincia e del Consorzio di Promozione Turistica) verso il ”basso” (i comuni non dotati di Assessorato alle Attività Produttive ma solo di Pro Loco) e viceversa. In sintesi: - il livello di interazione complessivo è mediamente elevato; - la qualità delle relazioni non è sempre molto significativa:

RELAZIONI INFORMATIVE RELAZIONI PROGETTUALI ADIACENZE SIGNIFICATIVE ADIACENZE SIGNIFICATIVE

DEN

SITA

0,80

0,51

0,87

0,47

presenza di una buona efficienza strutturale;

network sostanzialmente piatto:

0,00

0,05

0,10

0,15

0,20

0,25

0,30

0,35

0,40

0,45

NIEMINEN SABIDUSSI FREEMAN

CONFRONTO TRA INDICI DI CENTRALIZZAZIONE

informativo-comunicativecollaborativo-progettuali

36

gruppo di riferimento relazionale: Provincia e Consorzio di Tutela del Prosecco:

4.3 Proposte di scenari strategici di sviluppo Il modello di network per la gestione delle attività urbane richiede un network orizzontale e permanente, caratterizzato da un alto grado di interazione tra gli attori ed una forte base di consenso. Applicando tali concetti alla realtà del distretto di Conegliano sembrano necessari: - una figura centrale di riferimento per tutte le attività legate al turismo in

grado di coordinare l’azione e dettarne le direttive; - rapporti più intensi e diretti soprattutto per quanto riguarda l’aspetto

progettuale; - introduzione della figura del cliente, assente in fase di progettazione e

spesso poco coinvolto anche a livello informativo; - creare una base di consenso più forte per le attività intraprese, azione che

passa inevitabilmente per una considerazione del comprensorio nel suo insieme e non per sottozone o singoli comuni, coinvolgendo non solo gli attori del network ma anche l’ambiente esterno.

Tenendo conto di questi fattori, gli scenari di sviluppo che si possono prospettare sono sostanzialmente riconducibili ai seguenti due: 1 scenario con un nuovo attore (metaorganizer); 2 scenario con una maggiore integrazione degli attori esistenti. Vediamo ora come si concretizzano queste proposte.

POSIZIONAMENTO STRUTTURALE DI CENTRALITA'

UNPLIPR.TR.

COMUNIGIANO

CONEGL

UNIV

PROSPROV

CCIAACOLLI

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

0,0 0,1 0,1 0,2 0,2 0,3 0,3 0,4

interposizione relativa

pros

sim

ità re

lativ

a

37

Scenario con l’introduzione di un nuovo attore Come è emerso dall’analisi del comprensorio, le numerose proposte volte allo sviluppo del distretto enoturistico di Conegliano dimostrano uno spiccato senso di iniziativa ed una significativa vivacità degli attori del network. Tuttavia il sistema necessita di un organo di coordinamento di tutte le attività. In questa prospettiva di sviluppo, si vuole introdurre un nuovo soggetto da collocare al centro del network, con due compiti specifici:

- analisi del mercato e relazioni con il cliente; - mediazione fra gli attori del network.

Si vuole creare in questo modo un soggetto che sostanzialmente coordini l’attività relazionale fra i diversi nodi della rete, riducendone le distanze che fra essi esistono, e che costituisca il canale principale con cui i singoli attori vengono messi a contatto con i clienti. Si configurerebbe così anche come riferimento strategico tramite il quale la domanda e l’offerta di prodotti/servizi turistici si possono incontrare. Inoltre, con la creazione di questo nuovo attore, si disporrebbe di un soggetto ”catalizzatore” di attenzione e interessi, che porterebbe costantemente i singoli attori a confrontare le proprie iniziative alla ricerca di scenari coerenti di sviluppo. Tale organo potrebbe avere la forma del consorzio, ma dovrebbe possedere una qualche altra componente (ad esempio pubblica) che ne garantisca un finanziamento iniziale e continuo. Di tale consorzio o associazione dovrebbero far parte tutti gli enti, pubblici e privati, coinvolti nell’attività enoturistica (comprese società di consulenza esperte nell’area della qualità e certificazione, dell’organizzazione aziendale, dell’attività finanziaria, della comunicazione, della telematica, della tutela dell’ambiente, dell’engineering, ecc.) e le cui attività dovrebbero essere raccolte e distribuite dal Consorzio stesso. Tra i vari compiti di questo centro di coordinamento, fondamentale risulterebbe il censimento dell’offerta e la possibilità di raccogliere dati sulle presenze e sulle tipologie di domanda nella zona di nostro interesse, difficilmente ricavabili dalle raccolte ufficiali. Importanti dovrebbero essere le attività formative di orientamento al servizio per i titolari ed i collaboratori dove, tra i vari temi, dovrebbero essere trattati quelli dell’organizzazione, della gestione telematica della domanda e dell’offerta, del marketing, della gestione finanziaria, delle relazioni pubbliche, della comunicazione e della psicologia. Alla semplicità ed all’efficienza di questa soluzione, si contrappone la sostanziale difficoltà e renitenza al cambiamento che il sistema turistico del distretto manifesta nelle sue trasformazioni. Risulta allora più credibile e sostenibile uno scenario che preveda una maggiore

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predisposizione alla collaborazione da parte di tutti gli attori già esistenti ed una molteplicità di meta-organizer.

Scenario con una maggiore integrazione degli attori esistenti Questo secondo scenario di sviluppo intende presentare il distretto come un unico grande attore, come ”squadra” formata attraverso la collaborazione tra tutte le parti in gioco. In questo modo il livello sinergico del sistema aumenta, perché ciascun attore acquisisce una maggior consapevolezza della necessità di interagire con i rimanenti soggetti. Il distretto infatti non è composto solo da operatori privati, ma anche da altre realtà economiche, politiche e sociali il cui appoggio è diventato fondamentale nel tentativo di superare gli individualismi. Nei singoli attori persiste ancora una scarsa operazionalità del concetto di ”sistema turistico”: molto spesso si punta troppo a differenziare la propria azione non in base a logiche di efficienza ed efficacia di sistema, ma adottando piani d’azione in base al ritorno in termini di immagine e di prestigio per il singolo che essi possono offrire. Lo scenario da noi proposto si basa sulle indicazioni forniteci dagli stessi attori del network. Il questionario infatti, come già anticipato, prevedeva le stesse domande formulate per la situazione realmente esistente anche per una ipotetica rete distrettuale. Abbiamo cioè chiesto a ciascun attore quale dovrebbe essere il quadro relazionale affinché il distretto possa funzionare in modo efficace ed efficiente. L’elaborazione dei dati presentata ripercorre le analisi condotte nello studio delle relazioni reali, per meglio poter confrontare le due situazioni e rivelare gli eventuali gap esistenti. 4.4 Commento sulla situazione ipotizzata Il network relazionale che gli attori coinvolti nello studio hanno ipotizzato in una visione di efficienza ed efficacia distrettuale, risulta caratterizzato da elevata densità e si presenta ancor più decentrato che nella situazione reale, sia a livello informativo che progettuale. L’ulteriore riduzione dell’indice di centralizzazione è indicatore del livello di efficienza del network complessivamente considerato e impedisce al sistema di dipendere dalle decisioni di uno o pochi attori centrali. La Provincia ed i Consorzi di Tutela si confermano riferimento fondamentale per gli attori del network, ma l’aspetto più importante che

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emerge dall’analisi è la rivalutazione della posizione dei comuni e dell’Unpli. Risulta infatti determinante il coinvolgimento dal ”basso”, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti progettuali, e non solo del comune ”centrale”, cioè del comune di Conegliano, ma soprattutto dei comuni limitrofi, fortemente decentralizzati nella situazione reale. In tal senso ben si integra l’intervento dell’Unpli, coordinatore delle singole Pro Loco, e della Confraternita. Quest’ultima in particolare risulta, per ovvi motivi relativi alla sua attività statutaria, relegata ai margini del sistema assieme all’Università, principalmente a causa della CCIAA e del Consorzio di Promozione Turistica, attori che, proprio per questo, perdono anch’essi in centralità. Tuttavia, abbiamo visto che nella realtà è proprio soprattutto grazie alla Confraternita che in modo particolare i comuni, ma non solo essi, mantengono una certa connettività all’interno del network, e di questo è necessario tener conto in fase di implementazione di policy di sviluppo.

40

COMUNI

PROVINCIA CONEGLIANO

CCIAA

UNPLIUNIVERSITÀ

GIANO

COLLI

PROM.TUR.

PROSECCO

Grafo 3 - Relazioni collaborativo-progettuali (ipotesi)

COMUNI

PROVINCIA CONEGLIANO

CCIAA

UNPLIUNIVERSITÀ

GIANO

COLLI

PROM.TUR.

PROSECCO

Grafo 4 - Relazioni collaborativo-progettuali significative (ipotesi)

41

E’ importante ribadire il ruolo della Provincia, figura che risulta importantissima per le possibilità di uno sviluppo ancora più efficiente del network. Essa infatti, oltre ad avere un ruolo rilevante dal lato finanziario, ricopre una posizione fondamentale anche per la figura istituzionale che essa rappresenta. Disporre infatti di un attore di questo tipo che lavora a stretto contatto con gli altri, può consentire, tra le altre cose, di ridurre notevolmente le difficoltà burocratiche che spesso rallentano il concreto sviluppo dei progetti. Oltre a questo ruolo, non va dimenticata l’importanza che essa ricopre come effettiva fonte di progetti per il turismo del comprensorio, soprattutto ora che le APT sono state assorbite all’interno degli Assessorati preposti. In sintesi:

il network ipotizzato è caratterizzato da elevata densità

presenta una buona efficienza strutturale;

ancora più decentrato che nella situazione reale:

RELAZIONI INFORMATIVE RELAZIONI PROGETTUALI ADIACENZE SIGNIFICATIVE ADIACENZE SIGNIFICATIVE

DEN

SITA

0,91

0,80

0,96

0,84

0,00

0,05

0,10

0,15

0,20

0,25

0,30

0,35

0,40

NIEMINEN SABIDUSSI FREEMAN

CONFRONTO TRA INDICI DI CENTRALIZZAZIONE

informativo-comunicativecollaborativo-progettuali

42

Provincia e Consorzi di Tutela si confermano riferimento fondamentale;

rivalutazione della posizione dei comuni e dell’Unpli.

4.5 Considerazioni per lo sviluppo del sistema enoturistico

Nel corso di questa esperienza di network analysis abbiamo avuto l’opportunità di verificare come sia effettivamente possibile comprendere le dinamiche che caratterizzano un sistema interagente di soggetti. I limiti del lavoro da noi svolto sono sicuramente molti, ma le indicazioni che da esso si ricavano meritano sicuramente qualche riflessione. Data la vivacità che il distretto manifesta e la molteplicità di associazioni in esso presenti, il primo elemento da sottolineare si riferisce alla necessità di organizzare il sistema per compiti/funzioni, onde evitare sovrapposizioni di ruoli e dispersioni di energie. La struttura del network non è ancora ben consolidata, ma il trend evolutivo che lo sta coinvolgendo porta evidentemente verso questa direzione. Si tratta di un elemento estremamente positivo, soprattutto se si pensa alla vivacità e all’innovazione del settore enoturistico ed alle prospettive future per questo sistema, in quanto disporre di un insieme di soggetti singolarmente specializzati nello svolgere una particolare mansione e globalmente coordinati è una scelta organizzativa che, come abbiamo verificato in fase di argomentazione teorica, consente di raggiungere obiettivi di efficienza globale del network.

POSIZIONAMENTO STRUTTURALE DI CENTRALITA'

PROVCONEGL

UNPLICOMUNI

CCIAAPR.TUR.

PROS

GIANOUNIV

COLLI

0,2

0,4

0,6

0,8

1,0

0,00 0,02 0,04 0,06 0,08 0,10

interposizione relativa

pros

sim

ità re

lativ

a

43

Come già evidenziato nella proposta di scenari di sviluppo dei precedenti paragrafi, sarebbe utile proporre un attore centrale in grado di coordinare le relazioni tra tutti i soggetti del distretto, monitorare continuamente il sistema, proporre e pianificare le azioni di marketing territoriale necessarie allo sviluppo turistico. Poiché sia la situazione esistente che quella proposta dagli stessi attori non prevedono la centralizzazione del network in un soggetto che funga da meta-organizer, si rivela utile riprendere la metafora della rete neurale multilivello per ripartire i ruoli ed organizzare le interdipendenze: - Livello delle istituzioni (Comunità Europea, Ministero, Regione,

Provincia): queste istituzioni hanno il compito di attivare risorse per l’innovazione; tali risorse sono prevalentemente finanziarie e si concretizzano, ad esempio, in finanziamenti alle imprese a fondo perduto o in conto interessi, defiscalizzazione degli utili reinvestiti in attività turistiche, stanziamenti per la costruzione di infrastrutture. Inoltre queste istituzioni hanno il compito di definire le linee guida per la gestione della attività turistiche e non, e per la gestione dei rapporti tra i livelli sottostanti.

- Livello dei nodi (Consorzio di Promozione Turistica, Unpli, Consorzi di Pro Loco, Comunità Montane, Gruppi di Azione Locale): questi enti hanno il compito di attivare le risorse finanziarie disponibili (ad esempio incentivando innovazioni tecnologiche o formazione degli addetti di vari settori economici), implementare od avviare processi innovativi in riferimento allo sviluppo di attività per l’innovazione turistica, commerciale e di entertainment. La loro funzione prevalente è di integrazione tra risorse, progetti ed attori.

- Livello dei poli (comuni, Consorzi di Tutela, Pro Loco, enti non profit, associazioni consortili, tour operator, cantine sociali, Scuola Enologica, Alberghiera, ecc.): si tratta di organizzazioni che operano su base territoriale ed hanno il compito di trasferire risorse per l’innovazione. Hanno funzioni di diffusione ed implementazione di nuove risorse presso gli utilizzatori diretti, oltre all’analisi di eventuali problemi le cui soluzioni andranno opportunamente studiate ed, eventualmente, rinviate al livello superiore.

- Livello dei punti (utilizzatori finali dell’attività innovativa): essi possono essere sia soggetti individuali che reti di soggetti (o reti di imprese) operanti sul territorio e svolgono sia funzioni di utenza che di fornitura di risorse innovative per attività orientate al mercato. Questo livello è a diretto contatto con il mercato e intrattiene con esso relazioni spesso non regolamentate.

In tal senso va pensata ed inserita la Strada del Vino quale sistema interagente di servizi.

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I quattro livelli descritti sono collegati tra loro da un sistema complesso di relazioni, come abbiamo visto, con direzione ed intensità diverse; similmente, anche all’interno di ogni livello i rapporti tra i diversi soggetti sono regolamentati da un sistema relazionale. Affinché il sistema relazionale sia efficiente, è necessario creare nuove alleanze selettive e progettuali fra pubblico e privato, avvantaggiandosi del ricambio generazionale all’interno soprattutto delle aziende private e con la creazione e valorizzazione di opportuni meta-organizer ai diversi livelli della rete. Questi soggetti hanno il compito di pianificare e coordinare le relazioni tra attori per creare un sistema efficiente ed una immagine turistica rispondente alla realtà che generi un valore aggiunto da comunicare sia all’interno che all’esterno del sistema e crei attrattività Oltre ai vantaggi appena menzionati, questo approccio consente di intervenire anche su uno degli aspetti maggiormente deficitari del nostro sistema turistico oggetto di studio, e cioè sull’assenza della figura del cliente, assolutamente non coinvolto nello sviluppo di progetti Relativamente a quest’ultimo aspetto si ha, infatti, che il sistema risulta ancora troppo poco interattivo nei confronti dei mercati con cui è in contatto. Si pensi anche solo al fatto che non esiste alcun rapporto, strategicamente organizzato, con la clientela o, più semplicemente, alle difficoltà da noi incontrate nell’ottenere le informazioni per la nostra analisi. Quanto osservato ha notevoli implicazioni non solo in chiave operativa, cioè nella necessità di disporre di un maggior numero di canali attraverso i quali ottenere informazioni, ma anche in termini di risorse umane, ossia nella formazione di una maggiore sensibilità ed interiorizzazione di tematiche di questo genere. E’ perciò importante intervenire attraverso la formazione a livello imprenditoriale, manageriale e professionale, nel settore del turismo allargato; ciò è possibile favorendo scambi continui tra scuola e mondo del lavoro attraverso stage e corsi formativi, sviluppando servizi di consulenza manageriale e dando un supporto tecnico-economico alle piccole e medie imprese esistenti e, soprattutto, a quelle nascenti. Un sistema così organizzato a rete consentirebbe di disporre di canali di comunicazione/informazione con cui i singoli attori vengono messi a contatto con i clienti, e costituirebbe pertanto il riferimento strategico tramite il quale la domanda e l’offerta di prodotti/servizi turistici si incontrano. L’analisi da noi condotta fornisce un’immagine statica del sistema che si è voluto analizzare, ma abbiamo cercato di modificare la nostra prospettiva in chiave dinamico-temporale integrando il questionario con domande relative ad un ipotetico scenario prospettico. Questo ci ha posti di fronte ad un network con un livello di apprendimento e di evoluzione dalle potenzialità molto elevate. Gli attori sembrano infatti

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aver intuito la necessità di reingegnerizzare il loro ruolo ed i loro compiti per essere artefici di un prodotto effettivamente competitivo. Finora la dinamicità e l’evoluzione del sistema è stata stimolata da alcuni fattori strategici, ma il trend organizzativo attraverso il quale si sta arrivando ad una configurazione reticolare interattiva, rende estremamente necessaria, nel breve periodo, l’adozione di un piano di marketing territoriale che colmi le lacune del sistema e crei un territorio omogeneo e perfettamente identificabile. La struttura organizzativa a rete lungo la Strada del Vino appena proposta permetterebbe un’efficiente distribuzione dei ruoli nella pianificazione ed implementazione delle strategie di marketing territoriale. L’adozione e predisposizione di una strategia competitiva che utilizzi i tradizionali strumenti di azione ed analisi strategica del marketing territoriale, richiede un’accurata valutazione dell’impatto ambientale, in quanto le azioni pianificate dovranno aumentare il livello di qualità ambientale inteso in senso globale. E proprio nella variabile ambientale risiede la variabile strategica del marketing territoriale ed è il principale strumento per la salvaguardia ed il recupero delle tradizioni locali. Il territorio deve infatti essere considerato come un organismo che compete con altri organismi e che detiene fattori competitivi differenziati. La consapevolezza della propria forza, in riferimento ad alcune variabili fondamentali, tra cui la qualità complessiva dell’offerta, intesa come insieme dell’offerta di ricettività, trasporti, viabilità, ambiente umano ed ambiente naturale, costituisce la premessa fondamentale per comunicare appropriatamente l’immagine del sistema. Alla luce di queste considerazioni, è evidente che una politica di semplice promozione non è più sufficiente né adeguata alle nuova sfide competitive, le quali richiedono invece una visione sistemica dell’area. Per rispondere ad esse in modo adeguato, è necessario operare attraverso azioni attive pianificate in un quadro di marketing territoriale. Queste azioni devono essere orientate a: - attuazione di appropriati interventi che potenzino la visibilità e

l’attrattività dell’area, ad esempio, e come si sta già facendo, sviluppando e rafforzando l’immagine dell’enoturismo e della Strada del Vino quali elementi di richiamo trainanti;

- creazione ed implementazione di piani urbanistici e commerciali che vadano ad incrementare l’attrattività locale attraverso il miglioramento e l’ampliamento della gamma di beni e servizi offerti;

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- creazione di infrastrutture logistiche che permettano un facile accesso ed agevole circolazione alle località interne, particolarmente quelle della fascia collinare;

- programmazione coordinata del calendario delle manifestazioni, iniziative ed attività di carattere turistico-culturale delle diverse aree o comuni, al fine di evitare sovrapposizioni e periodi di ”vuoto”, come previsto nel progetto ”Enoanno” della Confraternita Colle di Giano; tali eventi andrebbero promossi attivamente in circuiti nazionali o internazionali appropriati per accrescerne la visibilità;

- far leva sulle imprese industriali ed artigiane e sulla qualità dei prodotti da queste proposti per sviluppare una rete distributiva di offerta turistica locale estesa: il riferimento all’efficienza economica delle stesse può costituire un ottimo strumento per veicolare un’immagine di qualità dell’offerta turistica e dell’ospitalità;

- predisposizione di sale congressi e spazi fieristici preposti e coordinati;

- investimenti nella formazione della pubblica amministrazione, nell’ottica di un’interazione con i soggetti privati per l’attivazione di reti di servizi di supporto alle Pmi; sviluppo della formazione professionale e di una nuova imprenditorialità aperta alle innovazioni;

- sviluppo della ricerca e trasferimento dei risultati agli operatori promuovendo nuovi rapporti di collaborazione fra Università, Istituti di ricerca e aziende agrovitivinicole;

- costruzione di infrastrutture informative e comunicative che facilitino la circolazione veloce e puntuale delle informazioni;

- incentivi alla specializzazione e riqualificazione dell’offerta turistica, con maggiore e costante formazione degli operatori e supporto delle associazioni di categoria;

- attuazione di azioni mirate ad aumentare la qualità offerta attraverso la costruzione di marchi di sistema che dovrebbero essere selettivi e certificati in modo da garantire all’utenza un livello di qualità prefissato;

- incentivi finanziari per il recupero e la conservazione del patrimonio storico, naturale ed artistico, per la promozione di interventi per la difesa del suolo, per la valorizzazione dei microsistemi vegetazionali, del sistema insediativo storico e

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dell’architettura rurale: risorse che, opportunamente valorizzate, producono valore non solo per i turisti ma anche per i residenti;

- per quanto riguarda l’offerta da parte delle singole aziende, le proposte seguono fondamentalmente due indicazioni: è necessario che queste predispongano lo sviluppo di veri e propri centri attrezzati per l’ospitalità e l’accoglienza (compreso personale preparato e specializzato nell’accoglienza dell’enoturista), integrati ad un pacchetto di servizi turistici ed agrituristici organizzati in rete; è auspicabile provvedano a munirsi di un ufficio per le pubbliche relazioni che funga da canale con il pubblico e i media, con ricadute positive in termini di clientela e di promozione; predisposizione di uffici per le attività produttive anche per i piccoli comuni (anche in forma aggregata) e adozione di Piani Regolatori tipo quelli delle Città del Vino.

A questo punto, e soprattutto alla luce dei risultati ottenuti nello scenario ipotizzato, vale la pena soffermarsi sul ruolo dei comuni minori nella gestione del territorio. Abbiamo infatti visto come nella realtà ricoprano una posizione marginale e come invece riservino ampie potenzialità. Nella situazione attualmente esistente, essi godono di scarsa considerazione e credibilità da parte delle istituzioni superiori, secondo le quali le piante organiche dei comuni non sono sufficientemente flessibili e sensibili e non sono dotate di uffici competenti in grado di portare avanti progetti uniformi finalizzati allo sviluppo integrato del territorio. Per questi motivi esse delegano ad altri consorzi e associazioni la gestione delle risorse, anche finanziarie, a disposizione, creando così passaggi di mediazione che comportano notevoli inefficienze a tutto il sistema distrettuale. Viene così a mancare la diretta partecipazione ”dal basso”, il livello di più diretta conoscenza del territorio, indispensabile per uno sviluppo sostenibile. Una soluzione a tale problema può risiedere nell’adozione di un Piano Regolatore tipo quello delle Città del Vino, ufficiale atto amministrativo di regolamentazione e gestione del territorio, e nella zonazione. Si tratta di progetti i quali, con un espresso richiamo allo strumento urbanistico, che rappresenta la competenza forse più importante attribuita all’Ente comune, vuole contrassegnare un elemento rafforzativo a favore dell’essere ”città” del vino, cioè di essere un territorio che proprio per questa sua specificità legata alle produzioni vitivinicole di qualità organolettica ed economico-sociale7, deve caratterizzarsi anche nell’ambito delle scelte di programmazione urbanistica.

7 Sul concetto di "qualità economica-sociale" nel settore vitivinicolo si veda il lavoro di G. Cargnello, 1995.

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Il Piano Regolatore del Vino potrebbe configurarsi come criterio di coerenza ed unificazione delle politiche di spesa degli Enti Pubblici. Esso può essere adottato a livello comunale o sovracomunale, ma comunque esteso a comprensori vitivinicoli omogenei. Queste sono proposte d’azione che non possono prescindere, a nostro avviso, da una riqualificazione delle pubbliche amministrazioni troppo partiticizzate e burocratizzate, in cui non sempre gli addetti hanno competenze adeguate per il ruolo svolto; non possono prescindere nemmeno da una visione individualistica della realtà che spesso influenza le scelte degli operatori privati. Ciò significa che, per quanto concerne una maggiore apertura del sistema verso l’ambiente esterno, si potranno avere significativi passi in avanti solo quando nei ruoli strategici dello scacchiere distrettuale si troveranno soggetti sufficientemente predisposti al cambiamento ed alla ricerca di un continuo e fondato miglioramento.

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5 Conclusioni Il confronto dei due network, quello reale e quello ipotizzato, permette di evidenziare le aree deficitarie rispetto alle eccedentarie, e su queste è necessario intervenire con azioni di policy al fine di colmare il gap esistente. Infatti, se è vero che la network analysis si inserisce nella fase di costruzione e gestione della rete di attori del contesto distrettuale, è anche vero che questa rete deve farsi promotrice delle azioni volte alla conoscenza del contesto socio-economico, alla determinazione degli obiettivi da raggiungere e delle strategie da adottare per pianificare ed implementare uno sviluppo armonico di tutto il comprensorio. Per raggiungere questo risultato, sembra allora necessario agire secondo direttive che mirino soprattutto ad una più chiara definizione dei ruoli e a maggior trasparenza negli scambi informativi. Nel contesto della nostra ricerca, con la partecipazione attiva delle strutture del territorio stesso, si sono potute verificare le enormi potenzialità, sia in termini esplicativi che descrittivi, della network analysis. Considerato ciò, non risulta superfluo affermare che un suo utilizzo, come strumento d’analisi e monitoraggio relazionale per sistemi organizzativi complessi, risulta ragionevolmente prospettabile al fine di razionalizzare le basi per un progetto reale e fattivo volto allo sviluppo di strategie che ”vendano” il territorio, e l’enoturismo in particolare, come sistema sinergico di componenti economiche, sociali ed esistenziali. In questo estratto si è concentrata l’attenzione sui risultati ottenuti piuttosto che sull’approccio teorico. Per eventuali approfondimenti si rimanda alla consultazione della tesi di laurea nella sua integralità.

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE

FACOLTA’ DI ECONOMIA

Corso di laurea in Economia Aziendale

Tesi di laurea

L’ IMPATTO PAESAGGISTICO-AMBIENTALE

DELL’AGRICOLTURA VENETA.

UN’ANALISI ECONOMICA NELLA ZONA

DEL QUARTIER DEL PIAVE Relatore: Laureanda: Chiar.mo Prof. Francesco Marangon Barbara Berton

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ANNO ACCADEMICO 2001-2002

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IINNDDIICCEE

Introduzione Pag. 61

L’IMPATTO PAESAGGISTICO – AMBIENTALE DELL’AGRICOLTURA VENETA. Un’analisi economica nella zona del Quartier del Piave

pag. 63

Conclusioni pag. 95 bibliografia pag. 99

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IINNTTRROODDUUZZIIOONNEE La tutela e la valorizzazione dell’ambiente e del paesaggio rurale rappresentano, tutt’oggi, argomenti di assoluta attualità e interesse. Lo spazio dato al problema ha assunto proporzioni via via maggiori, soprattutto in ragione di una crescente necessità di preservare equilibri ecologici e naturali troppo spesso trascurati o schiacciati dall’avanzare del progresso. Le conseguenze disastrose che possono derivare da un’espansione senza freni di un’attività umana mossa da finalità puramente lucrative, hanno, fortunatamente, fatto emergere, nell’opinione pubblica, la necessità di promuovere iniziative sempre maggiori a favore dell’ambiente. E questo nell’interesse della stessa razza umana, per la quale si potrebbero presentare, in un futuro non particolarmente lontano, problemi di sicurezza, se non addirittura di sopravvivenza. La conservazione dell’ambiente e degli spazi naturali, infatti, oltre a garantire il mantenimento delle caratteristiche paesaggistiche di un luogo, offre la possibilità di tenere vivo il tessuto sociale, storico e culturale dei popoli. L’interesse a favorire la tutela del paesaggio risponde, inoltre, ad esigenze, sempre più sentite, di usufruire degli spazi naturali per scopi ricreativi e di svago. La vita frenetica della città, diventata ormai comune alla maggior parte delle persone, ha comportato l’emergere di una volontà di evasione e di fuga, che si traduce nel desiderio di poter accedere a territori in cui l’urbanizzazione e l’industrializzazione non abbiano ancora raggiunto livelli tali da intaccare l’equilibrio paesaggistico degli stessi. La crescente domanda del bene “paesaggio” richiede, da un lato, la predisposizione di una serie di iniziative che consentano un accesso controllato agli spazi naturali a chi ne fa richiesta, ma, dall’altro, la valorizzazione delle attività che contribuiscono al mantenimento e al miglioramento delle bellezze naturali. Il settore agricolo risponde appieno a quest’ultima esigenza. Infatti, oltre a svolgere la tradizionale funzione produttiva, è in grado di offrire alla collettività prodotti e/o servizi di carattere ambientale e turistico. In tal senso, nasce l’esigenza di sostenere il settore mediante interventi finalizzati proprio alla valorizzazione del ruolo multifunzionale che attualmente gli è riconosciuto. La stessa analisi delle politiche agricole sviluppatesi all’interno della comunità europea porta alla luce una situazione in cui il ruolo multifunzionale dell’agricoltura ha trovato riconoscimenti sempre maggiori: le proposte di Agenda 2000 e il successivo Regolamento n°. 1257/99 sono il risultato di un lungo percorso, che trova la sua realizzazione in ambito nazionale e, soprattutto, regionale nella predisposizione dei Piani di Sviluppo Rurale. È importante valutare attentamente come viene disciplinato, a livello istituzionale, il ruolo dell’agricoltura quale settore multifunzionale, sia per quanto riguarda gli

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aspetti quadro delineati a livello comunitario, sia per quanto riguarda gli aspetti concreti e dettagliati definiti in ambito regionale; la zona di riferimento oggetto dell’analisi di studio, il Quartier del Piave, è storicamente conosciuta, infatti, per una forte caratterizzazione agricola delle sue attività economiche, nonché per la presenza, al suo interno, di qualità paesaggistiche molto particolari degne di attenzione e di tutela. Viste le premesse riportate quello che più interessa capire può essere riassunto in due domande: è possibile raggiungere un equilibrio-compromesso fra le esigenze produttive di un’azienda agricola, da tradursi in un risultato economico positivo, e le esigenze di tutela e valorizzazione del valore estetico del contesto paesaggistico? Il lavoro presentato rappresenta un timido ed umile tentativo di dare delle risposte il più possibile concrete ed esaurienti alle domanda posta; in particolare, l’attenzione si concentra sulla presentazione e l’utilizzo di un metodo d’analisi, cosiddetto “a molti-obiettivi”, inteso come possibile supporto alla programmazione di un’attività economica in cui l’imprenditore mira al raggiungimento congiunto di più obiettivi, tra loro conflittuali. Gli obiettivi considerati dal metodo qui introdotto sono due, in linea con quanto riportato fin’ora: la massimizzazione del risultato economico da un lato, la massimizzazione del valore paesaggistico del luogo sul quale si realizza l’attività agricola dell’altro. I risultati ottenuti mediante l’applicazione della metodologia così descritta ai casi aziendali analizzati, forniscono utili informazioni per un’ipotetica pianificazione dell’attività aziendale così intesa. Infatti, se da un lato, l’analisi “a molti-obiettivi” può essere impiegata quale base di supporto alle decisioni aziendali relative alla progettazione dell’attività agricola, dall’altro essa consente di pervenire all’individuazione dei costi connessi allo sviluppo di tale attività e, in questo senso, dare utili indicazioni per una rivisitazione delle politiche agricole. Ecco allora che il metodo descritto può essere utilizzato anche quale base d’appoggio per una nuova evoluzione in materia di politiche agro-ambientale, che fondino i loro principi ispiratori proprio nella volontà di sostenere l’agricoltura come settore in grado di produrre effetti positivi sulle risorse naturali.

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LL’IMPATTO PAESAGGISTICO-AMBIENTALE DELL’AGRICOLTURA VENETA. UN’ANALISI ECONOMICA NELLA ZONA DEL QUARTIER DEL PIAVE Preservare la tipologia paesaggistica di un luogo è diventato obiettivo principale delle decisioni politiche europee e, più in generale, ha alimentato la formazione di una nuova cultura del territorio. I contenuti di questa nuova linea di pensiero non fanno riferimento soltanto alla volontà di conservare le conoscenze, le tradizioni e il paesaggio del luogo ma anche ad una necessità economica. Tutelare un territorio da un punto di vista economico consente di rispondere, da un lato, alla crescente domanda di spazi naturali per scopi ricreativi e di svago, dall’altro, di mantenere la specificità e l’originalità dello stesso. L’agricoltura, all’interno di questa visione, può ricoprire la funzione di settore al servizio degli interessi collettivi e rispondere alla crescente domanda di prodotti naturalistici e ambientali. Agli agricoltori si potrebbero richiedere la tutela del territorio, la cura del paesaggio, la valorizzazione dell’ambiente, il mantenimento della biodiversità, il presidio degli equilibri idrogeologici, ecc. Inoltre, essi potrebbero a garantire servizi non agricoli come la cura del bosco e del verde urbano, la manutenzione delle strade e dei sentieri, ecc. Per raggiungere tali risultati occorre però che la collettività si faccia carico esplicitamente della copertura dei costi attraverso un nuovo patto, alla cui base c’ è il riconoscimento del ruolo sociale dell’agricoltura nella salvaguardia degli interessi collettivi. La Comunità Europea, nel corso degli anni, si è mossa in questa direzione emanando una serie di provvedimenti volti a favorire lo sviluppo di un’agricoltura multifunzionale e a consentire il perseguimento di obiettivi di tutela paesaggistica-ambientale. I risultati più significativi ottenuti in materia sono contenuti nel documento quadro “Agenda 2000”, emanato nel 1997, e nel successivo Regolamento n°. 1257/9911, che ne rappresenta la normativa principale di attuazione. Tali documenti possono essere considerati quali punti di arrivo di un lungo percorso di riflessione sul ruolo dell’agricoltura, nonché punti di partenza per nuovi approfondimenti e sviluppi nella considerazione dello stesso. Le riforme contenute rispondono, in particolare, a una serie di esigenze più volte ribadite e profondamente sentite in tutta Europa, quali:

11 Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea (GUCE) del 26/06/99.

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• una maggiore attenzione alle pari opportunità e una migliore qualità della vita in aree e regioni sfavorite;

• la necessità di preservare un ambiente sempre più colpito da fenomeni di degrado e abbandono;

• la disponibilità di un’ampia gamma di generi alimentari di alta qualità che possano essere consumati senza rischi e prodotti a prezzi competitivi, garantendo al tempo stesso redditi ragionevoli agli agricoltori;

• una gestione responsabile ed efficiente delle finanze dell’Unione. Per quanto riguarda la programmazione delle misure finalizzate allo sviluppo rurale è previsto il coinvolgimento delle istituzioni locali, prime fra tutte le Regioni. Tutte le misure di sostegno da applicare in una determinata zona devono essere comprese in un unico Piano di sviluppo rurale (PSR), così da consentire la maggior semplificazione possibile del sistema. La formulazione e la gestione dei programmi vengono, in questo modo, decentrate a livello geografico così da cogliere, nell’ambito dello stesso Paese e della stessa Regione, sistemi territoriali diversi in base alle caratteristiche agricole e rurali presentate. In particolare, il PSR si impone il perseguimento di tre ordini di obiettivi: a) l’incremento della competitività delle imprese sui mercati; b) lo sviluppo dell’agricoltura multifunzionale e della diversificazione delle

attività rurali; c) il potenziamento e lo sviluppo delle iniziative agro-ambientali per

garantire un’equilibrata gestione del territorio e delle risorse naturali. Tutte le misure previste dal PSR per la Regione Veneto sono state sviluppate con la volontà precisa di perseguire i tre obiettivi sopra menzionati; in particolare, risulta che il 29% della spesa pubblica e circa il 36% dei contributi UE sono destinati alle misure “agro-ambientali” quali, ad esempio, il sostegno dei sistemi di produzione a basso impatto e la tutela della qualità, la conservazione delle risorse, il mantenimento della biodiversità, la cura e la conservazione del paesaggio agrario. All’interno della Regione Veneto, la zona del Quartier del Piave QdP, oggetto del presente studio, manifesta una realtà piuttosto variegata, tanto da poter essere correttamente classificata come un sistema misto di pianura e collina inserito in aree ad industrializzazione diffusa. Da un punto di vista industriale e artigianale nella zona è individuabile un modello di sviluppo caratteristico regionale, chiamato “modello veneto”, basato su un sistema di piccole e medie imprese, spesso esportatrici, in un contesto insediativi densamente urbanizzato e infrastrutturato. Rientra in questo modello il distretto del mobile industriale proprio del QdP, che si

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estende fino ai confini col Friuli Venezia Giulia e in cui esiste una vera e propria integrazione verticale, che ha dato luogo a una filiera produttiva estremamente efficiente. A questo modello di sviluppo è attribuito, da un lato, il relativo successo del sistema economico regionale, dall’altro l’aggravarsi del divario tra zone sviluppate e zone a ritardo di sviluppo (bassa pianura e aree montane e collinari). L’attività agricola, pur in misura notevolmente minore rispetto al passato, continua ad esercitare un forte ruolo caratterizzante il QdP; anche se attualmente l’agricoltura rappresenta ormai solo il 10% del reddito regionale e assorbe poco più del 4% degli occupati, la tradizione e la mentalità contadina veneta continuano a sopravvivere e a influenzare i comportamenti politici e sociali della popolazione. Per spiegare questo fatto dalle radici millenarie basti accennare al ruolo svolto dall’attività vitivinicola nel Veneto e, di conseguenza, nel QdP: la maggior parte delle aziende con colture permanenti pratica la coltivazione della vite, in linea con il trend più generale relativo alla zona del Nord-Est; rispetto al dato nazionale, il Veneto rileva una percentuale di aziende con vite più che doppia. Questi dati sottolineano la tipicità della coltura nella regione, diventata parte integrante degli aspetti non solo economici, ma anche paesaggistici e sociali, della stessa. Da un punto di vista ambientale queste zone presentano notevoli problemi, connessi, soprattutto, al progressivo incremento dell’industrializzazione e degli insediamenti, ma anche all’elevata presenza degli allevamenti. Infatti, il carico inquinante che ne deriva va a contaminare le risorse idriche di cui il suolo è molto ricco; questo rischio è tanto maggiore data la configurazione fisica del terreno, che presenta dei substrati piuttosto ghiaiosi e falde acquifere superficiali, tali da facilitare il deflusso dei reflui. A partire da queste caratteristiche, comuni a tutto il territorio del QdP, è possibile isolare, al suo interno, quattro tipologie di paesaggio, denominate “unità di paesaggio”, ognuna dotata di proprie caratteristiche dal punto di vista della genesi, della geolitologia, della morfologia, dell’idrologia e, di conseguenza, del paesaggio agrario: • Grave del Piave: modellate dalla parziale erosione dell’antico percorso

del Piave, sono costituite dalle alluvioni più recenti del fiume, con sabbie, ghiaie e limi disposti caoticamente dalla corrente. Parzialmente incolte, erano state storicamente destinate ad ospitare prati in parte irrigati, almeno per la parte bonificata, essendo per il resto destinate a pascolo. Attualmente sono caratterizzate, soprattutto, da monocoltura maidicola, estesa fino al greto.

• Piane di Moriago e Sernaglia: formatesi sugli accumuli alluvionali di Piave e Soligo, degradano leggermente verso valle e verso la parte centrale

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del QdP. Di natura prevalentemente ghiaiosa e permeabile, sono ricoperte da un sottile strato di terreno rosso e risultano prive di idrografia superficiale. Da un punto di vista agrario sono destinate quasi esclusivamente a seminativo.

• Palù del QdP: vasta zona di natura limoso-argillosa, situata al centro del QdP, formatasi in fase alluvionale con i fini riporti trasportati dai torrenti provenienti dai rilievi a nord, degrada nelle due depressioni, sui lati meridionale e orientale dove convoglia la totalità dell’idrografia del QdP, con l’unica eccezione del torrente Pateàn. Il paesaggio agrario e la classica destinazione d’uso di quest’area sono rappresentati dai prati arborati, intercalati e separati da un’apposita ragnatela di canali, per lo scolo e il controllo delle acque.

• Pedemontana trevigiana: Il paesaggio agrario, in quest’area, è dominato da estese coltivazioni di vite, il cui prodotto, l’uva, è impiegato per la produzione del Prosecco, un vino il cui livello qualitativo sta conoscendo un progressivo aumento e riconoscimento, sia in ambito nazionale sia internazionale. La viticoltura è di gran lunga la coltura tipica della zona e, nel corso del tempo ha preso piede anche nella pianura sottostante, benché la qualità del vino collinare sia riconosciuta come la migliore. Ciò non toglie che il vigneto fa ormai parte del paesaggio rurale della zona, così come dell’intera regione Veneto: ogni lembo di terra sottratto al bosco è stato destinato alla vite tanto da offrire ad un ipotetico visitatore una panoramica unica nel suo genere. In tal senso, il vigneto appare importante per il luogo anche in relazione alle sue capacità di dare impulso al settore turistico, valorizzando le risorse paesaggistiche del luogo e sfruttando lo spessore culturale datogli dalle popolazioni locali. Non sembra priva di fondamenti, pertanto, l’affermazione secondo cui il vigneto può essere considerato un vero e proprio collante socio-economico-culturale.

Da queste considerazioni emerge il fatto che le politiche agricole dovrebbero muoversi, per queste zone, lungo due direzioni: da un lato la necessità di sostenere la competitività delle produzioni mediante il sostegno dei prezzi, dall’altro la necessità di salvaguardare gli spazi naturali attraverso interventi che pongano le caratteristiche ambientali come vincoli da rispettare (Regione Veneto, 2001). A tale scopo il presente lavoro prosegue nella presentazione di un metodo di analisi che potrebbe essere utilmente implementato, come sistema di programmazione matematica per la gestione dell’attività, all’interno di un’azienda la cui funzione obiettivo è costituita da un insieme di finalità diverse e sottoposte ad una serie di vincoli: da un lato la massimizzazione del risultato economico e, dall’altro il raggiungimento di un livello predeterminato di qualità paesaggistica. Un ulteriore vantaggio dell’approccio qui presentato

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è, inoltre, quello di poter offrire utili indicazioni circa i costi che le aziende sono chiamate a sostenere, in termini di mancati redditi qualora si decidesse di seguire un simile percorso; infatti, l’imposizione di obiettivi diversi da quello tradizionale della massimizzazione del risultato economico, induce l’azienda ad impegnare parte delle risorse a sua disposizione verso un’attività, la protezione e valorizzazione del valore estetico del paesaggio, che non dà un riscontro economico. L’obiettivo dell’intervento pubblico dovrebbe, in tal senso, mirare alla copertura di questi costi e stimolare gli imprenditori agricoli alla produzione di servizi ambientali. L’applicazione del modello di analisi “a molti-obiettivi” si basa, innanzi tutto, sulla considerazione di due differenti tipologie di dati: da un lato le informazioni relative alle aziende analizzate quali la localizzazione, la forma di conduzione e il titolo dell’imprenditore, la superficie totale e la Superficie Agricola Utilizzata (SAU), ecc., raccolte mediante l’impiego di particolari moduli e necessarie per la redazione del bilancio d’esercizio; dall’altro i dati relativi al valore paesaggistico da inserire nel modello di programmazione aziendale, misurati sulla base del gradimento estetico attribuito da un campione di soggetti a vari elementi caratterizzanti un paesaggio rurale (corsi d’acqua, bosco, prati, alberi sparsi gli elementi più graditi; fabbriche, tralicci dell’alta tensione, strade di grande percorrenza, zone incolte i più sgraditi). In tal modo, è possibile attribuire un valore economico al paesaggio, pur essendo un bene appartenete alla categoria dei cosiddetti beni “senza prezzo”, poiché non esiste uno specifico mercato per lo stesso all’interno del quale poterlo scambiare. Tuttavia può essere attribuito al bene paesaggio un valore economico semplicemente per il fatto che i consumatori possono rilevare una certa utilità nella sua fruizione. La scelta delle aziende oggetto dello studio si è svolta sulla base di differenti motivi. Innanzi tutto, si è cercato di identificare delle realtà aziendali che rispecchiassero gli aspetti tipici dell’azienda agricola del QdP quali, ad esempio, le dimensioni e gli orientamenti produttivi; nello stesso tempo, lo studio ha voluto basarsi su più di un’azienda allo scopo di catturare aspetti diversi relativi alla medesima realtà; le prime due aziende, ad esempio, pur presentando lo stesso ordinamento colturale si differenziano profondamente per quanto riguarda le dimensioni: la prima include tutti i canoni caratteristici della piccola impresa a conduzione familiare; la seconda è caratterizzata da maggiori dimensioni e maggiore meccanizzazione dei processi produttivi, nonché dall’impiego di salariati e non solo lavoro familiare. Seguendo la medesima logica si è scelto, infine, di analizzare una terza azienda caratterizzata da differenziazione produttiva: accanto all’immancabile viticoltura, si rileva la pratica dell’allevamento e delle attività ad esso connesso come la maiscoltura e la destinazione di parte del terreno a foraggio.

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Infine, le aziende sono state selezionate anche in base ad una certa facilità nel reperimento dei dati. In questo modo si è cercato di dare spazio alle molteplici realtà riscontrabili all’interno della zona e valutare il diverso impatto di ognuna sul paesaggio, nonché il loro contributo alla valorizzazione del medesimo. Nell’elaborazione del modello si ipotizza, all’interno dell’azienda, la contemporanea presenza di due obiettivi, tra loro conflittuali, da ottimizzare: il Reddito Lordo aziendale di breve periodo RL (Produzione Lorda Vendibile PLV meno costi specifici e costi relativi alle prestazione fornite da un eventuale contoterzista) e il valore del paesaggio rurale VP. L’ottimizzazione degli stessi è subordinata al rispetto di alcuni vincoli, quali disponibilità di superficie, il fattore produttivo lavoro impiegato mensilmente per ciascuna coltura, la superficie massima da destinare, rispettivamente, a siepi e ad alberi sparsi. La conflittualità dei due obiettivi considerati è rilevabile dal fatto che, ottimizzandoli separatamente, si ottengono i massimi risultati per l’uno soltanto riducendo al minimo i risultati dell’altro. In questo modo, tuttavia, è possibile identificare i valori attesi dei due obiettivi REDDITO LORDO e VALORE PAESAGGIO da inserire nelle modello di analisi in qualità di target, ossia di finalità cui l’azienda, con la sua attività, dovrebbe mirare. Dall’applicazione del modello emergono dei risultati che sottolineano come, in tutti e tre i casi aziendali esaminati, attribuendo la stessa importanza ai due obiettivi, si prospettano soluzioni molto vicine a quelle raggiunte nei modelli di programmazione monocriteriali, caratterizzati da un unico obiettivo finale. L’obiettivo paesaggistico, infatti, tende ad essere favorito, a scapito di quello economico, ma quest’ultimo non rileva valori eccessivamente ridimensionati. Ciò non deve, però, portare alla conclusione affrettata che tutte e tre le aziende abbiano conseguito lo stesso risultato. Infatti, ogni caso aziendale esaminato ha messo in luce situazioni tra loro completamente diverse. Nell’AZIENDA 1 è emersa una non conflittualità dei due obiettivi, essendo possibile un contemporaneo incremento dell’uno e dell’altro, scegliendo una delle soluzioni ipotetiche desunte dal modello di analisi. Tale conflittualità è pienamente rispettata, invece, valutando le soluzioni efficienti e il possibile passaggio dall’una all’altra. Nell’AZIENDA 2 e nell’AZIENDA 3, il concetto di conflittualità si nota maggiormente valutando il trade-off esistente fra i due obiettivi: se l’agricoltore decide di migliorare la propria redditività è costretto, necessariamente, ad accettare un peggioramento delle caratteristiche paesaggistiche dei suoi terreni; ovviamente, la stessa cosa succede qualora volesse migliorare l’obiettivo ambientale. Nonostante l’affinità appena presentata, le due aziende in questione si differenziano ulteriormente se si guarda ai risultati conseguiti dalla massimizzazione congiunta degli obiettivi

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con ponderazione unitaria degli stessi. Infatti, mentre per l’AZIENDA 2 ciò corrisponde alla soluzione prospettata dal modello di massimizzazione del solo paesaggio, per l’AZIENDA 3, invece, viene prospettata una vera e propria soluzione di compromesso con una leggera contrazione del reddito e un incremento del valore del paesaggio. Un altro aspetto che emerge dall’analisi effettuata è rappresentato dal ruolo del vigneto nella tutela e nella valorizzazione del paesaggio. Infatti, in tutte le aziende esaminate è palese il contributo paesaggistico-ambientale positivo che il vigneto è in grado di apportare a un terreno, oltre all’alto contributo in termini reddituali che offre. I piani aziendali delineati dal modello di analisi supportano l’idea che, qualora si tratti di massimizzare il valore del paesaggio, una quota rilevante di superficie disponibile debba essere destinata alla vite. Di seguito vengono riportati dati di partenza e risultati conseguiti nell’applicazione del modello all’interno dell’AZIENDA 3, caratterizzata da differenziazione produttiva e, quindi, da maggiore eterogeneità anche nelle soluzione prospettate dal modello di ottimizzazione congiunta degli obiettivi. L’AZIENDA 3 è situata nel comune di Farra di Soligo, in località Col San Martino. Si tratta di un’azienda a conduzione familiare, che impiega stabilmente nel corso dell’anno quattro componenti della famiglia: ognuno di loro presta il proprio lavoro in azienda per 1.500 ore all’anno, pari ad un totale di 6.000 ore; non sono presenti, invece, lavoratori salariati. La superficie totale è pari a 24,7 ettari, di cui 5,2 in affitto. Il livello di frammentazione dei terreni è molto elevato: il corpo fondiario più grande si estende per una superficie di 1,8 ettari ed è destinato alla coltivazione del mais. La restante superficie è composta da appezzamenti di varie dimensioni sparsi nei territori dei comuni di Farra di Soligo, Vidor, Sernaglia e Moriago della Battaglia. La SAU è pari a 22,7 ettari ed è destinata, in parte, alla coltivazione del mais (10,2 ettari), in parte a vigneto (8,7 ettari); i restanti 3,8 ettari sono adibiti a prato permanente. Si rileva, infine, la presenza di bosco e tare improduttive, che coprono, rispettivamente, una superficie di 0,5 e 1,5 ettari. L’AZIENDA 3 si distingue rispetto alle precedenti aziende analizzate per la presenza, al suo interno, di differenziazione produttiva. L’ordinamento produttivo principale è rappresentato dalla maiscoltura, che occupa il 45% della superficie coltivata; i terreni destinati al mais si trovano tutti in pianura, nella zona che degrada dolcemente dalla Pedemontana trevigiana verso le Grave del Piave. Il 38,3% della SAU è, invece, destinato alla viticoltura; i vigneti sono collocati, per la maggior parte, in collina mentre una piccola parte è situata in pianura. La superficie destinata a prato viene utilizzata, totalmente, per la produzione di foraggio destinato ai capi di bestiame presenti in azienda. Essa, infatti, possiede anche una stalla adibita all’allevamento bovino; l’inventario finale dell’anno 2001 rilevava, al suo interno, la presenza di 58

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capi, tra cui 20 vacche da latte, 10 giovenche e 28 vitelli (13 con meno di un anno e 15 con un’età compresa tra 1 e 2 anni). L’allevamento non prevede la produzione di carne, ma solo di latte, destinato interamente alla vendita; nell’annata 2001 la quantità di latte prodotta è stata di 1.800 quintali, i ricavi conseguiti alla vendita 70.200 €. Nel corso dell’anno , inoltre, si registra la vendita di 12 vitellini da allevamento con meno di un anno, nati in azienda, e di 5 vacche da latte, con un ricavo complessivo pari a 3.820 €. Attualmente il valore di mercato dei terreni destinati a mais si aggira intorno ai 51.650 € ad ettaro, quello dei vigneti, invece, raggiunge un valore di circa 129.110 € ad ettaro; il prato, infine, presenta un valore a prezzi correnti pari a circa 23.240 € ad ettaro. Il capitale bovino, al 31.12.2001, registrava un valore complessivo di circa 57.380 €, con un valore medio per capo di 990 €. Parte dei terreni coltivati a mais, 8,1 ettari, è servita da un impianto irriguo mobile che viene utilizzato per sopperire alla mancanza di risorse idriche connesse ad eventuali periodi di siccità durante i mesi estivi. I fabbricati aziendali sono rappresentati dalla già citata stalla, che si estende per una superficie di 400 m2, costruita agli inizi degli anni ’80 e con un valore odierno di circa 57.840 €. Essa ha subito, di recente, lavori di ammodernamento e sistemazione; in particolare, nel 1998, è stata munita di tecnologie innovative per facilitare la raccolta del latte e la pulizia del bestiame. Oltre a questa, sono presenti un fienile-magazzino di 250 m2, costruito insieme alla stalla e con un valore attuale di 14.460 €; un fabbricato destinato a ricovero attrezzi risalente al 1965 con un valore di 6.710 €; una cantina delle dimensioni di 300 m2, costruita nel 1973 avente un valore attuale di 10.850 €. Quest’ultima è fornita delle attrezzature necessarie alla vinificazione e allo stoccaggio del vino; per le operazioni necessarie all’imbottigliamento, l’azienda si avvale dell’appoggio di un’impresa esterna contoterzista. La PLV complessiva realizzata nell’annata 2001 è stata pari a 267.920 €. Il contributo maggiore alla realizzazione della PLV viene dalla vitivinicoltura, che registra ricavi per 180.790 € (20.780 € ad ettaro) suddivisi tra la vendita del vino sfuso e/o in damigiane (98.230 €) e la vendita delle bottiglie (82.560 €). Al secondo posto si colloca l’allevamento, che realizza una PLV di 76.090 € (con un valore medio di quasi 1.312 € a capo). La maiscoltura, pur essendo l’ordinamento produttivo più diffuso, offre un contributo alla PLV totale piuttosto esiguo, pari a 11.050 € (2.170 € ad ettaro)37, dei quali 4.740 € sono proventi

37 La PLV del mais è determinata in base alla quantità di prodotto che viene venduto sul mercato; non rientra nel calcolo il mais che viene reimpiegato in azienda, in particolare nell’allevamento del bestiame. Pertanto, tutti i dati e i calcoli necessari per

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derivanti dagli aiuti comunitari connessi all’applicazione delle politiche agricole dell’UE. Il RN aziendale complessivamente realizzato è di 136.380 € circa (6.010 € ad ettaro). Ai fini del presente lavoro, è opportuno riportare i dati relativi al risultato di breve periodo di ogni attività, ossia al RL. Per quanto riguarda la viticoltura il RL viene calcolato sottraendo alla PLV i costi specifici e il costo pagato all’impresa contoterzista. Il risultato rileva un RL della vite pari a 114.000 €; il RL unitario per unità di superficie è di 13.100 €. Il RL degli allevamenti si ottiene togliendo alla rispettiva PLV le spese specifiche sostenute per gli stessi. Il risultato è di 59.590 € complessivi, con un valore unitario medio per capo di 1.030 €. Infine, la maiscoltura realizza un RL di 5.810 € complessivi, pari a 1.140 € ad ettaro. Il mais è una coltura che, attualmente, presenta sul mercato una redditività ridottissima; i risultati sarebbero addirittura negativi se non fossero supportati dai contributi europei, che consentono, almeno, la copertura dei costi sostenuti. Le seguenti tabelle riassumono alcuni dei dati aziendali raccolti mediante i moduli di rilevazione contabile. Le Tabelle 18, 18-1 e 18-2 riguardano, in particolare, le informazioni relative ai fattori produttivi impiegati, rispettivamente, nella coltivazione della vite, del mais e del prato; le Tabelle 18-3, 18-4 e 18-5 rilevano, invece, i passaggi necessari per il calcolo del RL delle varie attività praticate (viticoltura, maiscoltura e allevamento); la Tabella 18-6 riporta, infine, i dati relativi alla determinazione del RL complessivamente realizzato nell’annata 2001.

la stima della redditività del mais faranno riferimento alla superficie dello stesso i cui prodotti sono destinati alla vendita.

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Tabella 18: I fattori produttivi impiegati dall’AZIENDA 3 nell’annata 2001.

VITE, 8,7 ETTARI OPERAZIONE PERIODO FATTORE

PRODUTTIVO U.M. Q.TA’

TOT. Q.TA’/HA

I^conc. organica febbraio Letame q.li 1.450,00 166,67 Spandiconcime ore 20,00 2,30 lavoro uomo ore 20,00 2,30

I^conc. minerale febbraio P, K, N q.li 39,15 4,50 Spandiconcime ore 12,00 1,38 lavoro uomo ore 12,00 1,38

Fresatura erba apr-ott. Decespugliatore ore 174,00 20,00 lavoro uomo ore 174,00 20,00

Protezione colture mag-ago. Mancozeb Kg 121,80 14,00 Cuprofolpet Kg 104,40 12,00 solfato di rame Kg 43,50 5,00 Zolfo Kg 26,10 3,00 Roundup Kg 17,40 2,00 trattore+atomizza

tore ore 120,00 13,80

lavoro uomo ore 120,00 13,80 Potatura verde giugno Forbici ore 26,10 3,00

lavoro uomo ore 26,10 3,00 Vendemmia sett-ott. trattore+rimorchi

o ore 43,50 5,00

lavoro uomo ore 1.044,00 120,00 Trasformazione sett-ott. pressa

pneumatica ore 30,00 3,45

pigiadiraspatrice ore 10,00 1,15 lavoro uomo ore 250,00 28,73

Potatura nov-mar. Forbici ore 435,00 50,00 lavoro uomo ore 435,00 50,00

II^conc.organica novembre Letame q.li 1.450,00 166,67 spandiconcime ore 20,00 2,30 lavoro uomo ore 20,00 2,30

II^conc.minerale novembre P, K, N q.li 39,15 4,50 spandiconcime ore 12,00 1,38 lavoro uomo ore 12,00 1,38

TOTALE LAVORO AZIENDA 3 ORE 3.015,70 346,60

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Tabella 18-1: I fattori produttivi impiegati dall’AZIENDA 3 nell’annata 2001.

MAIS, 10,2 ETTARI OPERAZIONE

PERIODO FATTORE PRODUTTIVO

U.M. Q.TA’ TOT.

Q.TA’/HA

Erpicatura mar-mag. trattore+erpice ore 20,40 2,00

lavoro uomo ore 20,40 2,00

Semina mar-mag. sementi n° 765.000,00 75.000,00

n ore 20,40 2,00

lavoro uomo ore 20,40 2,00

Protezione

colture

apr-mag. stomp TZ l 51,00 5,00

trattore+atomizzato

re

ore 9,00 0,88

lavoro uomo ore 9,00 0,88

Sarchiatura giugno trattore+sarchiatrice ore 20,40 2,00

lavoro uomo ore 20,40 2,00

Irrigazione giu-lug. Acqua m3 10.200,00 1.000,00

impianto irriguo ore 1.252,80 122,82

lavoro uomo ore 10,00 0,98

Raccolta ottobre mietitrice+trebbiatrice ore 20,40 2,00

lavoro uomo ore 20,40 2,00

Aratura ott-febb. trattore+aratro ore 61,20 6,00

lavoro uomo ore 61,20 6,00

Conc.

organica

ott-febb. Letame q.li 2.040,00 200,00

spandiconcime ore 25,00 2,45

lavoro uomo ore 25,00 2,45

Conc. minerale

ott-febb. P,K,N+integr.minerali q.li 35,70 3,50

spandiconcime ore 14,00 1,37

lavoro uomo ore 14,00 1,37

TOTALE LAVORO AZIENDA 3 ORE 1.644,40 161,22

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Tabella 18-2: I fattori produttivi impiegati dall’AZIENDA 3 nell’annata 2001.

PRATO, 3,8 ETTARI OPERAZIONE PERIODO FATTORE

PRODUTTIVO U.M. Q.TA’

TOT. Q.TA’/HA

I^ sfalcio aprile faciatrice portata ore 9,50 2,50 lavoro uomo ore 9,50 2,50

I^ rigiro fieno maggio spargifieno ore 9,50 2,50 lavoro uomo ore 9,50 2,50

I^ andanatura maggio ranghinatore ore 9,50 2,50 lavoro uomo ore 9,50 2,50

I^ raccolta maggio rotopressa+ caricaballe

ore 9,50 2,50

lavoro uomo ore 9,50 2,50 II^ sfalcio luglio faciatrice portata ore 9,50 2,50

lavoro uomo ore 9,50 2,50 II^ rigiro fieno agosto spargifieno ore 9,50 2,50

lavoro uomo ore 9,50 2,50 II^ andanatura agosto ranghinatore ore 9,50 2,50

lavoro uomo ore 9,50 2,50 II^ raccolta agosto rotopressa+

caricaballe ore 9,50 2,50

lavoro uomo ore 9,50 2,50 Conc. minerale ott-febb. integratori

minerali q.li 14,00 3,68

spandiconcime ore 3,00 0,79 lavoro uomo ore 3,00 0,79

TOTALE LAVORO AZIENDA 3 ORE 158,00 41,58

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Tabella 18-3: Il RL “vite” dell’AZIENDA 3 nell’annata 2001.

VITE, 8, 7 ETTARI U.M. IMPORTO TOTALE IMPORTO/HA

PLV vino sfuso/damigiane (1.096 hl) € 98.226,60 11.290,41 PLV vino in bottiglia (240 hl) € 82.560,00 9.489,66

+ PLV TOTALE € 180.786,60 20.780,07

concimazione organica € 1.116,50 128,33 concimazione minerale € 909.85 104,58 protezione colture € 6.980,85 712,43 altre lavorazioni € 4.653,24 534,86 raccolta € 5.391,81 619,75 trasformazione € 17.550,34 2.017,28 - CV PRODUZIONE € 36.602,43 4.207,18

- CV GESTIONE MACCHINE (1) € 4.493,55 516,50

- CV LAVORAZIONE C/TERZI € 25.693,56 2.953,28

RL “vite” AZIENDA 3 € 113.997,06 13.103,11

(1) la ripartizione dei CV di gestione delle macchine è stata calcolata sulla base delle ore- macchina impiegate nella realizzazione delle lavorazioni richieste dal vigneto.

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Tabella 18-4: Il RL “mais” dell’AZIENDA 3 nell’annata 2001. MAIS, 5,1 ETTARI

U.M. IMPORTO TOTALE IMPORTO/HA

PLV mais € 6.304,04 618,04 contributi UE38 € 4.741,07 464,81 + PLV TOTALE € 11.045,11 2.165,71

preparazione terreno € 1.316,97 258,23 semina € 790,20 154,94 concimazione organica € 785,40 154,00 concimazione minerale € 368,76 72,05 protezione colture € 242,25 47,50 altre lavorazioni € 105,37 20,66 irrigazione € 579,46 113,62 raccolta € 526, 83 103,30 - CV PRODUZIONE mais € 4.715,24 924,56

- CV GESTIONE MACCHINE (1) € 516,31 101,24

RL “mais” AZIENDA 3 € 5.813,56 1.139,91

(1) la ripartizione dei CV di gestione delle macchine è stata calcolata sulla base delle ore-macchina impiegate nella realizzazione delle lavorazioni richieste dalla coltivazione del mais i cui prodotti sono destinati alla vendita.

38 I dati relativi ai contributi UE alla coltivazione del mais sono stati forniti dalla

locale sede della CIA, Confederazione Italiana Agricoltori.

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Tabella 18-5: Il RL “allevamento” dell’AZIENDA 3 nell’annata 2001(1).

ALLEVAMENTO, 58 CAPI, 8,9 ETTARI U.M. IMPORTO TOTALE IMPORTO/HA*

Latte € 70.200,00 7.887,64 alre rendite (vendita capi) € 3.821,78 429,41 utile lordo di stalla ULS € 2.065,88 232,12 + PLV TOTALE € 76.087,66 8.549,18

Mangimi € 4.648,11 522,26 medicinali e veterinario € 1.032,91 116,06 -SPESE per l’allevamento € 5.681,02 638,32

preparazione terreno € 1.316,97 258,23 semina € 790,20 154,94 concimazione organica € 785,40 154,00 concimazione minerale € 368,76 72,05 protezione colture € 242,25 47,50 altre lavorazioni € 105,37 20,66 irrigazione € 579,46 113,62 raccolta € 526, 83 103,30 - CV PRODUZIONE mais € 4.715,24 924,56

concimazione minerale € 294,39 33,08 altre lavorazioni € 1.945,14 218,56 - CV PRODUZIONE prato € 2.239,53 589,35

- CV GESTIONE MACCHINE (2) € 3.865,10 434,28

RL “allevamento” AZIENDA 3 € 59.586,77 6.695,14

(1) il RL per unità di superficie è stato calcolato in base alla superficie aziendale i cui prodotti sono impiegati nell’allevamento del bestiame. L’azienda in questione utilizza parte della superficie coltivata a mais (5,1 ha) e tutta la superficie destinata a prato (3,8 ha) per la produzione di alimenti destinati ai capi presenti in stalla (chiamiamo questa particolare coltura “prato+mais”). La granella, reimpiegata in azienda, è pari a 710 quintali (140 ad ettaro); i foraggi ammontano, invece, a 190 quintali (50 ad ettaro). Nel calcolo del RL devono rientrare, pertanto, tutti i costi connessi alla lavorazione della coltura “prato+mais”; in particolare, vanno considerati i costi relativi al praticoltura e quelli relativi alla maiscoltura che non sono stati considerati nella determinazione del RL del mais.

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Tabella 18-6: Il RL complessivo dell’AZIENDA 3 nell’annata 2001.

22,7 ETTARI U.M. IMPORTO TOTALE IMPORTO/HA

PLV settore vegetale € 187.090,64

13.557,29

PLV degli allevamenti € 76.087,66 8.549,18 Altre entrate (contr. UE) € 4.741,07 464,81 + PLV TOTALE € 267.919,37 11.802,62 spese per le colture € 67.011,23 4.855,89 spese per gli allevamenti € 12.635,79 1.419,75 Spese gestione macchine € 8.877,89 391,10 - CV TOTALI € 88.524,91 3.899,78

RL complessivo AZIENDA 3 € 179.394,46 7.902,84

A questo punto il modello d’analisi applicato prevede l’elaborazione della matrice della tecnica, necessaria per la successiva applicazione del modello di programmazione aziendale più volte citato. In tale matrice vengono riportati tutti i parametri coinvolti nell’analisi: dapprima le gli obiettivi da ottimizzare, rappresentati dalle funzioni G1 e G2, successivamente i vincoli da rispettare, che comprendono il vincolo V1, relativo alla disponibilità di superficie, e i vincoli che vanno da V2 a V13, relativi al fattore produttivo lavoro impiegato mensilmente per ciascuna coltura. I vincoli V14 e V15 sono stati creati appositamente per delimitare la superficie massima da destinare, rispettivamente, alla siepe e agli alberi sparsi; la mancanza di una limitazione di questo tipo, infatti, comporterebbe delle soluzioni in cui l’intera superficie deve essere destinata a tali elementi, dato l’elevato punteggio paesaggistico che viene loro attribuito, delineando situazioni poco coerenti con la realtà aziendale, le esigenze dell’agricoltore e la natura stessa dei processi produttivi considerati. In particolare, si è stabilito che la siepe non può superare il 10% della superficie disponibile, mentre gli alberi sparsi non possono occupare più dell’1% della stessa.

Tabella 25: la matrice della tecnica per l’AZIENDA 3

X1 X2 X3 X4 X3 X4 X5

Obiettivi U.M. Vite Mais Prato Allevamento Bosco Siepe Alberi sparsiG1 Reddito lordo €/ha 13.103,11 1.139,91 516,46 6.695,14 103,29 206,58 5,00 G2 Paesaggio Punti/ha 0,0261 -0,0209 0,0192 -0,0097 0,0138 0,4627 2,3086

Vincoli U.M. Vite Mais Prato Allevamento Bosco Siepe Alberi sparsi

VI Superficie Ha 1,00 1,00 1,00 1,00 1,00 1,00 1,00 ≤ 23,20 V2 Lavoro gennaio Ore/ha 10,00 3,50 3,00 11,70 0,10 ≤ 500,00 V3 Lavoro febbraio Ore/ha 13,70 3,50 6,50 13,20 ≤ 500,00 V4 Lavoro marzo Ore/ha 10,00 4,50 10,90 ≤ 500,00 V5 Lavoro aprile Ore/ha 2,90 3,00 1,00 10,50 ≤ 500,00 V6 Lavoro maggio Ore/ha 6,30 1,50 0,50 9,50 15,00 ≤ 500,00 V7 Lavoro giugno Ore/ha 9,30 3,00 14,00 16,20 ≤ 500,00 V8 Lavoro luglio Ore/ha 6,30 7,00 14,00 18,50 ≤ 500,00 V9 Lavoro agosto Ore/ha 6,30 8,00 7,50 16,20 ≤ 500,00

V10 Lavoro settembre Ore/ha 50,50 7,50 11,70 10,00 10,00 ≤ 500,00 V11 Lavoro ottobre Ore/ha 50,50 8,40 15,00 15,00 ≤ 500,00 V12 Lavoro novembre Ore/ha 13,70 1,00 9,00 0,10 ≤ 500,00 V13 Lavoro dicembre Ore/ha 10,00 5,00 11,20 0,10 ≤ 500,00 V14 Siepe Ha 1,00 ≤ 2,90 V15 Alberi sparsi Ha 1,00 ≤ 0,30

80

Il modello di analisi WGP può essere allora così riassunto in termini matematici:

• Obiettivi

n Reddito Lordo aziendale RL fRL (x) = Σ rli xi [12]

i = 1

n Paesaggio Rurale fP (x) = Σ pi xi [13] i = 1

in cui: rli redditi lordi unitari per unità di superficie delle singole colture (i = 1,…,n)

ottenuti sottraendo alla Plv della coltura i costi specifici relativi al processo produttivo;

pi punteggi paesaggistici attribuiti ad ogni cultura (i = 1,…,n) per unità di superficie. La loro stima viene effettuata più avanti;

x vettore n-dimensionale costituito dalle variabili decisionali xi che misurano il livello di attivazione dei singoli processi produttivi.

• Vincoli

n SAU Σ a1i xi ≤ sau [14]

i = 1

13 n lavoro ∑ ∑ aji xi ≤ lavj [15]

j = 2 i = 1 in cui: a1i coefficienti tecnici unitari relativi all’occupazione della SAU da parte di

ogni coltura (i = 1,…,n); aji coefficienti tecnici unitari relativi all’assorbimento di lavoro mensile (j =

2,…,13) da parte di ogni coltura; lavj disponibilità mensili di lavoro aziendale (ore). Prima di procedere all’applicazione del modello di programmazione matematica, è opportuno richiamare i dati relativi all’ordinamento produttivo presente nell’azienda, poiché rappresenta il punto di partenza per le analisi successive.

81

Tabella 28: il piano aziendale dell’AZIENDA 3

VARIABILI U.M. LIVELLO Reddito lordo

Paesaggio €

Punti 179.394,46

0,0708 Vite Mais Prato

Allevamento Bosco

Disponibilità Lavoro familiare

Ha Ha Ha

Capi Ha Ore

8,70 10,20 3,80 58,00 0,50

6.000,00

Il RL globale risulta pari a 179.394,46 €, ottenuto con la coltivazione di 8,7 ettari di vite, 10,2 ettari di mais e con l’allevamento di 58 capi di bestiame. L’ordinamento produttivo è costituito in buona parte da seminativo (10,2 ettari, 45% della SAU) e da una parte, comunque consistente, di vigneto (8,7 ettari, 38% della SAU); il prato occupa una superficie di 3,8 ettari (17% della SAU). Il punteggio paesaggistico risente, pertanto, di tutte le colture praticate e presenta un valore complessivo di 0,0708, relativamente contenuto se confrontato con gli altri due casi aziendali; in particolare, la presenza della maiscoltura, assente nei casi precedenti, contribuisce ad abbassare tale valore, essendo caratterizzata da un punteggio negativo. Il lavoro familiare disponibile in azienda, nell’arco dell’intero anno, ammonta a 6.000 ore. A questo punto è possibile, prima di procedere all’ottimizzazione congiunta delle due funzioni obiettivo, impiegare il modello di Programmazione Lineare PL per individuare i risultati che si ottengono attraverso l’ottimizzazione isolata di ciascun obiettivo. Lo scopo è quello di determinare i valori attesi o target tk dei singoli obiettivi da inserire, successivamente, nel modello di programmazione a “molti-obiettivi” (WGP). In particolare, tale procedura consente la costruzione della matrice dei pay-off (Romero e Rehman, 1989), nella quale sono riportati i livelli degli obiettivi ottenuti dall’ottimizzazione separata degli stessi. Per conseguire questo tipo di informazioni è stato utilizzato lo stesso programma impiegato nel modello WGP, dando una particolare definizione ai pesi delle variabili deviazionali (Brožova e Marangon, 1997); l’impostazione del problema mantiene, pertanto, la stessa struttura per quanto riguarda la matrice della tecnica mentre, relativamente agli obiettivi, si farà riferimento alle sole celle relative all’obiettivo da ottimizzare.

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Tabella 30: Massimizzazione RL, AZIENDA 3.

Soluzione ottima del modello MAX REDDITO LORDO, azienda 3

Funzioni obiettivo

Nome Valore atteso Variabili di non raggiungimento

Variabili di superamento

Valore dell'obiettivo

RL 200.000 6.925,18 0,00 193.074,80

Variabili decisionali Vincoli Nome Valore Tipo Nomi Valori Slack

Vite 5,89 base Sl-Superficie 23,20 0,00 Mais 0,00 minimo Sl-Lav gen 500,00 238,57 Prato 0,00 minimo Sl-Lav feb 500,00 190,81 Allevamento 17,30928 base Sl-Lav mar 500,00 252,42 Bosco 0,00 minimo Sl-Lav apr 500,00 301,17 Siepe 0,00 minimo Sl-Lav mag 500,00 298,45 Alberi sparsi 0,00 minimo Sl-Lav giu 500,00 164,81 Sl-Lav lug 500,00 142,67 Sl-Lav ago 500,00 182,48 Sl-Lav set 500,00 0,00 Sl-Lav ott 500,00 57,12 Sl-Lav nov 500,00 263,51 Sl-Lav dic 500,00 247,23 Sl-Siepe 2,30 2,30 Sl-Alberi sparsi 0,20 0,20

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Tabella 30-1: Massimizzazione VP, AZIENDA 3.

I risultati di PL per l’azienda 3, relativi alla massimizzazione del RL, rilevano un valore dell’obiettivo, pari a 193.074,80 €. La soluzione suggerisce, per raggiungere tale obiettivo, di assegnare circa 5,9 ettari alla vite e i restanti 17,3 all’allevamento, ossia alle colture (il prato e parte della superficie destinata a mais) i cui prodotti sono impiegati in stalla. La scelta è ricaduta su questi ordinamenti produttivi data la maggior redditività che essi presentano rispetto agli altri. Le variabili “slack” si riferiscono ai “residui” delle risorse disponibili che non vengono utilizzate. La massimizzazione del solo paesaggio attribuisce, invece, un’importanza decisiva alla presenza del bosco e del prato, cui dovrebbero essere assegnati, rispettivamente, 8,9 e 7,5 ettari; anche la vite, con una superficie di 4,3 ettari, occupa una posizione di rilievo nell’ottimizzazione dell’obiettivo

Soluzione ottima del modello MAX VALORE PAESAGGIO, azienda 3

Funzioni obiettivo

Nome Valore atteso

Variabili di non raggiungimento

Variabili di superamento

Valore dell'obiettivo

VP 500,00 498,10 0,00 1,90

Variabili decisionali Vincoli Nome Valore Tipo Nomi Valori Slack Vite 4,27 base Sl-Superficie 23,20 0,00 Mais 0,00 minimo Sl-Lav gen 500,00 434,79 Prato 7,49 base Sl-Lav feb 500,00 392,79 Allevamento 0,00 minimo Sl-Lav mar 500,00 457,29 Bosco 8,94 base Sl-Lav apr 500,00 480,12 Siepe 2,30 base Sl-Lav mag 500,00 434,85 Alberi sparsi 0,20 base Sl-Lav giu 500,00 355,40 Sl-Lav lug 500,00 368,21 Sl-Lav ago 500,00 416,91 Sl-Lav set 500,00 0,00 Sl-Lav ott 500,00 0,00 Sl-Lav nov 500,00 441,47 Sl-Lav dic 500,00 457,27 Sl-Siepe 2,30 0,00 Sl-Alberi sparsi 0,20 0,00

84

paesaggistico, sottolineando, ancora una volta, la capacità di tale coltura di consentire, allo stesso tempo, alti livelli di redditività e di qualità ambientale.

Tabella 33: le soluzioni dei modelli di PL, la matrice dei pay-off (AZIENDA 3).

I risultati raggiunti con la PL hanno permesso di identificare i valori attesi dei due obiettivi REDDITO LORDO RL e VALORE PAESAGGIO VP da inserire nelle matrici della tecnica in qualità di target, ossia di finalità cui l’azienda, con la sua attività, dovrebbe raggiungere. Nelle seguenti tabelle vengono riportati i risultati raggiunti mediante l’applicazione del modello WGP all’azienda esaminata. Mediante l’applicazione del modello WGP è possibile raggiungere due tipi di risultati per ognuna delle aziende esaminate, variando il valore dei pesi delle variabili deviazionali. La Tabella 38 riporta la soluzione relativa alla massimizzazione congiunta degli obiettivi mediante la ponderazione unitaria dei pesi delle rispettive variabili deviazionali. La soluzione prospettata, per l’AZIENDA 3, è di un vero e proprio compromesso fra gli obiettivi, tanto che nessuno dei due viene pienamente raggiunto. L’obiettivo economico, pur presentando un valore piuttosto elevato (poco più di 177.000 €), non è massimizzato; allo stesso modo, l’obiettivo paesaggistico manifesta un valore inferiore rispetto al suo target. Un risultato di questo tipo è possibile destinando poco più di 6 ettari alla coltivazione della vite e circa 14,5 ettari alle colture (mais e prato) i cui prodotti sono necessari per l’allevamento del bestiame. Infine, viene completamente esaurita la

U.M. Dati aziendali Valori assoluti Max RL Max paes

Obiettivi Reddito lordo Paesaggio

punti

179.394,46 0,0708039

193.074,80

-

-

1,904089 Colture Vite Mais Prato Allevamento Bosco Siepe Alberi sparsi

Ha Ha Ha Ha Ha Ha Ha

8,70

10,20 3,80 8,90 0,50 0,00 0,00

5,90 0,00 0,00 17,30 0,00 0,00 0,00

4,30 0,00 7,50 0,00 8,90 2,30 0,20

SUPERFICIE LAVORO UOMO TOT

Ha Ore

23,20 2.392,90

23,20 3.660,80

23,20 1.760,90

85

disponibilità di superficie prevista per la siepe e gli alberi sparsi, pari, rispettivamente, a 2,3 e 0,2 ettari. La motivazione di una tale situazione può essere dovuta proprio al fatto che non esiste, all’interno dell’azienda esaminata, un obiettivo che prevale rispetto all’altro; in un caso come questo, allora, potrebbero diventare determinanti la figura dell’agricoltore e le sue preferenze. Egli, infatti, potrebbe manifestare l’esigenza di preferire il perseguimento dell’obiettivo economico a scapito di quello paesaggistico, o viceversa. In questi casi, pertanto, si potrebbe procedere nell’utilizzo del modello WGP assegnando, ai pesi delle variabili deviazionali, dei valori arbitrari ma che riflettono la struttura delle preferenze del decisore. Oppure, per una questione di correttezza dal punto di vista metodologico, si potrebbe assegnare alla variabile u del reddito il valore risultante dall’analisi di sensitività, mantenendo unitario il valore della variabile u del paesaggio. La soluzione prospettata dalla Tabella 38 corrisponde, nel grafico relativo alla curva di trasformazione per l’AZIENDA 3, al punto A.

86

Tabella 38:Massimizzazione congiunta degli obiettivi, RL = 1, VP = 1

(AZIENDA 3).

Il modello WGP consente di procedere, inoltre, alla cosiddetta “analisi di sensitività dei pesi”, che consente di individuare soluzioni di compromesso diverse a seconda dell’importanza attribuita a un obiettivo piuttosto che all’altro, modificando il valore delle variabili deviazionali. In particolare, la Tabella 38-1, che riporta i risultati di tale analisi, prevede un incremento di entrambe fino a un raggiungimento di un valore pari a 7,74, per quanto riguarda la variabile u del reddito, e 1,65, per quanto riguarda la variabile u del paesaggio.

Soluzione ottima del modello RL = 1, VP = 1

Funzioni obiettivo

Nome Valore atteso Variabili di non raggiungimento

Variabili di superamento

Valore dell'obiettivo

RL 193.074,80 15.229,48 0,00 177.845,30 VP 1,90 0,36 0,00 1,54

Variabili decisionali Vincoli

Nome Valore Tipo Nomi Valori Slack

Vite 6,05 base Sl-superficie 23,20 0,00 Mais 0,00 minimo Sl-lav gen 500,00 268,08 Prato 0,00 minimo Sl-lav feb 500,00 223,73 Allevamento 14,65 base Sl-lav mar 500,00 279,82 Bosco 0,00 minimo Sl-lav apr 500,00 328,64 Siepe 2,30 base Sl-lav mag 500,00 288,22 Alberi sparsi 0,20 base Sl-lav giu 500,00 206,42

Sl-lav lug 500,00 190,88 Sl-lav ago 500,00 224,57 Sl-lav set 500,00 0,00 Sl-lav ott 500,00 36,84 Sl-lav nov 500,00 285,24 Sl-lav dic 500,00 275,40 Sl-siepe 2,30 0,00 Sl-alberi sparsi 0,20 0,00

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Tabella 38-1: Analisi di sensitività (AZIENDA 3).

Soluzione ottima del modello AZIENDA 3

Intervallo di stabilità

Nomi Valori Limite inferiore Limite superiore

Peso di N-RL 1,00 0,61 7,74 Peso di N-VP 1,00 0,13 1,65 Peso di P-VITE 0,00 -1,00 Peso di P-MAIS 0,00 -1,00 I valori forniti dall’analisi di sensitività suggeriscono di far girare la macro facendo, dapprima, variare il peso della variabile u del reddito mantenendo pari a 1 quella del paesaggio e, successivamente, effettuare l’operazione inversa, variando il valore della sola variabile u del paesaggio. Nel primo caso, si ottengono un valore del reddito pari a 192.123,30 € e un punteggio paesaggistico pari a 0,45. Tale soluzione è possibile assegnando 5,95 ettari alla vite, 17,05 ettari all’allevamento e, di conseguenza alle colture connesse alla sua alimentazione, e i rimanenti 0,2 ettari ad alberi sparsi. Questa situazione corrisponde, nel grafico relativo alla curva di trasformazione per l’AZIENDA 3, al punto B. Nel secondo caso, invece, attribuendo all’obiettivo paesaggistico un peso pari a 1,7, si ottiene la soluzione di PL relativa alla massimizzazione del valore del paesaggio; questo, infatti, raggiunge il suo valore atteso, pari a 1,90, mentre l’obiettivo economico presenta un valore di 117.097,40 €. I risultati appena indicati sono riportati nella Tabella 38-2. Per quanto riguarda la distribuzione della superficie disponibile, il piano previsto assegna ben 11 ettari al prato, essendo un elemento paesaggistico cui viene attribuito un punteggio positivo; alla vite è assegnata, comunque, una buona parte della superficie rimanente (poco più di 7 ettari), a testimonianza, ancora una volta, del beneficio che può apportare all’aspetto paesaggistico del territorio, Infine, si rileva l’attribuzione di circa 2,4 ettari all’allevamento, 2,3 ettari alla siepe e 0,2 ettari agli alberi sparsi. La soluzione prospettata dalla Tabella 38-2 corrisponde, nel grafico relativo alla curva di trasformazione per l’AZIENDA 3, al punto C.

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Tabella 38-2: Massimizzazione congiunta degli obiettivi, RL = 1, VP = 1,7 (AZIENDA 3).

L’analisi di sensitività può, invece, proseguire per quanto riguarda

l’obiettivo economico, allo scopo di identificare il valore che deve essere assegnato al peso della variabile deviazionale relativa per consentire la massimizzazione del reddito. La Tabella 38-3 riporta i risultati conseguiti.

Soluzione ottima del modello RL = 1. VP = 1,7

Funzioni obiettivo

Nome Valore atteso Variabili di non raggiungimento

Variabili di superamento

Valore dell'obiettivo

RL 193.074,80 75.977,37 0,00 117.097,40 VP 1,90 0,00 0,00 1,90

Variabili decisionali Vincoli

Nome Valore Tipo Nomi Valori Slack

Vite 7,25 base Sl-superficie 23,20 0,00 Mais 0,00 minimo Sl-lav gen 500,00 366,47 Prato 11,08 base Sl-lav feb 500,00 297,34 Allevamento 2,37 base Sl-lav mar 500,00 401,62 Bosco 0,00 minimo Sl-lav apr 500,00 442,97 Siepe 2,30 base Sl-lav mag 500,00 391,73 Alberi sparsi 0,20 base Sl-lav giu 500,00 239,06

Sl-lav lug 500,00 255,35 Sl-lav ago 500,00 332,80 Sl-lav set 500,00 0,00 Sl-lav ott 500,00 79,40 Sl-lav nov 500,00 379,28 Sl-lav dic 500,00 400,88 Sl-siepe 2,30 0,00 Sl-alberi sparsi 0,20 0,00

89

Tabella 38-3: Analisi di sensitività (AZIENDA 3).

Applicando il modello WGP attribuendo alla variabile u del reddito un valore pari a 49,64, mantenendo pari a 1 il valore della variabile u del paesaggio, si ottengono i risultati prospettati dalla Tabella 38-4. I risultati portano all’effettiva ottimizzazione dell’obiettivo economico, che raggiunge il suo valore atteso. Il modello suggerisce, per ottenere questa soluzione, di assegnare la maggior parte della superficie disponibile (17,3 ettari) alle colture destinate all’allevamento e il resto (5,9 ettari) a vigneto.

Soluzione ottima del modello AZIENDA 3 Analisi di sensitività dei pesi

Intervallo di stabilità

Nomi Valori Limite inferiore Limite superiore

Peso di N-RL 7,8 7,74 49,64 Peso di N-VP 1 0,16 1,01 Peso di P-VITE 0 -7,8 Peso di P-MAIS 0 -1

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Tabella 38-4: Massimizzazione congiunta degli obiettivi, RL = 49,6, VP = 1 (AZIENDA 3).

Soluzione ottima del modello RL = 49,6, VP = 1

Funzioni obiettivo

Nome Valore atteso Variabili di non raggiungimento

Variabili di superamento

Valore dell'obiettivo

RL 193.074,80 0,00 0,00 193.074,80 VP 1,90 1,92 0,00 -0,01

Variabili decisionali Vincoli

Nome Valore Tipo Nomi Valori Slack

Vite 5,89 base Sl-superficie 23,20 0,00 Mais 0,00 minimo Sl-lav gen 500,00 238,57 Prato 0,00 minimo Sl-lav feb 500,00 190,81 Allevamento 17,31 base Sl-lav mar 500,00 252,42 Bosco 0,00 minimo Sl-lav apr 500,00 301,17 Siepe 0,00 minimo Sl-lav mag 500,00 298,45 Alberi sparsi 0,00 base Sl-lav giu 500,00 164,81

Sl-lav lug 500,00 142,67 Sl-lav ago 500,00 182,48 Sl-lav set 500,00 0,00 Sl-lav ott 500,00 57,12 Sl-lav nov 500,00 263,51 Sl-lav dic 500,00 247,23 Sl-siepe 2,30 2,30 Sl-alberi sparsi 0,20 0,20 Come si può notare, avendo ridimensionato l’obiettivo paesaggistico, la soluzione attribuisce allo stesso un valore negativo, pari a -0,01. La negatività del punteggio è dovuta al fatto che, per massimizzare la redditività dell’azienda, le risorse disponibili sono state dirottate verso quelle attività che garantiscono un risultato economico elevato, ma che, al contempo, possono determinare un deterioramento delle caratteristiche paesaggistiche del territorio. Ad esempio, favorire l’allevamento significa dedicare maggior superficie aziendale alla coltivazione del mais i cui prodotti vengono, poi, utilizzati come mangimi per il bestiame; l’incremento della superficie coltivata

91

a mais comporta un peggioramento della qualità ambientale poiché a tale coltura è associato un punteggio paesaggistico negativo. La soluzione prospettata dalla Tabella 38-4 corrisponde, nel grafico relativo alla curva di trasformazione per l’AZIENDA 3, al punto D. Nella Figura 3 è riportato il grafico relativo alla più volte citata curva di trasformazione dell’AZIENDA 3, che rileva il trade-off esistente fra i due obiettivi conflittuali, ossia il costo opportunità che è necessario sostenere per conseguire un obiettivo a scapito dell’altro. Sono indicati, accanto ai dati aziendali e al punto ideale, le varie soluzioni elaborate mediante l’impiego del modello WGP (punti A, B, C e D) nonché quelle ottenute tramite la PL (punti D, per il reddito, e C, per il paesaggio). La curva di trasformazione dell’azienda rileva una situazione simile a quella riscontrata nell’azienda precedente. Anche in questo caso, infatti, è possibile verificare la conflittualità esistente fra l’obiettivo economico e quello paesaggistico. Ciò significa che l’azienda deve, necessariamente, accettare la riduzione del reddito qualora decidesse di imporre alla propria attività una finalità di tutela e valorizzazione delle caratteristiche paesaggistiche. La situazione attuale dell’AZIENDA 3 si colloca in un punto che consente sia il raggiungimento di un buon livello di reddito, sia un livello positivo di qualità ambientale. Il grafico mostra, però, come tale situazione di compromesso adottata non corrisponda a nessuna delle soluzioni efficienti prospettate dal modello WGP. L’azienda, infatti, potrebbe realizzare un reddito maggiore nell’ipotesi identificata dal punto D, oppure potrebbe conseguire il massimo punteggio paesaggistico spostandosi nel punto C. La scelta non può rivelarsi semplice, dato che, optare per l’una o l’altra soluzione comporta la drastica riduzione del valore corrispondente all’obiettivo che non viene massimizzato.

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Figura 3: Curva di trasformazione RL e VP, AZIENDA 3.

IDAEL POINT

C A

AZIENDA

D

B

-0,50

0,00

0,50

1,00

1,50

2,00

2,50

100.000 120.000 140.000 160.000 180.000 200.000 220.000

RL

VP

Anche in questo caso, pertanto sarà opportuno considerare i valori dei trade-off tra i due obiettivi, indicati nella Tabella 39. Tabella 39: I trade-off fra RL e VP dell’AZIENDA 3. AZIENDA 2 SOLUZIONI EFFICIENTI OBIETTIVI U.M. D B A C Reddito Lordo RL € 193.074,80 192.123,30 177.845,30 117.097,40 Valore Paesaggio VP punti -0,01 0,45 1,54 1,90 TRADE-OFF € per

punto - -2.041,86 - 9.788,45 - 39.654,86

Var. RL da sol. 1 € per ettaro

- - 41,92 - 670,90 - 3.347,02

Var. VP da sol. 1 % - 4.600,00 % 15.500,00 % 19.100,00 %

La soluzione prospettata dal punto B, che attribuisce un’importanza maggiore alla finalità ambientale, comporta una riduzione del reddito conseguibile di oltre 2.000 € per ottener un incremento unitario del punteggio paesaggistico. Il sacrificio reddituale aumenta se si decidesse di optare per la soluzione identificata dal punto A, privilegiando ulteriormente l’obiettivo paesaggistico; l’agricoltore, in questo caso, sarebbe costretto ad accettare una riduzione del

93

reddito pari a quasi 10.000 € per punto; il sacrificio economico ammonterebbe addirittura a poco meno di 40.000 € se ci si spostasse verso la soluzione C, che consente la massimizzazione del valore del paesaggio.

95

CONCLUSIONI L’obiettivo del lavoro svolto è stato quello di porre l’accento sull’importanza del settore primario nella tutela e valorizzazione del paesaggio rurale di un luogo. L’agricoltura, infatti, in base al ruolo multifunzionale che le deve essere riconosciuto, è in grado di fornire servizi di utilità sociale su vari fronti, ognuno dotato di una propria importanza, che non va di certo sottovalutata. La criticità del settore in campo ambientale e paesaggistico va segnata anche perché esso rappresenta l’unico capace di generare, oltre ad esternalità negative, anche esternalità positive, che non vengono in alcun modo remunerate dai prezzi di mercato. Alla luce di queste considerazioni diventa fondamentale, per la Politica Agricola Comunitaria, studiare soluzioni sempre più orientate in tal senso. In particolare, si manifesta la necessità di riconoscere, una volta per tutte, come il sostegno dei prezzi dei prodotti agricoli, che rimane pur sempre il fondamento delle attuali decisioni comunitarie, non garantisca una piena produzione di quei servizi di natura ambientale e ricreativa che soddisfano le esigenze e i bisogni manifestati dalla collettività. Inoltre, l’elevato sostegno dei prezzi, praticato in passato, ha prodotto fenomeni molto negativi sull’ambiente, soprattutto per quanto riguarda il mantenimento dell’agricoltura in aree rilevanti da un punto di vista paesaggistico, ma svantaggiate da un punto di vista produttivo. Si verificava, pertanto, che l’agricoltore, pur di incrementare la redditività del proprio lavoro, tendesse a ridurre progressivamente il proprio impegno nelle attività che davano scarsi risultati in termini economici, ma che potevano avere un impatto rilevante sull’assetto paesaggistico e ambientale del territorio. Il nuovo fondamento della Pac, che dovrebbe costituire la reale giustificazione all’erogazione dei contributi al settore agricolo, va ricercato, allora, nella volontà di procedere a una remunerazione delle esternalità positive prodotte. Con l’introduzione di un sistema di contributi diretti alla remunerazione di tali esternalità, la collettività sarebbe, inoltre, maggiormente disposta ad accettare il pagamento di tali contributi, perché destinati a favorire la produzione di servizi utili per se stessa. L’obiettivo è di arrivare alla predisposizione di una versione della Pac in cui ogni contributo da erogare sia strettamente commisurato all’entità dei benefici sociali che l’agricoltura è in grado di produrre. In questo modo, il contributo viene a configurarsi come il pagamento di un servizio svolto a favore della collettività e non come una generica forma di sostegno del reddito. a d Muoversi lungo questa linea di sviluppo significa, poi, coinvolgere, in misura sempre più massiccia, gli agricoltori. Infatti, diventa determinante valutare ogni singola realtà agricola in relazione alla propria attività e al contesto

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paesaggistico-ambientale in cui viene realizzata, così da predisporre piani d’intervento mirati, in cui i contributi siano l’esatta espressione dei costi connessi alla produzione di esternalità positive. Implementare all’interno dell’azienda agricola un sistema di programmazione “a molti obiettivi” come quello descritto nel presente lavoro, potrebbe rappresentare un’utile base d’appoggio per sostenere questa linea di pensiero. In particolare, la possibilità di inserire, tra le finalità dell’azienda, obiettivi di natura paesaggistica, può consentire la determinazione dei costi che la nuova Pac dovrebbe coprire. L’applicazione di tale metodologia presenta, comunque, degli inconvenienti, connessi, soprattutto, alla necessità di definire a priori e con precisione il grado d’importanza di ogni obiettivo, cosa non sempre immediata. Da queste riflessioni emerge, pertanto, la necessità di un ulteriore affinamento delle tecniche multicriteriali. Ciò non pregiudica, però, l’importanza e la validità dei principi su cui si basano tali metodi. In particolar modo, il fatto di attribuire all’attività agricola la possibilità di ottimizzare congiuntamente più obiettivi di natura diversa, consente di incrementare il realismo della pianificazione aziendale, abbandonando gli assunti teorici dei tradizionali modelli di programmazione legati prettamente alla volontà di massimizzarne il reddito, ormai decisamente troppo restrittivi. Infine, l’adozione di metodi di programmazione multicriteriali consente di riconoscere, una volta per tutte, il ruolo decisivo del settore agricolo nel perseguimento di obiettivi di qualità ambientale. Ecco perché i metodi in questione potrebbero rappresentare un’ottima base per lo sviluppo delle nuove politiche agricole, come ricordato precedentemente. Ovviamente, essi dovranno subire degli aggiustamenti e, soprattutto, dovranno essere strettamente valutati in relazione alle singole realtà aziendali e alle esigenze dell’agricoltore che intende abbracciare questa nuova linea di sviluppo. Infine, un aspetto che è emerso dall’analisi condotta e che potrebbe apportare indubbi vantaggi sia all’agricoltore, che non desidera veder ridotta la redditività della propria attività, sia alla collettività, a fronte della sempre maggior richiesta di spazi verdi con scopi ricreativi e di svago, sia agli ambienti politici, specie quelli comunitari, per i quali il problema della tutela paesaggistica è all’ordine del giorno e presenta una criticità via via maggiore, è il duplice ruolo che viene attribuito alla vite. Tale coltura, infatti, sembra essere in grado di consentire la contemporanea soddisfazione delle tre categorie di soggetti indicate, avanti obiettivi diversi spesso contrapposti. Infatti, la vite presenta una redditività piuttosto elevata accompagnata da un punteggio paesaggistico positivo. La Comunità Europea, allora, non dovrebbe lasciarsi sfuggire l’occasione di valorizzare una coltura che può essere definita, allo stesso tempo, economica e sociale. L’idea sarebbe di elaborare politiche agricole mirate alla specifiche realtà territoriali, i cui contributi sono

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giustificati dalla volontà di coprire i costi connessi all’impianto di nuovi vigneti o al miglioramento di quelli esistenti. La considerazione sopra riportata si basa sui risultati raggiunti dal lavoro effettuato e, quindi, non possono essere fatte delle generalizzazioni; ciò richiederebbe, infatti, un approfondimento, ampliando il campo d’indagine per capire se si tratta di un caso sporadico o di qualcosa che merita davvero un minimo di attenzione, date le potenzialità che vengono a prospettarsi.

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE

FACOLTA’ DI ECONOMIA

Corso di laurea in Economia e Commercio

Tesi di laurea

IL PROTO DISTRETTO DEL DISTRETTO DI

CONEGLIANO E VALDOBBIADENE Relatore: Laureanda: Chiar.mo Prof. Andrea Moretti Paola Bettiol

_____________________________

ANNO ACCADEMICO 2001-2002

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INDICE

1. INTRODUZIONE PAG. 107 2. IL CONCETTO DI DISTRETTO PAG. 109 2.1 Il distretto industriale neomarhalliano 2.2 Caratteristiche del distretto industriale 3. I DISTRETTI NEL SETTORE

AGROALIMENTARE PAG. 115

4. IL PROSECCO DI CONEGLIANO E VALDOBBIADENE

PAG. 119

4.1 La storia dell’enologia locale 4.2 La zona di produzione 4.3 Il prodotto 5. ATTORI NEL SISTEMA PRODUTTIVO DEL

PROSECCO DI CONEGLIANO E VALDOBBIADENE

PAG. 123

5.1 Aspetti generali 5.2 Il Consorzio di Tutela 5.3 La Confraternita dei Cavalieri del Prosecco 5.4 Altamarca 5.5 Camera di Commercio ed altri enti pubblici 5.6 Momenti di promozione 6. IL SISTEMA LOCALE COME PROTO-

DISTRETTO PAG. 127

6.1 Aspetti generali 6.2 Sfide e prospettive future del Prosecco e

comunicazione

7. CONCLUSIONI PAG. 137

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1. INTRODUZIONE L’imprenditorialità familiare diffusa è stata alla base dello sviluppo del Nord-Est negli ultimi quarant’anni. Ogni giorno nasce un’impresa che, durante la sua crescita, ne genera altre. Questo processo ha creato veri e propri distretti industriali che assumono ruoli di primo piano in alcuni settori dell’economia mondiale. Solo alla fine degli anni Ottanta, con un certo ritardo rispetto al settore industriale, il concetto di distretto viene applicato in ambito agricolo. Quest’ultimo costituisce un settore la cui struttura produttiva, in Italia, ha mantenuto immutata la dimensione media aziendale e, in alcune zone, è stato oggetto di una sostenuta specializzazione produttiva e concentrazione territoriale dando talvolta vita a configurazioni sistemiche ben definite (Menzo 1997). Il Veneto è una regione in cui sono presenti importanti distretti industriali ma che vanta anche una considerevole vocazione agroalimentare e vitivinicola. In un periodo in cui il mercato e le normative prestano particolare attenzione al legame tra prodotto e territorio di provenienza ed alla tipicità dei prodotti, oggetto di questo studio ha voluto essere il sistema produttivo del Prosecco doc di Conegliano e Valdobbiadene, un vino fortemente legato alle tradizioni e al territorio, che riscuote fama internazionale e rende celebre nel mondo una zona collinare della provincia di Treviso. In particolare si è voluta fotografare la situazione del sistema, valutarne le prospettive e la presenza dei requisiti identificativi di un distretto. Dopo uno studio della teoria dei distretti industriali, della loro evoluzione e dell’applicazione del concetto al settore agro-alimentare, il metodo di ricerca utilizzato a tal fine è stato quello di somministrare un questionario. Vista la numerosità dei soggetti viticoltori collegati al Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene che sono circa 3.500, è stato seguito il metodo di sottoporre a questionario solo le 123 aziende spumantizzatrici. Queste sono inoltre le aziende che spesso svolgono la maggior parte delle fasi produttive che vanno dalla coltivazione della vite alla commercializzazione ponendo sul mercato il prodotto con il proprio marchio e risultano quindi più interessanti per lo studio rispetto alla realtà esclusivamente viticola che vede la propria attività limitata alle prime fasi della filiera. Il questionario somministrato si compone di 68 domande ed è suddiviso in sette sezioni che riguardano i seguenti aspetti: le caratteristiche generali dell’impresa, le risorse umane, il livello tecnologico, il rapporto con i subfornitori, i prodotti ed i mercati, il posizionamento strategico e l’impresa ed il distretto. Il contatto diretto con gli intervistati ha contribuito a comprendere meglio gli aspetti produttivi e cogliere elementi quali relazioni e cooperazione tra

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aziende. Esso ha permesso, inoltre, di fornire e chiedere chiarimenti e di raccogliere opinioni e sensazioni. Lo studio mette, inoltre, in risalto la storia, la zona di produzione, gli attori e come il sistema si faccia promotore di una ricca attività di promozione del prodotto che accomuna numerose istituzioni e che crea sinergie con il settore turistico e con la promozione di altri prodotti tipici della zona e del territorio trevigiano nel suo complesso, influendo positivamente sulle prospettive future.

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2. IL CONCETTO DI DISTRETTO 2.1 Il distretto industriale neo-marshalliano Negli ultimi trent’anni in Italia si è aperto un ampio dibattito sulle cause dello sviluppo di sistemi territoriali di piccole e medie imprese capaci di coniugare tradizione e innovazione, competitività e occupazione8, apertura internazionale e radicamento locale (Bellandi 1987; Dei Ottati 1987; Fontana, Roverato 2001). A dare notevole impulso allo studio dei distretti nel nostro paese, è stato il contributo di Giacomo Becattini con la pubblicazione nel 19799 di un articolo nella rivista di Economia e Politica Industriale, dove il distretto assume la veste di “nuova unità di indagine nell’economia industriale”(Pilotti 1999; Marchi 1999; Bursi, Marchi, Nardin 1997). La proposta di Becattini, fondata sul recupero del pensiero di Alfred Marshall e dei concetti “marshalliani” di atmosfera industriale, economie esterne e distretto industriale, opera un collegamento metodologico tra ricerca economica e ricerca storica, introducendo tra i fattori interpretativi, l’aspetto sociologico della cultura comune dovuta all’appartenenza territoriale (Marchi 1999; Becattini 1994). Becattini definisce il distretto industriale come “un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territorialmente circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali” (Viesti 1992, p. 12; Ferrucci, Varaldo 1993, p. 76; Pozzana 1994, p. 76). La discriminante territoriale assume nel distretto industriale un ruolo fondamentale, non è più semplice fattore localizzativo, ma fattore di radicamento delle imprese che da una sua impronta all’attività produttiva che si svolge nel sistema locale, diversamente da quanto una mera vicinanza fisica possa fare (Marchi 1999). Il rapporto tra il distretto e le imprese distrettuali quindi non è di tipo inclusivo ma relazionale. La materiale localizzazione di più imprese in una stessa area non dà necessariamente vita ad un distretto o comunque ad un livello di organizzazione superiore a quello meramente microeconomico, identificato dagli scambi intersoggettivi tra unità distinte, che, in certe circostanze,

8 “Un’indagine del Dipartimento piani e programmi della Regione Veneto per l’individuazione dei distretti industriali ex l. 317/91 ha calcolato che il 70% degli addetti complessivi e l’85% dell’occupazione manifatturiera della regione siano coinvolti in ambienti di tipo distrettuale” (Fontana, Roverato 2001, p. 569). 9 Nell’articolo convergono per la prima volta due filoni di ricerca sui quali l’autore aveva riposto il suo interesse: il pensiero di Alfred Marshall e l’originalità del carattere dello sviluppo economico toscano (Brusco 1989).

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possono restare tali per sempre, senza dare luogo alla stratificazione di livelli che contraddistingue il distretto (Rullani 1997). Nell’impostazione di Rullani, le imprese che convivono nello stesso luogo ed in esso intrecciano esperienze di divisione del lavoro e di comunicazione, “generano un distretto solo quando sintonizzano i loro processi cognitivi e decisionali, mettendosi a sistema attraverso: la formazione di una identità collettiva; la costruzione di circuiti di autoreferenza che la riproducono nello spazio e nel tempo” (Rullani 1997, p. 64). E’ il senso d’appartenenza al sistema, condiviso fra gli attori, ad accomunarne le percezioni circa le realtà circostanti, a facilitarne le interazioni, la “spinta” divisione del lavoro, il coordinamento di attività distributive e di conseguenza la formazione di un tessuto fiduciario (Marchi 1999; Bellandi 1987). In più opere Marshall fa riferimento alla “industrial atmosphere”, quale risorsa fondamentale del distretto industriale. Essa è il frutto di un lento processo evolutivo spontaneo che vede, “in un territorio nel quale, per tradizione, si concentrano mestieri e i lavoratori sono specializzati in uno stesso genere di attività, una maggior facilità nell’educarsi a vicenda poiché l’abilità e il gusto necessari per il loro lavoro sono nell’aria e i ragazzi li respirano crescendo” (Maccabelli 1997, p. 8). Secondo Becattini, nel distretto comunità di persone e sistema delle imprese sono indivisibili; la comunità condivide un insieme di valori, accumulatisi nel corso dei secoli, che dà vita ad una particolare etica di aspetti quali: lavoro, famiglia, rischio e cambiamento (Becattini, Rullani 1993, p. 26-28; Guenzi 1997, p. 21, Russo 1997). E’ il “milieu locale” a fornire all’organizzazione produttiva alcuni input essenziali, quali il lavoro, l’imprenditorialità, le infrastrutture materiali e immateriali, la cultura sociale e l’organizzazione istituzionale, il risultato è un intreccio di aspetti tecnici ed economici con quelli sociali, culturali e istituzionali (Becattini, Rullani 1993). L’analisi di un sistema locale non deve però valutare staticamente i diversi aspetti (morfologia territoriale, valori e conoscenze, istituzioni, ecc.) prodotti dalla storia e i loro effetti immediati sui processi produttivi come se il sistema locale fosse un mero “contenitore di varietà storiche”. “Molti contesti locali costituiscono veri e propri laboratori cognitivi, in cui nuove varietà vengono continuamente sperimentate, selezionate, conservate” (Becattini, Rullani 1993, p. 29). Il sistema locale accumula esperienze produttive e di vita e al tempo stesso produce nuova conoscenza. Una delle chiavi del successo di questi sistemi locali ad industrializzazione diffusa, sta nell’accumularsi storico di un know-how tecnico, di conoscenze trasmesse attraverso meccanismi informali o direttamente “on the job”, ossia sul posto di lavoro (Viesti 1992, p. 13).

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Il distretto industriale non è concepibile come forma tendenzialmente chiusa in sé stessa, esso riceve dall’esterno molti impulsi che inducono il sistema locale ad un continuo cambiamento della propria struttura interna che può portarlo a perdere la propria identità o mantenerla, a seconda che venga intaccato o rimanga invariato “un nucleo di entità appartenenti all’area dei valori, delle conoscenze e delle istituzioni e/o al sistema dei loro rapporti” (Becattini, Rullani 1993, p. 32). I sistemi locali che hanno dimostrato una maggiore vitalità e capacità di conservare la propria identità tradizionale, sono stati proprio quelli che hanno accettato la sfida dell’apertura all’esterno e della valorizzazione del loro sapere contestuale in reti globali, anziché chiudersi in loro stessi. Tradizioni ed esperienze produttive di questi sistemi sono così entrate in circolo all’interno di queste reti, sotto forma sia di prodotti che di idee organizzative del processo produttivo. Paradossalmente perciò la capacità di mantenere la propria identità distrettuale implica un continuo cambiamento, adattamento che allontana il distretto dalla sua forma originaria (Becattini, Rullani 1993). 2.2 Caratteristiche del distretto industriale Uno dei tratti emergenti del distretto è dato dall’influenza protettiva che esso esercita nei confronti delle imprese, esso rappresenta “un habitat ottimale per la formazione di nuova imprenditorialità” (Ferrucci 1996, p. 64). Questo incubator, supportato dalle basse barriere all’entrata, stimola la proliferazione e lo sviluppo del sistema tramite gemmazione di nuove imprese, le quali andranno ad invigorire il distretto e andranno poi a sostituirsi a quelle meno vitali ed efficienti (Ferrucci, Varaldo 1993; Ferrucci 1996). L’impresa che nasce nel distretto, presenterà dei caratteri e assumerà dei comportamenti diversi rispetto alle imprese non distrettuali. Il distretto infatti agisce in profondità all’interno dell’impresa, plasmandola e condizionandola nei suoi caratteri fondamentali (Ferrucci, Varaldo 1993). Un aspetto peculiare del distretto è dato dall’intreccio di relazioni fra soggetti, più o meno formali, che s’instaurano al suo interno e che spesso sono alla base di processi di miglioramento. In un distretto infatti “l’interazione è favorita dalla facilità di contatti faccia a faccia, ed è regolata dalla rete di rapporti di concorrenza e cooperazione” (Bellandi 1994, p. 34; Pozzana 1994). Le relazioni economiche e sociali tra le imprese di un distretto sono piuttosto complesse e includono la subfornitura, gli intrecci nelle relazioni proprietarie, la formazione di consorzi di servizi che offrono informazioni tecniche ed economiche, lo scambio di informazioni, nonché le relazioni individuali quali amicizia e parentela (Russo 1997). Mentre tra le imprese che fanno lavori diversi vi è in genere una forte disponibilità alla collaborazione, per quanto riguarda le imprese che svolgono

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la stessa fase, vige un certo clima di concorrenza che costituisce un incentivo al miglioramento (Brusco 1989). Il distretto industriale, per le sue peculiarità, “presenta una sorta di moltiplicatore diffusivo delle innovazioni, sia nel senso della loro implementabilità rapida tra i diversi attori locali che della proliferazione a ‘grappolo’ di ulteriori micro-innovazioni a partire dal medesimo ceppo innovativo” (Ferrucci 1996, p. 42). Per quanto riguarda i soggetti che nel distretto operano e danno vita all’intreccio di relazioni, non bisogna considerare solo quelli che riguardano strettamente l’industria principale, ma anche quelli dei settori ad essa collegati ed altri attori (istituzionali, consorzi di servizio, sistema scolastico, ecc.) (Brusco 1989). Spesso, infatti, nelle aree ove la piccola impresa è diffusa, hanno operato, sin dal principio di questo secolo, scuole tecniche che hanno fornito gli elementi teorici fondamentali del mestiere agli operai, che hanno contribuito all’accumulazione e alla diffusione di competenze e capacità imprenditoriali (Brusco 1989; Russo 1997). Per quanto riguarda la nascita e lo sviluppo dei distretti, uno degli aspetti salienti che li ha contraddistinti è stata la spontaneità. Essi sono nati senza programmi di aiuto e piani di sviluppo che ne guidassero i percorsi, si sono sviluppati in tempi diversi e diversi sono stati i sentieri di crescita ed i settori di specializzazione (Della Frattina 2002; Balestri 2001b; sito del Club dei distretti newsletter 17). La capacità degli attori dei distretti di “arrangiarsi da soli”, di muoversi con i pochi strumenti a disposizione per assecondarne lo sviluppo sopperendo alla mancanza di una politica organica per i distretti, ha permesso il raggiungimento di ottime performance (sito del Club dei distretti newsletter 17). I limiti che si riscontrano in alcuni distretti sono quelli legati alle debolezze della piccola impresa ossia concernenti le funzioni di marketing, di pianificazione strategica, la gestione della qualità (intesa come qualità totale e non semplicemente di prodotto-servizio). Per quanto riguarda la gestione delle risorse umane spesso manca un approccio al personale come fattore strategico dell’impresa (Grandinetti 2000a; Mestroni 2002b; Caloffi 2000). In conclusione il distretto è un medium di conoscenza e di relazione che permette la comunicazione e il coordinamento operativo di soggetti situati nel medesimo contesto di esperienza (locale). Esso genera valore e vantaggi competitivi perché permette l’accumulazione locale di informazioni, che sono conservate e trasferite nel tempo, la formazione di economie esterne e di codici comportamentali (Rullani 1997). Da questo punto di vista, il distretto si presenta come una costruzione estremamente complessa che organizza il sapere e il comportamento di molti

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soggetti, mediando tra interessi individuali e distrettuali che possono divergere notevolmente. La costruzione regge e sembra collaudata nei momenti di stabilità, mentre nelle fasi di turbolenza, le pressioni evolutive tendono a de-stabilizzare l’equilibrio del distretto e l’identità distrettuale subisce un processo di scompaginamento e di de-costruzione. In queste fasi, infatti, l’identità collettiva può indebolirsi e condurre ad abbandonare comportamenti di cooperazione a favore di quelli individualistici (Rullani 1997).

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3. I DISTRETTI NEL SETTORE AGROALIMENTARE Il concetto di distretto è stato applicato al settore agricolo solo verso la fine degli anni Ottanta, con un certo ritardo rispetto alle analisi degli aziendalisti nel settore industriale. Tra i motivi di questo ritardo vi è la diffusione dell’analisi per filiera, valida nello studio delle relazioni a monte e a valle dell’azienda agricola che però non contempla lo studio di tutti i settori collegati tra i quali servizi, produzione di attrezzature e macchinari e ancora la difficoltà che sta’ nell’individuazione degli elementi costitutivi del distretto, così come vengono definiti dagli economisti industriali, in ambito agricolo o agro-industriale (Menzo 1997; Iacoponi 2002). I concetti di distretto agroindustriale e di distretto rurale, si collocano in un percorso di ricerca che è iniziato negli anni ‘20 ed ha manifestato “un’evoluzione singolarmente circolare” (Iacoponi 2002, p. 65). Tale percorso vede il passaggio da un’analisi della realtà produttiva in agricoltura come realtà inseparabile dal territorio ad uno studio sempre meno collegato ad esso fino a rimuovere completamente il legame tra azienda agraria e territorio rurale. Solo a metà anni Ottanta si intravede la possibilità di ricucire tale legame, quando si fa largo l’ipotesi che gli approcci, utilizzati per studiare il fenomeno dei sistemi locali ad industrializzazione diffusa della “Terza Italia”, possano spiegare la ristrutturazione delle aziende agrarie italiane. Il concetto di distretto agroindustriale supera così il concetto di filiera. Esso comprende infatti non solo le attività industriali e terziarie a valle, ma anche quelle a monte che forniscono mezzi tecnici e servizi alle imprese agricole e include inoltre “l’esistenza di un’’atmosfera tecnologica’ e un ‘mercato comunitario’, a loro volta legati all’’ispessimento’ delle relazioni sociali tra tutti gli attori del distretto” e che generano economie esterne alle imprese ma interne al distretto (Iacoponi 2002, p. 67). Sono inoltre elementi distintivi di un distretto agroalimentare: un ambito territoriale abbastanza ristretto, un insieme di famiglie che in esso vivono e lavorano, una popolazione di piccole o medio piccole imprese indipendenti, una rete di relazioni commerciali con l’esterno, un’immagine unitaria e dei caratteri tipici riconosciuti dai membri del distretto e dai loro interlocutori esterni, un forte senso di appartenenza e di identificazione da parte dei componenti. Esempio tipico di distretto agroalimentare italiano è la zona emiliana e romagnola, che è stata definita la “Food Valley italiana” (sito Cliomedia Officina). Il percorso di ricerca prosegue passando dal concetto di distretto agricolo o agroindustriale a quello di distretto rurale “che è un concetto più comprensivo sotto il profilo economico, sociale ed ambientale: dal punto di vista economico il distretto rurale comprende le attività economiche di piccola-

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media industria, artigianali, turistiche e commerciali; da quello sociale, il distretto rurale possiede forme di vita e di cultura che si sono storicamente sedimentate; da quello ambientale, il territorio rurale presenta un insieme di ecosistemi e di paesaggi che lo differenziano nettamente da quelli delle aree urbane” (Iacoponi 2002, p. 67). Con il distretto rurale si ripristina così quel legame indissolubile con il territorio. Il territorio per definirsi rurale deve essere caratterizzato da una bassa densità demografica, dalla presenza di un’economia mista, caratterizzata innanzitutto dall’agricoltura, ma anche da altre attività ad esempio artigianato, piccola-media industria e turismo, che tendono ad integrarsi con l’agricoltura e tra di loro, mantenendosi in equilibrio con l’ambiente. Tratto fondamentale del territorio rurale consiste proprio nell’equilibrio tra le sue componenti (Iacoponi 2002). Un distretto agroindustriale, con le sue relazioni tra i settori dell’agribusiness, è sempre anche distretto rurale ma quest’ultimo può essere però qualcosa di più del distretto agroindustriale. Nel distretto rurale le relazioni tra settori si estendono ai settori non agricoli o agroindustriali, attraverso forme di integrazione diagonali attuate da servizi comuni all’agribusiness, all’industria e al terziario (ad esempio, imprese di trasporto, software-houses, agenzie di pubblicità, che offrono servizi sia all’agribusiness che all’industria manifatturiera). Si possono così formare “mercati comunitari” e “atmosfere tecnologiche” di secondo grado, fra più distretti coesistenti nella stessa area (come ad esempio tra distretti agroalimentari del parmigiano-reggiano, del prosciutto di Parma e il distretto meccanico della stessa Parma). Il tratto fondamentale del distretto rurale non è tuttavia l’essere un distretto agroalimentare o unire distretti diversi, ma è la capacità di offrire sinergie distrettuali anche alle attività economiche di piccola-media impresa, che non hanno raggiunto autonomamente i requisiti identificativi di un distretto a causa della loro sporadica presenza nel territorio: il mercato comunitario e l’atmosfera del distretto rurale possono così permettere l’integrazione di questi “rami dispersi dell’economia locale”. Il distretto rurale come “network” combina le tecnologie locali e globali, fa fondere conoscenza tacita locale e conoscenza esplicita esterna, ma è grazie alla natura endogena dello sviluppo se esso riesce a combinare le regole della tradizione e i valori locali con le regole del mercato senza sopraffare o disperdere i primi (Iacoponi 2002). Il decreto legislativo 18 maggio 2001 n. 228 per l’orientamento e la modernizzazione del settore agricolo oltre a definire i distretti rurali da anche una definizione di distretto agroalimentare di qualità. L’articolo 13 stabilisce che sono distretti rurali “i sistemi produttivi locali di cui all’art. 36, comma 1 della legge 317/1991 e successive modificazioni, caratterizzati da un’identità storica e territoriale omogenea derivante dall’integrazione fra attività

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agricole e altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali”. Lo stesso articolo definisce, inoltre, i distretti agroalimentari di qualità come “sistemi produttivi locali anche a carattere interregionale, caratterizzati da significativa presenza economica e da interrelazione e interdipendenza produttiva delle imprese agricole e agroalimentari, nonché da una o più produzioni certificate e tutelate ai sensi della vigente normativa comunitaria o nazionale, oppure da produzioni tradizionali o tipiche” (sito della Camera dei Deputati). L’istituzione dei distretti agroalimentari di qualità (DAQ) nasce dall’esigenza di individuare, riconoscere e valorizzare quei territori, presenti in ogni regione italiana, caratterizzati da una molteplicità di prodotti agroalimentari tipici e di qualità che hanno ottenuto o hanno i titoli per ottenere, il riconoscimento comunitario o che, comunque, possono essere garantiti da appositi consorzi di tutela. La proposta di legge dei DAQ nasce dalla volontà dei proponenti di andare oltre il riconoscimento del singolo prodotto per creare un nuovo livello di qualità che valorizzi i diversi prodotti agroalimentari e l’ambiente naturale ed umano da cui traggono origine (sito Pubblicità Italia; Barbini 2002; Bonifazi 1999). E ancora ai distretti del settore agroalimentare e più specificatamente a quello vitivinicolo fa riferimento la Regione Piemonte che nell’agosto 1999 disciplina i distretti e le strade del vino istituendo due distretti: il primo delle Langhe, Roero e Monferrato ed il secondo del Canavese, Coste del Sesia, Colline novaresi. La legge stabilisce che i distretti dei vini sono costituiti dall’insieme dei territori collinari e montani omogenei caratterizzati dalla coltivazione della vite e da una consistente presenza di attività indotte connesse alla viticoltura, al turismo e all’enogastronomia, nonché da un sistema di relazioni tra le attività e i fenomeni culturali, le tradizioni, il paesaggio e le risorse umane (sito Gestcooper; sito Enoteca regionale del Piemonte). Le finalità che la Regione Piemonte si propone attraverso la legge sono in primo luogo di favorire la conoscenza e la valorizzazione della cultura e delle tradizioni enologiche, dell’enogastronomia, del paesaggio al fine di aumentare l’attrattività. Si mira a sviluppare così il turismo culturale ed enogastronomico e tutte le attività ad essi collegate ed a promuovere iniziative volte al recupero e alla valorizzazione delle tradizioni ed alla ricostruzione dell’identità economico-culturale dei territori del vino.

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4. IL PROSECCO DI CONEGLIANO E VALDOBBIADENE

4.1 La storia dell’enologia locale La Marca Trevigiana vanta un importante primato enologico, è infatti nell’area collinare tra Conegliano e Valdobbiadene che si produce il vino bianco che negli ultimi anni risulta essere il più richiesto in Italia e il vino bianco italiano più richiesto nel mondo (Vettorello 1998). Gli estimatori locali amano assegnare la paternità del Prosecco al “Pucinum”, vino probabilmente proveniente dalle colline friulane-triestine, lodato nelle cronache dell’Impero Romano e in particolare il prediletto dell’imperatrice Livia, il cui vitigno sarebbe giunto fino nel Trevigiano proprio dal paese di Prosecco in provincia di Trieste. Gli storiografi, tuttavia, non accettano questa tesi e indicano il “Pucinum” come antenato del Refosco (sito Milioni; Vettorello 1998). La zona pedemontana trevigiana vanta comunque una lunga tradizione legata alla coltura della vite, dove il passaggio dalle viti selvatiche a quelle coltivate risale ai primi decenni della presenza romana, oltre duemila anni fa. La zona di Valdobbiadene viene descritta, sul finire del 500 dal poeta Venanzio Fortunato, come terra in cui “eternamente fiorisce la vite sotto la montagna dalla nuda sommità ove il verde ombroso protegge e ristora” (Sanson 2000, p.28). Anche al periodo che precede il 1400 risalgono note degne di merito di storici che mettono in luce il prestigio dei vini di queste terre, ma è solo da tale data che la provincia di Treviso vanta sicure tradizioni enologiche e proprio dal 1400 a metà del 1600 viene vissuto il periodo di massimo splendore. Sono numerose inoltre le citazioni a testimonianza di come la produzione enologica del comprensorio di Conegliano-Valdobbiadene, rivestisse un ruolo importante nell’economia locale e alimentasse un redditizio flusso di esportazioni, soprattutto verso Germania e Polonia (Sanson 2002; sito Conegliano2000; sito Bisol; sito Molicof). Il Governo Veneto per superare un periodo di decadenza enologica cominciato agli inizi del XVIII secolo, prese dei provvedimenti fondando le Accademie d’Agricoltura, nacque così nel 1769 l’Accademia coneglianese che vantava la presenza, come membro illustre, dell’accademico Francesco Maria Malvolti e che fissò le prime regole per rinnovare l’agricoltura e la vitienologia. Il nome di Prosecco fece la prima comparsa proprio in una relazione del 1772 di Francesco Maria Malvolti il quale testimoniò che esso era uno dei vini prodotti nei colli di Conegliano nella seconda metà del Settecento. Alla fine del 1700, grazie all’operato delle Accademie, ha inizio così una fase di ripresa tesa a riportare all’antico splendore l’enologia di Conegliano, tale

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fase è, tuttavia, destinata a terminare con la caduta della Serenissima Repubblica di Venezia e la fine delle stesse Accademie. Nel 1868 sorse a Conegliano, per opera del Dott. Antonio Carpenè e dell’abate Felice Benedetti la Società Enologica Trevigiana i cui obiettivi andavano dal confezionamento di buoni vini da tavola come il Verdiso e il Raboso e vini fini come il Prosecco bianco, all’istruzione dei soci (sito Conegliano2000). Il Prosecco che prima veniva coltivato frammisto ad altre varietà, si trova presente, poi, sempre più in purezza. Probabilmente il merito di aver dato il via alla moderna storia del Prosecco spetta al Conte Marco Giulio Balbi Valier che dopo il 1850 aveva isolato e selezionato il tipo detto più tardi Prosecco Balbi e che nel 1868 dà alle stampe un aureo libretto in cui descrive, tra l’altro, le proprie coltivazioni che si trovano nella zona di Pieve di Soligo (sito Conegliano2000; sito Bisol; Vettorello 1998). A contribuire a riacquisire il prestigio enologico nella zona, sorse nel 1876 la Scuola di Viticoltura ed Enologia, quale erede delle Società enologica Trevigiana, la prima in tutta Italia. La scuola, voluta da Antonio Carpenè e Giovanni Battista Cerletti dal quale prese il nome, aveva un’impostazione universitaria con un settore tutto rivolto alla ricerca. Dopo la prima guerra mondiale, la sentita esigenza di dar vita ad una istituzione che si occupasse in maniera specifica della ricerca scientifica, idonea a risolvere i problemi quotidiani dei viticoltori, condusse alla nascita nel 1927, sempre a Conegliano, della Stazione Sperimentale di viticoltura ed enologia10. Venne costituita, inoltre, nel 1945, dai più attenti produttori della zona la Confraternita dei Cavalieri del Prosecco, e nel 1962 nacque il Consorzio per la tutela del Vino Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene con funzioni di difendere e promuovere l’immagine del Prosecco. L’anno successivo Valdobbiadene divenne ufficialmente capitale non solo del Prosecco ma dell’intero mondo dello spumante italiano con la Mostra Nazionale dello Spumante, pensata e voluta dalla Confraternita del Prosecco. Viene inaugurata nel 1966, la “Strada del vino bianco” ispirata dalla Deutsche Weinstrasse nella valle del Reno, che conduce da Conegliano a Valdobbiadene seguendo un itinerario suggestivo e culturale oltre che enologico, permettendo di degustare ottimi vini e piatti tipici nelle “Botteghe del vino” e presso le numerose trattorie. Tre anni più tardi il Prosecco ottenne la denominazione di origine controllata. Nel periodo tra le due guerre e successivamente nel secondo dopoguerra, la viticoltura locale, grazie agli studi, alla ricerca e alla sperimentazione, è ritornata all’antico splendore, tanto che oggi Conegliano, sede istituzionale del

10 La Stazione Sperimentale di Viticoltura ed Enologia iniziò la sua attività sotto la direzione di Giovanni Dalmasso e con la collaborazione scientifica di due grandi scienziati: Italo Cosmo e Giuseppe Dall’Olio.

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Prosecco, è uno dei più importanti centri enologici nazionali (Sanson 2002; Vettorello 1998; sito Conegliano2000; sito Bisol). 4.2 La zona di produzione La zona di produzione si estende nella fascia collinare compresa tra le due cittadine di Conegliano e Valdobbiadene (figura 1). Queste catene collinari che dalla pianura si susseguono fino alle Prealpi sono protette a nord dalle Dolomiti e il clima riceve un benefico influsso dall’Adriatico. Il clima, infatti, mite e temperato, con inverni non eccessivamente freddi ed estati non afose, assieme alla composizione dei terreni, rende questa zona particolarmente vocata alla viticoltura. Figura 1 La zona del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene

Come da disciplinare, la zona di produzione comprende 15 comuni11 del territorio collinare della provincia di Treviso e si estende su una superficie agricola di circa 18.000 ettari. Sono da considerarsi però adatti esclusivamente i vigneti ben esposti, ubicati su terreni collinari con esclusione dei vigneti di fondovalle, di quelli esposti a tramontana e di quelli di bassa pianura (sito Milioni).

11 I 15 comuni comprendono: Conegliano, San Vendemmiano, Colle Umberto, Vittorio Veneto, Tarzo, Cison di Valmarino, Follina, Miane, Valdobbiadene, Vidor, Farra di Soligo, Pieve di Soligo, San Pietro di Feletto, Refrontolo e Susegana.

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All’albo Doc sono iscritti, nell’anno 2001, 4.133 ettari di vigneto, di cui 106 appartengono al Superiore di Cartizze e i produttori di uva sono 3.490. La situazione in poco più di un decennio è notevolmente cambiata, nel 1990 gli ettari iscritti erano infatti 2.980 e le aziende 2.724 (Scomparin 2002). Il terreno presenta pendenza variabile nelle varie zone e talvolta molto elevata, ostacolando la possibilità di meccanizzare il lavoro. L’altezza, la conformazione delle colline, la composizione del suolo, l’esposizione cambiando da zona a zona danno vita a dei vini dalle caratteristiche eterogenee (Vettorello 1998; Sanson 2002). 4.3 Il prodotto Il Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene è il frutto di una antica tradizione che si è evoluta nel tempo, attraverso i secoli insieme all’evoluzione delle conoscenze tecniche. La sua produzione oggi è regolata dal Disciplinare che ne fissa le regole affinché ci si possa avvalere della denominazione Conegliano-Valdobbiadene. Il disciplinare stabilisce inoltre che la vinificazione deve avvenire all’interno dei comuni della zona Doc e per quanto riguarda il Cartizze solo nel comune di Valdobbiadene. Imbottigliamento e spumantizzazione possono essere eseguiti solo nelle cantine della provincia di Treviso. Le suddette operazioni possono essere, tuttavia, consentite in stabilimenti della provincia di Venezia, a condizione che l’attività delle imprese interessate, riguardante il Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene risalga a dieci anni prima dell’entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 12 luglio 1963 n. 930, contenente le norme per la tutela delle denominazioni di origine dei vini (sito C.C.I.A.A. di Treviso). Suddividendo il processo produttivo in fasi, a partire dal momento in cui l’uva giunge a maturazione, si ha la vendemmia, la pressatura, la decantazione, la vinificazione, la presa di spuma e l’imbottigliamento ed etichettatura. Per quanto riguarda il prodotto il Prosecco Doc di Conegliano-Valdobbiadene può essere Tranquillo, Frizzante o Spumante. Queste tre versioni presentano diversità che vanno dalla scelta delle uve e dalla lavorazione, al tipo di consumatore. Nella zona di ridotte dimensioni (106 ettari di vigneto) di Cartizze che si trova tra le colline di San Pietro di Barbozza, Santo Stefano e Saccol, nel comune di Valdobbiadene, nasce il Prosecco di Valdobbiadene Superiore di Cartizze. (Vettorello 1998; sito C.C.I.A.A. di Treviso).

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5. ATTORI NEL SISTEMA PRODUTTIVO DEL PROSECCO DI CONEGLIANO E VALDOBBIADENE

5.1 Aspetti generali Il settore produttivo del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene si compone di un gran numero di attori ad esso collegati. Innanzitutto vi è la presenza delle oltre tremila aziende che operano nella viticoltura e nei settori di vinificazione, aziende che hanno segnato nel decennio 1990-2000 un notevole aumento passando da 2.724 a 3.269 (Scomparin 2002). Ma attorno ad esse ruota anche tutto l’indotto, con aziende produttrici, ad esempio, di recipienti e filtri, anche se come emergerà nel capitolo successivo dalla elaborazione dei questionari, nella zona non si è molto sviluppato un settore di produzione di attrezzature e macchinari legato alla fase di spumantizzazione e imbottigliamento, settore in cui invece emergono altre regioni a vocazione spumantistica come il Piemonte. Di notevole importanza sono, inoltre, le aziende che offrono servizi tra le quali quelle che si occupano di attività di trasporto, consulenza e programmazione informatica, servizi legati all’imballaggio, al packaging e aziende che si occupano di grafica per la preparazione di listini e depliant. Per quanto riguarda il sistema formativo, la zona di Conegliano vanta notevole prestigio e continua ad evolvere per meglio adattarsi alla realtà produttiva. Di recente infatti l’attività della Scuola di Enologia si è estesa al settore della distillazione con l’inaugurazione dell’Accademia della Grappa ed un corso per ristoratori e professionisti della ristorazione e nell’anno accademico 2001/2002 è stato attivato, a Conegliano, dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Padova, il corso di laurea in Scienze e Tecnologie Viticole e Enologiche (sito La padania; sito Cantine Tv). Il sistema vede inoltre una ricca attività di promozione del prodotto che accomuna numerose istituzioni e che crea sinergie con il settore turistico e con la promozione di altri prodotti tipici della zona e del territorio trevigiano nel suo complesso. Tra tali istituzioni troviamo il Consorzio di Tutela del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, la Confraternita dei Cavalieri del Prosecco, l’associazione Altamarca, la Camera di Commercio, Agricoltura e Artigianato di Treviso, la Provincia, la Regione, la Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane ed il Comitato Provinciale dell’Unione Nazionale delle Pro Loco d’Italia (Zanchetta 2002). 5.2 Il Consorzio di Tutela In Italia i Consorzi di Tutela sono le istituzioni preposte per legge all’organizzazione e gestioni delle Denominazioni di Origine Controllata. Tali strutture associano in modo volontario le diverse categorie di produttori quali

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viticoltori, vinificatori e case spumantistiche, ed operano nell’interesse comune al fine di sviluppare la Denominazione e di garantire il rispetto del Disciplinare di Produzione. La costituzione del Consorzio di Tutela del Prosecco avviene nel 1962 per opera di undici produttori supportati dalla Scuola Enologica e dall’Istituto di Viticoltura che, “intuendo con grande anticipo il rischio di omologazione, puntarono sulla qualità e su un’identità ben riconoscibile per proteggere e valorizzare la storia millenaria della viticoltura delle colline di Conegliano e Valdobbiadene” e dai quali viene proposto inoltre un disciplinare di produzione. Il loro operare viene premiato nel 1969 quando il Ministro dell’Agricoltura riconosce Conegliano e Valdobbiadene come unica zona DOC di produzione del Prosecco e del Superiore di Cartizze. Il Consorzio di Tutela è un ente privato istituito con legge dello Stato che ha, da statuto, una duplice finalità: da un lato deve mantenere, garantire e migliorare la qualità del Prosecco DOC e dall’altro deve provvedere alla diffusione della sua conoscenza e immagine in Italia e all’estero. Esso compie, in accordo con la Camera di Commercio e con le istituzioni locali, regionali e nazionali, una continua attività di promozione, partecipando a manifestazioni, fiere sia in Italia che all’estero e organizza occasioni di conoscenza della zona e del prodotto (Vettorello 1998; Zanchetta 2002). 5.3 La Confraternita dei Cavalieri del Prosecco Nacque nel 1945 con l’intento di difendere e valorizzare la vitienologia collinare e accolse al suo interno personalità di spicco nel mondo enologico italiano. Dalla Confraternita fu pensata la Mostra Nazionale dello Spumante (Vettorello 1998). L’albo dei Confratelli conta 120 persone le quali operano con quattro fini principali previsti dallo statuto ossia: di promuovere la conoscenza e valorizzazione del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene; di mantenerne e svilupparne le tradizioni; di favorire ogni iniziativa tesa all’elevazione culturale ed al perfezionamento tecnico degli aderenti, nonché di promuovere l’educazione enologica del consumatore; di creare tra i Confratelli rapporti di amicizia, lealtà, solidarietà e rispetto. Negli ultimi anni, la Confraternita ha investito nell’organizzazione di corsi di degustazione e aggiornamento per i Confratelli e nel 1999 è stata ideatrice di una particolare bottiglia contrassegnata da tre “V” in rilievo, che può essere utilizzata, previo pagamento dei relativi diritti, da tutti gli imbottigliatori di Prosecco Spumante di Conegliano e Valdobbiadene doc. La creazione di questa bottiglia rientra nell’intento di far si che, attraverso di essa, il consumatore possa meglio identificare il prodotto e che essa sia, al tempo stesso, sinonimo di qualità.

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I fondi che vengono utilizzati per le varie attività derivano dalle quote associative versate dai Confratelli e da eventuali donazioni da parte di altri soggetti (Zanchetta 2002). 5.4 Altamarca Questa associazione, con sede nella prestigiosa Villa dei Cedri di Valdobbiadene, è nata nel 1993 dall’incontro tra produttori di Spumante Doc ed istituzioni tra le quali il Comune di Valdobbiadene. Si tratta di un’associazione pubblico-privata che opera per la valorizzazione del territorio dell’alta collina trevigiana che va da Conegliano a Valdobbiadene ed intende promuoverne l’inconfondibile fisionomia facendo leva su storia, tradizioni, esperienze, arte, cultura di queste terre ricche di fascino (Zanchetta 2002). 5.5 Camera di Commercio ed altri enti pubblici La Camera di Commercio di Treviso svolge varie attività a favore dei settori produttivi dell’economia trevigiana, tra le quali vi sono quelle di consulenza, promozione e comunicazione. Per quanto riguarda quest’ultime in tema di Prosecco, la Camera di Commercio assume un ruolo di finanziatore di enti che si occupano poi della organizzazione degli eventi. Nel triennio 1999-2001 al Consorzio a Tutela del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, in particolare, la Camera di Commercio ha destinato per attività istituzionali e comunicazionali, il 27% dell’intero importo destinato a tutte le attività collegate al Prosecco. Altri enti che si occupano del Prosecco sono la Provincia di Treviso e la Regione Veneto che assumono anch’essi principalmente il ruolo di enti finanziatori e che danno il patrocinio per varie iniziative. Nel triennio 1999-2001 i fondi stanziati a favore di attività promozionali collegate al prosecco hanno raggiunto l’ammontare di 3.837.900 euro e l’ordine di importanza nel ruolo di finanziatori viene svolto principalmente dalla Regione che ne conferisce il 31,8%, l’associazione Altamarca con il 25,9%, la Camera di Commercio con il 15,1%, la Provincia di Treviso con l’11,8% ed a seguire il Consorzio di Tutela con una percentuale dell’8,9%. Dell’intero importo il 28,2% è stato destinato ad attività di tipo fieristico, il 63% a manifestazioni d’immagine e l’8,1 ad attività di tipo formativo ed istituzionale (Zanchetta 2002). 5.6 Momenti di promozione Le varie organizzazioni creano numerose opportunità promozionali e, particolarmente interessanti per le aziende, sono quelle legate alla partecipazione a fiere di settore, nazionali ed internazionali. Le principali fiere sono il Vinitaly di Verona, il Salone del Gusto ed il Salone del Vino di Torino,

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il Wine festival di Merano, il Prosit di Arezzo, il Prowein di Düsseldorf e l’A.n.u.g.a. di Colonia. Per quanto riguarda gli eventi locali, durante tutto l’arco dell’anno vi sono nei vari comuni della zona degli appuntamenti dove il protagonista è il Prosecco. Alla fine dell’inverno, ad esempio la rassegna “Primavera del Prosecco” mette in mostra, in vari comuni, i prodotti della cantina. Un mese ricco di eventi è pure settembre quando ha luogo la “Mostra Nazionale degli Spumanti” a Valdobbiadene, si celebra la fine della vendemmia con la “Festa dell’Uva” a Conegliano e “Festa e Carri dell’uva” a Farra di Soligo (pubblicazione Altamarca). Oltre ai numerosi momenti espressamente dedicati al Prosecco, vi sono poi varie occasioni per conoscere le “specialità enogastronomiche della zona” (Vettorello 1998).

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6. IL SISTEMA LOCALE COME PROTO-DISTRETTO

6.1 Aspetti generali Al fine di valutare la presenza nel sistema produttivo del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene dei requisiti identificativi di un distretto, sono stati valutati i seguenti aspetti: concentrazione territoriale, tratti caratteristici delle aziende, milieau locale come fornitore di input quali lavoro, imprenditorialità ed infrastrutture materiali ed immateriali, processo produttivo, relazioni commerciali, collaborazione ed immagine unitaria del sistema. La zona di produzione del Prosecco Doc di Conegliano e Valdobbiadene comprende 15 comuni e si estende su un’area di circa 18.000 ettari di superficie agricola, di cui 4.133 ettari di vigneti risultano, nel 2001, iscritti all’Albo Doc. Nel sistema produttivo del Prosecco Doc operano 3.490 viticoltori, 150 enologi e 1.300 addetti del settore enologico. Nel settore specialistico sono impiegate più di 5.000 persone per un giro d’affari di circa 200.000.000 di euro (dati Consorzio di Tutela). Questi dati spiegano l’importanza di questa produzione per la zona che costituisce la produzione vitivinicola prevalente nella provincia rispetto agli altri vini a denominazione di origine controllata. (Scomparin 2002). La struttura del territorio che con la pendenza delle colline, ha reso difficile la meccanizzazione del lavoro, ha fatto in modo che la conduzione dei vigneti sia rimasta quasi sempre affidata ai piccoli viticoltori. Solo verso la zona di Conegliano sono presenti poche aziende di dimensioni più rilevanti. Delle 123 aziende contattate per la somministrazione del questionario, 89 hanno partecipato alla ricerca, pari ad un 72,3%. Delle 123 case spumantistiche sono situate all’interno dei quindici comuni della zona doc centonove aziende mentre delle rimanenti quattordici, undici si trovano comunque in provincia di Treviso, due in provincia di Venezia ed una fuori regione. Per quanto riguarda invece le aziende che si sono sottoposte al questionario, ottantadue si trovano all’interno dei 15 comuni della zona doc mentre sette risiedono al di fuori, in provincia di Treviso o Venezia. Nonostante nelle cantine l’evoluzione sia stata continua con l’aggiunta di numerosi spumantisti alle quattro cooperative e alla quindicina di grandi case spumantistiche esistenti, continuano a prevalere le piccole aziende ed anche le aziende più grandi vedono per lo più una dimensione ridotta. Tra le aziende intervistate poco più di un quarto supera le 500.000 bottiglie prodotte e valutando le dimensioni aziendali in base a fasce di fatturato d’appartenenza nell’anno 2001 si è rilevato che un terzo delle aziende vede il proprio fatturato collocato nell’intervallo tra zero e 500 milioni di lire ed un quinto nella categoria che supera i 5 miliardi.

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La produzione di bottiglie si riferisce alla produzione vinicola totale delle aziende e non esclusivamente alla tipologia Prosecco doc di Conegliano e Valdobbiadene e dallo studio emerge che circa i tre quarti delle aziende ha una produzione di Prosecco doc superiore al 60%, rispetto alla produzione vinicola totale. Settantuno aziende hanno un unico stabilimento in cui si concentrano trasformazione e stoccaggio del prodotto, quindici dispongono di due stabilimenti e tre di tre. Del totale di 110 stabilimenti, la maggior parte si trova nella zona doc e precisamente 95, 10 in altri comuni della provincia di Treviso, 3 in altre province venete, 1 in altre regioni ed 1 all’estero. Per quanto riguarda la forma giuridica prevale la presenza di aziende con forma di società semplice o ditta individuale e in quasi tutte le aziende in cui sono presenti più figure imprenditoriali, esiste tra loro un legame di parentela o affinità. Il legame degli imprenditori con la terra è forte, essa rappresenta la fonte del loro lavoro, delle loro soddisfazioni, ma anche la loro storia e le loro tradizioni. Anche negli anni in cui molti sono emigrati da questi luoghi perché regnava la povertà, i terreni sono rimasti di proprietà delle famiglie locali che una volta rimpatriati ne hanno ripreso possesso impedendo così l’entrata di imprenditori esterni (colloquio con intervistati). Come anno di costituzione 64 delle 89 aziende, vale a dire oltre il 70%, vedono una data successiva al 1969. Tuttavia, nella quasi totalità dei casi tale costituzione recente costituisce solo un cambio di forma giuridica, un passaggio generazionale o una divisione tra fratelli che vanno a creare attività distinte, dai colloqui risulta infatti che la tradizione vitivinicola della famiglia è quasi sempre precedente a tale data risalendo talvolta a metà del secolo o inizio secolo e talvolta ai secoli precedenti fino a giungere al XVI secolo. Interessante è il fatto che molto spesso i cognomi dei titolari di aziende si ripetano, a testimonianza che da un unico ceppo familiare sono sorte più aziende. Delle 89 aziende intervistate dichiarano di far parte di un gruppo aziendale 5 aziende di cui due società per azioni, due società a responsabilità limitata ed una società di persone nella forma di società semplice. Comunità di persone e sistema delle imprese in questi luoghi sono indivisibili, nei colloqui parlando delle aziende si parla delle famiglie di imprenditori e ciò si percepisce soprattutto nei comuni in cui più alta è la concentrazione di piccole aziende ed i rapporti tra persone e tra aziende sono dettate da legami di vicinato, parentela o amicizia. Il sistema produttivo locale nel complesso vede prevalere il rapporto “faccia a faccia” e via telefono come forme di interazione (tra aziende, con clienti ed intermediari, ecc.). L’interpenetrarsi tra comunità di persone ed aziende, in questo settore in particolare, risulta evidente considerando il processo produttivo, il quale non è

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semplice trasformazione di input ma la riproduzione di presupposti materiali, umani ed immateriali quali la conformazione naturale, la storia, la cultura e l’organizzazione sociale. Il numero di addetti presenti nelle aziende è piuttosto ridotto, la media è di circa 3 addetti nel 2002 nella fascia di fatturato che va da zero a cinquecento milioni di lire e una media di 21 addetti per le aziende che superano i cinque miliardi di fatturato. Ripartendo i 694 addetti totali del 2002 tra le categorie titolari e soci, collaboratori familiari, lavoratori a tempo indeterminato, lavoratori a tempo determinato, apprendisti ed altro la situazione vede dominare, nel complesso, la terza categoria ma assume una fisionomia differente se si effettua un distinguo delle aziende per fasce di fatturato. Nelle aziende con un fatturato compreso tra zero e i due miliardi di lire si assiste ad una prevalenza di titolari e soci e collaboratori familiari rispetto alle altre categorie. In particolare tale prevalenza è netta nella fascia di fatturato al di sotto di mezzo miliardo di lire, che con un totale di 87 addetti vede 44 titolari, 37 collaboratori familiari, 3 dipendenti e 3 addetti rientranti nella categoria “altro”. Distribuendo i dipendenti, che complessivamente sono 450, tra le categorie dirigenti, impiegati ed intermedi, operai qualificati, operai generici, apprendisti e la categoria “altro” si nota che le categorie più numerose sono gli operai qualificati e gli impiegati ed intermedi che sono rispettivamente 158 e 147 mentre si distanziano notevolmente le altre classificazioni. Per quanto riguarda l’andamento della presenza di addetti degli ultimi tre anni, la situazione presenta una certa stabilità. Le aziende intervistate, nella maggior parte dei casi vedono inalterato il numero di addetti dal 2000 al 2002, si trovano infatti in questa situazione precisamente settanta aziende su ottantanove, mentre sedici hanno aumentato il numero di addetti e tre lo hanno ridotto. Per quanto riguarda le assunzioni di personale, per i prossimi tre anni sono previste, da parte di trenta aziende, assunzioni di operai qualificati; 13 aziende prevedono assunzioni di operai generici, 11 di impiegati ed intermedi, 2 di dirigenti e 1 di apprendisti. Delle 53 aziende che si avvalgono di personale dipendente, 36 ossia circa il 68%, non ha dipendenti che svolgano compiti manageriali. Il sistema locale costituisce un milieau locale che fornisce quindi lavoro, imprenditorialità diffusa ed infrastrutture materiali ed immateriali. In effetti ruotano intorno al sistema produttivo del Prosecco doc numerosi soggetti ed in particolare sono presenti il Consorzio di Tutela, le Associazioni di Categoria, le Associazioni finalizzate alla promozione, le strutture per la fornitura di servizi di analisi dei vini e ancora la presenza del settore di formazione che vede in primo luogo la Scuola di Enologia di Conegliano e l’Istituto sperimentale che mantengono saldo il legame con la realtà produttiva della

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zona favorendo la produzione di nuova conoscenza e l’intreccio tra conoscenza tacita e conoscenza esplicita. L’importanza della formazione data dalla Scuola di Enologia di Conegliano è avvertita dalla quasi totalità delle aziende e spesso qui si sono formati alcuni componenti delle famiglie degli imprenditori o gli imprenditori stessi. E’ anche grazie alla formazione tanto celebre in zona per la lunga tradizione se per lo più le aziende non riscontrano notevole difficoltà nel reclutamento di personale nelle categorie di dirigenti, intermedi ed apprendisti. La partecipazione degli addetti a corsi di formazione inoltre ha riguardato negli ultimi tre anni l’87% delle aziende piccole e grandi a conferma della volontà di migliorarsi soprattutto per quanto riguarda gli aspetti tecnico-produttivi e la certificazione aziendale. Per il futuro particolare interesse destano i corsi di vendite e marketing. Per quanto riguarda l’acquisto di macchinari ed attrezzature, il sistema vede la presenza di numerosi rivenditori e rappresentanti in zona, tuttavia, la nascita di aziende produttrici soprattutto per quanto riguarda il settore spumantistico risulta debole infatti le aziende ricorrono ad acquisti soprattutto fuori regione ed in particolare in Piemonte. Numerosi sono inoltre gli acquisti in provincia ma fuori dalla zona dei 15 comuni del Prosecco doc, dove sono presenti alcune grandi aziende importanti a livello nazionale ed internazionale per la produzione di filtri e centrifughe, per quanto riguarda gli acquisti di presse le aziende ricorrono, invece, soprattutto all’estero. Il passaggio generazionale, che rappresenta per alcuni distretti un problema, non è affatto vissuto come tale nel sistema produttivo in questione poiché circa la metà delle aziende hanno la sicurezza che avverrà in futuro ed in molti casi è gia avvenuto. Molte delle piccole aziende vedono una conduzione familiare e l’inserimento dei figli in azienda costituisce un passaggio graduale e naturale. Il fenomeno di spin-off in questo settore risulta molto debole mentre un fenomeno che interessa maggiormente il sistema è l’estensione dell’attività di viticoltura, con conferimento delle uve a terzi, all’attività di vinificazione e spumantizzazione. La lunga tradizione di molte aziende intervistate è una tradizione legata al settore vitivinicolo più che al settore spumantistico. Le barriere all’entrata per un viticoltore della zona che vuole intraprendere l’attività di produzione spumantistica, non sono in effetti molto alte poiché egli può aumentare poco per volta le fasi produttive svolte, avvalendosi almeno inizialmente della subfornitura per le fasi che vanno dalla vinificazione all’imbottigliamento ed etichettatura. Il sistema così svolge un ruolo di protezione diverso da quello che favorisce il processo di spin-off, ma che ha comunque come risultato quello di permettere anche ad aziende molto piccole di operare in modo efficiente nel sistema. Il processo produttivo del Prosecco doc gode quindi della divisibilità in fasi. Il 56% delle aziende svolge tutte le fasi che vanno dalla coltivazione della vite

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alla commercializzazione del prodotto mentre per il 21%, l’attività inizia con la fase di vinificazione o spumantizzazione. Il 37% delle aziende delega all’esterno alcune fasi produttive e si tratta per lo più di attività di spumantizzazione, imbottigliamento ed etichettatura. I tre quarti dei rapporti di subfornitura sono vissuti come collaborativi da parte del committente e la collaborazione riguarda soprattutto la risoluzione di problemi riguardanti la qualità del prodotto. Per quanto riguarda la subfornitura nei prossimi anni, circa il 60% delle aziende intende mantenere la situazione attuale ed il 30% portare le fasi delegate all’interno dell’azienda. Circa l’80% delle aziende effettua la coltivazione della vite e la metà vede una produzione propria di uve Prosecco doc pari al 100% di quella lavorata. Considerando anche i rapporti collaborativi nell’ambito della subfornitura, in totale il 35% delle aziende dichiara di avere, in ambito produttivo, dei rapporti formali di collaborazione con altre aziende produttive. Per quanto riguarda il livello tecnologico delle aziende la maggior parte di esse ha investito e sta investendo molto in tecnologia in ambito produttivo e, in particolare, in quelle di maggiori dimensioni si possono riscontrare software all’avanguardia per il monitoraggio di tutto il processo produttivo tramite computer. L’attenzione alla produzione ed alle attrezzature fa delle cantine dei veri “gioielli” da esibire, sono possibili visite alle cantine infatti nell’80% circa delle aziende. Non tutte le aziende vedono, tuttavia, un livello tecnologico significativo e valutando la presenza di computer in azienda risultano sprovviste di computer un 6% delle intervistate mentre circa il 40% ne ha uno. Le aziende che dispongono di almeno due computer sono 50 e solo 11 di esse non utilizzano una rete locale12. Oltre la metà delle aziende è collegata in rete con altre strutture e si tratta per la quasi totalità di forme di Corporate Banking13. Indirizzo di posta elettronica, sito internet proprio e la presenza in un sito collettivo figurano in almeno il 70% delle aziende. L’offerta del servizio di commercio elettronico, che da alcuni intervistati è visto con scetticismo, riguarda il 13% delle aziende e si tratta di aziende di varie dimensioni, la cui produzione spesso supera le cinquecentomila bottiglie ma in alcuni casi è anche inferiore alle centomila. I dati riguardanti le esportazioni dimostrano l’apertura di questo sistema produttivo e la sua crescente presenza sui mercati esteri. L’87% delle aziende ha dei mercati esteri e più della metà di esse ha almeno 5 mercati esteri in cui è

12Una rete locale o LAN (Local Area Network) è una rete che mette in connessione due o più computer per condividere risorse (Grandinetti 2000b). 13 Il servizio di “Corporate Banking” prevede lo scambio tra banca e l’azienda cliente

di flussi dispositivi ed informativi per operazioni di remote banking, quali ad esempio, disposizioni di incasso e pagamento, movimentazione di conti correnti.

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presente. I paesi più citati tra i primi quattro mercati esteri sono nell’ordine Germania, Austria, Svizzera e Stati Uniti. Oltre i tre quarti delle aziende intervistate inoltre prevede di entrare nei prossimi anni in nuovi mercati. I principali clienti delle aziende per l’Italia sono ristoranti, bar, enoteche ed i consumatori. Per l’estero al primo posto vi sono i commercianti all’ingrosso ed importatori. Le vendite sono effettuate per la quasi totalità delle aziende dal personale di vendita e particolare importanza riveste la figura dell’agente plurimandatario soprattutto per le vendite in Italia. Il 91% delle aziende partecipa a manifestazioni fieristiche soprattutto regionali in primo luogo il Vinitaly ed estere e molte delle partecipazioni all’estero di piccole aziende avviene tramite il Consorzio di Tutela. L’80% promuove le vendite tramite cataloghi, depliant ed altro materiale pubblicitario e per quanto riguarda l’acquisto di spazi pubblicitari a cui ricorrono il 61% delle aziende si tratta per lo più di spazi in riviste specializzate. Circa un quarto delle aziende ha accordi di collaborazione in campo commerciale con altre aziende produttrici che nella maggior parte dei casi risiedono fuori regione. Si evidenzia quindi un aspetto di questo sistema produttivo che se dal lato della produzione mette in relazione parte delle aziende, dal lato commerciale le relazioni sono praticamente inesistenti a livello sistemico. Il senso d’appartenenza al sistema è forte ed il 95% delle aziende ritiene che esservi collocati sia importante. Per il 90% degli intervistati vi sono dei tratti che accomunano le aziende della zona ma solo poco più della metà di esse ritiene che ciò favorisca una certa capacità d’intesa ed un clima di collaborazione. Alcuni ritengono che le relazioni siano favorite da altri fattori quali ad esempio l’esistenza di un’amicizia tra imprenditori e l’apertura e la disponibilità al dialogo delle nuove generazioni, mentre altri sostengono che tra le vecchie vi fosse un maggior dialogo ed una maggiore lealtà. L’atmosfera collaborativa è avvertita da circa la metà delle aziende, quella competitiva dal 61% e la non comunicazione dal 27%. Le precisazioni fatte a riguardo della collaborazione e della competizione sono state numerose, nella maggior parte dei casi la seconda costituisce stimolo al miglioramento. Per quanto riguarda la prima, a detta di alcuni intervistati, essa avviene per fasce dimensionali, per altri non è spontanea, avviene soprattutto attraverso l’opera del Consorzio di Tutela e l’associazione Altamarca e si instaura per singoli aspetti ad esempio per il commercio estero. Per alcuni, inoltre, le occasioni di collaborazione sono poche e vi è bisogno di un maggior numero di incontri formali, per altri il dialogo e l’apparente collaborazione verbale non trovano poi concretizzazione cedendo il passo all’individualismo. Dai dati emerge tuttavia che la collaborazione che si instaura tra le aziende riguarda quasi esclusivamente il settore produttivo e la risoluzioni di problemi inerenti ad esso come confermano i dati sulla subfornitura, la presenza

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dell’Eliconsorzio per i trattamenti nei vigneti ed il ricorso ai cannoni per impedire il fenomeno della grandine. Le aziende ritengono che la propria situazione sia globalmente migliorata negli ultimi tre anni e che la propria posizione strategica sia per lo più buona per quanto riguarda l’aspetto produttivo e della qualità, si avvertono invece delle debolezze nel settore marketing e comunicazione che per alcuni degli intervistati diventerà oggetto di attenzione nel prossimo futuro. In particolare dal punto di vista degli investimenti in comunicazione e marketing, il 23% delle aziende prevede investimenti rilevanti, il 60% prevede investimenti migliorativi ed il 17% di non investire. Alcune aziende precisano che il livello di marketing non è alto ma non richiede ulteriori investimenti poiché il prodotto per il momento “si vende da solo”. Le aziende sono per lo più ottimiste circa il futuro del sistema anche se talvolta si intravede una nota di incertezza e sono coscienti della necessità di una maggiore collaborazione. L’incertezza circa il futuro è dettata in alcuni casi dalla paura di cambio delle tendenze dei consumi, in altri da azioni che possano screditare l’immagine del prodotto e in altri ancora dal fatto che il nome del prodotto poiché equivale al nome del vitigno crea un maggior problema di distinzione nel mercato rispetto a quei vini che si sono identificati solo con il nome della zona come lo Champagne, il Barolo e tanti altri. L’esigenza di collaborare per molti si convertirà in comportamento attivo delle aziende solo quando il Prosecco vivrà una situazione di crisi poiché se il prodotto si vende senza alcuno sforzo, investimenti in comunicazione, marketing e collaborazioni risultano prospettive lontane. 6.2 Sfide e prospettive future del Prosecco e comunicazione I dati di mercato confermano le opportunità che esso riserva a questa produzione e i produttori sono concordi su quali siano le sfide che dovranno essere affrontate. Dal 1995 il numero di bottiglie di Prosecco Doc commercializzate è aumentato di circa il 40% passando da 26.800.000 dello stesso anno a circa 37.642.600 del 2001. Questo aumento di oltre dieci milioni di bottiglie è dato soprattutto dalla tipologia spumante che passa da 19.300.000 bottiglie del 1995 a 28.840.000 bottiglie nel 2001, con un aumento di circa il 50% in sei anni. All’estero sono state vendute 12.045.632 bottiglie di Prosecco Doc ossia il 32% del totale, di cui poco più di metà nella versione spumante. Rispetto agli stessi dati del 1995 le esportazioni sono all’incirca raddoppiate (Scomparin 2002). Il Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene sta vivendo in questi anni un trend di crescita che ha portato il giro d’affari di circa 270 miliardi di lire del 1998 a circa 200 milioni di euro del 2001 (dati Consorzio di Tutela).

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Due sono i principali punti di forza di questo prodotto ossia la versatilità di consumo che lo vede adatto per i brindisi, come aperitivo e a “tutto pasto” ed il buon rapporto qualità/prezzo che lo rende avvicinabile ad un ampio pubblico. Il risultato è un vino e, in particolare, uno spumante che a differenza di altri non risente dell’andamento stagionale dei consumi. Il Prosecco Doc di Conegliano e Valdobbiadene presenta rispetto a molti altri vini che si identificano con la zona di produzione, la caratteristica di essere conosciuto con il nome del vitigno. Questa scelta di denominazione avvenuta nel passato ha esposto il prodotto alla concorrenza del prosecco prodotto in altre zone e reso più difficile la sua distinzione nel mercato finale ed in particolare nei mercati esteri. Solo la tipologia “Superiore di Cartizze” vede la denominazione coincidere con il territorio. La barriera all’entrata nel sistema del Prosecco è bassa poiché chiunque può in altre zone iniziare un’attività che dia il vino che porta il nome del vitigno aumentando l’offerta del prodotto sul mercato. Considerando come zona centrale il Cartizze e passando alle zone più periferiche vengono infatti prodotti: il “Superiore di Cartizze”, “Prosecco Doc di Conegliano e/o Valdobbiadene”, “Prosecco Doc di altre zone” e Prosecco tout court. La capacità di distinguere e ben identificare il prodotto sfuma con l’allontanarsi dalla zona di produzione perciò si accentua il problema all’estero. Questa particolarità del sistema diventa un aspetto cruciale su cui devono lavorare i soggetti del settore per far si che ci sia una sempre maggiore identificazione del prodotto con il territorio. Nonostante questa esigenza di condotta sia avvertita da aziende ed istituzioni e si auspichi una maggiore unione e collaborazione al fine di conseguire l’obiettivo, nella realtà dei fatti i vari attori operano separatamente. Il Consorzio di Tutela si vede impegnato per migliorare la conoscenza e l’identificazione del prodotto mentre, dal canto loro, le aziende stanno sviluppando delle strategie di comunicazione e marketing distinte, non perseguendo un obiettivo comune, facendo si che nel mercato finale vi siano bottiglie che riportano in alcuni casi la dicitura “Prosecco di Conegliano”, in altri “Prosecco di Valdobbiadene”, in altri ancora “Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene” oppure le suddette diciture senza la parola “Prosecco”. Ed a tal proposito le opinioni degli intervistati sono alquanto divergenti e non si prospetta la possibilità di giungere ad una definizione comune. In effetti le posizioni delle aziende sono diverse, ad esempio, per coloro che vendono il prodotto non attraverso la grande distribuzione, ma attraverso il canale che comprende ristoranti ed enoteche, la decisione di abbandonare in etichetta il termine “Prosecco”, può risultare più facile in quanto si rivolgono ad un pubblico più preparato che sa meglio distinguere il prodotto. E ancora vi sono aziende che non vogliono slegarsi dal nome del vitigno, ma abbandonare quello di uno dei due comuni, sostenendo che le due zone portano ad un

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prodotto che presenta delle diversità dovute a caratteristiche pedoclimatiche differenti. A contribuire alla maggiore capacità di identificazione del prodotto vi sono molteplici sentieri che possono essere percorsi come lo sviluppo di sinergie con altri prodotti locali e sinergie con altri distretti spumantistici, l’orientamento alla ricezione viste le rosee prospettive di sviluppo del turismo enogastronomico, e l’aumento della conoscenza del prodotto anche nei mercati lontani. Contribuisce a facilitare l’identificazione del prodotto anche la bottiglia con tre “V” in rilievo, che stanno per Valdobbiadene, della quale possono avvalersi tutte le aziende del sistema, ideata dalla Confraternita del Prosecco. Tuttavia, solo una parte delle aziende ha deciso di utilizzarla, mentre tra le aziende che hanno deciso di non avvalersene vi è chi adduce motivazioni economiche e chi di principio vedendo presa in considerazione solo l’iniziale di uno dei due comuni. Il Consorzio come emerge dall’indagine riveste un ruolo importante per le aziende e per molte funge da interfaccia coi mercati esteri non partecipando esse direttamente a fiere internazionali. Esso si impegna per far conoscere il prodotto sia in Italia che all’estero. Ne è un esempio la recente partecipazione alla prima edizione di “Food & Wine from Veneto”, una manifestazione che si è svolta in Giappone e finalizzata a far conoscere i prodotti enogastronomici e agroalimentari regionali in questo paese di cui l’Italia è ora il terzo paese fornitore europeo di prodotti agroalimentari, dopo Francia e Danimarca. Dalla Camera di Commercio locale sorge l’intenzione di creare sinergie con le altre zone italiane a vocazione spumantistica (Franciacorta, Asti, Talento e Trento, Oltrepò Pavese) per creare un coprogetto di distretto allargato in cui gli operatori possano collaborare, affinare la qualità dei prodotti e soddisfare tutte le esigenze dei consumatori (Legrenzi 2002). Il sistema produttivo del Prosecco che presenta molti aspetti tipici di un sistema distrettuale, vede tuttavia carente un aspetto fondamentale che è una cooperazione ed una volontà di cooperare a “tutto tondo”. Emerge dallo studio una realtà che vede dei soggetti che, dal punto di vista degli aspetti tecnico-produttivi, riescono a comunicare e talvolta a collaborare, mentre fanno prevalere l’individualismo per quanto riguarda gli aspetti commerciali. Inoltre l’operato delle aziende sembra andare spesso in direzione opposta alla creazione di un’immagine unitaria che così venga percepita anche all’esterno e sentimenti di campanilismo rafforzano questi comportamenti controproducenti al sistema.

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7. CONCLUSIONE Lo studio realizzato ha voluto presentare la situazione del sistema produttivo del Prosecco doc di Conegliano e Valdobbiadene e verificarne la presenza dei caratteri identificativi di un distretto. A tal fine sono stati valutati aspetti riguardanti le caratteristiche aziendali, le risorse umane, il livello tecnologico, il processo produttivo, i mercati, il posizionamento strategico e il sistema nel complesso. La Produzione di Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene costituisce la produzione vitivinicola prevalente nella provincia di Treviso rispetto agli altri vini a denominazione di origine controllata e, con oltre cinquemila persone impiegate nel settore, da origine ad un giro d’affari di circa duecento milioni di euro. La difficile meccanizzazione del lavoro dovuta alla pendenza delle colline ha mantenuto la conduzione dei terreni in mano per lo più a piccoli viticoltori. Le piccole aziende prevalgono anche per quanto riguarda le case spumantistiche ed anche le aziende più grandi vedono per lo più una dimensione ridotta. Comunità di persone e sistema delle imprese presentano in questi luoghi il carattere della indivisibilità soprattutto nei comuni in cui più alta è la concentrazione di piccole aziende ed i rapporti tra persone e tra aziende sono dettate da legami di vicinato, parentela e amicizia. Il processo produttivo infatti costituisce la riproduzione di presupposti materiali, umani ed immateriali quali la conformazione naturale, la storia, la cultura e l’organizzazione sociale. Il tipico processo di creazione di nuove imprese in questo sistema consiste nell’estensione dell’attività viticola a quella di vinificazione e spumantizzazione. In questa fase il sistema svolge un ruolo protettivo sia come milieau locale che fornisce input sia per il possibile ricorso alla subfornitura per alcune fasi, il quale permette anche ad aziende molto piccole di essere presenti efficientemente nel sistema. Il passaggio generazionale che costituisce un problema importante per alcuni distretti, qui dove molte aziende sono a conduzione familiare, rappresenta un passaggio molto graduale e naturale. I dati di mercato del prodotto degli ultimi anni dimostrano delle buone performance (circa 38 milioni di bottiglie di Prosecco doc commercializzate nel 2001) a testimonianza del gradimento riscosso tra il pubblico e della intraprendenza delle aziende e degli attori istituzionali nel far conoscere il prodotto in nuovi mercati. Le esportazioni riguardano il 90% delle aziende e circa un terzo della produzione, esse sono inoltre pressoché raddoppiate negli ultimi sei anni. Il Prosecco Doc di Conegliano e Valdobbiadene presenta la caratteristica di essere rimasto legato al nome del vitigno a differenza di molti altri vini che si

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identificano con la zona di produzione. Questa scelta di denominazione espone il prodotto alla concorrenza del prosecco prodotto in altre zone e rende più difficile la sua distinzione nel mercato finale ed in particolare nei mercati lontani. Questa particolarità del sistema costituisce un aspetto cruciale su cui devono lavorare i soggetti del settore per creare una sempre maggiore identificazione del prodotto con il territorio. Nonostante questa esigenza di condotta sia avvertita da aziende ed istituzioni e si auspichi una maggiore unione e collaborazione al fine di conseguire l’obiettivo, nella realtà dei fatti i vari attori operano separatamente. Quasi tutti gli elementi che identificano un distretto sono presenti in questo sistema e tra essi la concentrazione territoriale, la lunga tradizione, la presenza di molte piccole aziende, la divisione del processo produttivo in fasi, il sedimentarsi di un Know how, la produzione di nuova conoscenza che si fonde con quella tacita e l’apertura al mercato internazionale. L’aspetto carente di questo sistema riguarda, tuttavia, le relazioni e la collaborazione tra aziende che se sono presenti da un punto di vista tecnico-produttivo, sul piano commerciale, non solo prevale la competizione, ma si agisce secondo logiche individualistiche che ostacolano la percezione all’esterno di un’immagine unitaria. Viene così ostacolata l’attività di istituzioni che cercano di facilitare l’identificazione del prodotto sul mercato. Il Consorzio di Tutela, in particolare, si vede impegnato per migliorare la conoscenza e l’identificazione del prodotto mentre, dal canto loro, le aziende stanno sviluppando delle strategie di comunicazione e marketing distinte, non perseguendo un obiettivo comune, facendo si che nel mercato finale vi siano bottiglie che riportano diciture diverse, non sempre ben identificabili dal cliente. E’ questa carenza a far si che il sistema non assuma ancora una configurazione distrettuale. Le aziende hanno vissuto un miglioramento continuo negli ultimi tre anni e ritengono che la propria posizione strategica sia per lo più buona per quanto riguarda l’aspetto produttivo e della qualità. Si avvertono, invece, delle debolezze per quanto riguarda il marketing e la comunicazione che saranno settori su cui investire nel prossimo futuro per alcune aziende mentre altre non avvertono la necessità di migliorare tali aspetti. Le aziende manifestano ottimismo circa il futuro del sistema anche se talvolta trapela dell’incertezza e vi è coscienza della necessità di una maggiore collaborazione per fronteggiare la concorrenza. Per molti, tuttavia, la cooperazione tra aziende avrà luogo solo quando il Prosecco vivrà una situazione di difficoltà. Per il futuro le prospettive sembrano rosee vista l’importanza data alla qualità e tipicità dei prodotti. Varie sono inoltre le possibilità di sinergia con altri prodotti e settori quali: prodotti agroalimentari e piatti tipici locali, altri vini e

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turismo che può abbracciare tre livelli ossia culturale, paesaggistico ed enogastronomico. In particolare, una classifica sulle intenzioni di visita nei distretti del vino in Italia, vede questa zona al secondo posto, dopo il Chianti. L’attenzione alla ricezione in questa zona collinare si fa così sempre più sentita, nelle cantine che sono tenute come gioielli da esibire si possono effettuare visite nell’80% delle aziende e degustazioni. Sono già presenti numerosi agriturismo, osterie ed enoteche ed altri ne sorgeranno in futuro ma soprattutto si pensa a creare dei Bed & Breakfast per rispondere all’esigenza del turista che in zona desidera fermarsi qualche giorno. A questo si aggiungono i punti di forza del Prosecco, un prodotto che non soffre della stagionalità del consumo poiché gode di grande versatilità che lo rende adatto ai brindisi, come aperitivo e come vino a “tutto pasto” e che si apre ad un ampio pubblico anche grazie al buon rapporto qualità/prezzo. In conclusione per il futuro di questo sistema una maggior collaborazione tra aziende, tra aziende ed istituzioni e tra istituzione stesse si rende necessaria al fine di mettere a frutto le molteplici potenzialità sistemiche, razionalizzare le risorse e creare una comune linea di condotta che elevi il sistema e lo distingua dalle possibili concorrenze.

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Questa pubblicazione è edita nella collana: Profili economici della Camera di Commercio di Treviso. Le precedenti pubblicazioni sono:

1- I problemi finanziari delle PMI trevigiane: aspetti critici e strategie di

intervento (1997) 2- Riforma fiscale e ricapitalizzazione delle imprese (1998 3- Le nuove sfide per i distretti industriali: sistemi cognitivi e reti

transnazionali (1998) 4- La “rivoluzione” Euro: quali implicazioni per il finanziamento delle

P.M.I.? (1998) 5- Un progetto di marketing territoriale per il distretto di Montebelluna —

Offerta del territorio, contesti competitivi e possibili strategie di rilancio — (1998)

6- Perla Stancari — Immigrati: problema o risorsa? - L’immigrazione di extracomunitari nei territori evoluti con particolare riguardo alla provincia di Treviso — (1999)

7- Le opportunità dell’Euro Nouveau Marchè per le imprese ad alto potenziale di crescita (1999)

8- Guida “Crea la tua impresa a Treviso” (2000). 9- Convegno “E– commerce frontiera del nuovo sviluppo”

Tavola rotonda “Marketplace comunità e distretti virtuali. E-uforia o reali opportunità strategiche di sviluppo”(2000).

10- IL PROGRAMMA “JEV” - Agevolazioni alle imprese che intendono investire in Europa (2001).

11- Le politiche commerciali e di Marketing nel settore dell’arredamento – Ricerca sui distretti industriali del Livenza e del Quartier del Piave

12- Problematiche di internazionalizzazione dei distretti industriali della provincia di Treviso

13- La qualità nella Pubblica Amministrazione – Alcune esperienze negli enti locali

14- Analisi dell’organizzazione logistica del distretto industriale di Montebelluna

15- L’UEM, l’Euro e l’Ampliamento dell’Unione Europea 16- I Servizi integrati a tutela della Proprietà Industriale 17- Qualità e certificazione nella Pubblica Amministrazione esperienze a

confronto 18- Guida “Crea la tua impresa a Treviso”. (2004)

19- Atti “Giornata dell’Economia” ( 17 Novembre 2003) 20- ……………………………………………………………………………………

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Impaginato a cura del Centro stampa della Camera di Commercio di Treviso