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PRATO E IL TEMA DELLE AREE MISTE MOSTRA CONVEGNO GENNAIO 2010 PALAZZO PACCHIANI - VIA MAZZINI 65

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PRATO E IL TEMA DELLE AREE MISTE

MOSTRA CONVEGNO GENNAIO 2010PALAZZO PACCHIANI - VIA MAZZINI 65

€ 10,00

PRATO

E IL TEMA D

ELLE AR

EE MISTE

Architettura – Urbanistica – Storia UrbanaQuaderni del Comune di Prato/5

1. Giuseppe A. Centauro, Piano del colore del centro storico di Prato (2 vol.), 20002. Giuseppe A. Centauro, Le antiche mura di Prato (2 vol.), 20033. Giuseppe A. Centauro, La sistemazione della Piazza Sant’Agostino, 20044. Paolo M. Vannucchi, Le fasi della pianificazione urbanistica a Prato, 20085. Paolo M. Vannucchi ed altri, Prato e il tema delle aree miste, 2009

Consigliere Comunale con delega all’UrbanisticaAvv. Gianni Cenni

Dirigente Governo del TerritorioArch. Riccardo Pecorario

Gruppo di progettoResponsabile: Arch. Michela BrachiCollaboratori: Arch. Massimo Fabbri Arch. Catia Lenzi Arch. Davide Tomberli Geom. Riccardo Corti

CoordinatoreArch. Paolo M. Vannucchi

ARCHITETTURA - URBANISTICA - STORIA URBANAQuaderni del Comune di Prato/5

PRATO E IL TEMA DELLE AREE MISTE

Via Fiume, 60 - 53036 Poggibonsi, SienaTel. 0577 933305 - Fax 0577 983308www.lallieditore.it - e-mail: [email protected]

© Copyright by Comune di Prato

© Copyright by Lalli Editore s.r.l.Stampato in Italia - Printed in Italy

ISBN 978-88-95798-37-0

SOMMARIO

PREFAZIONEAvv. Gianni Cenni ....................................................................................................................... Pag. 7

PRESENTAZIONEArch. Riccardo Pecorario ....................................................................................................................9

LA GESTIONE DEGLI INTERVENTI DI RISTRUTTURAZIONE EDILIZIA E URBANISTICAArch. Michela Brachi…………………………………………………………………… .................15

PRATO E IL TEMA DELLE AREE MISTEArch. Paolo Maria Vannucchi…………………………………………………………. ..................19

PREMESSA ..........................................................................................................................................20LA QUESTIONE DELLA RISTRUTTURAZIONE URBANISTICA………………………. ......21La genesi della città fabbrica ............................................................................................................23Il piano Savioli (1954-1956) : la città come cantiere operoso ........................................................26I macrointerventi degli anni ‘60 .......................................................................................................29Il piano Marconi (1961-1964) : l’ordine razionalista ......................................................................34Il piano Sozzi e Somigli (1957-1981) : la politica dei trasferimenti .............................................37Il piano Secchi (1993-1996) : la mixite’ ............................................................................................41La variante del 2007 al R.U. : introduzione del parametro SLP ..................................................44Considerazioni di sintesi ...................................................................................................................47LA CONSERVAZIONE DELLE FABBRICHE DI VALORE STORICO ARCHITETTONICO ..........................................................................................................................49La città abbandonata e la città possibile ........................................................................................51La ricognizione delle aree produttive 2006 ....................................................................................56La riconversione funzionale delle fabbriche storiche ...................................................................59Considerazioni di sintesi ...................................................................................................................62

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PREFAZIONE

Chi non conosce il proprio passato, rischia di non riuscire a vivere il presente ed anco-ra di più rischia di non essere in grado di poter programmare – quanto meno a livello politico amministrativo – il futuro di un territorio.Una mancanza di tale portata può comportare sia la perdita di identità che la perdita di nuove opportunità.Non c’è dubbio che la nostra città sta attraversando una delicata fase di trasformazione economica, sociale, culturale.Da questo punto di vista la mia personale visione dell’Urbanistica consiste nel prende-re atto dei problemi e dei valori, catalogarli dopo averli analizzati e conseguentemente operare delle scelte che devono porre in equilibrio la conservazione ed esaltazione del-le eccellenze valoriali e la risoluzione dei problemi attraverso la trasformazione del “ brutto” e dell’ “inutile” in un qualcosa di nuovo che incorpori bellezza e funzionalità.Per decenni il modello di sviluppo urbanistico della città si è piegato sovente alle esi-genze economiche del distretto tessile.Un sistema produttivo basato su una filiera ramificata in piccole e medie imprese, spesso a prevalente carattere artigiano, che si sviluppava esclusivamente con l’ottica del pragmatismo, legato alla ottimizzazione della produzione.Il Pratese con il suo spiccato senso del lavoro ha più o meno consapevolmente creato un modello: la Città – Fabbrica, che in seguito si è voluto chiamare “Mixitè”, ma che ancora prima sulle rive del Bisenzio si era affermato nell’animo della gente con la forza del dialetto, con il motto “Uscio e bottega”.Il Pratese, questo essere originale ed unico con il valore lavoro – non solo dal punto di vista economico ma anche esistenziale – nella testa e nel cuore, e conseguentemente l’arte del fare nelle braccia.In verità c’è stato un forte segno di discontinuità quando quasi più di trent’anni orsono furono individuate delle aree deputate ad accogliere esclusivamente la produzione, cercando di rompere lo schema urbanistico che commistionava la residenza e la fab-brica, con la previsione urbanistica dei Macrolotti Industriali.E sotto questo aspetto deve essere evidenziato che la città ha deciso, con questa scelta, di investire risorse proprie sia in termini di territorio sia in termini di costi di urba-nizzazione. E questa scelta rappresenta qualcosa di più di una opzione, che a questo punto deve essere portata al suo completo compimento, soprattutto per la sua com-plementarità sinergica con le scelte di riqualificazione urbana che Prato necessita.Il nuovo piano strutturale infatti individua come assi portanti due misure strategiche: la conservazione del territorio inedificato e la perequazione.In questo senso gli edifici in passato adibiti alla produzione – oggi oramai dismessi o in via di dismissione – nelle zone urbane possono giocare un ruolo duplice: evitare il consumo di territorio per la nuova edificazione e contemporaneamente attraverso la riconversione degli stessi, la possibilità di realizzare per il tramite dell’iniziativa del pri-vato una elevazione degli standard urbanistici, bilanciando le funzioni e i volumi del prodotto urbanistico della riconversione.In questa ottica l’intervenuta modifica dell’art. 23 VI bis del R.U. è da intendere come una necessaria norma di salvaguardia, assolvendo lo scopo di gettare un ponte verso la nuova trasformazione della città, per evitare di trovarsi di fronte a soluzioni com-piute, non sostenibili in termini di qualità della vita.

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Per questo una maggiore flessibilità di programmazione delle funzioni di riutilizzo, superando gli schemi rigidi di conservazione dell’esistente che il Piano Secchi preve-deva, può dare luogo ad una vera risposta alle esigenze della città.Non dobbiamo dimenticare che in certe zone di Prato uno dei motivi della crisi di legalità, con cui quotidianamente siamo chiamati a confrontarci nasce proprio dalla morfologia del tessuto urbano “misto”, che ha rappresentato un terreno fertile su cui seminare e raccogliere i frutti di un lavoro che non è lavoro, di un profitto che non è profitto, di una vita che non è vita.Dunque questo libro ci aiuta a capire ciò che può essere considerato un segno di valore della nostra memoria e al tempo stesso ci può indicare la strada su ciò che ha esaurito la propria funzione e come tale attende solo di essere trasformato per le esigenze del presente e del futuro.

Il Consigliere Comunale conDelega all’Urbanistica

Avv. Gianni Cenni

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PRESENTAZIONE

Sul finire della passata legislatura la Commissione Consiliare per l’Ambiente ed il Ter-ritorio mi chiese un consuntivo dell’attività che avevamo realizzato con i principali provvedimenti introdotti in campo urbanistico – edilizio.Tra questi assumeva particolare rilievo la variante al Regolamento urbanistico riguar-dante il recupero degli edifici produttivi dismessi, che, seppur dettata dalla necessità di affrontare con una norma tampone una delle criticità emerse nell’attuazione del Piano Secchi, toccava un tema della politica urbanistica comunale considerato tra i più strategici e controversi.Strategico perché le risorse territoriali a disposizione per una nuova organizzazione della città sono molto consistenti e le opportunità, quindi, irripetibili.Strategico perché da oltre cinquant’anni la città vi vede la necessità di rispondere a problematiche che, alternativamente o congiuntamente, sono state declinate in vario modo, con descrizioni rappresentative dei diversi punti di vista: fine del modello pro-duttivo a ciclo completo; soluzione delle diseconomie esterne alla produzione; conflit-tualità sociale tra le fabbriche e la residenza; sostegno ai trasferimenti delle industrie inquinanti; recupero degli spazi per i servizi pubblici che mancano alla città; conte-nimento della trasformazione dei suoli non urbanizzati o, più esplicitamente, salva-guardia degli spazi della piana agricola e di riconoscibilità dei borghi -in una città che nel frattempo è cresciuta intensamente ed ancora oggi continua a crescere in misura significativa-.

Per dare un’idea sulle dimensioni del fenomeno e delle potenzialità, con l’Ufficio di Piano abbiamo ricostruito le trasformazioni avvenute dal 1966 a oggi, in due aree cen-trali della città, ad ovest del Centro storico – dintorni di Via Pistoiese – e ad est – nella zona attorno a Via Ferrucci (figg. 1-2).La fig. 1 ci dà il senso sostanziale della situazione al momento in cui si inizia ad attivare la trasformazione della città: nel 1966 nelle aree che abbiamo preso a campione, il rap-porto tra la superficie occupata dalle industrie e quelle residenziali era quasi di 3 a 1: cioè circa 650.000 mq di aree produttive contro 230.000 mq per le altre attività urbane, costituite sostanzialmente dall’abitato storico.Ulteriormente interessante è notare che però si presenta una situazione di partenza già significativamente differenziata tra l’area ovest, dove il rapporto è di quasi 4 a 1, rispetto all’area ad est, dove le attività produttive occupano un’area poco più che dop-pia rispetto alle residenze.

Fig. 1 - situazione al 1966 nelle due aree campione

SUPERFICIE COPERTA DELLE AREE PRODUTTIVE: 650.000 MQ SUPERFICIE COPERTA DI ALTRE FUNZIONI: 230.000 MQ

AREA OVESTSUPERFICIE COPERTA DELLE AREE PRODUTTIVE: 310.000 MQ SUPERFICIE COPERTA DI ALTRE FUNZIONI: 80.000 MQ

AREA ESTSUPERFICIE COPERTA DELLE AREE PRODUTTIVE: 340.000 MQ SUPERFICIE COPERTA DI ALTRE FUNZIONI: 150.000 MQ

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funzione produttiva

altre funzioni

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Il diverso carattere delle due aree ha inciso anche nella trasformazione poi avvenuta: tant’è che ad oggi nell’area ad ovest la presenza delle fabbriche occupa ancora un’area più che doppia rispetto agli altri edifici, mentre nell’area ad est l’edilizia residenziale e terziaria ha decisamente prevalso, riconfigurandone l’identità.

Fig. 2 - aree interessate da trasformazioni urbanistiche nell’interperiodo 1966 – 2008

AREE PRODUTTIVE TRASFORMATE: MQ. 240.000 (superficie coperta)EDIFICI REALIZZATI IN SOSTITUZIONE: MQ. 93.500 (superficie coperta)

AREA OVESTAREE PRODUTTIVE TRASFORMATE: MQ. 70.000 (superficie coperta)EDIFICI REALIZZATI IN SOSTITUZIONE: MQ. 28.500 (superficie coperta)

AREA ESTAREE PRODUTTIVE TRASFORMATE: MQ. 170.000 (superficie coperta)

EDIFICI REALIZZATI IN SOSTITUZIONE: MQ. 65.000 (superficie coperta)

Un ulteriore contributo a capire l’importanza del tema può essere ancora offerto dal valore totale delle aree occupate dalle fabbriche nell’area centrale della città, conside-rata nel suo complesso, che si aggira attorno ad 1,7 milioni di metri quadrati (fig. 3).

aree produttive interessate da sostituzione edilizia

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Fig. 3 - aree produttive nell’area centrale 2008

Se, però, da cinquant’anni la riconversione di quella che è stata chiamata la città fabbri-ca è un tema strategico, da almeno quaranta, è altrettanto tema controverso. Cioè ap-pena si sono potuti osservare gli esiti del processo attivato dalle politiche urbanistiche che si sono succedute, i risultati, inesorabilmente, venivano indicati al di sotto delle aspettative della città desiderata.Le critiche alla prima fase del processo (fine anni ’60 – primi anni ’70) hanno riguar-dato la mancanza dei servizi e degli spazi pubblici, che la ricostruzione della città non riusciva a trovare insieme al rinnovamento edilizio.La seconda fase di trasformazione si colloca a partire dalla metà degli anni ’80, ove si critica l’estrema parcellizzazione degli interventi, che produceva edifici decontestua-lizzati, impoverendo il carattere della città. A quel momento la sostituzione non ri-guardava più le grandi fabbriche a ciclo completo, ma quella edilizia produttiva che si era formata accanto ed insieme agli edifici della residenza, determinando tessuti con una conformazione aggregativa omogenea, rispetto ai quali l’edilizia di sostituzione appariva avulsa ed insufficiente a proporre una nuova idea di città.In realtà è stata criticata anche l’incapacità di produrre esiti del Piano Marconi, che aveva previsto grandi comparti da trasformare unitariamente con un progetto attuati-vo. Questo insuccesso ci lascia forse la lezione più amara di un’opportunità mancata, a causa della difficoltà di mettere insieme le diverse proprietà immobiliari interessate dal processo di trasformazione, che va assunto tra i connotati ricorrenti del rinnova-mento e della trasformazione urbanistica della città.

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Su queste esperienze e queste valutazioni si è formato il Piano vigente, di cui la va-riante introdotta nella passata legislatura cerca soprattutto di costituire un catalizzato-re che ne possa innescare un processo virtuoso, oltre a tamponare derive che immedia-tamente sono state percepite come maggiormente insostenibili.E’ vero però che oramai il processo di trasformazione fisica della città è attraversato da nuovi fattori, che hanno caratteri sociali ed economici affatto nuovi, che lo rendono sicuramente più complesso; ed è pensando a questa nuova complessità che si sta for-mando, a cavallo delle due legislature, il nuovo Piano Strutturale della città.Verso questa prospettiva, quindi, mi è sembrato utile che il consuntivo del percorso della legislatura diventasse lo spunto per una riflessione sul più ampio percorso che la città ha compiuto, nel tentativo di dare un ordine razionale alla sua organizzazione territoriale, che, a partire dalla formazione della città fabbrica, è poi significato riorga-nizzazione delle zone residenziali, ma anche riorganizzazione delle zone della produ-zione.Ed infatti, pur tra i limiti che non voglio sottacere, credo vada dato atto a questo pro-cesso di trasformazione, di aver coniugato intimamente la dismissione del vecchio ap-parato produttivo con la realizzazione di uno nuovo, in un sostegno reciproco, che ha finora garantito l’interesse e il successo di questa città.Ma quando forse siamo riusciti appena ad aggiustare il tiro dei problemi posti nella ri-conversione, si sono oramai affacciati i nuovi orizzonti tematici a cui abbiano fatto cen-no, rispetto ai quali, forse, l’armamentario che abbiamo fin qui posto in essere rischia di apparire superato e deve aprirsi a nuove considerazioni di metodo e di prospettiva: il nuovo piano, appunto!Il contributo che il lavoro qui presentato, curato dagli archh. Vannucchi e Brachi, vuole offrire è sicuramente pensato per ricostruire i fattori che hanno mosso questo lungo processo di trasformazione della città e dei risultati cui è pervenuto, quale occasione per riflettere e discutere sul nuovo progetto urbano della città.Non ne può certo derivare nessuna ricetta risolutiva, né questo era lo scopo: sono profondamente modificati i fattori della trasformazione , ma ne sono modificati anche gli obiettivi, tra cui mi sembra si ponga ancora in evidenza la tutela della memoria e dell’identità della città, di cui il rapporto e la mostra cercano di restituirci il fascino e il valore, ma anche la necessità di trovare nuove, e forse diverse, occasioni di sviluppo.

Il Dirigente del SettoreGoverno del Territorio

Arch. Riccardo Pecorario

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LA GESTIONE DEGLI INTERVENTI DI RISTRUTTURAZIONE EDILIZIA E URBANISTICA

Aspetto di rilevante importanza del piano Secchi è la strategia individuata per il recu-pero delle aree occupate da edifici industriali ed artigianali, ubicati nella parti centrali della città densa e delle frazioni.Le previsioni del piano Secchi su questo aspetto intervengono attraverso tre livelli distinti. Il primo, definito dagli Schemi Direttori e i Progetti Norma, nei quali la tra-sformazione degli insediamenti industriali e centrali alla città costituisce un primario elemento strategico del piano. La previsione è perentoria: attraverso i Progetti Norma, o il tipo d’intervento demolizione con ricostruzione “dr” si prevede la completa sosti-tuzione del tessuto produttivo e la realizzazione di nuovi insediamenti, nel rispetto di un disegno urbano pianificato. Le aree sono caratterizzate da parametri urbanistici consistenti con l’intento di favorire le trasformazioni ipotizzate. Il secondo livello è costituto dalle aree con tipo d’intervento di ristrutturazione edilizia – demolizione con ricostruzione “ri/dr”. Si tratta di aree che non rispondono ad un disegno strategico ben preciso ma affrontano il tessuto edilizio esistente con l’obiettivo di rinnovarne alcune porzioni. Gli interventi non hanno indici fondiari elevati e offrono la possibilità di intervenire attraverso la ristrutturazione edilizia o la demolizione con ricostruzione utilizzando i parametri urbanistici previsti. Il terzo è individuabile dalle aree con tipo d’intervento di ristrutturazione edilizia “ri” ed inserite in sistemi e sub sistemi afferen-ti a funzioni residenziali e terziarie con l’intento di mantenere i contenitori produttivi, e consentendo l’introduzione delle nuove funzioni previste. E’ quest’ultimo terzo livello che possiede un rilevante interesse, per il ruolo che ha ri-vestito sia nella gestione del piano, che nella trasformazione della città, tenendo anche in conto che il piano, in questo specifico caso, non prevede una esplicita e pianificata ri-chiesta di spazi pubblici. Questo particolare aspetto deve essere necessariamente visto da un lato, in concomitanza dell’evoluzione normativa che nella legislazione nazionale e regionale il tipo d’intervento “ristrutturazione edilizia” assume, dall’altro, in funzio-ne delle problematiche urbanistiche ed edilizie che l’intervento pone nei confronti dei manufatti industriali.Questa particolarità come già accennato, ha delle ricadute di una certa consistenza e di un certo interesse sul territorio. Gli interventi realizzati fino ad oggi infatti pongono non pochi elementi di riflessione. Prima però di passare agli esiti reali e fattivi realiz-zati sul territorio occorre fare un riferimento, anche se sommario, all’evoluzione del concetto di “ristrutturazione edilizia”.All’indomani della stesura del piano la ristrutturazione edilizia viene definita come un intervento generale che non deve modificare il volume dell’edificio esistente ma che può agire sull’organismo edilizio variandone la destinazione d’uso, l’articolazione distributiva e il funzionamento statico del fabbricato. Tra la stesura del piano, la sua adozione e la definitiva approvazione, interviene la LR 52/99 che innova fortemente il principio posto dalla precedente legge regionale n. 59/80. L’intervento di ristrutturazione edilizia viene così modificato, da “opere che com-portino la ristrutturazione e la modifica anche degli elementi strutturali orizzontali dell’edificio, fino allo svuotamento dell’involucro edilizio” a “le demolizioni con fede-le ricostruzione degli edifici, intendendo per fedele ricostruzione quella realizzata con

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identici materiali e con lo stesso ingombro planivolumetrico, fatte salve esclusivamen-te le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.Nel recepire l’assunto legislativo regionale il Regolamento Urbanistico, alla data della sua adozione, sancisce la possibilità di modificare l’uso degli edifici produttivi verso le nuove funzioni previste, fino allo svuotamento dell’edificio stesso, l’articolo viene poi modificato, alla definitiva approvazione del piano consentendo la demolizione totale o parziale con fedele ricostruzione del manufatto edilizio. Da questo momento gli interventi edilizi attuano delle complesse riconversioni funzio-nali che agiscono non solo sulla fisicità dei manufatti edilizi, ma anche nel contesto ur-bano, intervenendo sugli assetti consolidati di esso e proponendo un’immagine assai diversa di quella porzione di città fatta di fabbriche, capannoni e stanzoni variamente articolati e strutturati su spazi scoperti e viabilità interne, sorte spesso in maniera spon-tanea e dimensionate esclusivamente sulle necessità dettate dalle funzioni originarie. Le nuove funzioni insediate comportano necessariamente una diversa calibratura ed un nuovo disegno degli spazi scoperti, teso ad assumere forme, dimensioni e materiali adeguati ai nuovi contesti edilizi.Nel 2004 viene varata un’importante innovazione delle norme del RU che modifica la precedente scrittura della ristrutturazione edilizia. Il nuovo articolo sancisce che la ristrutturazione edilizia applicata agli edifici industriali dismessi, può comportare il recupero del volume esistente anche con l’introduzione di interpiani, e la possibilità di demolire alcune porzioni dei manufatti al fine di razionalizzare gli interventi. Gli interventi dovranno inoltre reperire le aree destinate agli standard. Con questa im-portante modifica si sancisce l’importante assunto che l’intervento di ristrutturazione edilizia possiede la forza di generare trasformazioni urbanistico - edilizie di una certa consistenza, le quali sono esclusivamente riferite ad ambiti d’intervento dettati più che altro dall’assetto proprietario e dalla sussistenza di determinati requisiti tecnici, che prescindono da un disegno urbano pianificato.Questo modo di operare rivela, successivamente, alcune criticità tra le quali sicura-mente spiccano le notevoli dimensioni degli interventi edilizi, il reperimento di aree a standard non adeguate alla consistenza dei nuovi carichi urbanistici e la rigidità, proprio in termini progettuali, della demolizione con fedele ricostruzione che vincola l’articolazione dei nuovi edifici.Queste riflessioni portano l’Amministrazione comunale nel 2007 verso una nuova va-riante urbanistica indirizzata verso una riduzione delle consistenze volumetriche, at-traverso l’introduzione del parametro della Slp, una maggiore dotazione di standard, e proponendo l’importante concetto del reperimento degli spazi di relazione. Appare del tutto evidente che la variante riduce in maniera drastica le dimensioni degli in-terventi edilizi, consentendo un maggiore agio progettuale, ammettendo di fatto la sostituzione edilizia dei manufatti industriali e l’introduzione di quote più consistenti di spazi scoperti articolati in spazi privati, pubblici e d’uso pubblico.I progetti redatti con le nuove regole sono senz’altro portatori di queste innovazioni, lo si percepisce nella proposizione dei nuovi volumi in complesse articolazioni spaziali, caratterizzate da una minore rigidità dell’impianto urbano nelle quali si coglie una spiccata volontà di relazionarsi con il contesto circostante. Le nuove norme apportano sicuramente un potenziale miglioramento dei progetti di recupero delle aree industriali dismesse, le stesse però generalizzate sull’intero territo-rio comunale ed applicate in ambiti definiti solo dal parametro della proprietà privata, poco concorrono verso la definizione di una strategia territoriale di trasformazione. Il settaggio delle norme del RU va quindi visto come una giusta e garbata regolazione in grado di disciplinare quelle trasformazioni urbanistico - edilizie che si erano rivelate

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col tempo, forse troppo aggressive e ridondanti, contraddistinte nella maggior parte dei casi dalla riproposizione, in termini quantitativi, degli originari volumi industriali. Le nuove norme del RU gettano sicuramente le basi per la futura gestione del riuso delle aree industriali dismesse per ciò che riguarda le quantità edilizie da mettere in gioco, i tipi d’intervento, gli strumenti di attuazione, la dotazione ed il metodo per il reperimento delle aree a standard. Quello che invece appare necessario è collocare gli interventi all’interno di una strategia complessiva di trasformazione delle aree indu-striali che individui gli obiettivi in relazione ai diversi ambiti territoriali, alla diversa gradazione dei “valori” che sono in gioco e che soprattutto possa superare il vincolo legato alla proprietà privata verso la risoluzione di ambiti urbani più allargati in grado di offrire soluzioni progettuali ed un ritorno pubblico di più ampio respiro.

Lo studio del nuovo piano, avrà l’onere e l’onore di effettuare una doverosa sintesi di ciò che questo studio ha messo in luce. Ciò che è stato evidenziato può essere visto da un lato, come la continua ricerca da parte dell’Amministrazione comunale di varare nuove norme e nuove forme di gestione della materia urbanistica, col duplice obiettivo di facilitare le trasformazioni e allo stesso tempo cercare i necessari equilibri tra inte-ressi pubblici e privati, dall’altro la manifesta consapevolezza che questa città nella sua solo apparente disarmonia, possiede uno straordinario patrimonio, ancora in buona parte esistente, costituito dal valore ascrivibile in alcuni casi agli edifici industriali ed artigianali in quanto tali, in altri dalla complessa trama territoriale che la convivenza del tessuto produttivo, con la vita della città ha formato e che ora o mai più, deve es-sere gestito.Il percorso offerto in questo studio ci mostra come la pianificazione territoriale abbia da sempre definito le strategie e gli intenti delle trasformazioni della città; da sempre le decisioni e le regole hanno dialogato con l’intento di governare il territorio e quin-di: il piano Baroni redatto dopo il secondo conflitto mondiale ed inteso come piano di ricostruzione della città, il piano Savioli che tra le altre cose individua le linee di espansione della città, il piano Marconi con la sua peculiare caratteristica del decentra-mento produttivo e la riconversione, il piano Sozzi Somigli che attua, con le duecento aree di ristrutturazione urbanistica, definitivamente il decentramento produttivo ed

infine il piano Secchi che legge la città come una struttura territoriale complessa nella quale le trasformazioni devono concorrere verso e nel rispetto di una disegno urbano predefinito. La relativa facilità di governare i nuovi insediamenti in aree non urbanizzate appare senz’altro un processo complesso ma non quanto quello afferente alla gestione delle trasformazioni di aree costruite, dense e centrali alla città. Da sempre gli interessi, i tempi e le aspettative dei proprietari delle aree non coincidono con quanto stabilito dai piani urbanistici, sia che questi individuino dei comparti urba-nistici (PRG Sozzi – Somigli e le 200 aree di ristrutturazione urbanistica residenziali e terziarie), che invece, pur prevedendo complessi ambiti di trasformazione, lascino alla gestione/attuazione del piano la facoltà di accorpare le aree destinate a nuova edifica-zione e a standard (PRG Secchi in particolare le aree interne agli Schemi Direttori e ai Progetti Norme con tipi d’intervento “nuova edificazione” e “demolizione e ricostru-zione”). Il problema che da sempre si manifesta è quello legato alla parcellizzazione della proprietà privata che genera inevitabilmente aderenti e non aderenti, soddisfatti e insoddisfatti, tempi diversie desideri che quasi mai coincidono. Tutto questo pone da sempre freni alla completa realizzazione delle previsioni avanzate. Questo ed altro fanno si che si realizzino previsioni parziali, risolte in ambiti limitati che contengono quanto serve al funzionamento dei nuovi complessi edilizi, ma che concorrono in ma-niera davvero limitata a realizzare il disegno strategico previsto.E quindi gli interventi che il percorso espositivo racconta, potranno fornire i necessari spunti di riflessione per le nuove regole urbanistiche che gestiranno le trasformazioni. Ai vari livelli della pianificazione, così come dettati dalla LR 1/05, dovranno essere avanzati i principi e le strategie finalizzate al recupero e riabilitazione di quella parte centrale della città, densa di edifici produttivi, i quali non potranno essere una mera enunciazione di obiettivi, ma dovranno avere la forma e la consistenza di principi fondamentali capaci di delineare con chiarezza in quali ambiti il Regolamento Urba-nistico dovrà muoversi, e non tanto in riferimento alle dimensioni e alle funzioni dei futuri insediamenti, ma invece, all’individuazione di precisi meccanismi per favorire l’attivazione degli interventi ritenuti strategici dal piano e dettare le regole per la loro corretta attuazione e gestione. Le norme da sole anche se ben congegnate e gestite non possono rispondere in modo esaustivo ai molteplici aspetti legati agli interventi di trasformazione.Di pari importanza il piano dovrà tenere in conto dei caratteri delle varie parti della città ed enunciare per ognuna di esse quali elementi del costruito tenere in conto; do-vrà necessariamente considerare anche i caratteri degli edifici o del tessuto edilizio che si appresta a trasformare e mantenere e/o riproporre parti di esso o specifiche pecu-liarità; dovrà stabilire i limiti delle trasformazioni oltre le quali parte delle consistenze edilizie andranno trasferite altrove e conseguentemente stabilire i criteri per l’applica-zione della disciplina della perequazione e per l’individuazione delle aree destinate all’atterraggio delle superfici trasferite.

Responsabile Unità Operativa Piani AttuativiArch. Michela Brachi

PRATO E IL TEMA DELLE AREE MISTE

Arch. Paolo M. Vannucchi

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PREMESSA

Una questione urbanistica che è del tutto pratese, almeno nella consistenza e diffu-sione territoriale, è quella delle aree miste, ossia di quelle zone che nel tempo si sono stratificate all’esterno del centro storico nella frammistione tra edifici produttivi e re-sidenziali. Una storia breve, a guardar bene, in quanto ha inizio nella prima metà del secolo scor-so, quando la città si presenta ancora ordinata dentro le sue mura medievali, al margi-ne del fiume Bisenzio, ma che in pochi decenni esplode all’esterno dell’antica cerchia, aggredendo la campagna circostante con un tessuto edilizio disorganico nelle forme e contrastante nelle funzioni.Questo impianto edilizio è stato letto dagli urbanisti, che si sono occupati negli ultimi cinquanta anni della problematica urbanistica locale, in termini assai diversi: Savioli vi ha riconosciuto un operoso cantiere necessario allo sviluppo vitale della città; Marconi, nel suo rigoroso razionalismo, lo ha rifiutato rimarcando il carattere incontrollato, vel-leitario e privo di qualsiasi criterio organizzativo; Secchi infine, affascinato da quella confusione organizzata da lui definita con il termine mixitè, l’ha considerata, al di là di qualsiasi valutazione estetica, la vera identità urbanistica di Prato.Il diverso scenario socio economico, che da alcuni anni sta cambiando radicalmente Prato, ha riacutizzato perplessità mai sopite sulle problematiche relative agli interventi di ristrutturazione fino ad oggi effettuati, riaprendo il dibattito sull’opportunità di una più radicale trasformazione urbanistica di alcuni ambiti della città, finalizzata ad un migliore assetto funzionale e ad una più ordinata conformazione morfologica. Dibattito portato avanti non sempre con la necessaria chiarezza, in quanto alle frequen-ti citazioni sulle teorie di Secchi, finalizzate ad una rigenerazione urbana congruente con il preesistente assetto insediativo della città, si è voluto sovrapporre il tema della salvaguardia di alcune fabbriche di valore storico documentale che, pur presentando rilevante interesse, rimane comunque un capitolo parziale e collaterale rispetto al pro-blema complessivo. La ricognizione sul tema della ristrutturazione urbanistica, illustrata in questa breve memoria, vuole essere di sussidio all’odierno dibattito, ricordando opinioni e criteri che hanno determinato, anche in tempi non recenti, i maggiori interventi di trasforma-zione edilizia della città.

LA QUESTIONE DELLA RISTRUTTURAZIONE URBANISTICA

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LA GENESI DELLA CITTÀ FABBRICA

Prato, pur ritrovando le sue origini nel periodo etrusco e romano, si compone e si defi-nisce in “forma urbis” tra l’XI e il XIII secolo, quando in tutta l’Europa si assiste ad un generale risveglio dopo una pausa secolare di regressione demografica e depressione economica.In questo scenario di rinascita globale prende forma anche la città di Prato con la fu-sione di Borgo al Cornio con il castello degli Alberti, mentre nell’intero territorio cir-costante vengono realizzate imponenti opere di bonifica idraulica per l’irrigazione dei campi e per la produzione della forza motrice necessaria al funzionamento di un note-vole numero di mulini e gualchiere.In questo antico sistema idraulico che canalizza le acque del Bisenzio dalla barriera del Cavalciotto, per riversarle tramite un complesso sistema di gore fino all’ Ombrone, ritroviamo la causa principale di quella frammistione tra edifici produttivi e residen-ziali, che ha caratterizzato l’assetto urbanistico della città nel XX secolo.Baroni, progettista del primo Piano Regolatore della città, evidenzia che “….i primi nuclei industriali si sono stabiliti in base a questo elemento essenziale: avere un corso d’acqua che serva come forza motrice, come acqua di lavaggio, come cloaca per gli scarichi delle acque di rifiuto. Pertanto i primi nuclei industriali si sono stabiliti lungo il corso del fiume Bisenzio oppure lungo quello dei gorili derivati…”.1 Se esaminiamo la carta topografica del 1918, allegata alla pubblicazione di E. Bruzzi “L’arte della lana in Prato”, ci rendiamo conto che gran parte degli opifici presenti in città sono posizionati in adiacenza al primitivo sistema gorile.

PIANTA TOPOGRAFICA LANIERA (1918) - E. Bruzzi - L’arte della lana in Prato, 1920

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All’interno del centro storico le fabbriche sono localizzate al margine delle tre gore di S. Giusto, di Gello e di Grignano, che lambiscono il nucleo centrale di impianto mo-numentale caratterizzando già da allora, come periferia popolare per la diffusa realiz-zazione di opifici e di abitazioni modeste, la fascia esterna ad esso, compresa entro le mura trecentesche. In quella zona si crea pertanto quella matrice della promiscuità funzionale che in segui-to e in dimensioni assai più devastanti si sarebbe estesa all’intero territorio pratese.All’esterno delle mura trecentesche i complessi industriali di maggiore dimensione vengono localizzati ove la viabilità principale intercetta il sistema gorile.Menzionando solo le fabbriche che a quel tempo hanno una più ampia dimensione e una maggiore notorietà, riconosciamo a nord, al margine del Gorone, i lanifici Fabbri-cone e Puccetti e la gualchiera Franchi (Abatoni); ad ovest, al margine della gora del Pero i lanifici Valaperti, Magnolfi e Calamai (B); a sud, a margine della gora della Ro-mita, i lanifici Campolmi, Cangioli e Belli (D) e infine ad est, al margine della gora del Lonco, il lanificio Fiorelli e al margine della gora del Lupo, il lanificio Querci (C).

PIANTA TOPOGRAFICA LANIERA (1918)E. Bruzzi – L’Arte della lana in Prato, 1920

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Gli opifici ricordati sono quelli di maggiore importanza ma intorno a questi si aggre-gano ditte minori, portando il numero delle aziende all’epoca presenti, a un totale di poco inferiore alle 200 unità.La stessa carta topografica dell’industria laniera evidenzia un’altra peculiarità: gli as-setti produttivi iniziali, seppure situati in parti diverse della pianura, non interferi-scono con gli insediamenti residenziali, dai quali restano ancora separati per le ampie campiture di verde agricolo. Questo fragile equilibrio fra zone residenziali e industriali si rompe alla metà del se-colo scorso, quando la prima grave crisi del tessile pratese determina una radicale trasformazione della struttura produttiva, con la smobilitazione di molte di quelle fab-briche a ciclo completo, censite nella carta Bruzzi del 1918, con la contestuale nascita dell’artigianato tessile per le lavorazioni in conto terzi.

A ) Fabbrica Calamai 1° Viale G. Galilei B ) Lanificio Calamai, San Paolo Veduta anni ’40 Veduta anni ‘30

C ) Lanificio Querci, Via Santa Gonda D ) Fabbrica La Romita, Via della Romita Veduta anni ’30 Veduta anni ‘30

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IL PIANO SAVIOLI (1954-1956): LA CITTÀ COME CANTIERE OPEROSO

Nel ventennio compreso tra il 1950 e il 1970 la produzione tessile registra un ecceziona-le sviluppo, come viene attestato dall’incremento del numero delle aziende che passa dalle iniziali 638, presenti nel 1951, alle 6169 del 1971 e dal numero degli addetti che passa dai 18469, presenti nel 1951, ai 32546 del 1971.Tale incremento è determinato dall’ eccezionale flusso migratorio, proveniente soprat-tutto dal meridione d’Italia, che praticamente raddoppia la popolazione pratese por-tandola dai 77.968 abitanti del 1951 ai 143.148 del 1971. Nel periodo considerato, il sistema produttivo pratese si trasforma radicalmente con la riduzione delle industrie a ciclo completo e la contestuale formazione di una miriade di aziende di piccole e medie dimensioni, fino ai minuscoli edifici artigianali con uno o due telai, che danno origine ad una localizzazione degli insediamenti produttivi, estremamente polverizzata sul territorio.Per far fronte a questo eccezionale sviluppo socio economico della città, l’Amministra-zione comunale cerca faticosamente di dotarsi di uno strumento urbanistico capace di gestire la pressione dello sviluppo edilizio che, soprattutto nelle zone periferiche della città, dà luogo alla formazione dei primi agglomerati abusivi.

LA CITTÀ FABBRICA. Veduta degli anni ‘40

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Dopo la prima esperienza negativa del Piano Baroni (1946-1954), che non ottiene l’ap-provazione ministeriale, in quanto considerato poco più di un semplice Piano di am-pliamento del centro storico, l’Amministrazione affida l’incarico all’arch. Savioli, che nel progettare il PRG di Firenze già si era interessato delle problematiche del territorio pratese.Savioli propone un Piano che sostanzialmente si identifica in un’armatura viaria ra-diale che, ricollegando il centro storico con l‘intera periferia esterna, pone fine all’am-pliamento centripeto della città di stampo ottocentesco e trasferisce alle frazioni quote proporzionali dello sviluppo edilizio delle città.

PIANO REGOLATORE SAVIOLI (1956)

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Questo impianto viario, che sarà sostanzialmente riproposto nel successivo Piano Marconi, si limita però a sovrapporsi a vaste e diffuse “zone miste” per le quali le nor-me di Piano forniscono generici “…orientamenti per una fluida impostazione libera e ordinata nello stesso tempo di quei nuclei vitali, ove la residenza, l’artigianato, l’indu-stria, in vario modo si fondono e si contemporano, formando un tutt’uno inscindibile e funzionalmente completo.”2 Il solo azzonamento definito con maggior rigore, è quello riservato alla localizzazione delle industrie nocive, che per evidenti motivi igienico sanitari vengono emarginate alla periferia della città, anche a sud della nuova autostrada.Negli anni ’50 Prato viene infatti percepita come un “grande operoso cantiere...”3 ca-pace non solo di produrre lo sviluppo economico della città, ma anche di creare nuovi posti di lavoro per i tanti immigrati provenienti dalle diverse regioni d’Italia.La stessa Unione Industriale in quegli anni riconosce nella promiscuità funzionale la vera identità della città, quale “…organismo vivo e operante, che si è venuto forman-do attraverso secoli di storia e di lavoro, che ha una propria fisionomia acquisita len-tamente, la quale avrà pure degli aspetti deteriori ma che comunque ha le sue radici nella tradizione…”.4

Quando l’Amministrazione comunale, avverte la contrarietà del Ministero dei Lavori Pubblici verso il Piano Savioli, ribadisce con fermezza, in una nota trasmessa al Consi-glio Superiore, che il concetto informatore del PRG è stato quello di “…non eliminare quanto nell’organismo della città è vivo ed efficiente e di accettare, come elemento va-lido e positivo rispondente ad una peculiare organizzazione del lavoro, l’intima frap-posizione degli impianti industriali di piccola e media grandezza con le abitazioni…Di qui l’inserimento nel Piano delle cosiddette zone miste”5 considerate essenziali allo sviluppo vitale della città.Le attese di un’intera città vengono però frustrate nel 1960, quando il Consiglio Supe-riore dei LL.PP. boccia il Piano Savioli, proprio per la genericità e promiscuità dell’az-zonamento, che contraddice l’assunto ministeriale dello “zoning”, ritenuto all’epoca l’unico strumento urbanistico capace di governare il territorio.

LA CITTÀ FABBRICA - Via F. Tacca LA CITTÀ FABBRICA - Via F. FerrucciFabbriche Pecci e Borchi, Veduta anni ’60 Lanificio V. Sbraci, Veduta anni ‘60

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I MACROINTERVENTI DEGLI ANNI ‘60

A partire dalla fine degli anni ’50 e per l’intero decennio successivo, Prato modifica rapidamente il suo assetto sociale trascinata dalla forte espansione economica che, in tempi estremamente brevi, trasforma la nazione da paese prevalentemente agricolo a moderno paese industrializzato.In questo periodo di grande fermento per le nuove e diverse iniziative imprendito-riali, che incidono pesantemente nell’ assetto del territorio, l’Amministrazione cerca con grande difficoltà di dotarsi di uno strumento urbanistico capace di governare la trasformazione, pervenendo ad un risultato concreto solo alla fine del 1971 con l’ap-provazione del Piano Marconi.

PIANO DI FABBRICAZIONE – 1961

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Lo sviluppo urbanistico degli anni ‘60 che ha fortemente caratterizzato l’attuale as-setto della città, almeno nelle zone centrali, è stata di fatto gestito dalle indicazioni dell’importante ma poco ricordato Piano di Fabbricazione del 1961, redatto diretta-mente dall’Ufficio Tecnico comunale. Tale Piano, che offre molti riferimenti al successivo PRG Marconi, pur esaurendosi alla sola fase dell’adozione, rende possibile la realizzazione di molti interventi edilizi di grande consistenza, sia nel breve periodo di vigenza dal giugno 1961 al luglio 1963, sia nel successivo arco temporale che interrompe, per la decadenza delle norme di salvaguardia, la validità del Piano Marconi tra il 1967 e la data di approvazione finale del 1971. In quest’ultima fase il Comune, a fronte dell’incertezza normativa che si era venuta a creare, ritiene opportuno ripristinare nella prassi abilitativa gli indici di fab-bricazione del PdF ’61. Con questo strumento si prevede di destinare a ristrutturazione urbanistica due gran-di zone, a nord e a sud del centro storico, ove non solo vengono interdette nuove co-struzioni a carattere produttivo, ma nel caso di trasferimenti di fabbricati industriali preesistenti gli operatori interessati possono usufruire di un indice fondiario di 7 mc/mq, superiore all’indice 6 normalmente ammesso.

FABBRICA MAGNOLFI, Via Strozzi /Via Marini (Loc. Bachilloni) - Vedute degli anni ’50

INTERVENTO DI SOSTITUZIONE EDILIZIA. Residenziale/CommercialeVia Strozzi -Via Marini (1962)

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Queste estese zone di ristrutturazione, comprendenti aree edificate e lotti liberi resi-duali, vengono considerate dall’Amministrazione comunale, sull’onda dell’ottimismo per il boom economico caratterizzante quegli anni, le aree dove la nuova Prato potrà rigenerarsi più moderna ed efficiente.Alcuni interventi edilizi vengono realizzati nella fascia orientale della zona di ristrut-turazione al margine del viale della Repubblica, nuova e imponente arteria di ingresso alla città, altri e di maggiore consistenza nelle aree circostanti il centro storico, con l’esplicito intendimento di non limitarsi solo alla costruzione di nuovi alloggi, richiesti dall’eccezionale incremento demografico, ma soprattutto di realizzare strutture dire-zionali e commerciali, per sopperire alla insufficienza e alla inadeguatezza di quelle esistenti nel centro storico.

LANIFICIO ORLANDO FRANCHI, Vedute degli anni ‘50Via Arcivescovo Martini

INTERVENTO DI SOSTITUZIONE EDILIZIA. Direzionale/ Commerciale (1968)Via Arcivescovo Martini

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LANIFICIO PACINI Vedute degli anni ’60 - Via Valentini - Via Simintendi

INTERVENTO DI SOSTITUZIONE EDILIZIA. Residenziale/ Commerciale (1971)Via Valentini - Via Simintendi

Nella fase immediatamente successiva all’adozione del PdF comunale, vengono fra gli altri realizzati gli interventi tra viale Vittorio Veneto e via Tiepolo (i.f.=6,8 - a. 1961), tra via Strozzi e via Marini , con la demolizione della fabbrica Benelli (i.f.=6,88- a.1962) e tra viale Montegrappa e via Frà Bartolomeo, con la demolizione del lanificio Cecchi (i.f.=7.20- a.1963).Nel periodo di decadenza delle norme di salvaguardia, che si apre alla fine degli anni ’60, vengono realizzati gli interventi tra via Arc. Martini e viale V. Veneto con la demoli-zione della fabbrica O. Franchi (i.f.=6,57- a.1968), tra via Valentini e via Simintendi con la demolizione del lanificio Pacini (i.f. = 6,81- a.1968) e tra viale Montegrappa e via Frà Bartolomeo con la demolizione della fabbrica Fiorelli – Parricchi (i.f.=5,37 – a.1971).Tra gli interventi segnalati, che generalmente comportano la demolizione di fabbriche preesistenti, inseriamo anche quello progettato a margine di viale V. Veneto da Italo Gamberini, che pur ricadendo in area destinata alla ristrutturazione dal PdF ’61, risul-ta all’epoca inedificata.

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Il progetto in questione va comunque citato, in quanto costituisce il prototipo tipologico di altre realizzazioni dello stesso decennio, che pur gravate da elevati volumi, si integra-no positivamente con la città, aprendosi al piano terreno con ampi porticati e attraversa-menti pedonali, che favoriscono l’integrazione con il contesto urbano circostante.Negli anni ’60 anche nel centro storico vengono compiute importanti operazioni di sostituzione edilizia nelle aree occupate dai vecchi opifici.Agli inizi del decennio vengono demoliti i fabbricati industriali all’angolo fra via S. Giorgio e via Cavallotti, senza risparmiare la storica chiesa del dismesso monastero di S. Giorgio, per realizzare un complesso direzionale e commerciale (i.f.= 7,36 – a. 1960) dalla tipologia eccessivamente rigida rispetto al contesto urbano circostante.Nel periodo di formazione del PRG Marconi (1964) la zona di ristrutturazione già pre-vista nel PdF ’61, a sud delle mura magistrali, viene ampliata anche all’interno del centro storico, nel quadrante compreso tra via Frascati e viale Piave. Nell’ambito di questa previsione, a metà degli anni ’60, viene demolita l’antica fabbri-ca Fiorelli per sostituirla con l’edificio direzionale commerciale già sede della bibliote-ca Lazzerini (i.f. = 8,15 – a.1964).

L’ANTICA FABBRICA FIORELLI FABBRICA FIORELLI NEI PRIMI ANNI ’60 Via del Ceppo Vecchio Via del Ceppo Vecchio

FABBRICA FIORELLI NEGLI ANNI ’40 INTERVENTO DI SOST. EDILIZIAVia del Ceppo Vecchio Dir/Com.(1964). Via del Ceppo Vecchio E’ interessante infine evidenziare come l’insieme degli interventi, realizzati negli anni ’60, pur caratterizzati da un evidente interesse privatistico, favorito dall’elevato indice fondiario e dall’assoluta mancanza di adeguati standard urbanistici di supporto, costi-tuiscono comunque un’interpretazione diffusa e condivisa di un modello di sviluppo e di trasformazione della città fabbrica.

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IL PIANO MARCONI (1961-1964): L’ORDINE RAZIONALISTA

Gli anni ’60 si aprono con la breve esperienza dell’importante e già citato Piano di Fab-bricazione, redatto nel 1961 dall’Ufficio Tecnico comunale. Tale Piano non viene per-fezionato, in quanto contestato da numerosi proprietari immobiliari per la riduzione delle aree edificabili rispetto a quelle già previste nel precedente Piano Savioli. L’incarico del nuovo Piano viene allora affidato a Marconi, che provvede sollecitamen-te alla redazione di un ulteriore Piano di Fabbricazione (1963), necessario all’epoca anche come supporto ai Programmi dell’ Edilizia Economica e Popolare previsti dalla legge 167/62.

PIANO DI FABBRICAZIONE P. MARCONI (1963)

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Nell’anno successivo Marconi redige un nuovo Piano Regolatore che, per quanto con-cerne le aree di ristrutturazione, conferma l’impostazione del precedente PdF. Tale Pia-no sebbene adottato nel 1964 viene approvato solo nel 1971, dando luogo dal 1967 in poi ad un vuoto normativo per la decadenza delle norme di salvaguardia.Marconi nell’analisi preventiva della situazione urbanistica, che all’epoca caratterizza il territorio pratese, non usa mezzi termini nel definirla “…un disordine edilizio deplo-revole…” in quanto caratterizzata da un “…groviglio incoerente di piccole strade, di fabbricati industriali e di edifici di abitazione l’un l’altro frammischiati, nel cui ambito è…estremamente difficile stabilire la trama di un Piano Regolatore.”6 L’urbanista romano, pur riconoscendo “…che l’organizzazione del lavoro in aziende artigianali a livello familiare è rispondente a quel particolarissimo tipo di industrie tessili che si è prodotto a Prato in funzione di antiche tradizioni e economie; e che an-che oggi tale organizzazione è congeniale con le consuetudini psicologiche di buona parte del popolo pratese…è pur vero che anche per esse potevano essere reperiti validi schemi di organizzazione urbanistica e edilizia…”7. La riorganizzazione urbanistica proposta da Marconi consiste nella preventiva predi-sposizione di aree industriali nell’estensione necessaria, non solo per accogliere inse-diamenti di nuove iniziative imprenditoriali ma soprattutto per rendere possibile il trasferimento degli opifici esistenti nella zona centrale della città.A tal fine il nuovo Piano, riprendendo le limitate indicazioni che Savioli aveva dato per la localizzazione delle sole industrie nocive a sud della nuova autostrada, configura in tali aree grandi zone industriali per una superficie di 500 ettari, dotate di una propria armatura viaria, indipendente da quella cittadina ma collegata a quella intercomunale.Tali zone definite “Macrolotti”, rendendo possibile il trasferimento delle industrie pre-senti nella città, favoriscono e incentivano la riabilitazione urbanistica delle aree di ristrutturazione proposte, ove su un’estensione complessiva di 280 ettari sono “...fram-mischiate alle abitazioni in modo difficilmente identificabile con precisione dal punto di vista metrico, industrie medie e piccole...”8. L’attuazione delle previsioni di ristrutturazione del Piano Marconi, risulterà difficile per due motivazioni prevalenti:- Gli interventi edificatori, soprattutto nella fascia adiacente al centro storico, vengono

condizionati dalla predisposizione di Piani Particolareggiati o Piani di Lottizzazione consensuali, con l’obbligo di adeguare la viabilità di supporto.

Tale condizione non si rivela all’epoca facilmente superabile per la complessità for-male degli strumenti attuativi proposti e per l’eccessivo frazionamento della pro-prietà immobiliare interessata.

- La condizione della preventiva formazione di Piani Particolareggiati o di Lottizza-zione, che viene prevista anche per le aree di espansione, viene per queste invece soppressa in sede di approvazione del PRG, incentivando i nuovi interventi edilizi nelle aree libere, soprattutto a margine della viabilità esistente.

L’Amministrazione comunale trovò all’epoca estrema difficoltà a sostenere la propo-sta di Marconi di realizzare i Macrolotti a sud della Declassata, in quanto nello stesso periodo gli autori del progetto del Piano Intercomunale Fiorentino, pur consapevoli dell’eccezionale sviluppo dell’industria pratese, pretendevano di minimizzarlo, pro-ponendo oltretutto di trasferire parte dei nuovi impianti produttivi nei comuni limi-trofi, senza definirne peraltro metodi e mezzi di attuazione.

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PIANO INTERCOMUNALE FIORENTINO - 1965

Tale richiesta derivava in realtà la sua motivazione principale dal voler salvaguarda-re il modello del tutto teorico del sistema lineare Prato-Firenze-Pistoia, che nel suo impianto dogmatico pretendeva di schiacciare l’espansione della città di Prato nella fascia dei 2 Km. dall’asse di scorrimento della declassata, cassando in tal modo quei Macrolotti che Marconi considerava strumento indispensabile per dare ordine al terri-torio pratese.

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IL PIANO SOZZI – SOMIGLI (1957 - 1981): LA POLITICA DEI TRASFERIMENTI

Il Piano Sozzi e Somigli sostanzialmente riproduce la configurazione urbanistica del PRG Marconi, apportando alcune riduzioni alle previsioni insediative residenziali, ma lasciando praticamente inalterata l’ubicazione e la consistenza edilizia dei grandi Ma-crolotti previsti dal Piano precedente. La soppressione del terzo polo originariamente previsto ad ovest di Iolo, viene effet-tuata in sede di approvazione del PRG, dalla Regione Toscana,. Per quanto il Piano Marconi sia approvato già dal 1971, le previsioni dei nuovi Macro-lotti tardano a tradursi in realtà: il progetto esecutivo del Macrolotto 1 viene approvato solo nel 1975, mentre si dovrà attendere il 1990 per l’approvazione, almeno nella prima versione, del Macrolotto 2.

IL PIANO SOZZI E SOMIGLI (1981) Le aree di ristrutturazione urbanistica

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Il Piano Sozzi e Somigli, pur non apportando sostanziali novità all’impianto struttura-le del precedente PRG Marconi, si fa comunque carico di predisporre norme e proce-dimenti per facilitarne l’attuazione, cercando soprattutto di agevolare il trasferimento nei Macrolotti delle aziende presenti nelle zone centrali della città.A differenza del Piano Marconi, che prevedeva due grandi e indifferenziate zone di ristrutturazione urbanistica al margine esterno del centro storico, il Piano Sozzi – So-migli individua 194 aree, distribuite sul territorio a macchia di leopardo, per una su-perficie complessiva di quasi un milione di metri quadri.Al fine di incentivare gli interventi edilizi viene concesso a quelle zone l’ elevato indice di fabbricabilità di 4 mc/mq. L’ autorizzazione dei progetti di ristrutturazione viene rilasciata tramite PUM (Proget-to Unitario di Massima), vera e propria invenzione urbanistica che nella sua snellezza procedurale intende evitare l’eccessiva rigidità del Piano di Recupero.L’Amministrazione comunale istituisce inoltre una società mista pubblico-privata (Co.Ge.Tra.) con la finalità di coordinare e facilitare le varie operazioni di trasferimento e predispone nel Macrolotto 2 un parco di aree a prezzo calmierato, destinate ad acco-gliere le industrie inquinanti e localizzate in sede impropria.Questi ultimi due provvedimenti trovano scarsa accoglienza da parte dell’imprendito-ria locale, da sempre caratterizzata da una gestione fortemente individualista e restia ad accettare partecipazioni esterne.I risultati urbanistici dei Piani Attuativi, realizzati nel periodo del Piano Sozzi e Somi-gli, tramite i PUM, sono stati oggetto di valutazioni non sempre positive per le motiva-zioni di seguito sinteticamente ricordate:- Le zone di ristrutturazione, se pure ubicate in aree urbane con caratteristiche mor-

fologiche diverse, vengono comunque disciplinate con parametri edilizi uniformi, senza tener conto dei contesti edilizi di riferimento. In sostanza queste zone che avrebbero dovuto essere destinate alla riabilitazione urbana, vengono invece consi-derate come vere e proprie isole di espansione, ritagliate nella città densa ma rispet-to a questa decontestualizzate.

PUM 31, Via Tevere – Via Montalese (1989)

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PUM 3, Via Zarini – Via Venezia (1990)

- L’indice massimo ammesso risulta solo teoricamente di 4 mc/mq, mentre in real-tà essendo esteso all’intero lotto urbanistico comprensivo delle aree da destinare a standard, risulta generalmente uguale o superiore a 6 mc/mq.

Gli standard urbanistici, essendo generalmente ricavati in zone marginali, hanno una dimensione minima con caratteristiche formali e funzionali di uso privatistico.

- Nella prassi gestionale gran parte dei progetti redatti secondo la disciplina sopra indicata, che rende possibili interventi anche parziali, risentono dell’interesse della proprietà ad attivarsi solo nelle parti pertinenziali inedificate o parzialmente edifica-te e comunque ove l’indice ammesso supera la volumetria esistente.

I PIANI DI RECUPERO NELLA ZONA DI VIA DELLA ROMITA (anni ’90)

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I PdR che vengono introdotti con la variante organica del ’90, al fine di disciplinare i piani attuativi con le convenzioni necessarie per la definizione degli oneri e delle opere pubbliche di supporto, hanno conseguito risultati urbanistici assai diversi.Quelli di minore consistenza riproducono le problematiche dei PUM con situazioni di mancata integrazione con i contesti urbani adiacenti, soprattutto se quest’ ultimi pre-sentano tipologie di bassa densità e di altezza modesta.Più interessanti risultano alcune soluzioni progettuali dei PdR, con superficie perti-nenziale estesa, che rende possibile la realizzazione di complessi edilizi a corte, ove all’interno ampi spazi a verde, pur nella tipologia condominiale, richiamano il concet-to della piazza tradizionale.L’insieme di questi interventi finisce però col favorire uno sviluppo urbano per succes-sione ripetitiva di moduli episodici ed autoreferenti, che generalmente mostrano una modesta correlazione con il tessuto urbano circostante.

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IL PIANO SECCHI (1993-1996): LA MIXITE’

Il Piano redatto da B. Secchi rivaluta e considera di grande interesse l’assetto urbani-stico, che si è stratificato nel dopoguerra all’esterno della cerchia murata, nonostante quella confusione organizzata tra residenza e industria, dal progettista definita con il termine di mixitè. Tale definizione viene preferita a quella di “città fabbrica” in quanto meglio identifica il grado di fusione tra luoghi di lavoro e luoghi di residenza in tante parti della città.9

Questa frammistione tra edifici residenziali e produttivi, che nel Piano Savioli veniva accettata come stato di necessità per lo sviluppo industriale e che era stata drastica-mente rifiutata prima da Marconi e poi da Sozzi e Somigli e pertanto destinata a estese operazioni di sostituzione edilizia, nel Piano Secchi viene considerata come la vera identità urbanistica della città, meritevole di essere salvaguardata, sia pure con opera-zioni selettive di miglioramento.Quel tessuto edilizio, pur presentando discontinuità e incongruenze sia funzionali che formali, viene considerato dal progettista del Piano come un sistema morfologicamen-te unitario ed omogeneo, suscettibile di riabilitazione urbanistica nel rispetto del prin-cipio insediativo esistente.

PIANO STRUTTURALE B. SECCHI (1997)Statuto dei luoghi: predisposizione delle aree alla trasformazione

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Una eventuale trasformazione di questo tessuto, attuata sulla base dei tradizionali canoni di valutazione, comporterebbe infatti, secondo il progettista, una diffusa so-stituzione edilizia con la trasformazione di Prato in una”…grande e anonima perife-ria…”,10 simile a quella di tante altre città, con la perdita di quei caratteri che ne fanno una città unica.Questa convinzione viene avvalorata dagli insufficienti risultati urbanistici prodotti dai Piani attuativi PUM e PdR, redatti sulla base del precedente PRG, nei quali si evi-denzia una generale carenza di spazi pubblici ed un’impostazione progettuale indiffe-rente o più spesso contrastante con il tessuto edilizio circostante. La metodologia di riabilitazione urbanistica proposta da Secchi differisce profonda-mente da quella dei precedenti progettisti Marconi e Sozzi-Somigli, in quanto, mentre questi ultimi propongono operazioni di riabilitazione urbanistica in aree specifiche e distinte e pertanto con risultati discontinui e non correlati, Secchi imposta il Piano di trasformazione guardando alla città nel suo insieme.

REGOLAMENTO URBANISTICO B. SECCHI (1999)Conservazione e trasformazione degli edifici produttivi

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Nel nuovo Piano l’intero tessuto urbanistico, che all’attualità si presenta eccessiva-mente uniforme e ripetitivo, ritrova una sua nuova identità tramite il supporto struttu-rale degli schemi direttori che come nervature di una foglia sorreggono l’intero tessuto urbano e ne definiscono un’immagine complessiva più riconoscibile, sia nelle direttrici lineari della grande viabilità, sia nei luoghi centrali come i parchi e le frazioni.Nelle aree più degradate o morfologicamente incongrue la ristrutturazione urbanistica viene finalizzata a prefigurare nuovi assetti edilizi sempre correlati con l’impianto ur-bano complessivo, al fine di ridisegnare nuovi brani di città con questo compatibili.

PIANO DI RECUPERO - Via dei Gobbi - Via F. Filzi (2003)

La trasformazione complessiva della città non viene delegata soltanto a singoli episodi urbanistici come nel precedente PRG di Sozzi e Somigli ma, tramite lo strumento del regolamento urbanistico, viene estesa all’intero tessuto connettivo con la proposta di una nuova ricomposizione formale dei contesti edilizi, da attuare secondo precise in-dicazioni di nuove altezze e nuovi allineamenti e specifici parametri fondiari. L’intera operazione di riabilitazione urbana presuppone comunque il mantenimento del principio insediativo della città, conservando per quanto possibile l’immagine del-la città fabbrica.Questa impostazione di trasformazione urbanistica, che presuppone un processo ge-stionale lento e graduale, trova giustificazione nel fatto che, all’epoca della elaborazione del Piano, la dismissione delle aziende tessili non aveva assunto le proporzioni attuali, prevalendo ancora la sensazione che Prato dovesse continuare a convivere per molto tempo con le industrie anche nelle zone centrali e per conseguenza con la mixitè.11

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LA VARIANTE DEL 2007 AL R.U.: INTRODUZIONE DEL PARAMETRO Slp

La traduzione gestionale del progetto urbanistico del PRG Secchi, pur nella sua impo-stazione innovativa e originale, non ha riportato nella pratica attuativa gli esiti sperati, per l’endemica insufficienza di una normativa a prevalente carattere di indirizzo, che si è rivelata permeabile a interpretazioni diverse, soprattutto nell’ambito dei progetti di modifica dell’edilizia esistente.Mentre nell’ impostazione originale del Piano gli interventi da attuare tramite ristrut-turazione non vengono considerati capaci di assorbire un maggior carico insediativo, come è desumibile dalle stime di fabbisogno riportate nella Relazione di Piano,12 nella prassi della produzione edilizia gli operatori hanno ritenuto spesso conveniente pro-cedere a interventi di riconversione residenziale degli edifici produttivi destinati alla ristrutturazione, per le implicite potenzialità di maggiore utilizzazione dei volumi esistenti.

INTERVENTO DI RISTRUTTURAZIONE INTERVENTO DI RISTRUTTURAZIONE(art. 23 RU) Via Marini (art. 23 RU) Via Marianna Nistri

INTERVENTO DI RISTRUTTURAZIONE INTERVENTO DI RISTRUTTURAZIONE(art. 23 RU) Via Bologna (art. 23 RU) Piazza del Mercato nuovo

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Questo processo viene incentivato dalla evoluzione normativa in merito al tipo di in-tervento di ristrutturazione, che già con la Legge Regionale 52/99 rende possibile la demolizione e la successiva fedele ricostruzione di un fabbricato e che sostanzialmente viene poi recepito nella legge regionale 1/2005, ove all’art. 79 lo stesso tipo di interven-to include anche “… le demolizioni con fedele ricostruzione degli edifici, intendendo per fedele ricostruzione quella realizzata con gli stessi materiali o con materiali analo-ghi… nonché nella stessa collocazione e con lo stesso ingombro planivolumetrico…” Tale principio, applicato alla normativa del Regolamento Urbanistico locale, ha reso possibile attuare la ristrutturazione edilizia con opere di demolizione e ricostruzione in sagoma, riproducendo l’involucro edilizio iniziale ma ottenendo tramite l’inseri-mento di interpiani, una maggiore superficie di calpestio con conseguente aumento del carico urbanistico.Sono ascrivibili a questo periodo numerosi progetti, che si caratterizzano per le distri-buzioni interne non ottimali e che generalmente, rimanendo condizionati dall’obbli-go del mantenimento della sagoma esterna, presentano soluzioni formali non sempre convincenti.L’Amministrazione comunale nel 2007, con la modifica della norma relativa alla “Ri-strutturazione edilizia in sagoma”, approva una nuova disciplina per la conversione residenziale degli edifici industriali, ove il parametro del volume viene sostituito con quello della superficie lorda di calpestio (S.l.p.).Tale fondamentale innovazione cambia notevolmente il carattere degli interventi che per le minori dimensioni ammesse migliora l’assetto tipologico, facilitando contestual-mente il reperimento delle aree a standard, senza dover ricorrere completamente alla monetizzazione. Con lo stesso provvedimento si rende inoltre possibile il superamento del vincolo del-la ricostruzione in sagoma, permettendo di conseguire un migliore posizionamento degli edifici all’interno dell’area di intervento e una migliore qualità formale dei pro-getti prodotti.Si deve comunque far presente che la variante al RU pur risolvendo le problematiche relative alla ristrutturazione degli edifici tramite la sostituzione dell’originale parame-tro volumetrico con quello relativo alla superficie di calpestio, rimane tuttavia ancora insufficiente per governare efficacemente la trasformazione dell’edificato urbano.

PROGETTO DI RISTRUTTURAZIONE (art. 23 c. 6 bis) Via Paolo dell’Abbaco

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PROGETTO DI RISTRUTTURAZIONE (art. 23 com. 6 bis) Via Bologna, Viale f.lli Cervi

L’applicazione della norma citata comporta infatti la riproduzione, sia pure in propor-zioni volumetriche ridotte, degli ingombri esistenti realizzati secondo logiche e moda-lità proprie della tipologia e delle funzioni dell’ industria tessile. Pertanto è necessario che il nuovo Piano Urbanistico articoli l’attuale disciplina dell’art. 23 comma 6/bis sulla base dei diversi ambiti territoriali di riferimento, recuperando la metodologia proposta da Secchi.

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CONSIDERAZIONI DI SINTESI

L’interesse ad una rilettura complessiva della città è oggi particolarmente sentito per il diverso scenario socio economico entro il quale la vita della comunità si va rapida-mente trasformando. L’urbanistica non può sempre ridursi ad una semplice operazione di aggiornamento degli strumenti di pianificazione vigente ma, come ricorda Secchi, “…deve consen-tire la costruzione di scenari per un futuro possibile…”13. Una costruzione che deve essere fatta con idee complessive della città e non già, come avviene oggi, con proposte di singole ed episodiche architetture.L’opportunità di una revisione dell’impianto morfologico delle molte zone produt-tive, realizzate nella seconda metà del secolo scorso all’interno della città, in un arco temporale estremamente breve e con funzioni di immediata utilizzazione, è avvalo-rata dalla ricognizione delle aree industriali effettuata nel 2006 dal gruppo di ricer-catori coordinato dall’arch. D. Campolmi.Tale ricerca ha evidenziato come oltre la metà delle aree produttive censite, attual-mente presenti nella parte centrale della città, oltre ad avere scarso interesse archi-tettonico e/o tipologico, necessitano di interventi di ristrutturazione pesante e di sostituzione edilizia per una ricomposizione urbanistica che prefiguri una migliore qualità prestazionale e formale. Questa operazione di rilettura di gran parte dell’impianto urbanistico della città esistente, viene inoltre sollecitata per la faticosa esperienza nella gestione del Piano vigente, che ha comportato il frequente ricorso a varianti puntuali per risolvere spe-cifici problemi, riducendo la necessaria attenzione a una corretta gestione comples-siva del territorio. Una eventuale proposta di variazione dell’attuale tessuto urbanistico deve essere preventivamente anticipata da una rigorosa analisi degli ambiti territoriali interes-sati, per tutelare eventuali contesti ove il principio insediativo ha la caratura di inva-riante strutturale di supporto alle possibili trasformazioni urbanistiche.Nella fase successiva della definizione regolamentare sarà possibile procedere ad una corretta applicazione dell’art 23.6 bis, articolando i parametri attuativi con spe-cifico riferimento alle caratteristiche morfologiche delle zone interessate. La disciplina degli interventi potrà ulteriormente essere precisata recuperando, come già esposto, la metodologia di Secchi nella definizione delle modalità di attuazione, con specifici e compatibili parametri edilizi.Nell’ambito di questo programma di lavoro, si ripropone la necessità di approfon-dire gli indirizzi formulati nell’art. 52 del PTC 2008, che in riferimento alle aree pro-duttive dismesse sollecita i Comuni ad agevolare “… prioritariamente il permanere della funzione industriale nelle aree dismesse e la loro riqualificazione e riconver-sione produttiva…”Tale asserzione, che persegue l’obiettivo del PIT di “… svilup-pare e consolidare la presenza industriale in Toscana …”14 dovrebbe nella realtà del tutto specifica di Prato, trovare un’articolazione più complessa, per non ostacolare ulteriormente il necessario rinnovamento urbanistico di tante parti della città oggi degradate o comunque con prestazioni formali e funzionali insufficienti.

LA CONSERVAZIONE DELLE FABBRICHE DI VALORE STORICO ARCHITETTONICO

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LA CITTÀ ABBANDONATA E LA CITTÀ POSSIBILE

Agli inizi degli anni ’80, quando molti degli edifici industriali importanti sono stati or-mai demoliti e sostituiti con edifici anonimi e ripetitivi, si avverte nella cultura pratese una prima presa di coscienza sulla necessità di tutelare gli impianti produttivi storici presenti in città.Nel 1985, in occasione di una mostra dedicata ai “Luoghi del lavoro”, viene presentato un importante catalogo relativo a 16 opifici tessili, costruiti nel periodo compreso tra la fine dell’800 e la seconda guerra mondiale, che per dimensione e architettura rappre-sentano il simbolo di un’epoca e di una città.La pubblicazione, con l’eloquente titolo “La città abbandonata”, è prevalentemente finalizzata ad una ricognizione sull’archeologia industriale, svolta da un gruppo di ricercatori coordinati dal prof. A. Breschi della facoltà di Architettura di Firenze, con lo scopo di fermare la memoria di importanti manufatti edilizi nell’originale impianto strutturale e tipologico.

LA CITTÀ ABBANDONATA - Breschi ed altri. (1985) I 16 opifici tessili esaminati

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Questa ricerca viene data alla stampa proprio nel periodo in cui si avvertono i primi segnali di crisi del tradizionale modello produttivo pratese, in uno scenario congiuntu-rale non più favorevole all’economia locale, che accelera il processo di dismissione di opifici anche importanti nella zona centrale della città, per operazioni di sostituzione edilizia soprattutto a destinazione residenziale. Dopo questa prima ricognizione lo stesso gruppo di lavoro, anche su sollecitazione dell’Amministrazione comunale, si propone di approfondire il tema del riuso di alcu-ne delle fabbriche storiche censite nel catalogo, per verificare la possibilità di una riabi-litazione edilizia di queste, ai fini di un reinserimento funzionale nel contesto urbano.Questa seconda ricerca, che viene pubblicata nel 1991 con il titolo “La città possibile”, trova i suoi limiti in una eccessiva preoccupazione da parte degli autori, nel voler produrre ipotesi progettuali economicamente competitive sul mercato immobiliare e pertanto impostate sulla base di elevati indici di fabbricazione.

LA CITTÀ POSSIBILE – Breschi ed altri. (1991) Progetto di riuso della fabbrica La Romita. Schema di trasformazione e prospetti

STATO ATTUALE

DEMOLIZIONIPROGETTO

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Lo studio si basa sulla considerazione iniziale che “…il confronto con l’ altezza degli anonimi edifici condominiali all’intorno rendeva impercettibile la presenza volume-trica delle fabbriche esaminate…” Di qui la necessità di proporre progetti “…di una densità architettonica che supera in molti casi i limiti normativi del Piano, ma che pure resta l’unica via percorribile per realizzare il loro destino rappresentativo del loro riuso e insieme conservarne creativamente la memoria.”15 Sulla base di questa discutibile impostazione, i quattro edifici oggetto di studio nella nuova ricerca, non vengono più esaminati ai soli fini della conservazione della memo-ria storica, ma diventano pretesto di una vera e propria invenzione progettuale, che comporta una sorta di “ruderizzazione” delle antiche fabbriche sulle quali si innestano nuovi progetti con caratteristiche formali e funzionali tipiche dell’edilizia tradizionale, vanificando pertanto l’assunto iniziale di conservarne l’impianto storico. Restando nell’ ambito della ricerca sulla riabilitazione edilizia degli opifici storici, dob-biamo segnalare lo studio dell’arch. Anna Conti, pubblicato nel 1992 in occasione del-la mostra “Architetture sovrapposte”, organizzata dal Co.Ge.Tra. al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci. Di grande rilievo sono i progetti elaborati da A. Conti per la rifinizione Caverni e per i lanifici Cecchi e Marini-Cecconi. Le funzioni previste nella progettazione degli edifici prescelti offrono un ventaglio delle potenzialità di uti-lizzazioni diverse per destinazioni sia residenziali che commerciali, integrate a quelle collettive come impianti sportivi e ambienti per la cultura e lo svago.

ARCHITETTURE SOVRAPPOSTE – A. Conti.(1992) Progetto riconversione rifinizione Caverni

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L’obiettivo alla base della progettazione è quello di dimostrare come il recupero degli edifici, costruiti per la produzione, non debba essere necessariamente sottoposto a ra-dicali interventi di sostituzione edilizia e neppure essere limitato alla realizzazione di ambienti particolari come i “loft”, ma che possono essere realizzate anche strutture con funzionalità complesse di uso tradizionale e al tempo stesso di elevata qualità.I progetti di A. Conti, purtroppo mai realizzati, rimangono ancora oggi una delle ri-cerche più interessanti sulla riconversione degli antichi edifici produttivi, poiché non deformano l’originario guscio edilizio, ma rendono compatibile la coesistenza della nuova utilizzazione con la memoria formale di questi simboli del lavoro pratese.Chiudiamo questa breve rassegna sul tema del riuso delle fabbriche storiche citando una recente tesi di laurea (a.a. 2007/2008), relativa al recupero di una fabbrica ubicata nella zona centrale della frazione di S. Giusto.16

FACCIATA FABBRICA (corpo B) COPERTURA A VOLTA. (corpo A)Via San Giusto Struttura in elementi prefabbricati in c.a.

SCHEMA DELL’INTERVENTO SULL’IMMOBILE

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L’edificio industriale è composto da due blocchi dei quali quello prospiciente la viabi-lità (B) è di tipologia tradizionale mentre il blocco interno (A) risulta di grande interes-se soprattutto per la struttura della copertura fortemente innovativa, attribuita come opera giovanile a Pier Luigi Nervi.Il progetto di riuso propone la conservazione della facciata e della copertura del blocco B, operando all’interno con una libera composizione modulare per la realizzazione di nuovi appartamenti, mentre per il blocco A viene proposta la conservazione rigorosa ma astratta della struttura portante, all’interno di una sorta di teca di vetro che costitu-isce il contenitore quasi metafisico per le nuove funzioni.

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LA RICOGNIZIONE DELLE AREE PRODUTTIVE (2006)

Nell’anno 2006 un gruppo di ricercatori, coordinato dall’arch. Daniela Campolmi, ha portato a termine una meticolosa ricognizione delle aree produttive, all’epoca ancora esistenti, situate all’interno della città densa, al fine di valutarne la predisposizione alla trasformazione urbana.La ricerca parte dal presupposto che il corretto riuso delle aree produttive rappresenta “…una delle questioni di maggior importanza per il futuro della città, che ha assunto e assumerà un ruolo determinante nelle operazioni di trasformazione e riqualificazione urbana e nella costruzione di nuove politiche urbanistiche…”17

RICOGNIZIONE AREE PRODUTTIVE (2006). Classificazione degli insediamenti produttivi

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La ricognizione, basandosi sul rilievo delle aree industriali svolto direttamente sul ter-ritorio, cerca di costruire una proposta gestionale adeguata alle diverse situazioni ur-bane e pur perseguendo la salvaguardia di quegli opifici che hanno fatto la storia della città nel secolo scorso, identifica anche gli impianti produttivi il cui modesto interesse strutturale e formale giustifica interventi finalizzati al rinnovamento edilizio.La ricerca individua due grandi categorie di fabbriche da salvaguardare: quelle ap-partenenti alla cosiddetta archeologia industriale, realizzate nella fase iniziale della produzione tessile pratese, tra la seconda metà dell’800 e i primi decenni del ‘900 e quelle di rilevante interesse documentale, realizzate nel secondo dopoguerra, situate per la maggior parte lungo le principali vie di accesso alla città come via Valentini, via Ferrucci e viale Montegrappa. La prima categoria, a seguito delle numerose sostituzioni edilizie, è ormai ridotta solo a 19 fabbriche (Campolmi, Ciabatti, Calamai, ecc.) per una superficie complessiva di circa mq. 188.000, ma anche quelle di maggiore rilievo appartenenti alla seconda ca-tegoria, meritevoli di conservazione,(Affortunati, Sanesi, Bruschi, Nannicini, ecc.) co-prono una superficie sostanzialmente uguale di mq. 184.000.Complessivamente le fabbriche che la ricerca propone di salvaguardare nell’impianto tipologico e strutturale originario, rappresentano una quota inferiore al 20% rispetto alla superficie complessiva delle aree produttive all’interno della città densa.

CATEGORIA 1 - Fabbrica Calamai CATEGORIA 1 - Fabbrica Ciabatti Via C. Battisti

CATEGORIA2 - Fabbrica Sanesi - Via Ferrucci CATEGORIA 2 - Fabbrica Affortunati Via Bologna

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Solo per queste due categorie di edifici si prospettano operazioni di adeguamento fun-zionale nel cambio di destinazione, con la contestuale rigorosa conservazione degli elementi architettonici originari.Per la terza categoria, relativa ad edifici con impianto seriale, che rappresentano inte-resse nel rapporto spaziale con il contesto edilizio circostante, si prospetta l’adegua-mento funzionale, realizzabile anche con interventi di ristrutturazione pesante, pur mantenendo il preesistente impianto tipologico.In particolare, per quanto riguarda i capannoni seriali di piccole dimensioni, si evi-denzia l’elevato grado di suggestione nell’evocare la memoria della città fabbrica e al tempo stesso la grande flessibilità nell’eventuale riconversione funzionale.

CATEGORIA 3a – Via Ariosto CATEGORIA 3a – Via Mameli

Per la quarta e quinta categoria, relative ad edifici di minor interesse edilizio urbani-stico, ma che complessivamente rappresentano oltre la metà delle aree produttive esa-minate, si ritengono ammissibili interventi di ristrutturazione pesante fino ad arrivare alla sostituzione edilizia per la ricomposizione morfologica nell’ambito dei contesti urbani interessati.

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LA RICONVERSIONE FUNZIONALE DELLE FABBRICHE STORICHE

Nelle operazioni di riconversione funzionale delle fabbriche storiche sono da ritenersi generalmente positivi gli interventi edilizi per destinazioni d’uso collettivo, sia per servizi, non necessariamente pubblici, sia per l’utilizzo direzionale e/o commerciale. L’inserimento di funzioni di uso collettivo all’interno degli storici opifici, oltre a favo-rire la conservazione dell’impianto originario, rende possibile l’interazione di queste crisalidi di lavoro tessile con l’impianto urbano di appartenenza. Notevole risulta ormai l’elenco di progetti di corretta trasformazione di molti edifici produttivi redatti nei termini sopra indicati.L’esempio più rilevante è dato dall’intervento pubblico sulla fabbrica Campolmi, ove l’antico involucro accoglie oggi importanti funzioni pubbliche come il Museo del Tes-suto e la biblioteca Lazzerini, esaltando la qualità e l’immagine di questi servizi.Tra i primi interventi di trasformazione funzionale attuati da privati, ricordiamo quello di Prato City su via Valentini, realizzato alla metà degli anni ’80 con la ristrutturazione della fabbrica Befani.

FABBRICA BEFANI – Via Valentini (1960)

PRATO CITY – Via Valentini

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E’ opportuno evidenziare che in questa operazione di ristrutturazione di un edificio industriale forse prevale l’interesse al riutilizzo della preesistente e possente struttura in cemento armato per una nuova e pregevole invenzione progettuale, piuttosto che la conservazione della storica fabbrica la cui memoria rimane sostanzialmente affidata all’impianto a corte, funzionale all’originaria cernita di stracci.Dopo la realizzazione di Prato City sono molteplici gli interventi di riconversione fun-zionale per strutture direzionali o commerciali fra le quali, ricordiamo a titolo esem-plificativo gli edifici che ospitano Confesercenti e negozio Salvadori in via Pomeria (ex fabbrica Michelagnoli); supermercato Penny e uffici professionali in via del Romito (ex fabbrica Scardassi); l’autosalone di via Galcianese (ex lanificio Bruni) e il complesso commerciale di viale della Repubblica (ex fabbrica F. Querci).In linea generale possiamo osservare che nella trasformazione funzionale degli edifici produttivi, soprattutto di piccola e media dimensione, realizzati anche senza il ricorso ad opere edilizie, trovano soluzioni compatibili e auspicabili gli interventi per l’inse-diamento di attività commerciali e artigianali di servizio come autolavaggi, officine e concessionari.La conferma che l’assegnazione di funzioni collettive costituisce la premessa necessa-ria per una corretta riconversione degli edifici produttivi, è documentata anche dagli esiti del “Concorso per Idee” che nel 2007 la Camera di Commercio ha bandito per la

CONFESERCENTI-SALVADORI - Via Pomeria PENNY E UFFICI - Via del Romito

AUTOSALONE - Via Galcianese EDIFICI COMMERCIALI Viale della Repubblica

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nuova sede, da insediare in un interessante edificio produttivo in via del Romito. Tale edificio è stato oggetto di ben 50 simulazioni progettuali, che nella generalità dei casi hanno perseguito l’obiettivo di proporre un edificio rispondente alle esigenze funzio-nali dell’azienda e contestualmente hanno conservato l’impianto tipologico struttura-le, importante per la conservazione della memoria della città fabbrica.

LA FABBRICA ESISTENTE - Via del Romito CONCORSO PER IDEE 2007 (1° classificato)

CONCORSO PER IDEE 2007 (2° classificato) CONCORSO PER IDEE 2007 (3° classificato)

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CONSIDERAZIONI DI SINTESI

Come è stato evidenziato nella ricognizione del 2006, i complessi industriali di rile-vante interesse storico-tipologico, rappresentano una modesta percentuale inferiore al 20% rispetto all’intero parco di edifici produttivi ancora presenti all’interno della città densa, rappresentata prevalentemente dalle fabbriche appartenenti alla catego-ria dell’archeologia industriale, realizzate tra la seconda metà dell’800 e i primi del ‘900 e la categoria della fabbriche principali, realizzate nel secondo dopoguerra al margine delle principali vie d’accesso alla città. E’ evidente che la condizione preliminare per una effettiva conservazione di questi complessi industriali, deve essere preventivamente garantita nel regolamento Urba-nistico tramite una corretta destinazione funzionale, compatibile con gli involucri scatolari degli opifici, che difficilmente possono recepire funzioni come quelle resi-denziali, che comportano un frazionamento eccessivo degli spazi e una conseguente deformazione degli impianti tipologici originari.Tale valutazione trova conferma nei modesti risultati fino ad oggi conseguiti nella pratica progettuale di riconversione residenziale degli edifici industriali. Infatti nella generalità dei casi questi interventi hanno stravolto il carattere iniziale degli impianti esistenti con tagli impropri degli involucri edilizi e/o con l’inserimento di elementi estranei alla tipologia industriale come balconi, finestre, comignoli, ecc.Questa consuetudine progettuale, che pretende di rispettare il tema della memoria della città fabbrica, in realtà si traduce in operazioni di finzione urbana, che ritarda-no possibili e necessarie esperienze di rinnovamento morfologico della città.La questione relativa agli opifici di interesse storico comporta, almeno nell’area pra-tese, la necessità di approfondire i contenuti dell’articolo 46 degli indirizzi del PTC 2008, che nell’eventualità di “…recupero e riutilizzo degli edifici produttivi…” del-le aree miste, privilegia come scelta progettuale la trasformazione “…in residen-za e altre funzioni correlate…”18, quando invece l’esperienza recente ha dimostrato l’astrattezza di tale impostazione metodologica e la modestia dei risultati progettua-li conseguiti.

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NOTE

1 PRG Baroni – 1954, Relazione Generale, pag. 82 PRG Savioli – 1956, Relazione Generale, paragr. L3 PRG Savioli – ibidem4 Unione Industriale Pratese – Circolare n. 26, 19575 Comune di Prato – Nota esplicativa, 27/5/19596 PRG Marconi – 1964, Relazione Generale, pag. 15,287 PRG Marconi – 1964, Relazione Generale, pag. 148 PRG Marconi – 1964, Relazione Generale, pag. 809 Laboratorio Prato PRG, Ed. Alinea, 1996, pag. 10510 Un progetto per Prato, Ed. Alinea, 1996, pag. 18611 Un progetto per Prato, Ed. Alinea, 1996, pag. 17712 Un progetto per Prato, Ed. Alinea, 1996, pagg. 173,17513 Progettando Ing., n. 4/2008, pag. 314 PTC 2008 – Provincia di Prato, Variante di adeguamento NTA art. 5215 La Città Possibile, Ed. Alinea, 1991, Breschi ed altri, pag. 23 16 Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Architettura, a. a. 2007/2008 Laureando A. Proietti Scopetta, Rell. Proff. Tramonti, Canepari, Zola. 17 Ricognizione aree produttive, Comune di Prato, Arch. Daniela Campolmi ed altri, 2006, Relaz. pag. 318 PTC 2008 – Provincia di Prato, Variante di adeguamento NTA art. 46

AVVERTENZA

La presente relazione è stata redatta per analizzare e commentare le diverse fasi della produzione edilizia a Prato, a seguito delle diverse normative prodotte dall’Amministrazione Comunale per le aree miste, dalla metà del secolo scorso ad oggi.La rappresentazione delle immagini di progetti o di proposte progettuali ha pertanto il solo scopo di documentare le risultanze attuative di tali norme.Le foto storiche sono state in prevalenza fornite dall’archivio del Comune di Prato e dall’Archivio fotografico Ran-fagni.

Finito di stampare nel mese di dicembre 2009per conto di Lalli editore srl

da Press Service srl - Osmannoro, Firenze