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1 XXV Convegno SISP Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Studi su Politica, Diritto e Società “Gaetano Mosca” 8 - 10 settembre 2011 Politiche Pubbliche e Metropolizzazione. Il rescaling della pianificazione territoriale tra obiettivi funzionali e obiettivi strutturali. Massimo Allulli * Cittalia - Centro europeo di studi e ricerche per i comuni e le città [email protected] Introduzione. A oltre venti anni di distanza dall’approvazione della Legge 142/1990, le città metropolitane in Italia sono ben lontane dall’essere istituite, e lo stesso dibattito su di esse sembra aver perso salienza nell’agenda della politica nazionale. Esistono invece problemi di scala metropolitana e, in relazione ad essi, politiche pubbliche, processi decisionali e dinamiche conflittuali riconducibili a diversi policy domains. I processi di metropolizzazione, come sottolineato da Merloni (1986) sollevano conflitti cui le dinamiche di rescaling del governo locale sono chiamati a dare veste istituzionale. Se le risposte basate sull’institution building sembrano aver dato luogo a esiti fallimentari non solo in Italia ma nell’insieme dei paesi europei (Lefèvre, 2009), un rilievo crescente sembra interessare la metropolizzazione delle politiche pubbliche. Tra i settori di policy che più di altri sono soggetti a processi di metropolizzazione, le politiche di pianificazione del territorio sembrano offrire un punto di osservazione privilegiato per dare conto del rescaling nel policy making metropolitano, laddove lo spazio si configura come “risorsa competitiva” (Cori, 1999) per le aree urbane e la sua pianificazione assume un valore strategico nel posizionamento delle città nella competizione economica globale. In questo quadro gli strumenti di pianificazione di area vasta già a disposizione dei governi locali assumono un valore cruciale come potenziali strumenti di metropolizzazione delle politiche pubbliche. Quest’ultima può essere praticata dai governi locali con obiettivi di policy differenti: i) gli strumenti di policy possono essere adottati su scala metropolitana con uno scopo funzionale, orientato cioè a dare soluzione a uno specifico problema di policy e ad esaurire il proprio ciclo di vita con esso, ovvero ii) gli stessi strumenti possono essere adottati con obiettivi di natura strutturale, orientati cioè alla istituzionalizzazione della metropolizzazione della politica pubblica, stabilizzando nelle consuetudini e nelle pratiche ordinarie del governo del territorio quella metropolitana come scala di intervento nello spatial planning. La diffusione della pianificazione territoriale attraverso lo strumento dei Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale (anch’esso istituito dalla L.142/1990) è qui rilevante in quanto non si è configurata come mera attribuzione di * Il contenuto di questo paper impegna il solo autore e non l’Istituzione di appartenenza. Un sentito ringraziamento va a Gianluca De Angelis per l’elaborazione cartografica. Il presente testo è un draft, si prega di non citare senza autorizzazione.

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XXV Convegno SISP

Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Studi su Politica, Diritto e Società “Gaetano Mosca”

8 - 10 settembre 2011

Politiche Pubbliche e Metropolizzazione. Il rescaling della pianificazione territoriale tra obiettivi funzionali e obiettivi strutturali.

Massimo Allulli*

Cittalia - Centro europeo di studi e ricerche per i comuni e le città

[email protected]

Introduzione.

A oltre venti anni di distanza dall’approvazione della Legge 142/1990, le città metropolitane in Italia sono ben lontane dall’essere istituite, e lo stesso dibattito su di esse sembra aver perso salienza nell’agenda della politica nazionale. Esistono invece problemi di scala metropolitana e, in relazione ad essi, politiche pubbliche, processi decisionali e dinamiche conflittuali riconducibili a diversi policy domains. I processi di metropolizzazione, come sottolineato da Merloni (1986) sollevano conflitti cui le dinamiche di rescaling del governo locale sono chiamati a dare veste istituzionale. Se le risposte basate sull’institution building sembrano aver dato luogo a esiti fallimentari non solo in Italia ma nell’insieme dei paesi europei (Lefèvre, 2009), un rilievo crescente sembra interessare la metropolizzazione delle politiche pubbliche. Tra i settori di policy che più di altri sono soggetti a processi di metropolizzazione, le politiche di pianificazione del territorio sembrano offrire un punto di osservazione privilegiato per dare conto del rescaling nel policy making metropolitano, laddove lo spazio si configura come “risorsa competitiva” (Cori, 1999) per le aree urbane e la sua pianificazione assume un valore strategico nel posizionamento delle città nella competizione economica globale. In questo quadro gli strumenti di pianificazione di area vasta già a disposizione dei governi locali assumono un valore cruciale come potenziali strumenti di metropolizzazione delle politiche pubbliche. Quest’ultima può essere praticata dai governi locali con obiettivi di policy differenti: i) gli strumenti di policy possono essere adottati su scala metropolitana con uno scopo funzionale, orientato cioè a dare soluzione a uno specifico problema di policy e ad esaurire il proprio ciclo di vita con esso, ovvero ii) gli stessi strumenti possono essere adottati con obiettivi di natura strutturale, orientati cioè alla istituzionalizzazione della metropolizzazione della politica pubblica, stabilizzando nelle consuetudini e nelle pratiche ordinarie del governo del territorio quella metropolitana come scala di intervento nello spatial planning. La diffusione della pianificazione territoriale attraverso lo strumento dei Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale (anch’esso istituito dalla L.142/1990) è qui rilevante in quanto non si è configurata come mera attribuzione di

* Il contenuto di questo paper impegna il solo autore e non l’Istituzione di appartenenza. Un sentito ringraziamento va

a Gianluca De Angelis per l’elaborazione cartografica. Il presente testo è un draft, si prega di non citare senza autorizzazione.

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nuove competenze a livello provinciale, ma come forma di governo di area vasta che ha dato luogo a processi di governance più o meno inclusivi a seconda dei contesti, ma comunque caratterizzati come arene di policy complesse e aperte a una pluralità di attori. In questo paper si prenderanno le mosse dall’analisi di due processi decisionali relativi ai Piani Territoriali delle Province di Roma e Milano e ai loro esiti, per dare conto della natura degli obiettivi (funzionale o strutturale) dell’uso di tale strumento su scala metropolitana, e per avanzare ipotesi circa i fattori che possono determinare l’utilizzo di uno strumento di policy su scala metropolitana con fini strutturali e con l’obiettivo di istituzionalizzare la metropolizzazione della politica di spatial planning. Tali ipotesi saranno elaborate facendo ricorso a due approcci rilevanti nell’analisi dei processi di mutamento istituzionale: i) in primo luogo l’istituzionalismo storico (Steinmo, 2008) -con riferimento ai processi evolutivi propri dei contesti dati per spiegarne le caratteristiche assunte-, e ii) in secondo luogo l’approccio neo-strutturalista (Jessop, 2002, Brenner, 2004), con riferimento alle determinanti socio-economiche degli assetti istituzionali delle politiche locali. i) L’approccio istituzionalista nella sua declinazione storica è qui adottato sulla base della rilevanza del consolidamento di prassi e credenze nel determinare l’evoluzione degli assetti istituzionali e delle politiche pubbliche. si intende qui fare tesoro delle indicazioni di Steinmo (2008) secondo cui “political events happen within a historical context, which has a direct consequence on the decisions or events”. Ne consegue, secondo lo stesso autore, che “in order to understand the specific structure or behavior of an organism or institution, one must explicitly examine it in the ecology or context in which it operates and/or lives” (Steinmo, 2008). La rilevanza della componente contestuale e situazionale (Capano, 2009), vera nell’analisi delle politiche pubbliche in generale, lo è ancor di più nell’oggetto in questione, laddove si è osservata nel tempo una tendenza allomorfica nelle soluzioni adottate su scala locale in risposta ai problemi sollevati dai processi di metropolizzazione (Brenner, 2003), che evidenzia la natura adattiva del mutamento istituzionale e induce quindi a trattare “human social institutions as complex adaptive systems” (Steinmo 2010). ii) L’approccio detto neo-strutturalista a propria volta è qui proposto come utile a dare conto delle interrelazioni esistenti tra variabili di natura sociale ed economica e rescaling della politica (cfr par.1). La rilevanza delle variabili di natura strutturale nell’analisi delle politiche pubbliche è anch’essa generalmente data per scontata nella ricerca sociale. Tuttavia ancora una volta è possibile ipotizzare come questa variabile sia particolarmente adatta a dare conto dei fenomeni di metropolizzazione (delle istituzioni o, com’è il caso in oggetto, delle politiche pubbliche) in quanto, come sottolinea Brenner (2003) “metropolitan governance is today increasingly being mobilized as a mechanism of economic development policy through which national and local politicaleconomic elites are attempting to enhance place-specific socio-economic assets” (p.298). L’approccio neo-strutturalista è qui utile anche perchè in grado di dare conto dell’evoluzione della questione metropolitana nel policy making locale contestualizzandolo entro processi di dimensione macro-economica prescindendo dai quali i mutamenti osservabili nelle tendenze dominanti risulterebbero difficilmente spiegabili. Evidenzia Giersig (2008) come il neo-strutturalismo “recognizes that urban governance has unfolded in diverse and path dependent ways accross Western European countries and regions, but also stresses that a few pan-European trends are detectable in the period of the last few decades” (p.19). Brenner “distinguishes several successive phases of state spatial organization and prevailing urban policies. He holds that for each of these

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periods, urban policies can be characterized by specific constellations of policy actors (…) and major policy goals” (ibidem). In questo quadro, sintetizzano d’Albergo e Moini (2010) “la produzione e il cambiamento delle scale politiche può essere compreso considerando la political

economy dello spazio e delle scale, ossia le relazioni spaziali fra capitale, forza-lavoro, conoscenze e regolazione politica nei processi di accumulazione economica e di riproduzione sociale del capitalismo”. L’ipotesi da cui muove la combinazione dei due approcci è che essa possa essere in grado di fornire elementi esplicativi di livello macro e di livello meso tanto dell’isomorfismo osservabile nei fenomeni di metropolizzazione delle Politiche pubbliche (riconducibili a mutamenti strutturali di livello globale), tanto della varianza individuabile tra le politiche pubbliche prodotte in diversi contesti locali (riconducibile ai processi adattivi cui si richiamano tanto Steinmo quanto Brenner). Lo scopo del paper non è tanto quello di controllare un costrutto ipotetico consolidato quanto piuttosto quello di partire da un’analisi di natura esplorativa di due casi studio per svolgere una funzione generativa di ipotesi maggiormente strutturare e consentire dunque la definizione di una agenda di ricerca che possa nel futuro contribuire a offrire risposte in un campo di studi ancora parzialmente inesplorato nelle scienze politiche e sociali. In questo quadro la scelta dei due casi di Roma e Milano ha seguito un criterio basato sulla possibilità di controllo di alcune macro-variabili. La dimensione strutturale in primo luogo. Si tratta delle due più rilevanti aree metropolitane (prendendo per buoni dati relativi alle rispettive Province) in Italia in termini tanto di estensione territoriale quanto di popolazione residente, quanto di produttività (cfr Tab.1). Si può dunque ipotizzare che la presenza di caratteristiche di natura demografica ed economica non incomparabili possa aver dato luogo a problemi di policy anch’essi adatti a una comparazione. In secondo luogo i due casi consentono di controllare il ruolo della variabile di politics: nei casi qui presi in esame i processi di policy sono stati governati da coalizioni di orientamento analogo, per quanto nel caso di Milano il passaggio elettorale abbia dato luogo a un mutamento nella coalizione di governo (che tuttavia, come si osserverà, non sembra aver dato luogo a un significativo mutamento di policy). La variabile temporale in terzo luogo: in entrambi i casi i processi decisionali sono stati attivati da una disposizione legislativa di livello regionale, ed hanno avuto luogo nel lustro seguito al 2005, consentendo dunque di analizzare fenomeni distinti senza correre i rischi insiti nella presenza i un netto scollamento temporale (tanto più rilevanti considerando la salienza qui attribuita a variabili esogene ai fenomeni presi in esame). Milano Roma Popolazione Residente 3.963.916 4.154.674 Superficie 1.984 Kmq 5.381 Kmq % PIL Nazionale 10% 8,90% Tab.1 Le Province di Roma e Milano (Fonte: Atlante della Competitività delle Province e delle Regioni 2010).

Il paper è organizzato come segue. Nel primo paragrafo si propone una sintetica disanima della letteratura relativa al fenomeno metropolitano e ai problemi e alle soluzioni di policy ad esso relativi. Il secondo paragrafo è dedicato a un approfondimento relativo al campo specifico della pianificazione dello spazio e ai mutamenti che hanno interessato questo policy domain, e a una proposta di concettualizzazione della variabile dipendente di questa analisi e dei relativi indicatori. Il terzo paragrafo è dedicato a una analisi comparativa dei due casi studio e, in ultimo, il quarto paragrafo propone alcune ipotesi esplicative utili a dare conto dalla varianza osservata tra essi.

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1. Problemi della Metropolizzazione e Politiche Pubbliche.

Che i processi di metropolizzazione siano uno dei fenomeni più rilevanti con i quali i governi locali hanno dovuto fare i conti in Europa nell’ultimo trentennio è un dato ampiamente condiviso nella ricerca urbanistica e sociale. Il ruolo e la rilevanza dei governi locali si è andata radicalmente trasformando nel corso degli ultimi due decenni. Brenner (2004) ha dato conto di tale mutamento attraverso il concetto di rescaling politico, definito come: “a search for a new institutional fix characterized by the proliferation of political strategies intended to manage the disruptive supranational, national, regional and local consequences of geoeconomic restructuring”. La tesi qui espressa vede nelle conseguenze dei processi di globalizzazione non già un feonomeno di deterritorializzazione e omoegeinizzazione dei luoghi, ma una riterritorializzazione delle istituzioni statuali e una riscalizzazione delle relazioni politiche sulla base di determinanti di natura socio-economica:

Le nuove modalità del governare si sviluppano in presenza di un processo di rescaling dei problemi e di ridefinizione anche dei confini territoriali entro cui i problemi possono trovare soluzione; globalizzazione, europeizzazione e riforma dello stato keynesiano sono le dinamiche che lo hanno innescato. Cambiano i modi in cui le istituzioni fanno le politiche – forme di regolazione sociale sono oggi anche il mercato e i networks – è ciò significa che cambia il tipo di rapporto fra stato e società, ma non significa che le istituzioni politiche divengono irrilevanti o meno autonome; esse cambiano ruolo più che indebolirsi. (Baldi, Capano, Lizzi, Natali, 2009: p.311)

In questo quadro il livello locale si trova ad assumere un ruolo di rinnovato rilievo nella ricerca comparata, come livello di analisi utile a dare conto di tali trasformazioni nella ridefinizione della sovranità. I processi di metropolizzazione si caratterizzano come un problema di policy complesso e intersettoriale, di fronte al quale i governi di livello locale e nazionale hanno dato nel corso degli anni risposte di policy di natura diversa. Ancora Brenner, come osservato, ha dato conto di due diverse fasi nella evoluzione delle politiche di risposta alla metropolizzazione, dall’autore definite come Standtorpolitik

2: i) politiche di institution building; ii) politiche di governance metropolitana. i) Le politiche di institution building attengono secondo Brenner al periodo compreso tra i

tardi anni ’60 e i primi anni ’70 del Secolo scorso. Esse erano secondo l’autore contestualizzate entro l’espansione del modello capitalistico dominate di natura fordista e keinesiana definito da Jessop (2002) Keynesian Welfare State. È in questo periodo che nell’agenda pubblica dei governi locali in Europa entra la questione metropolitana, tematizzata come risposa a fabbisogni di equità sociale e efficienza nella distribuzione dei servizi, cui dare risposta attraverso il mutamento scalare degli assetti del governo locale. In questa prima fase sono emersi “in conjunction with the expansion of Fordist-Keynesian social engineering projects, debates on metropolitan governance focused predominantly upon the issues of administrative efficiency, local service provision, regional planning and spatial redistribution within the nationally organized macroeconomic policy frameworks of the Keynesian welfare national state” (Brenner, 2003/1; p.300).

2 Standtorpolitik è il termine utilizzato da Brenner per identificare la locational policy, la politica pubblica –cioè-

orientata al posizionamento delle città nell’economia globale.

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ii) Le politiche di scala metropolitana emergono in un periodo successivo, caratterizzato dal superamento del modello Keynesiano e per l’affermarsi di quello che Jessop (2002) ha definito Schumpeterian Workfare Postnational Regime, nel cui quadro “local governments (…) began to mobilize new strategies of endogenous economic development in order to cope with place-specific socio-economic problems” (Brenner, 2003/1; p.300). In questa fase il rescaling politico non è più affidato –sostiene Brenner- tanto a una politica nazionale di riscalizzazione del governo locale, quanto alla produzione di risposte allomorfiche e place based che, pur presentando alcuni tratti in comune (la strategicità, l’integrazione, l’inclusività), tendono ad adattarsi ai contesti locali più che a disposizioni giuridico-formali esogene: “in most western European countries, metropolitan institutional frameworks are no longer being designed according to a single recipe and imposed from above, but are emerging ‘as a product of the system of actors as the process [of institutional reform] unfolds’ (Lefèvre, 1998: 18)” (Brenner, 2003;/1 p.302).

In quella che è stata definita una renaissance of metropolitan regionalism (ibidem), si assiste a un policy making sempre più integrato, strategico e inclusivo. L’idea di integrazione nelle politiche pubbliche, divenuta un “imperativo” (ibidem) negli ultimi due decenni, ha impatti sul policy

making locale laddove, ad esempio, “le politiche di sviluppo locale tendono, quantomeno a livello di intenzioni degli attori di policy, ad allargare il loro contenuto ben oltre le questioni economiche, diventando vere e proprie politiche integrate di rigenerazione e re-indirizzamento complessivo di un territorio” (Baldi, Capano, Lizzi, Natali, 2009: p.332). Le politiche stesse di urbanistica, oggetto di questo studio, sono interessate da un processo integrativo che ne muta la natura, in ragione di una nuova domanda di politiche che “va ben oltre la pianificazione territoriale tradizionale e diventa domanda/necessità di soluzioni complesse di rivitalizzazione delle aree urbane” (ib: p.299; cfr cap.2). L’integrazione delle politiche è strettamente connessa alla diffusione della produzione di piani strategici, nell’ambito dei quali i processi decisionali integrano –appunto- campi e programmi di policy nel produrre una strategia di governo del territorio. Se la pianificazione del territorio si caratterizza infatti prevalentemente come politica regolativa, tra le forme di governo delle aree metropolitane in Europa si è affermata la pianificazione strategica come modello di governance che “cerca di individuare e risolvere questioni controverse” anziché “fissare regole (…), limiti o divieti” (Perulli, 2007; p.110). Pur essendo possibile individuare una grande varietà di piani strategici, e pur essendo la definizione stessa di pianificazione strategica una questione controversa (Camagni e Gibelli, 2005), nella impostazione dominante i piani sono considerati come “un’azione politico-tecnica volontaria rivolta alla costruzione di una coalizione intorno ad alcune linee strategiche condivise (la strategia)” (Mazza, 2000 cit. in Camagni e Gibelli, 2005). L’apertura o la chiusura di tale coalizione, il suo grado di gatekeeping, le modalità decisionali e gli obiettivi di policy sono elementi che differenziano nettamente i piani tra loro. Al di là della differenziazione in termini di approcci e pratiche, i piani strategici sono caratterizzati da alcuni elementi comuni (Debernardi e Rosso, 2008; p.89): - delineano “l’identità desiderabile del futuro di un territorio, l’immagine del sistema urbano” - individuano “le strategie di lungo periodo per la competizione e la cooperazione con altre città

e regioni” - individuano “i partner pubblici e privati con cui operare le responsabilità degli attori coinvolti”

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La diffusione del fenomeno è dunque da attribuire alla coerenza dei processi di pianificazione strategica con i principi dominanti affermatisi nella governance locale nel corso degli ultimi due decenni. Queste due ondate nelle politiche di risposta alla metropolizzazione sembrano poter essere ricondotte al dibattito che da sempre caratterizza questo campo di analisi e di azione pubblica: da una parte vi è l’opzione strutturalista nel governo della metropoli, e dall’altra vi è l’opzione funzionalista o neo-regionalista. Tale dibattito –di lunga data e ancora aperto- vede i primi sostenere la necessità di una riforma istituzionale e di una ridefinizione dei livelli di governo, mentre i secondi e i terzi si esprimono in favore di una soluzione di carattere “funzionale”, nella convinzione che il coordinamento spontaneo degli attori di policy attraverso forme di governance inclusiva possa garantire un più efficace governo dell’area vasta (Rotelli, 1999; Kubler e Heinelt, 2005). Il dibattito tra sostenitori del “territorio funzionale” e sostenitori del “territorio istituzionale” è sintetizzato da Lefèvre (2009) che riporta come i primi “préfèrent parler de système polycentrique ou d’économie publique locale complexe et refusent le terme de fragmentation” (pp.29-30). I secondi invece sottolineano come “si les habitants de la mètropole commencent à etre de plus en plus interdépendants et à fonder une communauté de vie, il faut alors que cette communauté soit politiquement représentée”(p.29). 1.1 Metropolizzazione e Politiche Pubbliche in Italia Il dibattito tra fautori della soluzione strutturale per le aree metropolitane e i sostenitori della soluzione funzionale ha trovato terreno fertile nel caso Italiano, caratterizzato dal paradosso di presentare un quadro normativo di matrice nettamente strutturalista e una pratica dominante nel policy making locale di natura invece prevalentemente funzionalista (Allulli, 2010). È questo il quadro aperto con l’approvazione della legge 142/1990 e rimasto immutato anche a seguito di reiterate iniziative legislative (anche di rango costituzionale) volte a introdurre le città metropolitane quali istituzioni nell’ordinamento dello Stato Italiano. La Legge 436/1993, la 265/1999, la Legge Costituzionale 3/2001, la Legge 42/2009 hanno tutte perseguito la realizzazione di un nuovo livello istituzionale, tutte sulla base di un analogo obiettivo strutturale, e tutte venendo incontro a un medesimo policy fiasco. Molto si è scritto sulle ragioni del fallimento della riforma istituzionale tentata a più riprese negli ultimi 20 anni. Tra i tanti, Ferri (2009) ha sottolineato come anche nell’ultimo provvedimento legislativo attuato in ordine cronologico mancasse “un’adeguata considerazione delle fasi di attuazione del provvedimento e dei rischi di conflitti interistituzionali, con particolare riferimento a quelli tra comune capoluogo e comuni dell’area metropolitana” (p.261). Più in generale, tuttavia, è utile fare ricorso alla teoria di Brenner sopra richiamata circa le two waves della riforma metropolitana in Europa. La diffusione delle soluzioni strutturali ai problemi sollevati dalla metropolizzazione ha luogo tra gli anni Sessanta e Settanta, mentre già a partire dai primi anni Ottanta nelle politiche urbane mainstream questo approccio conosce una crisi, e si impone un modello dominante di natura funzionalista. In questo quadro appare illuminante la notazione di Bobbio (2002) che sottolinea come la riforma italiana sia stata proposta “tardivamente” e, dunque, “senza successo”, nel mentre in Europa si andava affermando un approccio dal basso, nel quale:

most metropolitan problems are addressed through purpose-oriented networks of coordination and cooperation involving municipalities, governmental agencies at various level, as well as private service providers. Such networks fall short of institutional consolidation advocated by metropolitan reformers. At the same time, cooperation within

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these networks is not always entirely voluntary and sometimes significantly hampers local autonomy (Kubler e Heinelt, 2005; p.10).

2. Metropolizzazione e Spatial Planning.

Le aree urbane (e in particolare le aree metropolitane e le città globali, o quelle che come Roma aspirano ad esserlo) si pongono il problema di posizionarsi nella competizione economica globale attraendo investimenti (Sassen, 2003). In questo quadro lo spazio si presenta come una risorsa cruciale nelle politiche urbane, e diventa oggetto quindi di controversie e conflitti. Le politiche di pianificazione dello spazio urbano possono essere considerate come cruciali nelle dinamiche del governo locale , considerato anche uno studio del Consiglio d’Europa (1988) sui governi locali in 15 paesi che evidenzia come la pianificazione urbanistica sia una delle poche aree di policy di esclusiva competenza del governo locale nell’insieme di essi3. Le politiche dello spazio urbano sono qui definite come i corsi di azione pubblica orientati a definire tanto le trasformazioni fisiche quanto gli usi che si intendono operare sullo spazio. Sebastiani (2007) opera a questo proposito una distinzione tra il significato di territorio e quello di spazio. Il primo secondo l’autrice fa riferimento a “una visione bidimensionale dell’organizzazione della forma urbis”, mentre il secondo è utile a definire un campo di policy caratterizzato da un elevato grado di salienza così come di intersettorialità in quanto “esso implica maggiore attenzione a quello che si vuole ottenere e non solo a quello che si vuole fare” (p.140). Tali politiche hanno subito un processo di mutamento per quanto attiene tanto alla tematizzazione che di esse si opera nella ricerca politica, quanto agli obiettivi principali che ad esse sono collegati nel discorso di policy dominante (con riferimento alla pianificazione territoriale in Europa). Questo mutamento può essere ricondotto agli esiti del processo di metropolizzazione che il territorio ha subito nel corso degli ultimi venti anni. Se il territorio è una costruzione sociale determinata dall’uso che di esso si fa nel tempo (Preteceille, 1974), la metropolizzazione e l’incremento della mobilità pluralizzano l’uso che si fa del territorio, così che si arriva a parlare non di uno ma di molteplici usi di uno stesso territorio. Sostiene a questo proposito Crosta (2000) che “in una società al plurale, in cui la diversità viene a rappresentare il momento centrale per la definizione di ciò che è pubblico (e si hanno, di conseguenza, più definizioni di pubblico) anche la nozione di territorio va pluralizzata: considerando i molteplici territori costruiti dalle diverse pratiche d’uso” (p.42). La natura dei problemi di policy relativi all’uso dello spazio urbano è andata infatti mutando nel corso degli ultimi decenni, laddove in precedenza le politiche di pianificazione avevano prevalentemente come oggetto processi di urbanizzazione della campagna, mentre a partire dagli anni ottanta tali politiche hanno riguardato soprattutto “la riutilizzazione di aree già adibite a scopi industriali o amministrativi o di servizio, oppure l’utilizzazione del sottosuolo (parcheggi etc)” (Della Porta, 2006: p.233). Questo processo di mutamento delle politiche di pianificazione urbana è relazionato anche, secondo Le Galès (2006) a una “esplosione del mercato immobiliare” che sarebbe un indicatore della “forza del capitalismo nelle città”. Le politiche di pianificazione

3 Insieme alla Pianificazione Urbanistica risultano nell’ambito delle competenze dei governi urbani la costruzione e

manutenzione degli edifici delle scuole elementari, la raccolta di rifiuti, l’assistenza sociale, la promozione turistica, le biblioteche.

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urbanistica sono secondo le Galès, un “eccellente indicatore dei meccanismi di regolazione dominanti” poiché la “logica del capitale immobiliare è diversa in funzione delle specificità locali e delle regole di pianificazione” (p.203). Le politiche di pianificazione dello spazio dunque offrono un punto di vista privilegiato per dare conto dei mutamenti di policy conseguenti a mutamenti di natura strutturale, che hanno luogo in quanto

The dynamics of development have taken on new and complex forms and these demand innovative responses if coordinated and comprehensive land-use strategies are to be achieved. The suburbanisation process during most of the twentieth century resulted in the geographical spread of residential areas. The central city generally continued to provide facilities for this wider population (…). However, more recently these facilities (…) have begun to radiate outwards, and deprive city centres of their exclusive centrality. (Salet, Thornley, Kreukels, 2003; p.14)

La pluralizzazione dei possibili usi di un medesimo territorio determinata (anche) dai processi di metropolizzazione è all’origine dell’emergere di conflitti laddove, sottolinea lo stesso Crosta (ibidem), la compresenza “può essere - e in genere lo è - caratterizzata da tensioni e da conflitti” (p.43). I processi di metropolizzazione sembrano aver rafforzato dinamiche conflittuali che comunque già esistevano in passato nelle aree urbane e che erano già state efficacemente descritte nella ricerca politica e sociale tra gli altri da Molotch che dà conto di come le politiche dello spazio urbano siano caratterizzate da un mainstream che vede nella città una “macchina della crescita economica”, che corrisponde secondo l’autore a “the idea that nested interest groups with common stakes in development use the institutional fabric, including the political and cultural apparatus, to intensify land use and money” (1993; p.13). Attorno a una credenza comune (Sabatier e Jenkins Smith, 1993) che vede nella città una macchina per la crescita si raccoglie quella che secondo Molotch si caratterizza come coalizione dominante nell’arena delle politiche urbane, definibile come pro-growth coalition che, composta principalmente da portatori di interessi economici nel campo immobiliare, si caratterizza per il suo attivismo nei processi decisionali: “more than any other set of significant urban actors, the growth builders must interact with local government as a part of their business routine. They need building permits, zoning changes, infrastructure developments” (Molotch, 1993: p.14). Di fronte ai problemi di policy posti dai processi di metropolizzazione emerge l’insufficienza degli strumenti istituzionali esistenti per farvi fronte. Questo vale in primo luogo nel policy domain della pianificazione territoriale, laddove “in many cases the administrative jurisdictions of the various local and regional governments do not match the evolvine spatial configurations and urban developments (…) Thus spatial development and administrative boundaries do not necessarily correspond with one another” (Salet, Thornley, Kreukels, 2003; p.15). La risposta più diffusa è stata anch’essa basata sulla volontarietà e il coordinamento, più che sull’institution building:

One response to this has been the formation of organisational arrangements to reflect the new functional interrelationships between local, local/regional and even between regional administrations. These evolving administrative patterns may be formal or informal. Thus spatial policy has to be formulated in a way that coprresponds to the shift from government to governance and the changing, perhaps more limited role played by formal government. This requires a collaborative and negotiating approach to the creation of strategic policy over the metropolitan arena. (ibidem; p.15)

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2.1 Metropolizzazione e Spatial Planning in Italia Tra i problemi di policy conseguiti dal processo di metropolizzazione in Italia, quello relativo al consumo di suolo assume tratti di particolare salienza. I dati sul consumo di suolo relativi al decennio 1990-2000 danno conto della crescita media nazionale del 5,8%, mentre alcune province (tra cui Torino e Bologna) raggiungono un incremento del 10% (Ispra 2008). I dati ISPRA evidenziano come tale incremento di consumo di territorio sia da imputare essenzialmente a edilizia “di tipo residenziale discontinua e irregolare”. Come evidenziato da Rosso e Debernardi (2007), la pianificazione dell’uso del territorio è uno degli strumenti più diffusi di governo delle aree metropolitane. La sua salienza è confermata dal fatto che i primi tentativi di dare luogo a forme di coordinamento metropolitano hanno riguardato proprio i piani territoriali, pur non conseguendo i risultati sperati in ragione del potere di veto attribuito ai comuni (Allulli, 2010). Si è già osservato come nell’economia globale il territorio si configuri come “risorsa competitiva” (Agustoni, Veraldi, Giuntarelli, 2007), e il consumo di suolo rappresenti uno dei più salienti problemi di policy cui i governi di livello metropolitano sono chiamati a dare risposta. Sulle politiche relative all’uso del territorio dunque si esercita competizione e redistribuzione, rendendo le issue ad esse collegate spesso significativamente rilevanti nell’agenda di policy urbana. Esse sono definite da Crosta (cit.in Della Porta, 2006) come:

l’insieme delle attività pubbliche che riguardano le trasformazioni (fisiche) del territorio operate sia da soggetti pubblici che privati in un’ottica di coordinamento (cioè in un’ottica di assetto del territorio nel suo complesso…), in un contesto di pianificazione (locale).

Anche il processo di diffusione di forme di coordinamento di area vasta in tema di pianificazione del territorio giunge a un punto di svolta con la legge 142/1990 che, oltre a prevedere l’istituzione della città metropolitana, istituisce diversi strumenti di pianificazione del territorio. Tra questi il più significativo risulta essere il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (art.15, comma2). Tramite questo strumento la pianificazione del territorio viene annoverata tra le competenze delle province, sia pure in termini generali. Ad esse è infatti attribuito il compito di individuare “le diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti”, nonché “la localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione” e “le aree nelle quali sia opportuno istituire parchi o riserve naturali”. Ancora una volta però la legge prevede uno strumento in termini generali, attribuendo poi alle regioni un ruolo decisionale nella fase attuativa. Con il Dlgs 112/1998 si stabilisce che “La Regione, con legge regionale, prevede che il piano territoriale di coordinamento provinciale…assuma il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, della tutela dell’ambiente, della difesa del suolo” (art.57). Questo avviene nel contesto immutato di una legislazione che nel 1977, con il DPR n.616 aveva attribuito alle regioni la disciplina dell’uso del territorio. Se questo elemento ha comportato una certa varianza nel ruolo attribuito al PTCP nella pianificazione del territorio da regione a regione (Formez, 2005), nondimeno è stato evidenziato come “con il passare degli anni (…) politici, amministratori, professionisti e, da ultimo, e sempre più intensamente, anche le popolazioni insediate, articolate nelle diverse e plurime forme di organizzazioni sociali operanti, hanno cominciato a riconoscere ai piani di coordinamento provinciali un’importanza, un’autonomia ed una capacità di incidere effettivamente nella vita delle comunità” (INU, 2008; p.87). In proposito è stato osservato come vadano affermandosi al livello di

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area vasta “nuove modalità di coordinamento e di relazione improntate al metodo del confronto e della valutazione” (Formez, 2005). Tra queste ultime emergono strumenti quali le conferenze e gli accordi di pianificazione, che nell’ambito dei processi decisionali relativi ai PTCP e più in generale alla pianificazione del territorio si presentano come arene decisionali e luoghi di coordinamento tra province e comuni (e tra comuni). Nelle aree metropolitane tali strumenti assumono una rilevanza ancora più significativa perché si configurano come luoghi di concertazione e negoziazione paritaria tra comune centrale, provincia, e altri comuni. Per questo i Piani Territoriali talvolta trascendono i confini della propria area di policy per assumere il carattere (nei fatti o nelle retoriche) di processi costituenti di nuovi assetti di governance metropolitana. 2.3 Strutturalità e Funzionalità nello Spatial Planning metropolitano: quali indicatori. Come osservato in sede introduttiva, la variabile dipendente presa in esame in questo paper attiene alla natura strutturale o funzionale delle politiche pubbliche. Si tratta di una proposta concettuale che traspone termini utilizzati fin qui per definire processi di mutamento istituzionale per dare loro valore euristico anche con riferimento alle politiche pubbliche adottate su scala metropolitana. Si tratta di un’operazione resa possibile proprio dal progressivo mutamento della natura dei processi di rescaling, che passando dal riguardare i confini amministrativi delle istituzioni locali al riguardare i confini dell’area di intervento delle politiche pubbliche richiede l’elaborazione di strumenti analitici atti a indagare la natura di queste ultime e il suo mutamento. Si considera qui avere natura strutturale una politica pubblica adottata su scala metropolitana tra i cui obiettivi sia rinvenibile quello di dare luogo a modifiche di natura stabile nel policy making del settore di azione pubblica interessato acciocché esso assuma permanentemente una scala di rilevanza metropolitana. La politica pubblica in questo caso assume dunque le funzioni di politiche pubbliche precedentemente attuate su scala superiore (decentramento) o inferiore (accentramento). Per usare una concettualizzazione classica nella policy analysis, una politica si definirà qui strutturale laddove assume le caratteristiche di una politica costituente, laddove cioè essa concerna “esplicitamente il contesto delle regole e degli assetti istituzionalizzati che strutturano e sistematizzano macrosistemi di comportamento (un sistema politico, le relazioni tra i diversi livelli di governo, un settore di politica pubblica, le relazioni tra i settori di policy istituzionalizzati ecc)” (Capano e Giuliani, 1996; p.292).. Viceversa, una politica pubblica di natura funzionale, pur se attivata su scala metropolitana, non comporta alcun mutamento di natura stabile nel policy making del settore in questione. Una proposta di definizione così formulata non può naturalmente dare luogo a una variabile concettualizzata come dicotomica: si intende pituttosto considerare quello qui proposto come un continuum entro il quale collocare le politiche pubbliche prese in esame. Sono molti gli indicatori potenzialmente utilizzabili per tentare una misurazione della variabile dipendente qui proposta. La definizione di essi può essere affinata nell’ambito della ricerca e a seguito di ulteriori cimenti empirici. Allo stato attuale sono stati presi in considerazione tre principali indicatori per definire il grado di strutturalità/funzionalità di una politica metropolitana: i) Il Discorso di Policy. Forse il più immediatamente rilevabile degli indicatori di strutturalità di

una politica pubblica è la presenza o l’assenza dal discorso elaborato dai policy makers quello della metropolizzazione della politica stessa, della sua –cioè- attivazione allo scopo

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di creare un nuovo strumento di policy in grado di rispondere stabilmente a problemi di scala metropolitana. I discorsi sono qui interpretati con Fischer (2003) come “narrative storylines that interpret events and courses of actions in concrete social contexts” (p.102). Attraverso un discorso, gli attori tematizzano il problema di policy e ipotizzano interrelazioni causali che individuano nella politica pubblica la soluzione ad esso. L’analisi del discorso si adotta qui tuttavia esclusivamente in termini metodologici: il discorso è qui inteso esclusivamente come un indicatore e non –come proposto dagli approcci costruttuvisti- come elemento determinante degli stessi processi di policy.

ii) Il quadro giuridico-formale. Una azione pubblica volta a stabilizzare (e quindi a istituzionalizzare) il mutamento di una politica pubblica non può prescindere da un intervento di natura normativa, facendo ricorso a leggi e regolamenti i quali “via processo legislativo” (Donolo, 1997) diano luogo alla “definizione di regole del gioco per attori interessati” e definiscano una “delimitazione di competenze per le autorità preposte alla direzione, controllo e monitoraggio delle azioni rilevanti” (ibidem, p.147).

iii) Il grado di integrazione e la prospettiva strategica della policy. Si è osservato come una delle caratteristiche dell’approccio mainstream alle politiche di livello metropolitano sia la loro integrazione e la loro prospettiva strategica. Integrate sono quelle politiche che “mirano a produrre (…) effetti d’integrazione sulle materie trattate” (Donolo, 2005: p.98) e che quindi si basano sull’idea che “tra materie, tra dimensioni diverse della stessa materia, tra processi sociali a diversi livelli, esistano connessioni”. È la stessa complessità dei problemi di scala metropolitana (o, per meglio dire, la tematizzazione della complessità di essi da parte dei policy makers) a comportare il fabbisogno di politiche integrate e strategiche che “hanno in comune la logica del progetto” (Perulli, 2006).

3. Due Casi: Roma e Milano.

3.1 Il Caso di Roma Il 24 Luglio 2009 il consiglio della Provincia di Roma ha approvato il Piano Territoriale Generale Provinciale, che ne pianifica e ne regola il territorio. Il piano, per quanto relativo a un singolo settore di policy, riveste una importanza significativa nel processo della riforma metropolitana a Roma, perché entrando in vigore comporta la delega delle competenze urbanistiche dalla Regione alla Provincia di Roma (Legge regionale n° 38/99), e per la prima volta rappresenta una forma di pianificazione territoriale di area vasta e assume qui interesse perché esplicitamente orientato a “costruire il territorio della Provincia metropolitana”. Gli obiettivi. Il Piano Territoriale Generale Provinciale ha l’obiettivo dichiarato di “rafforzare il "funzionamento metropolitano" del territorio provinciale, inteso come sistema integrato, formato da componenti insediative e funzionali diverse per peso, risorse e specializzazione”. Di più, il PTGP prevede un sistema di regole che intende “comporre la dialettica tra sistema Provincia nella sua unità, sistemi locali componenti e Roma e tra il territorio provinciale e la Regione” facendo ricorso “alla intercomunalità per le decisioni programmatiche e per quelle operative”4. Nelle intenzioni esplicitate dai promotori del PTGP, rientra anche quella di promuovere la percezione di una comune “cittadinanza metropolitana” intesa come “il senso di appartenenza ad una società, ad istituzioni ed obiettivi di interesse comune, nella dimensione sovralocale”. Fin qui gli obiettivi

4 http://ptpg.provincia.roma.it

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definibili come strutturali. Quanto agli obiettivi funzionali il Piano si basa su cinque linee strategiche: - Sviluppo territorialmente più equilibrato e competitivo. - Sostenibilità generale del territorio5. - Riordino e qualificazione delle costruzioni insediative urbane e territoriali. - Efficienza e modernizzazione dell’offerta di sedi (centralità) per le funzioni strategiche, per le

attività legate al ciclo della produzione e distribuzione delle merci, per il tempo libero ed il turismo di interesse metropolitano.

- Miglioramento dell’accessibilità generale al territorio ed agli insediamenti privilegiando le relazioni interregionali e quelle metropolitane con il trasporto pubblico sostenibile.

L’insieme di questi obiettivi sono perseguiti attraverso strumenti normativi indicati come direttive (o indirizzi) e prescrizioni. I piani comunali sono tenuti ad attenersi a direttive e prescrizioni del PTGP, anche se il processo di verifica della compatibilità tra piani comunale e provinciale avviene “in concertazione” tra gli enti. Peraltro, qualora un comune non disponga di un piano regolatore proprio (condizione diffusa tra i comuni di piccole dimensioni), il governo del territorio viene effettuato direttamente tramite il piano provinciale. Gli attori e i processi decisionali. Il processo decisionale attivato in relazione al PTGP dà conto di come la pianificazione del territorio si sia in questo caso configurata come una forma di governance di area metropolitana. Il processo decisionale si è infatti articolato in due fasi di incontri di informazione e condivisione con “rappresentanti istituzionali dei 121 Comuni della Provincia, di Comunità Montane, Enti Parco, Uffici Provinciali, associazioni ambientaliste, rappresentanti delle parti sociali”. Il percorso decisionale ha inoltre previsto dei "Tavoli dello sviluppo", che hanno coinvolto le principali organizzazioni delle categorie produttive sul territorio. Una fase successiva del processo inclusivo relativo a Piano ha fatto ricorso allo strumento dell’Agenda216 che, “attraverso “il coinvolgimento dei soggetti locali (abitanti, associazioni, comitati ecc.)” ha elaborato un Piano di Azione Locale le cui linee guida sono state assunte negli obiettivi di sostenibilità cui il piano si ispira. La complessità del processo decisionale relativo al Piano Territoriale, se da una parte lo configura come forma di governance di livello metropolitano e non solo come politica pubblica della Provincia di Roma, dall’altra parte lo ha esposto alle critiche di quanti ne hanno ravvisato una scarsa efficacia regolativa:

Il PTGP della Provincia di Roma adotta, condivisibilmente, il principio di costruzione del Piano “dal basso”, che si concretizza attraverso i tavoli di “governance”. Ciò però non può voler dire costruire di volta in volta forme di accordo diversificate a seconda degli specifici interessi rappresentati, senza alcuna garanzia di tutela degli interessi generali che riguardano tutto il territorio provinciale7.

5 Il Piano prevede una Rete Ecologica Provinciale, costituita da “circa 80Ha di territorio agricolo tutelato costituente

due “nastri verdi” interposti a nord e a sud tra la città di Roma ed i centri dell’hinterland” (www.inu.it). 6 L’Agenda21 è “il processo di partnership attraverso il quale gli Enti Locali collaborano con tutti i settori della

comunità locale per definire scenari, obiettivi e piani di azione misurabili per perseguire la sostenibilità a livello locale” (www.agenda21provinciaroma.it). 7 INU Lazio, Sezione dell'Istituto Nazionale di Urbanistica, Osservazioni allo schema di Piano Territoriale Provinciale

Generale (PTPG).

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Se quindi il Piano è esposto a critiche, esso nondimeno rappresenta una esperienza inedita di governo del territorio metropolitano che assume caratteristiche di natura strutturale per l’elevata istituzionalizzazione della regolazione che produce, e perché si configura come forma di governo ordinaria del territorio. Il piano presenta alcuni requisiti fondamentali della istituzionalizzazione quali la differenziazione e la spersonalizzazione8: la pianificazione non è infatti dipendente da risorse di legittimazione proprie di attori politici che se ne fanno promotori, o da risorse economiche offerte da attori esterni (come avviene nei casi di pianificazione strategica), ma è uno strumento di normazione derivante dalla delega di funzioni operata dalla Regione Lazio. Per quanto riguarda la dimensione di policy, i PTGP in virtù dell’enfasi posta sul ruolo della regolazione pubblica nelle politiche di sviluppo può essere considerata come una forma neocorporativa di governance: propone forme di competizione regolata, pur non proponendo forme decisionali di tipo top-down; propone forme di partnership pubblico privato ma mantenendo forme di controllo pubblico.

3.2 Il Caso di Milano. Gli obiettivi.

Il Piano Territoriale Provinciale vigente della Provincia di Milano è stato approvato con la deliberazione del Consiglio Provinciale n. 55 del 14 ottobre 2003. Come previsto dalla normativa nazionale, il Piano definisce gli indirizzi generali di assetto del territorio provinciale, e ai Comuni è demandato il compito di adeguare i propri strumenti di pianificazione a tali assetti. Il PTCP è articolato in cinque macro-obiettivi di policy tra i quali non è esplicitata la metropolizzazione della scala di governo del territorio. L’enfasi è infatti posta prioritariamente su obiettivi di natura ambientale. I cinque obiettivi sono proposti come segue: -Obiettivo O1 - Compatibilità ecologica e paesistico ambientale delle trasformazioni. -Obiettivo O2 - Integrazione fra i sistemi insediativo e della mobilità. -Obiettivo O3 - Ricostruzione della rete ecologica provinciale. -Obiettivo O4 - Compattazione della forma urbana. -Obiettivo O5 - Innalzamento della qualità insediativa.

Se il Piano vigente resta quello approvato nel 2003, tuttavia, oggetto di questa analisi è il processo di revisione di PTCP avviato nel 2006 a seguito dell’approvazione da parte della Regione Lombardia nel marzo del 2005 della nuova legge “per il governo del territorio” (LR 12/205), che ha ridefinito ruoli e funzioni degli enti locali in materia di pianificazione del territorio, introducendo anche nuovi elementi per quel che attiene alla pianificazione di livello provinciale. La nuova Legge Regionale infatti prevede che il governo del territorio regionale sia attuato “mediante una pluralità di piani, fra loro coordinati e differenziati”. Al livello regionale, il Piano Territoriale Generale; al livello Provinciale, il Piano Territoriale di Coordinamento (PTCP); a livello comunale, il Piano Territoriale Generale. Le modifiche introdotte per quel che concerne specificamente il PTCP riguardano la distinzione nell’ambito delle previsioni in esso contenute tra quelle di “carattere programmatorio” e le “previsioni con efficacia prescrittiva e prevalente”9.

8 L’analisi istituzionale definisce la differenziazione come la “tipizzazione di determinate pratiche sociali” (Lanzalaco,

1995), e la spersonalizzazione come l’indipendenza di esse “dalla discrezionalità e dalla soggettività degli specifici esseri umani che ne fanno parte” (ibidem). 9 PTCP vigente, Norme di Attuazione, art.18, “effetti del Piano territoriale di coordinamento provinciale”

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L’adeguamento del PTCP di Milano dunque, lungi dal rappresentare uno strumento finalizzato al mutamento (in senso metropolitano) delle politiche per la pianificazione, è basato sulla distribuzione multilivello già esistente e si pone come obiettivo principale quello di “adeguarsi al Piano Paesaggistico Regionale e alla relativa disciplina paesaggistica, in particolare individuando e articolando le situazioni di degrado e compromissione paesaggistica o a rischio di degrado”10, nonché di “individuare le previsioni atte a raggiungere gli obiettivi del PTR (fra questi, l’integrazione paesistica, ambientale e naturalistica degli interventi derivanti dallo sviluppo economico, infrastrutturale ed edilizio” (ibidem). Il processo di adattamento del PTCP di Milano si articola in due fasi distinte: in una prima fase (a partire dal 2006) esso è portato avanti da una Giunta provinciale espressa da una maggioranza di centro-sinistra. A partire dal 2010 il processo viene ereditato e proseguito da un Governo della provincia di segno politico opposto. L’analisi esplorativa della documentazione sembra mostrare una sostanziale coincidenza negli obiettivi di policy strutturati dalle due coalizioni di governo. Gli obiettivi principali dell’adeguamento del PTCP nella sua prima fase sono rinvenibili nel “Documento di indirizzo e linee guida per l’adeguamento del Piano Territoriale Provinciale vigente”. Il processo di adeguamento è stato definito “limitato” perché concentrato “sulle modifiche introdotte dalla legge regionale” (AAVV, 2007). Nondimeno, esso si caratterizza per l’inserimento di nuovi contenuti che fanno riferimento a (ibidem): - La duplice valenza paesistica e di presidio al consumo di suolo delle aree agricole

- Le nuove attribuzioni in materia di paesaggio e il coordinamento e l’integrazione con le pianificazioni dei parchi.

- La programmazione delle infrastrutture come punto di equilibrio tra esigenze di sviluppo e sostenibilità delle scelte localizzative

- La disciplina del rapporto infrastrutture/insediamenti al fine di frenare i fenomeni di conurbazione lungo gli assi della mobilità

- L’aggiornamento del disegno di rete ecologica.

Nei nuovi obiettivi emersi dalle linee guida dunque emerge il tema del governo dell’area vasta ma non un mutamento in termini strutturali degli strumenti stessi della politica di pianificazione territoriale. Emerge tuttavia una differenza nelle retoriche connesse alle politiche pubbliche, laddove contestualmente all’avvio del processo di adeguamento del PTCP nel 2006 il Presidente della Provincia segnalava la criticità percepita relativamente a una normativa regionale che non riconosceva il ruolo peculiare svolto dalla Provincia di Milano come livello di governo metropolitano:

l’adeguamento del Piano territoriale di coordinamento provinciale, ad una legge che peraltro non riconosce la specificità della grande conurbazione milanese rispetto alle altre Province lombarde, ha costituito l’occasione di una profonda riflessione sul senso della pianificazione di scala sovracomunale, sull’adeguatezza degli strumenti e dei modelli di governo ai concreti processi decisionali nel territorio, sul ruolo stesso delle politiche territoriali in un più generale progetto di sviluppo.11

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Provincia di Milano, Linee Guida per l’adeguamento del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale vigente. 11

Provincia di Milano, Adeguamento del PTCP Vigente alla LL.R. 12/05. Relazione Generale.

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Il governo provinciale contestualmente all’avvio del processo di adeguamento del PTCP esplicita la percezione del problema derivante dall’assenza di strumenti di governo dell’area metropolitana. A questo problema viene proposta una soluzione basata su un processo decisionale che si presenta come inclusivo e partecipativo “che mira a estendere la conoscenza dei problemi e a ricercare il consenso sulle soluzioni con i soggetti partecipanti, i tavoli interistituzionali innanzitutto” (AAVV, 2007; p.85) La proposta di PTCP licenziata dalla Giunta Provinciale il 27/06/2008, tuttavia, non viene approvata dal Consiglio Provinciale. Ciò che determina, a seguito di un mutamento nella coalizione di governo, l’avvio di una nuova fase del processo di adeguamento (Deliberazione n. 606 del 28/7/2009). Le linee guida dell’aggiornamento sono state dunque approvate con Deliberazione di Consiglio Provinciale n. 45 del 23 settembre 2010. Come osservato, non è possibile individuare una differenza sostanziale tra i macro-obiettivi o deep cores, per dirla con Sabatier e Jenkins Smith della politica di pianificazione del territorio provinciale. Si evince tuttavia una enfasi maggiore posta nella seconda fase del processo di adeguamento sull’obiettivo dello sviluppo economico, laddove la prima fase –come osservato- poneva invece enfasi sull’obiettivo della sostenibilità ambientale. La stessa comunicazione istituzionale della Provincia di Milano presenta come “pilastri delle linee guida del PTCP”: “il capillare sviluppo delle infrastrutture, la tutela degli spazi verdi intorno a Milano, il policentrismo, la promozione dell’housing sociale e l’estensione dell’Expo oltre Milano”. È in particolare attorno alla previsione dell’EXPO del 2015 che si coagulano le innovazioni attorno al PTCP milanese che, in ragione di ciò, assume un carattere nettamente funzionale. Si legge nelle linee guida del 2010 che:

La coincidenza temporale tra l’attuazione del PTCP e dei PGT comunali con la scadenza del 2015, è un’occasione unica per portare a compimento un’operazione di trasformazione significativa del sistema territorio. Il PTCP può anche essere il veicolo per presentare il territorio provinciale e le sue qualità specifiche nell’ambito dell’evento Expo in chiave di nuovo “format”, appoggiato agli elementi strutturanti del paesaggio, al sistema policentrico, alle infrastrutture esistenti e di progetto.(p.13)

L’enfasi posta sull’EXPO 2015 nel determinare la pianificazione del territorio provinciale si evidenzia come parte fondante di una strategia orientata in senso economico o pro-growth, poiché i grandi eventi sono “fonte di vantaggi competitivi nell’arena internazionale” (d’Albergo e Lefévre, 2007). Una strategia dominante che appare godere di una certa continuità laddove, pur nell’alternanza di governo, nell’area metropolitana di Milano il PTCP mantiene caratteristiche nettamente orientate alla crescita economia in quanto, secondo il Rapporto INU 2008:

Intende valorizzare la struttura urbana policentrica e sostenere la differenziazione tra ambiti territoriali omogenei anche attraverso l’utilizzo di metodologie di marketing territoriale con l’obiettivo di rafforzare la competitività dei 12 tavoli istituzionali che corrispondono ad altrettanti settori territoriali omogenei. (INU, 2008;p.107)

Gli attori e i processi decisionali

Si è osservato come peculiarità dei piani territoriali provinciali sia quella di attivare dinamiche di governance di area vasta. Non fa eccezione la Provincia di Milano il cui PTCP ha, nella sua fase

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decisionale, fatto ricorso a strumenti di coordinamento e governance intercomunale e multilivello. L’enfasi sulla partecipazione dei cittadini alla definizione del piano è stata posta, come osservato, prevalentemente nel discorso di policy relativo alla prima fase del processo di adeguamento del PTCP:

è stata attivata un’ampia consultazione istituzionale, con i Comuni, gli Enti Parco, le Province confinanti e la Regione, e pubblica, allargata alle componenti sociali, alle associazioni di categoria, al mondo della cultura e delle professioni, che ha accompagnato, in un processo strutturato di partecipazione, tutto il percorso di elaborazione dell’adeguamento del PTCP e della sua valutazione ambientale.12

Lo strumento principale di questo processo di consultazione è stato individuato in un Forum per il

Governo del Territorio Metropolitano la cui gestione, affidata all’agenzia Milano Metropoli (cfr par.3.3), è stata finalizzata a “coinvolgere (…) non solo gli attori istituzionali e le forze politiche, ma anche gli operatori economico-sociali, il Terzo settore, le Università e in generale la cosiddetta società civile dell'area metropolitana milanese”13. Attraverso il Forum sono stati organizzati appuntamenti di natura convegnistica e seminariale tra il settembre 2006 e la primavera del 2007. A seguito di questi incontri il Forum non ha trovato spazi di formalizzazione o stabilizzazione del proprio ruolo nella governance di area vasta. Uno strumento di governance partecipativa maggiormente istituzionalizzato è stato rappresentato invece da uno strumento reso obbligato da fattori normativi esogeni: la VAS (Valutazione Ambientale Strategica). Nell’ambito della definizione della VAS “grande importanza ha avuto la fase partecipativa, organizzata da un lato su forum plenari articolati in workshop tematici, dall’altro sul fattivo coinvolgimento della Conferenza dei Comuni e dei Comuni medesimi attraverso i Tavoli interistituzionali” (AAVV, 2007). Non dissimile, anche se meno enfatizzato nel discorso pubblico, sembra essere l’approccio alla strutturazione dell’arena di governance nell’ambito della seconda fase del processo di adeguamento del PTCP. Si fa ricorso anche in questo caso a strumenti già esistenti indipendentemente dal processo decisionale relativo al piano. Per quanto riguarda la governance interistituzionale si fa ricorso alla Conferenza dei Comuni. Allo stesso modo lo strumento principale di partecipazione per gli attori non istituzionali è individuato nella VAS, nel cui ambito è creato un forum aperto:

l’adeguamento del PTCP è accompagnato da un percorso partecipativo aperto ad un ampio confronto che interessi le parti sociali, associative e produttive della realtà milanese attraverso una fase di informazione e comunicazione che coinvolga i cittadini nel loro insieme.14

Questa breve disanima degli strumenti di governance attivati in relazione alla formulazione del PTCP della Provincia di Milano consentono di osservare come, ad eccezione della breve vita del Forum di Governo del Territorio Metropolitano, le cui attività sembrano limitate a pochi eventi convegnistici, non siano stati creati strumenti di governance ad hoc per il governo del territorio metropolitano. Né che il processo di definizione della politica di pianificazione del territorio metropolitano sia stato oggetto di integrazione con altre dinamiche di governance metropolitana (piani strategici, piani integrati territoriali etc) dando luogo così a forme inedite di governo del territorio. 12

Provincia di Milano, Adeguamento del PTCP Vigente alla LL.R. 12/05. Relazione Generale. 13

www.milanomet.it 14

http://www.provincia.milano.it/pianificazione_territoriale/piano_territoriale/Spazio_partecipazione/Forum_tematici.html

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3.3 Strutturali o Funzionali? Uno sguardo comparativo sui PTCP. La breve disanima delle principali caratteristiche dei due Piani Territoriali Provinciali qui presi in esame consente di avanzare alcune considerazioni circa il grado di strutturalità dei due corsi di azione pubblica in chiave comparativa e sulla base dei tre indicatori qui presi in considerazione (cfr par.2.3). i) Il Discorso di Policy. Nel discorso portato avanti dai policy makers nel definire il Piano Territoriale della Provincia di Roma la realizzazione di uno strumento di policy di scala metropolitana viene presentata come l’obiettivo principale perseguito. Si sostiene infatti che “Costruire la provincia – città metropolitana è l’obiettivo generale perseguito dal PTPG della Provincia di Roma”15. Questo obiettivo è perseguito attraverso “il disegno cellulare del territorio provinciale, articolato sotto il profilo funzionale in 12 subsistemi locali intercomunali più Roma (mercati del lavoro e sub-bacini di mobilità) caratterizzati da risorse e percorsi di sviluppo con diversa specializzazione prevalente da valorizzare, ma concorrenti a formare con Roma un sistema metropolitano unitario e competitivo” (ibidem). L’obiettivo relativo alla metropolizzazione della pianificazione del territorio è presente anche nel caso milanese, ma con enfasi più limitata rispetto al caso di Roma. Nel caso milanese si attribuisce piuttosto rilievo al posizionamento (istituzionale oltre che economico) del territorio provinciale entro quella che viene definita la regione urbana milanese:

La Provincia di Milano, nel quadro delle competenze di pianificazione ridefinito dalla legge regionale 12 del 2005, ha inteso cogliere i principi comunitari e ha ripensato alla luce degli stessi il proprio ruolo di governo ed il modello ed i contenuti del proprio strumento territoriale, sviluppando in particolare pratiche innovative per una nuova governance

multilivello, in una dimensione di area vasta, a livello di regione urbana16. La minore enfasi posta sulla dimensione metropolitana della politica pubblica nel caso milanese trova conferma (anzi: viene approfondita) a seguito del mutamento politico seguito alle elezioni provinciali del 2009. Le Linee Guida licenziate dalla giunta subentrata confermano la centralità attribuita dalla precedente proposta di adeguamento del PTCP al posizionamento della Provincia nella regione urbana:

La regione urbana è l’obiettivo strategico verso cui tendere, il quadro di riferimento (…) e, insieme, la visione che può aiutare a comprendere meglio la realtà sociale ed economica della provincia e a orientarne le politiche di sviluppo a partire dalle caratteristiche costitutive, in qualche modo genetiche, del territorio milanese.17

L’enfasi posta nel caso milanese sulla Regione urbana, del tutto assente nel caso della Provincia di Roma, evidenzia una varianza netta tra i due corsi di azione pubblica per quanto attiene agli obiettivi costituenti che essi si pongono: nel caso romano il Piano assume come suo primo obiettivo quello di dare luogo a uno strumento di governo di un’area che si intende esplicitamente essere coincidente con la mai istituita Città Metropolitana. Nel caso di Milano il PTCP guarda invece a un’area diversa e mai al centro di tentativi di riforma istituzionale, una regione urbana più vasta della Provincia stessa e i cui confini istituzionali non sono mai stati delimitati (cfr par.4). I nomi non

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Provincia di Roma, Progetto di Condivisione dello schema di Piano Territoriale Provinciale Generale. 16

Provincia di Milano, Adeguamento del PTCP Vigente alla LL.R. 12/05. Relazione Generale. 17

Provincia di Milano, Linee Guida per l’adeguamento del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale vigente.

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sono casuali nel discorso di policy: è rilevante il fatto che la Provincia di Roma abbia scelto di definire il suo un Piano Territoriale Generale. Quella di Milano invece mantiene la dizione indicata dalla normativa nazionale realizzando un Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale. È evidente nella prima dizione l’obiettivo di realizzare uno strumento unitario e l’approccio strutturale che esso sottende. Altrettanto evidente è la natura funzionale degli obiettivi di mero coordinamento presenti nella denominazione stessa del Piano milanese. ii) Il Quadro giuridico-formale. Si tratta forse della dimensione analitica che più da conto della natura costituente assunta dalla policy nel caso romano. Il 23 dicembre 2009 infatti il vice presidente della Regione Lazio e il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti hanno sottoscritto un accordo al termine della conferenza di copianificazione che ha verificato la compatibilità delle previsioni del PTPG con gli strumenti di pianificazione territoriale vigenti nella regione Lazio. Attraverso questo accordo la Regione ha per la prima volta delegato le funzioni in materia urbanistica di propria competenza alla Provincia di Roma. Si tratta di un trasferimento di competenze assolutamente rilevante e che ha portato il vice presidente della Regione a definire il Piano Territoriale della Provincia come “un atto rivoluzionario che delega gli strumenti urbanistici e che va nella direzione di un'area provinciale vasta che diventa metropolitana"18. È lo stesso governo locale a sottolineare come “la Provincia assume ora, come mai in passato, un ruolo da partecipe protagonista nella definizione delle scelte e delle strategie di pianificazione del territorio, con l’assunzione di responsabilità del tutto nuove”19. Un mutamento di questa portata non è riscontrabile nel caso di Milano, laddove per quanto riguarda il PTCP, la nuova legge regionale n.12/2005 ha introdotto modifiche rispetto alla precedente LR 1/2000 “in particolare per quanto riguarda contenuti e loro efficacia rispetto alla pianificazione di settore e dei Comuni, distinguendo tra carattere programmatorio e previsioni con efficacia prescrittiva e prevalente”20, ma lasciando immutata la distribuzione delle competenze in materia tra livelli di governo. In questo contesto lo stesso Presidente della Provincia di Milano già nel 2008 lamentava la scarsa “adeguatezza degli strumenti e dei modelli di governo ai concreti processi decisionali nel territorio”21. iii) L’integrazione. Anche su questo ulteriore indicatore il Piano Territoriale della Provincia di Roma si evidenzia come caratterizzata da una natura marcatamente integrata e strategica. Il processo decisionale relativo al Piano si è infatti intrecciato con quello relativo al Progetto Strategico della Provincia di Roma denominato –non casualmente- “Provincia Metropolitana”. Il processo decisionale relativo al Progetto è dirittura di arrivo e si prevede entro il Dicembre 2011 la sottoscrizione di esso da parte dei principali attori sociali e istituzionali della Provincia. Il Progetto Provincia Metropolitana si basa su quella che si definisce una vision ancorata su due pilastri principali: o la dimensione metropolitana del territorio (“Capitale metropolitana”), necessaria per poter

rispondere efficacemente alla sfida di garantire sviluppo sostenibile, competitività e qualità della vita;

o la vision ecologica – di sistema – dell’azione politico amministrativa, che, prendendo in considerazione il complesso dei costi e dei benefici generati dal metabolismo socio-economico-ambientale delle attività umane presenti sul territorio, sia in grado di fornire soluzioni efficaci, sostenibili, equilibrate e giuste.

18

Sviluppo Lazio, Newsletter 4 Gennaio 2010, lunedì 4 gennaio 2010 Urbanistica, firmato protocollo Ptpg 19

http://capitalemetropolitana.provincia.roma.it 20

Provincia di Milano, Linee Guida per l’adeguamento del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale vigente. 21

Provincia di Milano, Adeguamento del PTCP Vigente alla LL.R. 12/05. Relazione Generale.

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La Pianificazione del territorio assume dunque un rilievo integrato e strategico nella policy della Provincia di Roma, nel suo insieme dominata dall’obiettivo di costituire nuovi strumenti di livello metropolitano. Uno di questi è il processo di Agenda 21 Locale che ha riguardato l’elaborazione tanto del PTPG quanto del Progetto Provincia Metropolitana (cfr par. 3.1). Nel caso di Milano il grado di integrazione della politica pubblica, pur non potendosi definire nullo, è comunque meno rilevante rispetto a quanto riscontrato nel caso romano. A Milano l’agenzia mista pubblico-privata Milano Metropoli (cfr par.4) ha avviato nel 2005 la definizione del Progetto Strategico Città di Città con l’obiettivo di “migliorare l'abitabilità dell'intero territorio provinciale e dare così un forte impulso alla competitività e alla governance territoriale”22. Il Piano Strategico sembra essersi fondato (come si vedrà) più su obiettivi di marketing territoriale che di riscalizzazione delle politiche pubbliche, con particolare riferimento alla pianificazione del territorio. Le linee guida per l’adeguamento del PTCP licenziate dalla Giunta Provinciale del 2010, peraltro, non fanno riferimento alcuno al Piano Strategico e sembrano delineare una policy ben definita entro i confini del domain della pianificazione del territorio. Stanti le evidenze fin qui riportate, è possibile sulla base della analisi condotta affermare che se posizionati lungo il continuum strutturale-funzionale delle politiche pubbliche di scala metropolitana, il caso di Roma occupa una posizione più vicina alla polarità strutturale, mentre quello di Milano è collocabile in una posizione prossima alla polarità funzionale. 4. Ipotesi esplicative.

Come anticipato in sede di introduzione, il presente studio ha avuto la funzione di generare alcune ipotesi utili a spiegare la varianza osservata tra i due casi presi in esame e che, nella prospettiva di un approfondimento della ricerca empirica, intendono contribuire a rispondere alla domanda: cosa determina l’adozione da parte dei governi locali di politiche metropolitane di natura strutturale? Le variabili qui proposte come in grado di dare risposta a questa domanda sono riconducibili a due dimensioni: i) una dimensione strutturale, ii) una dimensione istituzionale.

4.1 L’Ipotesi strutturale: la determinante socio-economica.

La determinante socio-economica può essere illuminante nel dare conto delle cause che hanno comportato la presenza nel caso romano di una politica di natura strutturale, e la sua assenza nel caso milanese. A propria volta questa dimensione può essere scomposta in due variabili che sono individuate in: a) l’interdipendenza funzionale del territorio e b) il modello di governance dominante. a) l’interdipendenza funzionale del territorio. Alcuni elementi relativi alle interdipendenze funzionali nei territori delle Province di Roma e di Milano possono essere illuminanti rispetto alla varianza osservabile nelle politiche pubbliche nei due casi. In generale, si può affermare che tra Provincia di Roma e area metropolitana di Roma esista una sovrapposizione (per quanto non perfetta) che nel caso milanese non è data. L’area metropolitana di Milano infatti, come riconosciuto dagli stessi policy makers, corrisponde a una regione urbana di dimensioni molto più

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http://www.milanomet.it

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estese rispetto ai confini del Governo Provinciale. Bartaletti (2009)23 ha a questo proposito parlato di una “grande area consolidata milanese”24 che

si compone di un’area metropolitana propriamente milanese, estesa in parte anche nelle province di Pavia (Pavia, Vigevano), Lodi (Lodi, Sant’Angelo Lodigiano), Cremona (Cremona, Pandino ecc), Bergamo (Treviglio ecc), Lecco (Lecco, Valmadrera, Ballabio ecc) e Como; dell’area di Bergamo, a est, estesa nelle valli Seriana e Cavallina, e delle piccole aree di Varese, Como-Cantù e Busto-Legnano-Gallarate. (p.105)

Affatto diversa è la realtà dell’area metropolitana romana, che come detto sembra approssimarsi maggiormente ai confini amministrativi della relativa Provincia:

l’area metropolitana di Roma si estende in un raggio di una cinquantina di chilometri dal centro, catturando Civitavecchia e scavalcando a nord il Lago di Bracciano fino ad includere Sutri e Nepi, in provincia di Viterbo; a oriente si estende oltre Guidonia e Tivoli fino ai Monti Lucretili col grosso borgo di Palombara Sabina, e ai Prenestini, sulle cui prime pendici si situa Palestrina (…). Al di là dell’apparato vulcanico dei Colli Albani include Velletri, l’agglomerato di Anzio-Nettuno e Aprilia in provincia di Latina (ibidem; pp.129-130).

È evidente insomma come l’area metropolitana milanese comprenda centri di grande rilevanza economica e demografica posti al di fuori della Provincia, laddove i territori appartenenti all’area metropolitana di Roma a al di fuori della sua provincia hanno ben minore salienza in termini geografici, demografici e produttivi. A conferma di ciò si prendano in esame i Sistemi Locali del Lavoro25 che intersecano il territorio delle due province. Ancora una volta è possibile osservare come nel caso milanese aree rilevanti dello stesso SLL di Milano restino al di fuori dei confini provinciali (nell’area nord) (fig.1). Diversamente, nel caso di Roma i confini della Provincia sono in buona parte coincidenti con quelli del Sistema Locale del Lavoro Romano (fig.2), inglobando anche un SLL funzionalmente rilevantissimo per l’area metropolitana qual è quello di Civitavecchia, il cui porto svolge un ruolo centrale nell’economia romana. Nell’insieme, dunque, le evidenze relative alle interdipendenze funzionali del territorio mostrano come se nel caso della Provincia di Roma politiche pubbliche attivate sul livello metropolitano possano svolgere una funzione di livello effettivamente metropolitano, lo stesso non si può dire con riferimento al caso Milanese. Non è un caso che gli stessi policy makers parlino in proposito del fabbisogno di governo di una regione urbana.

23

Bartaletti definisce le aree metropolitane come complessi urbani costituiti da due o più comuni “aventi un numero di addetti all’industria manifatturiera e alle attività terziarie più qualificanti (…) uguale o superiore alla media italiana”. In più, in questa classificazione si prevede un requisito relativo alla dimensione demografica dei comuni che costituiscono la “corona suburbana”

23, la cui popolazione deve corrispondere almeno al 10% di quella della città

centrale, o comunque deve essere non inferiore ai 50mila abitanti. 24

Per “area consolidata” si intende nella letteratura geografica e urbanistica il territorio urbanizzato risultante dal congiungimento di due o più aree metropolitane. È il caso della regione urbana di Milano, che non è dato invece nel territorio dell’area metropolitana di Roma. 25

Nello studio dei fenomeni metropolitani i Sistemi Locali del Lavoro “rappresentano un livello di analisi adeguato, in quanto sono definiti in funzione dei flussi di pendolarismo per motivi lavoro, attraverso l’individuazione di aree geografiche omogenee secondo logiche legate alla capacità di attrazione dei territori” (Cittalia, 2008; p.14)

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Fig.1

Fig.2

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Si tratta di un’area i cui confini non corrispondono ad alcuna delimitazione istituzionale, e il cui governo richiede il ricorso a forme di cooperazione interprovinciale o intercomunale o, direbbero i sostenitori dell’approccio strutturale, della definizione di un nuovo livello istituzionale di area vasta in grado di sopperire alle insufficienze tanto della Regione quanto della Provincia nel suo disegno attuale. b) Il modello di governance. Ancora con riferimento all’approccio neostrutturalista, nel rendere conto della varianza osservata tra i casi in esame può essere di ulteriore aiuto utilizzare un concetto utilizzato in diversi studi relativi al governo locale nei quali si opera una distinzione tra modelli di governance per quanto attiene alla rete di attori dominante nel policy making locale. La governance locale infatti, lungi dal poter essere trattata come un parametro, è un fenomeno che presenta una varianza rilevante da realtà a realtà tanto da poterne individuare una pluralità di varietà differenziate sulla base delle credenze che ne sono alla base, degli attori che hanno accesso alle arene, delle decisioni e delle politiche pubbliche che ne costituiscono gli otputs. A dare conto dei differenti modelli di governance urbana è tra gli altri Jessop (2002) che contestualizza il fenomeno nell’ambito di quello che definisce Shumpeterian Workfare

Postnational Regime. Una classificazione per alcuni versi affine a quella di Jessop è quella proposta da Baldo, Capano, Lizzi e Natali (2009) i quali, a partire dall’analisi della governance nelle politiche di sviluppo economico, identificano cinque modelli “che possono trovare applicazone come elemento portante o componente di un sistema di governance locale”. Tali modelli sono il mercato, lo stato, la comunità, l’associazione e l’organizzazione d’impresa. In questa sede si prenderanno in considerazione due dei quattro modelli poiché è possibili riscontrare tratti di essi nei due casi studio in oggetto. Tali modelli sono i) l’associazione, su cui pare basarsi la governance dell’area metropolitana romana, e ii) il mercato sul quale si basa la governance dell’area metropolitana milanese. i) Il modello basato sull’Associazione è caratterizzato dalla preminenza nella governance locale di associazioni rappresentative degli interessi funzionali. Tali organizzazioni operano perseguendo l’interesse dei propri associati, e le politiche pubbliche risultano essere il risultato di relazioni aggregative che si strutturano nelle arene decisionali: “Il dialogo tra le parti (associazioni di categoria, sindacati dei lavoratori, rappresentanza degli imprenditori) rappresenta una forma di coordinamento sia orizzontale (tra gruppi) sia verticale (tra rappresentanti e rappresentati e tra diversi livelli di governo)” (Baldi, Capano, Lizzi, Natali, 2009: p.316). Si tratta di un modello associabile al neocorporativismo che, oggetto di una vastissima letteratura nelle scienze sociali, è definito da Jessop (ibidem) come “based on commitment to social accords as well as the pursuit of private economic interests in securing the stability of a socially embedded, socially regulated economy” (p.462). Tale modello sembra approssimarsi a quello riscontrabile nel policy making romano, tanto al livello comunale quanto al livello provinciale. A livello comunale infatti

In the 2002-2008 period a practice with some features of neo-corporatism (…) has been present in the Project of Rome, a permanent consultation board of the mayor, composed of the city’s most important economic organizations and trade unions. After the political change occurred in 2008 a new Committee was established, without the presence of the trade unions (d’Albergo, 2010)

A livello provinciale emerge con altrettanta evidenza la rilevanza attribuita al coinvolgimento di attori sociali ed economici nel policy making metropolitano, dal momento che il Comune di Roma “ha concordato con la Provincia di Roma, la Regione Lazio e la Camera di Commercio di Roma di

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costituire un unico «tavolo di concertazione per lo sviluppo economico». La prospettiva della riforma istituzionale sembra perciò costituire un’opportunità di maggiore integrazione dei percorsi sinora promossi da diversi attori pubblici per produrre strategie di sviluppo per la città” (d’Albergo e Moini, 2010). ii) Il caso milanese sembra al contrario approssimarsi maggiormente a un modello di governance basato sul mercato, nell’ambito del quale il principio guida degli attori coinvolti nella produzione di beni e servizi è quello del profitto, connesso quindi alla strutturazione di relazioni di tipo concorrenziale nelle arene. Ciò comporta un ruolo rilevante di attori privati nel policy making, e l’imposizione di criteri commerciali nel settore pubblico. Il modello orientato al mercato presenta tratti comuni con quella che Jessop (2002) definisce governance di tipo neoliberista, nella quale la partnership pubblico/privato è preferita a quella che l’autore chiama “social partnership”, soppiantata da relazioni di tipo manageriale nell’ambito delle politiche pubbliche. La produzione di politiche di sviluppo e pianificazione metropolitana a Milano è affidata a agenzie di carattere misto pubblico-privato, ciò che riflette una tendenza a minimizzare l’intervento pubblico nelle dinamiche economiche di area vasta. Le politiche di scala metropolitana sono qui tematizzate come politiche di marketing territoriale, e in esse il ruolo dell’institution building è considerato di fatto nullo:

La cuestion de la competencia interurbana reencuentra su lugar en el debate sobre la politicas urbanas, que se centran en cuestiones de marketing territorial. Sin embargo, la reactualizacion politica de la cuestion de la internacionalizacion economica no implica necesariamente una nueva incorporacion a la agenda del tema de la creacion de un gobierno metropolitano. De hecho, el vinculo entre estos dos temas urbanos no parece interesar a nadie. (Di Ciommo, 2004; p.68)

Si tratta di una dinamica di policy nella quale singoli attori economici sembrano prescindere anche dalle associazioni di rappresentanza, laddove “las instituciones locales ausentes de esos procesos socio-economicos y las uniones patronales cada vez mas fragmentadas han sido desplazadas de la transformacion de la structura economica metropolitana” (ibidem; p.63).

L’ipotesi dunque che si può avanzare sulla base di queste evidenze è che in modello di governance basato sull’associazione si tendando a produrre politiche metropolitane di natura strutturale, mentre in un modello di governance basato sul mercato si tendano a produrre politiche di natura funzionale, come indicato dalla teoria della “scelta pubblica” che considera le forme di governo decentrate, poco regolate e spontanee capaci di maggiore efficacia allocativa di risorse e come elemento di miglioramento della competitività territoriale. 4.2 L’ipotesi istituzionale: la determinante evolutiva.

Se è rilevante la determinante di natura strutturale, deve essere presa in considerazione con altrettanta attenzione una determinante di carattere evolutivo che prenda le mosse dalle caratteristiche specifiche dei contesti studiati fugando il rischio di dare luogo a conclusioni di natura deterministica, proponendo “regolarità forti che li rendano fenomeni senza storia” (Capano, 2009). È dunque opportuno prendere pur brevemente in esame la posizione occupata dalla riforma metropolitana nelle policy agendas di Roma e Milano a partire dall’approvazione della Legge 142/1990.

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Nel caso di Milano non esiste alcun tentativo di dotare l’area metropolitana di un governo istituzionalizzato corrispondente con i suoi confini. Potrebbe apparire un paradosso, trattandosi Milano della “più estesa e matura delle aree metropolitane italiane” (Vicari Haddok, 2004). Ma la realtà appare meno paradossale considerandola alla luce della storica posizione funzionalista della regione Lombardia che, fin dagli anni ottanta, considerava una eventuale istituzione metropolitana come “un carrozzone in litigio continuo con gli enti locali sottostanti e la regione soprastante” (Irer-Progetto Milano, 1986; cit. in Rotelli, 1999). La regione dunque reclamava per sé le funzioni di governo metropolitano considerandosi come “unica autorità dotata di sufficienti poteri di innovazione ordinamentale” (ib). A Milano non esiste una forma di governo metropolitano dotata di un qualche grado di istituzionalizzazione, ma “l’area milanese dispone di alcune agenzie di scala metropolitana” (Bobbio e Rosso, 2003) che ne strutturano la governance. Tra queste agenzie si prende qui in considerazione Milano Metropoli. Milano Metropoli è la “l'Agenzia per la Promozione e lo Sviluppo Sostenibile dell'Area Metropolitana di Milano, ovvero una struttura dedicata a promuovere servizi e interventi per favorire la reindustrializzazione e lo sviluppo economico e sociale della regione milanese”. È una società per azioni promossa e gestita dalla Provincia di Milano, che ne detiene la maggioranza di quote azionarie: “Milano Metropoli è partecipata dalla Provincia di Milano (socio di maggioranza), dalla Camera di Commercio di Milano, da Finlombarda (società finanziaria della Regione Lombardia), dai Comuni di Sesto San Giovanni, Bresso, Cinisello Balsamo e Cologno Monzese, dall'agenzia del Rhodense ComunImprese e da aziende private”26. Tra gli obiettivi di Milano Metropoli non c’è quello di dotare l’area metropolitana di uno strumento di governo istituzionale, ma solo quello di produrre politiche pubbliche orientate allo sviluppo economico ed industriale del territorio. I processi decisionali sono coerenti con la natura aziendale delle realtà, governati quindi da un consiglio di amministrazione nominato sulla base delle quote azionarie detenute dai membri. Il caso di Milano Metropoli dà conto della modalità di governo del territorio metropolitano milanese, che avviene più attraverso il ricorso a agenzie legate a singole issues che attraverso la strutturazione di soluzioni istituzionali stabili. Tali agenzie nel loro insieme compongono un mosaico complesso e frammentato, ma che nel suo insieme rappresenta una strategia di governo del territorio orientata al mercato e alla competizione. È quindi evidente come a Milano si sia compiuta la scelta di rinunciare a dare una risposta strutturale ai problemi sollevati dal processo di metropolizzazione:

Qui l’assenza di una pianificazione strategica, il conflitto tra livelli di governo locale (…) hanno di fatto lasciato la città in balìa delle logiche spontanee del mercato e delle spinte all’integrazione funzionale disconnessa, mentre una vasta città-regione economica si sta saldando per suo conto nel vuoto istituzionale (Perulli, 2007; p.103)

Diverso è il caso di Roma. Qui, sia pur con ritardo, la riforma metropolitana ha occupato l’agenda istituzionale portando anche ad atti normativi. Il 20/12/1995 la Regione Lazio, la Provincia e il Comune di Roma hanno attivato un Ufficio per la pianificazione Territoriale dell’Area Metropolitana di Roma. La L.R. Lazio 5 marzo 1997 ha istituito la Conferenza Metropolitana di Roma, uno strumento di governo volontario diffusosi in Italia a seguito dell’approvazione della L.142/1990 e che configura l’arena nella quale comuni e provincia “possono portare a conoscenza di tutti le proprie istanze e, insieme, giungere agli accordi necessari per garantire un adeguato sviluppo alle aree” (Spalla e Lanza, 2008). L’istituzione della Conferenza Metropolitana non è di

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ibidem

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per sé garanzia dell’efficacia della stessa, che è rimasta poi nei fatti “sostanzialmente inoperosa” (ibidem). Resta tuttavia il fatto che le istituzioni nella Regione Lazio abbiano posto all’interno dell’agenda di policy il tema di una riforma metropolitana, ciò che nella storia della Regione Lombardia non è mai avvenuto. Successivamente con Delibera del Consiglio Comunale n.21 del 18 genn. 2001 il Comune di Roma ha avanzato una propria proposta di delimitazione dell’area metropolitana romana. Il Comune si è al contempo fatto promotore di una “ristrutturazione finalizzata ad anticipare alcune condizioni istituzionali e organizzative del modello di governo metropolitano a due livelli” (d’Albergo, 2003; p.71), identificate nell’ampliamento dell’autonomia e dei poteri amministrativi degli enti di decentramento urbano: “le precendenti 19 Circoscrizioni

sono state trasformate in Municipi con un presidente –eletto direttamente dal 2000- che agisce con i poteri di un quasi sindaco” (ibidem). Recentemente, nuovi provvedimenti legislativi (di livello nazionale) hanno riportato il tema della riforma metropolitana nell’agenda istituzionale del Comune e della Provincia di Roma: “il modello istituzionale (Città Metropolitana di Roma Capitale) fornito dalla legge n. 42 del 2009 è flessibile e può essere adattato per iniziativa dei governi locali dell’area metropolitana di Roma e successivamente approvato dallo Stato. Questo dovrebbe aiutare a superare gli ostacoli incontrati almeno fino al 1999 da un modello di governo metropolitano indifferenziato e imposto dall’alto” (d’Albergo e Moini, 2010). È sufficiente questa breve disanima del percorso della riforma metropolitana nei due contesti negli ultimi due decenni per dare conto di come la modalità di produzione di politiche di livello metropolitano non possa che configurarsi come adattiva rispetto ad essi. Così, differentemente dal caso di Roma, nel caso di Milano non è dato riscontrare una policy che persegua finalità di natura costituente, laddove un mutamento istituzionale in senso metropolitano non ha mai trovato spazio nell’agenda di policy, e laddove quest’ultima è determinata da un sistema di credenze consolidato nelle elites regionali. Già nel 1996 la Regione Lombardia sosteneva che:

Essendo diverse le esigenze a cui il governo di un’area metropolitana deve rispondere, esigenze caratterizzate da scale dimensionali differenti, più che ipotizzare un nuovo organismo che, sovrapponendosi a quelli esistenti ne cancelli le individualità, occorre promuovere un’articolazione di governo su più livelli, con spazi autonomi di organizzazione per le funzioni che sono gestibili su raggi territoriali ridotti. (Regione Lombardia, 1996; cit.in Campilongo, 2007)

Conclusioni: una agenda di ricerca.

La progressiva uscita dalla scena del dibattito politico della riforma metropolitana non è affatto conseguenza di un arresto o del rallentamento dei fenomeni di urbanizzazione e di metropolizzazione che, al contrario, si intensificano. Questo paper ha proposto l’analisi di una varianza ma nell’ambito di un fenomeno isomorfico che di per sé ne è alla base: i policy makers delle aree metropolitane nel corso degli ultimi venti anni hanno teso ad affrontare i problemi metropolitani attraverso la produzione di politiche pubbliche innovative piuttosto che attraverso l’attivazione di processi di institution building (per quanto –questi ultimi- previsti dalla legge). Appare quindi opportuno tracciare una agenda di ricerca che si ponga l’obiettivo di andare oltre il dibattito sulle ragioni del fallimento della proposta metropolitana (già ampiamente trattate dalla letteratura giuridica e urbanistica) per affrontare analiticamente gli impatti dei processi di metropolizzazione sulle politiche pubbliche e gettare luce sui cambiamenti subiti da queste ultime.

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In questo ambito il contributo qui presentato intende non presentare i risultati di una ricerca già svolta, quanto tracciare una possibile agenda di ricerca sulla metropolizzazione delle politiche pubbliche in Italia sulla base di una indagine di sfondo su due casi studio che ha consentito di concettualizzare una possibile variabile dipendente (il grado di strutturalità delle politiche metropolitane) e di generare alcune ipotesi esplicative che di tale ricerca potrebbero costituire le variabili indipendenti. Un programma di ricerca articolato sulla metropolizzazione delle politiche pubbliche in Italia deve prendere in considerazione un numero più elevato di casi (a partire dalle 15 Città Metropolitane riconosciute dalla Costituzione e dalle Regioni Autonome, per arrivare fino alle 33 aree metropolitane individuate nei più recenti studi geografici [Bartaletti, 2009]), ciò che potrebbe dare luogo a un’analisi esaustiva e sistematica della metropolizzazione delle politiche pubbliche in Italia. Lo stesso campo di analisi può essere arricchito e articolato prendendo in esame una più vasta gamma di interrogativi sollevati dalla metropolizzazione delle politiche pubbliche e di cui l’economia del presente contributo non ha consentito di dare conto. Ci si riferisce qui alla varianza osservabile nei reticoli della governance delle politiche metropolitane, all’apertura o alla chiusura di essi ad attori della società civile, al posizionamento di essi nell’ambito di dinamiche multilivello coinvolgenti governi di livello regionale, nazionale, comunitario; agli output di policy in termini di contenuto, all’orientamento social o market oriented di esse, al tipo di strumenti utilizzati e al grado di istituzionalizzazione effettivamente osservabile nelle politiche pubbliche. Di certo si tratta di una agenda di ricerca coerente con i fabbisogni conoscitivi legati ai problemi di policy propri di una contemporaneità caratterizzata dalla ricerca di una scala appropriata per politiche di sviluppo locale in grado di fronteggiare la crisi dell’economia globale. Basti pensare al dibattito relativo al futuro della politica di coesione comunitaria, che da più parti si sostiene debba assumere caratteristiche marcatamente place based (Barca, 2009) e agire dunque su territori funzionalmente coerenti rifuggendo da tendenze gestionali centralistiche (comprendendo in esse forme contemporanee di centralismo regionale). Emerge quindi come cruciale il tema del governo dell’area vasta e possono trovare nuovo ruolo le istituzioni intermedie che

Collocandosi “in mezzo” –tra il micro e il macrolivello- (…) sono, da un lato, in grado di realizzare forme di standardizzazione che consentono la realizzazione di economie di scala nella produzione di beni collettivi e, dall’altro, l’adattamento alle specificità locali e la valorizzazione delle risorse presenti al microlivello. Quindi, sono sufficientemente distanti dal microlivello per generare tendenze neghentropiche e governare le interdipendenze esistenti tra differenti ordini regolativi locali, ma anche sufficientemente prossime ad esso per non erodere le relazioni personali e idiosincratiche che cementano ogni singolo ordine regolativo locale. (Lanzalaco, 2003; p.17)

Il ruolo di ente intermedio, in assenza delle città metropolitane, è oggi svolto dalle province, come fin qui osservato. Con quali modalità e con quali esiti è l’oggetto dell’agenda di ricerca che qui si propone. Una ricerca che appare tanto più opportuna considerando il fatto che nel dibattito politico corrente e in assenza di solide basi empiriche sembra registrarsi un consenso quasi unanime sulla soppressione delle Province, e con esse dell’unico ente in grado di approssimarsi a quell’area vasta il cui governo è un obiettivo che pare condizione necessaria per lo sviluppo locale.

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