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1 Politica e popolo: una storia transatlantica di Nicola Verola Introduzione La Gran Bretegna e l’America hanno molto in comune, ma non la lingua scriveva Oscar Wilde verso la fine dell’Ottocento. Sostituendo Gran Bretagna con Europa, lo stesso si può dire del linguaggio della politica. In effetti, sulle due sponde dell’Atlantico utilizziamo vocabolari politico‐ istituzionali molto simili, salvo che diamo spesso significati diversi agli stessi termini. Basti pensare allo slittamento semantico che espressioni come “liberale”, “radicale”, “socialista” e persino “repubblicano” e “democratico” subiscono nell’attraversare l’oceano. Viene da chiedersi se la stessa sorte non tocchi al termine “populista”, balzato prepotentemente agli onori della cronaca tanto negli USA quanto nel Vecchio Continente. Siamo sicuri che quando il New York Times e le Figaro parlano di “movimenti populisti” intendono esattamente la stessa cosa? E siamo sicuri che le analisi che vengono svolte su una sponda dell’Atlantico vadano bene anche sull’altra? Il dubbio è fondato. Innanzitutto perché il termine inglese “people” non ha, a differenza del nostro “popolo”, nessuna connotazione classista e trova semmai un corrispettivo nel nostro più neutrale “gente”. Ma soprattutto perché, per larga parte della loro storia, USA e Europa hanno usato il termine “populista” per designare movimenti politici molto diversi fra loro. E’ opportuno chiedersi se questa differenza permanga o se non sia intervenuto, negli ultimi anni, un processo di convergenza attorno ad un significato condiviso. E soprattutto, è opportuno chiedersi se le manifestazioni “populiste” di cui tanto si parla sulle due sponde dell’Atlantico siano frutto ancora oggi, come in passato, di dinamiche sottostanti incomparabili o se non si sia assistito anche in questo campo ad un progressivo avvicinamento. Una versione più breve di questo articolo è pubblicata sulla “Rivista n. Aspenia 78 - ottobre 2017”

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Politica e popolo: una storia 

transatlantica 

diNicolaVerola

Introduzione 

LaGranBretegnael’Americahannomoltoincomune,manonlalinguascriveva Oscar Wilde verso la fine dell’Ottocento. Sostituendo GranBretagnaconEuropa, lostessosipuòdiredellinguaggiodellapolitica.Ineffetti,sulleduespondedell’Atlanticoutilizziamovocabolaripolitico‐istituzionalimoltosimili,salvochediamospessosignificatidiversiaglistessitermini.Bastipensarealloslittamentosemanticocheespressionicome “liberale”, “radicale”, “socialista” e persino “repubblicano” e“democratico”subiscononell’attraversarel’oceano.Vienedachiedersi se la stessasortenon tocchial termine “populista”,balzato prepotentemente agli onori della cronaca tanto negli USAquanto nel Vecchio Continente. Siamo sicuri che quando il New YorkTimes e le Figaro parlano di “movimenti populisti” intendonoesattamente la stessa cosa? E siamo sicuri che le analisi che vengonosvoltesuunaspondadell’Atlanticovadanobeneanchesull’altra?Ildubbioèfondato.Innanzituttoperchéiltermineinglese“people”nonha, a differenza del nostro “popolo”, nessuna connotazione classista etrova semmai un corrispettivo nel nostro più neutrale “gente”. Masoprattutto perché, per larga parte della loro storia, USA e Europahanno usato il termine “populista” per designare movimenti politicimoltodiversifraloro.E’ opportuno chiedersi se questa differenza permanga o se non siaintervenuto,negliultimianni,unprocessodiconvergenzaattornoadunsignificato condiviso. E soprattutto, è opportuno chiedersi se lemanifestazioni “populiste” di cui tanto si parla sulle due spondedell’Atlantico siano frutto ancora oggi, come in passato, di dinamichesottostantiincomparabiliosenonsisiaassistitoancheinquestocampoadunprogressivoavvicinamento.

Una versione più breve di questo articolo è pubblicata sulla “Rivista n. Aspenia 78 - ottobre 2017”

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Per rispondere a questi quesiti dobbiamo innanzitutto intenderci sulsignificatodeltermine“populismo”.Compitotutt’altrocheagevolesesitienecontodeifiumidiinchiostrochesonostatispesinegliultimianniperdefinirlo.Irisultatisonostatifinoraparziali.Nonesiste,indottrina,unconsensounanime sulla natura del populismo: se esso sia un’ideologia, unastrategia, una “logica politica”, un discorso, uno stile, unamentalità oquant’altro.Gli studiosi concordano però quanto meno sulle sue manifestazioniesteriori.Conunacertaapprossimazione,ainostrifinipossiamoquindidefinire “populisti” quei movimenti politici che reclamano unarappresentanza tendenzialmente esclusiva di un’entità mitologica eincorrottacomeil“popolo”,vistodinormacomeoperosoeportatorediunamoralità superiore, in contrastoconunaminoranzaparassitaria–variamente definita come élite, “establishment”, “casta”, “millionaireclass”, “cosiddetti esperti”, “point‐headed intellectuals”, burocrati equant’altro – accusata di tramare contro gli interessi della “gentecomune”.A questi caratteri essenziali si associano normalmente una serie dipresupposti “moralistici” (“tutti corrotti”), tratti fortemente identitari,inalcunicasiassociatiavenaturaxenofobe,unrifiutodellacomplessitàin nome del “buon senso” popolare e una spiccata propensione adidentificarelavolontàdellamaggioranzaconla“volontàgenerale”.Datodacuidiscendespessoun’insofferenzadifondoneiconfrontideivincolidellademocrazia liberaleeduna tendenziale riluttanzaadaccettare ledinamichedellesocietàpluraliste.Selavolontàautenticadel“popolo”siincarna, attraverso una sorta di unione mistica, nel movimentopopulista,chivisiopponeècontrarioalvoleredelpopolo,normalmenteperché corrotto o perché vuole mantenere al potere le vecchie escreditateélites1.Seguendolastessalogica,all’insofferenzaperivincoliinterni si è aggiunta, negli ultimi anni, un’idiosincrasia nei confrontidellaretediaccordieistituzioniinternazionali(ONU,FMI,WTOe,suunpiano ancora più strutturato, Unione Europea) creati nel dopoguerraper gestire l’interdipendenza fra Stati e i processi globali. Accordi eistituzioni visti come espressione di élites internazionali distanti eirresponsabili, complici dei grandi interessi economici e colpevoli di

1 J-W. Mueller, What is populism, University Of Pennsylvania Press, Philadelphia, 2016

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“legarelemani”agliStati,impedendolorodidifenderegliinteressidelpopolo.

La nascita del populismo americano 

Tanto i movimenti populisti europei quanto quelli statunitensi hannopiù o meno ricalcato, negli ultimi due secoli, le caratteristiche sopraelencate. Eppure hanno trovato a lungo collocazioni diverse, per nondireopposte,neirispettivipanoramipolitici.NegliStatiUniti il termine“populista”èstatostoricamenteassociatoaistanze “di sinistra”, al punto che, per dirla con lo storico americanoMichael Kazin, l’espressione “populismo conservatore” è stato a lungounossimoronelpanoramapoliticoamericano2.In un Paese in cui il concetto di classe non ha mai attecchito, ilpopulismo è stato a lungo il linguaggio naturale delle istanzeprogressiste.Unlinguaggiopuntellatodaquell’“Americancreed”–fattodiegualitarismo,mobilitàsociale,produttivismo,amoreperlalibertael’autogoverno–sucuisibasal’identitàcollettivaamericana3.Le sue bandiere, almeno per i primi 150 anni della Repubblica, sonostate la democratizzazione della vita pubblica e la difesa del “popolominuto”controquellicheoggiverrebberodefiniti“ipoteriforti”.Nel perseguire queste istanze, i populisti non facevano altro chereclamare la piena attuazione delle premesse della Dichiarazione diIndipendenza(le“selfevidenttruths”chetuttigliuominisonougualiedispongono di una serie di diritti inalienabili). Anche a costo discardinare, soprattutto nella fase iniziale della Repubblica, l’impiantotendenzialmente“aristocratico”dellaCostituzionefederale.A parte l’episodio iniziale (l’abbordaggio alle navi del tè ormeggiate aBoston,il16dicembre1773),quellaamericananonfuunarivoluzionedipopolo.FuoperadiunaminoranzadiPadrifondatoriche,nutritadilettureclassicheefilosofiailluministica,avevasicuramentepiùacuoreil concetto di libertà che quello di democrazia4. E’ indicativo, d’altraparte, che il termine non compaia mai né nella Costituzione né neipamphlet scritti all’epoca per difenderla. In entrambi, gli Stati Unitivengonodefiniticomeuna“Repubblica”,conilsottintesochel’obiettivo2 M. Kazin, The Populist Persuasion, Cornell University Press, London, 1998, p. 165 3 Gordon S. Wood, The Idea of America, Penguin Press, New York, 2011 4 P. Johnson, A History of the American People, Harper Perennial, 1997; H. Zinn, A People’s History of the United States, Harper Perennial, 2003

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delle nuove istituzioni è far sì che il popolo, identificato con lamoltitudine incolta, si lasci governare dai più saggi e dai piùcompetenti5.Coerentemente con queste premesse, tutta la Costituzione USA èimprontata,adispettodelsuoincipit“populista”(“WethePeople”),allapreoccupazione di “canalizzare” la volontà del popolo ed evitare ilrischiodiderivemaggioritarie.Bastipensareall’elezionedelPresidente,che è affidata sì al suffragio popolare (universale dal 1920), ma èmediatadall’elezionediun“collegioelettorale”che,almenonell’intentooriginariodeiPadri fondatori, avrebbedovutoscegliere fra i candidatipiùvotatiquellopiùadattoasvolgerel’altoincarico.Non è un caso che la prima manifestazione “populista” nella storiaamericana coincida proprio con il desiderio di forzare questomeccanismo.Natonell'estremoovestdellaCarolinadelNord,daun'umilefamigliadiimmigrati irlandesi, e cresciuto politicamente nel Tennessee, AndrewJacksonfuilprimoPresidenteestraneoalpatriziatodellaEastcoast.Ilprimo a rivendicare una legittimità derivante direttamentedall’investiturapopolare.PrimadivarcarelasogliadellaCasaBianca(pesantementeristrutturatadopo un’irruzione dei suoi supporters in festa), Jackson avevasperimentato sulla propria pelle le clausole di salvaguardia anti‐maggioritariedellaCostituzioneUSA.Puravendoricevutodigranlungailmaggiornumerodivotialleelezionipresidenzialidel1824,fuinfattiscartatodalCollegio elettorale che gli preferì il “patrizio” JohnQuincyAdams.Questo“corruptbargain”rafforzòlasuaostilitàneiconfrontidelleèlitesdellaEastcoasteilsuodesideriodifarsiportavocedel“popoloreale”.Isuoisostenitoricominciaronofindasubitoaprepararelarivincita,conuna campagnamediatica avanzatissima per il tempo, tutta all’insegnadella lotta contro le élites. La competizione elettorale del 1828 fuscanditadalmotto “Andrew Jacksonand thewillof thepeople”6.Ed il

5 “The aim of every political constitution is, or ought to be, first to obtain for rulers men who possess most wisdom to discern, and most virtue to pursue, the common good of the society” (J. Madison, Federalist Paper n. 57) 6 Harry Watson, Andrew Jackson, America’s Original Anti-Establishment Candidate, Zocalo Public Square. smithsonian.com March 31, 2016 (http://www.smithsonianmag.com/history/andrew-jackson-americas-original-anti-establishment-candidate-180958621/)

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“popolo”ineffettisifecesentire.Ilnumerodeivotantitriplicòrispettoalleelezionidel1824eJacksonfuelettotrionfalmente,anchegraziealmassicciosostegnodella“workingclass”.Aquest’attovienefattarisalirelafondazionedelPartitoDemocratico.Il filo conduttore della Presidenza Jackson fu la difesa delle “classiproduttrici”contro la finanzaegli“special interests”.Unobiettivoche,nella visione jacksoniana, doveva essereperseguito riducendo i poteridelloStatofederale(“draintheswamp”)erafforzandoquellidegliStati.Lapraticadioccuparel’Amministrazioneconfunzionarinominatisullabasedicriteridifedeltàpolitica,lo“spoilsystem”,fuintrodottaproprioinqueglianni.Il settimo Presidente degli Stati Uniti introdusse molti degli elementiche avrebbero successivamente caratterizzato il populismostatunitense7.Iltermine“populista”feceperòilsuoingressonellessicopoliticod’oltreoceanosoltantonell’ultimodecenniodel secolo,quandounaseriediassociazionidiagricoltori(“farmersalliances”)delsudedelnord del Paese si fusero con l’organizzazione protosindacale degli“KnightsofLabor”perfondareil“People’sParty”.La nuova formazione rispondeva a un duplice malessere. Degliagricoltori,chesieranoinquegliannipesantementeindebitatiacausadellacadutadeiprezzisuimercatiagricoli,edeilavoratori,chepativanouna dinamica salariale spinta verso il basso dall’afflusso di immigrati,soprattuttoprovenientidallaCinaedall’Italia.Iduepartitidominanti,ilRepubblicano e il Democratico, erano fiduciosi nella capacità delmercato di autocorreggersi e rifiutavano di prendere sul serio lerivendicazionidiquestistratisociali.Adagricoltorieoperainonrestavaquindicheaffidarelepropriesperanzeaunanuovaformazionepolitica.Le rivendicazione del “partito populista”, come fu ribattezzato daigiornali, possono essere considerate secondo il metro attuale “disinistra”. Includevano il riconoscimento dei sindacati, la regolazionedelle ferrovie ed un espansione del credito attraverso il ripristino delconio in argento (“free silver”). Istanze cui si aggiungeva peraltro unacerta retorica anti‐immigrati che, seppure non centrale ai finiprogrammatici,contribuivaall’”appeal”elettoraledelpartito.Il Candidato populista JamesWeaver vinse ben 22 seggi alle elezionipresidenziali del1892, ed il partitopopulistaottenne il 10%dei voti7 S. Inskeep, Donald Trump and the Legacy of Andrew Jackson,The Atlantic 5/22/17

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alleelezionipolitichedel1894.Ilsuccessofuperòdibrevedurata.Nel1896 la maggioranza dei delegati populisti decise di appoggiare ilcandidatodemocratico WilliamJenningsBryant,cheavevarecuperatolaretoricajacksonianaefattopropridiversielementidellapiattaformapopulista.Daquicominciòildeclinodellefortuneelettoralidelpartito,che cessò ben presto di svolgere un ruolo autonomo nel panoramapoliticostatunitense.Duraturofuperòilcontributodiidee,datochela“minacciaelettorale”populistafecesíchelerivendicazioniallasuabasetrovassero finalmente diritto di cittadinanza nel dibattito politicostatunitense8.Lo stesso schema si sarebbe ripetuto alcuni anni dopo, agli albori del“NewDeal”.Arrivatoalpoterenel1934,FranklinDelanoRooseveltsiconcentrò,nelcorsodellasuaprimaPresidenzasoprattuttosulrilanciodell’economia,con l’adozionedimisure come l’EmergencyBankingAct ed ilNationalIndustrial Recovery Act e la creazione della Federal Emergency ReliefAdministration.Perassicurarsilarielezione,dovetteperòmisurarsiconla concorrenza del Governatore della Luisiana Huey Long. Questiminacciava di candidarsi sulla base di una piattaforma schiettamentepopulista, che ruotava attorno allo slogan “share our wealth society”.Un’operazione che avrebbe spaccato il fronte progressista ecompromessolechancesdivittoriadiRoosevelt9.Il progetto fu interrotto dall’assassinio di Long nel 1935 ma sono inmolti a ritenere che la minaccia “da sinistra” abbia contribuito allasvolta progressista della seconda parte della Presidenza Roosevelt. Il“secondo New Deal”, nel 1935‐1938, si sarebbe quindi incentrato suitemisociali,conl’introduzionediprogrammidisostegnocomeilWorksProgressAdministration(WPA)(cheavrebbefattodelgovernofederaleilprincipaledatoredilavorodelPaese);lacreazionediagenziecomelaUSHousingAutority e la Farm SecurityAdministration; l’adozione delFairLaborStandardsAct edelSocialSecurityAct, euna riforma fiscaledaitrattifortementeridistributivi10.8 Molte delle proposte populiste, dalla regolamentazione delle ferrovie al riconoscimento dei sindacati, passando per l’elezione diretta dei senatori e l’adozione di programmi di sostegno per gli agricoltori, furono adottate in quella che alcuni storici chiamano la “progressive era”, fra il 1890 e il 1920. Alla stessa temperie culturale apparteneva anche la prima normativa antitrust, lo “Sherman Act” del 1890, che si proponeva proprio di difendere i “piccoli” dai grandi interessi oligopolistici. 9 J. B. Judt, The Populist Explosion, Columbia Global Reports, New York, 2016 10 Vale la pena ricordare che il “Revenue Act” del 1935 prevedeva un’aliquota del 75% per i redditi superiori ai 5 milioni dollari (http://legisworks.org/sal/49/stats/STATUTE-49-Pg1014a.pdf)

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Tonipopulisti furonoutilizzati anchedaaltripersonaggiperattaccarel’Amministrazione Roosevelt da posizioni conservatrici. Un casosenz’altrointeressanteèquellodelradio‐predicatorepadreMcCoughlinche partendo da una rivisitazione sincretica di dottrina sociale dellachiesa,americanismoeanti‐elitismo,riuscìacrearsiunostraordinarioseguito11.Mailtempodelpopulismodidestranoneraancoraarrivato.“Average Joe” e “Plain Jane”, le personificazioni dell’americanomedio,sarebbero rimasti fedeli al fronteprogressista fino aquando il PartitoDemocraticoe i sindacati statunitensi fossero stati in gradodiparlarealla“pancia”delpopoloamericano12.

Il “nuovo” populismo americano 

Il monopolio progressista del linguaggio populista sarebbe statointaccatosoltantoneldopoguerra.Leprimeavvisagliesiebberoconlacrociata anticomunista del senatore McCarthy, che vedeva proprionell’attaccoallasinistraliberaledelitariaunodeisuoicapisaldiretorici.Il vero e proprio cambiodi registro si sarebbe avuto tuttavia soltantonegli anni ’60, a seguito dei processi che stavano modificandoprofondamentelasocietàamericana.IlprimoerafruttopropriodiquelNewDealcheavevaassicuratopertrent’anniilpredominio“liberal”sulsistemapoliticostatunitense.Grazieadesso, leclassipopolarisieranogradualmenteaffrancatesulpianoeconomico.Milionidisalariatieranoentrati a far parte della classe media e si vedevano ormai comeproprietaridicaseeconsumatoripiùchecome“bluecollars”.Nonsolo,leretisocialicostituitenegliannitrentaliavevanosollevatidallapauradi cadere in miseria che aveva assillato i loro genitori ai tempi dellaGrandeDepressione.Adifferenzadiquestiultimi,essinonchiedevanoquindi un maggiore intervento dello Stato. Anzi, lo osteggiavano, pertimore di dover pagare di tasca propria nuovi programmi sociali asostegnodeipoveriedelleminoranze.Parallelamente, la sinistra americana cominciava a perdere la suatradizionale capacità di parlare al “popolo”.Né il partitoDemocratico,orfano del geniale “populista” Kennedy, né, tantomeno, la “NuovaSinistra” seppero interpretare gli umori che stavano ribollendo nellasocietàamericanadeglianni’60.Ilmontarediunrisentimentodimassa

11 Kazin, op. cit. 12 ibid

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contro il potere federale, i movimenti di sinistra, la controcultura, ilblackpower.Questa défaillance offrì al Partito repubblicano la possibilità di usciredall’angolo in cui era di fatto costretto fin dai tempi della PresidenzaHoover. I suoi strateghi cominciaronoamettere apuntouna strategiache avrebbe consentito al “Grand Old Party” di liberarsi dellatradizionaleetichettadi“partitodeiricchi”perproporsicomedifensoredei“middleclassvalues”–l’eticadellavoro,lamoralità,l’autogoverno–dellanuovaborghesia.Detonatore di questo riallineamento elettorale sarebbero state lebattagliesuidiritticivili.Nacqueallora, inAmerica,unanuovaretoricapopulista,che,oltreadirigereipropristraliversol’alto,controleeliteseigrandiinteressieconomici,avrebbepresoadirigerli“versoilbasso”,controlaminoranzaafroamericana,considerataallastreguadiuncorpoestraneo rispetto al “popolo”. Uno schema “triadico” tipico, per moltiversi,dituttiipopulismididestra13.Esponente archetipico di questa nuova tipologia di populismo fu ilGovernatore (democratico) dell’Alabama George Wallace, rimastofamosoperlasuaretoricaincendiariacontrointellettualieburocrati,ilsuosostegnoagli“state’srights”(parolaincodice,findall’ottocento,perdesignarelepratichediscriminatoriedelsud)elasuadifesadelleleggiraziali,algrido(dicuieglistessosisarebbepoipentito)di“segregationnow,segregationtomorrow,segregationforever”.Wallace sarebbe stato un credibile candidato, o quantomeno unpericolosoterzoincomodo,nelleelezioniPresidenzialidel1972senonfossestatogravementeferitoinunattentato.IlsuoritiroaprìlastradaaltrionfodiNixon,manonavrebbecancellatol’impattopermanentedelmovimento di opinione che lo aveva sostenuto. Con la lotta contro idiritticivilidicuiWallacesierafattoportavoceeraemersoinfattiquel“middleAmerica radicalism”14che avrebbe influenzatoprofondamenteledinamichepolitiche statunitensidegli anni successivi. E soprattutto,con la frattura sui diritti civili vennemeno il compromesso fra le dueanime del partito democratico – quella “liberal” del nord e quellaconservatrice del sud – che gli avevano consentito dimantenere perdecenni un saldo controllo sul Congresso. Da roccaforte del partito

13 M. Kazin, Trump and American Populism – Old Whine, New Bottles, Foreign Affairs, November/December 2016. 14 D. I. Warren, The Radical Center: Middle Americans and the Politics of Alienation, University of Notre Dame Press, 1976

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democratico, il sud sarebbe diventato stabilmente repubblicano,consegnando a partire dagli anni ’80 un sostanziale controllo delCongressoalGrandOldParty.Lo stesso Nixon e, più tardi, Ronald Reagan, avrebbero costruito leproprie fortune politiche sulla loro capacita di farsi interpreti deisentimentiprofondidelnuovobloccosocialecompostodaconservatorisocialidelsudeliberistieconomicidelnord.Malavoceprotestatariaeantisistemadel “MiddleAmericaradicalism” tornòa farsisentireneglianni’90conduepersonaggidecisamente“sopralerighe”.NelleelezioniPresidenziali del 1992, il miliardario Ross Perot, presentatosi comeindipendente, riscosse quasi il 19% dei consensi, malgrado unacampagna presidenziale altalenante e ricca di colpi di scena. IlRepubblicanoeterodossoPatBuchanan,giàspeechwriterdiNixon,nonsarebbe mai riuscito ad eguagliare questa prestazione ma avrebbepartecipatoconuncertosuccesso,soprattuttomediatico,alleprimariedel1992,1996e2000.Gliosservatorinonsonoconcordinell’incasellarelafiguradiRossPerotnella categoriadel “populismodidestra”, ed ineffetti ilpersonaggio–un vero e proprio “maverick” – sfugge per molti versi ai tentativi diclassificazione. L’operazione risultapiù agevoleperPatBuchanan, chepresentatuttiicrismidelpopulismodidestra.Restailfattocomunqueche i due candidati “fuori dal coro” della politica degli anni ’90condividevanomolte posizioni: la polemica contro lo strapotere dellecorporations, l’opposizione al NAFTA, la critica contro l’eccessivatolleranza delle autorità nei confronti dell’immigrazione illegale(elemento particolarmente forte in Buchanan). Lo spazio politico emediatico che riuscirono a ritagliarsi confermava l’esistenza di unmalcontento latentenei confrontideipartiti “mainstream”.Ma i tempinoneranoancoramaturipertrasformareilmugugnoinveraepropriaprotestadimassa.Ilmomentosarebbevenutodopolacrisi finanziariadel 2008. E’ in questo frangente, nel pieno di quella che ormai vienedefinita la “Grande Recessione”, che la scena politica americana vienescossa da due movimenti populisti speculari, entrambi impegnati adattaccare, da posizione opposte, il consenso neo‐liberale che avevacaratterizzatolapoliticastatunitensedeidecenniprecedenti.15IlmovimentodelTeaPartysarebbenato inopposizioneallemisuredisostegnoall’economiaapprontatedalleAmministrazioniBusheObama

15 David M. Kotz, The Rise and Fall of Neoliberal Capitalism, Harvard University Press, 2015

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inrispostaallacrisifinanziariadel2007‐2008edavrebbeassuntotoniparossistici nell’affrontare il cavallo di battaglia delquarantaquattresimo Presidente USA: lo “Affordable Care Act”. I suoisostenitori si sarebbero allineati con la parte più conservatrice delPartito Repubblicano in nome di una riduzione del ruolo dello Statonell’economia ma avrebbero portato avanti anche una serie diargomenti tipici del populismo di destra: l’ossessione per il rischiomigratorio, ladivisionedelmondofra“makers”e“takers”,chericordapermoltiversiglislogandelvecchiopartitopopulista,l’avversioneneiconfronti delle élites washingtoniane e persino verso i candidatirepubblicani“mainstream”.Su posizioni “di sinistra” sarebbe sorto negli stessi anni, conl’occupazionedello“Zuccottipark”diNewYork,ilmovimento“OccupyWallStreet”.Natospontaneamentedallarabbiaperilcrackdel2008,ilmovimento non avrebbe tardato a elaborare un discorso politicotipicamentepopulista,spostandol’accentodallacriticaaglieccessidelleélitesfinanziarieall’attaccoalleélitestoutcourt,promuovendoformedipartecipazione democratica diretta e, soprattutto, rivendicandoper sestesso la rappresentanza dell’insiemedella popolazione, con il famososlogandel“99%dellapopolazionecontrol’1%”.Retrospettivamente, tanto il Tea Party quanto “Occupy Wall Steet”possono essere considerate le prove generali di quello che sarebbeavvenuto nelle elezioni presidenziali del 2016. Queste hanno vistol’emergere, all’interno dei due maggiori partiti, di personalità cheriproduconomoltideglistilemiclassicidelpopulismoamericano.Pochi avrebbero creduto, fino a pochi anni fa, che il senatore delVermont Bernie Sanders, un vero e proprio “outsider” della politicaamericana, con le sue posizioni dichiaratamente socialiste, potesseemergere come un contendente credibile di Hillary Clinton. Eppure, èciò che è successo nelle primarie del partito democratico. NellacampagnadiSanderssonoriecheggiatimoltidegliargomentidi“OccupyWall Street”, assieme a parole d’ordine che ricordano da vicino gliargomenti tradizionali del populismo americano “di sinistra”, acominciare dalla polemica contro la “billionaire class”. Soprattutto,l’anziano Senatore ha portato avanti, in netta contrapposizione conHillaryClinton,unacriticaradicalecontroil“neo‐liberalconsensus”cheha di fatto accomunato negli ultimi decenni il partito democratico equellorepubblicano.

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Inquesto,lacampagnadiSandershapresentatomoltipuntiincomunecon quella di Donald Trump, un altro “outsider” che avrebbe vinto asorpresa le primarie nel partito repubblicano e avrebbe finito colprevalerecontrolastessaHillaryClinton.ComePeroteBuchananprimadi loro, Trump ha portato avanti un attacco frontale ad alcuni deicapisaldidellapoliticaesteraamericanadegliultimidecenni:gliaccordiregionalicomeilNAFTA,ilTAP,ilTTP,laliberalizzazionedegliscambi,il rapporto simbiotico con la Cina, la libera circolazione dei capitali.Come loro (e come Sanders), ha polemizzato sul ruolo delle grandiimprese, accusate di appropriarsi dei benefici della globalizzazione aidannidella“middleAmerica”.ComeWallaceprimadilui,hacavalcatoilrisentimento delle classi lavoratrici bianche americane contro ilpresunto predominio dei “liberals”, impersonificati dal primoPresidente di colore della storia americana. Come Nixon, si è erto arappresentantedella“silentmajority”eadinterpretedeisentimentidel“popolo”americanocontro lesueélites.ComelostessoPeople’sparty,ha sbandierato l’opposizione contro l’immigrazione illegale, facendoattenzione ad utilizzare argomenti di carattere “socioeconomico” piùche raziale: la concorrenza sui salari ai danni dei “blue collars”americani, il tentativo degli “special interests” di creare una bloccoelettorale a loro favore, e via dicendo. Nel farlo, ha riscosso unostraordinariosuccessonell’Americaprofondaefraleclassipopolari,chelohannoproiettatoversolaCasaBiancaalterminediunadelleelezionipresidenzialipiùcombattutedisempre.

Il percorso del populismo in Europa 

AdifferenzachenegliStatiUniti,inEuropailtermine“populista”èstatoa lungo associato a istanze politiche “di destra”, quando nonapertamentereazionarie.Moltolosideveallatraiettoriaoppostaseguitadaiconcettidi“popolo”e“partecipazionepopolare”sulleduespondedell’Atlantico.Se l’atto di fondazione della democrazia USA vede come protagonistauna ristretta élite di patrioti illuminati, la “democrazia dei moderni”irrompeinEuropasull’ondadiunsollevamentopopolare.NelcasodellaFrancia, i nobili indebolirono la monarchia richiedendo unridimensionamento dei suoi poteri, ma, nelle parole di Chateaubrian,

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furono i “plebei” aportarea termine la rivoluzione.16L’esattooppostodelpercorsodellarivoluzioneamericanadaBostonaFiladelfia.E’verochetuttiiprincipaliprotagonistidellarivoluzionefrancese,conl’eccezioneforsedeisanculottidiHébert,nutrivanounsospettodifondoneiconfrontidellemasse17.E’unfatto,però,chetuttiipassaggisalientidella rivoluzione furono sanciti dall’intervento del popolo in armi, oquantomenodelsuo“proxy”,lefolleparigine.18Populisti erano d’altra parte i suoi stessi presupposti ideologici. Irivoluzionari americani si ispiravano all’illuminismo scozzese, e allateoria della limitazione dei poteri. Il nume tutelare della RivoluzionefranceseerainveceRousseau,conlasuateoriadellasovranitàpopolaree soprattutto con l’idea che esista e si possa discernere una “volontàgenerale”delpopoloinquantotale19.Lostessomanifestopoliticodellarivoluzione,ilpamphlet“Cos’èilTerzoStato”dell’AbateJoseph‐EmmanuelSieyès”,siaprivaconunadomandaretorica che, mutatis mutandis, potrebbe ancora oggi essere fattapropria da qualsiasi movimento populista: “Che cosa è ilTerzo stato?Tutto. – che cosa è stato finora nell’ordinamento politico?Nulla. – Checosachiede?Divenirviqualchecosa”20.L’avventurarivoluzionarianonavrebbeperòrealizzatolesuepremessee, lungi dal portare all’affermazione del “potere del popolo”, sarebbedegenerata nel cesarismo bonapartista. Uno schema che si sarebberipetuto anche fra il 1948 e il 1951, con il passaggio dalla Comune alsecondoImpero.Nellemanidiquell’abilepopulistachefuNapoleoneIII,il suffragio universale si sarebbe trasformato in uno strumento dimanipolazione delle masse. La rappresentanza popolare si sarebbeinvoluta in investitura plebiscitaria. Il rapporto fra governanti egovernati sarebbe diventato, secondo una felice espressione,“democrazia recitativa”.21Da allora, il “populismo” sarebbe stato visto,inEuropa,comel’anticameradell’autoritarismoplebiscitario.Nei decenni successivi, le istanze di cambiamento sarebbero stateportate avanti da minoranze di agitatori come Babeuf, Buonarroti,16 “Les plus grands coups portés à l’antique constitution de l’État le furent par des gentilhommes. Les patriciens commencèrent la Révolution, les plébéiens l’achevèrent” (François René de Chateaubriand, Mémoires d’Outre Tombe, Parigi, 1949, p. 279). 17 D. Van Reybrouck, Contre les elections, Actes Sud, 2014 18 E. Gentile, Il Capo e la Folla – La genesi della democrazia recitativa, Laterza, Bari, 2016 19 L. Hartz, The Liberal Tradition in America: An Interpretation of American Political Thought since the Revolution, Harcourt Brace, New York, 1991 (seconda edizione). 20 Emmanuel-Joseph Sieyes, Che cosa è il Terzo Stato?, tr. It, Editori Riuniti, 1978, Roma 21 E. Gentile, op. cit.

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Mazzini.Elostessomovimentomarxista,purpredicandoilruolostoricodellemasse,sarebbepassatodalla teoriaai fattisoltantonelmomentoincuiungrupporistrettodirivoluzionaridiprofessione,indottrinatidaLenin,sifossemessoallaguidadel“popolo”.Quest’ultimo sarebbe rientrato in scena in Europa soltanto con ilprocessodi “nazionalizzazionedellemasse”operatodai regimi fascistineglianniventietrenta22.Lamaggiorpartedeglistudiosioggirifiutadidefinireilfascismocomeun fenomenopopulista23evi vede innanzituttoun fenomenoelitista24.Glielementi “populisti”del fascismo,oquantomeno ipuntidi contattofra fascismi e populismi, sono però innegabili. Basti pensare allamitizzazione del “popolo”, visto come entità unitaria e non come unasomma di individui e gruppi sociali; alla polemica contro le classidirigentiliberali,descrittecomeinefficaci,corrotte,sordeaibisognideiceti popolari, deboli e succubi delle potenze straniere; allaindividuazione di un “nemico interno” colpevole di tramare contro gliinteressidellanazione,spessoinintelligenzaconunnemicoesterno.Questiprecedentiaiutanoaspiegare il sospettoconcui ilpopulismoèstatoalungoguardatoinEuropa.Ciòlohapermoltotempoconfinatoinmovimentianti‐sistemaonostalgicicomel’UomoQualunqueinItaliaoilPoujadismo inFrancia25.Movimentiche,con i loroslogancontrariallapressione fiscale e alle ingerenze del governo, hanno esercitato, neldopoguerra,uncertofascinosullapiccolaborghesiadegliartigianiedeicommerciantimachenonsonoriuscitiaconsolidareiproprisuccessieadespanderelapropriabaseelettorale.Acontenernelespintecontribuivanod’altrapartelecaratteristichedelquadro politico di quegli anni. I primi decenni del dopoguerra videroinfatti in Europa l’affermazione di forze politica a forte vocazionepopolare ma al tempo stesso anti‐populiste. Lo schema prevalentesarebbestatoquellodell’alternanzafrapartitimoderati,moltospessodiispirazione cristiano‐democratica, e partiti di ispirazionesocialdemocratica. I primi avrebbero prevalso molto più spesso deisecondi,maneavrebberoinmolticasimutuatolepolitiche,alpuntochesipuòaffermare,nelcomplesso,chelegrandiforzepopolariavrebbero

22 G. L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse, tr. It., ll Mulino, Bologna, 1975 23 Sheri Berman, Populism is not Fascism – But it Could Be a Harbinger, Foreign Affairs November/December 2016 24 M. Tarchi, Italia populista – Dal qualunquismo a Beppe Grillo, Il Mulino, 2015; L. Ricolfi, Sinistra e Popolo, Longanesi, 2017 25 M.Tarchi, op cit.

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sostanzialmente collaborato alla costruzione del modello tipicamenteeuropeo della “economia sociale di mercato”. Il boom economico e ladiffusione del benessere le avrebbero aiutate a costruire un arginemoltosolidocontrolepulsionipopuliste,chesisarebberovistealungorelegateinfrangemarginalidellospettropolitico.Iprimisegnalidirisvegliodeimovimentipopulistisiebberoneglianni’70,sull’ondadellacrisieconomica.Siaffacciaronosullascenainqueglianniduepartitidestinatiasvolgereunruolodiprimopianosullascenapolitica francese e austriaca: il Front National e il Freiheitliche ParteiÖsterreichs– FPÖ.IlFrontNationalfranceseerastatofondatonel1972da JeanMarie Lepen sulla base di parole d’ordine che ricordavano davicino quelle del movimento poujadista (di cui Le Pen era stato, nel1956, ilpiu’giovanedeputatoall’AssembléeNationale).Alsuo internoerano però confluiti svariate componenti della galassia della destrafrancese:nostalgicidiVichy,ultra‐tradizionalisticattolici,veteranidellaguerrad’Algeria,esponentideimovimentimonarchici.IlFPÖfufondatonel1956conl’intenzionedicreareunterzopolofrailPartitoSocialdemocraticoeiCristianodemocraticimasvolsealungounruolo marginale nella politica austriaca. Con l’adesioneall’internazionale liberale, nel 1979, sembrava avviato a trovare unacollocazionepermanentefralegrandifamigliepoliticheeuropee,tantopiùche,all’iniziodeglianni ’80,ilpartitoandòalgovernoincoalizionecon il partito Socialdemocratico. La svolta governativa sarebbe stataperòdibrevedurata.Con l’arrivoalla sua leadershipdi JörgHeider, ilpartitoadottò infattidei toniaccesamentepopulisti.Lasvoltaavrebbeportato alla rottura con il SPO e alla fuoriuscita del FPOdall’internazionale liberale ma ne avrebbe anche favorito le fortuneelettorali. L’FPO si sarebbe presentato da allora comeun contendentedelletradizionaliformazionidicentrodestraecentrosinistrasullabasediunapiattaformapoliticadirottura.Il consolidamento del FrontNational e del FPO coincise anche conungradualecambiamentodeiloroprogrammielettorali.Messeinsoffittaletradizionaliistanzeliberisteepiccoloborghesi,entrambeleformazionicominciarono infatti a promuovere piattaforme politiche decisamenteantiliberali,corredatedallarichiestadimisuredisostegnoaicetisocialisvantaggiati. A condizione, però, che queste misure fossero rivolte alsolo “popolo” autoctono. Per certi versi, cominciarono quindi a farsiportatoridiquellocheèstatoefficacementedefinitocome“sciovinismo

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del welfare state”26. Un cambiamento che assicurò loro crescenticonsensifraleclassilavoratriciminacciatedaimutamentitecnologiciedallacrisieconomica.La vera esplosione dei movimenti populisti sarebbe però arrivatasoltantonelprimodecenniodelnuovosecolo27,conisuccessielettoralidel Front National e del FPO e con la nascita di nuove formazionipopuliste, soprattutto nel Nord Europa. Compagini come quellacapeggiata da Pim Fortuyn in Olanda e UKIP in Gran Bretagnacominciaronoalloraacapitalizzaresullareazionepopolareneiconfrontidell’immigrazione, tantoextraeuropeaquantoprovenientedaiPaesidinuova adesione alla UE. Laminaccia del terrorismo islamico consentìloro di aggiungere nuova benzina ad una retorica già di per séincendiaria.Molte di queste formazioni sarebbero riuscite ad assicurare unapresenzastabile,perquantominoritaria,neirispettiviparlamentigrazieaimeccanismi elettorali diffusi inmolti Paesi europei.Per ironiadellastoria,alcunidiesse,comeUKIPelostessoFN,avrebberofattopropriodelParlamentoEuropeo(elettodal2004conmetodoproporzionale),laridottadacuipartireall’assaltodeisistemipoliticinazionali.Il richiamo di questi partiti si sarebbe ulteriormente accentuato apartire dal 2008, con l’avvio di quella che gli storici economici giàchiamano “la grande recessione” e con la crisimigratoria che avrebbecolpitol’Europaaseguitodeglisconvolgimentigeopoliticinellaspondasuddelmediterraneo.Nelnorddell’Europa,questapoli‐crisiavrebberafforzatoleformazionipopulistenateneidecenniprecedenti,alpuntochealcunediesse,comeloFPO,ilFN,eilPartitodellelibertà(PVV)olandese,sarebberoapparsedei seri contendenti alla presa del potere, mentre altre, come UKIP,avrebbero pesantemente condizionato le scelte politiche dei partitipolitici“mainstream”.Parallelamente,laprofondacrisieconomicacheavevacolpitoalcunideiPaesi dell’Europa meridionale favorì l’emergere di una variante dipopulismoineditaperl’Europaemoltopiùsimilealmodellooriginario

26 Y. Mény, Y. Surel, Par le peuple pour le peuple Le populisme et les démocraties, Fayard, Paris 2000 27 B. Moffitt, The Global Rise of Populism – Performance, Political Style and Representation, Stanford University Press, 2016; D. Reynié, Les nouveaux populismes, Fayard, Paris, 2013

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statunitense. Un populismo di sinistra che avrebbe preso di mirasoprattutto le élites finanziarie, le classi dirigenti del Paese, laburocrazia brussellese e le regole dell’Eurozona. Questa variante“mediterranea” del populismo avrebbe portato al potere il partitoSyriza,nato comeuna coalizionedi formazionidell’ultrasinistra greca,edavrebbeassicuratolefortuneelettoralidi“Podemos”inSpagna.Maavrebbe trovato riscontri significativi anche in Francia, con la buonaaffermazione del candidato di ultrasinistra Jean‐Luc Melenchon allepresidenziali del201728e soprattutto in Italia.Qui si sarebbe assistitoadunrafforzamentodellaLega–suuna lineaassimilabileaquelladeimovimenti populisti di destra del nord Europa – e alla nascita delMovimento5stelle,chepresentacaratteristichedientrambelevariantidel populismo e sembra destinato a consolidare il suo ruolo di “terzopolo”rispettoalcentrodestraealcentrosinistra.

Europa e Stati Uniti di fronte ai nuovi populismi 

Alterminediquestarapidacarrellata,possiamotentaredirisponderealquesitoconcuiavevamoapertoquestoscritto.Ineffetti,soprattuttocongli sviluppi degli ultimi anni, si direbbe che vi sia una sostanzialeconvergenza sul significato che vienedato al termine “populista” sulleduespondedell’Atlantico.Sebbene siano partiti da sponde opposte, il populismo americano equello europeopresentano ormaiun’“offerta” politica sostanzialmenteidentica. Tanto negli USA quanto in Europa sono infatti presentientrambe levariantidipopulismo:quello “disinistra”, checoncentra ipropri strali contro l’”alto” e quello “di destra” che li suddivide fral’”alto” – le élites variamente intese – e il “basso” – le minoranze, ilsottoproletariato o gli immigrati. A ben vedere, entramberappresentano una reazione contro il consenso neo‐liberale che hacaratterizzatogliultimidecenniedentrambesonoportatricidi istanzedi protezione contro i processi di globalizzazione, la crisi economica,l’immigrazione. Da qui il loro successo presso gli strati popolaritradizionalmenteappannaggiodellasinistra29.Restadachiedersiseidenticosiaancheilloroimpatto:comereagirannoisistemipoliticieuropeiestatunitensiall’irromperediquestepulsioni

28 Jean Luc Mélenchon, L’ère du Peuple, Fayard, Paris, 2017 29 L. Ricolfi, op. cit.

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populiste?Saprannotrovaredellerispostealleistanzechelealimentanoofinirannoconl’essernespiazzati?Molto dipenderà dal contesto. Nelle democrazie solide, i movimentipopulisti possono svolgere un ruolo positivo. Possono aiutare acanalizzare istanze di maggiore partecipazione democratica, diinclusione sociale, di protezione contro le minacce vere o comunquepercepitecometalidapartedellapopolazione.Nelledemocraziemenosolide, la loro critica alle élites e alle istituzioni può avere però unimpattodestabilizzante.Il sistema politico‐istituzionale statunitense ha storicamentemetabolizzato i movimenti populisti immettendone le istanze nellapolitica “mainstream”. L’esito è stato di norma un aggiustamento deiprogrammidapartediunoodientrambiipartitidominantio,inalcunicasi, un riallineamento elettorale, come quello che nell’ottocento haportatoallanascitadelpartitodemocraticooquelloche,apartiredaglianni’60delsecoloscorso,hafattotransitaregliStatidelSudnelcamporepubblicano30.Storicamente, i sistemi politici europei hanno mostrato una minorecapacitàadattiva.L’irromperedeimovimentipopulistisulla loroscenasi è saldata normalmente in un nulla di fatto – quando i movimentihanno perso slancio elettorale – o in esiti traumatici, quando hannoavutosuccesso.Una serie di fattori culturali, istituzionali e politici aiutano a spiegarequestadifferenza.La cultura politica innanzitutto, o, se vogliamo, lo stesso principiofondante a partire dal quale può essere costruita la nozione di“popolo”31. In quel “Grand Experiment in democracy” che sono, nelleparole di Hamilton, gli Stati Uniti, i movimenti populisti hannostoricamentebranditoproprio laCostituzione–oquantomenola loroletturadellaCostituzione–controi“nemicidelpopolo”,accusatidiavertradito la promessa originaria di libertà, uguaglianza e diritto alperseguimento della felicità su cui si basa il “credoAmericano”. In uncontesto,comequelloeuropeo,incuileidentitàcollettivesonodefinitesostanzialmenteinterminietno‐culturalioquantomenostorici,nonc’ènessun“patriottismocostituzionale” cheaiutiacanalizzare lepulsionipopuliste. L’attacco alle élites colpevoli di tramare contro il “popolo”

30 J. B. Judt, op. cit. 31 E. Laclau, On Populist Reason, Verso, Londra, 2015

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rischiaditrasformarsiinunacriticaradicalealleistituzioni,senonaglistessimeccanismidemocratici.In secondo luogo, sono i meccanismi costituzionali a condizionare ilmodo in cui le istanze populiste vengono formulate e per così dire“metabolizzate”sulleduespondedell’Atlantico.IcheckandbalancessucuisibasalaCostituzionefederaleaiutanoacontenereeventualispinteestremistiche, che siano di natura populista omeno, e, anzi, per certiversi fanno si che la stessa logica populista trovi una sua naturalecollocazionenella fisiologiadelsistema.NegliUSA, lacriticaal “poterecostituito” si traduce infatti quasi sempre o nella richiesta di ridurrel’ingerenza del Governo centrale ripristinando gli “state’s rights” (uncavallodibattagliadeipopulistididestra)onellarivendicazionediunmaggiore intervento federale a “protezione” dei cittadini (come èavvenutoconilNewDeal).Nessunmovimentopopulistahamailanciatoi propri strali contemporaneamente contro il potere federale e controquello degli Stati, il che ha fatto sì che la critica populistaall’establishment abbia sempre considerato legittimo almeno unsegmento del sistema politico‐istituzionale della nazione. In Staticentralizzati come sono, prevalentemente, quelli europei, la critica al“potere” non trova sfogo nel rapporto fra centro e periferia. Rischiaquindi di trasformarsi in critica alle istituzioni tout court, compliceanche l’insofferenza dei movimenti populisti nei confronti deimeccanismidicontrollochecaratterizzanolademocrazialiberale.Entranoingioco,infine,ledifferenzedeisistemipolitici.Inuncontestobipartitico come quello statunitense, le rivendicazioni alla base deimovimenti populisti fanno inizialmente più fatica a trovare unacollocazione autonoma. Tuttavia, riescono prima o poi a farsi strada,influenzando lapiattaformapoliticadiunodeiduepartitio favorendounriallineamentoelettorale.Lacarica“eversiva”delpopulismosisfogacontro le élites economichee le classidirigentideipartiti tradizionali,accusatediesseresordeaibisognidel“vero”popolo,manonlambiscedi norma le istituzioni in quanto tali. In contesti più frammentatipoliticamentecomequelliprevalentiinEuropa,spessocaratterizzatidameccanismi elettorali proporzionali e da un’endemica instabilitàpolitica, le forze populiste trovano più agevolmente la strada dellarappresentanza parlamentare ma, paradossalmente, vengono“riassorbite” con maggiore difficoltà. I partiti “mainstream” possonotentare di “incistarle” nel sistema o, alternativamente, di adottarnealcuni elementi programmatici, ma difficilmente riescono a scalzarle

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dallaloro“nicchiaecologica”.Larappresentanzagarantita,associataallairrilevanza – e quindi all’irresponsabilità – politica fanno sì che imovimenti populisti europei possano assumere delle posizioni piùradicali senza pagarne lo scotto e, anzi, beneficiando di una solidarenditadiposizione.Finoaquando lecircostanzeesterne–unagravecrisi politica o economica – non creano le condizioni che consentanolorodiusciredallamarginalità.Il legamedicaratteresemi‐federalechegliStatieuropeihannostrettofra loro a partire dal secondo dopoguerra non ha, paradossalmente,rafforzatola“resilienza”delsistemadifronteallespintedestabilizzanti.Semmai lo ha reso più rigido, e quindi anche più fragile32. Bastaripercorrere rapidamente i tre ordini di fattori che abbiamo elencatosopraperrenderseneconto.Sul pianodella cultura politica, le classi dirigenti europeenon si sonomai davvero proposte di affiancare alle identità nazionali preesistentiun sentimento di appartenenza autonomo, basato su una forma piùevolutadi“patriottismocostituzionaleeuropeo”33.Anzi,permoltiversila UE stessa rappresenta il tentativo “postmoderno” di costruire unacollettivitàaprescinderedallanozionedipopolo.Perl’Unioneesistonoi“cittadini”europei,concuisicercanodistabilireformedidialogopiùomenostrutturate.Esistonoi“popoli”,dicuisicercadifavorirel’Unione“semprepiùstretta”(secondolaformulazionedeiTrattatipiùinvisaaglieuroscettici). Non esiste, però, una nozione di popolo europeo su cuifondare i meccanismi di un governo compiutamente democratico (equindifederale).E’cosìcheil“noi”Europeositingeinevitabilmentediuniversalismo, identificandosi nei valori fondamentali enunciati daiTrattati34. Ed è così che l’Unione Europea cerca di surrogare lefondamenta “pesanti” di un’identità collettiva che le manca con learchitetture “leggere” delle regole e delle procedure comuni35. Per

32 N. Taleb, Antifragile – Things that gain from disorder, Random House, New York, 2012 33 L’unico tentativo organico in questo senso è stato il “Trattato che Istituisce una Costituzione per l’Europa” – N. Verola, L’identità europea fra eredità e progetto, , in F. Bassanini e G. Tiberi (a cura di), Le nuove istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, Il Mulino, Bologna, 2008 34 G. Amato, N. Verola, Libertà, Democrazia e Stato di Diritto, in Europa: un’utopia in Costruzione, Istituto della Enciclopedia Italiana, in corso di pubblicazione 35 Al di là delle somiglianze esteriori, la costruzione europea e gli USA si differenziano profondamente sotto questo profilo. Entrambi sono, per molti versi, figli dell’illuminismo. Ma gli americani non hanno mai rinnegato la politica dell’identità in nome dell’universalismo. Anzi, hanno costruito una fortissima identità “di popolo” proprio a partire dalla convinzione universalistica di essere, nelle parole di Melville, “the chosen people”, chiamato a portare “l’arca

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movimenti che fondano le proprie aspirazioni sulla pretesa dirappresentare il sentire autentico del “popolo”, una costruzione delgenere rappresenta, nel migliore dei casi, un oggetto misterioso. Nelpeggiore,unostacolodaabbattere.Venendoaifattoriistituzionali,cisipotrebbechiedereselacreazionediunsistemadi“governancemulti‐livello”comequelloeuropeononpossaaiutare a “disperdere” le spinte populiste, come avviene negli USA.Purtroppo,nonsembrachesiaquestoilcaso,anzi.Ladialetticacentro‐periferia, in Europa, non è uno sfogo per le tensioni generate daimomenti di crisi, è un elemento del problema. Nessun movimentopopulista esige un ruolo maggiore per l’Europa, anche quando ce nesarebbe bisogno, ma in compenso tutti reclamano un suoridimensionamento, anchequando sarebbepericoloso.Non è scontatocheinuncontestosemi‐federalecomel’Europalarichiestadiridurreilruolo del “centro” possa essere gestita senza eccessivi traumi, allastregua di quanto avviene di norma in un contesto autenticamentefederale come gli USA36. La “repatriation” delle competenze potrebbeinfattiesserefataleperunorganismo,comelaUE,che, inmancanzadiun’autentica investitura “costituzionale”, vede la sua ragion d’essereproprionellacondivisionefunzionalediporzionicrescentidisovranità.Nonbisognasottovalutareilrischioche,tirandounfilo,sidisfi l’interatramadellerelazioniintra‐europee.Ilquadrononmigliorasepassiamoaifattoripolitici.Bastaripercorrereladefinizionecheabbiamotratteggiatonell’introduzioneperconstatarecheledinamichebrussellesirappresentanounasummadituttociòcheèinvisoaipopulismi:unpoteredistanteenonsempreintelligibile,unalogica politica fortemente improntata a criteri tecnocratici, unaburocrazia forteesovranazionale,meccanismiper lagestionedeibenicomuni che comportano seri vincoli per le autoritànazionali, processidecisionali ispirati alla ricerca del consenso e quindi intrinsecamenteanti‐maggioritari, e via dicendo. Nessuna meraviglia, quindi, che

delle libertà nel mondo” (cit. in Niall Ferguson, Colossus – The Rise and Fall of the American Empire, Penguin Books, New York, 2004, p. 60). 36 Non sfugge naturalmente a chi scrive che la Guerra civile Americana scoppiò in ultima analisi a causa di una profonda controversia sulle prerogative del Governo federale. Le condizioni che portarono al tentativo di secessione degli Stati del Sud rappresentano però un caso estremo nella storia degli USA, caratterizzata per il resto da una dialettica pacifica fra le istanze federali e quelle statali.

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“Bruxelles” sia diventata lo spauracchio di gran parte dei populismieuropei37.Ciò che deve preoccupare, però, non sono tanto le forze populistequantoledebolezzeeuropee.Seèvero,comel’esperienzainsegna,cheperassorbirelespinteanti‐sistemaoccorreinnanzituttorisponderealleistanzechenesonoallabase, ivincoli, lamacchinositàe iproblemidiazione collettiva di cui la UE soffre da alcuni anni a questa parte38rappresentano oggettivamente un fattore di criticità. E,paradossalmente,contribuisconoadalimentareproprioquelleforzechevorrebbero smantellare il progetto europeo. Il fenomeno ha assuntodimensioni preoccupanti in tempi recenti, con la percezione di unasostanziale inerzia dell’UE di fronte alla duplice crisi, economica emigratoria, che l’hanno colpita. Percezione che ha contribuito adeterminareunsentimentodidisaffezionediffusoefornitocarburanteallaretoricadelleforzeanti‐sistema.Tirando le somme, in Europa funzionano con maggiore difficoltà, perragioni che attengono in parte al livello nazionale, in parte al livelloeuropeo, quei meccanismi di assorbimento che hanno storicamenteconsentitoallafederazioneUSAdimetabolizzareimovimentipopulistiimmettendone in maniera non traumatica le istanze nell’alveo dellepolitichepubbliche.E’questaladifferenzadifondofrailpopulismoamericanoeeuropeo.Ilprimofapartedellafisiologiadelsistema.Ilsecondo,almenonellesuemanifestazioni estreme, della patologia. Non tanto, in questa fasestorica,perilrischiodiinvoluzioniantidemocratiche,quanto,piuttosto,perché una vittoria dei populismi anti‐europei avrebbe comenaturaleconseguenze la rottura di quel progetto di gestione delleinterdipendenze su cui gli Stati membri hanno imperniato la propriapoliticadaldopoguerraadoggi.La sconfittadei candidati euroscetticinelleultime tornateelettorali inFrancia, Olanda e Austria non deve quindi indurre gli europeisti ariposaresugliallori,perchéunrisultatodisegnoopposto, inunadellefuture consultazioni elettorali nazionali, rischierebbe di essere senzaappello. Una ragione in più per riflettere con attenzione sulle cause

37 C. Muddle, Europe’s Populist Surge, Foreign Affairs, Nov/Dec 2016 38 N. Verola, L’Europa legittima - Principi e processi di legittimazione nella costruzione europea, Passigli Editore, Firenze, 2006

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profonde del malessere europeo e sulla necessità di riformare tantol’UnionequantogliStatiMembriperporvirimedio.