Poesie. Forse un mattino andando in un'aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il...

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Poesie Eugenio Montale

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Poesie

Eugenio Montale

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Forse un mattino andando in un'aria di vetro,

arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:

il nulla alle mie spalle, il vuoto dietrodi me, con un terrore di ubriaco. 

Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gittoalberi case colli per l'inganno consueto.

Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zittotra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

Forse un mattino andando in un'aria di vetro

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Antico, sono ubriacato dalla vocech'esce dalle tue bocche quando si schiudono

come verdi campane e si ributtanoindietro e si disciolgono.

La casa delle mie estati lontane,t'era accanto, lo sai,

là nel paese dove il sole cuocee annuvolano l'aria le zanzare.

Come allora oggi in tua presenza impietro,mare, ma non più degno

mi credo del solenne ammonimentodel tuo respiro. Tu m'hai detto primo

che il piccino fermentodel mio cuore non era che un momento

del tuo; che mi era in fondola tua legge rischiosa: esser vasto e diverso

e insieme fisso:e svuotarmi cosí d'ogni lordura

come tu fai che sbatti sulle spondetra sugheri alghe asterie

le inutili macerie del tuo abisso.

Antico, sono ubriacato dalla voce

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Che mastice tiene insieme

questi quattro sassi.

Penso agli angeli 

sparsi qua e là 

Inosservati non pennuti non formati 

neppure occhiuti anzi ignari  della loro parvenza  e della nostra anche se sono

un contrappeso più forte del punto di Archimede

e se nessuno li vede

è perché occorrono

altri occhi che non ho

e non desidero.

La verità è sulla terra e questa non può saperla

non può volerla a patto di distruggersi.

Così bisogna fingere

che qualcosa sia qui tra i piedi tra le mani

non atto né passato né futuro

e meno ancora un muro

da varcare

bisogna fingere

che movimento e stasi

abbiano il senso

del nonsenso

per comprendere

che il punto fermo è un tutto

nientificato.

Che mastice tiene insieme

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Il viaggio finisce qui: nelle cure meschine che dividono 

l’anima che non sa più dare un grido. Ora I minuti sono eguali e fissi 

come I giri di ruota della pompa. Un giro: un salir d’acqua che rimbomba. Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio. 

Il viaggio finisce a questa spiaggia che tentano gli assidui e lenti flussi. 

Nulla disvela se non pigri fumi la marina che tramano di conche I soffi leni: ed è raro che appaia 

nella bonaccia muta tra l’isole dell’aria migrabonde la Corsica dorsuta o la Capraia.

Tu chiedi se così tutto vanisce in questa poca nebbia di memorie; se nell’ora che torpe o nel sospiro 

del frangente si compie ogni destino. Vorrei dirti che no, che ti s’appressa 

l’ora che passerai di là dal tempo; forse solo chi vuole s’infinita, 

e questo tu potrai, chissà, non io. Penso che per i più non sia salvezza, 

ma taluno sovverta ogni disegno, passi il varco, qual volle si ritrovi. Vorrei prima di cedere segnarti 

codesta via di fuga labile come nei sommossi campi 

del mare spuma o ruga. Ti dono anche l’avara mia speranza. 

A’ nuovi giorni, stanco, non so crescerla: l’offro in pegno al tuo fato, che ti scampi. 

Il cammino finisce a queste prode che rode la marea col moto alterno. Il tuo cuore vicino che non m’ode 

salpa già forse per l’eterno. 

Casa sul mare

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ll vento che stasera suona attento - ricorda un forte scotere di lame - 

gli strumenti dei fitti alberi e spazza l'orizzonte di rame 

dove strisce di luce si protendono come aquiloni al cielo che rimbomba 

(Nuvole in viaggio, chiari reami di lassù! D'alti Eldoradi 

malchiuse porte!) e il mare che scaglia a scaglia, 

livido, muta colore lancia a terra una tromba 

di schiume intorte; il vento che nasce e muore nell'ora che lenta s'annera suonasse te pure stasera 

scordato strumento, cuore.

Corno inglese

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La vita che si rompe nei travasi secreti a te ho legata:

quella che si dibatte in sé e par quasi non ti sappia, presenza soffocata.

Quando il tempo s'ingorga alle sue dighe la tua vicenda accordi alla sua immensa,

ed affiori, memoria, più palesedall'oscura regione ove scendevi, 

come ora, al dopopioggia, si riaddensa il verde ai rami, ai muri il cinabrese.

Tutto ignoro di te fuor del messaggio muto che mi sostenta sulla via: 

se forma esisti o ubbia nella fumea d'un sogno t'alimenta 

la riviera che infebbra, torba, e scroscia incontro alla marea.

Nulla di te nel vacillar dell'ore bige o squarciate da un vampo di solfo 

fuori che il fischio del rimorchiatore che dalle brume approda al golfo.

Delta

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Fu dove il ponte di legnomette a porto Corsini sul mare alto

e rari uomini, quasi immoti, affondanoo salpano le reti. Con un segno 

della mano additavi all'altra spondainvisibile la tua patria vera.

Poi seguimmo il canale fino alla darsenadella città, lucida di fuliggine,nella bassura dove s'affondava

una primavera inerte, senza memoria. E qui dove un'antica vita

si screzia in una dolceansietà d'Oriente, 

le tue parole iridavano come le scagliedella triglia moribonda.

La tua irrequietudine mi fa pensareagli uccelli di passo che urtano ai fari

nelle sere tempestose:è una tempesta anche la tua dolcezza,

turbina e non appare,e i suoi riposi sono anche più rari.

Non so come stremata tu resistiin questo lago

d'indifferenza ch'è il tuo cuore; forseti salva un amuleto che tu tienivicino alla matita delle labbra, 

al piumino, alla lima: un topo bianco, d'avorio; e così esisti!

Fu dove il ponte di legno

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Accadeche le affinità d'anima non giunganoai gesti e alle parole ma rimanganoeffuse come un magnetismo. É raro

ma accade.Può darsi

che sia vera soltanto la lontananza,vero l'oblio, vera la foglia secca

più del fresco germoglio. Tanto e altropuò darsi o dirsi.Comprendo

la tua caparbia volontà di essere sempre assenteperché solo così si manifesta

la tua magia. Innumeri le astuzieche intendo.Insisto

nel ricercarti nel fuscello e mainell'albero spiegato, mai nel pieno, sempre

nel vuoto: in quello che anche al trapanoresiste.

Era o non erala volontà dei numi che presidiano

il tuo lontano focolare, stranimultiformi multanimi animali domestici;

fors'era così come mi parevao non era.Ignoro

se la mia inesistenza appaga il tuo destino,se la tua colma il mio che ne trabocca,

se l'innocenza è una colpa oppuresi coglie sulla soglia dei tuoi lari. Di me,

di te tutto conosco, tuttoignoro. 

Ex voto

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Ecco il segno; s'innerva sul muro che s'indora:un frastaglio di palma

bruciato dai barbagli dell'aurora.Il passo che proviene 

dalla serra sì lieve, non è felpato dalla neve, è ancora 

tua vita, sangue tuo nelle mie vene.

Ecco il segno; s'innerva

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Hai dato il mio nome ad un albero? Non è pocopure non mi rassegno a restar ombra, o tronco

di un abbandono nel suburbio. Io il tuol'ho dato a un fiume, a un lungo incendio, al crudo

gioco della mia sorte, alla fiduciasovrumana con cui parlasti al rospo

uscito dalla fogna, senza orrore o pietào tripudio, al respiro di quel fortee morbido tuo labbro che riesce,

nominando, a creare; rospo fiore erba scoglio -quercia pronta a spiegarsi su di noiquando la pioggia spollina i carnosipetali del trifoglio e il fuoco cresce.

Hai dato il mio nome ad un albero? Non è poco

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Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, né più mi occorronole coincidenze, le prenotazioni,

le trappole, gli scorni di chi credeche la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccionon già perché con quattr'occhi forse si vede di

più.Con te le ho scese perché sapevo che di noi due

le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,erano le tue.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

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Ho tanta fede in teche durerà

(è la sciocchezza che ti dissi un giorno)finché un lampo d'oltremondo distruggaquell'immenso cascame in cui viviamo.Ci troveremo allora in non so che punto

se ha un senso dire punto dove non è spazioa discutere qualche verso controverso

del divino poema.So che oltre il visibile e il tangibile

non è vita possibile ma l'oltrevitaè forse l'altra faccia della morte

che portammo rinchiusa in noi per anni e anni. Ho tanta fede in me

e l'hai riaccesa tu senza volerlosenza saperlo perché in ogni rottame

della vita di qui è un trabocchettodi cui nulla sappiamo ed era forsein attesa di noi spersi e incapaci

di dargli un senso.Ho tanta fede che mi brucia; certo

chi mi vedrà dirà è un uomo di ceneresenz'accorgersi ch'era una rinascita.

Ho tanta fede in te 

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Ascoltami, i poeti laureati

si muovono soltanto fra le piante

dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.

Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi

fossi dove in pozzanghere

mezzo seccate agguantano i ragazzi

qualche sparuta anguilla:

le viuzze che seguono i ciglioni,

discendono tra i ciuffi delle canne

e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli

si spengono inghiottite dall'azzurro:

più chiaro si ascolta il susurro

dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,

e i sensi di quest'odore

che non sa staccarsi da terra

e piove in petto una dolcezza inquieta.

Qui delle divertite passioni

per miracolo tace la guerra,

qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza

ed è l'odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le coses'abbandonano e sembrano vicine

a tradire il loro ultimo segreto,talora ci si aspetta

di scoprire uno sbaglio di Natura,il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,

il filo da disbrogliare che finalmente ci mettanel mezzo di una verità

Lo sguardo fruga d' intorno,

la mente indaga accorda disunisce

nel profumo che dilaga

quando il giorno più languisce.

Sono i silenzi in cui si vede

in ogni ombra umana che si allontana

qualche disturbata Divinità

Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo

nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra

soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.

La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta

il tedio dell'inverno sulle case,

la luce si fa avara - amara l'anima.

Quando un giorno da un malchiuso portone

tra gli alberi di una corte

ci si mostrano i gialli dei limoni;

e il gelo del cuore si sfa,

e in petto ci scrosciano

le loro canzoni

le trombe d' oro della solarità.

I limoni

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Alba e notti qui variano per pochi segni.

Il zigzag degli storni sui battifredinei giorni di battaglia, mie sole ali,

un filo d'aria polare,l'occhio del capoguardia dallo spioncino,

crac di noci schiacciate, un oleososfrigolìo dalle cave, girarrosti

veri o supposti - ma la paglia è oro,la lanterna vinosa è focolare

se dormendo mi credo ai tuoi piedi.

La purga dura da sempre, senza un perché.Dicono che chi abiura e sottoscrive

può salvarsi da questo sterminio d'oche;che chi obiurga se stesso, ma tradiscee vende carne d'altri, afferra il mestolo

anzi che terminare nel pâtédestinato agl'Iddii pestilenziali.

Tardo di mente, piagato dal pungente giaciglio mi sono fusocol volo della tarma che la mia suola

sfarina sull'impiantito,coi kimoni cangianti delle luci

sciorinate all'aurora dei torrioni,ho annusato nel vento il bruciaticcio

dei buccellati dai forni,mi son guardato attorno, ho suscitato

iridi su orizzonti di ragnatelie petali sui tralicci delle inferriate,

mi sono alzato, sono ricadutonel fondo dove il secolo è il minuto -

e i colpi si ripetono ed i passi,e ancora ignoro se sarò al festino

farcitore o farcito. L'attesa è lunga,il mio sogno di te non è finito. 

Il sogno del prigioniero

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L'anima che dispensafurlana e rigodone ad ogni nuovastagione della strada, s'alimentadella chiusa passione, la ritrova

a ogni angolo più intensa.La tua voce è quest'anima diffusa.Su fili, su ali, al vento, a caso, colfavore della musa o d'un ordegno

ritorna lieta o triste. Parlo d'altro,ad altri che t'ignora e il suo disegno

è là che insiste do re la sol sol...

L'anima che dispensa

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Lo sai: debbo riperderti e non posso.Come un tiro aggiustato mi sommuoveogni opera, ogni grido e anche lo spiro

salino che straripadai moli e fa l'oscura primavera

di Sottoripa.Paese di ferrame e alberaturea selva nella polvere del vespro.

Un ronzio lungo viene dall'aperto,strazia com'unghia i vetri. Cerco il segnosmarrito, il pegno solo ch'ebbi in grazia

da te.E l'inferno è certo. 

Lo sai: debbo riperderti e non posso

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Portami il girasole ch'io lo trapiantinel mio terreno bruciato dal salino,

e mostri tutto il giorno agli azzurri specchiantidel cielo l'ansietà del suo volto giallino. Tendono

alla chiarità le cose oscure,si esauriscono i corpi in un fluire

di tinte: queste in musiche. Svanireè dunque la ventura delle venture.

Portami tu la pianta che conducedove sorgono bionde trasparenze

e vapora la vita quale essenza;portami il girasole impazzito di luce.

Portami il girasole ch'io lo trapianti

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Piove. È uno stillicidio senza tonfi 

di motorette o strilli di bambini.Piove 

da un ciclo che non ha nuvole. Piove 

sul nulla che si fa in queste ore di sciopero 

generale.Piove 

sulla tua tomba a San Felice 

a Ema e la terra non trema 

perché non c'è terremoto né guerra.Piove 

non sulla favola bella di lontane stagioni, 

ma sulla cartella esattoriale, 

piove sugli ossi di seppia, e sulla greppia nazionale.

Piove sulla Gazzetta Ufficiale qui dal balcone aperto, piove sul Parlamento, piove su via Solferino, 

piove senza che il vento smuova le carte.

Piove in assenza di Ermione 

se Dio vuole, piove perché l'assenza 

è universale e se la terra non trema è perché Arcetri a lei 

non l'ha ordinato.Piove sui nuovi epistèmi 

del primate a due piedi, sull'uomo indiato, sul cielo, 

ottimizzato, sul ceffo dei teologi in tuta 

o paludati, piove sul progresso della contestazione, 

piove sui works in regress, piove 

sui cipressi malati del cimitero, sgocciola sulla pubblica opinione.

Piove, ma dove appari non è acqua né atmosfera, 

piove perché se non sei è solo la mancanza 

e può affogare.

Piove

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Mia vita, a te non chiedo lineamentifissi, volti plausibili o possessi.

Nel tuo giro inquieto ormai lo stessosapore han miele e assenzio.

Il cuore che ogni moto tiene a vileraro è squassato da trasalimenti.Così suona talvolta nel silenzio

della campagna un colpo di fucile.

Mia vita, a te non chiedo

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Non ho molta fiducia d’incontrartinella vita eterna.

Era già problematico parlartinella terrena.

La colpa è nel sistemadelle comunicazioni.

Se ne scoprono molte ma non quellache farebbe ridicole nonché inutili

le altre.

Non ho molta fiducia d’incontrarti

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La speranza di pure rivedertim’abbandonava;

e mi chiesi se questo che mi chiudeogni senso di te, schermo d’immagini,

ha i segni della morte o dal passatoè in esso, ma distorto e fatto labile,

un tuo barbaglio

.

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In giorni come questi, spesso la tetraggine m’assale e il vivere d'ora in ora 

mi tortura. Ma arrivi tu che sconfiggi la noia 

coi tuoi discorsi variopinti. Anche oggi cercheremo una breccia. 

Una parola che ci possa salvare e che ci tenga in bilico 

sul confine ideale tra realtà e fantasia potrà, anche 

se per poco, cangiare l'esistenza.

.

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Per mel’ago della bilancia

sei sempre tu.M’hanno chiesto chi sei. Se lo sapessi

lo direi a gran voce. E sarei chiusotra quelle sbarre donde non s’esce più

.

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Mi sono inginocchiato ai tuoi piedio forse è un'illusione perché non si vede

nulla di teed ho chiesto perdono per i miei peccatiattendendo il verdetto con scarsa fiducia

e debole speranza non sapendoche senso hanno quassù il prima e il poi

il presente il passato l'avveniree il fatto che io sia venuto al mondo

senza essere consultato.Poi penserò alla vita di quaggiù

non sub specie aeternitatis,non risalendo all'infanzia

e agli ingloriosi fatti che l'hanno illustrataper poi ascendere a un dopo

di cui sarò all'anteporta.Attendendo il verdetto

che sarà lungo o breve grato o ingratoma sempre temporale e qui comincia

l'imbroglio perché nulla di buono è mai pensabilenel tempo,

ricorderò gli oggetti che ho lasciatial loro posto, un posto tanto studiato,

agli uccelli impagliati, a qualche ritagliodi giornale, alle tre o quattro medaglie

di cui sarò derubato e forse anchealle fotografie di qualche mia Musa

che mai seppe di esserlo,rifarò il censimento di quel nullache fu vivente perché fu tangibile

e mi dirò se non fosseroqueste solo e non altro la mia consistenza

e non questo corpo ormai incorporeoche sta in attesa e quasi si addormenta.

Ai tuoi piedi