pirolisi

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La pirolisi (o piroscissione) è un processo di decomposizione termochimica di materiali organici , ottenuto mediante l’applicazione di calore e in completa assenza di un agente ossidante (normalmente ossigeno ). [1] In pratica, se si riscalda il materiale in presenza di ossigeno avviene una combustione che genera calore e produce composti gassosi ossidati ; effettuando invece lo stesso riscaldamento in condizioni anaerobiche (totale assenza di ossigeno), il materiale subisce la scissione dei legami chimici originari con formazione di molecole più semplici. Il calore fornito nel processo di pirolisi viene quindi utilizzato per scindere i legami chimici, attuando quella che viene definita omolisi termicamente indotta. Tra i principali processi pirolitici sfruttati su larga scala spiccano il cracking industriale e il trattamento termico dei rifiuti . Prima del 1925 la pirolisi del legno costituì la fonte principale di metanolo . Il processo chimico [modifica ] La pirolisi implica una serie di reazioni radicaliche a catena. A titolo di esempio si illustra la pirolisi del pentano . 1. Omolisi, il calore provoca una scissione omolitica con formazione di due radicali: CH 3 -CH 2 -CH 2 -CH 2 -CH 3 → CH 3 -CH 2 -CH 2 · + CH 3 -CH 2 · 2. Propagazione, un radicale estrae un idrogeno da una molecola di pentano non scissa producendo un nuovo radicale: CH 3 CH 2 · + CH 3 -CH 2 - CH 2 -CH 2 -CH 3 → CH 3 -CH 3 + CH 3 -CH 2 -ĊH-CH 2 -CH 3 3. Terminazione, i prodotti finali vengono ottenuti quando due radicali reagiscono tra loro (si trascurano le reazioni che producono nuovamente pentano o composti che subiscono successivamente nuova pirolisi). Si può avere: 1. Terminazione mediante accoppiamento (produzione di butano ): CH 3 -CH 2 · + CH 3 -CH 2 · → CH 3 -CH 2 -CH 2 -CH 3 2. Terminazione mediante dismutazione (produzione di etano e di etilene ): CH 3 -CH 2 · + CH 3 -CH 2 · → CH 3 -CH 3 + CH 2 =CH 2 Trattamento dei rifiuti [modifica ] La pirolisi dei rifiuti, utilizzando temperature comprese tra 400 e 800 °C, converte il materiale dallo stato solido in prodotti liquidi (cosiddetto tar o olio di pirolisi) e/o gassosi (syngas ), utilizzabili quali combustibili o quali materie prime destinate a successivi processi chimici. Il residuo carbonioso solido ottenuto può venire ulteriormente raffinato fornendo prodotti quali ad esempio il carbone attivo . I prodotti della pirolisi sono sia

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La pirolisi (o piroscissione) è un processo di decomposizione termochimica di materiali organici, ottenuto mediante l’applicazione di calore e in completa assenza di un agente ossidante (normalmente ossigeno).[1] In pratica, se si riscalda il materiale in presenza di ossigeno avviene una combustione che genera calore e produce composti gassosi ossidati; effettuando invece lo stesso riscaldamento in condizioni anaerobiche (totale assenza di ossigeno), il materiale subisce la scissione dei legami chimici originari con formazione di molecole più semplici. Il calore fornito nel processo di pirolisi viene quindi utilizzato per scindere i legami chimici, attuando quella che viene definita omolisi termicamente indotta. Tra i principali processi pirolitici sfruttati su larga scala spiccano il cracking industriale e il trattamento termico dei rifiuti. Prima del 1925 la pirolisi del legno costituì la fonte principale di metanolo.

Il processo chimico [modifica]

La pirolisi implica una serie di reazioni radicaliche a catena. A titolo di esempio si illustra la pirolisi del pentano.

1. Omolisi, il calore provoca una scissione omolitica con formazione di due radicali: CH3-CH2-CH2-CH2-CH3 → CH3-CH2-CH2· + CH3-CH2·

2. Propagazione, un radicale estrae un idrogeno da una molecola di pentano non scissa producendo un nuovo radicale: CH3CH2· + CH3-CH2-CH2-CH2-CH3 → CH3-CH3 + CH3-CH2-ĊH-CH2-CH3

3. Terminazione, i prodotti finali vengono ottenuti quando due radicali reagiscono tra loro (si trascurano le reazioni che producono nuovamente pentano o composti che subiscono successivamente nuova pirolisi). Si può avere:

1. Terminazione mediante accoppiamento (produzione di butano): CH3-CH2· + CH3-CH2· → CH3-CH2-CH2-CH3

2. Terminazione mediante dismutazione (produzione di etano e di etilene): CH3-CH2· + CH3-CH2· → CH3-CH3 + CH2=CH2

Trattamento dei rifiuti [modifica]

La pirolisi dei rifiuti, utilizzando temperature comprese tra 400 e 800 °C, converte il materiale dallo stato solido in prodotti liquidi (cosiddetto tar o olio di pirolisi) e/o gassosi (syngas), utilizzabili quali combustibili o quali materie prime destinate a successivi processi chimici. Il residuo carbonioso solido ottenuto può venire ulteriormente raffinato fornendo prodotti quali ad esempio il carbone attivo. I prodotti della pirolisi sono sia gassosi, sia liquidi, sia solidi, in proporzioni che dipendono dai metodi di pirolisi (pirolisi veloce, lenta, o convenzionale) e dai parametri di reazione. Un pirolizzatore si differenzia da un gassificatore in quanto lavorando in assenza di ossigeno (spesso si sfrutta un flusso caldo di un gas inerte quale l'azoto) attua la pirolisi propriamente detta, mentre un gassificatore in realtà lavorando in presenza di piccole quantità di ossigeno realizza anche una parziale ossidazione e come tecnologia rappresenta una via di mezzo tra l'inceneritore e il pirolizzatore.

Uno dei maggiori problemi legati alla produzione di energia basata sui prodotti della pirolisi è la qualità di detti prodotti, che non ha ancora raggiunto un livello sufficientemente adeguato con riferimento alle applicazioni, sia con turbine a gas sia con motori diesel. In prospettiva, anche con riferimento alle taglie degli impianti, i cicli combinati ad olio pirolitico appaiono i più promettenti, soprattutto in impianti di grande taglia, mentre motori a ciclo diesel, utilizzanti prodotti di pirolisi, sembrano più adatti ad impianti di piccola potenzialità.

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La pirolisi diretta viene generalmente attuata in apparecchiature (caldaie) in cui avviene anche lo scambio di calore tra i gas di combustione ed i fluidi di processo (acqua, olio diatermico, ecc.). La combustione di prodotti e residui agricoli si attua con buoni rendimenti, se si utilizzano come combustibili sostanze ricche di glucidi strutturati (cellulosa e lignina) e con contenuti di acqua inferiori al 35%. I prodotti utilizzabili a tale scopo sono i seguenti:

legname in tutte le sue forme; paglie di cereali; residui di raccolta di legumi secchi; residui di piante oleaginose (ricino, cartamo, ecc.); residui di piante da fibra tessile (cotone, canapa, ecc.); residui legnosi di potatura di piante da frutto e di piante forestali; residui dell’industria agro-alimentare

Le caldaie a letto fluido rappresentano la tecnologia più sofisticata e dispendiosa che sta ricevendo, però, notevoli attenzioni; infatti essa permette il conseguimento di numerosi vantaggi quali la riduzione degli inquinanti e l’elevato rendimento di combustione.

Esistono molte tecnologie particolari: il sistema Thermofuel, ad esempio, permette di ottenere, a partire dalla plastica, gasolio sintetico attraverso pirolisi condotta a temperature più basse (370-420 °C).[2] La pirolisi può essere anche utilizzata come parte integrante di altri processi quali il trattamento meccanico-biologico e la digestione anaerobica.[3]

La pirolisi per la produzione di biocarburanti [modifica]

Alcune tecniche particolari di pirolisi sono allo studio per la realizzazione dei "biocarburanti di seconda generazione".

La tecnica allo studio in Francia riguarda il pretrattamento della biomassa vegetale con la pirolisi “flash” per ottenere olio combustibile. Questo sistema richiede però notevoli volumi di biomassa, e si cerca quindi di affinare metodi di lavoro che consentano di trattare la biomassa lontano dalle centrali (direttamente sui luoghi di raccolta) per ridurre i costi. Con la pirolisi “flash” si può convertire la biomassa in un particolare olio che viene successivamente convogliato presso una centrale che produce il carburante.

Anche in Germania invece il metodo allo studio (definito “bioliq”) intende realizzare biocombustibili dopo aver trattato in sito la biomassa. L'olio intermedio ("biosyncrude") è caratterizzato da alta densità, cosa che consente di abbattere i costi di trasporto. La biomassa è trasformata attraverso la pirolisi in biosyncrude per mezzo di un riscaldamento effettuato in ambiente privo di aria. Alla fine del processo è possibile ottenere combustibile diesel, idrogeno e metanolo.

Impiego in chimica analitica [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Pirolisi (chimica analitica).

La pirolisi controllata di campioni non volatili può essere utilizzata anche a scopi analitici.

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Le più comuni modalità di esecuzione del processo di pirolisi sono:

la pirolisi convenzionale, a temperature moderate minori di 600 °C, con moderati tempi di reazione; da cui si ottengono approssimativamente le tre frazioni in uguale proporzioni;·

la carbonizzazione, il più antico e conosciuto processo di pirolisi, che avviene a temperature comprese tra i 300 e 500 °C. Da tale processo si recupera solo la frazione solida (carbone vegetale), per cui si procede in modo da minimizzare le altre frazioni;

la fast pirolisi, a temperature relativamente basse (da 500 a 650 °C), in cui le reazioni della gassificazione avvengono velocemente e con tempi di contatto brevi in modo da ridurre il riformarsi di composti intermedi, favorendo la produzione della frazione liquida fino al 70-80% in peso della biomassa in entrata;

la flash pirolisi, realizzata in modo da mantenere gli stessi tempi di contatto della “fast pirolisi”, ma a temperature superiori a 700 °C e con tempi di contatto inferiori ad 1 secondo, in modo da favorire la produzione di una frazione liquida intorno all’80% in peso della biomassa in entrata, ma con una variazione di composizione più ristretta.

L’impiego del gas prodotto nei processi di pirolisi o massificazione può essere di tipo:

termico: combustione diretta in caldaie, dopo depurazione non spinta elettrico: utilizzo in unità di generazione elettrica (turbina, motore a combustione interna..), dopo

trattamenti di depurazione più complessi, per la presenza di particelle solide, gas acidi e alcalini, frazioni condensabili

chimico: come materia prima per sintesi chimiche. Nathaniel Mulcahy ha inventato e brevettato la Lucia Stove, una stufa a bassissimo costo

originariamente pensata per i mercati poveri del terzo mondo, ma che con adeguati accorgimenti e modifiche potrebbe diventare anche uno strumento rivoluzionario per i mercati occidentali, in grado di produrre energia assolutamente pulita e non inquinante, partendo da materie prime quali il pellet, o gli scarti di lavorazione dell'agricoltura.

"La Lucia Stove - spiega l'ingegner Mulcahy - ha superato una serie di test e verifiche tecniche internazionali, e soprattutto ha incontrato l'interesse di importanti paesi africani. Ora siamo nella fase della definizione dei criteri di produzione dei pezzi (si parla di diversi milioni di esemplari), che verranno realizzati sul nostro territorio e poi consegnati, tramite l'Agenzia per lo sviluppo, ai diversi paesi di riferimento".

Ma ora l'invenzione dello scienziato tortonese-americano sta suscitando un crescente interesse anche nei paesi occidentali (dagli Stati Uniti all'Europa), poichè, con adeguate trasformazioni dimensionali, potrebbe rivelarsi uno strumento potentissimo di trasformazione della nostra economia. Non solo infatti la Lucia Stove consente di utilizzare, come carburante, materiali poveri fino a ieri considerati un'eccedenza ingombrante, per smaltire la quale le aziende (si pensi, ad esempio, alla filiera dell'agricoltura) dovevano sostenere costi significativi. Ma addirittura produce, come unico "residuo", il biochar, "che è un carbone vegetale - sottolinea Mulcahy - prodotto attraverso la pirolisi, ossia la combustione in assenza di ossigeno. Utilissimo per concimare i campi, e renderli più fertili, riducendo al contempo l'inquinamento".

Insomma, la quadratura del cerchio. E la Lucia Stove, nata in un piccolo laboratorio tortonese, sta spiccando il volo verso scenari e mercati internazionali.

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biochar letteralmente sarebbe "sostanza bilogica carbonizzata", si può tradurre più semplicemente in "carbonella", viene chiamato biochar quando questa carbonella viene utilizzata quale ammendante, questo in estrema sintesi, poi il biochar è carbonella che ha determinate caratteristiche Andando sul sito Worldstove.com c'è uno schema per l'autocostruzione di una Luciastove senza ventola a partire da un paio di barattolii in acciaio.http://worldstove.com/wp-content/upl...ructions-6.pdf

Proporrei un punto di discussione: Luciastove e sicurezza.Biogna ricordare che si ha a che fare con del gas e quindi ci vuole molta più cautela di quanta non se ne abbia con le usuali stufe a combustione.Questo aspetto me l'ha sottolineato Alessandro Zanella di Energoclub che in passato ha realizzato delle "stufe" pirolitiche e che in un caso c'è stata un' esplosione.

Lo ripeterò il più possibile FATE ATTENZIONE.

sarei lieto se qualcuno mi spiegasse perchè in queste stufette resta del carbone e non della comune cenere, restando del carbone da come la vedo io abbiamo perso combustibile che può essere ancora ossidato producento ancora calore, e poi se l'ossidazione fosse totale (quindi cenere come scarto)si potrebbero sostituire ai comuni bracieri di stufe a pellet o cippato con suppongo anche un aumento del rendimento Nella pirolisi classica il processi anaerobico viene ottenuto mediante chiusura ermetica (o quasi) per cui se la stufa non è ben progettata possono verificarsi delle esplosioni.Nella LuciaStove (e simili) non c'è chiusura ermetica, il 'tappo' viene ottenuto mediante lo stesso gas, non penso quindi che sia più pericolosa di una normale stufa.

Certamente il rendimento, visto limitatamente alla stufa, è molto inferiore, ma nel complesso è estremamente interessante se collegato al settore agricolo.Questa tecnologia permette di trasformare molti scarti agricoli, difficilmente eliminabili o utilizzabili in altro modo, in energia, ottenendo al tempo stesso biochar e riduzione degli inquinanti immessi in aria.

Nelle stufette in questione non si forma cenere ma carbone perché non c'è combustione ma pirolisi (o piroscissione) cioè si riscalda della legna a circa 600°C senza aggiungere ossigeno, a queste condizioni si ha una scissione di elementi che va a formare un gas combustibile (detto syngas o woodgas). La parte rimanente è appunto la carbonella, se la si brucia (quindi fornendo l'ossigeno precedentemente negato) si ottiene la cenere.

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L'immagine mostra schematicamente il processo: 1)In un recipiente composto da due cilindri uniti tra di loro nella parte superiore e quello con diametro inferiore tappato sotto, si riscalda della biomassa secca.2) Riscaldando la biomassa a 400-600° C si produce del woodgas che esce da una serie di fori creati nella parte inferiore del contenitore interno 3) Il gas è costretto a rientrare nella parte superiore da un'altra serie di fori (o fessure)4) Il gas si incendia e la fiamma copre più o meno uniformemente la parte superiore del contenitore, tappandolo, in questo modo la biomassa continua a bruciare senza che si possa aggiungere ossigeno atmosferico e mantenendo quindi la pirolisi.

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In questo modo non si sfrutta al 100% il potenziale energetico della legna, infatti nella carbonella rimane mediamente circa il 30% del potere calorifico iniziale, però si migliora il potenziale energetico nel senso che, bruciando del gas, si ottengono temperature molto più elevate rispetto alla semplice combustione della legna.

Carnot ci insegna che, maggiore è il gradiente termico di un processo termodinamico più aumenta l'efficienza del sistema.

Assumiamo che la legna sviluppi una temperatura di 500°C e che il il woodgas sviluppi una temperatura di 1000°C, il “pozzo freddo” ipotizziamo sia a 80°C e ipotizziamo di avere un motore termico accoppiato ad un generatore con un'efficienza complessiva del 40%

Adesso bruciamo in modo diretto 10 kg di legna ( circa 50 kWh di energia termica) in un sistema simile:

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otterremo poco più di 10 kWh di energia elettrica.

Se bruciamo sempre 10 kg di legna però con pirolisi in realtà utilizziamo solo 35 kWh termici dei 50 iniziali (la rimanente energia resterebbe nella carbonella), però utilizzando lo stesso sistema di generazione otterremo quasi 11 kWh di energia elettrica!

In questo caso il biochar rimanente è il risultato di una maggiore efficienza energetica.

credo che l'utilità di tale "fornelletto" sia innegabile ma qualcuno si è posto il problema delle ceneri volatili, degli idrocarburi aromatici mono e policiclici e altre amenità in assenza di canna fumaria con buon tiraggio? Credo sarebbe bene un sistema di filtraggio che però renderebbe il tutto molto poco economico. Per i paesi in cui si accendono fuochi all'interno delle abitazioni questo fornelletto determina un notevole passo avanti, mentre per noi forse un mezzo passo indietro...Mi piacerebbe avere un'analisi dei fumi. Il metano invece, contribuisce all'effetto serra ma non ha altri sgradevoli "effetti collaterali".

su internet si trova lo schema per costruire da se la luci stove e similari....

con un po' di mattoni refrattari e poco latro losi fa.

mi interessa molto della luciastove e voglio sapere dove puo comprare una qui in italia

"fai da te" con qualcosa di più semplice:http://picasaweb.google.com.au/ausea...lWoodGasStove#YouTube - Kanaal van ausearthlove

disegno schematizzato:http://www.bioenergylists.org/files/...2009-03-11.pdf

http://worldstove.com/wp-content/upl..._7_29_2009.pdf

Il biochar è uguale al carbone come aspetto ma provando ad accenderlo come la carbonella non si ottiene il "carbone ardente"

Il carbone di legna invece pesa circa il doppio a parità di volume e si eccende come gia sapiamo e rende un sacco di calore.

Tutto sta nel grado di distillazione della " carbonella " il peso maggiore a parità di materia di partenza dovrebbe farti sospettare che una parte dei " volatilizzabili " e facilmente combustibili rimane nella carbonella , grazie al sistema di produzione che più che una pirolisi è una ossidazione parziale . Ciò non toglie che il biochar di pirolisi possa bruciare . Un tempo , il prodotto della distillazione in assenza di ossigeno , veniva chiamato " carbone di storta" e in una versione particolrarmente addensata ,adoperato come elettrodo nelle lampade ad arco voltaico usate nelle proiezioni cinematografiche , lì bruciava con una fiamma molto viva , senza giungere a questi eccessi , anche il biochar brucia, necessita di essere portato a temperature più alte e di parecchio ossigeno( anche il coke di carbone ) . Il fatto è che lo scopo primario

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della sua produzione nel campo delle rinnovabili dovrebbe essere la carbon segregation per cui di bruciarlo non ne parliamo

Giustamente il biochar sarebbe utile nel utilizzo in agricultura perchè racchiude in se molta CO2 dannoso per l'ambiente. Vero? Oltre che a trettenere molto bene i concimi.

Non solo , diventa un " serbatoio idrico " del suolo senza alterarne le caratteristiche geotecniche . In pratica il suolo trattiene molta più acqua ( in funzione della quantità di biochar ) senza avere l'aspetto di un suolo saturo , prevenendo la marcescenza o eutrofizzazione delle radici . Nei vertisuoli , quelli dove si coltiva il cotone e durante la siccità si spaccano tutti strappando le radici , si arriva a limitare parecchio il fenomeno di ritiro da disidratazione . Non vedo una grande possibilità di miglioramento sui suoli " perfetti " di parte della pianura padana e su quelli acidi pieni di colloidi delle prealpi . Tutto il sud potrebbe giovarne

Quali sono i limiti dimensionali del sistema? Ergo, rimanendo nella geniale semplicità del progetto , sarebbe possibile costruire una caldaia a tubi d'acqua o a tubi di fumo che ne sfrutti il principio ?l' anidride carbonica è composta da Carbonio C e Ossigeno O , in una tonnellata di anidride carbonica sono contenuti circa 300 kg. di Carbonio ( vado a spanne ) e 700 kg di Ossigeno. In una tonnellata di biochar , distillato in pirolizzatore , si arrivano a contare più di 900 Kg di carbonio , se questa ton.di biochar , invece di bruciarla , trasformandola in 3 ton di anidride carbonica la " sotterro " , ho segregato dalla atmosfera 3 ton di anidride carbonica prelevata grazie alla funzione clorofilliana dai vegetali da cui deriva la " carbonella".Pronatura , che è una onlus che da parecchio si occupa della cosa , valuta il rapporto 1 : 12 , cioè , per ogni ton di carbonella prodotta da scarti , senza abbattere foreste e utilizzata sia per la terra preta che come cooking-fuel che per altri scopi , vale dodici ton di anidride carbonica. La FAO si sta battendo per far valere questo metodo solamente nei paesi del 3° mondo perchè sfruttato adeguatamente potrebbe innescare una nuova economia a vantaggio dei paesi più deboli che venderebbero certificati ai più ricchi

Conosciuto anche come “terra preta” o “carbone agricolo” e noto fin dall’antichità il “biochar” si ottiene per pirolisi di materiale vegatale (per lo più legno), una sorta di combustione lenta in assenza di ossigeno. In tutto il mondo si intensificano gli studi su questo prodotto che sembrerebbe essere un elemento fondamentale per la riprogettazione del sistema agricolo.

Agisce infatti come concime a cessione lenta, ammendante, pacciamante, permette di sequestrare nel terreno per tempi molto lunghi grandi quantità di CO2 (combattendo quindi l’effetto serra), in un processo produttivo ben ottimizzato il calore della pirolisi si recupera e si usa come energia termica.

Ecco il materiale di partenza dell’esperimento di Davide:

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Qui sotto vedete la fornace artigianale utilizzata costruita con due vecchi bidoni metallici infilati uno dentro l’altro:

Ed ecco il prodotto finito, pronto per finire nell’orto:

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Per approfondire l’argomento:

ricordatevi che prima dovete “colonizzarlo” (attraverso un compostaggio o cose simili) altrimenti vi “succhia” i nutrienti dal terreno abbassandone la fertilità per un po’ di tempo…

Colonizzarlo? Spiega

Il biochar così com’è funziona da spugna… ossia: se inserito nel suolo ne assorbe nutrienti e cariche microbiche (effetto – impoverimento del suolo).Questo è comunque solo un fattore temporaneo… dopo dovrebbe riprendere tutto in maniera normale.Per ovviare a questo provblema il carbone andrebbe prima compostato o, se si ha fretta, imbibito in compost liquido (compost tea)…

Però devo dirti che più ragioniamo su questa tecnologia più arriviamo alla conclusione che sia sostenibile solo attraverso una produzione centralizzata che riesca a ottimizzare il processo e a sfruttare efficientemente la produzione di calore.

2. Il biochar (cos'è, come si produce, ricadute positive, ecc.)

2. Il biochar

2.1 La carbonificazione

Il carbonio organico del suolo costituisce circa due terzi del carbonio negli ecosistemiterrestri, e corrisponde a più del triplo di quello contenuto in atmosfera. La disponibilitàdi ampie superfici e il tempo di residenza relativamente lungo fanno di questo compartoun sink potenzialmente importante per lo stoccaggio del carbonio atmosferico.Un metodo innovativo per aumentare la stabilità del carbonio stoccato nel suolo prendespunto dalla “Terra Preta do Indios”. L’espressione si riferisce a suoli particolarmentefertili della foresta amazzonica caratterizzati da colore nero, pH alcalino, elevataconcentrazione di nutrienti, alto contenuto in materiale carbonioso, altrimenti noto come“biochar” o carbone vegetale, prodotto dalla combustione incompleta di parti vegetali e

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introdotto volontariamente nel terreno dalle popolazioni locali migliaia di anni fa (Glaseret al. 2004, Falcão et al. 2003, Erikson et al. 2003).La carbonificazione di biomasse e l'interramento nei suoli agricoli del biochar cosìottenuto rappresenta potenzialmente una tecnica per gestire i residui vegetali alternativaalla combustione (che produce immediatamente grosse quantità di CO2), all'abbandonoin superficie o all'interramento dei residui secchi, ma anche al compostaggio, da cui siorigina humus stabile destinato però alla progressiva decomposizione nel giro di pochianni. Per massimizzare le dimensioni dello stoccaggio in grado di immobilizzarerapidamente e permanentemente grosse quantità di anidride carbonica, è necessarioutilizzare processi controllati che consentano di trasformare le biomasse in biochar conun alto rendimento.

2.2 La gestione sostenibile del suolo (SLM)

A fronte di un aumento delle rese agricole, l'impiego del biochar comporta un apportonetto di nutrienti, una minore lisciviazione e il miglioramento della fertilità biologica,consentendo un minor impiego di concimi chimici, con minori spese per gli agricoltori eminor impatto sull'ambiente, minor consumo di risorse ed energia. Il suo impiego apparecosì ideale anche per le colture che impiegano tecniche biologiche, che nonostante sianofondate sulla sostenibilità ambientale e il rispetto dell'ambiente, attualmente si basanosull'utilizzo di compost, la cui produzione rilascia una notevole quantità di CO2 inatmosfera (Harris e Hill, 2007).I cambiamenti nelle proprietà chimico-fisiche del suolo ammendato con biochardeterminano mutamenti anche nell'ecosistema del terreno, dove si instaurano nuoverelazioni tra radici, batteri e funghi. La disponibilità di nutrienti e l'elevata porosità creadegli habitat dove i batteri terricoli e le ife fungine possono crescere al riparo daipredatori, consentendo lo sviluppo di efficienti simbiosi micorriziche.Un'ulteriore proprietà del biochar consiste nella capacità di adsorbire e trattenereinquinanti persistenti e cancerogeni. Questo fatto apre interessanti prospettive perl'utilizzo del biochar anche negli interventi di ripristino ambientale.Una maggior fertilità si traduce in una maggior efficienza fotosintetica, in un maggiorsviluppo della biomassa e quindi in un maggior sequestro di carbonio e, se la biomassaviene infine utilizzata per produrre biochar, il ciclo si autoalimenta.

2.3 Come si produce il biochar

Il biochar può essere ottenuto mediante pirolisi: la decomposizione termochimica dimateriali organici viene ottenuta mediante l’applicazione di calore in assenza di agentiossidanti (processo anaerobico). Reazioni radicaliche di cracking, a temperature di 400-800°, causano la scissione dei legami delle molecole di partenza, e il riassemblamentosuccessivo origina un residuo carbonioso solido (char), un liquido nero viscoso (tar) euna miscela gassosa composta sostanzialmente da CO e H2 (syngas). Il processo èesotermico, cioè dopo l'apporto di calore iniziale si autosostiene e porta alla formazionedi quantità minime anidride carbonica. A differenza dei sistemi a combustione la pirolisivalorizza la biomassa riducendo drasticamente le emissioni di particolato sottile,sequestrando carbonio nel biochar e quindi riducendo la concentrazione di gas serra inatmosfera. Rispetto alla combustione il processo permette, inoltre, di sviluppare dallabiomassa temperature molto più elevate, migliorando notevolmente il potenziale diefficienza energetica.La temperatura di pirolisi e il tipo di materiale usato determinano la formazione dibiochar con caratteristiche diverse, tra cui, fra le proprietà di interesse agronomico,differenze nelle concentrazioni di nutrienti, nella capacità di scambio cationico (CSC) enel pH tra i vari tipi di prodotto. Il biochar, infatti, può essere ottenuto a partire da

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numerosi tipi di residui: stocchi di mais, gusci di noce o di arachide, pula di riso, scarti dipotatura e di lavorazione del legno. La pirolisi di rifiuti tal quali, utilizzata per losmaltimento dei rifiuti, non è applicabile per la produzione di biochar a causa dellapresenza di metalli pesanti che andrebbero ad inquinare il suolo, ma è possibile utilizzarela frazione organica proveniente da raccolta differenziata, in alternativa al compostaggio.Con opportune condizioni di pirolisi, dalla biomassa si ottiene, oltre al biochar, syngascombustibile, in cui si ritrova circa il 50% del carbonio iniziale. Questo può essereutilizzato, oltre che per ottenere gas tecnici come l'idrogeno, come fonte di energia peravviare una nuova pirolisi (il processo, una volta iniziato, è esotermico), per essiccare lebiomasse fresche da avviare a pirolisi o come combustibile per scopi diversi. In questomodo, l'energia ottenuta dalla pirolisi non comporta un ulteriore incremento dell'effettoserra, perché solo metà del carbonio assorbito dalla biomassa viene re-immesso inatmosfera, mentre la parte rimanente viene immobilizzata nel suolo e ha un'altissimastabilità. Con la combustione ossidante dei vegetali nelle centrali a biomassa, alcontrario, quasi tutta la CO2 viene restituita all'atmosfera per la produzione di energia,determinando un bilancio pressoché in pareggio (viene prodotta CO2 anche durante lecolture).Anche l'interramento dei residui colturali tal quali porta ad una degradazione pressochétotale della sostanza organica (in pochi anni) con liberazione del 100% del carbonio inatmosfera, ma in questo caso tutta l'energia viene persa. Per produrne la stessa quantitàsi dovranno utilizzare altre fonti. Impiegando combustibili fossili si avrebbe peròun’ulteriore liberazione di CO2.La produzione di energia dalla pirolisi di biomasse e l'interramento del biochar, consentedi ottenere un bilancio negativo del carbonio immesso in atmosfera. Inoltre il riutilizzodei residui (come anche il recupero degli scarti di lavorazione del legno) anziché lacoltivazione di piante a rapida crescita per la produzione di biochar ed energia, evita lacompetizione con la produzione di derrate alimentari.

essendo il terreno molto calcareo (credo che il ph sia attorno a 7) il biochar dovrebbe abbassare o mantenere il ph attorno al 6-7 giusto? la cucina/fornace dovrebbe essere in stile Folke Gunther? o forse usandola piu’ spesso si potrebbe anche usare un sistema con una fiamma un po’ piu’ gestibile?

Il biochar non modifica assolutamente il pH… è un’inerte. Modifica la struttura ‘meccanica’ del terreno ma non quella chimica.

La pirolisi diretta viene generalmente attuata in apparecchiature (caldaie) in cui avviene anche lo scambio di calore tra i gas di combustione ed i fluidi di processo (acqua, olio diatermico, ecc.). La combustione di prodotti e residui agricoli si attua con buoni rendimenti, se si utilizzano come combustibili sostanze ricche di glucidi strutturati (cellulosa e lignina) e con contenuti di acqua inferiori al 35%. I prodotti utilizzabili a tale scopo sono i seguenti:

* legname in tutte le sue forme;* paglie di cereali;* residui di raccolta di legumi secchi;* residui di piante oleaginose (ricino, cartamo, ecc.);* residui di piante da fibra tessile (cotone, canapa, ecc.);* residui legnosi di potatura di piante da frutto e di piante forestali;* residui dell’industria agro-alimentare

Le caldaie a letto fluido rappresentano la tecnologia più sofisticata e dispendiosa che sta ricevendo, però, notevoli attenzioni; infatti essa permette il conseguimento di numerosi vantaggi quali la riduzione degli inquinanti e l’elevato rendimento di combustione.