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Titolo originale: Tinker, Dabble, Doodle, Try© 2017 Srinivasan Pillay

Traduzione dall’originale Tinker, Dabble, Doodle, Try pubblicata in accordo con Ballantine Books, un marchio di Random House, divisione di Penguin Random House LLC.

© 2017 Centauria S.r.l., Milano

Prima edizione: aprile 2017

ISBN: 9788869212161

Traduzione di Rachele Salerno

Curatela editoriale: Blandings

Realizzazione editoriale: Studio Dispari – Milano

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SRINI PILLAY

Il potere del cazzeggio

Traduzione di Rachele Salerno

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Questo libro è dedicato a tutte le personeche hanno il coraggio di affidarsi all’intuito e riscoprire la

propria unicità.E a tutti coloro che sanno mettere a tacere i disfattistied esplorare le immense potenzialità nascoste nel loro

intimo.

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Introduzione

Superare il mito della concentrazione

Ché spesso, quando sono disteso sul giaciglio,assente o di umore pensieroso,esse [le giunchiglie] balenano all’occhio interiore chetrasforma la solitudine in momento d’estasi;e allora il cuore trabocca di gioiae danza con le giunchiglie.1

William Wordsworth, I Wandered Lonely as a Cloud

Un venerdì sera del 1983,2 un uomo e la sua compagna stavano viaggiando lungo la Highway 128 da Berkeley a Mendocino, dove lui stava costruendo una baita nei boschi. Era tardi, il viaggio sembrava infinito, e l’uomo alla guida era stanco e la sua mente sempre meno lucida. Mentre la sua fidanzata son-necchiava sul sedile accanto, ripensò al lavoro su cui era impe-gnato in quel periodo: una ricerca sul dna.

È lui stesso a ricordare l’episodio: «Le ruote della mia picco-la Honda metallizzata ci trascinavano lungo la strada di mon-tagna. Le mie mani strette al volante seguivano le curve. Lasciai vagare la mente, tornando al laboratorio. Catene di dna com-parvero all’improvviso, come fluttuando nell’aria. Immagini di un rosa e un blu sgargiante si materializzarono in un punto a metà strada tra il sentiero di montagna e i miei occhi».3

I suoi pensieri presero a saltellare da una parte all’altra come cuccioli festosi, mentre il cervello rimuginava, confrontava e col-legava frammenti di informazioni. All’improvviso, ebbe un’in-tuizione. Si fermò a bordo strada, esattamente al miglio 46,58, come avrebbe ricordato in seguito, e iniziò a raccogliere le sue idee frammentarie. La scienza non sarebbe più stata la stessa.

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Quell’uomo era il dottor Kary Banks Mullis,4 il biochimi-co che, dieci anni dopo quel viaggio in macchina, si sarebbe aggiudicato il premio Nobel per aver compreso la reazione a catena della polimerasi, nota come pcr. Uno strumento di sintetizzazione del dna che si è rivelato fondamentale in una vasta gamma di discipline, dall’ostetricia alle scienze forensi. Fu durante quello spossante viaggio notturno che la sua mente raccolse le idee, combinandole in modi nuovi e inaspettati. In seguito non avrebbe dovuto far altro che sistemare e perfezio-nare l’intuizione iniziale.

Nelle prossime pagine cercherò di raccontarvi la magia di questo processo, che comprende tanto l’intuizione quanto la successiva rielaborazione.

Come medico, psichiatra e personal coach, conosco di con-tinuo persone decise a cambiare aspetti della propria vita, e di conseguenza mi è facile individuare e comprendere il loro de-siderio di costruire una strategia efficace. In ogni incontro, che si tenga in una sala conferenze o sul lettino durante una seduta di analisi, che si tratti di efficienza sul lavoro, leadership, ap-prendimento, genitorialità, matrimonio o perdita di peso, tut-ti vogliono sapere come superare gli ostacoli e raggiungere la tanto agognata meta. La maggior parte delle persone con cui parlo sembra convinta che sarebbe in grado di centrare i propri obiettivi se si organizzasse meglio, facendo piani più dettaglia-ti o persino conseguendo un ulteriore titolo di studio. Benché abbiano già provato di tutto – dalle pianificazioni, ai prome-moria, alle liste, alle cuffie antirumore – sono infine costrette ad ammettere che nessuno di questi trucchi modifica sensibil-mente la loro qualità di vita o la produttività sul lavoro.

Coloro che si dedicano alla meditazione e alla mindfulness sanno che allenare la «muscolatura mentale» può rivelarsi mol-to efficace in termini di miglioramento della produttività. Si sforzano di ritagliarsi un momento per la meditazione tutti i giorni, anche se non sempre ci riescono. Altri si rivolgono a

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me convinti di soffrire della sindrome da deficit di attenzio-ne e iperattività (adhd), o di problemi simili. Alcuni arrivano persino a sperare di ottenere una diagnosi ufficiale e con essa la prescrizione di farmaci che li aiutino a tenere alto il livello di attenzione. Sembrano certi che l’incapacità di concentrazione e soprattutto di mantenerla nel tempo siano gli unici ostacoli al successo e alla felicità.

Spesso, in effetti, è proprio così (ritengo però che i medici-nali debbano essere prescritti solo se strettamente necessari). D’altronde la concentrazione è un agente di cambiamento stra-ordinario. È ciò che ci permette di portare a termine un lavoro o un incarico, coordinando pensieri, emozioni e movimenti. I bambini ne hanno un gran bisogno per arrivare in fondo a una giornata scolastica; i leader per motivare il proprio gruppo di lavoro a raggiungere un obiettivo. Negli affari serve a in-crementare e far crescere la propria rete di clienti. E provate a cucire, seguire una ricetta o montare un mobile senza essere concentrati!

Definire una scala di priorità di ciò che ci appassiona può aiutarci ad affinare i nostri talenti. A meno che voi non sia-te un genio eclettico come Michelangelo (a volte mi chiedo: se fosse nato oggi gli prescriverebbero dei farmaci?), dispor-re di un’ampia gamma di interessi rischia di trasformarvi in dilettanti tuttofare. La messa a fuoco selettiva, ovvero la spe-cializzazione, garantisce una comprensione più profonda, oltre che conoscenza, pratica ed esperienza. Il che, con il tempo, ci permette di acquisire maggiore sicurezza in noi stessi e guada-gnarci la fiducia altrui. Se doveste sottoporvi a un bypass car-diaco, non preferireste che a eseguirlo fosse un chirurgo che ne ha già fatti centinaia, invece di uno che nella sua carriera ha eseguito trecento bypass, trecento enterectomie e quattrocento operazioni al cervello? Nel mondo degli affari, le aziende che si focalizzano su un mercato specifico sono quelle che ottengono i migliori risultati.

Dal punto di vista neurologico, la capacità di concentra-

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zione gioca un ruolo essenziale nel fissare nel cervello il mag-gior numero di informazioni e renderle accessibili in futuro: un processo dal valore inestimabile. Mentre siete impegnati a portare a termine un compito, contemporaneamente il vostro cervello inoltra e comunica informazioni alla memoria a bre-ve termine, situata in un’area chiamata «corteccia prefrontale dorsolaterale». A me piace definirla «tazza della memoria», perché è lì che confluiscono tutti i dati di cui abbiamo biso-gno per raggiungere il nostro traguardo. L’attenzione, insieme a emozioni e intuizione, è uno degli elementi fondamentali che ci permettono di trasmettere i contenuti rilevanti, i quali a loro volta contribuiscono a renderci più abili/veloci/reattivi/capaci quando ci ritroveremo ad affrontare una situazione simile in futuro.

Per quanto i suoi benefici siano evidenti, tuttavia, sono con-vinto che in molti abbiano sviluppato un vero e proprio culto per l’attenzione, reputando che la capacità di perseguire il pro-prio obiettivo sia la competenza fondamentale da acquisire per affermarsi nella vita. In realtà, la sola concentrazione talvolta rischia di ritorcersi contro di noi.

Provate a immaginare la vostra capacità di focalizzare come una torcia. Un fascio di luce stretto e luminoso sparato dritto davanti a voi vi sarà di grande aiuto se è proprio lì che dovete guardare, ma cosa resta della visione periferica? Nei casi più estremi, questo tipo di «vista con i paraocchi» si trasforma in un fenomeno che gli psicologi chiamano «cecità attenziona-le»,5 ovvero quando si diventa ciechi a qualcosa semplicemen-te perché non si può fare attenzione a tutto. Il nostro cervello sceglie su cosa concentrarsi, e non sempre a nostro vantaggio.

Nel 1995, per esempio, un poliziotto di Boston6 mentre inseguiva un sospettato ignorò e superò di corsa una persona che stava venendo picchiata selvaggiamente. L’agente dichiarò di non aver notato l’aggressione, ma la giuria non gli credette. Fu accusato di falsa testimonianza e ostruzione alla giustizia e condannato a due anni di reclusione e al pagamento di una

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multa. Alcuni ricercatori avanzarono l’ipotesi che si trattasse di un caso di cecità attenzionale. Simularono la scena e i risul-tati confermarono la loro tesi: molti dei volontari sottopostisi al test non si erano accorti della violenza che aveva luogo nella loro visione periferica. Di notte, poi, soltanto il trentacinque per cento dei partecipanti all’esperimento aveva notato lo scon-tro, mentre durante il giorno la percentuale saliva al cinquan-tasei per cento.

Un altro esempio, più divertente, è quello del gorilla invi-sibile (potete provarlo voi stessi, vi basterà cercare online).7 Ai volontari viene mostrata una partita di basket tra squadre che indossano divise nere e bianche. I ricercatori chiedono loro di contare quante volte i membri della squadra con la divisa bianca si passano la palla. A un certo punto una persona tra-vestita da gorilla attraversa il campo da basket, ma la maggior parte dei volontari, focalizzati sul numero di passaggi, non se ne accorge.

Se l’eccessiva concentrazione non ci fa vedere un gorilla, cos’altro rischiamo di perderci?

Potremmo essere così concentrati sulla nostra azienda da non accorgerci che un nostro competitor sta crescendo. O es-sere così innamorati di una persona da non notare dei cambia-menti nel suo comportamento, finché non ci lascia. «Non ho colto i segnali» si finisce per ammettere, tristemente. Oppure, se siete psichiatri, potreste essere così focalizzati sull’indivi-duare la radice emotiva dell’ansia di un paziente da trascurare di verificare se questa non possa essere causata invece da una disfunzione surrenale. Come dice il proverbio, a chi impugna il martello (o una specializzazione medica), tutto sembra un chiodo (ovvero una diagnosi di parte).

Alla visione con i paraocchi e all’attenzione selettiva è le-gato il fenomeno dell’attenzione eccessiva o iperconcentra-zione.8 L’iperconcentrazione rischia di farci perdere le cose davvero importanti. All’università, per esempio, può capitare di essere così assorbiti dai propri impegni accademici da «di-

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menticarsi» di socializzare o uscire con i compagni di cor-so, e di conseguenza avere poi difficoltà a trovare in futuro potenziali partner. Lo vedo succedere spesso come terapista. Il nome scientifico è long-term discounting e definisce una tendenza del cervello a minimizzare gli eventi futuri, giudi-candoli non rilevanti.9 Diversi studi hanno evidenziato che il long-term discounting è una funzione cerebrale di default. A mio parere, l’incapacità di passare, quando necessario, da una visione a lungo termine a una a breve termine è una delle cause principali dei rimpianti.

Un’altra conseguenza dell’eccesso di focalizzazione è quella che gli psicologi chiamano loss of caring (perdita di interesse, o apatia).10 Nell’ambito di uno studio dedicato a questo feno-meno, i ricercatori hanno chiesto a un gruppo di partecipanti di concentrarsi sul video di una donna che parla, ignorando la zona inferiore dello schermo dove ogni dieci secondi compa-rivano delle parole. Se si distraevano, dovevano subito tornare a guardare la donna. Un altro gruppo, invece, aveva ricevuto la semplice istruzione di guardare il video, senza raccoman-dazioni particolari. Al termine della visione, a tutti è stato chiesto di fare del volontariato per aiutare le vittime di una recente tragedia. I ricercatori hanno osservato che i soggetti del gruppo iperconcentrato erano meno inclini al volontariato, meno generosi nell’offrire aiuto e più tendenti all’apatia. Per-ché? L’eccesso di attenzione logora la corteccia prefrontale del cervello (pfc), l’area deputata alle decisioni morali. In altre pa-role, l’attenzione eccessiva può privare il cervello delle risorse necessarie per trovare un equilibrio tra il desiderio di rilassarsi e l’istinto di aiutare gli altri.

L’eccessiva concentrazione può anche ostacolare l’innova-zione. In un articolo pubblicato sulla «Harvard Business Re-view», la professoressa Rosabeth Moss Kanter ha messo in luce alcuni dei problemi legati alla visione limitata o troppo con-centrata.11 L’azienda Gillette, per esempio, pur possedendo una sezione che produceva spazzolini (Oral-B), una che si occupa-

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va di elettrodomestici (Braun) e un’altra ancora che realizzava batterie (Duracell), non è riuscita a pensare a uno spazzolino elettrico. Ogni divisione dell’azienda era troppo concentrata sul suo settore e sui suoi prodotti. Eppure i nostri cervelli sono fatti apposta per stabilire collegamenti: basta che li lasciamo liberi di riconoscere somiglianze tra domini apparentemente non correlati.

Come possiamo farlo? Qual è il giusto mezzo tra una forma di concentrazione che ci galvanizza e una che ci blocca e osta-cola il nostro pensiero? Come si fa a raggiungere un equilibrio tra una prospettiva con lo zoom al massimo e una visione più panoramica del mondo? La risposta sta nello sviluppare la ca-pacità di cazzeggiare.

Quando parlo ai miei clienti e pazienti del potere del «caz-zeggio», di solito non si mostrano granché entusiasti. D’istinto pensano che li stia invitando ad abbassare i loro standard o a mettersi a vagare con la mente. Nessuno si rivolge a me per diventare (o continuare a essere) un dilettante: tutti vogliono essere produttivi, imparare a risolvere e gestire con efficienza i problemi. E quando propongo loro di sperimentare, dilettar-si, scarabocchiare e andare per tentativi ottengo una reazione simile. Chi sperimenta riesce di rado a portare a termine le sue imprese. I dilettanti si limitano a sfiorare la superficie delle cose, senza mai approfondire nulla. Scarabocchiare è una cosa da bambini. E ogni tentativo è importante, come ripetiamo spesso ai nostri figli, ma il successo è ben più apprezzato, so-prattutto nel mondo degli adulti.

Lo capisco. «Cazzeggiare», «divagare» sembrano attività ne-gative. Ma sforziamoci di ignorare la semantica per un attimo e torniamo alla metafora della torcia. Concentrazione e caz-zeggio non sono altro che due impostazioni diverse. La prima corrisponde allo stretto e potente fascio di luce che illumina il percorso davanti a noi. Il secondo invece è un fascio di luce che illumina in profondità e in modo diffuso, rendendo possibile

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la visione periferica. Entrambe le modalità, se considerate da sole, sono utili a raggiungere scopi specifici. Combinarle non solo farà durare più a lungo le vostre batterie, ma vi permetterà anche di ritrovare più facilmente la strada.

Molte grandi scoperte sono state fatte grazie a quelli che potrebbero sembrare percorsi casuali. Se, per esempio, voleste ripercorrere il viaggio compiuto dal dottor Mullis per giunge-re alla sua scoperta pensereste, logicamente, di dover studiare moltissimo, conseguire un dottorato in biochimica e poi con-centrarvi senza sosta sulla questione della duplicazione del dna. Ma niente, o quasi niente, nella storia del dottor Mullis suggerisce che siano questi i passaggi che lo hanno condotto alla sua straordinaria intuizione. Al contrario, il suo cammino è caratterizzato da continue deviazioni dalla retta via.

Dopo aver conseguito il dottorato di ricerca, infatti, lasciò la scienza per scrivere romanzi.12 Poi abbandonò la letteratura per diventare biochimico. Successivamente lasciò la biochi-mica e gestì una panetteria per due anni. Quando tornò alla ricerca scientifica non aveva affatto le idee chiare: prima di dedicarsi allo studio del dna aveva tentato di costruire razzi spaziali. Emotivamente, aveva vissuto gran parte della sua vita come sulle montagne russe. Al momento è al suo quarto ma-trimonio. Queste sono le parti della storia che di solito trala-sciamo quando pensiamo al grande premio Nobel, ma forse sono altrettanto importanti per spiegare le sue folgorazioni e il suo sviluppo intellettuale quanto le sue fatiche in laboratorio. E sono le parti che non possiamo imitare. Dentro ognuno di noi si nasconde una selva di distrazioni e strade secondarie in attesa di essere percorse ed esplorate.

Ogni singola esperienza contribuisce allo sviluppo del cer-vello. Le deviazioni dalla retta via (e la maggior parte delle per-sone di successo ne ha fatte, di deviazioni) possono offrire ina-spettate intuizioni, regalarci nuove prospettive su un problema a cui lavoriamo da anni e contribuire a plasmare il carattere di cui abbiamo bisogno per coltivare le nostre passioni. Nessuno

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può sapere cosa sarebbe successo se il dottor Mullis fosse di-ventato fin da subito un biochimico, non avesse mai lasciato la sua prima moglie e non avesse lavorato in un panificio.

Anzi, non sempre una lunga e iperspecialistica carriera è auspicabile. Come ha osservato la professoressa Lynda Grat-ton della London Business School nel suo saggio The 100-Year Life, in quest’epoca caratterizzata dalla longevità è importante ripensare al modo in cui costruiamo le nostre vite. La capacità di concentrazione viene spesso dipinta come il modo per con-seguire più rapidamente i propri obiettivi. In molti casi, tutta-via, non è altro che marketing molto persuasivo.

Imparare ad alternare concentrazione e cazzeggio vi ren-derà rapidi, efficienti e produttivi nel pensare e nel risolvere i problemi. Trovare una routine che contenga entrambi gli aspet-ti è la chiave per migliorare il rendimento, esaltare la creatività e in generale raggiungere la felicità che tutti cerchiamo. Anzi, per quanto possa sembrare ironico, uno degli effetti collaterali del cazzeggio è che quando ne avrete bisogno farete meno fa-tica a concentrarvi. Per questo trovo che siano due facce della stessa medaglia. (A proposito, se avete comprato questo libro in cerca di una giustificazione per il vostro atteggiamento a dir poco rilassato sul lavoro o nello studio, magari perché molti vi accusano già di essere spesso distratti, sarà musica per le vostre orecchie scoprire che la capacità di distrarsi è un’abilità pre-ziosa. Non vi resta che imparare a controllarla e imbrigliarla, invece di lasciare che domini la vostra vita.)

Pensate a un’orchestra. Ogni membro deve esercitarsi (ana-lisi) per padroneggiare al meglio la propria parte. Durante il concerto, però, i musicisti devono essere in grado di fondere i loro contributi individuali in un tutto più ampio (sintesi). È necessario che siano concentrati per eseguire con precisione la propria partitura, ma al tempo stesso è bene che permettano alla loro mente di allontanarsi parzialmente da quell’obiettivo per riuscire ad ascoltare gli altri e interagire con loro (oltre che tenere d’occhio le indicazioni del direttore d’orchestra). Essere

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in grado di allentare la concentrazione e fondere il suono con quello prodotto dagli altri è un’abilità straordinaria.

Vale lo stesso nello sport. Per diventare un grande giocato-re di tennis, per esempio, dando per scontato un certo grado di prestanza fisica, bisogna esercitarsi su una serie di abilità specifiche: come impugnare la racchetta nei diversi colpi, in che posizione tenere i piedi rispetto al corpo, quanto in alto lanciare la palla nel servizio, quanto forte colpire in modo da piazzare la palla esattamente dove si vuole. Sono necessarie ore e ore di allenamento per ottenere buoni risultati, ma quelle ore creeranno una sorta di schema nel vostro cervello e durante le partite non dovrete far altro che osservare la palla e aspettare che il vostro corpo reagisca come ha imparato a fare. Potete de-concentrarvi del tutto, e il vostro corpo effettuerà i tanti piccoli aggiustamenti necessari per posizionare la palla al posto giusto senza bisogno di pensarli attivamente.

Nel senso più banale e più ampio, la distrazione permette al cervello di rilassarsi, in modo da essere pronto, ricaricato, co-ordinato e creativo quando ce n’è più bisogno. Ce lo conferma la scienza che studia i processi neurologici. La disattenzione, infatti, limita l’attività dell’amigdala e genera un senso di cal-ma.13 Inoltre, stimola la corteccia frontopolare14 e pertanto la creatività. Incrementa l’attività dell’insula anteriore15 e raffor-za la percezione di sé. Riduce l’impatto del precuneo, ovvero l’«ego osservante» che ci causa imbarazzo e disagio. (Questa, essenzialmente, è l’abilità di cui parlavo a proposito di musici-sti e tennisti.) Ristabilisce l’attività della corteccia prefrontale,16 restituendoci le energie mentali evitando un esaurimento. Mi-gliora la memoria a lungo termine17 e il recupero di esperienze rilevanti. Tuttavia, forse il suo effetto più consistente e profondo è un incremento di attività del default mode network (dmn),18 una rete neurale distribuita in diverse regioni del cervello che si attiva durante le ore di riposo e si disattiva di solito quan-do siamo impegnati in attività che richiedono concentrazione. Potremmo definire il dmn il «circuito della disattenzione», ma

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in realtà è di vitale importanza anche per la concentrazione. Se, per esempio, non si disattivasse quando svolgiamo attività impegnative, non saremmo in grado di mantenerci attenti.

Questo, purtroppo, succede in malattie come l’Alzheimer.19 I pazienti affetti da questo tipo di patologia presentano un dmn non sincronizzato,20 i cui singoli elementi interagiscono in modo casuale. La connettività ridotta nelle reti neurali della disattenzione21 è stata anche messa in relazione con problemi legati ad altre malattie neurologiche e psichiatriche, come au-tismo, demenza frontotemporale, sclerosi multipla, e stati ve-getativi nei quali i pazienti hanno subito gravi danni cerebrali e possono essere parzialmente stimolati ma non sono mai del tutto coscienti. Diversi studi hanno dimostrato che se si ac-cumulano riserve cognitive22 allenando il proprio cervello ad alternare stati di concentrazione ad altri di distrazione, si può contare su un sostegno nel caso in cui le cose dovessero andare male. In altre parole, la distrazione può preservare la parte ra-zionale del cervello nel corso della vita.23 E se cambiamo stile di vita e alleniamo il nostro cervello a sfruttare al meglio la capacità di cazzeggiare e distrarci, vedremo i risultati prima di quanto pensiamo.

Sono convinto che non ci sia niente, assolutamente nien-te, di più affascinante di un cervello intento a vagare a briglia sciolta.

Grazie alle tomografie siamo in grado di catturare le im-magini del flusso sanguigno in ingresso e in uscita da circuiti e aree cerebrali, chiaro segno che i bilioni di neuroni che forma-no il nostro cervello stanno lavorando a pieno regime.

Provate a immaginare i neuroni come dei ballerini di danza contemporanea, che si muovono e si avvicinano in modi ina-spettati, scontrandosi e cambiando direzione all’improvviso. Ma invece di avere solo due braccia e due gambe questi fles-suosi e armoniosi danzatori dispongono di milioni di arti, il che significa moltiplicare esponenzialmente le possibili com-

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binazioni. Ogni nuovo pensiero o azione generano una scarica elettrica più accecante di uno spettacolo pirotecnico. Ed è que-sta scarica a mobilitare e trasportare informazioni attraverso i circuiti cerebrali. I cambiamenti nel flusso sanguigno illumina-no le scansioni, facendole assomigliare a una scintillante notte stellata.

Ogni circuito cerebrale ha una sua propria funzione: alcu-ni percepiscono informazioni, altri le recuperano, e altri ancora concepiscono quello che potrebbe accadere. Eppure, per quanto queste funzioni possano essere distinte, si attivano tutte ogni volta che pensiamo, siamo creativi, impariamo, facciamo più cose contemporaneamente o risolviamo un problema. Queste funzioni fanno sì che le «braccia» e le «gambe» neurali si allun-ghino e si intreccino tra loro con gesti agili e aggraziati. A volte i ballerini nel nostro cervello si alternano nel trasmettere le in-formazioni, conservando energia e affidandosi agli altri. Ogni nuova percezione, risposta e azione cambia le comunicazioni e le connessioni neuronali, ovvero la coreografia. Che siate concentrati (magari studiando per un esame) o distratti (forse sognando a occhi aperti o fantasticando su come sarà essere laureati), l’alternanza tra questi due stati determina come, dove e quando i ballerini si alzeranno o cadranno, si riposeranno o si metteranno a correre, si collegheranno o allontaneranno. E anche quale rete neurale sarà la protagonista al centro del palcoscenico.

In questa mistica e magica danza cerebrale trova una sua casa anche la logica. È qui che si impara a fare il pane, a gestire il rifiuto da parte di una persona amata, ad approfondire un in-teresse che ha scatenato la nostra immaginazione, a credere in Dio o a costruire l’azienda che abbiamo sempre sognato. Miste-riosamente, il regista di questa magica danza è ancora scono-sciuto. Ma a noi resta comunque un certo controllo: potremmo dire che ne siamo i coreografi.

Quando imparerete ad alternare capacità di analisi e sintesi, noterete un profondo cambiamento nel modo in cui gestite lo

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Superare il mito della concentrazione

stress e i rischi, e anche nel modo in cui affrontate la vita. Sco-prirete lati di voi stessi che non avreste mai sospettato di avere. Smetterete persino di detestare la vostra mente distratta. Per apprendere questa salutare alternanza di stati dovrete essere abili e determinati nello svagarvi, e anzi includere il cazzeggio nella vostra routine quotidiana. È possibile che lo facciate già e che a volte siate colti da veri e propri colpi di genio, ma questo libro vi aiuterà a controllare e dirigere il processo.

Quanti hanno provato i metodi da me proposti durante workshop o sedute private mi hanno confermato di sentirsi più sollevati nel vivere i momenti di distrazione come occasioni proficue e non come una perdita di tempo. Quasi tutti noi, di tanto in tanto, ci ritroviamo a fantasticare guardando fuori dal-la finestra. Non sarebbe bello imparare a trasformare questa predisposizione in qualcosa di positivo?

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