PIER VITTORIO TONDELLI TRA LETTURA E TESTIMONIANZA...

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Giornata Tondelli, Correggio, Palazzo dei Principi, 13 dicembre 2014. Intervento di Olga Campofreda: Le opere di Pier Vittorio Tondelli tra letteratura e testimonianza, appunti su Pao Pao 1 PIER VITTORIO TONDELLI TRA LETTURA E TESTIMONIANZA UNA LETTURA CRITICA DI PAO PAO di Olga Campofreda 1. Stato dell’arte e nuovi approcci critici L’anno prossimo cadranno i primi venticinque anni dalla scomparsa di Pier Vittorio Tondelli e questa ricorrenza può senza dubbio considerarsi uno degli stimoli principali alla mia riflessione. Un venticinquennio sembra una distanza interessante per tornare a osservare criticamente l’opera di un autore contemporaneo che ha subito tentativi di catalogazione e giudizio a partire dall’immediato debutto. Questo lavoro parte dunque da una mappatura sullo stato dell’arte relativo all’opera di Tondelli e da uno sguardo d’insieme, raffreddato e più consapevole rispetto al contesto nel quale l’autore correggese è venuto a emergere nel corso degli anni. Uno strano paradosso ruota intorno alla fortuna critica di questo autore. Nel periodo immediatamente successivo alla sua morte, per tutti gli anni Novanta fino ai primi anni Zero le pubblicazioni che hanno fornito un’interpretazione del lavoro tondelliano si sono susseguite a cadenza piuttosto regolare confondendosi spesso con scritture di testimonianza e altre che potrebbero essere definite di “devozione”. Pur avendo scritto solo per un decennio –gli anni Ottanta- Tondelli ha fatto irruzione nel panorama letterario ed editoriale italiano con una potenza notevole e ha lasciato un segno su molti giovani scrittori che non di rado qualcuno ha azzardato ad ascrivere a una vera e propria scuola. Al momento della morte Pier Vittorio Tondelli è un autore di un best-seller, Rimini (1985) e di un importante successo internazionale, Camere Separate (1989), oltre che punto di riferimento culturale per le nuove generazioni di lettori di magazine come Rockstar e Linus. Non c’è dunque da stupirsi della grande nebulosa di scritture esplose all’indomani della sua scomparsa.

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Giornata Tondelli, Correggio, Palazzo dei Principi, 13 dicembre 2014.

Intervento di Olga Campofreda: Le opere di Pier Vittorio Tondelli tra letteratura e

testimonianza, appunti su Pao Pao

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PIER VITTORIO TONDELLI TRA LETTURA E TESTIMONIANZA

UNA LETTURA CRITICA DI PAO PAO

di Olga Campofreda

1. Stato dell’arte e nuovi approcci critici

L’anno prossimo cadranno i primi venticinque anni dalla scomparsa di Pier Vittorio

Tondelli e questa ricorrenza può senza dubbio considerarsi uno degli stimoli principali alla

mia riflessione. Un venticinquennio sembra una distanza interessante per tornare a osservare

criticamente l’opera di un autore contemporaneo che ha subito tentativi di catalogazione e

giudizio a partire dall’immediato debutto.

Questo lavoro parte dunque da una mappatura sullo stato dell’arte relativo all’opera di

Tondelli e da uno sguardo d’insieme, raffreddato e più consapevole rispetto al contesto nel

quale l’autore correggese è venuto a emergere nel corso degli anni.

Uno strano paradosso ruota intorno alla fortuna critica di questo autore. Nel periodo

immediatamente successivo alla sua morte, per tutti gli anni Novanta fino ai primi anni Zero

le pubblicazioni che hanno fornito un’interpretazione del lavoro tondelliano si sono susseguite

a cadenza piuttosto regolare confondendosi spesso con scritture di testimonianza e altre che

potrebbero essere definite di “devozione”. Pur avendo scritto solo per un decennio –gli anni

Ottanta- Tondelli ha fatto irruzione nel panorama letterario ed editoriale italiano con una

potenza notevole e ha lasciato un segno su molti giovani scrittori che non di rado qualcuno ha

azzardato ad ascrivere a una vera e propria scuola. Al momento della morte Pier Vittorio

Tondelli è un autore di un best-seller, Rimini (1985) e di un importante successo

internazionale, Camere Separate (1989), oltre che punto di riferimento culturale per le nuove

generazioni di lettori di magazine come Rockstar e Linus. Non c’è dunque da stupirsi della

grande nebulosa di scritture esplose all’indomani della sua scomparsa.

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Le scritture di testimonianza hanno talvolta valore critico, ma sono sempre piuttosto

vicine alla forma dell’ omaggio nei confronti di un autore sentito ancora troppo presente per

essere a tutti gli effetti analizzato. A questa categoria appartengono gli interventi raccolti nel

1992 dal numero speciale che la rivista Panta ha dedicato a uno dei suoi fondatori. Si

esprimono su Pier Vittorio Tondelli amici, colleghi, critici e giornalisti differentemente legati

all’autore, concentrando per la maggior parte il proprio commento sull’autore stesso e il suo

ruolo, piuttosto che sull’opera tondelliana lasciata da poco orfana di padre. Lo stesso si può

dire di Tondelli tour, secondo numero monografico dedicato dalla rivista nel decennale della

morte dello scrittore. Già a partire dal titolo è chiaro l’intento dei curatori: in entrambi i casi si

tratta di uno sguardo corale su diversi aspetti della persona e della sua opera volte a restituire

un ritratto attraverso una serie di pennellate veloci, una visita ma non un soggiorno, un tour,

appunto. Si può attribuire valore di tributo-testimonianza, piuttosto che un intento

propriamente critico, anche a due relativamente recenti scritture di Andrea Demarchi, Tondelli

all’Orvietnam (2004) e Pier Vittorio Tondelli, un ritratto a memoria (2007). Anche in questo

caso i titoli dei testi sono decisamente trasparenti e denotano un interesse più affettivo,

umano, che scientificamente volto all’analisi della letteratura tondelliana. Nel caso del primo

testo, in particolare, il lavoro svolto dal curatore è stato totalmente anti-letterario, dal

momento che a partire dal romanzo Pao Pao l’intento è stato quello di raccogliere

testimonianze reali di quanto trasposto da Tondelli stesso in forma narrativa.

Una particolare forma di scrittura-testimonianza è Pier e la Generazione (2005), una

riflessione che a differenza delle altre non cerca di rievocare un rapporto personale con

Tondelli o un suo particolare ritratto privato; l’operazione di Enrico Palandri sfrutta piuttosto

il passato, la distanza, per ripensare a un’epoca e a una generazione, la propria, quella di

Tondelli e degli scrittori che tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta si sono presentati

con le loro prime prove letterarie. Non si tratta dunque di riportare al presente il ricordo dello

scrittore correggese, ma di ricollocarlo adeguatamente nel suo passato con uno sguardo più

oggettivo e una maggiore distanza dal contesto originario.

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Un’ulteriore categoria è quella prettamente critica. In questo caso si possono individuare due

tendenze. La prima si propone di analizzare cronologicamente l’evoluzione della narrativa

tondelliana, e a questo gruppo appartengono il lavoro di Roberto Carnero, Lo spazio

emozionale (1998), e Pier Vittorio Tondelli (2003) di Enrico Minardi. La seconda tendenza

critica è quella di attraversare l’opera tondelliana attraverso temi ben distinti, considerati

particolarmente rappresentativi. Il viaggio, la provincia, il ritorno, l’abbandono, la moda e

l’interesse per le culture giovanili: da Altri Libertini al Weekend Postmoderno questi temi

sono isolati e messi in relazione con le fonti che li hanno ispirati (la narrativa americana, in

particolare quella dei beat e Jack Kerouac, la new wave inglese degli Smiths, ecc.). A tale

categoria possono ascriversi testi come Verso casa. Viaggio nella narrativa di Pier Vittorio

Tondelli (1999) di Elena Buia, Atlante delle derive (2002) di Giulio Iacoli e i due testi di

Antonio Spadaro Attraversare l’attesa (1999) e Lontano dentro se stessi (2002) incentrati sul

tema della fede e della religione nelle opere e nella vita dell’autore. Il libro di Elisabetta

Mondello, In principio fu Tondelli (2007) si può collocare in questo gruppo di opere critiche

orientate tematicamente in quanto concentra la propria analisi sulla contaminazione del

linguaggio mediatico in letteratura, un atteggiamento che –come vedremo più avanti- a partire

da Tondelli si sarebbe poi riversato nell’esperienza dei giovani Cannibali.

Nello stilare una panoramica sullo stato dell’arte riguardo la critica tondelliana, è

opportuno infine considerare anche la serie di ricerche portate avanti nell’ambito degli studi di

genere e pubblicati su riviste di settore. A tale proposito si è scelto di descrivere più avanti il

lavoro di Derek Dunkan (An art of body in resistance, Italica, 1999) incentrato sul tema del

corpo; quello di Jennifer Burns, sulla ricezione estera del romanzo Camere Separate quale

primo romanzo italiano sull’AIDS (Code-Breaking: the demands of interpretation in the work

of Pier Vittorio Tondelli, The Italianist, 2000); Leo’s passion: suffering and homosexual body

in Camere Separate, (Italian Studies, 2007) di Eugenio Bolongaro; La séduction o du

sentiment de l’abandon (Cahiers d’etudes italiennes, 2006) di Flaviano Pisanelli.

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Da questo quadro generale si ricava il ritratto di uno scrittore che ancora non riesce a essere

letto al di là del decennio che ha fatto da sfondo alle sue opere. Certamente l’attività

giornalistica e lo sguardo particolare sulla fauna giovanile della provincia italiana -e poi

europea- hanno contribuito a rafforzare il legame dell’autore col proprio tempo, eppure

proprio questo legame a lungo andare si trasforma in una rete che impedisce una lettura più

profonda dell’opera tondelliana. Quello nel quale stiamo per inoltrarci è un discorso sullo

sguardo.

Prima di entrare nel dettaglio è necessario chiarire il nostro punto di vista sulla differenza che

sussiste tra un’opera di testimonianza e un’opera di letteratura, prendendo in considerazione

due parametri fondamentali: l’universalità (o il potenziale universale) dell’opera in questione

e la consapevolezza –in essa- dello strumento scrittura, il mezzo principale attraverso cui

l’opera prende forma. Se il primo parametro è di tipo contenutistico, il secondo appartiene alla

categoria estetica.

Un’opera di testimonianza ha più a che fare con la storiografia o con il giornalismo. Si

potrebbe continuare a dire per esempio che alcune opere di Tondelli, come i brani raccolti in

un Weekend Postmoderno, per il fatto che offrano ampie panoramiche e approfondimenti

culturali su personaggi, luoghi, forme d’arte degli anni Ottanta, possano essere ascritti alla

categoria del giornalismo; lo stesso vale per alcuni testi propriamente narrativi: Altri Libertini,

Pao Pao, Camere separate, rispettivamente uno spaccato narrativo sulla condizione giovanile

reduce dagli anni Settanta, la vita in caserma nel periodo del servizio di leva e una storia

d’amore omosessuale. Le scritture appena citate hanno certamente dal punto di vista

contenutistico un forte legame con la categoria della testimonianza, eppure, come si diceva,

non va tralasciato il valore di universalità che gioca parte fondamentale nell’ambito di queste

stesse opere e concede loro l’ingresso nel mondo della letteratura.

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Scardinate dalla contingenza dell’attualità, le opere letterarie dialogano attraverso il tempo. È

un concetto espresso con grande chiarezza da T.S. Eliot nel saggio del 1921, Tradition and

individual talent:

We dwell with satisfaction upon the poet’s difference from his predecessors, especially his

immediate predecessors; we endeavour to find something that can be isolated in order to be

enjoyed. Whereas if we approach a poet without this prejudice we shall often find that not

only the best, but the most individual parts of his work may be those in which the dead poets,

his ancestors, assert their immortality most vigorously.

Eliot sostiene che troppo spesso la critica contemporanea accoglie positivamente un’opera

basandosi sul concetto di originalità della stessa. Quello che però innalza la scrittura al livello

di opera letteraria è la capacità dell’opera in questione, capacità intesa proprio nel senso

letterale del termine, ovvero quanto quest’opera sia in grado di contenere gli echi delle opere

letterarie precedenti. Non si tratta di pastiche postmoderno, ma di un dialogo tra opere

letterarie appartenenti a tempi diversi, che tuttavia comunicano attraverso il linguaggio

universale proprio della letteratura.

In questo contesto sussiste lo sviluppo di un particolare senso della storia, per l’appunto una

visione universale di essa:

the historical sense compels a man to write not merely with his own generation in his bones,

but with a feeling that the whole of the literature of Europe from Homer and within it the

whole of the literature of his own country has a simultaneous existence and composes a

simultaneous order.

La letteratura di tutti i tempi e di tutti i Paesi ha una vita propria e simultanea rispetto al

succedersi degli eventi.

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2. PAO PAO (1982) - Prove tecniche per una lettura universale

Uscito nel 1982, Pao Pao è il secondo romanzo di Pier Vittorio Tondelli uscito a soli

due anni di distanza dal debutto che con Altri Libertini aveva trasformato l’autore in un caso

letterario. Tutte le opere di Tondelli, nel momento in cui vengono recensite, il più delle volte

non riescono a essere lette indipendentemente dai dettagli autobiografici dell’autore o da un

giudizio su ciò che la persona Pier Vittorio Tondelli ha rappresentato nel panorama culturale

italiano degli anni Ottanta. Difficile dunque approcciarsi ai suoi libri senza pregiudizi di sorta,

con uno sguardo anzi totalmente limpido e libero da condizionamenti. Nel delineare i principi

un metodo critico volto a ricercare il letterario rispetto al valore cronachistico-testimoniale,

Pao Pao sembra un buon punto di partenza: non è certamente l’opera più conosciuta e

discussa dell’autore e soprattutto la forte componente autobiografica che la caratterizza rende

a maggior ragione necessaria un’individuazione degli elementi di letterarietà presenti in essa.

Perché e in che modo quest’opera riesce ad entrare nel dialogo letterario con i suoi precursori?

Nel 1982, immediatamente dopo la pubblicazione, l’accoglienza che la critica riserva al

romanzo non si mostra particolarmente positiva. Come ricorda E. Minardi “nel suo

complesso, la critica sottolinea i toni mélo e sentimentali a cui la scrittura tondelliana

volentieri si piega in questo libretto […] ma non vengono neppure meno le consuete notazioni

sociologiche, linguistiche, ovvero relative ai debiti contratti da Tondelli con Arbasino o con

una certa letteratura Anglo-americana […]”1. Lo stesso Minardi individua “un’ispirazione

diaristica alla base del romanzo”2 dal momento che nasce come cronaca dell’anno 1980-81

trascorso tra Orvieto e Roma dall’autore richiamato per il servizio di leva militare. Il romanzo

era stato anticipato da alcuni interventi pubblicati su «Il Resto del Carlino» tra il 15 febbraio

1 Enrico Minardi, Pier Vittorio Tondelli, Cadmo, Firenze, p.65

2 op. cit., p.64

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1981 e l’aprile dello stesso anno, raccolti insieme successivamente con il titolo Diario del

soldato Acci.

Sandro Medici su «il manifesto» parla di Pao Pao insistendo su una lettura di tipo

sociologico: “dalla sua autobiografia viene fuori un’immagine dell’universo militare, e in esso

della vita del soldato di leva, assolutamente edificante. Dove tutto è descritto senza profondità

critica di campo e senza sofferenza, considerando che l’impatto con l’istituzione è per tutti i

giovani non un lieve trauma […].”3

Concorda con questo punto di vista Felice Piemontese su «Il Mattino» del 5 Novembre 1982,

ritrovando nel libro “un’indubbia efficacia documentaria e socio-antropologica sui giovani

d’oggi di cui viene presentato almeno un campione significativo […]”4.

A queste voci si aggiungono le autorevoli posizioni di Arbasino e Luperini. Il primo –su

«L’Espresso» del 5 dicembre 1982- evidenzia quanto il romanzo appartenga “a quella

narrativa di testimonianza che secondo E.M. Forster ci illustra le caratteristiche di un certo

gruppo o ambiente sociale […]”5. Il secondo, su «Il Quotidiano di Lecce» del 9 gennaio

1983- parte da Pao Pao per abbracciare con la sua critica tutta la nuova generazione di

scrittori della quale Tondelli fa parte, “una generazione per cui la scomparsa del sublime e il

deperimento della letteratura sono addirittura scontati. Al valore della letteratura questa

generazione ha sostituito il valore della vita, anzi, del vissuto più quotidiano” e inoltre “la

debolezza dell’autore andrebbe ricercata proprio nel suo ignorare la durezza e lo spessore

della vera ricerca letteraria, limitandosi alla mimesi della vita”6.

Si può dire che la maggior parte delle critiche negative rivolte al secondo romanzo di

Tondelli siano state mosse da una lettura fraintesa dell’opera. L’autore stesso ne è

consapevole, al punto che nel 1984 sente il bisogno di intervenire in difesa del proprio libro,

benchè non si tratti di una difesa in senso stretto. Lo scrittore ha ben presente alcuni

3 Pier Vittorio Tondelli - Opere. Vol.I , Bompiani, Milano, 2000, p.1141

4 idem

5 id., p.1142

6 id., p.1143

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importanti elementi del processo di approccio a un testo, elementi che fondano radici nel

campo della sociologia della letteratura.

Pao Pao è stato legittimamente letto dalla critica come un romanzo sentimentale, romanzetto

rosa, romanzino giovanile, romanza d’amore, racconto della memoria, diario intimo, “testo

epistolare”, barzelletta da caserma, confessione, chiacchierata e sbrodolata; dico

“legittimamente” perché nessuno può detenere il “senso” di un romanzo, tantomeno chi lo

scrive.7

Opposto a una lettura di tipo ideologico, incentrata sull’approccio a un testo volto a trovare

“conferme a una visione del mondo precostituita”8, Tondelli presenta una lettura per certi

aspetti molto vicina alla visione di dialogo letterario universale che ritroviamo nel saggio di

Eliot:

Ho sempre bisogno di nuovi libri e nuovi romanzi. Ho profondamente bisogno di una continua

“ritestualizzazione” del mondo. […] Un libro, un buon libro, non cambia il mondo, però cambia il suo modo di

parlare. E forse anche il modo di sentirlo. Quando Peter Handke scrive “io lavoro al mistero del mondo”, credo

che produca un’emozionante indicazione di poetica: bisogna lavorare, bisogna scrivere, bisogna pensare; ma non

per un fine, quanto per sentirsi inseriti in una collettività che abbraccia il primo e l’ultimo uomo che apparirà

sulla Terra.

7 Post “Pao Pao”, Pir Vittorio Tondelli, Opere – vol.II, Bompiani, Milano, 2000, p.783

8 idem

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E infine:

Il senso di un romanzo non è rintracciabile nell’orizzonte della contemporaneità, ma solo nel taglio diacronico

che attraversa e infila i vari sensi stratificati o sedimentati nel corso del tempo. Per sapere di che cosa si tratta in

realtà, bisogna aspettare che il romanzo scompaia dalla scena del chiacchiericcio dell’oggi, occorre attendere che

la sua generazione invecchi, muoia, si consumi fino in fondo.9

Il concetto che esista la storia contemporanea e un binario parallelo a essa, la storia

universale, è un concetto che torna nella visione eliottiana della letteratura. La differenza sta

nella direzione di questi due binari: la storia propriamente intesa procede in senso

unidirezionale, incasellando gli eventi e i documenti che testimoniano gli eventi stessi nel

tempo; la storia universale procede invece per riflussi e cambi di rotta, modifiche e

riposizionamenti dialettici, molto più vicina a un dialogo che a un discorso.

In senso letterale, Pao Pao racconta, come si è già ricordato, l’anno di servizio di leva

passato da Tondelli tra il CAR di Orvieto e il Ministero della Difesa di Roma. Il libro può

essere diviso in due parti, che corrispondono al cambio di sede e rispettivamente di

personaggi di cui si popolano le giornate intorno alla voce narrante. Più che episodi relativi

alla vita in caserma, la penna di Tondelli si sofferma a disegnare piccoli ritratti di questi

personaggi che si stagliano in tutta la loro peculiarità a dispetto della divisa che portano.

L’abito che si indossa, l’uniforme militare, è un livellamento che contrasta con la “fauna”

regionale di reclute provenienti da ogni parte d’Italia (R. Carnero)10

, talvolta presentata

attraverso i toni della macchietta. È proprio con questo atteggiamento ironico tuttavia che il

sistema-esercito riesce a essere scardinato dall’interno: un’ironia che batte con il non-sense

più giocoso un altro tipo di non-sense, quello imposto dagli atteggiamenti patriottici e dai

rituali fini a se stessi compulsivamente ripetuti dalle reclute in caserma.

9 idem

10 Roberto Carnero, Lo spazio emozionale, Interlinea, Roma, 1998, p. 48

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Il racconto descrive le riunioni cameratesche di un gruppo di reclute omosessuali e dei loro

momenti di ritrovo rubati tra gli spazi vuoti delle attività militari o nei weekend di licenza. Si

racconta dell’amore per Lele, amore non corrisposto mai totalmente, che tornerà anche nella

seconda sezione del romanzo, con lo sfondo dell’estate romana; si racconta dell’amore

sofferto e consumato invece nella relazione con il musicista Erik, uno dei pochi personaggi

outsider rispetto alla cerchia della naja; si racconta dell’amicizia con Renzu, ricordato in

apertura e in chiusura del romanzo, mentre scorrono attraverso le storie dei singoli personaggi

gli eventi del “mondo fuori”, come la strage alla stazione di Bologna o un violento episodio di

nonnismo ripreso con poche varianti dalla conclusione del Diario del soldato Acci. Questa la

fabula intesa letteralmente.

È ancora in Post Pao Pao che Tondelli consegna la chiave di lettura per l’accesso ai temi

universali del romanzo, ciò che rende questo libro opera di letteratura e lo libera dalla mera

qualifica di memoir:

So che il testo non è dove lo credono loro. È un po’ al di là di tutto il bene o di tutto il male

che oggi se ne può scrivere. Per ora occupa soltanto uno spazio a effetto. Io credo che

sfogliando Pao Pao, immediatamente si capisca che tutta la storia raccontata altro non è che il

resoconto di una piccola tribù – come si diceva nel 1977 – che si trova a campare in un

territorio straniero. […]11

In tal senso la trama diventa semplicemente “occasione narrativa”. Poco importa se il punto di

partenza sia materiale autobiografico o pura fiction, perché da questo punto di vista anche una

scrittura di tipo autobiografico si qualifica come mezzo per veicolare un immaginario altro12

.

11

Tondelli, Post Pao Pao, op. cit., p. 784 12

Ancora una volta tornano gli echi del saggio di Eliot quando si afferma che “It is not in his personal emotions,

the emotions provoked by particular events in his life, that the poet is in any way remarkable or interesting.”

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Di fatto, il lavoro un po’ voyeuristico svolto da Demarchi nel 2004 con il libro-intervista

Tondelli all’Orvietnam, proponendosi di risalire il percorso che dai personaggi di Pao Pao

avrebbe portato alle persone, ha intrapreso la direzione di lettura opposta a quella che lo

stesso Tondelli suggeriva, proprio a partire da questo secondo romanzo: dal particolare

all’universale e non viceversa.

La stessa scelta dell’autore di orientare la focalizzazione narrativa sulle vicende di un

gruppo di omosessuali (i cerchi sono concentrici: società - caserma – gruppo

chiuso/minoranza omosessuale) è importante non per descrivere il fenomeno

dell’omosessualità nel periodo del servizio militare, quanto piuttosto per descrivere il modo in

cui una minoranza riesce a sopravvivere in un contesto ostile: “ecco, la storia gay di Pao Pao

funziona così come storia quotidiana di una tribù […] nella lotta di sopravvivenza nel

mondo.”13

La resistenza messa in atto dagli esclusi, dalle singole fragilità che rischiano l’annientamento

come individui, nel caso di Pao Pao è incarnata dalla comunità omosessuale che lotta per la

sopravvivenza nel sistema caserma. Questa lotta si affronta tramite un’aggregazione di simili

e tale riconosciuta similitudine è il primo atto di fondazione di un sistema nel sistema, un

senso di appartenenza da parte dei singoli a una comunità ulteriore, differente da quella che ha

deciso di bannarli. Il concetto di creaturale intorno al quale si è svolto parte del dibattito fra

Enrico Palandri e Antonio Spadaro (Bollettino900, 2001) non sembra aprirsi verso una

dimensione ultraterrena ma si mantiene contingente. Gli individui non integrati nella società,

piuttosto che essere disintegrati da questa non inclusione, si sostengono a vicenda in una rete

di soccorso ed empatia nella quale ci si riconosce simili. Ci sono alcuni momenti nelle opere

di Tondelli in cui i personaggi hanno bisogno di autoaffermare se stessi mettendosi a nudo e

qualificandosi attraverso la cultura di cui si sostengono e si nutrono; il lungo brano che in

Altri Libertini descrive la soffitta di Annacarla, per esempio, dove si elencano i nomi di case

editrici e di collane con la precisione propria solo a un pubblico di lettori forti:

13

Tondelli, Post Pao Pao, op. cit.,, p. 785

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e non c’è nessun fricchettino che sia passato da queste parti che non abbia trovato ospitalità tra gli Oscar

Mondadori sparsi qua e là e tutt’intera la collezione dei Classici dell’Arte Rizzoli impilata come pronta alla

rivendita tra la collana grigiobianca di Psicologia e Psicoanalisi di Feltrinelli, gli Strumenti Critici Einaudiani e

quelli di Marsilio e di Savelli un po’ bistrattati in seconda fila accanto alle Edizioni Mediterranee e alla Bibliotca

Blu e ai Centopagine e ai rari Squilibri, troppo pericolosamente accanto agli Adelphi e ai Guanda […]14

O quando si stila un elenco di film che ha tutta l’aria di essere una dichiarazione di poetica

condivisa dai personaggi con l’autore e viceversa:

[…] e appena distinguibili sotto altri manifesti i capelli zazzerutidi Pierre Clementi nei Cannibali di Liliana

Cavani, il viso spigoloso di Murray Head a confronto col pacato Peter Finch in Sunday Bloody Sunday e appena

la scritta Al Pacino in Panico a Needle Park e un guantone di Fat City e la città frontiera di The Last Picture

Show, il ciuffo di Yves –Beneyton nei Pugni in Tasca, quello di Giulio Brogi in La Città del Sole, Sotto il segno

dello scorpione, L’invenzione di Morel e anche una foto di scena di John Mulder Brown che abbraccia la sagoma

di Jane Asher nella piscina di Deep End un’altra di Taking Off, una di Joe Hill, una delle Quattro Notti di un

Sognatore che lambisce il viso di Hiram Keller nel Satyricon di Fellini che un po’ si confonde con le locandine

del Fantasma del Palcoscenico e quelle di The Rocky Horror Picture Show […]15

Così come per i gusti musicali e il rituale del joint:

[…]Prima della carne in scatola una fumatina tanto per non trascurare il ritmo e alla fine insieme ai dolcetti della

Raffy un ultimo joint avanti dello svacco di là, nell’altra stanza che vi ho già detto, a sentirci vecchiaroba ma

ottima dei Jefferson Airplane e Soft Machine, qualcosina dei Gong e degli Strawbs e qualcos’altro di Lou Reed

tanto per non scontentare il Miro.16

14

Tondelli, Opere, vol. I, op. cit.,p.112 15

id., p. 113 16

idem

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Giornata Tondelli, Correggio, Palazzo dei Principi, 13 dicembre 2014.

Intervento di Olga Campofreda: Le opere di Pier Vittorio Tondelli tra letteratura e

testimonianza, appunti su Pao Pao

13

Una simile dichiarazione di poetica (e di identità) la ritroviamo nel Diario del Soldato Acci,

che come si è ricordato rappresenta il nucleo di ciò che poi diventerà il vero e proprio

romanzo militare di Tondelli. Il protagonista si ritrova al CAR di Orvieto e deve rispondere

alle domande di un soldato che siede dietro una macchina da scrivere prendendo nota delle

informazioni:

[…] credo molto nella reincarnazione, nella meditazione, nel satori e nello zen e il tiro con l’arco. Credo in

Siddharta e credo in Govinda, credo nel dharma e credo nel mio presente Karma, ma non ho mai fatto

professioni di fede. Credo in Jack Kerouace credo in Scott Fitzgerald, credo in Peter Handke, anche se non lo

trovo troppo comico, credo in Oscar Wilde, anche se era un po’ fighino, continuo a credere in Jacopo Ortis,

anche se non l’ho mai studiato. Non credo invece più in Herman Hesse, anche se l’ho molto amato.17

La risposta del soldato è emblematica:

Il soldato dice che gli frega niente di tutte queste corbellerie e smette di fare il dolce, dicendo

perentorio: “Vai di là”, e io obbedisco18

Acci indossa la divisa e si prepara rassegnato ad archiviare tutto quanto concerne la propria individualità, il

proprio essere interiore: “Ora sono soldato, tutto per me è archiviato”19

, conclude. Eppure questo patto fra simili,

questa resistenza data dall’unione di più fragilità che si danno forza, serve proprio a preservare il mondo

interiore dal collasso dei rituali della caserma, una vita che simboleggiata alla perfezione dall’oggetto della

divisa, un indumento che azzera le differenze e sottomette (“ho una divisa per l’estate e una per l’inverno; ho una

divisa per il lavoro e una per la libera uscita; ho tante divise ma, infondo, sono solamente due combinate

diversamentea seconda delle occasioni e delle stagioni”20

) insieme a quel “coltello che non ferisce”21

di cui è

dotato ciascun soldato, simbolo di una forza solo apparente, tutta esteriore e totalmente priva di senso.

È già in Acci che si mette in evidenza il momento in cui avviene il riconoscimento del branco, sviluppato

successivamente in Pao Pao:

17

Tondelli, Diario del Soldato Acci in Opere, vol. I, op. cit., p.152 18

idem 19

idem 20

id., p.154 21

idem

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vedo ragazzi che hanno le mie storie, vedo giovinotti che la sera prima portano segni di

riconoscimento come me, e io li scruto e li seguo fra i giornali che leggono e le riviste che

comprano e le parole che dicono; li guardo come camminano e come corrono, come sorridono

e come piangono, che cinema preferiscono e che musica ascoltano, che sigarette fumano e

come le truccano…22

Oltre il livellamento della divisa Acci ritrova i suoi simili, così come succederà al

protagonista di Pao Pao:

Per questo rincorrerai i tuoi simili, gli stessi persi nell’identico trip. E sarà proprio questo a salvarti e a farti

accettare dal tuo nuovo branco, a farti capire che i tuoi vecchi equilibri sono saltati e che ora sei una persona

diversa in cerca di alleati, alla disperata ricerca di ragazzi che abbiano il tuo stesso odore.23

Come nella soffitta di Annacarla in Altri Libertini, la droga non è elemento autodistruttivo ma

di unione, un rituale che fa parte dello statuto della nuova tribù (“Quella prima sfumacchiata

dietro l’infermeria sarà l’inizio della nuova storia del Caravan in cui conoscerò un sacco di

gente e ne combineremo di tutti i colori noi del pulmino”24

) e la musica è elemento altrettanto

importante per affermare le identità del gruppo (“Renzu […] è vestito con la solita salopette

piena di medagliette come un generale, Sex Pistols, Joy Division, Clash, sempre Clash che poi

vedremo insieme a Bologna per la loro prima tournè italiana […]25

”).

22

id., p.156 23

Pao Pao in Opere – vol. I, op. cit., p.233 24

id., p. 240 25

id., p. 243

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Una volta riconosciuto l’odore dei propri simili, non appena le similitudini procedono

all’aggregazione, il patto è sancito definitivamente con il cambio del nome, una sorta di divisa

nella divisa che non può essere strappata via dalle autorità della caserma e che tuttavia segna

l’appartenenza alla tribù di resistenti. Alvaro, l’affabulatore e narratore di incredibili storie,

diventa Magico Alvermann; Gabriele, il non corrisposto amore del protagonista, diventa

Grandelele per via della sua altezza che tanto lo fa sembrare un dio agli occhi innamorati

dello scrittore (e fonda un ulteriore elemento di similitudine/appartenenza)26

; poi ci sono Bella

Perotto, Beaujean, Maurice, Baffina, Sorriso e gli altri membri del gruppo; tutti, nel momento

in cui entrano a farne parte, subiscono questa sorta di battesimo attraverso il rituale del

cambio del nome che avviene automaticamente col procedere della narrazione:

Il soldato che incontro insieme a Nico ed Antò si chiama Michele ed io lo ricordo a Orvieto perché era in

compagnia del mio amato e benedetto Lele e come lui originario del Trentino Alto Adige; per cui non mi lascio

sfuggire l’occasione e chiedo del comune amico. Ma Miguel proprio non sa passare informazioni […]27

.

In Pao Pao come già in Altri Libertini, fino a Camere Separate, la scelta del proprio simile,

della propria compagnia di simili, è il presupposto per creare quel “territorio di diffusione

d’affetto”28

che assicura la salvezza. Ecco allora come l’insistenza sulle mode generazionali,

su certi atteggiamenti giovanili, sul consumo di un particolare tipo di cultura perdono di colpo

il loro aspetto documentaristico di testimonianza, collocandosi invece come simboli, vessilli,

attraverso i quali i protagonisti si riconoscono, si aggregano e infine resistono.

26

“Maurice […], appena un metro e ottantasette, due centimetri in più del quoziente minimo per poter far parte

della nostra società”- in Pao Pao, Opere, vol. I, p.278 27

id., p. 265 28

id., p. 257

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3. La scrittura come giustificazione

Borges y yo è un componimento poetico che appare per la prima volta nella raccolta El

Hacedor, pubblicata nel 1960 a Buenos Aires. Si tratta di una riflessione particolarmente

efficace sul rapporto di convivenza tra due protagonisti fondamentali del processo di

produzione letteraria continuamente coinvolti in un gioco ambiguo di sovrapposizioni: la

persona che vive e lo scrittore che compone, due entità che sussistono all’interno dello stesso

soggetto. Scrive l’autore argentino:

All’altro, a Borges, accadono le cose. Io cammino per Buenos Aires e indugio, forse ormai meccanicamente, a

guardare l’arco di un androne e la porta che dà a un cortile; di Borges ho notizie attraverso la posta e vedo il suo

nome in una terna di professori o in un dizionario biografico.[…]

Sarebbe esagerato affermare che la nostra relazione è di ostilità; io vivo, mi lascio vivere, perché Borges possa

tramare la sua letteratura, e questa mi giustifica. Non ho difficoltà a riconoscere che ha dato vita ad alcune

pagine valide, ma quelle pagine non possono salvarmi, forse perché ciò che v’è di buono non appartiene a

nessuno, neppure all’altro, ma al linguaggio o alla tradizione. D’altronde, io son destinato a perdermi,

definitivamente, e solo qualche istante mio potrà sopravvivere nell’altro. […]

Di nuovo sembra di tornare alle pagine del saggio di T.S. Eliot e al concetto di poesia

impersonale. Il soggetto che vive e che materialmente si concede all’atto della scrittura non è

altro che un mezzo, così come gli eventi biografici che lo contraddistinguono29

sono

“occasioni narrative” attraverso le quali si dispiega la letteratura. Il soggetto si lascia vivere

perché lo scrittore possa scriverne, in questo modo la letteratura salva i particolari del

quotidiano includendoli nell’ampio quadro della tradizione letteraria universale.

29

“The mind of the poet is the shred of platinum. It may partly or exclusively operate upon the experience of the

man himself; but, the more perfect the artist, the more completely separate in him will be the man who suffers

and the mind which creates”(T.S. Eliot, Tradition and indivdual talent, in Sacred Wood, 1921)

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Questo stesso discorso volto alla ricerca di senso e alla giustificazione anche del più piccolo

evento biografico ricorre spesso nella pagina tondelliana e in modo molto esplicito in Pao

Pao. La narrazione dell’anno del servizio di leva avviene a circa dodici mesi di distanza dagli

eventi narrati, il racconto non è dunque in presa diretta, non si tratta di una cronaca (come

invece gli episodi del Diario del Soldato Acci) né di un resoconto giornalistico. Il romanzo è

una rielaborazione a posteriori di un’esperienza che viene sviscerata e ripercorsa in ogni

direzione- mediante le tecniche della prolessi e del flashback- alla ricerca di un significato.

Questo processo può avvenire solamente grazie allo strumento della scrittura, a sua volta

mutuato dalla memoria e dalla distanza dello sguardo che si pone al di sopra dell’esperienza.

La voce narrante interpreta il ruolo dello scrittore Tondelli che dalla sua casa di Bologna

procede a ritroso nei ricordi per raccontare della breve parentesi nell’esercito al fine di potervi

attribuire significato. Di frequente nel corso delle pagine, sfruttando il meccanismo della

prolessi, si informa il lettore del fatto che un personaggio del racconto sia passato a salutare lo

scrittore impegnato proprio nella scrittura del romanzo. L’effetto è quello di un corto circuito

in cui fiction e quotidiano si confondono, rischiando di collassare se non fosse per l’attività

registica alla base della letteratura, che aiuta lo scrittore a mettere ordine negli episodi. Il

senso, in letteratura, sembra qualificarsi come una categoria estetica.

Il protagonista/voce narrante vive l’avventura della caserma con leggerezza proprio perché dal

suo punto di vista ogni particolare è già parte di una storia che andrà raccontata:

Lascio gli Alamari Biancorossi del Sesto Granatieri per le ridottissime mostrine arancio dei Reparti Autonomi,

cambio il basco nero con un kaki ridottissimo, scucio lo scudetto della brigata dalla manica della giacca, ma mi

frega niente, l’importante è il piazzarsi il più presto possibile in questa nuova storia.30

30

Pao Pao, Opere ,vol.1, op. cit., p. 255

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Una storia che, per via della natura temporanea del servizio militare, possiede già gli

indicatori estetici di inizio e fine:

[…] tutti lì, di nuovo riuniti attorno al fuoco a cantare con Magico Alvermann e imbriacarci e mangiare pizzette

ormai fredde e polli carbonizzati e rollare canne su canne senza pensare al dopo, senza mai per un attimo

accorgerci che quello era già un passato e un rito, un festeggiamento anticipato del tempo che ci avrebbe

distaccati e di nuovo gettati ognuno nella propria storia separata, ma io lo sapevo, lo sapevo maledizione che era

già tutto finito ma fingevo, non avevo via di scampo, mi dicevo sto bene, sono felice, devo ricordarmelo che qui,

ora, stanotte sto bene, anche se infondo ero molto malinconico quando mi specchiavo nei grandi occhi liquidi di

Renzu, anche lui forse sapeva… […]31

Benchè nell’analisi di Carnero ancora si insista sull’aspetto autobiografico e personale della

scrittura in Pao Pao, si fa riferimento alla grande consapevolezza che c’è nella manipolazione

del materiale narrativo e nella sua trasposizione da fabula a intreccio. In particolare la

struttura ad anello che apre e chiude il romanzo con l’episodio della parata militare in cui il

protagonista incrocia lo sguardo del suo vecchio compagno Renzu:

Ma Renzu, il mio grande amico Renzu, lo rivedo dunque per l’ultima volta in una parata primaverile di granatieri

a Roma, a quasi un anno da quel nostro primo e gelido inizio di servizio militare su alla rupedi Orvieto, fine

aprile dell’ottanta o giù di lì.32

L’avversativa che introduce la narrazione presupporrebbe una frase principale che tuttavia

manca. Questo brano iniziale bene introduce al concetto di tempo sviluppato nel romanzo,

fondato su un “andirvieni temporale, forse funzionale a rendere la rievocazione del servizio

militare nei termini di una sorta di bolla d’aria nel tempo. Il flusso del pensiero è libero da

troppo tradizionali e rigidi schemi narrativi e la narrazione procede per sprazzi.”33

31

id., p.257 32

id., p. 183 33

R. Carnero, op. cit., p.47

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19

Anche secondo Carnero questo ripensare alla parentesi militare attraverso la scrittura, che ne

offre una risistemazione, “trae un proprio senso di significatività e di coerenza proprio da

queste corrispondenze interne, che sono il segno della necessità e della pregnanza della rete di

rapporti che danno spessore umano ad un momento della vita altrimenti solo aridamente

burocratico”.34

Tornando al concetto iniziale riguardo la differenza tra opere di letteratura e opere di

testimonianza, solo nelle prime si riesce a partecipare a un dialogo che supera il tempo

contingente e ciò avviene anche grazie alla consapevolezza con cui l’autore maneggia lo

strumento della scrittura e le sue tecniche. L’organizzazione degli eventi in una narrazione è

di per sé un punto di vista, una sorta di discorso a tesi, e gli eventi, distribuiti in modo non

lineare, servono a sostenere la tesi che costituisce la spina dorsale dell’opera in questione.

Il cuore di un romanzo come Pao Pao corrisponde a uno dei passaggi più suggestivi del testo:

Ma le occasioni della vita stupiscono mai abbastanza nella loro insensata frammentarietà che poi un bel giorno

miracolosamente si salda in una sottile e delicata vibrazione che riaccorda e riannoda e uniforma il tono di

diversi percorsi e allora, nonostante i dolori e le precarietà dei nostri anni giovanili, la vita sembra rivelarsi come

una misteriosa e armonica frequenza […] nella gioia di sentirsi finalmente presenti agli occhi della propria storia

[…] di trarre a sé tutti i fili intrigati e sparsi del proprio passato […]35

Non è una rivisitazione degli eventi attraverso il senno di poi o lo sguardo più maturo

dell’esperienza. La parola chiave ancora una volta è “storia”, diegesi. Il passato è costruito da

fili intrecciati che di questa narrazione costituiscono la struttura. La rivelazione allora sarà lo

svelamento delle parti di questa storia, la capacità di individuare fili e percorsi che uno

sguardo troppo vicino (lo sguardo della cronaca) non sarebbe capace di connettere insieme.

34

id., p. 48 35

Pao Pao, Opere , vol.1, op. cit., p.309

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Nelle opere di natura autobiografica, laddove la voce dell’autore e del testimone si

confondono, lo scarto sta proprio nella lungimiranza del primo: un evento non è mai vissuto

solo in quanto tale, fine a se stesso, ma sempre in prospettiva del momento in cui sarà

raccontato in letteratura.

Pier Vittorio Tondelli distribuisce in diversi luoghi della sua opera il momento in cui questo

concetto gli si schiude davanti. Un frammento particolarmente chiaro è condiviso da una

pagina di Biglietti agli Amici e un passaggio contenuto in Un weekend postmoderno:

Ieri, domenica, a Chantilly mentre Severo rapito dal paesaggio autunnale, grigio, sfumato, eppure così

“tridimensionale” e profondo diceva:”è un puro Corot”. Lui si è chiesto perché da qualche anno ama viaggiare,

mentre, quando aveva vent’anni, assolutamente no. E trovauna ragione: quando era giovane non aveva la

scrittura e era solito dire agli amici: “I paesaggi, le città non mi interessano perché non li posso far miei. Non li

posso mangiare.”

Ora invece tutto lo interessa e lo riguarda perché ha la scrittura, ha uno strumento, ha gli occhi, una bocca, uno

stomaco per mangiare e guardare la realtà, le città, i paesaggi.[…]”36

Così la versione in Viaggiatore solitario, confluita nella forma del reportage (1987):

[…] mi sono chiesto perché da qualche anno anch’io ami i paesaggi, le città e i luoghi. E ami viaggiare.

Allora mi sono dato una risposta. Quando ero ragazzo ero un ignorantone, leggevo poco, scrivevo male. Se

avessi visto quel paesaggio avrei solo ricevuto un’emozione turistica. […]37

Quello che rende un’opera letteraria –benchè autobiografica- diversa da un lavoro di

testimonianza, sta nello scarto tra la descrizione e la riflessione; quest’ultima affonda nel

quotdiano e ne riemerge con elementi e tematiche universali che si pongono al di sopra del

tempo storico, abitando piuttosto in un discorso di valori universalmente validi.

36

Pier Vittorio Tondelli, Opere, vol.I, biglietto numero 2 37

Pier Vittorio Tondelli, Un Weekend Postmoderno, Bompiani, Milano, 1990, p. 384

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testimonianza, appunti su Pao Pao

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Interrogarsi sul ruolo assunto da Pier Vittorio Tondelli nell’ambito della cultura italiana degli

anni Ottanta, valutarne la figura e il suo valore in quanto punto di riferimento per molte

categorie nel corso della sua attività, non è certamente sbagliato, tuttavia andrebbe distinto

dall’operazione di analisi delle sue opere letterarie.

Leggere la produzione letteraria e giornalistica di Tondelli alla luce del metodo appena

proposto –un metodo di ricerca attento a distinguere l’universale dal cronachistico- potrebbe

essere utile a superare questioni sulle quali da molti anni la critica sembra essersi fermata,

circa la presunta religiosità dell’autore o la sua omosessualità. Bisognerebbe, insomma,

accostarsi a Tondelli con il suggerimento di T.S. Eliot, considerando l’autore come uno

strumento: la letteratura parla filtrando attraverso la sua biografia e non –piuttosto- a partire

da questa.