Piazza Italia Spring/Summer '12

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Fabio Pisacane Chiara Caprì Dario Pallotta Jessica Intravaia Armando Punzo Eloisa Morra speciale KID’s heroes PRIMAVERA 2012 - I NOSTRI MODELLI DI VITA - PIAZZA ITALIA I NOSTRI MODELLI DI VITA seguici anche su sponsordellagentecomune.it

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Piazza Italia introduces its spring/summer '12 collection by featuring real-life Italian role models which we can aspire to.

Transcript of Piazza Italia Spring/Summer '12

Fabio PisacaneChiara Caprì

Dario PallottaJessica IntravaiaArmando Punzo

Eloisa Morraspeciale KID’s heroes

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AI NOSTRI MODELLI DI VITA

seguici anche susponsordellagentecomune.it

indice

Gli uomini e le donne che state per incontrare vivono, come noi, in un mondo che

trova i suoi modelli in tutt’altre sfere: esempi di forza ad ogni costo,

di prevaricazione, di arrivismo senza bandiera. Oppure modelli vuoti, patinati

come le copertine dei tabloid su cui fanno la loro periodica comparsa,

relegati al ruolo di mute icone di stile. In tempi come questi, sembra non ci sia

spazio per dei “modelli pensanti”. E per soffermarsi a conoscere le storie di

persone che, anche senza volerlo, dovrebbero essere “modelli” di diritto.

Dario, Jessica, Armando, Chiara, Eloisa, Fabio. E come loro, molti altri che per

una mera questione di spazio non troverete in queste pagine. Questi ragazzi non

hanno chiesto a nessuno di essere messi in prima pagina. Non hanno chiesto di essere

interpellati, né esaltati come esempi virtuosi da seguire. Sono persone come

tante, persone che sbagliano, tornano indietro, cambiano idea, si impegnano per

realizzare un sogno. Eppure queste sei persone vivono, nel loro piccolo e senza

allontanarsi troppo dalla loro quotidianità, vite straordinarie. Se è vero che

non c’è bisogno di eroi per cambiare il mondo, è altrettanto vero che non occorre

compiere passi troppo lunghi per rendersi utili. I personaggi che incontrerete

hanno scelto proprio questa linea di principio. Hanno agito per istinto, per

innato senso di responsabilità, senza sforzo e senza chiedere nulla in cambio.

Nessuno li ha chiamati all’azione. Nessuno li ha incoronati per come hanno agito.

Hanno “soltanto” assecondato con generosità la propria umanissima e normalissima

coscienza.

PIAZZA ITALIA

foto di Carlo Furgeri Gilberttesti di Sara Mariani

www.piazzaitalia.it

The Point, Tigné - Sliema

Naxxar Road, Birkirkara

Arkadia, GOZO

indice

Gli uomini e le donne che state per incontrare vivono, come noi, in un mondo che

trova i suoi modelli in tutt’altre sfere: esempi di forza ad ogni costo,

di prevaricazione, di arrivismo senza bandiera. Oppure modelli vuoti, patinati

come le copertine dei tabloid su cui fanno la loro periodica comparsa,

relegati al ruolo di mute icone di stile. In tempi come questi, sembra non ci sia

spazio per dei “modelli pensanti”. E per soffermarsi a conoscere le storie di

persone che, anche senza volerlo, dovrebbero essere “modelli” di diritto.

Dario, Jessica, Armando, Chiara, Eloisa, Fabio. E come loro, molti altri che per

una mera questione di spazio non troverete in queste pagine. Questi ragazzi non

hanno chiesto a nessuno di essere messi in prima pagina. Non hanno chiesto di essere

interpellati, né esaltati come esempi virtuosi da seguire. Sono persone come

tante, persone che sbagliano, tornano indietro, cambiano idea, si impegnano per

realizzare un sogno. Eppure queste sei persone vivono, nel loro piccolo e senza

allontanarsi troppo dalla loro quotidianità, vite straordinarie. Se è vero che

non c’è bisogno di eroi per cambiare il mondo, è altrettanto vero che non occorre

compiere passi troppo lunghi per rendersi utili. I personaggi che incontrerete

hanno scelto proprio questa linea di principio. Hanno agito per istinto, per

innato senso di responsabilità, senza sforzo e senza chiedere nulla in cambio.

Nessuno li ha chiamati all’azione. Nessuno li ha incoronati per come hanno agito.

Hanno “soltanto” assecondato con generosità la propria umanissima e normalissima

coscienza.

PIAZZA ITALIA

foto di Carlo Furgeri Gilberttesti di Sara Mariani

www.piazzaitalia.it

Cosa ti ha spinto a fare quello che hai fatto, denun-ciando il fenomeno del calcio-scommesse? La pas-sione che ho per questo sport. E la fortuna di avere dei valori sani e non accettare di cederli a nessun prezzo.

Ti definiresti un eroe? Sentire la parola eroe mi dà un po’ fastidio... perché ho fatto la cosa più normale del mondo. Ormai passano per straordinari i compor-tamenti che dovrebbero essere più comuni! Questo mi dispiace molto, specialmente per i bambini, che si rispecchiano in certi idoli. Spero di essere un model-lo per i giovanissimi che si affacciano a questo lavoro.

Parliamo un po’ della tua vita, del tuo quotidiano. Puoi raccontarci in breve cosa pensi del tuo lavoro? Sono contentissimo di quello che faccio perché tra-

scorro le mie giornate facendo lo sport che ho sem-pre amato fin da piccolo.

Che cosa fai per prima cosa quando ti alzi la mattina? So che può sembrare un po’ strano e fuori moda ma... per prima cosa prego. Ho molta fede e ringrazio Dio per questo.

Come ti piace finire la tua giornata? Mi piace finirla sentendo che ho dato tutto me stesso, nel lavoro e con la famiglia. È bello quando senti di essere riu-scito a dare un senso a quello che fai. Solo così puoi andare a dormire sereno.

Sei molto giovane. Come vedi il tuo futuro? In parti-colare dove ti vedi fra 10 anni? Mi auguro di avere dei figli, di trasmettere loro i valori che sento, quelli più

veri, come la generosità e l’altruismo. E che le perso-ne che amo siano ancora con me.

Come deve essere, secondo te, un modello da seguire? Deve smentire la convinzione comune che per arriva-re da qualche parte ci sia bisogno solo di raccoman-dazioni e scorciatoie. Bisogna dire ai bambini e alle bambine che vogliono giocare a calcio o diventare modelle, che tutto ciò che serve è sacrificio.

Quale comportamento ti fa più arrabbiare? Mi dà molto fastidio che giocatori privilegiati, che guada-gnano grosse cifre, agiscano in modo disonesto. Ma il vizio del gioco e le scommesse sono una malattia, ne sono convinto.

Fabio Pisacane, calciatore. Ha rifiutato 50.000 euro per truccare una partita,facendo partire l’inchiesta sul calcioscommesse.

(5)

Cosa ti ha spinto a fare quello che hai fatto, denun-ciando il fenomeno del calcio-scommesse? La pas-sione che ho per questo sport. E la fortuna di avere dei valori sani e non accettare di cederli a nessun prezzo.

Ti definiresti un eroe? Sentire la parola eroe mi dà un po’ fastidio... perché ho fatto la cosa più normale del mondo. Ormai passano per straordinari i compor-tamenti che dovrebbero essere più comuni! Questo mi dispiace molto, specialmente per i bambini, che si rispecchiano in certi idoli. Spero di essere un model-lo per i giovanissimi che si affacciano a questo lavoro.

Parliamo un po’ della tua vita, del tuo quotidiano. Puoi raccontarci in breve cosa pensi del tuo lavoro? Sono contentissimo di quello che faccio perché tra-

scorro le mie giornate facendo lo sport che ho sem-pre amato fin da piccolo.

Che cosa fai per prima cosa quando ti alzi la mattina? So che può sembrare un po’ strano e fuori moda ma... per prima cosa prego. Ho molta fede e ringrazio Dio per questo.

Come ti piace finire la tua giornata? Mi piace finirla sentendo che ho dato tutto me stesso, nel lavoro e con la famiglia. È bello quando senti di essere riu-scito a dare un senso a quello che fai. Solo così puoi andare a dormire sereno.

Sei molto giovane. Come vedi il tuo futuro? In parti-colare dove ti vedi fra 10 anni? Mi auguro di avere dei figli, di trasmettere loro i valori che sento, quelli più

veri, come la generosità e l’altruismo. E che le perso-ne che amo siano ancora con me.

Come deve essere, secondo te, un modello da seguire? Deve smentire la convinzione comune che per arriva-re da qualche parte ci sia bisogno solo di raccoman-dazioni e scorciatoie. Bisogna dire ai bambini e alle bambine che vogliono giocare a calcio o diventare modelle, che tutto ciò che serve è sacrificio.

Quale comportamento ti fa più arrabbiare? Mi dà molto fastidio che giocatori privilegiati, che guada-gnano grosse cifre, agiscano in modo disonesto. Ma il vizio del gioco e le scommesse sono una malattia, ne sono convinto.

Fabio Pisacane, calciatore. Ha rifiutato 50.000 euro per truccare una partita,facendo partire l’inchiesta sul calcioscommesse.

(5)

The Point, Tigné - Sliema

Naxxar Road, Birkirkara

Arkadia, GOZO

Cosa ti ha spinto a fare quello che hai fatto, denun-ciando il fenomeno del calcio-scommesse? La pas-sione che ho per questo sport. E la fortuna di avere dei valori sani e non accettare di cederli a nessun prezzo.

Ti definiresti un eroe? Sentire la parola eroe mi dà un po’ fastidio... perché ho fatto la cosa più normale del mondo. Ormai passano per straordinari i compor-tamenti che dovrebbero essere più comuni! Questo mi dispiace molto, specialmente per i bambini, che si rispecchiano in certi idoli. Spero di essere un model-lo per i giovanissimi che si affacciano a questo lavoro.

Parliamo un po’ della tua vita, del tuo quotidiano. Puoi raccontarci in breve cosa pensi del tuo lavoro? Sono contentissimo di quello che faccio perché tra-

scorro le mie giornate facendo lo sport che ho sem-pre amato fin da piccolo.

Che cosa fai per prima cosa quando ti alzi la mattina? So che può sembrare un po’ strano e fuori moda ma... per prima cosa prego. Ho molta fede e ringrazio Dio per questo.

Come ti piace finire la tua giornata? Mi piace finirla sentendo che ho dato tutto me stesso, nel lavoro e con la famiglia. È bello quando senti di essere riu-scito a dare un senso a quello che fai. Solo così puoi andare a dormire sereno.

Sei molto giovane. Come vedi il tuo futuro? In parti-colare dove ti vedi fra 10 anni? Mi auguro di avere dei figli, di trasmettere loro i valori che sento, quelli più

veri, come la generosità e l’altruismo. E che le perso-ne che amo siano ancora con me.

Come deve essere, secondo te, un modello da seguire? Deve smentire la convinzione comune che per arriva-re da qualche parte ci sia bisogno solo di raccoman-dazioni e scorciatoie. Bisogna dire ai bambini e alle bambine che vogliono giocare a calcio o diventare modelle, che tutto ciò che serve è sacrificio.

Quale comportamento ti fa più arrabbiare? Mi dà molto fastidio che giocatori privilegiati, che guada-gnano grosse cifre, agiscano in modo disonesto. Ma il vizio del gioco e le scommesse sono una malattia, ne sono convinto.

Fabio Pisacane, calciatore. Ha rifiutato 50.000 euro per truccare una partita,facendo partire l’inchiesta sul calcioscommesse.

(5)

Cosa ti ha spinto a fare quello che hai fatto, denun-ciando il fenomeno del calcio-scommesse? La pas-sione che ho per questo sport. E la fortuna di avere dei valori sani e non accettare di cederli a nessun prezzo.

Ti definiresti un eroe? Sentire la parola eroe mi dà un po’ fastidio... perché ho fatto la cosa più normale del mondo. Ormai passano per straordinari i compor-tamenti che dovrebbero essere più comuni! Questo mi dispiace molto, specialmente per i bambini, che si rispecchiano in certi idoli. Spero di essere un model-lo per i giovanissimi che si affacciano a questo lavoro.

Parliamo un po’ della tua vita, del tuo quotidiano. Puoi raccontarci in breve cosa pensi del tuo lavoro? Sono contentissimo di quello che faccio perché tra-

scorro le mie giornate facendo lo sport che ho sem-pre amato fin da piccolo.

Che cosa fai per prima cosa quando ti alzi la mattina? So che può sembrare un po’ strano e fuori moda ma... per prima cosa prego. Ho molta fede e ringrazio Dio per questo.

Come ti piace finire la tua giornata? Mi piace finirla sentendo che ho dato tutto me stesso, nel lavoro e con la famiglia. È bello quando senti di essere riu-scito a dare un senso a quello che fai. Solo così puoi andare a dormire sereno.

Sei molto giovane. Come vedi il tuo futuro? In parti-colare dove ti vedi fra 10 anni? Mi auguro di avere dei figli, di trasmettere loro i valori che sento, quelli più

veri, come la generosità e l’altruismo. E che le perso-ne che amo siano ancora con me.

Come deve essere, secondo te, un modello da seguire? Deve smentire la convinzione comune che per arriva-re da qualche parte ci sia bisogno solo di raccoman-dazioni e scorciatoie. Bisogna dire ai bambini e alle bambine che vogliono giocare a calcio o diventare modelle, che tutto ciò che serve è sacrificio.

Quale comportamento ti fa più arrabbiare? Mi dà molto fastidio che giocatori privilegiati, che guada-gnano grosse cifre, agiscano in modo disonesto. Ma il vizio del gioco e le scommesse sono una malattia, ne sono convinto.

Fabio Pisacane, calciatore. Ha rifiutato 50.000 euro per truccare una partita,facendo partire l’inchiesta sul calcioscommesse.

(5)

Chiara Caprì, studentessa. Ha fondato il comitato Addiopizzo, che si batte per la promozione di un’economia libera dalla mafia.

guerriera della

la

(7)

Chiara Caprì, studentessa. Ha fondato il comitato Addiopizzo, che si batte per la promozione di un’economia libera dalla mafia.

guerriera della

la

(7)

The Point, Tigné - Sliema

Naxxar Road, Birkirkara

Arkadia, GOZO

Chiara Caprì, studentessa. Ha fondato il comitato Addiopizzo, che si batte per la promozione di un’economia libera dalla mafia.

guerriera della

la

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Chiara Caprì, studentessa. Ha fondato il comitato Addiopizzo, che si batte per la promozione di un’economia libera dalla mafia.

guerriera della

la

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Q uella mattina, quando sono uscita di casa, le strade di Palermo

erano diverse dal solito. Da poco erano passati gli “attac-chini”. I muri portavano i segni del loro passaggio e dovunque si leggevano le stesse parole, taglienti come coltelli: “Un in-tero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Era il 2004. Poco dopo nacque il colletti-vo AddioPizzo e io sono stata uno dei suoi fondatori. Da allora, quella frase la porto sempre con me.

La storia è cominciata così: sette ragazzi volevano aprire un pub. Ma il commercialista li ha scoraggiati, mettendoli in guardia: «Guardate che fra poco qualcuno verrà a chieder-vi il pizzo». Siamo partiti da qui, con la campagna “Il piz-zo cambia i consumi”. Poco a

poco, ci siamo fatti strada pri-ma fra i consumatori, che han-no iniziato a boicottare i negozi dove si pagava il pizzo e a com-prare dagli altri, quelli “puliti”. Poi siamo passati ai commer-cianti. Si è cercato di coltivare un rapporto di fiducia fra noi, la cittadinanza e le istituzio-ni, per fare gruppo, per creare una cittadinanza attiva. Io ero

incaricata di andare a parla-re della nostra attività nelle scuole. Sono stata responsabile di alcuni presidi di legalità in diversi istituti. Con una classe del Liceo Scientifico Cannizzaro di Palermo affrontai il tema della mafia cinese, scelto dai ragazzi. È da lì che ho iniziato

il mio lavoro di scrittrice: da quella esperienza ho tratto il mio primo saggio sulla mafia cinese in Italia e i suoi rapporti con Cosanostra.

Quest’anno ad agosto è uscito il mio secondo libro. È una dop-pia biografia di Libero Grassi, una specie di romanzo storico, scritto a quattro mani con la

moglie Pina.

Fra noi si è creato un legame forte e intimo, come fra una nonna e una nipote. Lei mi ha aperto uno scrigno di ricordi personalissimi. Ora

il mio impegno civile consiste nel portare in giro il messaggio antiracket di Libero. È un po’ come se fossi la sua staffetta, la sua prosecuzione.

“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”

www.addiopizzo.org

(9)

Q uella mattina, quando sono uscita di casa, le strade di Palermo

erano diverse dal solito. Da poco erano passati gli “attac-chini”. I muri portavano i segni del loro passaggio e dovunque si leggevano le stesse parole, taglienti come coltelli: “Un in-tero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Era il 2004. Poco dopo nacque il colletti-vo AddioPizzo e io sono stata uno dei suoi fondatori. Da allora, quella frase la porto sempre con me.

La storia è cominciata così: sette ragazzi volevano aprire un pub. Ma il commercialista li ha scoraggiati, mettendoli in guardia: «Guardate che fra poco qualcuno verrà a chieder-vi il pizzo». Siamo partiti da qui, con la campagna “Il piz-zo cambia i consumi”. Poco a

poco, ci siamo fatti strada pri-ma fra i consumatori, che han-no iniziato a boicottare i negozi dove si pagava il pizzo e a com-prare dagli altri, quelli “puliti”. Poi siamo passati ai commer-cianti. Si è cercato di coltivare un rapporto di fiducia fra noi, la cittadinanza e le istituzio-ni, per fare gruppo, per creare una cittadinanza attiva. Io ero

incaricata di andare a parla-re della nostra attività nelle scuole. Sono stata responsabile di alcuni presidi di legalità in diversi istituti. Con una classe del Liceo Scientifico Cannizzaro di Palermo affrontai il tema della mafia cinese, scelto dai ragazzi. È da lì che ho iniziato

il mio lavoro di scrittrice: da quella esperienza ho tratto il mio primo saggio sulla mafia cinese in Italia e i suoi rapporti con Cosanostra.

Quest’anno ad agosto è uscito il mio secondo libro. È una dop-pia biografia di Libero Grassi, una specie di romanzo storico, scritto a quattro mani con la

moglie Pina.

Fra noi si è creato un legame forte e intimo, come fra una nonna e una nipote. Lei mi ha aperto uno scrigno di ricordi personalissimi. Ora

il mio impegno civile consiste nel portare in giro il messaggio antiracket di Libero. È un po’ come se fossi la sua staffetta, la sua prosecuzione.

“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”

www.addiopizzo.org

(9)

The Point, Tigné - Sliema

Naxxar Road, Birkirkara

Arkadia, GOZO

Q uella mattina, quando sono uscita di casa, le strade di Palermo

erano diverse dal solito. Da poco erano passati gli “attac-chini”. I muri portavano i segni del loro passaggio e dovunque si leggevano le stesse parole, taglienti come coltelli: “Un in-tero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Era il 2004. Poco dopo nacque il colletti-vo AddioPizzo e io sono stata uno dei suoi fondatori. Da allora, quella frase la porto sempre con me.

La storia è cominciata così: sette ragazzi volevano aprire un pub. Ma il commercialista li ha scoraggiati, mettendoli in guardia: «Guardate che fra poco qualcuno verrà a chieder-vi il pizzo». Siamo partiti da qui, con la campagna “Il piz-zo cambia i consumi”. Poco a

poco, ci siamo fatti strada pri-ma fra i consumatori, che han-no iniziato a boicottare i negozi dove si pagava il pizzo e a com-prare dagli altri, quelli “puliti”. Poi siamo passati ai commer-cianti. Si è cercato di coltivare un rapporto di fiducia fra noi, la cittadinanza e le istituzio-ni, per fare gruppo, per creare una cittadinanza attiva. Io ero

incaricata di andare a parla-re della nostra attività nelle scuole. Sono stata responsabile di alcuni presidi di legalità in diversi istituti. Con una classe del Liceo Scientifico Cannizzaro di Palermo affrontai il tema della mafia cinese, scelto dai ragazzi. È da lì che ho iniziato

il mio lavoro di scrittrice: da quella esperienza ho tratto il mio primo saggio sulla mafia cinese in Italia e i suoi rapporti con Cosanostra.

Quest’anno ad agosto è uscito il mio secondo libro. È una dop-pia biografia di Libero Grassi, una specie di romanzo storico, scritto a quattro mani con la

moglie Pina.

Fra noi si è creato un legame forte e intimo, come fra una nonna e una nipote. Lei mi ha aperto uno scrigno di ricordi personalissimi. Ora

il mio impegno civile consiste nel portare in giro il messaggio antiracket di Libero. È un po’ come se fossi la sua staffetta, la sua prosecuzione.

“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”

www.addiopizzo.org

(9)

Q uella mattina, quando sono uscita di casa, le strade di Palermo

erano diverse dal solito. Da poco erano passati gli “attac-chini”. I muri portavano i segni del loro passaggio e dovunque si leggevano le stesse parole, taglienti come coltelli: “Un in-tero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Era il 2004. Poco dopo nacque il colletti-vo AddioPizzo e io sono stata uno dei suoi fondatori. Da allora, quella frase la porto sempre con me.

La storia è cominciata così: sette ragazzi volevano aprire un pub. Ma il commercialista li ha scoraggiati, mettendoli in guardia: «Guardate che fra poco qualcuno verrà a chieder-vi il pizzo». Siamo partiti da qui, con la campagna “Il piz-zo cambia i consumi”. Poco a

poco, ci siamo fatti strada pri-ma fra i consumatori, che han-no iniziato a boicottare i negozi dove si pagava il pizzo e a com-prare dagli altri, quelli “puliti”. Poi siamo passati ai commer-cianti. Si è cercato di coltivare un rapporto di fiducia fra noi, la cittadinanza e le istituzio-ni, per fare gruppo, per creare una cittadinanza attiva. Io ero

incaricata di andare a parla-re della nostra attività nelle scuole. Sono stata responsabile di alcuni presidi di legalità in diversi istituti. Con una classe del Liceo Scientifico Cannizzaro di Palermo affrontai il tema della mafia cinese, scelto dai ragazzi. È da lì che ho iniziato

il mio lavoro di scrittrice: da quella esperienza ho tratto il mio primo saggio sulla mafia cinese in Italia e i suoi rapporti con Cosanostra.

Quest’anno ad agosto è uscito il mio secondo libro. È una dop-pia biografia di Libero Grassi, una specie di romanzo storico, scritto a quattro mani con la

moglie Pina.

Fra noi si è creato un legame forte e intimo, come fra una nonna e una nipote. Lei mi ha aperto uno scrigno di ricordi personalissimi. Ora

il mio impegno civile consiste nel portare in giro il messaggio antiracket di Libero. È un po’ come se fossi la sua staffetta, la sua prosecuzione.

“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”

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(9)

Q uella mattina, quando sono uscita di casa, le strade di Palermo

erano diverse dal solito. Da poco erano passati gli “attac-chini”. I muri portavano i segni del loro passaggio e dovunque si leggevano le stesse parole, taglienti come coltelli: “Un in-tero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Era il 2004. Poco dopo nacque il colletti-vo AddioPizzo e io sono stata uno dei suoi fondatori. Da allora, quella frase la porto sempre con me.

La storia è cominciata così: sette ragazzi volevano aprire un pub. Ma il commercialista li ha scoraggiati, mettendoli in guardia: «Guardate che fra poco qualcuno verrà a chieder-vi il pizzo». Siamo partiti da qui, con la campagna “Il piz-zo cambia i consumi”. Poco a

poco, ci siamo fatti strada pri-ma fra i consumatori, che han-no iniziato a boicottare i negozi dove si pagava il pizzo e a com-prare dagli altri, quelli “puliti”. Poi siamo passati ai commer-cianti. Si è cercato di coltivare un rapporto di fiducia fra noi, la cittadinanza e le istituzio-ni, per fare gruppo, per creare una cittadinanza attiva. Io ero

incaricata di andare a parla-re della nostra attività nelle scuole. Sono stata responsabile di alcuni presidi di legalità in diversi istituti. Con una classe del Liceo Scientifico Cannizzaro di Palermo affrontai il tema della mafia cinese, scelto dai ragazzi. È da lì che ho iniziato

il mio lavoro di scrittrice: da quella esperienza ho tratto il mio primo saggio sulla mafia cinese in Italia e i suoi rapporti con Cosanostra.

Quest’anno ad agosto è uscito il mio secondo libro. È una dop-pia biografia di Libero Grassi, una specie di romanzo storico, scritto a quattro mani con la

moglie Pina.

Fra noi si è creato un legame forte e intimo, come fra una nonna e una nipote. Lei mi ha aperto uno scrigno di ricordi personalissimi. Ora

il mio impegno civile consiste nel portare in giro il messaggio antiracket di Libero. È un po’ come se fossi la sua staffetta, la sua prosecuzione.

“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”

www.addiopizzo.org

(9)

“Non mi sento un eroe. Mi sono ritrovato per caso a fare ciò che ho fatto.”

Lo scopo del gioco è portare la palla oltre la linea di meta degli av-versari, schiacciandola a terra. Il gioco inizia calciando la palla dal centrocampo in direzione della linea dei 22 metri avversaria. Il rugby funziona così. Dario lo conosce a memoria, per lui è un movimento amico e familiare. Quella volta, però, non c’era un campo e l’area di gioco era una città distrutta. L’Aquila, 6 aprile 2009. La terra trema. Le case vanno in frantumi. L’odore forte del gas, i calcinacci dappertutto, la polvere che non lascia respirare. Intorno a lui un fiume di ciottoli, il cammino diventa una corsa a ostacoli. Una corsa contro il tempo.

Ma Dario segue solo l’istinto. E l’istinto lo spinge a tornare là dentro. Buttarsi fra le macerie, portare fuori chi si riesce. Come quando gioca a rugby, afferra la palla ovale e corre all’impazzata verso la meta. La meta, questa volta, ha i volti e i corpi di due persone. Marito e moglie. Ma Dario ha pensato solo a prenderli e correre, come un cieco gene-roso. Poi, una volta fuori, l’istinto l’ha chiamato di nuovo, ha battuto il calcio di ripresa e l’ha lanciato di nuovo in campo, oltre la tromba delle scale crollata, per portare in salvo anche la bombola di ossigeno della donna.

PER TUTTI

IPSE DIXIT

Dario Pallotta, rugbista. Durante il terremoto dell’Aquila ha tratto in salvo delle persone dalle macerie. Per questo gesto ha ricevuto

la Medaglia di Bronzo al Merito Civile.

(11)

“Non mi sento un eroe. Mi sono ritrovato per caso a fare ciò che ho fatto.”

Lo scopo del gioco è portare la palla oltre la linea di meta degli av-versari, schiacciandola a terra. Il gioco inizia calciando la palla dal centrocampo in direzione della linea dei 22 metri avversaria. Il rugby funziona così. Dario lo conosce a memoria, per lui è un movimento amico e familiare. Quella volta, però, non c’era un campo e l’area di gioco era una città distrutta. L’Aquila, 6 aprile 2009. La terra trema. Le case vanno in frantumi. L’odore forte del gas, i calcinacci dappertutto, la polvere che non lascia respirare. Intorno a lui un fiume di ciottoli, il cammino diventa una corsa a ostacoli. Una corsa contro il tempo.

Ma Dario segue solo l’istinto. E l’istinto lo spinge a tornare là dentro. Buttarsi fra le macerie, portare fuori chi si riesce. Come quando gioca a rugby, afferra la palla ovale e corre all’impazzata verso la meta. La meta, questa volta, ha i volti e i corpi di due persone. Marito e moglie. Ma Dario ha pensato solo a prenderli e correre, come un cieco gene-roso. Poi, una volta fuori, l’istinto l’ha chiamato di nuovo, ha battuto il calcio di ripresa e l’ha lanciato di nuovo in campo, oltre la tromba delle scale crollata, per portare in salvo anche la bombola di ossigeno della donna.

PER TUTTI

IPSE DIXIT

Dario Pallotta, rugbista. Durante il terremoto dell’Aquila ha tratto in salvo delle persone dalle macerie. Per questo gesto ha ricevuto

la Medaglia di Bronzo al Merito Civile.

(11)

“Non mi sento un eroe. Mi sono ritrovato per caso a fare ciò che ho fatto.”

Lo scopo del gioco è portare la palla oltre la linea di meta degli av-versari, schiacciandola a terra. Il gioco inizia calciando la palla dal centrocampo in direzione della linea dei 22 metri avversaria. Il rugby funziona così. Dario lo conosce a memoria, per lui è un movimento amico e familiare. Quella volta, però, non c’era un campo e l’area di gioco era una città distrutta. L’Aquila, 6 aprile 2009. La terra trema. Le case vanno in frantumi. L’odore forte del gas, i calcinacci dappertutto, la polvere che non lascia respirare. Intorno a lui un fiume di ciottoli, il cammino diventa una corsa a ostacoli. Una corsa contro il tempo.

Ma Dario segue solo l’istinto. E l’istinto lo spinge a tornare là dentro. Buttarsi fra le macerie, portare fuori chi si riesce. Come quando gioca a rugby, afferra la palla ovale e corre all’impazzata verso la meta. La meta, questa volta, ha i volti e i corpi di due persone. Marito e moglie. Ma Dario ha pensato solo a prenderli e correre, come un cieco gene-roso. Poi, una volta fuori, l’istinto l’ha chiamato di nuovo, ha battuto il calcio di ripresa e l’ha lanciato di nuovo in campo, oltre la tromba delle scale crollata, per portare in salvo anche la bombola di ossigeno della donna.

PER TUTTI

IPSE DIXIT

Dario Pallotta, rugbista. Durante il terremoto dell’Aquila ha tratto in salvo delle persone dalle macerie. Per questo gesto ha ricevuto

la Medaglia di Bronzo al Merito Civile.

(11)

“Non mi sento un eroe. Mi sono ritrovato per caso a fare ciò che ho fatto.”

Lo scopo del gioco è portare la palla oltre la linea di meta degli av-versari, schiacciandola a terra. Il gioco inizia calciando la palla dal centrocampo in direzione della linea dei 22 metri avversaria. Il rugby funziona così. Dario lo conosce a memoria, per lui è un movimento amico e familiare. Quella volta, però, non c’era un campo e l’area di gioco era una città distrutta. L’Aquila, 6 aprile 2009. La terra trema. Le case vanno in frantumi. L’odore forte del gas, i calcinacci dappertutto, la polvere che non lascia respirare. Intorno a lui un fiume di ciottoli, il cammino diventa una corsa a ostacoli. Una corsa contro il tempo.

Ma Dario segue solo l’istinto. E l’istinto lo spinge a tornare là dentro. Buttarsi fra le macerie, portare fuori chi si riesce. Come quando gioca a rugby, afferra la palla ovale e corre all’impazzata verso la meta. La meta, questa volta, ha i volti e i corpi di due persone. Marito e moglie. Ma Dario ha pensato solo a prenderli e correre, come un cieco gene-roso. Poi, una volta fuori, l’istinto l’ha chiamato di nuovo, ha battuto il calcio di ripresa e l’ha lanciato di nuovo in campo, oltre la tromba delle scale crollata, per portare in salvo anche la bombola di ossigeno della donna.

PER TUTTI

IPSE DIXIT

Dario Pallotta, rugbista. Durante il terremoto dell’Aquila ha tratto in salvo delle persone dalle macerie. Per questo gesto ha ricevuto

la Medaglia di Bronzo al Merito Civile.

(11)

“Non mi sento un eroe. Mi sono ritrovato per caso a fare ciò che ho fatto.”

Lo scopo del gioco è portare la palla oltre la linea di meta degli av-versari, schiacciandola a terra. Il gioco inizia calciando la palla dal centrocampo in direzione della linea dei 22 metri avversaria. Il rugby funziona così. Dario lo conosce a memoria, per lui è un movimento amico e familiare. Quella volta, però, non c’era un campo e l’area di gioco era una città distrutta. L’Aquila, 6 aprile 2009. La terra trema. Le case vanno in frantumi. L’odore forte del gas, i calcinacci dappertutto, la polvere che non lascia respirare. Intorno a lui un fiume di ciottoli, il cammino diventa una corsa a ostacoli. Una corsa contro il tempo.

Ma Dario segue solo l’istinto. E l’istinto lo spinge a tornare là dentro. Buttarsi fra le macerie, portare fuori chi si riesce. Come quando gioca a rugby, afferra la palla ovale e corre all’impazzata verso la meta. La meta, questa volta, ha i volti e i corpi di due persone. Marito e moglie. Ma Dario ha pensato solo a prenderli e correre, come un cieco gene-roso. Poi, una volta fuori, l’istinto l’ha chiamato di nuovo, ha battuto il calcio di ripresa e l’ha lanciato di nuovo in campo, oltre la tromba delle scale crollata, per portare in salvo anche la bombola di ossigeno della donna.

PER TUTTI

IPSE DIXIT

Dario Pallotta, rugbista. Durante il terremoto dell’Aquila ha tratto in salvo delle persone dalle macerie. Per questo gesto ha ricevuto

la Medaglia di Bronzo al Merito Civile.

(11)

The Point, Tigné - Sliema

Naxxar Road, Birkirkara

Arkadia, GOZO

“Non mi sento un eroe. Mi sono ritrovato per caso a fare ciò che ho fatto.”

Lo scopo del gioco è portare la palla oltre la linea di meta degli av-versari, schiacciandola a terra. Il gioco inizia calciando la palla dal centrocampo in direzione della linea dei 22 metri avversaria. Il rugby funziona così. Dario lo conosce a memoria, per lui è un movimento amico e familiare. Quella volta, però, non c’era un campo e l’area di gioco era una città distrutta. L’Aquila, 6 aprile 2009. La terra trema. Le case vanno in frantumi. L’odore forte del gas, i calcinacci dappertutto, la polvere che non lascia respirare. Intorno a lui un fiume di ciottoli, il cammino diventa una corsa a ostacoli. Una corsa contro il tempo.

Ma Dario segue solo l’istinto. E l’istinto lo spinge a tornare là dentro. Buttarsi fra le macerie, portare fuori chi si riesce. Come quando gioca a rugby, afferra la palla ovale e corre all’impazzata verso la meta. La meta, questa volta, ha i volti e i corpi di due persone. Marito e moglie. Ma Dario ha pensato solo a prenderli e correre, come un cieco gene-roso. Poi, una volta fuori, l’istinto l’ha chiamato di nuovo, ha battuto il calcio di ripresa e l’ha lanciato di nuovo in campo, oltre la tromba delle scale crollata, per portare in salvo anche la bombola di ossigeno della donna.

PER TUTTI

IPSE DIXIT

Dario Pallotta, rugbista. Durante il terremoto dell’Aquila ha tratto in salvo delle persone dalle macerie. Per questo gesto ha ricevuto

la Medaglia di Bronzo al Merito Civile.

(11)

Cosa ti ha spinto a gettarti fra le macerie, all’Aquila?

Il mio istinto. L’istinto di un giocatore di rugby abituato a dare sostegno ai propri

compagni di squadra. È uno dei principi della mia vita. Non mi sento un eroe. Sono

una persona comune che si è ritrovata per caso a fare cose comuni. Insieme a me

anche tanti altri, chi per lavoro, chi per coscienza, si sono ritrovati a fare lo stesso.

Puoi definire in breve il tuo lavoro?

Il rugby! Mi sono trovato un po’ per caso a giocare. L’unica cosa che mi ha spinto all’epo-

ca a fare del rugby una delle mie più grandi passioni e poi il lavoro della mia vita è stata

l’idea del gruppo. Il concetto di squadra, di amicizia. Io quando lavoro sto con i miei

amici! Al di là della preparazione atletica e mentale, ci sono persone comuni, che hanno

come principio la solidarietà reciproca. Se le persone comuni devono prendere esempio

da gente comune qualcosa non va... la gente dovrebbe avere dei modelli straordinari,

invece spesso i casi di onestà e buonsenso sono così rari che diventano modelli.

Che cosa fai per prima cosa quando ti alzi la mattina?

Vivo in maniera molto tranquilla, le mie giornate sono serene. Il segreto è tenersi

impegnati: tre mesi fa mi sono laureto in scienze giuridiche e ora mi sono iscritto

a giurisprudenza. A volte dipingo, oppure leggo. Il rugby è un’interruzione a queste

attività, in fondo... la grandezza dell’uomo è mettersi delle gabbie attorno, consa-

pevolmente, che ti fanno stare meglio. Lo studio per me è la cosa più importante,

mentre il rugby è lavoro e senso del dovere.

Cosa ti auguri per il futuro, per il 2012, che è appena cominciato?

Di vivere con serenità. E mi piacerebbe creare un gruppo di ragazzi che si siedono

intorno a un tavolo per parlare del futuro della nostra città. Alla fine, credo che

per governare al meglio una città di 40mila abitanti, basterebbe il buonsenso di

persone giovani e capaci... altro che politica!

www.laquilarugby1936.com

*Mi piace pensare

che dal disagio possa nascere

la forza sociale.

Ad esempio, la nevicata

record di quest’anno

ci ha fatto riscoprire i rapporti

indispensabili tra persone.*

(13)

Cosa ti ha spinto a gettarti fra le macerie, all’Aquila?

Il mio istinto. L’istinto di un giocatore di rugby abituato a dare sostegno ai propri

compagni di squadra. È uno dei principi della mia vita. Non mi sento un eroe. Sono

una persona comune che si è ritrovata per caso a fare cose comuni. Insieme a me

anche tanti altri, chi per lavoro, chi per coscienza, si sono ritrovati a fare lo stesso.

Puoi definire in breve il tuo lavoro?

Il rugby! Mi sono trovato un po’ per caso a giocare. L’unica cosa che mi ha spinto all’epo-

ca a fare del rugby una delle mie più grandi passioni e poi il lavoro della mia vita è stata

l’idea del gruppo. Il concetto di squadra, di amicizia. Io quando lavoro sto con i miei

amici! Al di là della preparazione atletica e mentale, ci sono persone comuni, che hanno

come principio la solidarietà reciproca. Se le persone comuni devono prendere esempio

da gente comune qualcosa non va... la gente dovrebbe avere dei modelli straordinari,

invece spesso i casi di onestà e buonsenso sono così rari che diventano modelli.

Che cosa fai per prima cosa quando ti alzi la mattina?

Vivo in maniera molto tranquilla, le mie giornate sono serene. Il segreto è tenersi

impegnati: tre mesi fa mi sono laureto in scienze giuridiche e ora mi sono iscritto

a giurisprudenza. A volte dipingo, oppure leggo. Il rugby è un’interruzione a queste

attività, in fondo... la grandezza dell’uomo è mettersi delle gabbie attorno, consa-

pevolmente, che ti fanno stare meglio. Lo studio per me è la cosa più importante,

mentre il rugby è lavoro e senso del dovere.

Cosa ti auguri per il futuro, per il 2012, che è appena cominciato?

Di vivere con serenità. E mi piacerebbe creare un gruppo di ragazzi che si siedono

intorno a un tavolo per parlare del futuro della nostra città. Alla fine, credo che

per governare al meglio una città di 40mila abitanti, basterebbe il buonsenso di

persone giovani e capaci... altro che politica!

www.laquilarugby1936.com

*Mi piace pensare

che dal disagio possa nascere

la forza sociale.

Ad esempio, la nevicata

record di quest’anno

ci ha fatto riscoprire i rapporti

indispensabili tra persone.*

(13)

The Point, Tigné - Sliema

Naxxar Road, Birkirkara

Arkadia, GOZO

Cosa ti ha spinto a gettarti fra le macerie, all’Aquila?

Il mio istinto. L’istinto di un giocatore di rugby abituato a dare sostegno ai propri

compagni di squadra. È uno dei principi della mia vita. Non mi sento un eroe. Sono

una persona comune che si è ritrovata per caso a fare cose comuni. Insieme a me

anche tanti altri, chi per lavoro, chi per coscienza, si sono ritrovati a fare lo stesso.

Puoi definire in breve il tuo lavoro?

Il rugby! Mi sono trovato un po’ per caso a giocare. L’unica cosa che mi ha spinto all’epo-

ca a fare del rugby una delle mie più grandi passioni e poi il lavoro della mia vita è stata

l’idea del gruppo. Il concetto di squadra, di amicizia. Io quando lavoro sto con i miei

amici! Al di là della preparazione atletica e mentale, ci sono persone comuni, che hanno

come principio la solidarietà reciproca. Se le persone comuni devono prendere esempio

da gente comune qualcosa non va... la gente dovrebbe avere dei modelli straordinari,

invece spesso i casi di onestà e buonsenso sono così rari che diventano modelli.

Che cosa fai per prima cosa quando ti alzi la mattina?

Vivo in maniera molto tranquilla, le mie giornate sono serene. Il segreto è tenersi

impegnati: tre mesi fa mi sono laureto in scienze giuridiche e ora mi sono iscritto

a giurisprudenza. A volte dipingo, oppure leggo. Il rugby è un’interruzione a queste

attività, in fondo... la grandezza dell’uomo è mettersi delle gabbie attorno, consa-

pevolmente, che ti fanno stare meglio. Lo studio per me è la cosa più importante,

mentre il rugby è lavoro e senso del dovere.

Cosa ti auguri per il futuro, per il 2012, che è appena cominciato?

Di vivere con serenità. E mi piacerebbe creare un gruppo di ragazzi che si siedono

intorno a un tavolo per parlare del futuro della nostra città. Alla fine, credo che

per governare al meglio una città di 40mila abitanti, basterebbe il buonsenso di

persone giovani e capaci... altro che politica!

www.laquilarugby1936.com

*Mi piace pensare

che dal disagio possa nascere

la forza sociale.

Ad esempio, la nevicata

record di quest’anno

ci ha fatto riscoprire i rapporti

indispensabili tra persone.*

(13)

Quandoil talentodiventa

un dono.Jessica Intravaia, ballerina e indossatrice. Ha vinto il primo premio

di 30.000 euro alla trasmissione “Baila” su Canale 5 e devolutol’intera vincita alla lotta contro il cancro.

(15)

Quandoil talentodiventa

un dono.Jessica Intravaia, ballerina e indossatrice. Ha vinto il primo premio

di 30.000 euro alla trasmissione “Baila” su Canale 5 e devolutol’intera vincita alla lotta contro il cancro.

(15)The Point, Tigné - Sliema

Naxxar Road, Birkirkara

Arkadia, GOZO

Quandoil talentodiventa

un dono.Jessica Intravaia, ballerina e indossatrice. Ha vinto il primo premio

di 30.000 euro alla trasmissione “Baila” su Canale 5 e devolutol’intera vincita alla lotta contro il cancro.

(15)

Quandoil talentodiventa

un dono.Jessica Intravaia, ballerina e indossatrice. Ha vinto il primo premio

di 30.000 euro alla trasmissione “Baila” su Canale 5 e devolutol’intera vincita alla lotta contro il cancro.

(15)

Il ballo è tutto per me. Ho fatto gare per 15 anni e adesso insegno, in una parola è la mia vita. La mia attività principale è di indossatrice in uno showroom di Bologna, ma il ballo resta la mia passione... per fortuna riesco a far andare le due cose che amo di pari passo.

La prima cosa, quando mi sveglio... be’ ho bisogno di qualche minuto per connettermi con il mondo! Sono molto pigra, spesso mi sveglio a mezzogiorno! Amo truc-carmi con cura, poi parto subito in quarta, mi metto in moto.

Mi piacerebbe che il mio futuro somigliasse al presente. Voglio rimanere una persona gene-rosa, appassionata. E anche se sono giovane ho sempre avuto responsabilità molto grandi, sono cresciuta in fretta. Fra dieci anni mi piacerebbe avere una famiglia, e un ruolo primario in una scuola di ballo, ma anche in ambito moda.

La moda e lo spettacolo sono mondi corrotti, ma ho avuto la fortuna di nonconstatarlo di persona. Non mi è capitato di toccare con mano “il marcio”... anzi, durante lo show Baila ho conosciuto persone interessatissime e davvero da prendere come esempio per la loro sensibilità. E le ho rivalutate, perché a volte l’apparenza inganna.

Odio più di ogni altra cosa quelli che vogliono stare sempre al di sopra degli altri. Gli arroganti e i presuntuosi. Per fortuna mi è capitato raramente di incontrare persone così.

Il mio messaggio per il mondo? Sarà un po’ datato ma, purtroppo o per fortuna, a me sembra ancora attualissimo... Peace & Love!

“Essere altruista cambia la vita a te e agli altri.”

(17)

Il ballo è tutto per me. Ho fatto gare per 15 anni e adesso insegno, in una parola è la mia vita. La mia attività principale è di indossatrice in uno showroom di Bologna, ma il ballo resta la mia passione... per fortuna riesco a far andare le due cose che amo di pari passo.

La prima cosa, quando mi sveglio... be’ ho bisogno di qualche minuto per connettermi con il mondo! Sono molto pigra, spesso mi sveglio a mezzogiorno! Amo truc-carmi con cura, poi parto subito in quarta, mi metto in moto.

Mi piacerebbe che il mio futuro somigliasse al presente. Voglio rimanere una persona gene-rosa, appassionata. E anche se sono giovane ho sempre avuto responsabilità molto grandi, sono cresciuta in fretta. Fra dieci anni mi piacerebbe avere una famiglia, e un ruolo primario in una scuola di ballo, ma anche in ambito moda.

La moda e lo spettacolo sono mondi corrotti, ma ho avuto la fortuna di nonconstatarlo di persona. Non mi è capitato di toccare con mano “il marcio”... anzi, durante lo show Baila ho conosciuto persone interessatissime e davvero da prendere come esempio per la loro sensibilità. E le ho rivalutate, perché a volte l’apparenza inganna.

Odio più di ogni altra cosa quelli che vogliono stare sempre al di sopra degli altri. Gli arroganti e i presuntuosi. Per fortuna mi è capitato raramente di incontrare persone così.

Il mio messaggio per il mondo? Sarà un po’ datato ma, purtroppo o per fortuna, a me sembra ancora attualissimo... Peace & Love!

“Essere altruista cambia la vita a te e agli altri.”

(17)

The Point, Tigné - Sliema

Naxxar Road, Birkirkara

Arkadia, GOZO

Il ballo è tutto per me. Ho fatto gare per 15 anni e adesso insegno, in una parola è la mia vita. La mia attività principale è di indossatrice in uno showroom di Bologna, ma il ballo resta la mia passione... per fortuna riesco a far andare le due cose che amo di pari passo.

La prima cosa, quando mi sveglio... be’ ho bisogno di qualche minuto per connettermi con il mondo! Sono molto pigra, spesso mi sveglio a mezzogiorno! Amo truc-carmi con cura, poi parto subito in quarta, mi metto in moto.

Mi piacerebbe che il mio futuro somigliasse al presente. Voglio rimanere una persona gene-rosa, appassionata. E anche se sono giovane ho sempre avuto responsabilità molto grandi, sono cresciuta in fretta. Fra dieci anni mi piacerebbe avere una famiglia, e un ruolo primario in una scuola di ballo, ma anche in ambito moda.

La moda e lo spettacolo sono mondi corrotti, ma ho avuto la fortuna di nonconstatarlo di persona. Non mi è capitato di toccare con mano “il marcio”... anzi, durante lo show Baila ho conosciuto persone interessatissime e davvero da prendere come esempio per la loro sensibilità. E le ho rivalutate, perché a volte l’apparenza inganna.

Odio più di ogni altra cosa quelli che vogliono stare sempre al di sopra degli altri. Gli arroganti e i presuntuosi. Per fortuna mi è capitato raramente di incontrare persone così.

Il mio messaggio per il mondo? Sarà un po’ datato ma, purtroppo o per fortuna, a me sembra ancora attualissimo... Peace & Love!

“Essere altruista cambia la vita a te e agli altri.”

(17)

Quando ho messo piede in carcere per fare teatro, la prima volta, quasi mi pren-devano per pazzo. 25 anni fa nessuno si era mai sognato una cosa del genere...

Il mio lavoro di una vita è stato trasformare un istituto di pena in un istituto di cultura. Da questa follia è nata la Compagnia della Fortezza, nel carcere di Volterra.

La mia idea di teatro è sempre stata un po’ “diversa”. Dopo l’esperienza con il teatro di Grotowsky, mi sono guardato intorno e ho pensato che lì, nel carcere, c’era la possibilità che cercavo: riformulare da zero un’idea di teatro. Di fare tabula rasa!

Non era previsto che in quelle celle entrasse una persona come me. È come se avessi por-tato lì dentro la possibilità di sognare.

Il carcere è l’ultimo posto del mondo, ma c’è una ricchezza tutta particolare, un terre-no straordinariamente fertile. E non di-mentichiamoci che il carcere è lo specchio del resto della società: se è un inferno, an-che la società civile è infernale.

Io lavoro ogni giorno sull’orlo di un baratro dove si rischia continuamente di cadere, anche dopo 25 anni. Il nuovo progetto della mia compagnia è la costruzione - per la prima volta - di un teatro stabile all’interno di un carcere.

L’idea che la gente ha del teatro è sballata: il teatro non è un passatempo, ma un lavoro su se stessi. Per questo il carcere è un prezioso bacino di osservazione sulla vita.

I neorealisti ci hanno insegnato che lavorare con attori non professionisti può portare dei frutti prodigiosi e inaspettati. In carcere ho scoperto la possibilità di far salire in scena corpi e voci che altrimenti sarebbero stati esclusi dal mon-do e dalla storia dell’uomo, per sempre.

Mi interessa coltivare una specie di leggerezza pensosa. Leggo continuamente i testi su cui lavoro, eppure lavorando mi alleggerisco. An-dare in profondità in questa esperienza tota-lizzante è il mio pungolo e la mia ossessione. Ma anche il mio sollievo.

La capacità di avere dei sogni, è questa la grande mancanza di oggi. Non mi riferisco ai sogni egoi-stici, ma a quelli che includono, in un progetto, anche gli altri. Spero che la società riesca ad al-zare lo sguardo, ad avere una visione più ampia delle cose. E più coraggio per guardare oltre.

Le nostre utopie sono reali e concrete tanto quanto la pietra. Sono solide. Sembrano parole

vuote, ma là dentro ci sono i bisogni e i desideri. È la necessità e la voglia di rea-lizzare cose che sembrano impossibili. Chi dice che sono parole vuote è un essere pericoloso.

IL TEATRODELLA LIBERTÁ

Armando Punzo,regista e direttore artistico.Ha dedicato la sua vitaall’attività teatralenel carcere di Volterra,fondando 25 anni fala Compagnia della Fortezza,prima compagnia di detenutiattori in Italia e in Europa.

www.compagniadellafortezza.org

(19)

Quando ho messo piede in carcere per fare teatro, la prima volta, quasi mi pren-devano per pazzo. 25 anni fa nessuno si era mai sognato una cosa del genere...

Il mio lavoro di una vita è stato trasformare un istituto di pena in un istituto di cultura. Da questa follia è nata la Compagnia della Fortezza, nel carcere di Volterra.

La mia idea di teatro è sempre stata un po’ “diversa”. Dopo l’esperienza con il teatro di Grotowsky, mi sono guardato intorno e ho pensato che lì, nel carcere, c’era la possibilità che cercavo: riformulare da zero un’idea di teatro. Di fare tabula rasa!

Non era previsto che in quelle celle entrasse una persona come me. È come se avessi por-tato lì dentro la possibilità di sognare.

Il carcere è l’ultimo posto del mondo, ma c’è una ricchezza tutta particolare, un terre-no straordinariamente fertile. E non di-mentichiamoci che il carcere è lo specchio del resto della società: se è un inferno, an-che la società civile è infernale.

Io lavoro ogni giorno sull’orlo di un baratro dove si rischia continuamente di cadere, anche dopo 25 anni. Il nuovo progetto della mia compagnia è la costruzione - per la prima volta - di un teatro stabile all’interno di un carcere.

L’idea che la gente ha del teatro è sballata: il teatro non è un passatempo, ma un lavoro su se stessi. Per questo il carcere è un prezioso bacino di osservazione sulla vita.

I neorealisti ci hanno insegnato che lavorare con attori non professionisti può portare dei frutti prodigiosi e inaspettati. In carcere ho scoperto la possibilità di far salire in scena corpi e voci che altrimenti sarebbero stati esclusi dal mon-do e dalla storia dell’uomo, per sempre.

Mi interessa coltivare una specie di leggerezza pensosa. Leggo continuamente i testi su cui lavoro, eppure lavorando mi alleggerisco. An-dare in profondità in questa esperienza tota-lizzante è il mio pungolo e la mia ossessione. Ma anche il mio sollievo.

La capacità di avere dei sogni, è questa la grande mancanza di oggi. Non mi riferisco ai sogni egoi-stici, ma a quelli che includono, in un progetto, anche gli altri. Spero che la società riesca ad al-zare lo sguardo, ad avere una visione più ampia delle cose. E più coraggio per guardare oltre.

Le nostre utopie sono reali e concrete tanto quanto la pietra. Sono solide. Sembrano parole

vuote, ma là dentro ci sono i bisogni e i desideri. È la necessità e la voglia di rea-lizzare cose che sembrano impossibili. Chi dice che sono parole vuote è un essere pericoloso.

IL TEATRODELLA LIBERTÁ

Armando Punzo,regista e direttore artistico.Ha dedicato la sua vitaall’attività teatralenel carcere di Volterra,fondando 25 anni fala Compagnia della Fortezza,prima compagnia di detenutiattori in Italia e in Europa.

www.compagniadellafortezza.org

(19)

Quando ho messo piede in carcere per fare teatro, la prima volta, quasi mi pren-devano per pazzo. 25 anni fa nessuno si era mai sognato una cosa del genere...

Il mio lavoro di una vita è stato trasformare un istituto di pena in un istituto di cultura. Da questa follia è nata la Compagnia della Fortezza, nel carcere di Volterra.

La mia idea di teatro è sempre stata un po’ “diversa”. Dopo l’esperienza con il teatro di Grotowsky, mi sono guardato intorno e ho pensato che lì, nel carcere, c’era la possibilità che cercavo: riformulare da zero un’idea di teatro. Di fare tabula rasa!

Non era previsto che in quelle celle entrasse una persona come me. È come se avessi por-tato lì dentro la possibilità di sognare.

Il carcere è l’ultimo posto del mondo, ma c’è una ricchezza tutta particolare, un terre-no straordinariamente fertile. E non di-mentichiamoci che il carcere è lo specchio del resto della società: se è un inferno, an-che la società civile è infernale.

Io lavoro ogni giorno sull’orlo di un baratro dove si rischia continuamente di cadere, anche dopo 25 anni. Il nuovo progetto della mia compagnia è la costruzione - per la prima volta - di un teatro stabile all’interno di un carcere.

L’idea che la gente ha del teatro è sballata: il teatro non è un passatempo, ma un lavoro su se stessi. Per questo il carcere è un prezioso bacino di osservazione sulla vita.

I neorealisti ci hanno insegnato che lavorare con attori non professionisti può portare dei frutti prodigiosi e inaspettati. In carcere ho scoperto la possibilità di far salire in scena corpi e voci che altrimenti sarebbero stati esclusi dal mon-do e dalla storia dell’uomo, per sempre.

Mi interessa coltivare una specie di leggerezza pensosa. Leggo continuamente i testi su cui lavoro, eppure lavorando mi alleggerisco. An-dare in profondità in questa esperienza tota-lizzante è il mio pungolo e la mia ossessione. Ma anche il mio sollievo.

La capacità di avere dei sogni, è questa la grande mancanza di oggi. Non mi riferisco ai sogni egoi-stici, ma a quelli che includono, in un progetto, anche gli altri. Spero che la società riesca ad al-zare lo sguardo, ad avere una visione più ampia delle cose. E più coraggio per guardare oltre.

Le nostre utopie sono reali e concrete tanto quanto la pietra. Sono solide. Sembrano parole

vuote, ma là dentro ci sono i bisogni e i desideri. È la necessità e la voglia di rea-lizzare cose che sembrano impossibili. Chi dice che sono parole vuote è un essere pericoloso.

IL TEATRODELLA LIBERTÁ

Armando Punzo,regista e direttore artistico.Ha dedicato la sua vitaall’attività teatralenel carcere di Volterra,fondando 25 anni fala Compagnia della Fortezza,prima compagnia di detenutiattori in Italia e in Europa.

www.compagniadellafortezza.org

(19)

The Point, Tigné - Sliema

Naxxar Road, Birkirkara

Arkadia, GOZO

Quando ho messo piede in carcere per fare teatro, la prima volta, quasi mi pren-devano per pazzo. 25 anni fa nessuno si era mai sognato una cosa del genere...

Il mio lavoro di una vita è stato trasformare un istituto di pena in un istituto di cultura. Da questa follia è nata la Compagnia della Fortezza, nel carcere di Volterra.

La mia idea di teatro è sempre stata un po’ “diversa”. Dopo l’esperienza con il teatro di Grotowsky, mi sono guardato intorno e ho pensato che lì, nel carcere, c’era la possibilità che cercavo: riformulare da zero un’idea di teatro. Di fare tabula rasa!

Non era previsto che in quelle celle entrasse una persona come me. È come se avessi por-tato lì dentro la possibilità di sognare.

Il carcere è l’ultimo posto del mondo, ma c’è una ricchezza tutta particolare, un terre-no straordinariamente fertile. E non di-mentichiamoci che il carcere è lo specchio del resto della società: se è un inferno, an-che la società civile è infernale.

Io lavoro ogni giorno sull’orlo di un baratro dove si rischia continuamente di cadere, anche dopo 25 anni. Il nuovo progetto della mia compagnia è la costruzione - per la prima volta - di un teatro stabile all’interno di un carcere.

L’idea che la gente ha del teatro è sballata: il teatro non è un passatempo, ma un lavoro su se stessi. Per questo il carcere è un prezioso bacino di osservazione sulla vita.

I neorealisti ci hanno insegnato che lavorare con attori non professionisti può portare dei frutti prodigiosi e inaspettati. In carcere ho scoperto la possibilità di far salire in scena corpi e voci che altrimenti sarebbero stati esclusi dal mon-do e dalla storia dell’uomo, per sempre.

Mi interessa coltivare una specie di leggerezza pensosa. Leggo continuamente i testi su cui lavoro, eppure lavorando mi alleggerisco. An-dare in profondità in questa esperienza tota-lizzante è il mio pungolo e la mia ossessione. Ma anche il mio sollievo.

La capacità di avere dei sogni, è questa la grande mancanza di oggi. Non mi riferisco ai sogni egoi-stici, ma a quelli che includono, in un progetto, anche gli altri. Spero che la società riesca ad al-zare lo sguardo, ad avere una visione più ampia delle cose. E più coraggio per guardare oltre.

Le nostre utopie sono reali e concrete tanto quanto la pietra. Sono solide. Sembrano parole

vuote, ma là dentro ci sono i bisogni e i desideri. È la necessità e la voglia di rea-lizzare cose che sembrano impossibili. Chi dice che sono parole vuote è un essere pericoloso.

IL TEATRODELLA LIBERTÁ

Armando Punzo,regista e direttore artistico.Ha dedicato la sua vitaall’attività teatralenel carcere di Volterra,fondando 25 anni fala Compagnia della Fortezza,prima compagnia di detenutiattori in Italia e in Europa.

www.compagniadellafortezza.org

(19)

Quando ho messo piede in carcere per fare teatro, la prima volta, quasi mi pren-devano per pazzo. 25 anni fa nessuno si era mai sognato una cosa del genere...

Il mio lavoro di una vita è stato trasformare un istituto di pena in un istituto di cultura. Da questa follia è nata la Compagnia della Fortezza, nel carcere di Volterra.

La mia idea di teatro è sempre stata un po’ “diversa”. Dopo l’esperienza con il teatro di Grotowsky, mi sono guardato intorno e ho pensato che lì, nel carcere, c’era la possibilità che cercavo: riformulare da zero un’idea di teatro. Di fare tabula rasa!

Non era previsto che in quelle celle entrasse una persona come me. È come se avessi por-tato lì dentro la possibilità di sognare.

Il carcere è l’ultimo posto del mondo, ma c’è una ricchezza tutta particolare, un terre-no straordinariamente fertile. E non di-mentichiamoci che il carcere è lo specchio del resto della società: se è un inferno, an-che la società civile è infernale.

Io lavoro ogni giorno sull’orlo di un baratro dove si rischia continuamente di cadere, anche dopo 25 anni. Il nuovo progetto della mia compagnia è la costruzione - per la prima volta - di un teatro stabile all’interno di un carcere.

L’idea che la gente ha del teatro è sballata: il teatro non è un passatempo, ma un lavoro su se stessi. Per questo il carcere è un prezioso bacino di osservazione sulla vita.

I neorealisti ci hanno insegnato che lavorare con attori non professionisti può portare dei frutti prodigiosi e inaspettati. In carcere ho scoperto la possibilità di far salire in scena corpi e voci che altrimenti sarebbero stati esclusi dal mon-do e dalla storia dell’uomo, per sempre.

Mi interessa coltivare una specie di leggerezza pensosa. Leggo continuamente i testi su cui lavoro, eppure lavorando mi alleggerisco. An-dare in profondità in questa esperienza tota-lizzante è il mio pungolo e la mia ossessione. Ma anche il mio sollievo.

La capacità di avere dei sogni, è questa la grande mancanza di oggi. Non mi riferisco ai sogni egoi-stici, ma a quelli che includono, in un progetto, anche gli altri. Spero che la società riesca ad al-zare lo sguardo, ad avere una visione più ampia delle cose. E più coraggio per guardare oltre.

Le nostre utopie sono reali e concrete tanto quanto la pietra. Sono solide. Sembrano parole

vuote, ma là dentro ci sono i bisogni e i desideri. È la necessità e la voglia di rea-lizzare cose che sembrano impossibili. Chi dice che sono parole vuote è un essere pericoloso.

IL TEATRODELLA LIBERTÁ

Armando Punzo,regista e direttore artistico.Ha dedicato la sua vitaall’attività teatralenel carcere di Volterra,fondando 25 anni fala Compagnia della Fortezza,prima compagnia di detenutiattori in Italia e in Europa.

www.compagniadellafortezza.org

(19)

segni particolari:

VocianteEloisa Morra, studentessa e giornalista.E’ impegnata nella lotta per i diritti delle donne a livello nazionale e internazionale.

(21)

The Point, Tigné - Sliema

Naxxar Road, Birkirkara

Arkadia, GOZO

segni particolari:

VocianteEloisa Morra, studentessa e giornalista.E’ impegnata nella lotta per i diritti delle donne a livello nazionale e internazionale.

(21)

segni particolari:

VocianteEloisa Morra, studentessa e giornalista.E’ impegnata nella lotta per i diritti delle donne a livello nazionale e internazionale.

(21)

Dario Pallotta indossa:giacca cotone 29,90t-shirt cotone 14,99pantalone nero 17,99

Eloisa si alza e accende la

macchina del caffè. Poi si

siede al computer e aspetta

che il sito del quotidiano

carichi le notizie del

giorno.

È così che cominciano le

giornate di tanti giovani

giornalisti e blogger, e la

sua non fa eccezione. Caffè

bollente alla mano,

la giovane reporter scorre

le prime pagine, poi apre in

un’altra finestra il sito

donnepensanti.net, con cui

collabora nella lotta alla

discriminazione di genere.

Le attiviste di questo collettivo si

fanno chiamare “le vocianti”.

Non perché si debba per forza

urlare, piuttosto perché “contro

un sistema che pretende di

disinnescare la nostra potenza,

vogliamo tornare a far sentire le

nostre voci”.

Collabora con il sito americano

“The Women’s International

Perspective”, una comunità

internazionale di donne che si

occupa di questi temi, cercando

di mettere in luce i problemi

italiani.

Del suo lavoro, la giovane blogger

ama la possibilità di scrivere

senza costrizioni, di conoscere

persone interessanti, di trovare

angolazioni e temi nuovi per gli

articoli. Ma soprattutto ama il

senso di responsabilità civile,

di dovere morale, che la sua

professione la impegna a coltivare.

Ha molti progetti e spera di

riuscire a realizzarli tutti nel

giro di qualche anno. Nel suo cuore

c’è l’Italia, ma in futuro si vede

all’estero, almeno di passaggio...

“Alla gente di oggi servirebbe

un modello basato sulla

disciplina, sul saper fare e sulla

responsabilità”. Eloisa ricorda

le parole di Primo Levi, che lui

scrisse sul gioco degli scacchi come

metafora sulla vita: “vivere da

scacchisti, cioè meditando prima di

muovere, pur sapendo che il tempo

concesso per ogni mossa è limitato;

ricordando che ogni mossa ne

provoca un’altra, difficile ma non

impossibile da prevedere; e pagando

per le mosse sbagliate”.

“In Italia mancano due cose essenziali: una classe dirigente meno maschilista e donne che occupino posizioni di vertice. Un’educazione della mente e dell’occhio. Nwhjdkuhcjhvjoefdkj Mi spiego meglio: a molti (uomini e donne) è mancato qualcuno che insegnasse a decodificare i messaggi svilenti che ci passano continuamente sotto gli occhi in tv e nei manifesti pubblicitari.”

(23)

Dario Pallotta indossa:giacca cotone 29,90t-shirt cotone 14,99pantalone nero 17,99

Eloisa si alza e accende la

macchina del caffè. Poi si

siede al computer e aspetta

che il sito del quotidiano

carichi le notizie del

giorno.

È così che cominciano le

giornate di tanti giovani

giornalisti e blogger, e la

sua non fa eccezione. Caffè

bollente alla mano,

la giovane reporter scorre

le prime pagine, poi apre in

un’altra finestra il sito

donnepensanti.net, con cui

collabora nella lotta alla

discriminazione di genere.

Le attiviste di questo collettivo si

fanno chiamare “le vocianti”.

Non perché si debba per forza

urlare, piuttosto perché “contro

un sistema che pretende di

disinnescare la nostra potenza,

vogliamo tornare a far sentire le

nostre voci”.

Collabora con il sito americano

“The Women’s International

Perspective”, una comunità

internazionale di donne che si

occupa di questi temi, cercando

di mettere in luce i problemi

italiani.

Del suo lavoro, la giovane blogger

ama la possibilità di scrivere

senza costrizioni, di conoscere

persone interessanti, di trovare

angolazioni e temi nuovi per gli

articoli. Ma soprattutto ama il

senso di responsabilità civile,

di dovere morale, che la sua

professione la impegna a coltivare.

Ha molti progetti e spera di

riuscire a realizzarli tutti nel

giro di qualche anno. Nel suo cuore

c’è l’Italia, ma in futuro si vede

all’estero, almeno di passaggio...

“Alla gente di oggi servirebbe

un modello basato sulla

disciplina, sul saper fare e sulla

responsabilità”. Eloisa ricorda

le parole di Primo Levi, che lui

scrisse sul gioco degli scacchi come

metafora sulla vita: “vivere da

scacchisti, cioè meditando prima di

muovere, pur sapendo che il tempo

concesso per ogni mossa è limitato;

ricordando che ogni mossa ne

provoca un’altra, difficile ma non

impossibile da prevedere; e pagando

per le mosse sbagliate”.

“In Italia mancano due cose essenziali: una classe dirigente meno maschilista e donne che occupino posizioni di vertice. Un’educazione della mente e dell’occhio. Nwhjdkuhcjhvjoefdkj Mi spiego meglio: a molti (uomini e donne) è mancato qualcuno che insegnasse a decodificare i messaggi svilenti che ci passano continuamente sotto gli occhi in tv e nei manifesti pubblicitari.”

(23)

The Point, Tigné - Sliema

Naxxar Road, Birkirkara

Arkadia, GOZO

Dario Pallotta indossa:giacca cotone 29,90t-shirt cotone 14,99pantalone nero 17,99

Eloisa si alza e accende la

macchina del caffè. Poi si

siede al computer e aspetta

che il sito del quotidiano

carichi le notizie del

giorno.

È così che cominciano le

giornate di tanti giovani

giornalisti e blogger, e la

sua non fa eccezione. Caffè

bollente alla mano,

la giovane reporter scorre

le prime pagine, poi apre in

un’altra finestra il sito

donnepensanti.net, con cui

collabora nella lotta alla

discriminazione di genere.

Le attiviste di questo collettivo si

fanno chiamare “le vocianti”.

Non perché si debba per forza

urlare, piuttosto perché “contro

un sistema che pretende di

disinnescare la nostra potenza,

vogliamo tornare a far sentire le

nostre voci”.

Collabora con il sito americano

“The Women’s International

Perspective”, una comunità

internazionale di donne che si

occupa di questi temi, cercando

di mettere in luce i problemi

italiani.

Del suo lavoro, la giovane blogger

ama la possibilità di scrivere

senza costrizioni, di conoscere

persone interessanti, di trovare

angolazioni e temi nuovi per gli

articoli. Ma soprattutto ama il

senso di responsabilità civile,

di dovere morale, che la sua

professione la impegna a coltivare.

Ha molti progetti e spera di

riuscire a realizzarli tutti nel

giro di qualche anno. Nel suo cuore

c’è l’Italia, ma in futuro si vede

all’estero, almeno di passaggio...

“Alla gente di oggi servirebbe

un modello basato sulla

disciplina, sul saper fare e sulla

responsabilità”. Eloisa ricorda

le parole di Primo Levi, che lui

scrisse sul gioco degli scacchi come

metafora sulla vita: “vivere da

scacchisti, cioè meditando prima di

muovere, pur sapendo che il tempo

concesso per ogni mossa è limitato;

ricordando che ogni mossa ne

provoca un’altra, difficile ma non

impossibile da prevedere; e pagando

per le mosse sbagliate”.

“In Italia mancano due cose essenziali: una classe dirigente meno maschilista e donne che occupino posizioni di vertice. Un’educazione della mente e dell’occhio. Nwhjdkuhcjhvjoefdkj Mi spiego meglio: a molti (uomini e donne) è mancato qualcuno che insegnasse a decodificare i messaggi svilenti che ci passano continuamente sotto gli occhi in tv e nei manifesti pubblicitari.”

(23)

Dario Pallotta indossa:giacca cotone 29,90t-shirt cotone 14,99pantalone nero 17,99

Eloisa si alza e accende la

macchina del caffè. Poi si

siede al computer e aspetta

che il sito del quotidiano

carichi le notizie del

giorno.

È così che cominciano le

giornate di tanti giovani

giornalisti e blogger, e la

sua non fa eccezione. Caffè

bollente alla mano,

la giovane reporter scorre

le prime pagine, poi apre in

un’altra finestra il sito

donnepensanti.net, con cui

collabora nella lotta alla

discriminazione di genere.

Le attiviste di questo collettivo si

fanno chiamare “le vocianti”.

Non perché si debba per forza

urlare, piuttosto perché “contro

un sistema che pretende di

disinnescare la nostra potenza,

vogliamo tornare a far sentire le

nostre voci”.

Collabora con il sito americano

“The Women’s International

Perspective”, una comunità

internazionale di donne che si

occupa di questi temi, cercando

di mettere in luce i problemi

italiani.

Del suo lavoro, la giovane blogger

ama la possibilità di scrivere

senza costrizioni, di conoscere

persone interessanti, di trovare

angolazioni e temi nuovi per gli

articoli. Ma soprattutto ama il

senso di responsabilità civile,

di dovere morale, che la sua

professione la impegna a coltivare.

Ha molti progetti e spera di

riuscire a realizzarli tutti nel

giro di qualche anno. Nel suo cuore

c’è l’Italia, ma in futuro si vede

all’estero, almeno di passaggio...

“Alla gente di oggi servirebbe

un modello basato sulla

disciplina, sul saper fare e sulla

responsabilità”. Eloisa ricorda

le parole di Primo Levi, che lui

scrisse sul gioco degli scacchi come

metafora sulla vita: “vivere da

scacchisti, cioè meditando prima di

muovere, pur sapendo che il tempo

concesso per ogni mossa è limitato;

ricordando che ogni mossa ne

provoca un’altra, difficile ma non

impossibile da prevedere; e pagando

per le mosse sbagliate”.

“In Italia mancano due cose essenziali: una classe dirigente meno maschilista e donne che occupino posizioni di vertice. Un’educazione della mente e dell’occhio. Nwhjdkuhcjhvjoefdkj Mi spiego meglio: a molti (uomini e donne) è mancato qualcuno che insegnasse a decodificare i messaggi svilenti che ci passano continuamente sotto gli occhi in tv e nei manifesti pubblicitari.”

(23)

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