Piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

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    La sapienza antica deiGreci sembra essere

    legata soprattuttoalla musica

    (Ateneo)

    Butta via quella roba. Nessuno ha mai trovato capo o coda alla musica greca, nessuno mai lo trover -cit. da Gustave Reese,La musica nel medioevo (1940), trad. it. , Rusconi, Milano 1990, p. 30.

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    INDICE

    1.1 Gli strumenti a fiato - p. 23

    1.1.1 Laulos

    1. Lo strumento - 2 Quale era il suono delaulos? - 3 Il plagiaulos - 4 La musica gre-ca era monoonica? - 5 La polemica antipolifonica rinascimentale e la teoria

    della monofonicit della musica greca

    1.1.2 La siringa (syrinx)

    1.1.3 La tromba (salpinx)

    1.1.4 Il corno (keras)

    1. Gli strumenti della musica greca - p. 19

    Presentazione - p. 16

    1.2. Gli strumenti a corda - p. 51

    1.2.1 La lira

    1.2.2 Il barbitos

    1.2.3 La cetra

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    1.2.4 La forminx

    1.2.5 Limpiego del plettro

    1.2.6 Larpa

    1.3 Strumenti percussivi - p. 93

    1.3.1 I crotali

    1.3.2 I cimbali

    1.3.3 Il krupalon

    1.3.4 I sistri

    1.3.5 I timpani

    1.4. Lorgano idraulico - p. 109

    2. Gli strumenti musicali e limmaginazione mitica - p. 119

    2.1. Premessa - p. 123

    2.2 Dioniso - p. 124

    2.2.1 Le menadi2.2.2 I satiri

    2.2.3 La vendemmia di Dioniso

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    2.3 Apollo - p. 143

    2.3.1 Dionisiaco e apollineo in Nietzsche

    2.3.2 Il canto dellOlimpo

    2.3.3 Apollo musagete2.3.4 Nascita di Apollo

    2.3.5 La cetra e larco

    2.3. 6 Apollo e il pitone

    2.3.7 I lati oscuri di Apollo

    2.4 Linvenzione della lira e dellaulos - p. 1612.4.1 Ermes

    2.4.2 Atena

    2.5 Marsia ovvero la barbarie di Apollo - p. 175

    2.6 Il mondo del dio Pan - p. 1872.6.1 I fauni e le ninfe2.6.2. Il dio Pan2.6.3 Storia di Siringa2.6.4 Storia di re Mida

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    2.7 Orfeo - p. 203

    2.7.1 La lira di Orfeo2.7.2 La morte di OrfeoAnnotazione: la morte di Orfeo secondo Picasso

    3. I filosofi che cantano - p. 2193.1 Il volto di Pitagora

    3.5 Chi Pitagora?

    3.7 Viaggi di Pitagora

    3.2 Vita di Pitagora3.3 Acusmatici e matematici3.4 Scienza e immaginazione

    3.6 Pitagora e Apollo

    3.9 I filosofi che cantano3.8 I prodigi di Pitagora

    4. Gli inizi della teoria della musica - p. 2534.1 Il principio del numero4.2 Il fabbro armonioso4.3 Jubal - Chi era costui?4.4 Commenti al racconto del fabbro armonioso

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    4.6 Il monocordo come strumento di misura4.5 Linvenzione del monocordo

    5. La matematica pitagorica - p. 285

    5.1 Numeri, rapporti e proporzioni - p. 288

    5.2 I numeri figurati - p. 296

    5.1.1 Il logos5.1.2 Lanalogia

    5.2.1 La lavagna di Pitagoranella Scuola di Atene di Raffaello

    5.2.2 La Tetractys

    5.2.4 Sviluppi e commenti sui numeri figurati

    5.2.3 Cenni sui numeri figurati

    5.2.6I numeri eteromechi

    5.2.5 I numeri quadrati

    5.2.7 I numeri figurati e lidea di matrice

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    5.4 I numeri irrazionali - p. 326

    5.5 Larmonia delle sfere - p. 330

    5.3 Le opposizioni pitagoriche - p. 319

    5.3.1 Le opposizioni pitagoriche e il loro senso

    5.3.2 Lopposizione illimitato/limitato in Filolao

    6. Il reperimento dei rapporti fondamentali sul monocordo - p. 339

    6.1 Il monocordo senza graduazione - p. 3436.1.1 Il metodo delle sottrazioni successive6.1.2 Osservazioni sul metodo delle sottrazioni successive

    6.1.3 Il quaternario

    6.2 La divisione in quattro del monocordo - p. 355

    6.3 La divisione in dodici del monocordo - p. 361

    6.3.1 La considerazione lineare dellintervallo

    6.3.2 I rapporti consonantici espressi con i numeri 6,8,9,12

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    7. Tematica delle medie - p. 369

    7.1 Media aritmetica, media armonica e media geometrica - p.373

    7.1.1 L'affermarsi del problema delle medie

    7.1.2 Le formule delle medie

    7.2 Le medie secondo le definizioni di Archita - p. 377

    7.2.1 Media aritmetica

    7.2.2 Media geometrica

    7.2.3 Media armonica

    7.3 La media geometrica - p. 387

    7.3.1 Ottava, rapporti epimori, media geometrica.

    7.3.2 Ripresa del problema dei numeri irrazionali

    7.3.3 Duplicazione del quadrato e media geometrica7.3.4 Media geometrica e il problema del tetragonismo

    7.3.5 Conseguenze sulla teoria pitagorica della musica

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    8. Discussione sulla cosiddetta scala pitagorica- p. 397

    8.1 Il problema della validit degli intervallie della formazione della scala - p. 401

    8.1.1 La costruzione della scala attraverso le medie8.1.2 Costruzione della "scala pitagorica"attraverso il ciclo delle quinte

    8.2.6 Costruzione della scala pitagorica e metodi di accordatura

    8.2.2 Lapotome

    8.2.3 Il comma

    8.2 Precisazioni e commenti - p. 408

    8.2.5 Landamento discendente della scala

    8.2.1 Tono e limma

    8.2.4 Il calcolo pitagorico del comma come rapporto

    8.3 Eccessi del matematismo pitagorico - p. 4228.3.1Il problema della consonanza di undicesima8.3.2 La soluzione di Tolomeo e quella di Gaudenzio

    8.3.3 I tentativi di costruire scale con rapporti epimori

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    9. Il tetracordo - p. 431

    9.1 Il tetracordocome spazio sonoro fondamentale - p. 433

    9.2 Il tetracordo diatonico di Filolao - p. 4379.3 I nomi delle note - p. 439

    10. I generi - p. 451

    10.1 Prima dei generi - p. 455

    10.2 I generi e le loro differenze - p. 459

    10.3 L'indicatore del genere - p. 462

    10.4 Lalterna vicenda dei generi - p. 464

    10.5 Il pyknon - p. 467

    10.6 La teoria dei generi e i tetracordi di Archita - p. 468

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    11. Aristosseno e la teoria dei generi - p. 479

    11.1 Un nuovo concetto di intervallo - p. 483

    11.1.1 L'illimitatezza del numero delle lichanoi

    11.1.2 L'esperienza dell'intervallo

    11.1.3 Differenze rispetto alla posizione pitagorica, il problemadel geometrismo e della matematica degli irrazionali

    11.2 Il significato delle misure aristosseniche - p. 492

    11.2.1 La divisione in trentesimi dell'intervallo di quarta

    11.2.2 Una ipotesi sulla scelta del trentesimo di quarta

    11.2.3 La presunta equalizzazione operata da Aristosseno

    11.3 La teoria dei generi secondo Aristosseno - p. 49811.3.1 Il punto di vista funzionale

    11.3. 2 Confronto tra i generi di Archita e di Aristosseno

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    Presentazione

    Nel 1998 tenni un corso universitario che, in una sua sezione, riguardava la teoria greca della musica. In realt erointeressato, allinterno di una tematica generale di filosofia della musica, a mettere laccento sul fatto che, rispettoal linguaggio musicale della nostra tradizione, glistessi materiali di base venivano prospettati secondo angolatureprofondamente diverse, e nello stesso tempo riccamente teorizzate entro un ampio quadro filosofico e immagina-tivo. Con ci intendevo fornire ai miei giovani ascoltatori unesemplificazione di un linguaggio della musica assaidiverso da quello a loro prevalentemente noto, con le proprie regole e la propria grammatica, mostrando al tempostesso il suo radicamento nella vita e nel contesto filosofico e culturale in cui esso agisce. Ma di sbieco cercavo diaccennare a molte altre cose. Compito ambizioso, ma che io svolsi entro un ambito necessariamente e volutamentelimitato.

    Eppure debbo confessare che gi allora mi lasciai un poco trascinare dalle mie antiche passioni per la grecit che

    mi avevano fatto oscillare per qualche tempo, per quanto riguarda il mio futuro di studente universitario, tra la filo-sofia antica e la filosofia teoretica. Mi piace ricordare qui che il primo corso universitario che seguii presso luni-versit di Milano fu il corso di Storia della Filosofia Antica tenuto da Mario Untersteiner - grande e indimenticabileMaestro.

    Nel riprendere i materiali di appunti di quegli anni, queste antiche passioni si sono ravvivate in modo anche perme un po inatteso - cosicch mi sono proposto di estendere lambito di discorso, aggiungendovi molte cose chenel frattempo mi sembra di aver meglio compreso, mantenendo cos le ambizioni che sono difficili da scacciare,ma anche attenuandole dando alle mie lezioni di allora la forma di un album illustrato. Lo scopo resta ancora quel-

    lo di fornire un profilo che sia il pi possibile dominabile anche da chi non ha interessi strettamente specializzatie che desideri nello stesso tempo varcare la soglia verso le straordinarie dimensioni culturali della problematicache stiamo per affrontare. Uno scopo, dunque, che corrisponde alla mia vocazione didattica. Ma mi sono anche resoconto, nel riprendere tra le mani le mie vecchie carte, che nei problemi che venivano via via discussi e nel modo diaffrontarli affioravano di continuo temi di ordine teorico che mi hanno dato negli anni molto da pensare, orienta-menti che, maturati nella trattazione di altri argomenti, tuttavia si facevano sentire in certi punti cruciali come guideanche per organizzare e ripensare i nodi essenziali della teoria greca della musica.

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    Il lettore che abbia per avventura qualche conoscenza di altri miei lavori non stenter a riconoscere questa tramasotterranea - si avvedr ben presto che lindugio nella problematica pitagorica, che forse potr sembrare singola-re per un fenomenologo che certamente non pu che parteggiare per la posizione di Aristosseno, ha certamenteuna sua importante motivazione in quella fusione tra conoscenza e immaginazione che spesso ha sconcertato gliinterpreti. Ed ancora, per laspetto epistemologico, potr forse avvertire la presenza di Wittgenstein del Tractatuscos come quella di Husserl della Filosofia dellaritmetica nellinterpretazione dei numeri figurati come metodo di

    notazione che, sia pure affiorante qui e l nella letteratura specializzata, tuttavia mi sembra sia diventata partico-larmente pregnante nellesposizione che mi sembrato di poterne dare. Cos assai probabile che questa stessalinea di tendenza mi abbia spinto a mostrare nel pitagorismo la presenza dellidea della ricorsivit, di cui mi sonooccupato in altri miei lavori, secondo una accentuazione, mi sembra, piuttosto inusuale. Nella teoria greca dellamusica si coglie un formidabile interscambio tra elementi che formano la sostanza della vita spirituale - limpulsoconoscitivo con la sua esigenza di metodi ordinati e ben codificati, la creativit del mito che segue percorsi tuttisuoi eppure non di rado si incontra con quellimpulso, in una fecondazione reciproca, la pratica artistica diretta, lamusicalit direttamente esercitata dal citaredo o dallauleta e che attraversa la parola del rapsodo, la teoria che daun lato a ridosso di questa pratica, in parte promuovendola ed in parte essendone promossa... e da tutto ci pote-

    va forse mancare limmagine? In realt debbo un poco ritornare sui miei passi, e correggere il mio dire di pocanziquando osservavo che questo lavoro ha preso forma di un album quasi che lillustrazione attenuasse lambizione.Questosservazione ha una sua parte di verit - ma ve ne unaltra che rende pi significativa questa mia scelta.

    In realt nella mia personale esperienza didattica lesemplificazione grafico-illustrativa ha svolto un ruolo, persinoper spiegare e discutere argomenti piuttosto astratti. A differenza di molti che ritengono che la consuetudine alleimmagini tolga spazio al pensiero ed alla lettura (molti uomini di grande dottrina la pensano cos!), io credo cheimmagine e parola ci parlino entrambi con i linguaggi che sono loro propri con altrettanta efficacia, e che insiemepossano mostrarci cose che ci resterebbero del tutto inarrivabili. Ma questo vale tanto pi per il nostro argomento.

    Quando questo mio progetto ha cominciato a prendere forma, mi accaduto allimprovviso di rendermi conto conenorme sorpresa che, con tutto il greco che ci stato insegnato, con tutte le vicende omeriche che abbiamo letteriga per riga nelle enfatiche traduzioni ottocentesche di Monti e Pindemonte, non ci mai stata mostrata una solaimmagine di un vaso greco - dico una sola, e propriomai. Quasi che nella vasaria non ci fosse nulla di interessan-te che riguardasse i poemi omerici, le narrazioni mitiche, la vita quotidiana dei greci, le loro feste, i loro amori, lamusica, le danze, i loro riti, gli oggetti duso, il loro modo di vestire e tutto il resto. Quasi che la vasaria non fossearte essa stessa, e grande arte, e spesso grandissima. Eppure il lettore potr forse concordare con me che queste

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    immagini, anche quando sono misteriose allusioni che traspaiono da frammenti accuratamente catalogati e messida parte ammirevolmente da archeologi e cultori della grecit, balza con straordinaria evidenza di fronte a noi una

    vita apparentemente morta per sempre. Tuttavia in questo album non vi sono solo figure tratte dalla vasaria greca,ma molte appartengono alla grafica e alla pittura successiva. Non sono necessarie molte parole per spiegarne laragione. Esse mostrano quanto abbiano inciso nellimmaginario della cultura europea le creazioni della classici-t, con la quale intendo naturalmente anche la fondamentale mediazione operata dalla cultura latina. qui - nella

    Grande Grecia, nella latinit che di essa si fatta coscientemente erede - che abbiamo le nostre radici.

    Per tutti questi motivi, questo lavoro ha finito con lassumere per me un significato che non pensavo inizialmentepotesse avere: quello di una sintesi, da una angolatura molto particolare, di un orientamento intellettuale e dei moltipensieri di cui esso fatto; ed allora stato inevitabile che nel suo procedere mi sia sentito idealmente attorniatoanzitutto da coloro che hanno avuto la pazienza di seguire i miei discorsi nelle aule universitarie cos come da co-loro che vanno tuttora consultando i miei testi nel sito internet che li ospita; e non solo attorniato, ma in certo sensoanche - voglio proprio dire - custodito e protetto, da tutti quegli allievi che di quei pensieri sono stati compagnie interlocutori straordinari e che le mie parole al vento hanno portato a nuovi e concreti sviluppi arricchendole

    ciascuno con la propria genialit, crescente esperienza ed intelligenza. Tra essi vorrei rammentare almeno PaolaBasso e la ricchezza dei suoi interessi epistemologici, teoretici e storico-filosofici; Vincenzo Costa e la sua ripresacreativa e infaticabile delle tematiche fenomenologiche; Elio Franzini che tanto cammino ha fatto sui sentieri dellafilosofia dellarte; Ernesto Mainoldi che ha preso le vie per me misteriose del Medioevo; Alfredo Civita che ha sa-puto penetrare originalmente negli oscuri campi della analisi psicologica; Paolo Spinicci che ha dedicato una par-te assai ampia delle sue riflessioni alluniverso dellimmaginazione grafica e pittorica, facendo parlare le immaginie riuscendo a mostrare quanta filosofia possa sgorgare da quelluniverso. E molto dovrei dire di quei musicisti chehanno coniugato musica e filosofia come Mauro De Martini o fatto della musica la loro vocazione continuando conme un dialogo che non si mai interrotto, come Sergio Lanza e Andrea Melis. Infine voglio ringraziare Carlo Serra,

    che il responsabile effettivo della mia decisione di riprendere largomento e di tentare di rinnovarlo in questaforma. Tanto disse e tanto fece che non mi stato possibile non rimettermi nuovamente al lavoro, provandone unanuova gioia, ed anche per questo gli sono grato al doppio.

    Giovanni PianaPietrabianca, 27 marzo 2010

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    1. Gli strumenti della musica greca

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    Laulos uno strumento a canna doppia che qui viene suonato da un satiro. Appesa alla parete vi la custodia dellostrumento.

    1.1.1 Laulos

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    La figura mostra una ca-ratteristica cuffia chiama-ta forbeia: essa regge unasorta di museruola con loscopo di facilitare i com-

    piti del musicista. Dob-biamo tener presente chele canne sono due, even-tualmente di lunghezzadiversa, e che il musici-sta, a differenza del flau-to comune, operava conla mano sinistra e con lamano destra in modo del

    tutto indipendente. Inoltre possibile che la forbe-ia servisse a comprime-re il rigonfiamento delleguance in modo da darepi potenza al soffio.

    La forbeia normalmentenon compare nelle raffi-

    gurazioni vasarie e ci fapensare che essa venisseimpiegata solo in parti-colari occasioni in cui sirichiedeva un suono par-ticolarmente robusto.

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    Lo strumento a doppia canna, sia che fosse provvisto di ancia oppureprivo di essa, ed in tal caso era effettivamente un doppio flauto diritto,era ampiamente diffuso nellarea mediterranea come mostrano questeimmagini che rappresentano figure simili allaulos rispettivamente inambito egiziano ed in ambito etrusco.

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    Mentre laulos non ha superato lantichitclassica, il flauto doppio rimasto sia nellatradizione classica sia in quella popolare eu-

    ropea. Nellaffresco delle Storie di San Marti-no (Linvestitura a cavaliere) (1317) di SimoneMartini nella basilica inferiore di San France-sco ad Assisi, vengono rappresentati due me-nestrelli, uno dei quali suona il doppio flauto.

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    Il doppio flauto calabrese presente ancora oggi nellacultura popolare della Calabria. In Calabria il flauto abecco di canna diffuso anche in un modello bicalamo(fischiotti, frischetti) costituito da due flauti imboccati editeggiati contemporaneamente ciascuna mano azio-na una canna. Del tutto simile per morfologia al flautosingolo, il doppio flauto presenta becchi molto sporgen-ti atti a facilitare la tenuta dello strumento mediante

    i denti e, a volte, grandi aperture posteriori/inferioriche servono a intonare le due canne fra loro. Si distin-guono due tipi: I. a paro canne di eguale lunghezza ediametro, tenute prevalentemente accostate; II. a mezzachiave canne di diversa lunghezza e diverso diame-tro, tenute in posizione divergente (Ricci A. e R. Tuc-ci, Strumenti musicali popolari in Calabria. Internet).

    Fra gli strumenti popolari vivi ancora oggi vanno rammentate

    almeno le launeddas sarde, che sono strumenti ad ancia a tre

    canne, una delle quali fa da bordone. Come risulta da questo

    schema, il bordone realizzato dal tubo pi lungo (Tumbu)

    privo di fori, mentre le due canne con i fori sono di lunghez-

    za diseguale e manovrate la pi corta con la mano destra, la

    pi lunga con la mano sinistra. Da reperti archeologici si pu

    stabilire che le launeddas risalgono ad almeno mille anni a. C.

    Alcune sue caratteristiche organologiche... nonch la partico-

    lare tecnica di esecuzione mediante respirazione circolare la

    apparentano con altri aerofoni policalami diffusi nel Sud Me-

    diterraneo... e lo inscrivono in una famiglia di strumenti che

    sembra avere i suoi lontani antenati nei clarinetti bicalami egi-

    zi e sumeri. In questa famiglia le launeddas sono il solo stru-

    mento a tre canne di cui due melodiche (Giannattasio, 1985,

    p. 204 - di qui stata tratto anche lo schema di launeddas).

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    1 Quale era il suono dellaulos?

    Sui modi in cui laulos veniva suonato, sulla sua so-norit, e del resto sui diversi tipi di strumenti riuni-bili sotto questo nome, naturalmente non possiamoavere alcuna effettiva indicazione diretta. Mathiesen,

    che ha fatto una descrizione dettagliatissima dellastruttura dellaulos osserva che laulos non suonacome un flauto, ma nemmeno un oboe come al-cuni studiosi hanno cominciato a tradurre: In realtlaulos un aulos e suona in modo dissimile a qua-lunque moderno strumento musicale occidentale(p. 182). A rigore nemmeno questa affermazione ne-gativa provabile (altrimenti sapremmo come suo-nava laulos). S. Baud-Bovy (1988, p. 218) afferma che

    stato lo studio della canzonepopolare della Grecia moderna amettere in dubbio nozioni gene-ralmente accettate sulla musicadellantichit classica

    Egli fa notare analogie sul piano melodico e strut-ture scalari e traendone conclusioni sulla teoria dei

    generi. Sembra giusto pensare, come del resto sta-to suggerito da pi parti, che gli strumenti popolari,non solo Greci, ma di area mediterranea in genere,potrebbero aver conservato elementi arcaici. Cosessi potrebbero aver mantenuto qualche ricordodella timbrica e dei modi esecutivi del passato.

    2 Il plagiaulos

    Secondo alcuni vi era in Grecia anche un flauto traver-so chiamato plagiaulos: Vi era un antico strumento chein realt era una una canna singola del tipo del flauto,che veniva tenuto transversalmente, come il moderno

    flauto traverso. Esso veniva chiamato plagios aulos op-pure plagiaulos in greco, obliqua tibia in latino. Il pla-giaulos era interamente confinato allambiente pasto-rale, e non appare nella letteratura e nellarte greca finoal periodo ellenistico (a partire dal terzo secolo a.C.).

    La traduzione flauto dovrebbe perci essere ristrettasolo a questo strumento, e non usata per qualunque al-tro tipo di aulos; e nemmeno dovrebbe essere usata ri-ferendosi ad un periodo anteriore (Landels, 1999, p.24). Secondo altri si trattava comunque di uno strumen-to ad ancia tenuto lateralmente (Chailley, 1979, p. 213)

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    3 La musica greca era monoonica?

    La tesi tanto spesso ripetuta secondo cui la musica greca sarebbe stata rigorosa-mente monofonica, senza accompagnamenti o controcanti - tesi ulteriormente appe-santita dallidea che essa fosse del tutto priva di autonomia rispetto al canto vocale,e che quindi il musicista si limitasse a ripetere nota per nota il canto del cantante

    oppure al pi a raddoppiare il canto in ottava - ha qualche appoggio nei documen-ti. In unopera attribuita ad Aristotele intitolata Problemi musicali, nelloss. 18 silegge: Perch solo laccordo di ottava viene usato nellesecuzione vocale? E difat-ti nellaccompagnamento si usa questaccordo e non altro(Aristotele, 1957, p. 43).Con ci si esclude persino un accompagnamento per quinte o per quarte. A mioavviso questa tesi deve essere ritenuta assai dubbia, o comunque non facilmentegeneralizzabile. Si anche pensato (Westphal, cit. ivi p. 98) che laffermazione dei

    Problemi debba essere interpretata come una sorta di ammonimento, e quindi cheessa presupponga che taluni musicisti usavano accompagnamenti pi complessi.

    Questa una situazione abbastanza comune che ha indotto in errore molti interpre-ti. Spesso i teorici sono ostili alle innovazioni ed alle nuove pratiche musicali e per-tanto le loro opinioni talvolta documentano a rovescio le pratiche musicali correnti.

    In ogni caso, per nutrire qualche dubbio ben fondato io penso che basti guardare lau-los: una musica strettamente monofonica avrebbe fra i suoi strumenti principali uno stru-mento eminentemente caratterizzato dalla capacit di realizzare due voci! In argomentiche riguardano la musica, la filologia nel senso pi stretto non dovrebbe precludersiqualche riflessione di ordine semplicemente musicale. Quale musicista avendo tra lemani un aulos o un doppio flauto si metterebbe a suonarli allunisono, come se neavesse uno solo? Questo argomento musicale sar certo accettato da pochi perch,in effetti, non un argomento, ma al massimo una sorta di richiamo dellattenzionenella direzione in cui sarebbe opportuno rivolgere la ricerca.

    Contro lidea, anchessa piuttosto dubbia sotto il profilo musicale che il musicista si

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    musicale del termine, pi tardo, in cui ci si richiama adun contrasto, in particolare nella musica corale. Grove,sotto Antiphony: Termine musicale in cui un insieme diviso in due gruppi distinti, usati in opposizione, spes-so spaziale, ed usando contrasti di volumi, altezze, tim-bri, ecc. Quasi sicuramente in Platone il senso quelloantico ed egli vuol dire che non bisogna andare oltre lasinfonia e lantifonia - il cantare o il suonare in otta-

    va - evitando accostamenti di altri suoni, quindi introdu-cendo una variet sia negli sviluppi melodici che negliaccompagnamenti ritmici come si era invece soliti fare.

    Tenendo conto di queste considerazioni, mi sembra ec-cessiva la prudenza con la quale Mathiesen tratta lar-gomento. Egli scrive che laulos veniva normalmente

    suonato in coppia e che poco chiaro se le canne suo-nassero allunisono o in qualche altro modo. Poich lemani degli auleti delle rappresentazioni vasarie sembra-no avere la stessa posizione e dunque chiudere gli stessifori di qui seguirebbe la ragionevole assunzione chele due canne suonassero allunisono; o al massimo perconsonanze di ottava o di quinta. Fatta questa premessaegli ammette tuttavia che gli auleti potrebbero aver svi-luppato la pratica di suonare nota contro nota oppure di

    suonare linee separate - una canna facendo da bordonee attribuendo allaltra un ruolo pi attivo(1999, p. 218).

    Ammissione realmente troppo debole!

    Lidea della monofonicit della musica greca continua inrealt ad essere ribadita spesso in modo molto netto edesclusivo.

    Ad esempio, secondo Landels (1999, p. 41) non vi pos-sono essere dubbi che le due canne dellaulos suo-nassero allunisono, e questo in conformit allideagenerale secondo cui non vi alcuna prova (eviden-ce) di polifonia (in un senso qualsiasi del termine)

    nella musica greca(p. 45). A suo avvisoil passo precedente-mente citato di Plato-ne mostra al massimoche lo strumentistasi concedeva qual-che ornamentazione.Inoltre, poich alcu-ne rappresentazioni

    propongono disposi-zioni non eguali dellemani cosicch risul-terebbe da esse piut-tosto chiaro che ven-gono eseguite dueparti, Landels ritienedi poter affermareche esse non sono al-

    tro che rozzi tentativida parte del pittoredi mettere la figure inprospettiva. Dove cevidence semplice-mente la si toglie.

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    Trovo comunque interessante il tentativo di Landels di rispondere alla domanda chenoi ci siamo posti fin dallinizio: se gli auloi sono due, perch mai suonarli alluni-sono? Questa la sua risposta: La ragione che due strumenti a fiato insieme pro-ducono un qualit sonora totalmente differente. Le due note sono molto vicine, manon hanno esattamente la stessa altezza, e questo produce un battimento o un effet-to di tremolo; un suono simile realizzato dal registro vox humana dellorgano mo-derno, che ha due canne metalliche per ciascuna nota, una di intonazione legger-mente diversa rispetto laltra. Il grado della differenza di altezza, e di conseguenzala velocit e lintensit dei battimenti potrebbero essere controllati da un abile ese-cutore, contribuendo indubbiamente al carattere o allethos della musica(p. 43)

    Non possiamo dunque farcene proprio nulla della chiarissima dichiarazione delloPseudoPlutarco a proposito delle innovazioni musicali di Laso di Ermione? Egli dicetestualmente: Fu Laso di Ermione che trasferendo i ritmi alla sfera del ditirambo, eadattando ad esso, imitando la polifonia degli auloi ( ), una sca-

    la pi estesa e nello stesso tempo una scala pi finemente suddivisa, produsse uncambiamento nel sistema esistente della musica (Plutarco, De musica, 29 - Edmonds,1924, p. 225 ) . Lespressione polifonia degli auloi una traduzione a calco e cre-do che la possibile supposizione che essa debba essere intesa come se si alludes-se ad una molteplicit di auloi in azione sia solo la conseguenza di un partito presosulla pretesa monofonicit della musica greca.Naturalmente come esistevano diversitipi di auloi, cos potevano esservi diversissimi modi di suonarlo, dipendenti, tra lal-tro dalle abilit dello strumentista oltre che dalle sue decisioni. Ora poteva suonareallunisono, ora impiegare una canna come bordone, ora realizzare un vero e proprio

    controcanto, ora limitarsi a semplici varianti ornamentali, e persino ottenere variantitimbriche secondo lipotesi di Landels. A parte ogni prova, cos ragiona chi ragionamusicalmente: la ragione musicale pu forse servire, in assenza di documentazioniimpossibili, da un lato a stabilire un punto di vista dal quale gli indizi possono ricevereinterpretazioni molto diverse, dallaltro ad evitare false generalizzazioni, come racco-manda molto giustamente Curt Sachs: In una ra di quasi duemila anni e allinterno

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    di un impero immenso mutarono probabilmente gli stiliesecutivi non meno di quelli architettonici e delle arti belle.Il singolo auleta frigio che accompagnava la tragedia grecae che un poeta si era augurato che tacesse a causa della sualoquacit, di certo oscurava lidea melodica con cascate dipassi virtuosistici e volatine o roulades alla maniera deglioboisti orientali di oggi. Il suo stile esecutivo potrebbe es-sere stato molto diverso dallarte di quella fanciulla auletache di prima mattina con Alcibiade ubriaco and a picchia-re e strepitare alla porta per partecipare al simposio pla-tonico con Agatone. Ed entrambi questi stili di esecuzionepotrebbe essere stati diversi a loro volta da quello degli au-leti in gara ai giochi pitici di Delfo (Sachs, 1980, p. 159). Dianaloga opinione West che scrive: Le canne accoppiatesono ancora ampiamente usate nei Balcani e nei paesi isla-

    mici dallEgitto fino allEstremo oriente, bench esse sonoquasi sempre fissate insieme a tal punto che le dita pos-sono coprire i fori in entrambe le canne in una volta sola,qualcosa che non si mai vista con gli auloi greci. Non dirado una delle due canne ha meno fori che laltra, in mododa provvedere per tutti i generi di accompagnamento dalpuro e semplice bordone sino ad ingeniosi contrappuntiritmici e armonici (A. C. Baines in A. Baines (ed.), MusicalInstruments Through the Ages, 1961). Anche nellantichit

    vi poteva essere la variet. Non dovremmo prendere pergarantito che una singola forma di relazione tra le cannepersistette immutato attraverso i secoli nel corso dei qua-li laulos stesso conobbe una considerevole evoluzione esuonatori particolarmente abili furono sempre interessatiad impressionare il pubblico con nuove imprese virtuosisti-che (West, 1992, p. 103).

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    4 La polemica antipolifonica rinascimentalee la teoria della monofonicit della musica greca

    C tuttavia un altro problema a mio avviso di partico-lare importanza sul quale mi sembra che gli studiosi

    abbiano attirato poco o nulla lattenzione. Se ci si chie-de quando ed a chi potuto venire in mente di parlaredella musica greca come unarte esclusivamente mo-nofonica, la risposta non pu essere dubbia: ci accadenel pieno della polemica anti-polifonica in et rinasci-mentale, quando le istanze delle idee nuove pretende-

    vano di trovare importante sostegno nella grecit. Lamusica nuova doveva trovare giustificazione nellanti-ca, e la musica nuova andava appunto predicando la

    superiorit della semplicit della monodia rispetto allacomplessit della polifonia. E dunque non fu certamen-te la musica greca - ancora meno conosciuta di quantolo sia oggi - ad influenzare i nuovi sviluppi musicali, mafurono questi sviluppi a influenzare la concezione dellamusica greca.

    Tutta la teoria dei moderni sostenitori delluniso-no si trova formulata con estrema chiarezza gi in

    Zarlino: Zarlino parte da un confronto tra la sem-plicit e povert dei mezzi della musica antica ela ricchezza armonica e contrappuntistica di quel-la moderna citando un passo dei Florida di Apule-io per dimostrare che il pi antico tipo di aulos nonaveva neppure i fori alla simiglianza di una tromba.

    Bench aulos e cetra fossero in seguito perfezionatie arricchiti, gli antichi non ebbero polifonia n voca-le n strumentale: Al suono di un solo istrumento... ilMusico semplicemente accompagnava la sua voce(Franchi, 1988, p. 37). S. Franchi rammenta il lavoro diGirolamo Mei che studi a fondo tutto quanto era notoallepoca della musica greca e le cui conclusioni fu-

    rono decisive per la nascita della moderna monodia.Queste conclusioni si possono riassumere in quattropunti: i Greci non ebbero polifonia, ma solo monodiae canti corali allunisono; laccompagnamento stru-mentale era allunisono con il canto; tragedie e com-medie erano interamente cantate; la pratica polifoni-ca moderna, unendo diverse melodie, registri, figureritmiche e mal connettendo testo e musica, stravolgeogni possibile effetto picologico (p. 38). Mei era inrapporto con Giovanni Bardi e dunque con la Camera-ta Fiorentina; Vincenzo Galilei se ne fece portavoce nel

    Dialogo della musica antica e moderna (1581), cheebbe una grande diffusione in particolare per le po-sizioni estreme di critica del contrappunto e per i tonientusiastici sulle qualit della musica greca (p. 38).

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    1.1.2 La siringa o flauto di Pan

    Abbiamo gi notato che non mancava nellantica Gre-cia il flauto diritto - strumento molto semplice presentein ogni cultura (fig. 1) . Inoltre era presente la siringa oil flauto di Pan, strumento che ha tuttoggi una parte si-gnificativa nella musica popolare in Europa, in Ameri-

    ca Latina e in Africa. Nelle fig. 2 e 3 rappresentata lasiringa o flauto di Pan in una versione popolare andina.

    fg. 1

    fg.2

    fg.3

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    Siku boliviano

    In realt flauto diritto e flauto di Pan si trovano presenti anchenella antica cultura Inca con il nome rispettivamente di Kenae Antara ed essi accompagnano tuttora i canti allunisono oallottava in Per (Sas, 1934, p. 1) . Notevole anche limpie-go polifonico del flauto di Pan nelle isole Solomon documen-tato da Zemp (1982). La fotografia tratta da questo saggio.

    Foresta amazzonica

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    P. Picasso, Il flauto di Pan (1923)

    La rappresentazione della siringa si ri-trova lungo tutta la tradizione europea.Ed entrata nelliconografia pittoricafino a tempi recenti.

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    La siringa greca non presentava differenze di lunghez-za nelle canne, ma queste venivano otturate allin-terno per variare lintonazione (Landels, 1999, p. 70)

    La siringa era considerata in Grecia uno strumento po-vero, tipico dei pastori. Laulos invece apparteneva alla

    musica colta, praticata da professionisti ed eserci-tata nelle situazioni rituali, nelle feste, nei conviti, nelladanza e naturalmente nella tragedia e nella commedia.

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    1.1.3 La tromba (salpinx)

    Nel Museum of Fine Arts di Boston si

    trova un esemplare di Salpinx, la trom-ba greca poi diffusa anche a Roma. Sitratta di uno strumento lungo pi di unmetro e mezzo.

    La salpinx veniva suonato con una ma-schera del tipo della forbeia per laulos. Il

    suonatore nellimmagine a sinistra evi-dentemente un soldato. In effetti Aristote-le in De audibilis spiega che questo stru-mento non ha carattere musicale ma unimpiego soprattutto in battaglia. Tuttavia

    vi chi sostiene che non sia del tutto daescludere la sua presenza durante le feste.

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    In questa immagine di arte apula la salpinx viene raffigurata in una effettiva situazione bellicosa. La forma dellostrumento appare un po diversa dagli esempi precedenti.

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    4.Il corno(keras)

    Fra gli strumenti a fiato troviamo anche il corno fatto con corna di animali. Di essosi ha documentazione letteraria. Mathiesen osserva che nel caso del corno, dopoaver affermato che i corni morbidi producono il suono migliore, laristotelico De

    Audibilibus(802a18-802b18) aggiunge che cuocendoli viene rafforzato il loro suo-no perch la cottura li rende pi secchi e duri (1999, p. 233).

    Forse la documentazione letteraria risulta pi persua-siva della documentazione grafica vasaria.In essa in-fatti il corno cavo si presenta di norma in mano ai sa-tiri o a Dioniso come corno potorio, ciocon la palesefunzione di un boccale per bere vino.

    Anche Mathiesen fa notare che vi un certo spazio

    al problema se il corno sia suonato o usato per bere(1990, p. 234, n. 169), ritenendo comunque ragionevo-le che lo si debba considerare uno strumento quando associato ad altri strumenti. Cos egli cita la raffigu-razione di un giovane che imbocca il corno dalla par-te pi stretta e sembra dunque suonarlo. Ed a con-ferma fa notare che sul versante opposto della coppa

    viene rappresentato un suonatore di salpinx.

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    Tuttavia, ad osservare bene la figura proposta, c un dettaglio che ci rende un poco perplessi. Il giovane con ilcorno cavalca... degli otri che normalmente, nelle rappresentazioni satiresche, sono da intendere come pieni di

    vino. Naturalmente si potrebbe pensare ad una raffigurazione ironica in cui un giovane con un boccale di cornoimiti il corno musicale. Il commento dellimmagine parla di trompette per entrambe le figure, cosa certamenteimpropria, ma rileva nel secondo caso che lefebo cavalca un otre (A. Merlin, CVA, France, vol.17).

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    Daltra parte la presenza sulla scena di altri strumenti mu-sicali non pu essere troppo probante. Ad esempio lau-leta della figura non sembra aver nulla a che fare con ilsatiro che regge con la mano destra un corno cavo. E nellafigura sottostante lauleta festeggia Dioniso che si appre-

    sta ad una libagione.

    Boccale a forma di corno in terracotta

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    1.2 Gli strumenti a corda

    1.2.1 La lira

    1.2.2 Il barbitos

    1.2.3 La cetra

    1.2.4 Varianti della cetra

    1.2.5 Limpiego del plettro

    1.2.6 Larpa

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    1.2.1 La lira

    Vi t l i t di t ti d ll G

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    Vi una notevole variet di strumenti a corda nella Gre-cia antica, che hanno caratteristiche differenti sebbenesuonati con tecniche simili. Purtroppo in alcuni manua-li, ma anche nelle scritte descrittive relative soprattuttoalla pittura vasaria nei musei, il nome degli strumen-ti viene dato un po a caso, prevalendo la dizione lirae cetra, peraltro a loro volta non ben distinte tra loro.

    Della lira si ha in genere unimmagine stilizzata e idea-lizzata - quella che talvolta si vede disegnata sui teatridopera e nelle sale da concerto di vecchio stile: uno stru-mento dalla forma arcuata ed elegante che si pu imma-ginare venga suonato delicatamente con una mano chepizzica le corde tese. La lira conservata al British Museumci mostra subito che le cose stanno ben diversamente.

    Anzitutto la cassa armonica della lira formata dal gusciodi una testuggine e di qui deriva anche il nome di chelys,tartaruga in greco. La presenza di una simile cassa armo-nica permette di differenziare questo strumento da altrianaloghi e di documentarne lesistenza in Grecia almenoa partire dal VII sec. a.C. (Dumoulin, 1992, p. 98).

    Nel guscio della tartaruga venivano inserite due corna

    di animale piuttosto robuste. In effetti molto spesso gliscrittori antichi, e gi dal V sec. a. C. fino al I sec. d. C. in-dicavano le braccia anche come fatte di corna. Le cornadi animali erano del resto particolarmente adatte comemateriale per le braccia e vennero sicuramente ancheutilizzate.

    sicuro tuttavia che per la costruzione di questa parte dello strumento venne pi spesso utilizzato il legno che pe

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    sicuro tuttavia che per la costruzione di questa parte dello strumento venne pi spesso utilizzato il legno che pe-raltro pu essere facilmente piegato nel modo giusto per assomigliare nella forma a corna di animali (Dumoulin,1992, II, p. 231). Questo appunto il caso dellesemplare conservato al British Museum. Tra le corna veniva postoun ponte di legno su cui venivano infisse le corde collegate nella parte piatta della testuggine e tenute sollevate daun ponticello.

    Linterno della testuggine stato ri-costruito cos:

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    Il gruppo Lyraulos diretto da Panayio-tis Stefos ha realizzato questa ricostruzio-ne moderna della lira, certamente ispi-randosi al modello del British Museum.

    www.lyravlos.gr/en.asp

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    Nata come strumento povero, la lira, come la cetra, va annoverata tra gli strumenti colticome dimostra il fatto che era oggetto di insegnamento

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    Nella rappresentazione a sinistra il maestro suona la lira e lallievobatte il tempo (V sec. a.C.).

    La lira veniva suonata con entrambe le mani - ed era tenuta pres-so il corpo da una cinghia. Analogamente, come vedremo, nelcaso dei cordofoni in genere, limpiego della mano destra e sini-stra differente. La mano destra stringe qualcosa che ci fa pensa-re ad una sorta di plettro ed operava sulle corde dal lato anteriore.

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    Anche nella fig. 1 si mostra una lezionedi insegnamento della lira. Il suo interes-se sta soprattutto nel fatto che allallieva

    viene presentato e svolto un rotolo cheha sicuramente il senso di una partiturascritta. Ci mostra quanto fosse evoluto

    linsegnamento della lira: in particolarela presenza dello spartito implica linse-gnamento di elementi di teoria. E natural-mente una pratica compositiva evoluta.

    Il frammento in fig. 2 ancora pi espli-cito e mostra come la lettura dello spar-tito riguardo anche uno strumento come

    laulos.

    fig. 2fig. 1

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    Sudan (sec. XIX)

    La lira rimasta informe assai simili allalira greca anche nellamusica popolare.

    In questa pagina visono tre esempi dilire africane.

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    1.2.2 Il barbitos

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    Assai simile alla lira, con la qualetalora viene confuso, il barbitoso barbiton caratterizzato dallepi ampie braccia e quindi da

    corde molto pi lunghe. Ci si-gnifica che rispetto alla lira, erain grado di emettere suoni moltopi gravi. Inoltre le corde sonolegate leggermente pi in altodelle braccia, a differenza dellalira.

    La sua forma in ogni caso net-

    tamente riconoscibile nella pit-tura vasaria. In essa il barbitos,insieme allaulos, lo si ritrova inmano ai satiri, ed spesso asso-ciato a situazioni di danza e adatmosfere erotiche.

    possibile che proprio per que-ste sue sonorit gravi esso aves-se la funzione di fornire un ritmoagli auloi, insieme agli strumen-ti percussivi. Perci lo troviamospesso fra le mani dei satiri, in-sieme allaulos.

    Barbitos nella ricostruzione

    di H. Roberts (Dumoulin,

    1992, p. 235)

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    Eros che suona il

    barbitos.

    (Louvre)

    Nella mano de-stra regge il plet-tro.

    La posizione con-sueta dello stru-mento a metdel busto con lebraccia e le cor-

    de disposte quasiorizzontalmente.

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    Il nome barbitos fu qua-si certamente una parolastraniera e gli antichi tenta-tivi di dare ad esso uneti-mologia greca dovrebberoessere ignorati. Secondola tradizione esso fu in-

    ventato da Terpandro, chevisse a Lesbo nella metdel VII sec. a. C. , ma cipu significare che esso

    fu importato da una cultu-ra musicale in Asia Mino-re allincirca in quellepo-ca (Landels, 1999, p. 66).

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    Il barbitos si associa spesso nella grafica vasaria al mondo di Dio-niso ed a quello di Ermes. Eschilo in una delle sue tragedie perdute

    attribuisce il barbitos a Dioniso (Edonoi) (West, 1992, p. 58). Nellafigura a sinistra sopra un satiro consegna lo strumento a Dioniso.Sotto: aulos e barbitos sono suonati da satiri. Nel mezzo, Ermes.

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    Alceo e Saffo

    Il suono del barbitos, oltre che ben associarsi agli auloi, alle nacchere, e dunque alle feste danzanti non di rado a

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    sfondo erotico, piaceva anche ai poeti.

    Il barbitos menzionato da Anacreonte, bench Saffo e Alceo facevano riferimento ad uno stru-mento chiamato barmos che per alcuni antichi scrittori rappresenta lo stesso strumento. Esso ap-pare nellarte attica ad un tratto nellultimo quarto del sesto secolo, e la sua presenza si indebolnella seconda met del quinto. stata fatta lattraente ipotesi che esso fosse portato ad Atene da

    Anacreonte quando venne ad Atene da Samo. Certamente gli viene associato dai pittori di vasi enelle pi tarde allusioni letterarie (West,1992, p. 58)

    Naturalmente i poeti amavano non solo il barbitos, ma in generale la lira, la cetra, la forminx, larpa... Essi sonomusicisti cantori, e quello strumento che sta nelle loro mani nello stesso tempo voce poetica - suono e immagine.

    Cos Saffo (118) si rivolge alla propria lira (chelys):

    Ors, lira divina,

    parla tu,

    sii tu la mia voce

    E Anacreonte (19.1) accompagna con i suoni dellarpa (magadys) la fiorente giovinezza di Leucaspi:

    Scorre la mia mano su le venti

    corde dellarpa; e tu fiorisci,

    o Leucaspi,

    di giovinezza

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    1.2.3 La cetra

    Linconfondibile differenza della cetra (kithara) rispet-to alla lira ed al barbitos balzano subito agli occhi dalloschema costruttivo caratteristico - certamente struttural-mente del tutto simile per quanto riguarda la disposizio-ne delle corde ed il modo di emissione del suono, e dun-

    que anche per quanto riguarda le pratiche esecutive. Ladiversit sta nellimponenza dello strumento e nellele-ganza della sua fattura. A loro volta le rappresentazionigli conferiscono una nobilt ed una dignit che supe-ra, da questo punto di vista, ogni altro strumento greco.

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    Nella figura precedente, Nike, lalata figlia di Zeus annunciatrice di vittorie, regge una grande cetra a cui appeso,

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    forse a titolo di ornamento, un fascia di tessuto ricamato. Il plettro agganciato ad una corda e sembra dunque avereforma di gancio, mentre unaltra striscia di stoffa o una fascia di cordini appesa allanello a cui e assicurato il plettro.Le dita della mano sinistra pizzicano con evidenza le corde.

    La cassa armonica cos come le braccia sono di legno, spesso finemente decorato da intarsi, e le sue dimensioni

    fanno pensare ad un suono particolarmente robusto. Per questa sua fattura e per le sue dimensioni, lo strumen-to tipico di Apollo non tanto la lira, quanto la cetra. vero tuttavia che mentre nei vasi a figure nere egli vienerappresentato con la cetra, la rappresentazione di Apollo con la lira finir con il prevalere (Dumoulin. 1992, p. 248)(anche se mi sembra che vi sia una certa tendenza ad invertire il problema ed a vedere Apollo in qualunque giova-netto che suoni la lira ed una musa, se si tratta di una fanciulla).

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    La suonatrice sta accompagnando con la cetra il proprio canto.La mano destra regge il plettro che non attivo come se avesseappena abbandonato le corde. Anche in questo caso la cetra hacome ornamento una fascia di tessuto ricamato, alla base dellostrumento ed unaltra di cordini alla sua destra.

    1 2 4 La forminx

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    1.2.4 La forminx

    La forma pi antica della cetra che ha una sua fi-sionomia ben distinta e distinguibile nella gra-

    fica vasaria assai pi semplice e arrotondataalla base. Si tende a considerarla come lo stru-mento con cui si accompagnavano i cantori deipoemi omerici. Landels osserva che essa veni-

    va chiamata kitharis o forminx (1999, p. 48). .

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    A h M thi ill t l f i f if i t ll i i i t f b h ti h il t i

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    Anche Mathiesen per illustrare la forminx fa riferimento nelle immagini a questa forma bench noti che il termineha un impiego molto generale per indicare gli strumenti che appartengono alla classe della lira (1999, p. 253); eda sua volta la Bundrick pur attribuendo il nome di Forminx a questa variante della cetra, nota che la terminologiagreca per questi strumenti piuttosto fluida, cosicch i termini di lyra, kitharis, phorminx, chelys, kithara spesso sisovrappongono (2005, p. 14). Ci certamente in parte vero - almeno per i due termini lyra e chelys, che indica-no indubbiamente lo stesso strumento - mentre genera perplessit lidea che i greci stessi non stabilissero nomi

    diversi per strumenti cos tipicamente differenti. Credo invece che un po di confusione sia stata introdotta da uncerto disinteresse per le tipologie degli strumenti musicali da parte di filologi e archeologi. In ogni caso forse non sbagliato convenire di chiamare questo strumento con il nome di forminx in modo da portare ordine, sia pure unpo convenzionalmente, alla terminologia. Del resto si pu comprendere che, come per tutti gli strumenti, vi fossero

    varianti significative, nelle varie fase di sviluppo della musica greca.

    Cos una variante della cetrapu essere considerato ancheuno strumento in parte simile

    al precedente, per quanto ri-guarda la cassa armonica, maanche al barbitos, bench conle corde pi corde e le bracciamolto pi ricurve.

    1 2 5 Limpiego del plettro

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    1.2.5 L impiego del plettro

    In che modo venisse usato il plettro (plectron) non un dettaglio di secondariaimportanza che risponde solo ad una curiosit di pura tecnica strumentale.

    Vi sono spiegazioni che non mi convincono pienamente. Ad esempio, Mathie-sen (1999, p. 247, sgg.) d senzaltro per ovvio che il plettro sia un vero plettro,come in uso in numerosi strumenti a corda sia europei che extra-europei: dun-que un pennino flessibile che ha il compito principale di pizzicare le corde. Piprecisamente egli osserva che una parte del plettro sembra avere un corpo inqualche modo flessibile, e naturalmente questa sarebbe destinata al pizzicarele corde, mentre la parte che propriamente stretta nella mano del suonatorepoteva essere fatta di materiale rigido e duro, come osso, avorio, corno, metallo.In conseguenza di questa interpretazione diventa realmente problematico inter-

    pretare che cosa facesse la mano sinistra. Secondo Mathiesen, essa non avrebbela funzione di pizzicare la corda ma piuttosto quella di impedirne le vibrazionial momento opportuno oppure - con un tocco leggero - di far risuonare dopo ilpizzico realizzato attraverso il plettro gli armonici del suono da esso prodotto.Ma si tratta di pure ipotesi, e Mathiesen ammette senzaltro che non vi sono pro-

    ve per determinare con precisione che cosa facesse la mano sinistra (p. 248).

    Secondo Chailley, le corde potevano essere sia pizzicate (psallein) dalla manosinistra sia colpita (kruein) con la mano destra - e

    in questultimo caso bisogna includere lipotesi che il plettropassasse sopra tutte le corde in una volta sola con un movimen-to violento, mentre la mano sinistra avrebbe avuto il compito dibloccare le corde che non avrebbero dovuto vibrare (1979, p.60).

    Interessato a questo problema fu il musicista Camille Saint-Sans che fu forse il primo a formulare questa ipotesicon molta chiarezza Egli si chiede:

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    con molta chiarezza. Egli si chiede:

    essendo lo strumento fissato al corpo del musicista mediante una fascia, la mano destra prov-vista di un plettro, e la sinistra che traspare dietro le corde mostra molto spesso delle dita allun-gate, cosa che si attribuisce alla ingenuit del designatore. La mano sinistra, si dice, aziona lecorde. Ma allora a che cosa serve il plettro, che spesso di dimensioni piuttosto importanti?.

    Saint-Sans sostiene di aver trovato una possibile risposta osservando dei suonatori di strumenti simili alla lira aIsmailia ed al Cairo:

    Ecco ci che ho osservato con mia grande sorpresa in entrambi i casi. Mentre il musicistateneva la sua mano sinistra distesa dietro le corde, con le dita allargate, la mano destra, conlaiuto del plettro, attaccava vigorosamente, con un movimento vivo tutte le corde nello stes-so tempo; e risuonavo soltanto quelle non toccate le dita della mano sinistra (1919, p. 545).

    Peraltro in un testo precedente sullo stesso argomento egli aveva aggiunto una forte limitazione:

    Questo modo di procedere sembra assai scomodo a prima vista; tuttavia i musicisti egizianisembravano esercitarlo con facilit. Bench sia vero che essi eseguivano poche note, sempre lestesse e ripetute indefinitamente (1912, p. 338).

    Saint-Sans accenna anche alla possibilit aggiuntiva che la mano sinistra sfiorasse la corda, percossa con il plettro,per ottenere il suono armonico corrispondente. A questo proposito egli fa riferimento a

    strumenti di grandi dimensioni, come la lira rappresentata sulla pittura conosciuta sotto il nomedi LEducazione di Achille le cui corde sembrerebbero avere un metro di lunghezza, fornendoperci suoni gravi. Sul dipinto in questione, il Centauro, con la mano sinistra, sfiora una cordaalla met della sua lunghezza mentre la mano destra fa risuonare la stessa corda con laiuto di unplettro (1919, p. 173).

    Laffresco a cui fa riferimento Saint-Sans rappresenta Achille istruito dal centauro Chirone si trova ora al MuseoArcheologico nazionale di Napoli Si tratta peraltro di un dipinto tardo di et romana con un tipo di lira che diffi

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    Archeologico nazionale di Napoli. Si tratta peraltro di un dipinto tardo di et romana con un tipo di lira che diffi-cile da esemplificare sulla vasaria greca.

    Anche Sachs nel sostenere una tesi analoga fa riferimento ad una tecnica riscontrata nella Nubia:

    la mano destra passa sulle corde con un colpo deciso. e le dita della sinistra stanno distese pres-so alle corde per impedire i suoni non voluti (Sachs, 1980, p. 148), ammettendo purtuttavia chesu alcuni vasi che portano dipinte scene dove appaiono sonatori di cetra o lira si vedono le ditadella mano sinistra pizzicare e non smorzare le corde (ivi).

    Che la funzione essenziale della mano sinistra sia quella di pizzicare lecorde ammesso senzaltro da Landels (1999 pp 55 56) ma pi incer

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    corde ammesso senz altro da Landels (1999, pp. 55-56), ma pi incer-ta sembra in questo autore la decisione intorno a che cosa faccia questostrano plettro che avrebbe il compito di percuotere la corda pi che dipizzicarla.

    In effetti tutto il problema sta qui. Se osserviamo le immagini della lira che

    abbiamo proposto e quelle successive della cetra e degli altri strumentiaffini, a noi sembra di dover mettere in rilievo due circostanze notevoli:il plettro , rispetto allesigenza del pizzico, di proporzioni molto grandi,in alcuni casi addirittura enorme; e pi che un pennino sembra una verae propria paletta che possiamo anche immaginare - date le dimensioni -piuttosto rigida. Non si vede come si possa motivare la presenza, in questooggetto, tenuto saldamente nelle mani del suonatore, di una parte flessi-bile. Nella documentazione on line del Museo Archeologico di Taranto siosserva in rapporto al plettro che

    i materiali utilizzati erano di diverso tipo, come il le-gno, losso, lavorio, il metallo e persino, in un caso,una pietra preziosa come lo smeraldo, cos come as-sai varia era la forma delloggetto stesso, a bastoncel-lo, a linguetta, a petalo. In ogni caso, comunque, essoterminava con un uncino, che talvolta assumeva la for-ma di una T o di una freccia, e che serviva a percuo-tere le corde dello strumento da suonare, al quale ilplettro era in genere unito mediante una cordicella.

    Nulla dunque di lontanamente simile ai plettri che conosciamo. Soprattuttosorprendono non solo i materiali ma anche le forme. Pur non potendo es-sere generalizzata, noi stessi abbiamo potuto vedere in una raffigurazioneun plettro che poteva essere agganciato ad una corda. Di queste forme

    Accordatura di una lira

    che non impediscono certo di pizzicare le corde, ma che certo non sono prima-riamente adatte a questa funzione occorre rendere ragione

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    riamente adatte a questa funzione, occorre rendere ragione.

    Laltro dettaglio che, a mio avviso, potrebbe essere significativo e che nelle spie-gazioni citate non viene preso in considerazione che il plettro sembra quasisempre lavorare presso il ponticello dello strumento o addirittura al di l di esso.Inoltre di rado esso viene mostrato direttamente in azione. Naturalmente anche

    una paletta priva di flessibilit pu fare risuonare una corda o una serie di cordein successione. Ma le osservazioni precedenti ci fanno pensare che questa nonfosse la sua funzione principale. Se si trattasse di una vera e propria palettinarigida, fatta di un materiale in ogni caso duro, e tanto pi con una forma finalea T o anche tondeggiante come un cucchiaio o come un uncino, essa sarebbeparticolarmente adatta a premere su una corda, in prossimit del punto del pon-ticello, piuttosto che pizzicarla. Una simile pressione avrebbe come conseguenzaquella di alterarne provvisoriamente lintonazione. Infatti si opererebbe un ac-corciamento della parte vibrante corda, con conseguente innalzamento dellal-

    tezza. La pressione potrebbe essere esercitata in vari punti della corda in mododa rendere possibili differenze significative di altezza. Va da s che lemissionesonora non sarebbe dovuta al plettro ma al pizzico della mano sinistra. Inoltre chiaro che se si pizzica la corda con la mano sinistra e nello stesso tempo si fascivolare per un breve tratto il plettro sulla corda nelluna o nellaltra direzio-ne si ottengono dei suoni glissati - anche se non vi dubbio che il modo prin-cipale di impiegare i cordofoni in Grecia era la produzione di note nettamen-te definite - o meglio questa era la vocazione che ad essi attribuivano i teorici.

    Occorre perci, a mio avviso, attribuire alla mano sinistra il compito essenzia-le di pizzicare le corde e di realizzare movimenti melodici; mentre questa pa-letta - a differenza dei nostri plettri - non avrebbe tanto la funzione di mette-re in vibrazione le corde, ma di realizzare variazioni nellaccordatura di basedello strumento con effetti espressivi conseguenti sulle strutture melodicherealizzate nel gioco delle dita della mano sinistra; senza escludere natural-

    mente altri possibili impieghi come quello della produ-zione di arpeggiati su tutte le corde della lira alcune

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    zione di arpeggiati su tutte le corde della lira, alcunedelle quali eventualmente smorzate con la mano sinistra.Tutto il problema risulta fin dallinizio mal impostato anzi-tutto per la soverchia importanza data alla posizione stan-dard della mano sinistra come mano con le dita distese, ed insecondo luogo per lidea che la funzione delluna o dellal-

    tra mano debba essere necessariamente una sola. Comesi comprende, non si tratta di una questione tecnica indif-ferente ma di cercare di rendersi conto dei tipi di sonoritche il musicista greco riusciva a trarre dai propri cordofo-ni e del tipo di musica che egli poteva riuscire a realizzare .Uno degli aspetti che talvolta sono apparsi misteriosi il fatto che

    la mano sinistra pi spesso in azione ri-spetto alla mano destra con il plettro. Stes-

    sa impressione deriva anche dalle operepittoriche. Mentre la sinistra quasi sempretocca le corde, il plettro sembra in attivitpiuttosto raramente. In particolare anchequando si canta accompagnandosi con lostrumento il plettro sembra sempre esseretenuto a distanza dalle corde mentre la manosinistra le pizzica (Dumoulin, 1992, p. 245).

    In effetti si tratta di una stranezza che non pu certo esserespiegata dallassunzione che il plettro abbia appena tocca-ta la corda e si sia poi sollevato da essa. Questo problema

    verrebbe meno nellinterpretazione proposta dal momentoche in base ad esso il pletro interverrebbe solo in particolaricircostanze. Ma lipotesi della pressione e di conseguenza

    Raffigurazione di un barbiton in cui risulta evidente

    lazione di pizzico della mano sinistra.

    limpiego del plettro in funzione della produzione di alterazioni della massima importan-za per comprendere una circostanza che sempre sembrata piuttosto difficile da capire. Se

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    Queste mie osservazioni hanno in realt un supporto bibliografico di particolare impor-tanza tanto da chiedersi perch esso sia stato tenuto in cos poco conto. In effetti Dieter

    Metzler, in un breve quanto elegante saggio intitolatoEin Griechisches Plektron identificain un reperto conservato nel magazzino del Badisches Landesmuseum a Karlsruhe, confusocon altri oggetti votivi provenienti da un tempio in Arcadia, proprio un bellissimo plettrobronzeo della lunghezza di ben 13,7 cm.Il plettro termina con una forma relativamente ap-puntita, che potrebbe far pensare ad un coltello, ma questa ipotesi esclusa sia dalla formastessa, che dallornamentazione presente su un solo lato del plettro, quello normalmenterivolto allascoltatore, e dallanello sopra lornamento che serviva certamente a collegarecon una cordicella il plettro allo strumento. La parte arrotondata sullaltro estremo avevala funzione di stabilire una solida presa della mano. Naturalmente, nonostante la variet

    di forme che i plettri potevano avere, lautore cita a conferma sia rappresentazioni nellavasaria, sia plettri fatti di altri materiali come avorio o ossa segnalando in ogni caso chequesto lunico plettro bronzeo a lui noto. Ma per quanto riguarda il problema per noi piimportante egli scrive: In analogia alluso moderno si inclini a assumere che - come nelcaso del banjo o della chitarra - il plettro venga utilizzato come un mezzo per rafforzare ledita per produrre il suono pizzicando o colpendo le corde, cosicch il plettro toccherebbe

    za per comprendere una circostanza che sempre sembrata piuttosto difficile da capire. Seci si limita ad unazione di pizzico sulle corde, fatta con le dita o con un plettro, si avrebbea disposizione un numero limitatissimo di note, pari al numero delle corde. Una nota, unacorda. In particolare non sarebbe possibile produrre alterazioni rispetto allaccordaturadi base. Per questa ragione ci si talvolta meravigliati del basso numero di corde dellelire come delle cetre. Le corde erano normalmente sette o otto ma potevano essere anche

    solo quattro. In effetti solo nei periodi pi tardi vi sono testimonianze di lire e cetre con unnumero di corde superiore a otto. La difficolt consisteva allora nel comprendere come sipotesse arrivare a suonare su strumenti simili musiche di una certa complessit. Analoga-mente, come vedremo in seguito, ci si potrebbe chiedere come, sulla base di unaccorda-tura fissa, possa essere ottenuta quella mobilit delle note che tipico del sistema dei ge-neri. Il plettro rigido usato nel modo che abbiamo illustrato ci sembra una buona risposta.

    la corda in un movimento di andirivieni. Le cose stanno altrimenti nellantichit. Filostrato (III sec. d. C.) dice: lamano destra tiene tese le corde, in quanto il plettro le comprime. Il plettro viene posto tra il ponticello e la chiave

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    mano destra tiene tese le corde, in quanto il plettro le comprime. Il plettro viene posto tra il ponticello e la chiavedelle corde. A ci corrispondono le immagini dei vasi: la sinistra del suonatore viene rappresentata con le diversedita distribuite sulle corde, come la mano che realizza la melodia, mentre la destra tocca una corda con il plettropresso il ponticello oppure se ne distacca momentaneamente, come se abbandonasse la corda scivolando via daessa (Metzler, 1971, p. 149). Per questa spiegazione Metzler fa riferimento a Gombosi che dedica un intero ca-pitolo del proprio libro (1939) proprio al modo di suonare degli strumenti a

    corda del tipo della lira e della cetra. In effetti Gombosi esclude le opinioniallora correnti e, come abbiamo visto, tuttora per lo pi confermate, che con-siderano la mano destra come direttamente produttiva del suono e la mano si-nistra con la pura funzione di impedire il risuonare delle note non volute: Nonpu essere messo in dubbio il fatto le dita della mano sinistra non si limita-

    vano passivamente ad attutire le corde, ma le pizzicavano attivamente. Anchele testimonianze figurative mostrano molto spesso con chiarezza indiscutibilequesto ruolo della mano sinistra; anzi esse mostrano che per pizzicare venivausato persino il pollice (p. 117). Per Gombosi il plettro ha il compito di alte-

    rare lintonazione premendo sulle corde. Largomento che gli sembra decisivosono quelle immagini che mostrano il plettro tra il ponticello e il punto di ag-gancio delle corde facendo riferimento ad una pittura vasaria che Gombosiriproduce in disegno nel suo libro traendolo da un vaso conservato a Boston.Effettivamente con il plettro in quella posizione nessuna delle corde dellostrumento pu essere fatta risuonare - e quindi resta la fondatissima ipotesi di un utilizzo del tutto diverso delplettro, destinato in particolare ai fini di un aumento della tensione delle corde e quindi della loro intonazio-ne. Io credo che questa proposta interpretativa debba essere considerata definitiva. Si pu solo aggiungere,come abbiamo gi notato, che essa non pu essere considerata esclusiva e che il plettro pu in ogni caso esse-

    re usato in vari modi e naturalmente anche al di l del ponticello, come apparedel resto in molte rappresentazioni vasarie, in modo da provocare ulteriori effet-ti di variazione dellintonazione che possono anche implicare variazioni timbri-che, o addirittura per realizzare glissati (per quanto potessero essere deploratidai teorici) sulla stessa corda o arpeggiati implicanti pi corde. E naturalmentenon vi sono ragioni per escludere anche limpiego della tecnica degli armonici.

    1.2.6 Larpa

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    Larpa strumento antichissimo chesi ritrova in moltissime culture. pos-

    sibile che sia derivato dallarco dacaccia a cui vennero aggiunte a pocoa poco altre corde. Questo strumentodi tradizione popolare africana (CostadAvorio) che viene chiamato garg haforma di arco e viene suonato dai cac-ciatori per propiziare la caccia; il suo-natore

    stringe la corda tra le lab-bra percuotendola con unbastoncino. Il volume vienemodificato alterando la po-sizione delle labbra e dellalingua ed in questo modo ilmusicista crea armonici dif-ferenti per produrre una me-

    lodia (Rault, 2000, p. 150).

    Le arpe pi antiche sono prive di colonna che, congiungendola parte superiore e la parte inferiore ha lo scopo di irrobustire

    Questa scena di caccia con arpista (miniaturapersiana del II sec. d. C.) sembra voler illustra-

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    p p p plintera struttura, ed hanno perci una forma molto simile ad unarco. Questa relazione appare chiara in questa arpa egizianarisalente a 1500 anni a.C. (British Museum).

    p )re la relazione formale tra larco da caccia e lostrumento, piuttosto che essere intesa secondounimprobabile interpretazione realistica.

    Il nome moderno di origine medioevale, e deriva da una versione latina di Harff, parola di origine ger-manica con cui veniva indicata larpa irlandese. In Grecia lo strumento venne probabilmente dalla vicina

    Asia minore. Esso era caratterizzato da un numero molto elevato di corde (fino a venti) e Sachs rammenta che

    Platone la condann perch le sue numerose corde e la sua grande estensione facili-tavano la modulazione, per la sua instabilit e pure per la sua hedon, ossia per il piace-re sensuale che comunicava. Essendo strumento di intimit, incline ad indurre in un obliosognante, a rapimenti onirici, il suo uso era generalmente limitato alle donne che pote-

    vano essere etre, ma anche appartenenti alla normale societ (C. Sachs, 1980, p. 153).

    Larpa greca si vede qui integrata con la forminx e la lira, in unesecuzione comune a cui si associa il piccolo stru-mento percussivo che si vede sulla sinistra (V sec. a.C.).

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    Pektis uno dei vari nomi attribuiti allarpa, che veniva talvolta anche chiamata trigonon (anche trigonos) , psalte-

    rion o magadis. Il termine trigonon ovviamente riferito alla forma dello strumento che in alcuni casi nettamentetriangolare. Andrew Barker (1988, p. 96) sostiene la tesi che magadis non nome di uno strumento, ma di un mododi suonare in ottava con un altro strumento. In realt Barker ribadisce lidea di una pratica monofonica assoluta-mente prevalente della musica greca, tesi sulla qualle abbiamo gi manifestato il nostro dissenso e che tra lal-tro a mio avviso confutata da numerosissime rappresentazioni, come la precedente, in cui gli strumenti suonanoinsieme - ed io credo che sia semplicemente insensato pensare che gli strumentisti non facessero parti distinte.

    Infine interessante per motivi di ordine generale lindicazione secondo cui Epigono di Sicione ha lasciato nellatradizione il ricordo di una grande reputazione in citaristica pura, cio senza parole, e soprattutto di aver inventato

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    g p p p punarpa a 40 corde che suonava a mani nude, senza plettro (F. Lasserre, 1988, p. 81). Questa notizia un indizio checontraddice lidea molto diffusa che gli strumenti fossero sempre impiegati come accompagnamento della vocee la musica greca non conoscesse musica strumentale pura. Questo semplicemente falso. Vi sono, tra laltro, dueparole distinte per indicare il suonatore di cetra che nello stesso tempo canta che viene chiamato citarodo e il suo-natore che esegue un brano puramente strumentale che viene invece detto citarista (cfr. anche Burdrick, 2005, p.

    18).

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    Larpa raramente rappresentata nella vasaria greca.Ci sono esempi molto belli nei rilievi caratteristici del-larte vasaria aretina, come quelli presentati in questa

    pagina, ma si tratta ormai di arte romana, sia puredirettamente influenzata da motivi greci. Ed anche lostile della rappresentazione sensibilmente diverso.

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    Larpa era considerata anche come uno strumento da suonare da solo nellintimit. Del poeta Anacreonte, che ab-biamo gi avuto occasione di rammentare proprio in rapporto allarpa dalle venti corde, ci sono stati tramandatiquesti versi:

    Larpa veniva suonata senza plettro, dato il gran numero di corde a disposizione, con una o due mani. Da reperticonservati al Museo Nazionale Archeologico di Taranto viene proposta, nella figura a sinistra, una ricostruzionepuramente indicativa. A destra sono riuniti laulos, la forminx, la lira e larpa che occupa la posizione centrale.

    Ho pranzato con un pezzetto di focaccia sottile

    ho bevuto una brocca di vino: adesso con le dita

    pizzico mollemente la mia pektis amabile cantando

    la serenata alla ragazza che amo.

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    1.3 Strumenti percussivi

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    Vi era, in Grecia, una notevole variet di strumenti percussivi (idiofoni e membranofoni), utilizzati soprattutto in si-tuazioni festive, offrendo un sostegno ritmico agli altri strumenti e impiegati particolarmente in rapporto alla danza.

    1.3.1 I crotali1.3.2 I cimbali

    1.3.3 Il krupalon

    1.3.4 I sistri1.3.5 I timpani

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    I crotali sono uno strumento si-

    mile alle castagnette o alle nac-chere, bench probabilmente disuono pi debole: Descrizioniletterarie, inoltre,sottolineano lasomiglianza tra il battito dellemani e il battito dei crotali (Ma-thiesen, 1999, p. 168).

    La relazione con il battito dellemani viene impressa nellogget-to stesso in queste nacchere diavorio egiziane che risalgono al1300 a.C.

    Crotali, auloi e barbitos si trovano spesso associati nelladanza, in situazioni che hanno una chiara connotazione

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    Luomo con i crotali reca sul braccio la custo-dia caratteristica degli auloi.

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    I crotali tuttavia possono diventare strumenti tanto nobili da poter accompagnare la cetra di Apollo nelle mani del-le muse di fronte a Zeus ed a Ermes. Ma a parte il riferimento mitico questa rappresentazione notevole dal puntodi i t i l il il t d i t li i ti t t l t i i

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    di vista musicale per il numero rilvante dei crotali impegnati con uno strumento come la cetra in unesecuzioneche evidentemente di musica pura nella quale la componente ritmica non subordinata alla danza.

    1 3 2 I cimbali

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    1.3.2 I cimbali

    I cimbali dei greci, come li vediamo nella figuraaccanto (British Museum) non sono poi molto di-versi da quelli che ha fra le mani il monaco tibeta-no, ed il suono doveva essere assai simile. Si trattadi due coppe metalliche di solito legate fra loroda una catenella, che venivano percosse tra loro.

    Occorre peraltro tener presente che le forme di

    questi metallofoni potevano essere abbastanzadiverse e di varie dimensioni ed anche la ter-minologia greca abbastanza indeterminata.Le distinzioni tra crotali, cimbali e crembali eraindubbiamente flessibile (Mathiesen, p. 170).

    1 3 3 Il krupalon

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    Uno strumento in qualche modo analogo ai crotali erail krupalon (ma vi sono anche altri nomi per designarequesto strumento):

    Aveva la forma di un grosso sandalo le-gato al piede destro e consisteva di unblocco di legno tagliato in due tavolettesovrapposte ed unite insieme al tallone.Ognuna delle due tavolette recava nel-la faccia interna una sorta di castagnet-

    ta. Battendo il piede le tavolette con leloro castagnette si urtavano tra loro conun forte schiocco (Sachs, 1980, p. 171).

    Tutto ci molto bene illustrato dalla scultura seguen-te nella quale il suonatore fa agire il crupalon insieme aicimbali che tiene nelle mani. Mathiesen fa notare che que-sto sandalo poteva anche essere indossato da un auleta,che con esso integrava ritmicamente la melodia dell au-

    los (1999, p. 167)

    1.3.3 Il krupalon

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    1.3.4 I sistri

    Il sistro era strumento di origine egiziana,particolarmente presente nel culto di Iside

    e di Hathor, dea della musica. Si tratta didischetti metallici infilati su bacchette chevenivano fatti risuonare scuotendo lo stru-mento. Ve ne sono di varie fogge.

    Sistro di costruzione moderna

    Nella vasaria apula e campana presente anche uno stru-mento a forma di scaletta, di cui difficile stabilire la na-tura e la sonorit

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    tura e la sonorit.

    C tuttavia chi nega che si tratti di un vero e

    proprio strumento, ma piuttosto un attrezzoper la tessitura. Liconografia mostra talvoltaatteggiamenti di impiego che potrebbero es-sere caratteristici di uno strumento musicale.

    Il numero dei gradini sulla scaletta pu variare tra sei eventi, ed in alcuni dipinti vi un piccolo punto nel mezzodel gradino. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che possatrattarsi di una specie di sistro, altri un qualche tipo distrumento a percussione, forse addirittura qualcosa disimile ad uno xilofono...Il suo posto nella cultura musi-cale dei greci rimane oscuro (Mathiesen, 1999, p. 282)

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    Donna seduta su uno scoglio, mentre tiene nella manosinistra uno xilofono e una ghirlanda nella mano de-stra (J. R. Green, CVA, Filadelfia, Fasc. 22, p. 7). A dire il

    vero lidea che possa trattarsi di uno strumento simileallo xilofono non convince per la mancanza di martel-letti.

    A destra una donna, vestita di chitone discinto inpiedi e tiene sullindice della destra un piccione. Essasi volge verso laltra donna a sinistra che siede tenen-do in mano quel caratteristico strumento a forma discala a pioli che si crede strumento musicale o telaio amano (G. Q. Giglioli, CVA, Italia, Roma, Fasc. 1, p. 10)

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    1.3.5 I timpani

    Ci che viene chiamato timpano in Gre-cia ci che noi chiameremmo un tam-burello, ovvero un tamburo a cornice,che tuttavia poteva essere di proporzionipiuttosto grandi. Era talora provvisto di

    sonagli risonanti sul cerchio a cui era le-gata la pelle. Veniva battuto con la manodestra e sorretto con la mano sinistra.

    Presso il Museo Archeologico di Taranto si trova ancheuna notevole scultura che regge il timpano. Essa accom-

    pagnata dalla seguente

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    pagnata dalla seguenteaccurata descrizione:

    Il suo compito era quel-lo di ritmare i passi di

    danza con la cadenza delsuono, ottenuto percuo-tendo con il palmo dellamano destra la pelle dibue tesa su un cerchio dilegno o di metallo, mu-nito per lo pi di quattromaniglie che ne consen-tivano unagevole impu-

    gnatura, e che costituiscela forma pi semplicedello strumento. Ripro-dotto pi volte nelle raf-figurazioni che ne mo-strano le diverse forme ei particolari ornamentali,era generalmente piat-to e leggero, ma poteva

    presentare anche unaforma cava, a scudo, ed era talvolta corredato da campa-nelli metallici o sonagli, fissati sul telaio da cordicelle chepercuotevano la pelle quando lo strumento, suonato qua-si esclusivamente da donne, veniva agitato (Internet).http://www.museotaranto.it/strumenti_percussione.htm

    Strumento tipico delle feste dedicate a Dioniso, lopossiamo trovare anche in mano ai satiri e natu-ralmente era normalmente impiegato nella danza.

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    Il satiro giovanetto e la menade nellimmagine pittorica (Lecce, Museo Castromediano) approfittano soprattutto deisonagli della cornice. Si tratta di una rappresentazione di arte apula, come del resto il satiro e la precedente scul-tura tarentina, che pur essendo fortemente influenzata dalla vasaria greca ha alcune tipicit illustrate nel saggio di

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    tura tarentina, che pur essendo fortemente influenzata dalla vasaria greca ha alcune tipicit illustrate nel saggio diAnna Maria Di Giulio sulliconografia degli strumenti musicali nellarte apula (1988, p. 108 sgg.). In esso si fa notareche il tamburo a cornice rappresentato sui vasi apuli costituito da due pelli, generalmente dipinte con motiviornamentali, fissate con dei chiodi ad una cornice circolare. Le raffigurazioni tuttavia ci mostrano un solo lato dellostrumento. In una delle sue orazioni politiche, Demostene ci parla di pittori decoratori di tympana: il loro lavoro

    consisteva nel dipingere motivi ornamentali sulla membrana dello strumento... I tamburelli apuli differiscono daquelli attici per alcuni particolari. I nostri infatti hanno una ricchezza di ornamentazione, di nastrini, di sonagli edi maniglie non riscontrabili sugli strumenti greci. Inoltre i tamburi apuli sono generalmente pi grandi di quelli at-tici cui si pu attribuire di solito un diametro di circa 30 cm. contro i 40-50 dei nostri(p. 111). Specificamente a pro-posito della raffigurazione precedente si osserva che essa, risalente al IV sec. a. C., rappresenta una scena di cultodionisiaco: Vi sono raffigurati una menade e un satiro con due tamburi a cornice simili. Lo strumento, in rapportoalla taglia dei personaggi, pu avere una dimensione congetturale di circa 40-50 cm. di diametro...La decorazionedella membrana molto semplice essendo costituita da puntini disposti a circonferenza. Questo motivo decorativo ricorrente: a volte si presenta pi complesso, ma generalmente i motivi geometrici seguono schemi concentrici,

    partendo dal centro della pelle e assecondando la forma dello strumento. Sulla cornice si possono vedere dei puntiche probabilmente indicano i chiodi che fissavano la pelle al telaio. Questi tamburi sono forniti, sulla fascia dellacornice, di dischetti bianchi che rappresentano sonagli, forse di metallo (p. 112). Interessante a questo proposito ilfatto che talora venivano applicate alla cornice con una cordicella delle sferette di legno che percuotevano la pelleruotando lavambraccio (p. 113). Si tratta di un dettaglio ancora oggi presente in tamburelli duso popolare.

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    1.4. Lorgano idraulico questo strumento e il suo impiego un fatto filologico.La parola organon in greco una parola molto comuneper indicare uno strumento in genere. In questo modo la

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    HydraulisLorgano idraulico - hydraulis - non entra nelle nostre

    considerazioni per una problematica propriamentemusicale, perch non sembra aver rilevanza nellam-bito della musica greca e tanto meno in quello dellasua teoria. Ma vi entra per una problematica generaledi grande interesse, dal momento che forse il primoesempio conosciuto di strumento meccanico. Esso

    viene descritto dal matematico greco alessandrinoErone, vissuto tra il II e il I sec. a. C. (ma vi chi spostala data di vita nel I sec. d. C. e forse oltre) e dallarchi-

    tetto romano Vitruvio (I sec. a. C.). Ma va fatto in primoluogo il nome di Ctesibio di Alessandria, personaggio

    vissuto probabilmente nel III sec. a. C., al quale sem-bra si debba il progetto pi antico, ma di cui non si sapraticamente nulla. Ci che ha tenuto per lungo temponascoste o trascurate le testimonianze sulla presenza di

    pe d ca e u o st u e to ge e e questo odo ausava ancora S. Agostino. Ci poteva generare svariatiequivoci. Lorgano ideato da Ctesibio era uno strumen-to assai particolare e nuovo. Esso aveva una peculiarit:utilizzava lacqua per regolare la pressione dellaria,

    immessa, come nei moderni organi, attraverso mantici.Compare perci il riferimento allacqua che sconcer-tava gli interpreti. Cos incontrando espressioni che inqualche modo alludevano ad organi idraulici, si parla-

    va genericamente di strumenti ad acqua senza natural-mente sapere di che cosa si potesse trattare. I progettidi solito attribuiti a Ctesibio vennero ripresi da Ero-ne, famoso matematico e inventore di congegni mec-canici, e di cui rimasta lopera intitolata Pneumatica.

    Erone in una traduzione tedesca dellaPneumatica (1688)

    Qual lorigine dellinvenzione di Ctesibio? abbastan-za naturale pensare che egli arri