g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

561
1 Album per la teoria greca della musica Giovanni Piana 2010

Transcript of g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

Page 1: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

1

Album per la teoria greca della musica

Giovanni Piana 2010

Page 2: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

2

«La sapienza antica dei Greci sembra essere

legata soprattutto alla musica»

(Ateneo)

«Butta via quella roba. Nessuno ha mai trovato capo o coda alla musica greca, nessuno mai lo troverà» - cit. da Gustave Reese, La musica nel medioevo (1940), trad. it. , Rusconi, Milano 1990, p. 30.

Page 3: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

3

Questo libro è dedicato a Valentino Piana- diletto a Mercurio dal piede alato -

che stringe il mondo in una sola mano

Page 4: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

4

Page 5: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

5

INDICE

1.1 Gli strumenti a fiato - p. 231.1.1 L’aulos

1. Lo strumento - 2 Quale era il suono del’aulos? - 3 Il plagiaulos - 4 La musica gre-ca era monofonica? - 5 La polemica antipolifonica rinascimentale e la teoria della monofonicità della musica greca

1.1.2 La siringa (syrinx)

1.1.3 La tromba (salpinx)1.1.4 Il corno (keras)

1. Gli strumenti della musica greca - p. 19

Presentazione - p. 16

1.2. Gli strumenti a corda - p. 511.2.1 La lira

1.2.2 Il barbitos

1.2.3 La cetra

Page 6: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

6

1.2.4 La forminx

1.2.5 L’impiego del plettro

1.2.6 L’arpa

1.3 Strumenti percussivi - p. 931.3.1 I crotali1.3.2 I cimbali1.3.3 Il krupalon1.3.4 I sistri1.3.5 I timpani

1.4. L’organo idraulico - p. 109

2. Gli strumenti musicali e l’immaginazione mitica - p. 1192.1. Premessa - p. 123

2.2 Dioniso - p. 1242.2.1 Le menadi2.2.2 I satiri2.2.3 La vendemmia di Dioniso

Page 7: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

7

2.3 Apollo - p. 143

2.3.1 Dionisiaco e apollineo in Nietzsche

2.3.2 Il canto dell’Olimpo

2.3.3 Apollo musagete

2.3.4 Nascita di Apollo

2.3.5 La cetra e l’arco

2.3. 6 Apollo e il pitone

2.3.7 I lati oscuri di Apollo

2.4 L’invenzione della lira e dell’aulos - p. 1612.4.1 Ermes

2.4.2 Atena

2.5 Marsia ovvero la barbarie di Apollo - p. 175

2.6 Il mondo del dio Pan - p. 1872.6.1 I fauni e le ninfe 2.6.2. Il dio Pan2.6.3 Storia di Siringa2.6.4 Storia di re Mida

Page 8: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

8

2.7 Orfeo - p. 203

2.7.1 La lira di Orfeo2.7.2 La morte di OrfeoAnnotazione: la morte di Orfeo secondo Picasso

3. I filosofi che cantano - p. 2193.1 Il volto di Pitagora

3.5 Chi è Pitagora?

3.7 Viaggi di Pitagora

3.2 Vita di Pitagora3.3 Acusmatici e matematici3.4 Scienza e immaginazione

3.6 Pitagora e Apollo

3.9 I filosofi che cantano3.8 I prodigi di Pitagora

4. Gli inizi della teoria della musica - p. 2534.1 Il principio del numero4.2 Il fabbro armonioso4.3 Jubal - Chi era costui?4.4 Commenti al racconto del fabbro armonioso

Page 9: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

9

4.6 Il monocordo come strumento di misura4.5 L’invenzione del monocordo

5. La matematica pitagorica - p. 2855.1 Numeri, rapporti e proporzioni - p. 288

5.2 I numeri figurati - p. 296

5.1.1 Il logos5.1.2 L’analogia

5.2.1 La lavagna di Pitagora nella Scuola di Atene di Raffaello

5.2.2 La Tetractys

5.2.4 Sviluppi e commenti sui numeri figurati5.2.3 Cenni sui numeri figurati

5.2.6 I numeri eteromechi

5.2.5 I numeri quadrati

5.2.7 I numeri figurati e l’idea di matrice

Page 10: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

10

5.4 I numeri irrazionali - p. 326

5.5 L’armonia delle sfere - p. 330

5.3 Le opposizioni pitagoriche - p. 3195.3.1 Le opposizioni pitagoriche e il loro senso

5.3.2 L’opposizione illimitato/limitato in Filolao

6. Il reperimento dei rapporti fondamentali sul monocordo - p. 339

6.1 Il monocordo senza graduazione - p. 3436.1.1 Il metodo delle sottrazioni successive6.1.2 Osservazioni sul metodo delle sottrazioni successive 6.1.3 Il quaternario

6.2 La divisione in quattro del monocordo - p. 355

6.3 La divisione in dodici del monocordo - p. 361

6.3.1 La considerazione “lineare” dell’intervallo

6.3.2 I rapporti consonantici espressi con i numeri 6,8,9,12

Page 11: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

11

7. Tematica delle medie - p. 3697.1 Media aritmetica, media armonica e media geometrica - p.373

7.1.1 L'affermarsi del problema delle medie7.1.2 Le formule delle medie

7.2 Le medie secondo le definizioni di Archita - p. 3777.2.1 Media aritmetica

7.2.2 Media geometrica

7.2.3 Media armonica

7.3 La media geometrica - p. 3877.3.1 Ottava, rapporti epimori, media geometrica.

7.3.2 Ripresa del problema dei numeri irrazionali

7.3.3 Duplicazione del quadrato e media geometrica

7.3.4 Media geometrica e il problema del tetragonismo

7.3.5 Conseguenze sulla teoria pitagorica della musica

Page 12: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

12

8. Discussione sulla cosiddetta “scala pitagorica”- p. 3978.1 Il problema della validità degli intervalli e della formazione della scala - p. 401

8.1.1 La costruzione della scala attraverso le medie8.1.2 Costruzione della "scala pitagorica" attraverso il ciclo delle quinte

8.2.6 Costruzione della “scala pitagorica” e metodi di accordatura

8.2.2 L’apotome

8.2.3 Il comma

8.2 Precisazioni e commenti - p. 408

8.2.5 L’andamento discendente della scala

8.2.1 Tono e limma

8.2.4 Il calcolo pitagorico del comma come rapporto

8.3 Eccessi del matematismo pitagorico - p. 4228.3.1 Il problema della consonanza di undicesima

8.3.2 La soluzione di Tolomeo e quella di Gaudenzio

8.3.3 I tentativi di costruire scale con rapporti epimori

Page 13: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

13

9. Il tetracordo - p. 4319.1 Il tetracordo come spazio sonoro fondamentale - p. 4339.2 Il tetracordo diatonico di Filolao - p. 4379.3 I nomi delle note - p. 439

10. I generi - p. 451

10.1 Prima dei generi - p. 45510.2 I generi e le loro differenze - p. 45910.3 L'indicatore del genere - p. 462

10.4 L’alterna vicenda dei generi - p. 46410.5 Il pyknon - p. 46710.6 La teoria dei generi e i tetracordi di Archita - p. 468

Page 14: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

14

11. Aristosseno e la teoria dei generi - p. 479

11.1 Un nuovo concetto di intervallo - p. 483

11.1.1 L'illimitatezza del numero delle lichanoi

11.1.2 L'esperienza dell'intervallo

11.1.3 Differenze rispetto alla posizione pitagorica, il problema del geometrismo e della matematica degli irrazionali

11.2 Il significato delle misure aristosseniche - p. 492

11.2.1 La divisione in trentesimi dell'intervallo di quarta11.2.2 Una ipotesi sulla scelta del trentesimo di quarta11.2.3 La presunta equalizzazione operata da Aristosseno

11.3 La teoria dei generi secondo Aristosseno - p. 498

11.3.1 Il punto di vista funzionale

11.3. 2 Confronto tra i generi di Archita e di Aristosseno

Page 15: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

15

12. Il sistema completo - p. 50512.1 Introduzione - p. 509

12.1.1 Sistemi, toni, armonie

12.1. 2 Le specie (eidos, schema)

12.1.3 Metabolé

12.2 Il sistema completo - p. 51712.2.1 L’ampiezza dello spazio sonoro nella musica greca

12.2.3 Il sistema completo piccolo e la sua integrazione nel grande

12.2.4 Le specie di ottava

12.2.5 Il problema della trasposizione e la "modulazione della melodia”

12.3 Identità e mutamento nel sistema completo - p. 53312.3.1 Tesi e dynamis12.3.2 La prospettiva dinamica e tetica nell'intero spazio sonoro

12.3.3 L’immutabilità del sistema completo

12.2.2 Il doppio tetracordo di base come fondamento del sistema completo

Page 16: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

16

Presentazione

Nel 1998 tenni un corso universitario che, in una sua sezione, riguardava la teoria greca della musica. In realtà ero interessato, all’interno di una tematica generale di filosofia della musica, a mettere l’accento sul fatto che, rispetto al linguaggio musicale della nostra tradizione, gli stessi materiali di base venivano prospettati secondo angolature profondamente diverse, e nello stesso tempo riccamente teorizzate entro un ampio quadro filosofico e immagina-tivo. Con ciò intendevo fornire ai miei giovani ascoltatori un’esemplificazione di un linguaggio della musica assai diverso da quello a loro prevalentemente noto, con le proprie regole e la propria grammatica, mostrando al tempo stesso il suo radicamento nella vita e nel contesto filosofico e culturale in cui esso agisce. Ma di sbieco cercavo di accennare a molte altre cose. Compito ambizioso, ma che io svolsi entro un ambito necessariamente e volutamente limitato.

Eppure debbo confessare che già allora mi lasciai un poco trascinare dalle mie antiche passioni per la grecità che mi avevano fatto oscillare per qualche tempo, per quanto riguarda il mio futuro di studente universitario, tra la filo-sofia antica e la filosofia teoretica. Mi piace ricordare qui che il primo corso universitario che seguii presso l’uni-versità di Milano fu il corso di Storia della Filosofia Antica tenuto da Mario Untersteiner - grande e indimenticabile Maestro.

Nel riprendere i materiali di appunti di quegli anni, queste antiche passioni si sono ravvivate in modo anche per me un po’ inatteso - cosicché mi sono proposto di estendere l’ambito di discorso, aggiungendovi molte cose che nel frattempo mi sembra di aver meglio compreso, mantenendo così le ambizioni che sono difficili da scacciare, ma anche attenuandole dando alle mie lezioni di allora la forma di un album illustrato. Lo scopo resta ancora quel-lo di fornire un profilo che sia il più possibile dominabile anche da chi non ha interessi strettamente specializzati e che desideri nello stesso tempo varcare la soglia verso le straordinarie dimensioni culturali della problematica che stiamo per affrontare. Uno scopo, dunque, che corrisponde alla mia vocazione didattica. Ma mi sono anche reso conto, nel riprendere tra le mani le mie vecchie carte, che nei problemi che venivano via via discussi e nel modo di affrontarli affioravano di continuo temi di ordine teorico che mi hanno dato negli anni molto da pensare, orienta-menti che, maturati nella trattazione di altri argomenti, tuttavia si facevano sentire in certi punti cruciali come guide anche per organizzare e ripensare i nodi essenziali della teoria greca della musica.

Page 17: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

17

Il lettore che abbia per avventura qualche conoscenza di altri miei lavori non stenterà a riconoscere questa trama sotterranea - si avvedrà ben presto che l’indugio nella problematica pitagorica, che forse potrà sembrare singola-re per un fenomenologo che certamente non può che parteggiare per la posizione di Aristosseno, ha certamente una sua importante motivazione in quella fusione tra conoscenza e immaginazione che spesso ha sconcertato gli interpreti. Ed ancora, per l’aspetto epistemologico, potrà forse avvertire la presenza di Wittgenstein del Tractatus così come quella di Husserl della Filosofia dell’aritmetica nell’interpretazione dei numeri figurati come “metodo di notazione” che, sia pure affiorante qui e là nella letteratura specializzata, tuttavia mi sembra sia diventata partico-larmente pregnante nell’esposizione che mi è sembrato di poterne dare. Così è assai probabile che questa stessa linea di tendenza mi abbia spinto a mostrare nel pitagorismo la presenza dell’idea della ricorsività, di cui mi sono occupato in altri miei lavori, secondo una accentuazione, mi sembra, piuttosto inusuale. Nella teoria greca della musica si coglie un formidabile interscambio tra elementi che formano la sostanza della vita spirituale - l’impulso conoscitivo con la sua esigenza di metodi ordinati e ben codificati, la creatività del mito che segue percorsi tutti suoi eppure non di rado si incontra con quell’impulso, in una fecondazione reciproca, la pratica artistica diretta, la musicalità direttamente esercitata dal citaredo o dall’auleta e che attraversa la parola del rapsodo, la teoria che da un lato è a ridosso di questa pratica, in parte promuovendola ed in parte essendone promossa... e da tutto ciò pote-va forse mancare l’immagine? In realtà debbo un poco ritornare sui miei passi, e correggere il mio dire di poc’anzi quando osservavo che questo lavoro ha preso forma di un album quasi che l’illustrazione attenuasse l’ambizione. Quest’osservazione ha una sua parte di verità - ma ve ne è un’altra che rende più significativa questa mia scelta.

In realtà nella mia personale esperienza didattica l’esemplificazione grafico-illustrativa ha svolto un ruolo, persino per spiegare e discutere argomenti piuttosto astratti. A differenza di molti che ritengono che la consuetudine alle immagini tolga spazio al pensiero ed alla lettura (molti uomini di grande dottrina la pensano così!), io credo che immagine e parola ci parlino entrambi con i linguaggi che sono loro propri con altrettanta efficacia, e che insieme possano mostrarci cose che ci resterebbero del tutto inarrivabili. Ma questo vale tanto più per il nostro argomento. Quando questo mio progetto ha cominciato a prendere forma, mi è accaduto all’improvviso di rendermi conto con enorme sorpresa che, con tutto il greco che ci è stato insegnato, con tutte le vicende omeriche che abbiamo lette riga per riga nelle enfatiche traduzioni ottocentesche di Monti e Pindemonte, non ci è mai stata mostrata una sola immagine di un vaso greco - dico una sola, e proprio mai. Quasi che nella vasaria non ci fosse nulla di interessan-te che riguardasse i poemi omerici, le narrazioni mitiche, la vita quotidiana dei greci, le loro feste, i loro amori, la musica, le danze, i loro riti, gli oggetti d’uso, il loro modo di vestire e tutto il resto. Quasi che la vasaria non fosse arte essa stessa, e grande arte, e spesso grandissima. Eppure il lettore potrà forse concordare con me che queste

Page 18: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

18

immagini, anche quando sono misteriose allusioni che traspaiono da frammenti accuratamente catalogati e messi da parte ammirevolmente da archeologi e cultori della grecità, balza con straordinaria evidenza di fronte a noi una vita apparentemente morta per sempre. Tuttavia in questo album non vi sono solo figure tratte dalla vasaria greca, ma molte appartengono alla grafica e alla pittura successiva. Non sono necessarie molte parole per spiegarne la ragione. Esse mostrano quanto abbiano inciso nell’immaginario della cultura europea le creazioni della classici-tà, con la quale intendo naturalmente anche la fondamentale mediazione operata dalla cultura latina. È qui - nella Grande Grecia, nella latinità che di essa si è fatta coscientemente erede - che abbiamo le nostre radici.

Per tutti questi motivi, questo lavoro ha finito con l’assumere per me un significato che non pensavo inizialmente potesse avere: quello di una sintesi, da una angolatura molto particolare, di un orientamento intellettuale e dei molti pensieri di cui esso è fatto; ed allora è stato inevitabile che nel suo procedere mi sia sentito idealmente attorniato anzitutto da coloro che hanno avuto la pazienza di seguire i miei discorsi nelle aule universitarie così come da co-loro che vanno tuttora consultando i miei testi nel sito internet che li ospita; e non solo attorniato, ma in certo senso anche - voglio proprio dire - custodito e protetto, da tutti quegli “allievi” che di quei pensieri sono stati compagni e interlocutori straordinari e che le mie parole al vento hanno portato a nuovi e concreti sviluppi arricchendole ciascuno con la propria genialità, crescente esperienza ed intelligenza. Tra essi vorrei rammentare almeno Paola Basso e la ricchezza dei suoi interessi epistemologici, teoretici e storico-filosofici; Vincenzo Costa e la sua ripresa creativa e infaticabile delle tematiche fenomenologiche; Elio Franzini che tanto cammino ha fatto sui sentieri della filosofia dell’arte; Ernesto Mainoldi che ha preso le vie per me misteriose del Medioevo; Alfredo Civita che ha sa-puto penetrare originalmente negli oscuri campi della analisi psicologica; Paolo Spinicci che ha dedicato una par-te assai ampia delle sue riflessioni all’universo dell’immaginazione grafica e pittorica, facendo parlare le immagini e riuscendo a mostrare quanta filosofia possa sgorgare da quell’universo. E molto dovrei dire di quei musicisti che hanno coniugato musica e filosofia come Mauro De Martini o fatto della musica la loro vocazione continuando con me un dialogo che non si è mai interrotto, come Sergio Lanza e Andrea Melis. Infine voglio ringraziare Carlo Serra, che è il responsabile effettivo della mia decisione di riprendere l’argomento e di tentare di rinnovarlo in questa forma. Tanto disse e tanto fece che non mi è stato possibile non rimettermi nuovamente al lavoro, provandone una nuova gioia, ed anche per questo gli sono grato al doppio.

Giovanni PianaPietrabianca, 27 marzo 2010

Page 19: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

19

1. Gli strumenti della musica greca

Page 20: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

20

Page 21: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

21

1.1 Gli strumenti a fiato1.2. Gli strumenti a corda

1.3 Strumenti percussivi1.4 L’organo idraulico

Page 22: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

22

Page 23: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

23

1.1 Gli strumenti a fiato

1.1.1 L’aulos

1 Quale era il suono del’aulos?2 Il plagiaulos3 La musica greca era monofonica?4 La polemica antipolifonica rinascimentale e la teoria della monofonicità della musica greca

1.1.2 La siringa (syrinx)

1.1.3 La tromba (salpinx)

1.1.4 Il corno (keras)

Page 24: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

24

Page 25: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

25

L’aulos è uno strumento a canna doppia che qui viene suonato da un satiro. Appesa alla parete vi è la custodia dello strumento.

1.1.1 L’aulos

Page 26: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

26

Lo strumento era molto spesso suonato da donne.L’abito è caratteristico delle suonatrici - si tratta di un abito molto semplice. Nella figura a destra la suonatrice porta anche degli ornamenti e dei monili.

Page 27: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

27

Fino a poco tempo fa la traduzione di aulos era “flauto”, ed ancora oggi si tratta di una traduzione abbastanza fre-quente. Essa è invece erronea, perché fa pensare subi-to - se non al nostro flauto traverso - al flauto diritto che nella sua forma più semplice è una canna in cui sono stati praticati dei fori, che vengono tenuti variamente aperti o chiusi dalle dita per ottenere le note. Uno strumento simi-le certo non mancava in Grecia, come non manca in ogni cultura musicale per la sua semplicità costruttiva, ma era uno strumento “povero”, tipico dei pastori. Anche l’aulos, come mostra l’immagine seguente che pone l’aulos fra le mani di un pastore che cavalca un montone (forse con in-tenzioni comiche) aveva presumibilmente avuto origine pastorale, ma la sua complessità lo destinavano ad un im-piego da parte di persone esperte. In ogni caso esso era qualcosa di completamente diverso da un flauto doppio.

Questa opinione è stata corretta quando ci si rese conto conto della presenza in questa “doppia canna” di una lin-guetta (ancia) che doveva produrre un suono in qualche modo simile a strumenti come l’oboe o il clarinetto. Nel suo libro sulla musica greca Chailley (1979, p. 61) mostra con didattica pazienza che se prendiamo un cannuccia e tagliamo una piccola parte della sua superficie, otteniamo appunto una linguetta che sotto l’impulso del soffio, si mette vibrare, la vibrazione si trasmette alla canna che amplifica questo suono e lo modifica. La timbrica che ne risulta è nettamente diversa da quella di un flauto diritto, anche se può variare notevolmente secondo i dettagli costruttivi dell’intero strumento

Page 28: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

28

La figura mostra una ca-ratteristica cuffia chiama-ta forbeia: essa regge una sorta di museruola con lo scopo di facilitare i com-piti del musicista. Dob-biamo tener presente che le canne sono due, even-tualmente di lunghezza diversa, e che il musici-sta, a differenza del flau-to comune, operava con la mano sinistra e con la mano destra in modo del tutto indipendente. Inoltre è possibile che la forbe-ia servisse a comprime-re il rigonfiamento delle guance in modo da dare più potenza al soffio.

La forbeia normalmente non compare nelle raffi-gurazioni vasarie e ciò fa pensare che essa venisse impiegata solo in parti-colari occasioni in cui si richiedeva un suono par-ticolarmente robusto.

Page 29: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

29

Lo strumento a doppia canna, sia che fosse provvisto di ancia oppure privo di essa, ed in tal caso era effettivamente un doppio flauto diritto, era ampiamente diffuso nell’area mediterranea come mostrano queste immagini che rappresentano figure simili all’aulos rispettivamente in ambito egiziano ed in ambito etrusco.

Page 30: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

30

Mentre l’aulos non ha superato l’antichità classica, il flauto doppio è rimasto sia nella tradizione classica sia in quella popolare eu-ropea. Nell’affresco delle Storie di San Marti-no (L’investitura a cavaliere) (1317) di Simone Martini nella basilica inferiore di San France-sco ad Assisi, vengono rappresentati due me-nestrelli, uno dei quali suona il doppio flauto.

Page 31: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

31

Il doppio flauto calabrese è presente ancora oggi nella cultura popolare della Calabria. «In Calabria il flauto a becco di canna è diffuso anche in un modello bicalamo (fischiotti, frischetti) costituito da due flauti imboccati e diteggiati contemporaneamente — ciascuna mano azio-na una canna. Del tutto simile per morfologia al flauto singolo, il doppio flauto presenta becchi molto sporgen-ti — atti a facilitare la tenuta dello strumento mediante i denti — e, a volte, grandi aperture posteriori/inferiori che servono a intonare le due canne fra loro. Si distin-guono due tipi: I. a paro — canne di eguale lunghezza e diametro, tenute prevalentemente accostate; II. a mezza chiave — canne di diversa lunghezza e diverso diame-tro, tenute in posizione divergente» (Ricci A. e R. Tuc-ci, Strumenti musicali popolari in Calabria. Internet).

Fra gli strumenti popolari vivi ancora oggi vanno rammentate almeno le launeddas sarde, che sono strumenti ad ancia a tre canne, una delle quali fa da bordone. Come risulta da questo schema, il bordone è realizzato dal tubo più lungo (Tumbu) privo di fori, mentre le due canne con i fori sono di lunghez-za diseguale e manovrate la più corta con la mano destra, la più lunga con la mano sinistra. Da reperti archeologici si può stabilire che le launeddas risalgono ad almeno mille anni a. C. «Alcune sue caratteristiche organologiche... nonché la partico-lare tecnica di esecuzione mediante ‘respirazione circolare’ la apparentano con altri aerofoni policalami diffusi nel Sud Me-diterraneo... e lo inscrivono in una famiglia di strumenti che sembra avere i suoi lontani antenati nei clarinetti bicalami egi-zi e sumeri. In questa famiglia le launeddas sono il solo stru-mento a tre canne di cui due melodiche» (Giannattasio, 1985, p. 204 - di qui è stata tratto anche lo schema di launeddas).

Page 32: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

32

1 Quale era il suono dell’aulos?

Sui modi in cui l’aulos veniva suonato, sulla sua so-norità, e del resto sui diversi tipi di strumenti riuni-bili sotto questo nome, naturalmente non possiamo avere alcuna effettiva indicazione diretta. Mathiesen, che ha fatto una descrizione dettagliatissima della struttura dell’aulos osserva che l’aulos non suona come un flauto, «ma nemmeno è un oboe” come al-cuni studiosi hanno cominciato a tradurre: «In realtà l’aulos è un aulos e suona in modo dissimile a qua-lunque moderno strumento musicale occidentale» (p. 182). A rigore nemmeno questa affermazione ne-gativa è provabile (altrimenti sapremmo come suo-nava l’aulos). S. Baud-Bovy (1988, p. 218) afferma che

«È stato lo studio della canzone popolare della Grecia moderna a mettere in dubbio nozioni gene-ralmente accettate sulla musica dell’antichità classica»

Egli fa notare analogie sul piano melodico e strut-ture scalari e traendone conclusioni sulla teoria dei generi. Sembra giusto pensare, come del resto è sta-to suggerito da più parti, che gli strumenti popolari, non solo Greci, ma di area mediterranea in genere, potrebbero aver conservato elementi arcaici. Così essi potrebbero aver mantenuto qualche ricordo della timbrica e dei modi esecutivi del passato.

2 Il plagiaulos

Secondo alcuni vi era in Grecia anche un flauto traver-so chiamato plagiaulos: «Vi era un antico strumento che in realtà era una una canna singola del tipo del flauto, che veniva tenuto transversalmente, come il moderno flauto traverso. Esso veniva chiamato plagios aulos op-pure plagiaulos in greco, obliqua tibia in latino. Il pla-giaulos era interamente confinato all’ambiente pasto-rale, e non appare nella letteratura e nell’arte greca fino al periodo ellenistico (a partire dal terzo secolo a.C.).

La traduzione ‘flauto’ dovrebbe perciò essere ristretta solo a questo strumento, e non usata per qualunque al-tro tipo di aulos; e nemmeno dovrebbe essere usata ri-ferendosi ad un periodo anteriore» (Landels, 1999, p. 24). Secondo altri si trattava comunque di uno strumen-to ad ancia tenuto lateralmente (Chailley, 1979, p. 213)

Page 33: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

33

3 La musica greca era monofonica?

La tesi tanto spesso ripetuta secondo cui la musica greca sarebbe stata rigorosa-mente monofonica, senza accompagnamenti o controcanti - tesi ulteriormente appe-santita dall’idea che essa fosse del tutto priva di autonomia rispetto al canto vocale, e che quindi il musicista si limitasse a ripetere nota per nota il canto del cantante oppure al più a raddoppiare il canto in ottava - ha qualche appoggio nei documen-ti. In un’opera attribuita ad Aristotele intitolata Problemi musicali, nell’oss. 18 si legge: «Perché solo l’accordo di ottava viene usato nell’esecuzione vocale? E difat-ti nell’accompagnamento si usa quest’accordo e non altro»(Aristotele, 1957, p. 43). Con ciò si esclude persino un accompagnamento per quinte o per quarte. A mio avviso questa tesi deve essere ritenuta assai dubbia, o comunque non facilmente generalizzabile. Si è anche pensato (Westphal, cit. ivi p. 98) che l’affermazione dei Problemi debba essere interpretata come una sorta di ammonimento, e quindi che essa presupponga che taluni musicisti usavano accompagnamenti più complessi. Questa è una situazione abbastanza comune che ha indotto in errore molti interpre-ti. Spesso i teorici sono ostili alle innovazioni ed alle nuove pratiche musicali e per-tanto le loro opinioni talvolta documentano a rovescio le pratiche musicali correnti.

In ogni caso, per nutrire qualche dubbio ben fondato io penso che basti guardare l’au-los: una musica strettamente monofonica avrebbe fra i suoi strumenti principali uno stru-mento eminentemente caratterizzato dalla capacità di realizzare due voci! In argomenti che riguardano la musica, la filologia nel senso più stretto non dovrebbe precludersi qualche riflessione di ordine semplicemente musicale. Quale musicista avendo tra le mani un aulos o un doppio flauto si metterebbe a suonarli all’unisono, come se ne avesse uno solo? Questo argomento “musicale” sarà certo accettato da pochi perché, in effetti, non è un argomento, ma al massimo una sorta di richiamo dell’attenzione nella direzione in cui sarebbe opportuno rivolgere la ricerca.

Contro l’idea, anch’essa piuttosto dubbia sotto il profilo musicale che il musicista si

Page 34: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

34

limitasse a ripetere nota per nota il canto del cantante, credo che si possa far valere proprio un passo di Platone in rap-porto al modo di accompagnare il canto con la lira che, letto malamente, sembra confermare la tesi monofonica: essendo un’osservazione di carattere generale essa vale per la lira come per l’aulos. Come abbiamo osservato poc’anzi, mo-strando ciò che non si dovrebbe fare, Platone mostra soprat-tutto ciò che veniva fatto. Egli ammonisce infatti a

«...usare i suoni della lira in vista della purezza delle sue note, facendo in modo che i suoni dello strumento siano all’uni-sono con quelli della voce: suonare in modo diverso dalla voce, far variazioni sulla lira, quando le corde danno suoni diversi da quelli voluti dal poeta che ha composto il canto, comporre la sinfonia e l’antifonia accostando suoni frequenti e suoni rari, rapidi e lenti, acuti e gravi, e si-milmente adattare ai suoni della lira ogni sorta di variazioni di ritmo: l’insegnamen-to di tutto questo non bisogna impartire ai fanciulli...» (Leggi 7, 812 - 1971, p. 247).

Vi è in questo passo anche una difficoltà che riguarda le pa-role “sinfonia” e “antifonia” che riguardano da vicino questa nostra discussione.

Con “sinfonia” naturalmente si intendono suoni “concordanti” - dunque consonanze. Con “antifonia” nei Proble-mi pseudo-aristotelici si intende in tutta chiarezza il canto in ottava. Così alla voce Antiphonia, il dizionario Grove scrive: «Nella teoria greca e bizantina, l’ottava (o doppia ottava) e il cantare in ottave». Ma vi è anche un altro senso

Page 35: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

35

musicale del termine, più tardo, in cui ci si richiama ad un contrasto, in particolare nella musica corale. Grove, sotto Antiphony: «Termine musicale in cui un insieme è diviso in due gruppi distinti, usati in opposizione, spes-so spaziale, ed usando contrasti di volumi, altezze, tim-bri, ecc». Quasi sicuramente in Platone il senso è quello antico ed egli vuol dire che non bisogna andare oltre la “sinfonia” e l’”antifonia” - il cantare o il suonare in otta-va - evitando accostamenti di altri suoni, quindi introdu-cendo una varietà sia negli sviluppi melodici che negli accompagnamenti ritmici come si era invece soliti fare.

Tenendo conto di queste considerazioni, mi sembra ec-cessiva la prudenza con la quale Mathiesen tratta l’ar-gomento. Egli scrive che l’aulos veniva normalmente suonato in coppia e che «è poco chiaro se le canne suo-nassero all’unisono o in qualche altro modo». Poiché le mani degli auleti delle rappresentazioni vasarie sembra-no avere la stessa posizione e dunque chiudere gli stessi fori di qui seguirebbe la “ragionevole assunzione” che le due canne suonassero all’unisono; o al massimo per consonanze di ottava o di quinta. Fatta questa premessa egli ammette tuttavia che gli auleti «potrebbero aver svi-luppato la pratica di suonare nota contro nota oppure di suonare linee separate - una canna facendo da bordone e attribuendo all’altra un ruolo più attivo»(1999, p. 218).Ammissione realmente troppo debole!

L’idea della monofonicità della musica greca continua in realtà ad essere ribadita spesso in modo molto netto ed esclusivo.

Ad esempio, secondo Landels (1999, p. 41) non vi pos-sono essere dubbi che le due canne dell’aulos suo-nassero all’unisono, e questo in conformità all’idea generale secondo cui «non vi è alcuna prova (eviden-ce) di polifonia (in un senso qualsiasi del termine)

nella musica greca» (p. 45). A suo avviso il passo precedente-mente citato di Plato-ne mostra al massimo che lo strumentista si concedeva qual-che ornamentazione. Inoltre, poiché alcu-ne rappresentazioni propongono disposi-zioni non eguali delle mani cosicché risul-terebbe da esse piut-tosto chiaro che ven-gono eseguite due parti, Landels ritiene di poter affermare che esse non sono al-tro che rozzi tentativi da parte del pittore di mettere la figure in prospettiva. Dove c’è evidence semplice-mente la si toglie.

Page 36: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

36

Trovo comunque interessante il tentativo di Landels di rispondere alla domanda che noi ci siamo posti fin dall’inizio: se gli auloi sono due, perchè mai suonarli all’uni-sono? Questa la sua risposta: «La ragione è che due strumenti a fiato insieme pro-ducono un qualità sonora totalmente differente. Le due note sono molto vicine, ma non hanno esattamente la stessa altezza, e questo produce un battimento o un effet-to di tremolo; un suono simile è realizzato dal registro vox humana dell’organo mo-derno, che ha due canne metalliche per ciascuna nota, una di intonazione legger-mente diversa rispetto l’altra. Il grado della differenza di altezza, e di conseguenza la velocità e l’intensità dei battimenti potrebbero essere controllati da un abile ese-cutore, contribuendo indubbiamente al carattere o all’ethos della musica»(p. 43)

Non possiamo dunque farcene proprio nulla della chiarissima dichiarazione dello PseudoPlutarco a proposito delle innovazioni musicali di Laso di Ermione? Egli dice testualmente: «Fu Laso di Ermione che trasferendo i ritmi alla sfera del ditirambo, e adattando ad esso, imitando la polifonia degli auloi ( ), una sca-la più estesa e nello stesso tempo una scala più finemente suddivisa, produsse un cambiamento nel sistema esistente della musica» (Plutarco, De musica, 29 - Edmonds, 1924, p. 225 ) . L’espressione “polifonia degli auloi” è una traduzione a calco e cre-do che la possibile supposizione che essa debba essere intesa come se si alludes-se ad una molteplicità di auloi in azione sia solo la conseguenza di un partito preso sulla pretesa monofonicità della musica greca.Naturalmente come esistevano diversi tipi di auloi, così potevano esservi diversissimi modi di suonarlo, dipendenti, tra l’al-tro dalle abilità dello strumentista oltre che dalle sue decisioni. Ora poteva suonare all’unisono, ora impiegare una canna come bordone, ora realizzare un vero e proprio controcanto, ora limitarsi a semplici varianti ornamentali, e persino ottenere varianti timbriche secondo l’ipotesi di Landels. A parte ogni “prova”, così ragiona chi ragiona musicalmente: la ragione musicale può forse servire, in assenza di documentazioni impossibili, da un lato a stabilire un punto di vista dal quale gli indizi possono ricevere interpretazioni molto diverse, dall’altro ad evitare false generalizzazioni, come racco-manda molto giustamente Curt Sachs: «In una èra di quasi duemila anni e all’interno

Page 37: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

37

di un impero immenso mutarono probabilmente gli stili esecutivi non meno di quelli architettonici e delle arti belle. Il singolo auleta frigio che accompagnava la tragedia greca e che un poeta si era augurato che tacesse a causa della sua ‘loquacità’, di certo oscurava l’idea melodica con cascate di passi virtuosistici e volatine o roulades alla maniera degli oboisti orientali di oggi. Il suo stile esecutivo potrebbe es-sere stato molto diverso dall’arte di quella fanciulla auleta che di prima mattina con Alcibiade ubriaco andò a picchia-re e strepitare alla porta per partecipare al simposio pla-tonico con Agatone. Ed entrambi questi stili di esecuzione potrebbe essere stati diversi a loro volta da quello degli au-leti in gara ai giochi pitici di Delfo» (Sachs, 1980, p. 159). Di analoga opinione è West che scrive: «Le canne accoppiate sono ancora ampiamente usate nei Balcani e nei paesi isla-mici dall’Egitto fino all’Estremo oriente, benché esse sono quasi sempre fissate insieme a tal punto che le dita pos-sono coprire i fori in entrambe le canne in una volta sola, qualcosa che non si è mai vista con gli auloi greci. “Non di rado una delle due canne ha meno fori che l’altra, in modo da provvedere per tutti i generi di accompagnamento dal puro e semplice bordone sino ad ingeniosi contrappunti ritmici e armonici” (A. C. Baines in A. Baines (ed.), Musical Instruments Through the Ages, 1961). Anche nell’antichità vi poteva essere la varietà. Non dovremmo prendere per garantito che una singola forma di relazione tra le canne persistette immutato attraverso i secoli nel corso dei qua-li l’aulos stesso conobbe una considerevole evoluzione e suonatori particolarmente abili furono sempre interessati ad impressionare il pubblico con nuove imprese virtuosisti-che» (West, 1992, p. 103).

Page 38: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

38

4 La polemica antipolifonica rinascimentale e la teoria della monofonicità della musica greca

C’è tuttavia un altro problema a mio avviso di partico-lare importanza sul quale mi sembra che gli studiosi abbiano attirato poco o nulla l’attenzione. Se ci si chie-de quando ed a chi è potuto venire in mente di parlare della musica greca come un’arte esclusivamente mo-nofonica, la risposta non può essere dubbia: ciò accade nel pieno della polemica anti-polifonica in età rinasci-mentale, quando le istanze delle idee nuove pretende-vano di trovare importante sostegno nella grecità. La musica nuova doveva trovare giustificazione nell’anti-ca, e la musica nuova andava appunto predicando la superiorità della semplicità della monodia rispetto alla complessità della polifonia. E dunque non fu certamen-te la musica greca - ancora meno conosciuta di quanto lo sia oggi - ad influenzare i nuovi sviluppi musicali, ma furono questi sviluppi a influenzare la concezione della musica greca.

Tutta la teoria dei moderni sostenitori dell’uniso-no si trova formulata con estrema chiarezza già in Zarlino: «Zarlino parte da un confronto tra la sem-plicità e povertà dei mezzi della musica antica e la ricchezza armonica e contrappuntistica di quel-la moderna citando un passo dei Florida di Apule-io per dimostrare che il più antico tipo di aulos non aveva neppure i fori ‘alla simiglianza di una tromba’.

Benché aulos e cetra fossero in seguito perfezionati e arricchiti, gli antichi non ebbero polifonia né voca-le né strumentale: ‘Al suono di un solo istrumento... il Musico semplicemente accompagnava la sua voce’» (Franchi, 1988, p. 37). S. Franchi rammenta il lavoro di Girolamo Mei che studiò a fondo tutto quanto era noto all’epoca della musica greca e «le cui conclusioni fu-rono decisive per la nascita della moderna monodia. Queste conclusioni si possono riassumere in quattro punti: i Greci non ebbero polifonia, ma solo monodia e canti corali all’unisono; l’accompagnamento stru-mentale era all’unisono con il canto; tragedie e com-medie erano interamente cantate; la pratica polifoni-ca moderna, unendo diverse melodie, registri, figure ritmiche e mal connettendo testo e musica, stravolge ogni possibile effetto picologico» (p. 38). Mei era in rapporto con Giovanni Bardi e dunque con la Camera-ta Fiorentina; Vincenzo Galilei se ne fece portavoce nel Dialogo della musica antica e moderna (1581), che ebbe una grande diffusione in particolare «per le po-sizioni estreme di critica del contrappunto e per i toni entusiastici sulle qualità della musica greca» (p. 38).

Page 39: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

39

Infine Francesco Patrizi, filosofo in contatto con Giovanni Bardi, scrisse un trattato che rappresenta «la prima com-pleta trattazione della pratica musicale dell’antichità. Ri-ferirsi a queste posizioni sulla musica antica, date ormai per certe, divenne una sorta di sigillo nelle prefazioni dei primi melodrammi, presentati volutamente come la ripre-sa della prassi greca» (p. 39).

Stranamente quest’immagine della musica greca, chiara-mente orientata da un dibattitto connesso a motivi musi-cali che non appartengono ad essa, ha fortemente deter-minato anche il punto di vista della filologia e musicologia che la ha spesso ribadita perdendo la memoria della sua origine storica.

Page 40: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

40

1.1.2 La siringa o flauto di Pan

Abbiamo già notato che non mancava nell’antica Gre-cia il flauto diritto - strumento molto semplice presente in ogni cultura (fig. 1) . Inoltre era presente la siringa o il flauto di Pan, strumento che ha tutt’oggi una parte si-gnificativa nella musica popolare in Europa, in Ameri-ca Latina e in Africa. Nelle fig. 2 e 3 è rappresentata la siringa o flauto di Pan in una versione popolare andina.

fig. 1

fig.2fig.3

Page 41: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

41

Siku boliviano

In realtà flauto diritto e flauto di Pan si trovano presenti anche nella antica cultura Inca con il nome rispettivamente di Kena e Antara ed essi accompagnano tuttora i canti all’unisono o all’ottava in Perù (Sas, 1934, p. 1) . Notevole è anche l’impie-go polifonico del flauto di Pan nelle isole Solomon documen-tato da Zemp (1982). La fotografia è tratta da questo saggio.

Foresta amazzonica

Page 42: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

42

P. Picasso, Il flauto di Pan (1923)

La rappresentazione della siringa si ri-trova lungo tutta la tradizione europea. Ed è entrata nell’iconografia pittorica fino a tempi recenti.

Page 43: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

43

La siringa greca non presentava differenze di lunghez-za nelle canne, ma queste venivano otturate all’in-terno per variare l’intonazione (Landels, 1999, p. 70)

La siringa era considerata in Grecia uno strumento po-vero, tipico dei pastori. L’aulos invece apparteneva alla musica colta, praticata da “professionisti” ed eserci-tata nelle situazioni rituali, nelle feste, nei conviti, nella danza e naturalmente nella tragedia e nella commedia.

Page 44: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

44

In realtà la siringa viene raramente rappresentata nella vasaria greca. Qui abbiamo un magnifico esempio di arte greco-apula tratto da un vaso conservato al Museo Archeologico di Taranto.

Nella parte inferiore vengono rappresentati Zeus, a destra, con lo scettro nella mano sinistra ed una corona di al-lora sulla testa; e Dioniso bambino che tende le braccia ad una figura femminile (i nomi delle due divinità sono scritte al di sopra di esse). Alla scena assiste, da un rialzo collinare in cima al quale è stato disegnato un albe-rello, un giovane in figura di satiro che reca appeso ad un bastone la tipica siringa greca di forma rettangolare.

Page 45: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

45

1.1.3 La tromba (salpinx)

Nel Museum of Fine Arts di Boston si trova un esemplare di Salpinx, la trom-ba greca poi diffusa anche a Roma. Si tratta di uno strumento lungo più di un metro e mezzo.

La salpinx veniva suonato con una ma-schera del tipo della forbeia per l’aulos. Il suonatore nell’immagine a sinistra è evi-dentemente un soldato. In effetti Aristote-le in De audibilis spiega che questo stru-mento non ha carattere musicale ma un impiego soprattutto in battaglia. Tuttavia vi è chi sostiene che non sia del tutto da escludere la sua presenza durante le feste.

Page 46: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

46

Page 47: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

47

In questa immagine di arte apula la salpinx viene raffigurata in una effettiva situazione bellicosa. La forma dello strumento appare un po’ diversa dagli esempi precedenti.

Page 48: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

48

4.Il corno (keras)

Fra gli strumenti a fiato troviamo anche il corno fatto con corna di animali. Di esso si ha documentazione letteraria. Mathiesen osserva che «nel caso del corno, dopo aver affermato che i corni morbidi producono il suono migliore, l’aristotelico De Audibilibus (802a18-802b18) aggiunge che cuocendoli viene rafforzato il loro suo-no perché la cottura li rende più secchi e duri» (1999, p. 233).

Forse la documentazione letteraria risulta più persua-siva della documentazione grafica vasaria.In essa in-fatti il corno cavo si presenta di norma in mano ai sa-tiri o a Dioniso come corno potorio, cioè con la palese funzione di un boccale per bere vino.

Anche Mathiesen fa notare che «vi è un certo spazio al problema se il corno sia suonato o usato per bere» (1990, p. 234, n. 169), ritenendo comunque ragionevo-le che lo si debba considerare uno strumento quando è associato ad altri strumenti. Così egli cita la raffigu-razione di un giovane che imbocca il corno dalla par-te più stretta e sembra dunque suonarlo. Ed a con-ferma fa notare che sul versante opposto della coppa viene rappresentato un suonatore di salpinx.

Page 49: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

49

Tuttavia, ad osservare bene la figura proposta, c’è un dettaglio che ci rende un poco perplessi. Il giovane con il corno cavalca... degli otri che normalmente, nelle rappresentazioni satiresche, sono da intendere come pieni di vino. Naturalmente si potrebbe pensare ad una raffigurazione ironica in cui un giovane con un boccale di corno imiti il corno musicale. Il commento dell’immagine parla di “trompette” per entrambe le figure, cosa certamente impropria, ma rileva nel secondo caso che l’efebo cavalca un otre (A. Merlin, CVA, France, vol.17).

Page 50: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

50

D’altra parte la presenza sulla scena di altri strumenti mu-sicali non può essere troppo probante. Ad esempio l’au-leta della figura non sembra aver nulla a che fare con il satiro che regge con la mano destra un corno cavo. E nella figura sottostante l’auleta festeggia Dioniso che si appre-sta ad una libagione.

Boccale a forma di corno in terracotta

Page 51: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

51

1.2 Gli strumenti a corda

1.2.1 La lira

1.2.2 Il barbitos

1.2.3 La cetra

1.2.4 Varianti della cetra

1.2.5 L’impiego del plettro

1.2.6 L’arpa

Page 52: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

52

Page 53: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

53

1.2.1 La lira

Page 54: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

54

Vi è una notevole varietà di strumenti a corda nella Gre-cia antica, che hanno caratteristiche differenti sebbene suonati con tecniche simili. Purtroppo in alcuni manua-li, ma anche nelle scritte descrittive relative soprattutto alla pittura vasaria nei musei, il nome degli strumen-ti viene dato un po’ a caso, prevalendo la dizione lira e cetra, peraltro a loro volta non ben distinte tra loro.

Della lira si ha in genere un’immagine stilizzata e idea-lizzata - quella che talvolta si vede disegnata sui teatri d’opera e nelle sale da concerto di vecchio stile: uno stru-mento dalla forma arcuata ed elegante che si può imma-ginare venga suonato delicatamente con una mano che pizzica le corde tese. La lira conservata al British Museum ci mostra subito che le cose stanno ben diversamente.

Anzitutto la cassa armonica della lira è formata dal guscio di una testuggine e di qui deriva anche il nome di chelys, tartaruga in greco. La presenza di una simile cassa armo-nica permette di differenziare questo strumento da altri analoghi e di documentarne l’esistenza in Grecia almeno a partire dal VII sec. a.C. (Dumoulin, 1992, p. 98).

Nel guscio della tartaruga venivano inserite due corna di animale piuttosto robuste. In effetti «molto spesso gli scrittori antichi, e già dal V sec. a. C. fino al I sec. d. C. in-dicavano le braccia anche come “fatte di corna”. Le corna di animali erano del resto particolarmente adatte come materiale per le braccia e vennero sicuramente anche utilizzate.

Page 55: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

55

È sicuro tuttavia che per la costruzione di questa parte dello strumento venne più spesso utilizzato il legno che pe-raltro può essere facilmente piegato nel modo giusto per assomigliare nella forma a corna di animali» (Dumoulin, 1992, II, p. 231). Questo è appunto il caso dell’esemplare conservato al British Museum. Tra le corna veniva posto un ponte di legno su cui venivano infisse le corde collegate nella parte piatta della testuggine e tenute sollevate da un ponticello.

L’interno della testuggine è stato ri-costruito così:

Page 56: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

56

Il gruppo “Lyraulos” diretto da Panayio-tis Stefos ha realizzato questa ricostruzio-ne moderna della lira, certamente ispi-randosi al modello del British Museum.

www.lyravlos.gr/en.asp

Page 57: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

57

La forma della lira venne sempre più ingentilendosi, come mostra questa bella immagine vascolare del V sec. a. C. Secondo alcuni essa rappresenterebbe Apollo che raccoglie dal corvo informazioni sulle infedeltà di Coronis. Altri identificano nell’uccello un piccione, oppure una gracchia o una cornacchia. Di fronte a questa varietà di interpre-tazioni mi permetto di azzardare una mia personale ipotesi. La figura rappresentata non sarebbe quella di Apollo

- intanto per il fatto che Apollo musico viene per lo più raffigurato, quando si vuol dare enfasi, con la cetra piuttosto che con la lira - benché certo siano numerose anche le rappresentazioni con la lira. Il suo capo, a quanto sembra, è cinto da una corona di mirto. Taluni dicono che si tratti di alloro, delle cui foglie Apollo si cingeva il capo in ricordo del-la ninfa Dafne. Inoltre Apollo sembra dialogare se-renamente con l’uccello, e non esplodere in un’ira funesta. Apollo diede infatti ad Artemide l’ordine di uccidere Coronis, cosa che Artemide puntual-mente fece. Il gesto del versare l’acqua a terra mi sembra difficile da spiegare. Va poi notato che sia il mirto che l’alloro sono segni caratteristici del poeta cantore. Sarei così indotto a pensare che l’identifi-cazione del suonatore con Apollo potrebbe essere dubbia e che l’uccello, piuttosto che un merlo, sia una pernice. Il realismo del colore non è particolar-mente importante in questo genere di rappresenta-zioni. Alla pernice il colore nero non si addice, ma non si addicono del resto alla pittura vasaria le fini sfumature cromatiche delle sue penne.

La mia azzardata ipotesi è dunque che siamo in presenza di un’immagine del poeta Alcmane che dialoga con la pernice da essa apprendendo come si diventa poeti. Se così fosse tutta la raffigurazione diventerebbe più coerente e ci porterebbe alla musica e ai rapporti tra poesia, musica e canto degli uccelli come li si trova illustrati nel bel saggio di Emanuele Fadda, 2009.

Page 58: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

58

Page 59: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

59

Nata come strumento povero, la lira, come la cetra, va annoverata tra gli strumenti colti come dimostra il fatto che era oggetto di insegnamento

Page 60: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

60

Nella rappresentazione a sinistra il maestro suona la lira e l’allievo batte il tempo (V sec. a.C.).

La lira veniva suonata con entrambe le mani - ed era tenuta pres-so il corpo da una cinghia. Analogamente, come vedremo, nel caso dei cordofoni in genere, l’impiego della mano destra e sini-stra è differente. La mano destra stringe qualcosa che ci fa pensa-re ad una sorta di plettro ed operava sulle corde dal lato anteriore.

Page 61: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

61

Anche nella fig. 1 si mostra una lezione di insegnamento della lira. Il suo interes-se sta soprattutto nel fatto che all’allieva viene presentato e svolto un rotolo che ha sicuramente il senso di una partitura scritta. Ciò mostra quanto fosse evoluto l’insegnamento della lira: in particolare la presenza dello spartito implica l’inse-gnamento di elementi di teoria. E natural-mente una pratica compositiva evoluta.

Il frammento in fig. 2 è ancora più espli-cito e mostra come la lettura dello spar-tito riguardo anche uno strumento come l’aulos.

fig. 2fig. 1

Page 62: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

62

Sudan (sec. XIX)

La lira è rimasta in forme assai simili alla lira greca anche nella musica popolare.

In questa pagina vi sono tre esempi di lire africane.

Page 63: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

63

1.2.2 Il barbitos

Page 64: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

64

Assai simile alla lira, con la quale talora viene confuso, il barbitos o barbiton è caratterizzato dalle più ampie braccia e quindi da corde molto più lunghe. Ciò si-gnifica che rispetto alla lira, era in grado di emettere suoni molto più gravi. Inoltre le corde sono legate leggermente più in alto delle braccia, a differenza della lira.

La sua forma è in ogni caso net-tamente riconoscibile nella pit-tura vasaria. In essa il barbitos, insieme all’aulos, lo si ritrova in mano ai satiri, ed è spesso asso-ciato a situazioni di danza e ad atmosfere erotiche.

È possibile che proprio per que-ste sue sonorità gravi esso aves-se la funzione di fornire un ritmo agli auloi, insieme agli strumen-ti percussivi. Perciò lo troviamo spesso fra le mani dei satiri, in-sieme all’aulos.

Barbitos nella ricostruzione di H. Roberts (Dumoulin, 1992, p. 235)

Page 65: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

65

Page 66: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

66

Eros che suona il barbitos. (Louvre)

Nella mano de-stra regge il plet-tro.

La posizione con-sueta dello stru-mento è a metà del busto con le braccia e le cor-de disposte quasi orizzontalmente.

Page 67: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

67

«Il nome ‘barbitos’ fu qua-si certamente una parola straniera e gli antichi tenta-tivi di dare ad esso un’eti-mologia greca dovrebbero essere ignorati. Secondo la tradizione esso fu ‘in-ventato’ da Terpandro, che visse a Lesbo nella metà del VII sec. a. C. , ma ciò può significare che esso fu importato da una cultu-ra musicale in Asia Mino-re all’incirca in quell’epo-ca» (Landels, 1999, p. 66).

Page 68: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

68

Il barbitos si associa spesso nella grafica vasaria al mondo di Dio-niso ed a quello di Ermes. Eschilo in una delle sue tragedie perdute attribuisce il barbitos a Dioniso (Edonoi) (West, 1992, p. 58). Nella figura a sinistra sopra un satiro consegna lo strumento a Dioniso. Sotto: aulos e barbitos sono suonati da satiri. Nel mezzo, Ermes.

Page 69: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

69

Alceo e Saffo

Page 70: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

70

Il suono del barbitos, oltre che ben associarsi agli auloi, alle nacchere, e dunque alle feste danzanti non di rado a sfondo erotico, piaceva anche ai poeti.

«Il barbitos è menzionato da Anacreonte, benché Saffo e Alceo facevano riferimento ad uno stru-mento chiamato barmos che per alcuni antichi scrittori rappresenta lo stesso strumento. Esso ap-pare nell’arte attica ad un tratto nell’ultimo quarto del sesto secolo, e la sua presenza si indebolì nella seconda metà del quinto. È stata fatta l’attraente ipotesi che esso fosse portato ad Atene da Anacreonte quando venne ad Atene da Samo. Certamente gli viene associato dai pittori di vasi e nelle più tarde allusioni letterarie» (West,1992, p. 58)

Naturalmente i poeti amavano non solo il barbitos, ma in generale la lira, la cetra, la forminx, l’arpa... Essi sono musicisti cantori, e quello strumento che sta nelle loro mani è nello stesso tempo voce poetica - suono e immagine.

Così Saffo (118) si rivolge alla propria lira (chelys):

Orsù, lira divina,parla tu,

sii tu la mia voce

E Anacreonte (19.1) accompagna con i suoni dell’arpa (magadys) la fiorente giovinezza di Leucaspi:

Scorre la mia mano su le venti corde dell’arpa; e tu fiorisci,

o Leucaspi, di giovinezza

Page 71: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

71

1.2.3 La cetra

L’inconfondibile differenza della cetra (kithara) rispet-to alla lira ed al barbitos balzano subito agli occhi dallo schema costruttivo caratteristico - certamente struttural-mente del tutto simile per quanto riguarda la disposizio-ne delle corde ed il modo di emissione del suono, e dun-que anche per quanto riguarda le pratiche esecutive. La diversità sta nell’imponenza dello strumento e nell’ele-ganza della sua fattura. A loro volta le rappresentazioni gli conferiscono una nobiltà ed una dignità che supe-ra, da questo punto di vista, ogni altro strumento greco.

Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Piana
Font monospazio
Page 72: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

72

Page 73: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

73

Nella figura precedente, Nike, l’alata figlia di Zeus annunciatrice di vittorie, regge una grande cetra a cui è appeso, forse a titolo di ornamento, un fascia di tessuto ricamato. Il plettro è agganciato ad una corda e sembra dunque avere forma di gancio, mentre un’altra striscia di stoffa o una fascia di cordini è appesa all’anello a cui e assicurato il plettro. Le dita della mano sinistra pizzicano con evidenza le corde.

La cassa armonica così come le braccia sono di legno, spesso finemente decorato da intarsi, e le sue dimensioni fanno pensare ad un suono particolarmente robusto. Per questa sua fattura e per le sue dimensioni, lo strumen-to tipico di Apollo non è tanto la lira, quanto la cetra. È vero tuttavia che mentre nei vasi a figure nere egli viene rappresentato con la cetra, la rappresentazione di Apollo con la lira finirà con il prevalere (Dumoulin. 1992, p. 248) (anche se mi sembra che vi sia una certa tendenza ad invertire il problema ed a vedere Apollo in qualunque giova-netto che suoni la lira ed una musa, se si tratta di una fanciulla).

Page 74: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

74

La suonatrice sta accompagnando con la cetra il proprio canto. La mano destra regge il plettro che non è attivo come se avesse appena abbandonato le corde. Anche in questo caso la cetra ha come ornamento una fascia di tessuto ricamato, alla base dello strumento ed un’altra di cordini alla sua destra.

Page 75: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

75

1.2.4 La forminx

La forma più antica della cetra che ha una sua fi-sionomia ben distinta e distinguibile nella gra-fica vasaria è assai più semplice e arrotondata alla base. Si tende a considerarla come lo stru-mento con cui si accompagnavano i cantori dei poemi omerici. Landels osserva che essa veni-va chiamata kitharis o forminx (1999, p. 48). .

Page 76: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

76

Page 77: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

77

Anche Mathiesen per illustrare la forminx fa riferimento nelle immagini a questa forma benché noti che il termine ha un impiego molto generale per indicare gli strumenti che appartengono alla classe della lira (1999, p. 253); ed a sua volta la Bundrick pur attribuendo il nome di Forminx a questa variante della cetra, nota che «la terminologia greca per questi strumenti è piuttosto fluida, cosicché i termini di lyra, kitharis, phorminx, chelys, kithara spesso si sovrappongono» (2005, p. 14). Ciò è certamente in parte vero - almeno per i due termini lyra e chelys, che indica-no indubbiamente lo stesso strumento - mentre genera perplessità l’idea che i greci stessi non stabilissero nomi diversi per strumenti così tipicamente differenti. Credo invece che un po’ di confusione sia stata introdotta da un certo disinteresse per le tipologie degli strumenti musicali da parte di filologi e archeologi. In ogni caso forse non è sbagliato convenire di chiamare questo strumento con il nome di forminx in modo da portare ordine, sia pure un po’ convenzionalmente, alla terminologia. Del resto si può comprendere che, come per tutti gli strumenti, vi fossero varianti significative, nelle varie fase di sviluppo della musica greca.

Così una variante della cetra può essere considerato anche uno strumento in parte simile al precedente, per quanto ri-guarda la cassa armonica, ma anche al barbitos, benché con le corde più corde e le braccia molto più ricurve.

Page 78: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

78

1.2.5 L’impiego del plettro

In che modo venisse usato il plettro (plectron) non è un dettaglio di secondaria importanza che risponde solo ad una curiosità di pura tecnica strumentale.

Vi sono spiegazioni che non mi convincono pienamente. Ad esempio, Mathie-sen (1999, p. 247, sgg.) dà senz’altro per ovvio che il plettro sia un vero plettro, come è in uso in numerosi strumenti a corda sia europei che extra-europei: dun-que un pennino flessibile che ha il compito principale di pizzicare le corde. Più precisamente egli osserva che una parte del plettro “sembra avere un corpo in qualche modo flessibile”, e naturalmente questa sarebbe destinata al pizzicare le corde, mentre la parte che è propriamente stretta nella mano del suonatore poteva essere fatta di materiale rigido e duro, come osso, avorio, corno, metallo. In conseguenza di questa interpretazione diventa realmente problematico inter-pretare che cosa facesse la mano sinistra. Secondo Mathiesen, essa non avrebbe la funzione di pizzicare la corda ma piuttosto quella di impedirne le vibrazioni al momento opportuno oppure - con un tocco leggero - di far risuonare dopo il pizzico realizzato attraverso il plettro gli armonici del suono da esso prodotto. Ma si tratta di pure ipotesi, e Mathiesen ammette senz’altro che «non vi sono pro-ve per determinare con precisione che cosa facesse la mano sinistra» (p. 248).

Secondo Chailley, le corde potevano essere sia pizzicate (psallein) dalla mano sinistra sia colpita (kruein) con la mano destra - e

«in quest’ultimo caso bisogna includere l’ipotesi che il plettro passasse sopra tutte le corde in una volta sola con un movimen-to violento, mentre la mano sinistra avrebbe avuto il compito di bloccare le corde che non avrebbero dovuto vibrare» (1979, p. 60).

Page 79: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

79

Interessato a questo problema fu il musicista Camille Saint-Saëns che fu forse il primo a formulare questa ipotesi con molta chiarezza. Egli si chiede:

«essendo lo strumento fissato al corpo del musicista mediante una fascia, la mano destra è prov-vista di un plettro, e la sinistra che traspare dietro le corde mostra molto spesso delle dita allun-gate, cosa che si attribuisce alla ‘ingenuità’ del designatore. La mano sinistra, si dice, aziona le corde. Ma allora a che cosa serve il plettro, che è spesso di dimensioni piuttosto importanti?».

Saint-Saëns sostiene di aver trovato una possibile risposta osservando dei suonatori di strumenti simili alla lira a Ismailia ed al Cairo:

«Ecco ciò che ho osservato con mia grande sorpresa in entrambi i casi. Mentre il musicista teneva la sua mano sinistra distesa dietro le corde, con le dita allargate, la mano destra, con l’aiuto del plettro, attaccava vigorosamente, con un movimento vivo tutte le corde nello stes-so tempo; e risuonavo soltanto quelle non toccate le dita della mano sinistra» (1919, p. 545).

Peraltro in un testo precedente sullo stesso argomento egli aveva aggiunto una forte limitazione:

«Questo modo di procedere sembra assai scomodo a prima vista; tuttavia i musicisti egiziani sembravano esercitarlo con facilità. Benché sia vero che essi eseguivano poche note, sempre le stesse e ripetute indefinitamente» (1912, p. 338).

Saint-Saëns accenna anche alla possibilità aggiuntiva che la mano sinistra sfiorasse la corda, percossa con il plettro, per ottenere il suono armonico corrispondente. A questo proposito egli fa riferimento a

«strumenti di grandi dimensioni, come la lira rappresentata sulla pittura conosciuta sotto il nome di L’Educazione di Achille le cui corde sembrerebbero avere un metro di lunghezza, fornendo perciò suoni gravi». «Sul dipinto in questione, il Centauro, con la mano sinistra, sfiora una corda alla metà della sua lunghezza mentre la mano destra fa risuonare la stessa corda con l’aiuto di un plettro» (1919, p. 173).

Page 80: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

80

L’affresco a cui fa riferimento Saint-Saëns rappresenta Achille istruito dal centauro Chirone si trova ora al Museo Archeologico nazionale di Napoli. Si tratta peraltro di un dipinto tardo di età romana con un tipo di lira che è diffi-cile da esemplificare sulla vasaria greca.

Anche Sachs nel sostenere una tesi analoga fa riferimento ad una tecnica riscontrata nella Nubia:

«la mano destra passa sulle corde con un colpo deciso. e le dita della sinistra stanno distese pres-so alle corde per impedire i suoni non voluti» (Sachs, 1980, p. 148), ammettendo purtuttavia che «su alcuni vasi che portano dipinte scene dove appaiono sonatori di cetra o lira si vedono le dita della mano sinistra pizzicare e non smorzare le corde» (ivi).

Page 81: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

81

Che la funzione essenziale della mano sinistra sia quella di pizzicare le corde è ammesso senz’altro da Landels (1999, pp. 55-56), ma più incer-ta sembra in questo autore la decisione intorno a che cosa faccia questo strano plettro che avrebbe il compito di “percuotere” la corda più che di “pizzicarla”.

In effetti tutto il problema sta qui. Se osserviamo le immagini della lira che abbiamo proposto e quelle successive della cetra e degli altri strumenti affini, a noi sembra di dover mettere in rilievo due circostanze notevoli: il plettro è, rispetto all’esigenza del pizzico, di proporzioni molto grandi, in alcuni casi addirittura enorme; e più che un pennino sembra una vera e propria paletta che possiamo anche immaginare - date le dimensioni - piuttosto rigida. Non si vede come si possa motivare la presenza, in questo oggetto, tenuto saldamente nelle mani del suonatore, di una parte flessi-bile. Nella documentazione on line del Museo Archeologico di Taranto si osserva in rapporto al plettro che

«i materiali utilizzati erano di diverso tipo, come il le-gno, l’osso, l’avorio, il metallo e persino, in un caso, una pietra preziosa come lo smeraldo, così come as-sai varia era la forma dell’oggetto stesso, a bastoncel-lo, a linguetta, a petalo. In ogni caso, comunque, esso terminava con un uncino, che talvolta assumeva la for-ma di una T o di una freccia, e che serviva a percuo-tere le corde dello strumento da suonare, al quale il plettro era in genere unito mediante una cordicella».

Nulla dunque di lontanamente simile ai plettri che conosciamo. Soprattutto sorprendono non solo i materiali ma anche le forme. Pur non potendo es-sere generalizzata, noi stessi abbiamo potuto vedere in una raffigurazione un plettro che poteva essere agganciato ad una corda. Di queste forme

Accordatura di una lira

Page 82: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

82

che non impediscono certo di “pizzicare” le corde, ma che certo non sono prima-riamente adatte a questa funzione, occorre rendere ragione. L’altro dettaglio che, a mio avviso, potrebbe essere significativo e che nelle spie-gazioni citate non viene preso in considerazione è che il plettro sembra quasi sempre lavorare presso il ponticello dello strumento o addirittura al di là di esso. Inoltre di rado esso viene mostrato direttamente in azione. Naturalmente anche una paletta priva di flessibilità può fare risuonare una corda o una serie di corde in successione. Ma le osservazioni precedenti ci fanno pensare che questa non fosse la sua funzione principale. Se si trattasse di una vera e propria palettina rigida, fatta di un materiale in ogni caso duro, e tanto più con una forma finale a T o anche tondeggiante come un cucchiaio o come un uncino, essa sarebbe particolarmente adatta a premere su una corda, in prossimità del punto del pon-ticello, piuttosto che pizzicarla. Una simile pressione avrebbe come conseguenza quella di alterarne provvisoriamente l’intonazione. Infatti si opererebbe un ac-corciamento della parte vibrante corda, con conseguente innalzamento dell’al-tezza. La pressione potrebbe essere esercitata in vari punti della corda in modo da rendere possibili differenze significative di altezza. Va da sé che l’emissione sonora non sarebbe dovuta al plettro ma al pizzico della mano sinistra. Inoltre è chiaro che se si pizzica la corda con la mano sinistra e nello stesso tempo si fa scivolare per un breve tratto il plettro sulla corda nell’una o nell’altra direzio-ne si ottengono dei suoni glissati - anche se non vi è dubbio che il modo prin-cipale di impiegare i cordofoni in Grecia era la produzione di note nettamen-te definite - o meglio questa era la vocazione che ad essi attribuivano i teorici.

Occorre perciò, a mio avviso, attribuire alla mano sinistra il compito essenzia-le di pizzicare le corde e di realizzare movimenti melodici; mentre questa “pa-letta” - a differenza dei nostri plettri - non avrebbe tanto la funzione di mette-re in vibrazione le corde, ma di realizzare variazioni nell’accordatura di base dello strumento con effetti espressivi conseguenti sulle strutture melodiche realizzate nel gioco delle dita della mano sinistra; senza escludere natural-

Page 83: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

83

mente altri possibili impieghi come quello della produ-zione di “arpeggiati” su tutte le corde della lira, alcune delle quali eventualmente smorzate con la mano sinistra.Tutto il problema risulta fin dall’inizio mal impostato anzi-tutto per la soverchia importanza data alla posizione stan-dard della mano sinistra come mano con le dita distese, ed in secondo luogo per l’idea che la funzione dell’una o dell’al-tra mano debba essere necessariamente una sola. Come si comprende, non si tratta di una questione tecnica indif-ferente ma di cercare di rendersi conto dei tipi di sonorità che il musicista greco riusciva a trarre dai propri cordofo-ni e del tipo di musica che egli poteva riuscire a realizzare. Uno degli aspetti che talvolta sono apparsi misteriosi è il fatto che

«la mano sinistra è più spesso in azione ri-spetto alla mano destra con il plettro. Stes-sa impressione deriva anche dalle opere pittoriche. Mentre la sinistra quasi sempre tocca le corde, il plettro sembra in attività piuttosto raramente. In particolare anche quando si canta accompagnandosi con lo strumento il plettro sembra sempre essere tenuto a distanza dalle corde mentre la mano sinistra le pizzica» (Dumoulin, 1992, p. 245).

In effetti si tratta di una stranezza che non può certo essere spiegata dall’assunzione che il plettro abbia appena tocca-ta la corda e si sia poi sollevato da essa. Questo problema verrebbe meno nell’interpretazione proposta dal momento che in base ad esso il pletro interverrebbe solo in particolari circostanze. Ma l’ipotesi della “pressione” e di conseguenza

Raffigurazione di un barbiton in cui risulta evidente l’azione di pizzico della mano sinistra.

Page 84: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

84

Queste mie osservazioni hanno in realtà un supporto bibliografico di particolare impor-tanza tanto da chiedersi perché esso sia stato tenuto in così poco conto. In effetti Dieter Metzler, in un breve quanto elegante saggio intitolato Ein Griechisches Plektron identifica in un reperto conservato nel magazzino del Badisches Landesmuseum a Karlsruhe, confuso con altri oggetti votivi provenienti da un tempio in Arcadia, proprio un bellissimo plettro bronzeo della lunghezza di ben 13,7 cm.Il plettro termina con una forma relativamente ap-puntita, che potrebbe far pensare ad un coltello, ma questa ipotesi è esclusa sia dalla forma stessa, che dall’ornamentazione presente su un solo lato del plettro, quello normalmente rivolto all’ascoltatore, e dall’anello sopra l’ornamento che serviva certamente a collegare con una cordicella il plettro allo strumento. La parte arrotondata sull’altro estremo aveva la funzione di stabilire una solida presa della mano. Naturalmente, nonostante la varietà di forme che i plettri potevano avere, l’autore cita a conferma sia rappresentazioni nella vasaria, sia plettri fatti di altri materiali come avorio o ossa segnalando in ogni caso che questo è l’unico plettro bronzeo a lui noto. Ma per quanto riguarda il problema per noi più importante egli scrive: «In analogia all’uso moderno si è inclini a assumere che - come nel caso del banjo o della chitarra - il plettro venga utilizzato come un mezzo per rafforzare le dita per produrre il suono pizzicando o colpendo le corde, cosicché il plettro toccherebbe

l’impiego del plettro in funzione della produzione di alterazioni è della massima importan-za per comprendere una circostanza che è sempre sembrata piuttosto difficile da capire. Se ci si limita ad un’azione di pizzico sulle corde, fatta con le dita o con un plettro, si avrebbe a disposizione un numero limitatissimo di note, pari al numero delle corde. Una nota, una corda. In particolare non sarebbe possibile produrre alterazioni rispetto all’accordatura di base. Per questa ragione ci si è talvolta meravigliati del basso numero di corde delle lire come delle cetre. Le corde erano normalmente sette o otto ma potevano essere anche solo quattro. In effetti solo nei periodi più tardi vi sono testimonianze di lire e cetre con un numero di corde superiore a otto. La difficoltà consisteva allora nel comprendere come si potesse arrivare a suonare su strumenti simili musiche di una certa complessità. Analoga-mente, come vedremo in seguito, ci si potrebbe chiedere come, sulla base di un’accorda-tura fissa, possa essere ottenuta quella mobilità delle note che è tipico del sistema dei ge-neri. Il plettro rigido usato nel modo che abbiamo illustrato ci sembra una buona risposta.

Page 85: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

85

la corda in un movimento di andirivieni. Le cose stanno altrimenti nell’antichità. Filostrato (III sec. d. C.) dice: la mano destra tiene tese le corde, in quanto il plettro le comprime. Il plettro viene posto tra il ponticello e la chiave delle corde. A ciò corrispondono le immagini dei vasi: la sinistra del suonatore viene rappresentata con le diverse dita distribuite sulle corde, come la mano che realizza la melodia, mentre la destra tocca una corda con il plettro presso il ponticello oppure se ne distacca momentaneamente, come se abbandonasse la corda scivolando via da essa» (Metzler, 1971, p. 149). Per questa spiegazione Metzler fa riferimento a Gombosi che dedica un intero ca-pitolo del proprio libro (1939) proprio al modo di suonare degli strumenti a corda del tipo della lira e della cetra. In effetti Gombosi esclude le opinioni allora correnti e, come abbiamo visto, tuttora per lo più confermate, che con-siderano la mano destra come direttamente produttiva del suono e la mano si-nistra con la pura funzione di impedire il risuonare delle note non volute: «Non può essere messo in dubbio il fatto le dita della mano sinistra non si limita-vano passivamente ad attutire le corde, ma le pizzicavano attivamente. Anche le testimonianze figurative mostrano molto spesso con chiarezza indiscutibile questo ruolo della mano sinistra; anzi esse mostrano che per pizzicare veniva usato persino il pollice» (p. 117). Per Gombosi il plettro ha il compito di alte-rare l’intonazione premendo sulle corde. L’argomento che gli sembra decisivo sono quelle immagini che mostrano il plettro tra il ponticello e il punto di ag-gancio delle corde facendo riferimento ad una pittura vasaria che Gombosi riproduce in disegno nel suo libro traendolo da un vaso conservato a Boston.Effettivamente con il plettro in quella posizione nessuna delle corde dello strumento può essere fatta risuonare - e quindi resta la fondatissima ipotesi di un utilizzo del tutto diverso del plettro, destinato in particolare ai fini di un aumento della tensione delle corde e quindi della loro intonazio-ne. Io credo che questa proposta interpretativa debba essere considerata definitiva. Si può solo aggiungere, come abbiamo già notato, che essa non può essere considerata esclusiva e che il plettro può in ogni caso esse-

re usato in vari modi e naturalmente anche al di là del ponticello, come appare del resto in molte rappresentazioni vasarie, in modo da provocare ulteriori effet-ti di variazione dell’intonazione che possono anche implicare variazioni timbri-che, o addirittura per realizzare glissati (per quanto potessero essere deplorati dai teorici) sulla stessa corda o arpeggiati implicanti più corde. E naturalmente non vi sono ragioni per escludere anche l’impiego della tecnica degli armonici.

Page 86: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

86

1.2.6 L’arpa

L’arpa è strumento antichissimo che si ritrova in moltissime culture. È pos-sibile che sia derivato dall’arco da caccia a cui vennero aggiunte a poco a poco altre corde. Questo strumento di tradizione popolare africana (Costa d’Avorio) che viene chiamato garg ha forma di arco e viene suonato dai cac-ciatori per propiziare la caccia; il suo-natore

«stringe la corda tra le lab-bra percuotendola con un bastoncino. Il volume viene modificato alterando la po-sizione delle labbra e della lingua ed in questo modo il musicista crea armonici dif-ferenti per produrre una me-lodia» (Rault, 2000, p. 150).

Page 87: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

87

Le arpe più antiche sono prive di colonna che, congiungendo la parte superiore e la parte inferiore ha lo scopo di irrobustire l’intera struttura, ed hanno perciò una forma molto simile ad un arco. Questa relazione appare chiara in questa arpa egiziana risalente a 1500 anni a.C. (British Museum).

Questa scena di caccia con arpista (miniatura persiana del II sec. d. C.) sembra voler illustra-re la relazione formale tra l’arco da caccia e lo strumento, piuttosto che essere intesa secondo un’improbabile interpretazione realistica.

Il nome moderno è di origine medioevale, e deriva da una versione latina di Harff, parola di origine ger-manica con cui veniva indicata l’arpa irlandese. In Grecia lo strumento venne probabilmente dalla vicina Asia minore. Esso era caratterizzato da un numero molto elevato di corde (fino a venti) e Sachs rammenta che

«Platone la condannò perché le sue numerose corde e la sua grande estensione facili-tavano la modulazione, per la sua instabilità e pure per la sua hedoné, ossia per il piace-re sensuale che comunicava. Essendo strumento di intimità, incline ad indurre in un oblio sognante, a rapimenti onirici, il suo uso era generalmente limitato alle donne che pote-vano essere etère, ma anche appartenenti alla normale società» (C. Sachs, 1980, p. 153).

Page 88: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

88

L’arpa greca si vede qui integrata con la forminx e la lira, in un’esecuzione comune a cui si associa il piccolo stru-mento percussivo che si vede sulla sinistra (V sec. a.C.).

Pektis è uno dei vari nomi attribuiti all’arpa, che veniva talvolta anche chiamata trigonon (anche trigonos) , psalte-rion o magadis. Il termine trigonon è ovviamente riferito alla forma dello strumento che in alcuni casi è nettamente triangolare. Andrew Barker (1988, p. 96) sostiene la tesi che magadis non è nome di uno strumento, ma di un modo di suonare in ottava con un altro strumento. In realtà Barker ribadisce l’idea di una pratica monofonica assoluta-mente prevalente della musica greca, tesi sulla qualle abbiamo già manifestato il nostro dissenso e che è tra l’al-tro a mio avviso confutata da numerosissime rappresentazioni, come la precedente, in cui gli strumenti suonano insieme - ed io credo che sia semplicemente insensato pensare che gli strumentisti non facessero parti distinte.

Page 89: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

89

Infine è interessante per motivi di ordine generale l’indicazione secondo cui «Epigono di Sicione ha lasciato nella tradizione il ricordo di una grande reputazione in citaristica pura, cioè senza parole, e soprattutto di aver inventato un’arpa a 40 corde che suonava a mani nude, senza plettro» (F. Lasserre, 1988, p. 81). Questa notizia è un indizio che contraddice l’idea molto diffusa che gli strumenti fossero sempre impiegati come accompagnamento della voce e la musica greca non conoscesse musica strumentale pura. Questo è semplicemente falso. Vi sono, tra l’altro, due parole distinte per indicare il suonatore di cetra che nello stesso tempo canta che viene chiamato citarodo e il suo-natore che esegue un brano puramente strumentale che viene invece detto citarista (cfr. anche Burdrick, 2005, p. 18).

Page 90: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

90

L’arpa è raramente rappresentata nella vasaria greca. Ci sono esempi molto belli nei rilievi caratteristici del-l’arte vasaria aretina, come quelli presentati in questa pagina, ma si tratta ormai di arte romana, sia pure direttamente influenzata da motivi greci. Ed anche lo stile della rappresentazione è sensibilmente diverso.

Page 91: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

91

L’arpa era considerata anche come uno strumento da suonare da solo nell’intimità. Del poeta Anacreonte, che ab-biamo già avuto occasione di rammentare proprio in rapporto all’arpa dalle venti corde, ci sono stati tramandati questi versi:

L’arpa veniva suonata senza plettro, dato il gran numero di corde a disposizione, con una o due mani. Da reperti conservati al Museo Nazionale Archeologico di Taranto viene proposta, nella figura a sinistra, una ricostruzione puramente indicativa. A destra sono riuniti l’aulos, la forminx, la lira e l’arpa che occupa la posizione centrale.

Ho pranzato con un pezzetto di focaccia sottileho bevuto una brocca di vino: adesso con le dita

pizzico mollemente la mia pektis amabile cantandola serenata alla ragazza che amo.

Page 92: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

92

Page 93: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

93

1.3 Strumenti percussivi

Vi era, in Grecia, una notevole varietà di strumenti percussivi (idiofoni e membranofoni), utilizzati soprattutto in si-tuazioni festive, offrendo un sostegno ritmico agli altri strumenti e impiegati particolarmente in rapporto alla danza.

1.3.1 I crotali1.3.2 I cimbali1.3.3 Il krupalon

1.3.4 I sistri1.3.5 I timpani

Page 94: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

94

1.3.1 I crotali

Page 95: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

95

I crotali sono uno strumento si-mile alle castagnette o alle nac-chere, benchè probabilmente di suono più debole: «Descrizioni letterarie, inoltre,sottolineano la somiglianza tra il battito delle mani e il battito dei crotali» (Ma-thiesen, 1999, p. 168).

La relazione con il battito delle mani viene impressa nell’ogget-to stesso in queste “nacchere” di avorio egiziane che risalgono al 1300 a.C.

Page 96: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

96

Crotali, auloi e barbitos si trovano spesso associati nella danza, in situazioni che hanno una chiara connotazione erotica.

L’uomo con i crotali reca sul braccio la custo-dia caratteristica degli auloi.

Page 97: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

97

Page 98: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

98

I crotali tuttavia possono diventare strumenti tanto nobili da poter accompagnare la cetra di Apollo nelle mani del-le muse di fronte a Zeus ed a Ermes. Ma a parte il riferimento mitico questa rappresentazione è notevole dal punto di vista musicale per il numero rilvante dei crotali impegnati con uno strumento come la cetra in un’esecuzione che è evidentemente di musica “pura” nella quale la componente ritmica non è subordinata alla danza.

Page 99: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

99

1.3.2 I cimbali

I cimbali dei greci, come li vediamo nella figura accanto (British Museum) non sono poi molto di-versi da quelli che ha fra le mani il monaco tibeta-no, ed il suono doveva essere assai simile. Si tratta di due coppe metalliche di solito legate fra loro da una catenella, che venivano percosse tra loro.

Occorre peraltro tener presente che le forme di questi metallofoni potevano essere abbastanza diverse e di varie dimensioni ed anche la ter-minologia greca è abbastanza indeterminata. «Le distinzioni tra crotali, cimbali e crembali era indubbiamente flessibile» (Mathiesen, p. 170).

Page 100: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

100

Uno strumento in qualche modo analogo ai crotali era il krupalon (ma vi sono anche altri nomi per designare questo strumento):

«Aveva la forma di un grosso sandalo le-gato al piede destro e consisteva di un blocco di legno tagliato in due tavolette sovrapposte ed unite insieme al tallone. Ognuna delle due tavolette recava nel-la faccia interna una sorta di castagnet-ta. Battendo il piede le tavolette con le loro castagnette si urtavano tra loro con un forte schiocco» (Sachs, 1980, p. 171).

Tutto ciò è molto bene illustrato dalla scultura seguen-te nella quale il suonatore fa agire il crupalon insieme ai cimbali che tiene nelle mani. Mathiesen fa notare che que-sto “sandalo” poteva anche essere indossato da un auleta, che con esso integrava ritmicamente la melodia dell’ au-los (1999, p. 167)

1.3.3 Il krupalon

Page 101: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

101

1.3.4 I sistri

Il sistro era strumento di origine egiziana, particolarmente presente nel culto di Iside e di Hathor, dea della musica. Si tratta di dischetti metallici infilati su bacchette che venivano fatti risuonare scuotendo lo stru-mento. Ve ne sono di varie fogge.

Sistro di costruzione moderna

Page 102: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

102

Nella vasaria apula e campana è presente anche uno stru-mento a forma di scaletta, di cui è difficile stabilire la na-tura e la sonorità.

C’è tuttavia chi nega che si tratti di un vero e proprio strumento, ma piuttosto un attrezzo per la tessitura. L’iconografia mostra talvolta atteggiamenti di impiego che potrebbero es-sere caratteristici di uno strumento musicale.

«Il numero dei gradini sulla scaletta può variare tra sei e venti, ed in alcuni dipinti vi è un piccolo punto nel mezzo del gradino. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che possa trattarsi di una specie di sistro, altri un qualche tipo di strumento a percussione, forse addirittura qualcosa di simile ad uno xilofono...Il suo posto nella cultura musi-cale dei greci rimane oscuro» (Mathiesen, 1999, p. 282)

Page 103: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

103

«Donna seduta su uno scoglio, mentre tiene nella mano sinistra uno ‘xilofono’ e una ghirlanda nella mano de-stra» (J. R. Green, CVA, Filadelfia, Fasc. 22, p. 7). A dire il vero l’idea che possa trattarsi di uno strumento simile allo xilofono non convince per la mancanza di martel-letti.

«A destra una donna, vestita di chitone discinto è in piedi e tiene sull’indice della destra un piccione. Essa si volge verso l’altra donna a sinistra che siede tenen-do in mano quel caratteristico strumento a forma di scala a pioli che si crede strumento musicale o telaio a mano» (G. Q. Giglioli, CVA, Italia, Roma, Fasc. 1, p. 10)

Page 104: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

104

1.3.5 I timpani

Ciò che viene chiamato timpano in Gre-cia è ciò che noi chiameremmo un “tam-burello”, ovvero un “tamburo a cornice”, che tuttavia poteva essere di proporzioni piuttosto grandi. Era talora provvisto di sonagli risonanti sul cerchio a cui era le-gata la pelle. Veniva battuto con la mano destra e sorretto con la mano sinistra.

Page 105: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

105

Presso il Museo Archeologico di Taranto si trova anche una notevole scultura che regge il timpano. Essa è accom-

pagnata dalla seguente accurata descrizione:

«Il suo compito era quel-lo di ritmare i passi di danza con la cadenza del suono, ottenuto percuo-tendo con il palmo della mano destra la pelle di bue tesa su un cerchio di legno o di metallo, mu-nito per lo più di quattro maniglie che ne consen-tivano un’agevole impu-gnatura, e che costituisce la forma più semplice dello strumento. Ripro-dotto più volte nelle raf-figurazioni che ne mo-strano le diverse forme e i particolari ornamentali, era generalmente piat-to e leggero, ma poteva presentare anche una

forma cava, a scudo, ed era talvolta corredato da campa-nelli metallici o sonagli, fissati sul telaio da cordicelle che percuotevano la pelle quando lo strumento, suonato qua-si esclusivamente da donne, veniva agitato» (Internet). http://www.museotaranto.it/strumenti_percussione.htm

Strumento tipico delle feste dedicate a Dioniso, lo possiamo trovare anche in mano ai satiri e natu-ralmente era normalmente impiegato nella danza.

Page 106: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

106

Page 107: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

107

Il satiro giovanetto e la menade nell’immagine pittorica (Lecce, Museo Castromediano) approfittano soprattutto dei sonagli della cornice. Si tratta di una rappresentazione di arte apula, come del resto il satiro e la precedente scul-tura tarentina, che pur essendo fortemente influenzata dalla vasaria greca ha alcune tipicità illustrate nel saggio di Anna Maria Di Giulio sull’iconografia degli strumenti musicali nell’arte apula (1988, p. 108 sgg.). In esso si fa notare che «il tamburo a cornice rappresentato sui vasi apuli è costituito da due pelli, generalmente dipinte con motivi ornamentali, fissate con dei chiodi ad una cornice circolare. Le raffigurazioni tuttavia ci mostrano un solo lato dello strumento. In una delle sue orazioni politiche, Demostene ci parla di pittori decoratori di tympana: il loro lavoro consisteva nel dipingere motivi ornamentali sulla membrana dello strumento... I tamburelli apuli differiscono da quelli attici per alcuni particolari. I “nostri” infatti hanno una ricchezza di ornamentazione, di nastrini, di sonagli e di maniglie non riscontrabili sugli strumenti greci. Inoltre i tamburi apuli sono generalmente più grandi di quelli at-tici cui si può attribuire di solito un diametro di circa 30 cm. contro i 40-50 dei nostri»(p. 111). Specificamente a pro-posito della raffigurazione precedente si osserva che essa, risalente al IV sec. a. C., rappresenta una scena di culto dionisiaco: «Vi sono raffigurati una menade e un satiro con due tamburi a cornice simili. Lo strumento, in rapporto alla taglia dei personaggi, può avere una dimensione congetturale di circa 40-50 cm. di diametro...La decorazione della membrana è molto semplice essendo costituita da puntini disposti a circonferenza. Questo motivo decorativo è ricorrente: a volte si presenta più complesso, ma generalmente i motivi geometrici seguono schemi concentrici, partendo dal centro della pelle e assecondando la forma dello strumento. Sulla cornice si possono vedere dei punti che probabilmente indicano i chiodi che fissavano la pelle al telaio. Questi tamburi sono forniti, sulla fascia della cornice, di dischetti bianchi che rappresentano sonagli, forse di metallo» (p. 112). Interessante a questo proposito il fatto che talora venivano applicate alla cornice con una cordicella delle sferette di legno che percuotevano la pelle ruotando l’avambraccio (p. 113). Si tratta di un dettaglio ancora oggi presente in tamburelli d’uso popolare.

Page 108: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

108

Page 109: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

109

1.4. L’organo idraulico

HydraulisL’organo idraulico - hydraulis - non entra nelle nostre considerazioni per una problematica propriamente musicale, perché non sembra aver rilevanza nell’am-bito della musica greca e tanto meno in quello della sua teoria. Ma vi è entra per una problematica generale di grande interesse, dal momento che è forse il primo esempio conosciuto di strumento “meccanico”. Esso viene descritto dal matematico greco alessandrino Erone, vissuto tra il II e il I sec. a. C. (ma vi è chi sposta la data di vita nel I sec. d. C. e forse oltre) e dall’archi-tetto romano Vitruvio (I sec. a. C.). Ma va fatto in primo luogo il nome di Ctesibio di Alessandria, personaggio vissuto probabilmente nel III sec. a. C., al quale sem-bra si debba il progetto pià antico, ma di cui non si sa praticamente nulla. Ciò che ha tenuto per lungo tempo nascoste o trascurate le testimonianze sulla presenza di

questo strumento e il suo impiego è un fatto filologico. La parola organon in greco è una parola molto comune per indicare uno strumento in genere. In questo modo la usava ancora S. Agostino. Ciò poteva generare svariati equivoci. L’organo ideato da Ctesibio era uno strumen-to assai particolare e nuovo. Esso aveva una peculiarità: utilizzava l’acqua per regolare la pressione dell’aria, immessa, come nei moderni organi, attraverso mantici. Compare perciò il riferimento all’acqua che sconcer-tava gli interpreti. Così incontrando espressioni che in qualche modo alludevano ad organi idraulici, si parla-va genericamente di strumenti ad acqua senza natural-mente sapere di che cosa si potesse trattare. I progetti di solito attribuiti a Ctesibio vennero ripresi da Ero-ne, famoso matematico e inventore di congegni mec-canici, e di cui è rimasta l’opera intitolata Pneumatica.

Erone in una traduzione tedesca della Pneumatica (1688)

Page 110: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

110

Qual è l’origine dell’invenzione di Ctesibio? È abbastan-za naturale pensare che egli arrivò a concepire l’organoguardando le piccole canne di un flauto di Pan.

Ma le guardò secondo una diversa angolatura. Sembra poco, ma ciò basta a stabilire differenze straordinarie. Le grandi invenzioni spesso sorgono semplicemente così. Qualcosa che si è sempre vista, viene colta da un punto di vista nuovo. Il cambiamento di punto di vista nei con-fronti di un oggetto è un modo tipico di operare dell’im-maginazione creativa, e lo è in particolare nell’ambito della scienza e della tecnica. Forse era possibile immet-tere aria nelle canne secondo un metodo meccanico.Secondo il progetto di Ctesibio nella versione di Erone il mantice spinge l’aria dentro un invaso a forma di cam-pana che riceve acqua da fori praticati alla sua base (la campana può essere anche sollevata dal fondo) e nel ri-stabilire l’equilibrio l’aria insuflata viene sospinta verso le canne i cui fori a loro volta potevano variamente ve-nire aperti o chiusi. In particolare la funzione dell’acqua

era quella di mantenere costante la pressione dell’aria in modo da evitare salti di ottava nell’intonazione.

Page 111: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

111

La versione di Vitruvio (a destra) è un poco più complessa ma i principi di base sono gli stessi (una precisa e dettagliata spiegazione di entrambi i sistemi la si può trovare in Moretti, 1998, p. 21 sgg.). Per quanto riguarda la documentazio-ne iconografica greca, essa è assai scarsa, se non inesi-stente. Esiste in ogni caso una notevole epigrafe a Delfi che risale al 90 a. C. nella quale si premia Antipatro di Eleuterna, suonatore di Hydraulis, come vincitore di una gara e se ne tesse l’elogio. In essa si legge che Antipatro «gareggiò due giorni e si coprì di gloria in maniera stra-ordinaria, degna del dio Apollo e della città di Eleuterna quanto della nostra, e per questo motivo fu incoronato vincitore della gara» (Moretti, p. 39, che riporta l’epi-grafe per intero). Ciò dimostra a sufficienza della diffu-sione dello strumento in Grecia almeno in quell’epoca. Molto presente e documentata è invece la presenza del-lo strumento in ambiente romano sia da documentazio-ni letterarie sia da reperti archeologici.

Page 112: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

112

Una ricostruzione moderna dell’Hydraulis venne fatta da F. W. Galpin verso la fine del sec. XIX (Williams, 1916, p. 246-7).

Visione laterale della ricostruzione di Galpin Visione da retro. In basso, il serbatoio dell’acqua.

Page 113: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

113

La spiegazione più naturale per il nome non è soltanto il richiamo all’acqua, ma anche all’aulos. Mathiesen tutta-via, che ha dedicato all’organo idraulico alcune pagine molto accurate, osserva che «è molto più verosimile che il termine hydraulis derivi da hudor (acqua) e aulé (ca-mera), piuttosto che la più comunemente accettata com-posizione di hudor e aulos» (Mathiesen, 1999, p. 226). Si ignora infine se le canne fossero munite di ancia o no. Per quanto riguarda il modo del suo impiego occorre tener presente che questo strumento era probabilmen-te in grado di emettere un suono più potente di ogni altro, sia per il numero delle canne sia per l’uso dei mantici il cui numero poteva essere aumentato con un corrispondente aumento della potenza. L’elogio dello strumento per la sua potenza è presente in un trattato greco sull’hydraulis andato perduto ma di cui sono ri-masti frammenti della sua versione araba, su cui si rife-risce in un testo di Tannery (1908):

«I greci portavano con loro questo strumento nelle guerre, perché il loro paese era attorniato da nemici da ogni lato e quando avevano bisogno di av-vertire i loro compagni per far veni-re la cavalleria e le riserve o per av-vertire gli abitanti della città o di una qualunque regione, essi si servivano di questo strumento, cioè del gran-de organo, che era soprannominato strumento dalla voce potente e riso-nante, perché il suono poteva arriva-

re a sessanta miglia» (Tannery,1908, p.333. - L’appendice da cui è tratta questa citazione è di Carra Devaux).

Lo stesso autore presenta anche una diversa versione dell’organo con degli otri di pelle come sacche per il contenimento dell’aria che viene insuflata nell’acqua della campana cosicché risulta forse ancora più evi-dente il ricordo della “zampogna”.

Page 114: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

114

Per la potenza del suono che esso poteva sviluppare, a parte l’impiego guerresco, che, a dire il vero sembra un poco improbabile, esso era utilizzato soprattutto all’aria aperta, nelle feste e nei circhi anche se sembra che a poco a poco si sia imposto in ambiti privati. Il suo uso più frequente era in ogni caso destinato alle gare ed ai giochi. In particolare esso apriva le Naumachie e ne accompagnava lo svolgimento. Singolare inizio per uno strumento le cui sonorità erano destinate in futuro a diventare emblematiche della spiritualità religiosa!

«Questo strumento dalle umili origini non solo divenne straordinariamente popolare, ma fu per secoli una fonte di ammirazione e di stupore per la gente poco istrui-ta. Il suono potente, il misterioso borbottio dell’acqua, gli sforzi degli schiavi che erano obbligati a pompare con tutta la loro forza per fornire l’aria in quantità suf-ficiente, tutto giocava ad attrarre l’attenzione. Era im-piegato in giochi pubblici, formando parte dell’intrat-tenimento festivo; trovò una via verso le case private; ed in un caso almeno prendeva il posto della tromba dando il segnale per l’inizio delle brutali Naumachie o battaglie navali che erano la delizia del popolino ro-mano. Le Naumachie si svolgevano in anfiteatri le cui arene venivano per l’occasione riempite di acqua. Le navi erano manovrate da criminali e prigionieri di guerra, che continuavano a combattere finché l’ulti-mo l’uomo della parte avversa non fosse stato ucciso; la carneficina era maggiore di quella che avveniva nei combattimenti dei gladiatori» (Williams, 1916, pp. 3-4).

Un piccolo organo casa-lingo è probabilmente rappresentato dai resti in bronzo ritrovati a Pom-pei e rappresentati nel disegno.

Dallo schema risulta il numero di canne, il fatto che i suoni gravi erano sulla destra, la lunghezza di soli 40 cm. A sinistra in basso probabilmente imboccature per l’insu-flazione.

Page 115: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

115

Nella Pneumatica di Erone vi sono anche alcuni altri pro-getti, che pur non riguardando direttamente strumenti musicali, propongono l’uso dei principi che stanno alla base dell’organo idraulico per produrre suoni (figure tratte da Erone, 1851).

Ecco la fontana che, quando versa acqua, fa “cantare” l’uc-cellino sul ramo e, precisa Erone, la qualità dei suoni può variare secondo le proporzioni del tubo che viene dissi-mulato nel tronco dell’arboscello - e puoi dunque anche disporre diversi uccelli con zufoli differenti (cap. 14: «Un uccello che zufola quando l’acqua fluisce»).

Un caso un po’ più complesso del precedente: l’acqua sgorga permanentemente dal fontanile, ma con un se-rie di sifoni e di pesi si fa in modo che il gufo in cima alla colonnetta «si rivolga verso gli uccelli apparen-temente con il loro accordo e poi nuovamente si di-stolga da essi; e quando il gufo guarda altrove, gli uc-celli cantano, quando invece li guarda essi tacciono».

E in questo modo possiamo udire il suono di una tromba quando apriamo la porta del tempio (cap. 17)

Page 116: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

116

Il problema degli automatismi e dei meccanismi sonori rimase per molto tempo una curiosità di abili artigiani, ed ebbe i ogni caso un periodo di autentica fioritura nel secolo XVII e XVIII. Rammentiamo almeno che nello straordinario trattato di Kircher, Musurgia universalis, Roma 1650, Tomo II, la sezione V del libro IX è intitolata “De omnis generis Instrumentis Musicis Automatis sive Autophonis”. In essa si descrivono degli straordinari Machinamenta musicali, meccanismi complessi che usano aria, acqua, fuoco, vento, ruote dentate, pesi e contrappesi ecc. per produrre suoni.

In realtà Kircher, autore genialissimo e ricco di interessi, la cui opera monumentale è veramente difficile da do-minare, punta in particolare all’esecuzione automatica di brani musicali, mediante cilindri dentati che egli chiama “cilindri fonotattici” secondo principi simili a quelli del carillon, ma le sue ambizioni vanno ben oltre il campo di un gioco ingenuo. Egli è interessato all’automatismo musicale in tutti i suoi aspetti, e naturalmente fra i ma-chinamenta di cui egli si occupa vi è l’organo idraulico descritto da Vitruvio. Egli trova in ogni caso la macchina di Vitruvio “obscure descripta” e si accinge a darne una propria versione monumentale (p. 332). Come funzioni questo machinamentum mi piacerebbe che qualcun altro me lo spiegasse nel dettaglio. In ogni caso il mio letto-re potrà confrontarlo con gli antichi schemi di Ctesibio e di Vitruvio e forse noterà subito elementi comuni che rimandano a principi comuni. L’omino appollaiato lassù aziona due leve, e vi sono persino i delfini che appaio-no in Vitruvio, oltre che i cilindri compressori: dell’ arca aerea e della vasca d’acqua conosciamo già la funzione.

Page 117: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

117

Organo idraulico secondo Kircher.

Page 118: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

118

Page 119: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

119

2. Gli strumenti musicali e l’immaginazione mitica

Page 120: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

120

Page 121: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

121

2.1. Premessa

2.2 Dioniso

2.3. Apollo

2.2.1 Le menadi

2.2.2 I satiri

2.2.3 La vendemmia di Dioniso

2.4. L’invenzione dell’aulos e della lira

2.3.1 Dionisiaco e apollineo in Nietzsche

2.3.2 Il canto dell’Olimpo2.3.3 Apollo musagete

2.3.4 Nascita di Apollo

2.3.5 La cetra e l’arco

2.3. 6 Apollo e il pitone

2.3.7 I lati oscuri di Apollo

2.5 Marsia ovvero la barbarie di Apollo

2.4.1 Ermes

2.4.2 Atena

2.6 Il mondo del dio Pan

2.6.1 I fauni e le ninfe

2.6.2. Il dio Pan2.6.3 Storia di Siringa

2.6.4 Storia di re Mida

2.7 Orfeo

2.7.1 La lira di Orfeo2.7.2 La morte di Orfeo

Annotazione: la morte di Orfeo secondo Picasso

Page 122: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

122

Page 123: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

123

2.1 PremessaNello sfogliare le prime pagine di questo nostro album forse ci si sarà chiesti se vi sia una qualche ragione di ordi-ne generale per indugiare sugli strumenti greci, entrando anche in qualche dettaglio di ordine tecnico, in un’espo-sizione che ha di mira aspetti eminentemente teorici relativi alla musica greca. In effetti, pur assolvendo un indi-spensabile compito sommariamente informativo - nei testi specializzati si troveranno spiegazioni più dettagliate - , la nostra intenzione è stata quella di preparare il terreno ad una discussione che, partendo dagli strumenti e dalle loro peculiarità, arrivi ad integrarsi pienamente in una dialettica spirituale che riguarda la musica, ma che ha le sue radici negli orientamenti profondi della cultura greca.

In particolare abbiamo parlato dell’aulos e della cetra, come rappresentanti di due classi di strumenti - strumenti a corda/strumenti a fiato: cordofoni e aerofoni: si tratta di una tipologia di strumenti che, in forme più o meno elemen-tari, si trovano in tutte le culture musicali. Dobbiamo tuttavia subito sottolineare, proprio in vista di una discussione più ampia, che questa distinzione riferita alla musica greca non deve essere considerata come una pura distinzione di fatto, nel quadro di una problematica di classificazione descrittiva. Essa rappresenta invece un vero e proprio punto di addensamento di significati. Le differenze di qualità sonora, i differenti modi di emissione di suono, i risul-tati uditivi percepiti sono latentemente ricchi di senso, di inclinazioni immaginative che possono essere attualizzate e giocate in vari modi nelle diverse culture musicali. Si pensi pure al nostro flauto o all’oboe: l’uno e l’altro hanno certo in comune una sonorità sinuosa, curvilinea, insi-nuante, seducente che sembra voler raggiungere il nostro corpo e avvolgerci in una sorta di fluente spirale. Il suo-no di questi strumenti può essere posto sotto il segno dell’acqua; ed anche del vento che fa stormire le foglie, che sussurra tra di esse, oppure che fa inclinare qui e là le canne di un canneto. Cosicché esso si può associare ai sen-timenti più solitari e intimi, alle struggenti malinconie. Ma anche alla danza più morbida e sensuale e addirittura alle travolgenti ritmiche degli strumenti percussivi, legandosi così ad una danza che non è più solo sensualmente allusiva, ma che esibisce senza ritegni uno sfrenato erotismo.

Ma non possono far tutto questo anche gli strumenti a corda? Sì, lo possono. Ma resta in ogni caso la differenza ba-silare nella qualità timbrica. Di fronte al suono acquoreo, fluido, capace di scivolare mollemente come l’acqua di un ruscello o di oscillare dolcemente come una canna alla brezza della sera vi è invece il suono secco, nel senso

Page 124: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

124

letterale e immaginativo del termine, della lira o della cetra - quel secco che si contrappone all’umido di cui parlava Eraclito come una distinzione filosoficamente importante. Lo strumento a corda parla un linguaggio univoco, la sua accordatura in via di principio è compiuta una volta per tutte, e, se suonato in un certo modo, il suono si incide nell’aria come un coltello che scava su una pietra e lascia una precisa traccia. La melodia non scivola via, ma delinea un dise-gno accuratamente punteggiato, che può avere l’ordine e la perfezione di una figura geometrica. Naturalmente an-che lo strumento a corda, proprio per la sua incisività, potrà essere particolarmente adatto a stabilire i ritmi su cui modellare, nella danza, la gestualità corporea. Anch’esso potrà collaborare con gli strumenti percussivi e con i fiati a creare ridde danzanti. Non solo: gli strumenti a corda possono essere suonati in tutt’altro modo! Si pensi ai suoni glis-sati che possono essere realizzati con il qin cinese oppure con il sitar indiano. Non vi è dubbio. Ogni cultura musicale sceglie le timbriche che sono ad essa congeniali e le pratica secondo gli scopi immanenti ai suoi progetti espressivi.

Parlando della musica greca e dell’atteggiamento spirituale che sta alla sua base dobbiamo mettere in evidenza fin dall’inizio la presenza di una dialettica che gioca proprio su queste distinzioni e contrapposizioni di senso, sui loro intrecci e sulle loro possibili sovrapposizioni ed ambiguità. Per illustrare tutto ciò non abbiamo bisogno di affidarci alle nostre personali fantasie intorno alle qualità timbriche degli strumenti, ma metterci in ascolto delle storie che, a partire da esse, ci racconta l’immaginazione mitica.

2.2 Dioniso2.2.1 Le menadi

2.2.2 I satiri

2.2.3 La vendemmia di Dioniso

Page 125: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

125

Dioniso e Semele

Page 126: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

126

Segni distintivi di Dioniso sono la coppa di vino (kantaros) e il

tirso - lungo bastone a cui sono talvolta attorcigliati dei pampini

e che termina con una pigna.

I compagni di Dioniso sono le menadi e i satiri. La musi-ca lo segue ovunque - e lo strumento privilegiato di Dio-niso è l’aulos. Anche il barbitos compare spesso associato a Dioniso come strumento legato alla festa ed alla danza.

Page 127: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

127

È difficile dubitare dell’importanza dell’aulos per l’atteg-giamento musicale dei Greci. Eppure laddove questo stru-mento si prospetta nell’orizzonte del mito, esso viene subi-to connotato, per un verso o per l’altro, come uno strumento frigio - quindi come uno strumento la cui origine si trova forse al di là dei confini della Grecia, alle porte dell’Orien-te. È la terra in cui nei poemi omerici veniva localizzata Troia. Essi contengono la memoria di un conflitto storico di grandi proporzioni, di una lunga guerra leggendaria - quei poemi raccontano che i popoli e le città della Grecia continentale si unirono contro un nemico comune. Ma chi sono i suoi abitanti? Troia era in terra frigia, in Asia minore.È possibile naturalmente che i frigi fossero una delle po-polazioni originarie di queste zone che vennero poi oc-cupate non sempre pacificamente da popolazioni di pro-venienza dal continente; ma non c’è dubbio anche che ci fu simbiosi tra le popolazioni e che tutta la costa dell’Asia Minore sul mar Egeo e naturalmente le isole e le popola-zioni delle isole finirono con il formare un’unità culturale. E tuttavia la Frigia è una terra ad un tempo vicina e lon-tana - dai contorni tendenzialmente indeterminati. Come la Tracia del resto, che sta appena oltre lo stretto del Bo-sforo, presso la Frigia. La geografia reale della Grecia an-tica è accompagnata anche da una sorta di sottofondo di geografia immaginaria, i cui luoghi si situano prevalente-mente nelle regioni che in qualche modo hanno carattere di confine.

Page 128: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

128

L’aulos ha un’origine frigia? Non lo sappiamo. Ma è certo che immaginativamente esso apparteneva a quella regio-ne: non alla Grecia “vera e propria”, ma ai margini della Grecia.

E donde viene il dio Dioniso - un dio che è tanto difficile situare nell’Olimpo greco quanto escluderlo da esso - il dio ebbro, il dio dell’istintualità sfrenata? Il dio danzante accompagnato da un corteo di danzatori e danzatrici? For-se egli viene dalla Tracia, regione remota, prossima alla Frigia , forse dalla Lidia - sempre in Asia Minore poco a Sud della Frigia - forse dalla Frigia stessa (cfr. Colli, 1990, p. 55). Così canta il coro all’inizio delle Baccanti di Euripide:

MoreauZeus e Semele

Il padre di Dioniso è Zeus in persona, la madre è Semele

«identica, probabilmente,al-la dea frigia Zemelo, cioè la Terra... In varie città greche si celebrava il ritorno di Se-mele dagli Inferi; ella era dunque in parte simile ad una dea preellenica, Perse-fone. È inutile dire che Dio-niso e Semele sono spesso associati nel culto» (Cassola, 1994, p. 7)

Andate, andate, Baccanti, riconducete dai monti di Frigiaalle ampie contrade dell’Ellade,

Dioniso, il figlio di un dio...

Page 129: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

129

2.2.1 Le menadi

Bacco non è una variante latina di Dioniso, ma un ap-pellativo greco del dio che deriva dal verbo baccao che significa strepitare, agitarsi violentemente: dan-za, certo, ma anche invasamento. Intorno a Bacco si suona, si danza, e certo si fanno anche abbondan-ti libagioni. E si cade in trance. Satiri e menadi (bac-canti) sono gli attori di principali. Come Dioniso stesso, anch’essi spesso portano il tirso, il kantaros o il corno potorio e suonano l’aulos o altri strumenti.

Page 130: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

130

Menadi - Copia romana del II sec. d. C. di originale greco del V sec. a. C.

Benché nelle rappresentazioni la forma del dio sia umana, qualcosa di animalesco gli sta intorno se Euripide, nel-le Baccanti, lo appella come “dio dalle corna di toro” e narra che Zeus, quando lo generò,

lo inghirlandò con serti di serpenti;e con serpenti, preda selvaggia di caccia,

intrecciano ora le chiome le menadi.

Si comprende allora il fatto che le menadi abbiano una particolare confidenza con i serpenti e che questi si associ-no ad esse nella danza, oppure vengano offerti dalle menadi a Dioniso stesso. Il serpente, come sappiamo, appar-tiene al mondo ctonio a cui appartiene anche Semele.

Page 131: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

131

Page 132: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

132

Il tratto comune è il fatto che essi indicano divinità silvane, con tratti animaleschi più o meno pronunciati. Tra essi il compagno primario di Dioniso è il satiro, questa straordinaria invenzione della fantasia ellenica: selvatico e talora violento, ma anche divertente e giocoso, e persino affettuoso. Il satiro ha in realtà in generale un corpo maschile, e solo una lunga coda e le orecchie appuntite denunciano l’intreccio con l’animalità, di cui certo è vitale espres-sione la sua sensualità debordante. Il satiro ha conservato tutti i tratti della sensualità precristiana, tanto che il cri-stianesimo, con la sua accannita sessuofobia, non a caso lo ha trasformato, insieme a fauni e sileni, in immagini del demoniaco. Ed invece questi satiri inquieti, goffamente saltellanti, capaci di danzare talora spudoratamente talora elegantemente, spesso scherzosi, amanti di frizzi e lazzi, che rincorrono le loro menadi o si avvicinano ad esse con passi furtivi, ricevendo in cambio la mazzata del tirso, che portano sulle spalle i loro otri da impenitenti bevitori, per non dire della loro vocazione musicale, non possono non apparirci come immagini di esuberanza di tempi che sono diventati - ahimé! - troppo remoti.

2.2.3 I satiri

Talvolta si parla indifferentemente di satiri e sileni, fauni. In realtà questi nomi diversi indicano figure mitiche che non dovreb-bero essere confuse tra loro e che hanno storie e origini diverse. Il fauno deve esse-re ricollegato anzitutto al dio Pan; e sileno è un nome generico spesso utilizzato come sinomimo di satiro, che deriva in certo sen-so da una “pluralizzazione” della figura di Sileno - vecchio satiro ubriacone, legato a Dioniso in quanto suo maestro - che viene spesso rappresentato su un asinello.

Page 133: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

133

Page 134: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

134

Page 135: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

135

Il baccanale è rituale e festa insieme. Satiri e menadi saltano, giocano, ballano, celebrano i riti della natura. E suonano. L’aulos soprattutto è onnipresente. Ed è l’aulos soprattutto, così sostiene Rouget commentando Platone, a met-tere in moto i meccanismi della trance (Rou-get, 1986, p. 291 sgg.): l’elemento melodico, dunque, piuttosto che quello ritmico.

In ogni caso, nelle feste dionisiache non potevano certo mancare le percussioni, e in particolari i timpani di cui Dioniso, nelle Baccanti di Euripide, rivendica l’invenzione insieme ai Coribanti, sacerdoti di Rea (divinità della terra), anch’essi figure della danza bacchica:

...i Coribanti dagli elmi tricuspidi per me inventarono

questo cerchio di legnoricoperto di pelle ben tesa;

e nell’acceso baccanale ardente fusero le sue cadenze

al melodioso respiro degli auloi di Frigia

Ed ancora, poco oltre, nello stesso testo:

Cantate Dioniso al suono profondo dei timpani,celebrate con inni di gioia il dio della gioia,

tra voci e clamori di Frigia,quando l’aulos sacro diffonde sonoro

sacre melodie.

Page 136: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

136

In uno straordinario frammento di Eschilo (fr. 71, Colli, 1990, p. 53) una festa dionisiaca viene descritta in termini di sonorità che potrebbero anche essere inattese.

L’uno tiene nelle mani flautidal suono profondo, lavorati col tornio,

e riempie tutta una melodia strappata con le dita,un richiamo minaccioso suscitatore di follia; un altro fa risuonare cimbali cinti di bronzo

...... alto si leva il suono della cetra:da qualche luogo segreto mugghiano in risposta

terrificanti imitatori dalla voce taurina, e la parvenza sonora di un timpano, come di un tuono

sotterraneo, si propaga con oppressione tremenda

In realtà, questi pochi versi ci insegnano qualcosa di importante proprio sulle sonorità greche. Forse richie-dono qualche precisazione aggiuntiva. Qui si parla di flauti: nell’originale compare il termine Bombyx che si ricollega al verbo bombeo che significa “risuonare cupamente” ed al nome bombos che indica un suo-no basso e profondo. Credo che l’origine onomatopeica di queste parole, rimasta anche nell’italiano rimbom-bare, sia innegabile. È assai probabile che si tratti di un bombaulos - ovvero di un aulos di canna molto gros-sa e di timbro scurissimo, come nei magnifici flauti bassi indiani. West osserva che in ogni caso l’aulos doveva avere un suono piuttosto penetrante perché riusciva a tenere testa ad un coro di cinquanta uomini e che Ari-stofane paragona il suo suono ad un ronzio di vespe. «Il ronzio (bombos, bombyx) è associato in particolare con le note gravi. Vi era in effetti un modo particolare di suonare... per produrre questo effetto»(West, p. 105).Anche Rouget sottolinea la potenza sonora dell’aulos: «Strumento popolare, legato nel contempo alla trance, al tea-tro, al vizio, alla guerra ed ai riti agresti, è così che appare l’aulos. Il meno che si possa dire è che il suo uso era poco esclusivo. Per quanto riguarda timbro e sonorità si può, senza timore di errare, asserire che erano, come in tutto il bacino del Mediterraneo, assordanti e penetranti. Le pitture mostrano gli auleti che soffiano nei loro strumenti, gon-fiando le guance o addirittura tenendole piatte, segno che si pratica, com’è quasi d’obbligo per questo strumento, la respirazione circolare, che consente di suonare senza riprendere fiato e dunque senza interruzione. Suonati, diciamo alla mediterranea, il clarinetto doppio o l’oboe hanno intonazioni veementi, un suono forte e roco, un’in-tensità emozionale tanto più grande in quanto lo strumento può suonare più ore senza interruzione» (1986,p. 295).

Page 137: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

137

Il termine cimbalo traduce kotule - e lo traduce correttamente perché il termine indica una cavità, nel senso del latino catinus. In ogni caso si tratta di un termine del tutto adatto a indicare anche i cimbali. Forse è invece un poco impropria la traduzione “cinti di bronzo”, che varrebbe invece per i tamburelli, mentre per i cimbali basterebbe dire “bronzei”. Insieme a questo suono metallico si unisce il suono del timpano che è invece uno strumento in pel-le. La parola cetra o una sua variante non si trova nel testo. In esso vi è il termine psalmos che in ogni caso sembra potersi riferire ad uno strumento a corda, anche senza preciso riferimento ad una lira o ad una cetra.

I “terrificanti imitatori dalla voce taurina” - e il toro è un altro simbolo di Dioniso - potrebbero essere trombe gre-che il cui suono viene definito altrove dallo stesso Eschilo “urlanti”. Lo strumento corrispondente che i latini chia-mavano tuba viene descritto con aggettivi come horribilis, raucus, rudis, terribilis. Il “richiamo minaccioso suscita-tore di follia” allude certamente all’induzione dell’invasamento, alla trance indotta dalla danza.

Page 138: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

138

È soprattutto dai baccanali che l’aulos ha ricevuto, presso i filosofi severi come Platone ed Aristotele, una fama non troppo buona che ha finito in parte per comunicarsi anche ad uno strumento a corda come il barbitos. Nel seguente dipinto Oreste uccide Egisto cogliendolo mentre sta suonando il barbitos - lo stru-mento è certamente qui in mani assassine.

Ci si è interrogati sulle ragioni di questa rappresentazio-ne dal momento non risultano fonti letterarie per giusti-ficarla. Ma la ragione effettiva - come osserva Bundrick - sta nel fatto che «il barbitos implica lussuria, vanitosità e rilassatezza. Il corpo ben pasciuto di Egisto, la lunga bar-ba e lo strumento musicale contrastano duramente con la figura di Oreste che brandisce la spada, che è vestito come un soldato ateniese con corsetto, elmo in stile attico e ginocchiere» (2005, p. 23).

Page 139: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

139

A Dioniso, e del resto persino anche alle menadi ed ai satiri, non è associato solo l’elemento orgiastico. E nemmeno egli è solo il “dio della gioia”. È il dio che associa l’umido (il vino) al secco della terra, e quindi insieme a “Demetra ossia la terra (chiamala così se vuoi)”, Dioniso ha trovato “un corrispettivo, l’umido succo della vite, e lo ha intro-dotto tra i mortali”: queste, dice Tiresia nelle Baccanti, sono le “due cose essenziali al mondo”. Esse simbolizzano la possibilità del nutrimento, e quindi della vita stessa.

2.2.4 La vendemmia di Dioniso

Page 140: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

140

Menadi e satiri vendem-miatori: a lato una mena-de danza e ritma il tempo con i crotali mentre il sa-tiro suona l’aulos. Si può notare come la stilizzazio-ne del tralcio della vite la si ritrova spesso come una sorta di allusione simbo-lica, indipendentemente dalla descrizione pittori-ca della vendemmia.

Page 141: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

141

Page 142: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

142

Il vino feconda la terra. Le immagini che associano Dioniso e i satiri alla vendemmia sono numerosissime, e si tratta di immagini di serenità e di vita campestre. Spesso un satiro auleta si aggira tra le viti del vigneto. Le Menadi, che spesso fuggono di fronte alle bramosie vitali dei satiri oppure che li osteggiano minacciandoli con il tirso, sono loro compagne mentre raccolgono l’uva a grappoli. Le Menadi stesse, la cui ferocia è stata spesso raccontata, in realtà sono anche le pa-cifiche custodi della fecondità della terra. A questo aspetto dà voce, nella fantasia euripidea, lo straordinario racconto del pastore che narra, nelle Baccanti, il risveglio delle Me-nadi nel bosco:

«Ed esse, scacciando dagli occhi il profondo torpore, si rizzarono in pie-di, in uno spettacolo di compostezza incredibile, vecchie, giovani, e ver-gini ignare di nozze. Cominciarono a sciogliersi i capelli sulle spalle, a stringere i lacci allentati delle pel-li che indossavano, a farsi cinture, per i velli screziati, con serpenti che ne lambivano le guance. Alcune, te-nendo fra le braccia un cerbiatto o dei lupacchiotti selvaggi, gli offriva-no il dolce latte: erano da poco ma-dri, avevano abbandonato i figli, e le mammelle erano ancora turgide, alte si inghirlandavano con corone di edera, di quercia, di smilace fio-rita. Una di esse, afferrato il tirso, lo batté sulla pietra e subito erompe una fresca sorgente d’acqua, un’al-tra pianta il bastone e di là il dio fece sgorgare una polla di vino. Baccan-ti, prese dal desiderio della candi-da bevanda grattavano il suolo con la punta delle dita e zampillavano fiotti di latte: rivoli di miele squisito stillavano dai tirsi avvolti di edera».

Menade che sorride ad un coniglietto selvatico

Page 143: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

143

Se ricolleghiamo l’aulos e gli strumenti a fiato in genere a Dioniso, sullo sfondo della lira e della cetra e degli stru-menti affini vi è certamente Apollo. Dio bellissimo tra gli dei, il dio “luminoso”, dall’arco “raggiante”, che già alla nascita viene avvolto da “nastri d’oro” (Inni omerici, III, Ad Apollo, p. 109).

2.3 Apollo

2.3.1 Dionisiaco e apollineo in Nietzsche

2.3.2 Il canto dell’Olimpo

2.3.3 Apollo musagete

2.3.4 Nascita di Apollo

2.3.5.La cetra e l’arco

2.3. 6 Apollo e il pitone

2.3.7 I lati oscuri di Apollo

Page 144: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

144

Questa relazione/opposizione è stata del resto prean-nunciata quando abbiamo contrapposto il suono acquo-reo degli auloi alla nettezza “analitica” dello strumento a corda. Ma non bisogna subito trasformare tutto ciò in una pura ovvietà, e nemmeno correre troppo presto alla con-trapposizione tra dionisiaco e apollineo nel senso in cui essa si presenta nella Nascita della tragedia dallo spirito della musica di Nietzsche. Questa contrapposizione è na-turalmente presente. Dioniso appartiene al mondo ctonio, della notte e della terra, egli è portatore di una ebbrezza che sconvolge la mente. Apollo è luce, solarità, ragione.

2.3.1 Dionisiaco e apollineo in Nietzsche

Page 145: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

145

Questo testo pose l’accento sul dualismo presente nella spiritualità greca, mettendo in crisi una visione, è il caso di dire,”classicistica” della classicità, una visione che, come si esprime lo stesso Nietzsche, “sopravvissuta per secoli intorno all’antichità greca che persistette con invincibile tenacia a vederla tinta di quella serenità di color rosa, quasi che non fosse mai esistito un sesto secolo con la sua nascita della tragedia, coi suoi misteri, col suo Pitagora e il suo Eraclito...” (Nietzsche, 1967, p. 109). Il richiamo al dionisiaco in Nietzsche è il richiamo ad un elemento difficile da ridurre entro lo schema di una spiritualità rasserenata, dominata dalla elemento luminoso e razionale. Questo tema venne poi elaborato a fondo dagli studiosi che mostrarono sempre meglio la presenza di una conflittualità profonda tra l’elemento che talvolta viene detto pre-ellenico, lo stadio che precede le invasioni achee e doriche, associato spesso ad elementi di presumibile derivazione orientale, e motivi religiosi di provenienza achea e dorica.

Tuttavia vi è un problema che invita alla prudenza in rapporto ad un’adozione del punto di vista di Nietzsche: nella Nascita della tragedia agisce in modo determinante proprio in rapporto alla coppia dionisiaco/apollineo una te-matica di origine schopenhaueriana che da un lato si rivela ricca di interesse in rapporto alle discussioni d’epoca intorno al teatro musicale, dall’altro fuorvia proprio in rapporto alla problematica musicale greca. In effetti l’ele-mento musicale è colto unicamente nella polarità dionisiaca in un’applicazione alquanto meccanica della posizio-ne schopenhaueriana. Nella concezione di Nietzsche, Dioniso rappresenta lo spirito della musica proprio in quanto è una figura del mondo come volontà. L’elemento apollineo va invece ricollegato al tema schopenhaueriano della rappresentazione, cosicché in esso trova espressione - di fronte all’interiorità e passionalità della musica - soprat-tutto l’arte figurativa (Nietzsche, 1967, p. 45). La tragedia nasce dialetticamente dalla sintesi della musica con la spettacolarità. Schema assai seducente e ricco di problemi: ma Nietzsche, ricordandosi troppo di Schopenhauer e facendo di Apollo una figura dello sguardo, ha dimenticato del tutto l’Apollo citaredo. L’unico riferimento alla cetra di Apollo è fortemente svalutativo: si fa notare che la musica “apollinea” è una sorta di maschera della figuratività e le note della cetra non sono che emissioni sonore smorte prive di forza e di vigore: “Se apparentemente la mu-sica era già riconosciuta come un’arte apollinea, vuol dire che essa esattamente intesa, non era tale se non come onda ritmica, la cui forza figurativa venisse sviluppata per produrre stati d’animo apollinei. La musica di Apollo era l’architettura dorica espressa in note, ma in note appena accennate, quali sono proprie della cetra. L’elemento che in essa era evitato con cura, come non apollineo, era appunto quello che forma il carattere della musica dionisiaca e della musica in generale, vale a dire la vigoria scotente del suono, il torrente compatto della melodia e il mondo affatto impareggiabile dell’armonia” (p. 54). Altro non si dice su Apollo Citaredo. Del resto non sono gli strumenti e i loro valori simbolici espressi dall’immaginazione mitica a fare da filo conduttore della tematica di Nietzsche; ed il

Page 146: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

146

centro del suo discorso non è nemmeno la “nascita del-la tragedia greca” quanto la creazione di un’immagine di questa nascita in funzione dell’immagine della sua rinascita nell’opera wagneriana. Certo, egli ha l’intui-zione importante dell’elemento dionisiaco soggiacen-te nella spiritualità greca: il “greco apollineo” guarda con stupore nel mondo di Dioniso

«con uno stupore che era tanto più cupo, in quanto vi si mescolava l’or-rore del presentimento, che pure tutto ciò in fondo non gli fosse interamen-te estraneo; che anzi la sua coscien-za apollinea non fosse altro, in fon-do, che un velo steso a celargli quel mondo dionisiaco» (p. 55).

Ma anche questa intuizione, piuttosto che una riflessio-ne sulla musica, è in realtà un riflesso degli elementi della metafisica di Schopenhauer. Non può essere che così: il mondo della rappresentazione nasconde, come il velo di Maia a cui si fa esplitico riferimento nel passo citato, il fondo dionisiaco che appartiene all’essenza del reale (la volontà). Ha ragione dunque Giorgio Colli che sottolinea, pur senza far riferimento alla musica, che

«Nietzsche tiene presente solo la po-larità tra Apollo e Dioniso, ne ignora l’unità: al massimo parla dello sca-ricarsi del dionisiaco nell’apollineo, della conciliazione, della pacifica-

2.3.2 Il canto dell’OlimpoDice Ateneo, un autore del tardo ellenismo:

«La sapienza antica dei Greci sembra essere legata soprattutto alla musica - E per questo giudicavano che il più musicale e il più sapiente fra gli dèi fosse Apollo, e fra i semidei Orfeo» (Colli, 1990, p. 89).

Abbiamo già notato che la lira è destinata sempre più ad essere associata ad Apollo, forse per via della sua diffusione e popolarità, ma in realtà lo strumento che conferisce maestà a colui che la suona è la grande cetra, impreziosita di fregi, che solo autentici profes-sionisti dello strumento potevano dominare. Una sor-ta di apoteosi di Apollo Citaredo la troviamo nell’inno omerico ad Apollo. Questo inno è distinto in due parti, probabilmente dovute ad autori differenti, ed è dedi-cato alla fondazione di due templi di Apollo la cui sto-ria, grandezza e decadenza è di grandissimo interes-se da vari punti di vista. Si tratta del tempio di Delo, una piccola isola delle Cicladi, a cui viene dedicata la prima parte dell’inno e del tempio di Delfi nella Gre-cia continentale a cui è dedicata la seconda parte.

zione tra Apollo e Dioniso...» (Colli, 1990, p. 38).

Page 147: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

147

Tempio di Apollo a Delfi

Page 148: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

148

I versi con cui si apre la seconda parte descrivono l’ascesa di Apollo all’Olimpo dopo la fondazione del tempio. Si tratta di una descrizione che è da capo a fondo attraversata da elementi che chiamano in causa la musica e la danza (Inni omerici, 1994, pp. 124-5).

Muove il figlio della gloriosa Leto, suonandola concava cetra (phorminx) verso Pito (= Delfi) rupestre;indossa vesti immortali, odorose d’incenso; e la sua cetra,

sotto il plettro d’oro, dà un suono meraviglioso.Di là verso l’Olimpo, dalla terra, veloce come il pensiero

muove alla dimora di Zeus, al consesso degli altri dei;e subito gli immortali hanno a cuore la cetra e il canto.

Le Muse, tutte insieme rispondendo con bella voce,cantano gli eterni privilegi degli dei, e le sventure

degli uomini, che essi ricevono dagli dei immortali, vivendo inconsapevoli e inermi; e non possono

trovare rimedio contro la morte, e difesa contro la vecchiaia.Intanto le Grazie dalle belle trecce, e le Ore serene,

e Armonia, ed Ebe, e la figlia di Zeus, Afrodite, danzano, tenendosi l’una all’altra per mano;

e fra loro canta, non certo indegna, né inferiore alle altre,anzi maestosa a vedersi, e stupenda nella figura,

Artemide arciera, che fu nutrita con Apollo.Fra loro Ares e l’uccisore di Argo, dall’acuto sguardo,

danzano, e Febo Apollo suona la cetra procedendo agilmente, a grandi passi:

intorno a lui è una luce fulgente,balenano lampi dai calzari e dalla tunica ben tessuta.

Si rallegrano nel nobile cuore Leto dalle trecce d’oro e il saggio Zeus,

vedendo il figlio danzare tra gli dei immortali.

Page 149: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

149

L’elemento musicale è ovunque dominante, ed è strettamente associato alla danza. Si tratta tuttavia di una danza di dei, di esseri divini - nulla di più lontano dai satiri e dalle menadi di Dioniso. Danzano le grandi dee, Artemide ed Afrodite, le Ore serene, le Grazie; ed anche Armonia è il nome di una dea danzante.Fra i danzatori troviamo persino Ares, dio della guerra. La danza è associata al canto. Cantano le nove muse, canta la dea dell’arco, Artemide Cac-ciatrice, sorella gemella di Apollo. «La splendida scena di canto e danza sull’Olimpo mette insieme ciò che si può dividere in due eventi separati: la danza di giovani donne e uomini, e l’esecuzione di un canto da un coro di nove giovani donne. Tutto ciò è guidato dalla cetra di Apollo. La sua esecuzione musicale lega insieme questi eventi: e si tratta della combinazione di testo cantato, musica strumentale e gruppo danzante che i greci chiamavano mou-siké...Tutto ciò indica l’alta rilevanza sociale della scena della mousiké olimpica nell’Inno ad Apollo. I danzatori olimpici sono incarnazioni divine di ciò che la società greca arcaica si aspettava che fosse la danza» (Graf, 2008, p. 29-30). Tutto il brano è poi attraversato da bagliori luminosi, dal bagliore dell’oro - che viene dal plettro di Apollo e dalle trecce d’oro di Leto, madre di Apollo; dai bagliori lampeggianti dai calzari e dalla tunica di Apollo che incede a sua volta danzando.

Page 150: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

150

2.3.3 Apollo musagete

In questo stesso passo dell’Inno omerico troviamo le Muse che rispondono in coro alla cetra di Apollo:

«Da Omero a Pindaro (V sec. a. C.), la poesia descrive Apollo che suona sull’Olimpo insieme alle Muse, e l’occasione è sempre una festa. Nel primo libro dell’Iliade, il poeta-cantore descrive un banchetto di dei dove il pasto è accompagnato dalla “bella lira che teneva Apollo, e le Muse can-tavano rispondendo ad essa con voce bella (Iliade,I, 1604 sgg.)”» (Graf, 2008,p. 33).

Nella prima Ode pitica di Pindaro l’”aurea cetra” viene detta “possesso comune di Apollo e delle Muse dai capelli di viola”(Pindaro, 1820, p.17). Apollo, il coro delle Muse, la cetra stessa formano una sorta di unità mitico-musicale particolarmente forte. Le muse vengono spesso rappresentate con uno strumento a corda fra le mani.

Page 151: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

151

Occorre inoltre notare che l’attribuzione a ciascuna musa di un’arte specifica è tarda, mentre nella fase più antica le muse erano divinità della musica intesa come unità tra musica strumentale, canto (poesia) e danza. Non sbaglia dunque il pittore Hendrick Van Balen (XVII sec.) a rappresentare tutte le nove muse mentre sono intente a suonare ciascuna uno strumento musicale, mentre presumibilmente una di esse si sta accingendo a cantare leggendo uno spartito.

Page 152: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

152

2.3.4 Nascita di Apollo

Come ci siamo chiesti, nel caso di Dioniso, donde “pro-veniva”, conviene rivolgere questa domanda anche nel caso di Apollo. Allora vedremo subito che la contrappo-sizione tra le due grandi divinità greche, che abbiamo cominciato con il caratterizzare attraverso gli strumenti musicali, tende da subito a mostrarsi in qualche modo instabile - come se i poli di questa contrapposizione vivessero l’uno dentro l’altro. Per quanto riguarda gli strumenti e la musica greca va da sé che strumenti a fiato e strumenti a corda si trovassero ovunque insieme - ma l’immaginazione mitico-musicale rende questo in-contro controverso.

In una storia del mito prendi un dettaglio e ti avvii in una nuova direzione narrativa, di cui puoi intanto go-dere “laicamente”, come pura narrazione. Essa ha dei “motivi” che hanno il loro senso nelle connessioni che essi in se stessi istituiscono. Nell’Inno omerico ad Apol-lo accanto a Zeus vi è Leto (Latona), con le sue belle trecce d’oro. Essa è la madre di Apollo, il cui padre è Zeus stesso. Contro Semele, madre di Dioniso, l’ira di Era si scatenò mediante il fulmine stesso di Zeus che la incenerì. Analogamente, la nota gelosia di Era contra-sta le vicende del nascituro Apollo. Questo è l’aspetto novellistico del mito. Ma i motivi che scaturiscono da questa gelosia superano questo lato narrativo e mostra-no ragioni particolarmente profonde. Era scaccia Leto dall’Olimpo ordinando alla Terra di negarle ospitalità.

Ed è sufficiente questo riferimento alla Terra come pos-sibile riparo capace di proteggere Leto dalle minacce che vengono dall’Olimpo per segnalare in questa ma-ternità di Leto un latente carattere oscuro di Apollo. Il mito racconta ancora delle peregrinazioni di Leto alla ricerca di un luogo in cui partorire - una ricerca che poi diventa la storia dell’origine del tempio di Delo. Perché fu proprio l’isola di Delo ad offrire la temuta ospitalità alla fuggitiva. Ed a Delo, Leto poté partorire i gemelli Artemide e Apollo.

Diana Scultori (1547-1612), Leto a Delo

Page 153: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

153

Proprio con il racconto di queste peregrinazioni co-mincia l’Inno omerico ad Apollo (vv. 45-52, p. 111):

«... per tanto spazio si aggirò Leto, già dolorante per il parto dell’arciere,

chiedendo se una di queste terre volesse offrire una dimora a suo figlio.

Ma esse tremavano e temevano molto, né alcuna osavaper quanto fosse prospera, ospitare Febo,

finché la veneranda Leto giunse a Deloe, interrogandola, le rivolse parole alate:

“Delo, vorrai forse essere la dimora di mio figlio,Febo Apollo, e accogliere in te un pingue tempio?»

La nascita di Apollo è tutta circondata dai bagliori del-la luce e dell’oro:

«... e il dio balzò fuori alla luce: le dee, tutte insieme, levarono un grido.

Allora, o Febo luminoso, le dee ti lavavano in acqua limpida,

con mani sacre e pure; ti fasciavano con un candido drappo,

sottile, intatto; intorno ti avvolgevano un aureo nastro...... E Leto era piena di gioia

poiché aveva generato un figlio possente, armato di arco...

... e subito Febo Apollo disse alle dee immortali:Siano miei privilegi la cetra e l’arco ricurvo;

inoltre, io rivelerò agli uomini l’immutabile volere di Zeus» (vv. 119-132). Leto con Apollo e Artemide

Page 154: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

154

Leto andò vagando dolorante per il parto sopravveniente dell’arciere, dice l’inno omerico - e quest’ultima espressione ci può sembrare inizialmente piuttosto misteriosa. Ma poi viene subito chiarita. I “privilegi” che Apollo rivendica per se stesso attraverso la voce del poeta sono la cetra e l’arco. E mentre la cetra è strumento che allieta, l’arco è certamente anzitutto strumento di morte.

«Una contradditorietà, non universale come in Dioniso, ma invece ben individuata, emerge anche in Apollo, e si mostra nei suoi due attributi dominanti: l’arco e la lira. Qui sta la precisa doppiezza di Apollo: la faccia benigna ed esaltante accanto a quella terribile e devastante» (Colli, 1990, p. 26). «Gioiosità e terrore appartengono entrambi a questo dio, e sono intimamente connessi. Apollo è il dio della morte improvvisa non meno che dei trasporti della gioia musicale» (Graf, 2008, p. 28).

Del resto proprio all’inizio dell’Iliade (1973, I, 43-53) con quell’arco Apollo, massimo dio olimpico che tuttavia pro-tegge i troiani che vivono in terra frigia, vendica l’offesa fatta ad uno dei suoi sacerdoti, Crise, insultato da Aga-mennone; e la descrizione omerica mostra quanto l’immagine del dio possa subire una trasformazione quando quell’arco entra in azione:

«scese giù dalle vette dell’Olimpo profondamente sdegnato, tenendo a tracolla l’arco e la faretra ben chiusa.Tintinnarono i dardi all’omero del dio in collera,

al suo primo muoversi: e camminava scuro, pareva la notte.Si collocava allora distante dalle navi e scoccò una freccia:

un orrendo ronzio venne dall’arco d’argento»

“Camminava scuro” - “pareva la notte”: che ciò si dica proprio di Apollo è assai singolare. Ma noi tenderemmo anche a far notare le caratterizzazioni sonore che accompagnano la descrizione: “tintinnarono i dardi” oppure “un orrendo ronzio venne dall’arco d’argento”. Il suggerimento, un poco inconsueto, che ci sembra di poter dare è che anche l’arco di Apollo possa in ogni caso avere una valenza musicale, cosa che del resto abbiamo notato per l’arco in genere in rapporto all’arpa.

2.3.5.La cetra e l’arco

Page 155: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

155

È il caso di ricordare a questo proposito il famoso passo dell’Odissea (1968, vv. 404-410), quando Odisseo, ancora non riconosciuto, prende fra le mani il proprio arco per partecipare alla gara che si concluderà con la strage dei Proci. In quel passo il poeta descrive l’azione di Odisseo con una bella similitudine tra l’arco e la cetra:

«Odisseo, dopo che ebbe tastato e riguardato il grande arco da ogni parte - come quando un uomo esperto di cetra e di canto facilmente tende la corda

intorno alla chiavetta nuova, fermando da un lato e dall’altro il budello di pecora ben ritorto - così appunto Odisseo tese senza fatica il grande arco. Con la mano destra prendeva

la corda e la tentò. Ed essa cantò bene, pareva uno strido di rondine. I Proci allora ebbero grande dolore e sbiancarono tutti in volto.

E Zeus tuonò forte, mostrando un segno di augurio»

In questo passo dell’Odissea, la similitudine diventa esplicita ed il simbolismo musicale dell’arco è particolarmen-te pregnante. Ed intorno al suo suono vi sono altri suoni che sono brividi di morte: lo strido di rondine, il tuono di Zeus.

Page 156: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

156

Con l’arco Apollo uccide il mostro Pitone. Qui vi è un altro frammento della storia mitica di Leto che può insegnarci ancora qualcosa. Pitone è un serpente - e non ha ora nessuna importanza il fatto che sia ancora Era a scatenarlo contro Leto. È importante invece che il serpente, come sappiamo, è una tipica figura del mondo ctonio.

Hendrik Goltzius (XVI sec.)

2.3. 6 Apollo e il pitone

Page 157: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

157

In questo dipinto di Moreau (1880) un Apollo fatto di luce ricaccia il serpente nell’oscurità.

Ed anche nel seguente, ancora più fastoso, dipinto di Delacroix, di cui qui mostriamo solo la parte centrale, il tema dominante è

la luce contro la tenebra.

Ora, il fatto che Apollo uccida il serpente con l’arco, non è forse ancora una manifestazione della “luminosità” del dio?

Page 158: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

158

2.3.7 I lati oscuri di Apollo

Eppure, anziché istituire il massimo di-stacco, il fatto che Apollo uccida Pitone - e che riceva per questo questo l’attributo di Pizio - stabilisce un legame piuttosto che un distacco. Qui viene in questione l’arte divinatoria così caratteristica del culto di Apollo, e che rese celebri sia il tempo di Delo che quello di Delfi. Pizia sarà dunque detta la sacerdotessa di Apollo, la pitones-sa, appunto, che emette vaticini - tra i fumi che vengono da caverne sotterranee, se-duta su un tripode ricoperto da una pelle di serpente. La pelle del serpente sul tripo-de rappresenta il tramite con l’ultramondo infero da cui soltanto si possono attinge-re le enigmatiche preveggenze del futuro. La Pizia enunciava i suoi oracoli in uno sta-to di invasamento che i greci chiamavano manìa. Nei templi apollinei si celebravano riti, dai quali è semplicemente impensabi-le che la musica fosse assente, ed essi do-vevano culminare con una esaltazione che implicava la perdita della coscienza vigile e dunque uno stato di trance. La manìa del-la Pitonessa di Delfi e di Delo finisce con il coincidere con l’ebbrezza della Baccante.

John Collier (1891)

Page 159: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

159

Page 160: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

160

Page 161: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

161

2.4 L’invenzione della lira e dell’aulos

2.4.1 Ermes Tra gli dei danzanti nell’Inno omerico de-dicato ad Apollo, troviamo un dio che viene caratterizzato solo con un epiteto: l’ucciso-re di Argo (Inni omerici, 1994, pp. 124-5). E qui vi è una storia nella storia - come acca-de sempre nel mito. Argo, gigante dai cen-to occhi, cinquanta dei quali sempre aperti, gli altri cinquanta chiusi per il sonno - Argo “dall’acuto sguardo” - viene ucciso da Er-mes, e ciò ha a che fare anch’esso in realtà con un tema musicale, con il tema del potere incantatorio della musica, perché Ermes ri-esce a fare addormentare i cinquanta occhi sempre desti di Argo attraverso la musica.

2.4.1 Ermes

2.4.2 Athena

Page 162: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

162

Ma Ermes per quanto riguarda l’immaginario musicale del mito greco non deve essere rammentato solo per que-sto artifizio che gli consentì di uccidere il gigante, ma anche per un’altra singolarità tramandata dal mito e che ri-guarda il nostro problema musicale, anzi che apre un problema tra i mondi che la cetra e l’aulos rappresentano.

Abbiamo già attirato l’attenzione sul fatto che non bisogna fare del “dionisiaco” e dell’”apollineo” una pura e sem-plice contrapposizione. Non lo era naturalmente nemmeno per Nietzsche, ma non lo era per ragioni puramente filosofiche: la verità del mondo della rappresentazione doveva alla fine essere ricercata nella volontà. Noi ci muo-viamo invece interamente all’interno dell’immaginazione mitico-musicale e cominciamo a scorgere dei segnali che mostrano che le valorizzazioni immaginative ora sono nettamente distinte, ora scivolano ambiguamente l’una nell’altra. Abbiamo già mostrato che a ben vedere vi sono dei tratti che portano il dio della luce in una controversa prossimità con il mondo della notte. Ed ora dobbiamo prendere atto di un singolare scambio, per quanto riguarda i mitici inventori degli strumenti che dànno la loro impronta alla musica greca. Non è una tipica divinità “solare” che “inventa” la cetra, così come non è un tipica divinità “notturna” che “inventa” l’aulos. Peraltro il mito racconta dell’invenzione della lira - non vi è una storia specifica che riguardi l’invenzione della cetra. E già questo particola-re apparentemente irrilevante potrebbe essere significativo. La lira, come abbiamo già detto, è uno strumento po-vero e le sue origini raccontano una storia di pastori e contadini. Ora, inventore della lira è Ermes. Il mito racconta del furto di armenti ad opera di Hermes ai danni di Apollo e del perdono di Apollo a patto di ottenere in dono la lira che Ermes ha inventato. Negli Inni omerici, (1994, Inno IV, pp. 153 sgg.) la costruzione della lira viene descritta nel dettaglio e con molto spirito, dal momento in cui Ermes vede la tartaruga:

Là fuori trovò una tartaruga, e ne trasse gioia infinita:in verità Ermes fu il primo che creò una tartaruga canora.

Quella gli si parò di fronte presso l’uscita della corte,pascendosi, davanti alla casa, dell’erba rigogliosa

e zampettando placidamente; il veloce figlio di Zeusrise al vederla, e subito disse:

Ecco già un segno molto fausto per me: non lo dispregio.Salve, amica della mensa, dall’amabile aspetto, che accompagni la danza;

tu appari benvenuta: donde vieni, o bel giocattolo?

Il “bel giocattolo” diventa quel che sappiamo; e quando Apollo, assai adirato per il furto operato ai suoi danni dal

Page 163: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

163

“re dei ladri”, ode Ermes suonare la lira, prorompe in un elogio dello strumento che è anche un elogio della musica tutta:

Meravigliosa è la nuova voce che odo, e io affermo che mai alcuno degli uomini ne è venuto a conoscenza

né alcuno degli dei che abitano le dimore dell’Olimpo,se non tu, furfante, figlio di Zeus e di Maia.

Che arte è questa? Che cos’è questo canto che ispira passioni irresistibili?Quale la via per ottenerlo? Con esso è veramente possibile raggiungere tutte insieme tre cose:

la gioia, l’amore e il dolce sonno.Anch’io, certo, mi accompagno con le Muse dell’Olimpo

cui sono care le danze, e la via luminosa del canto,e la fiorente melodia, e il clamore dei flauti [auloi], pieno di desiderio;

eppure, finora, nessun’altra cosa fu mai tanto cara al mio animofra le prove di bravura che si odono nei banchetti dei giovani;

io vedo con ammirazione, figlio di Zeus, con quanta dolcezza suoni la lira....

Ma a che mondo appartiene Ermes - questo dio singolare che protegge ladri e commercianti insieme, che a senti-re questa storia della lira vive in campagna, questo “esi-mio ciarlatano e imbroglione” - come lo chiama Apollo? In realtà egli viene spesso raffigurato con i massimi dei dell’Olimpo e in particolare con Zeus che gli impartisce i suoi ordini. Ma lo stretto rapporto con Apollo è appunto rappresentato dal dono della lira, come forse rammenta la bellissima immagine seguente in cui Apollo con la lira sta al centro, Artemide sulla sinistra ed Ermes sulla de-stra.

Page 164: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

164

Page 165: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

165

Ermes è riconoscibile dai calzari con le ali oppure dal “caduceo” che ha in una mano, il bastone con i due serpenti attorcigliati, che nella forma semplificata in cui normalmente compare nella vasaria sembrano due cerchi in cima ad un bastone.

Tuttavia Ermes è anche buon compagno di Dioniso e dei satiri, alle cui gioiose gozzoviglie egli è vivace partecipe. In un’immagine che abbiamo mostrato in precedenza egli campeggia proprio al centro di un festa dionisiaca.

Page 166: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

166

Page 167: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

167

Naturalmente il caduceo ci segnala che egli appartiene alla cerchia delle divinità ctonie, con la presenza dei ser-penti che abbiamo già incontrato parlando delle menadi. Il racconto mitico fa di questo simbolo un simbolo di pace, perché Ermes avrebbe separato due serpenti in lotta con un bastone e questi vi si sarebbero attorcigliati intorno. Ma si tratta di una evidente razionalizzazione narrativa. Ermes inventore della lira e il dono che di essa fa ad Apollo sembra rappresentare una sorta di tramite tra i due mondi. Forse per questo possiamo ritrovarlo negli oscuri antri degli inferi, nella caverna di Erebo, mentre accompagna le anime dei morti verso la barca di Caronte.

Ermes è infine un dio fecondatore - ed è tanto pros-simo alle regioni dell’eros da essere rappresenta-to in forma di una stele fallica che si pone ai tri-vi: ed in taluni luoghi veniva onorato direttamente in aspetto di fallo (cfr. il commento al quarto Inno omerico di Càssola, 1975, p. 154).

Page 168: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

168

2.4.2 AtenaSe da un lato lo strumento esemplare della chiarezza e della razionalità olimpica è in-ventato, secondo l’immaginazione mitica, da una divinità ctonia, dall’altro - con una singolare coerenza - l’aulos, strumento ti-pico del satiro dionisiaco, viene “raccol-to” dalle mani di una divinità tipicamen-te olimpica - almeno nelle sue forme non troppo arcaiche. In efffetti nella moneta qui accanto risalente alla fine del quarto secolo a. C., Atena è rappresentata con la cetra a quattro corde così come in fig. 1 la cetra compare nel retro di un moneta campana del III sec. a. C. insieme ad Apol-lo. Eppure l’invenzione dell’aulos è attri-buita dal mito proprio ad Atena. Del resto scavando all’indietro nella figura della dea che, come sempre accade, non è certo univoca ma molteplice, troveremo anche in Atena tratti ctoni, ad esempio il serpen-te Erichtonius che spesso la accompagna: ma qui non ci occupiamo di mitografia se non in quanto il dettaglio mitografico inte-ressa il nostro ambito di problemi. Atena dunque inventa lo strumento e soffia nelle sue canne durante un convito degli dei. Il suono nell’aulos genera commozione - ma

Page 169: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

169

Specchiandosi, Atena può vedere la deformazione delle sue gote ed allora getta a terra lo strumento responsabile di questo imbruttimento. Il satiro Marsia, che la spia, se ne impadronisce... E ad esso legherà per sempre e tragi-camente il suo nome. Marsia nella ricostruzione viene rappresentato come un satiro. Ma non sempre viene rap-presentato così. Marsia è un uomo dagli attributi divini. Apprenderà a suonare l’aulos in modo insuperabile. Egli è maestro di Olimpo che spesso viene detto padre della musica greca. È certo in ogni caso che proviene dalla terra dei Frigi.

Era ed Afrodite ridono di lei e della sua invenzione. Cosicché essa si allontana dall’Olimpo e si specchia mentre suona in uno stagno. Nella dipinto seguente, è un giovane che presenta ad Atena uno specchio. Atena è circondata poi dai personaggi del dramma - in alto un dio, presumibilmente Zeus, che osserva la scena; all’estrema sinistra una Menade riconoscibile dal tirso; un sileno (vecchio satiro); e sull’estrema destra Marsia.

Page 170: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

170

Page 171: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

171

Atena, la Minerva dei latini, è stata partorita direttamente dal cervello di Zeus, e naturalmente siamo tentati di attribuire a questo parto un significato che certamente non è quello origi-nario considerando la dea come rappresentativa della raziona-lità e della saggezza (Cassola, 1994, p. 425). In ogni caso que-sta interpretazione con il tempo finisce con l’imporsi: ingegno e saggezza diventano attributi della dea. Non solo: nel XXVIII inno omerico dedicato ad Atena, essa prorompe cantando dal-la testa di Zeus e condivide con Apollo lo “splendore”: la luce promanante dall’oro della sua armatura:

Pallade Atena cominciò a cantare, dea gloriosadagli occhi scintillanti, piena di saggezza, dal cuore inflessibile;

vergine augusta, protettrice della rocca, intrepida,che da solo generò, dal capo venerato, il saggio Zeus,

figlia sua propria, chiusa nell’armatura guerrescatutta risplendente d’oro...

In ogni caso, a parte le molteplici interpretazioni che si possono dare della dea e dei suoi attributi, non vi è dubbio che l’attribuzione dell’invenzione dell’aulos ad Atena abbia una intenzione fortemente valorizzatrice dello strumento stesso. Il punto interessante è che mentre si attribuisce l’aulos quasi a Zeus stesso e comunque ad una sua incarnazione immediata, lo sviluppo del racconto deve condurre da Atena a Marsia. In questo modo l’aulos viene consegnato al mondo di Dioniso. La storia della sua invenzione implica una svalutazione che riguarda il senso del bello e che ricade sullo strumento e sulla sua musicalità

Page 172: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

172

L’episodio di Marsia che raccoglie l’aulos gettato a terra da Atena ha trovato una splendida rappresentazione scultorea dovuta allo scultore Mirone (V sec. a. C.) di cui ci sono rimasti vari importanti frammenti di una copia di epoca romana (Musei Lateranensi).

Page 173: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

173

Ricostruzione complessiva del gruppo marmoreo realizzata in bronzo (Museum alter Plastik di Frankfurt)

Page 174: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

174

Page 175: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

175

2.5 Marsiaovvero la barbarie di Apollo

E infine Apollo e Marsia si sfidarono. O meglio fu Marsia a sfidare Apollo - atto di audacia verso una della massime divinità olimpiche, ma naturalmente, per noi, soprattutto un discorso che si sviluppa nel mito sulle qualità sonore e sulle loro possibili valenze immaginative. Una sfida alla presenza delle Muse - divinità apollinee come giudicatri-ci; la posta in gioco: che il perdente debba subire qualun-que pena il vincente abbia a decidere.

Anche in questo caso vi sono, molti modi di raccontare que-sta sfida e di interpretarla. Winternitz racconta che Apollo vinse... barando! Poiché la muse inclinavano verso Marsia,

«Apollo suonò il suo strumento alla ro-vescia e sfidò Marsia a fare altrettanto ben sapendo che l’aulos poteva essere suonata solo da una parte. Inoltre cantò accompagnandosi con la cetra, ed an-che in questo l’aulos non poteva essere alla pari. Infine... cantò le lodi dell’Olim-po e di Elicona, e le Muse non manca-rano di corrispondere all’adulazione” (Winterniz, 1982, p. 123).

Page 176: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

176

Luciano di Samosata nel Dialogo degli dei fa fare ad Era un elogio dell’astuzia di Apollo, dal momento che sicura-mente miglior musicista era stato Marsia (Winternitz, p. 138, n. 3). Mentre i trucchi di Apollo vengono raccontati da Apollodoro (Bibliotheka, I, 4 in Landels,1999, p. 156)

«Apollo e Marsia: Marsia seduto, men-tre suona il flauto, Apollo in piedi di fronte a lui, e una ninfa che sta dietro Marsia: tra essi o un alberello di lau-ro o un ramo di lauro tenuto da Apollo; affiora la testa di una seconda ninfa, che probabilmente stava in piedi alla destra del dio” (CVA, Gran Bretagna, vol. III).

Page 177: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

177

A destra: Questo vaso (Hermitage) è stato assunto per de-nominare il pittore che lo ha eseguito - che viene in effetti identificato come “Il maestro di Marsia”. Marsia è rappre-sentato seduto sulla destra, ed il dipinto in realtà più che avere centro nella sua figura, è una rappresentazione del trionfo di Apollo vittorioso nella disputa (datazione: circa metà del sec. IV a. C.).

Page 178: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

178

A parte le variazioni sul tema dei trucchi di Apollo, che tuttavia dimostrano quanto i greci amassero gli auleti e i loro auloi, oltre che la lira e la cetra, ciò che rappresenta l’impronta più incisiva della storia, e che si impresse nella mente dei poeti e degli artisti di tutta la tradizione successiva fu la barbara pena che Apollo inflisse a Marsia: egli ordinò infatti che fosse scorticato vivo. Nelle sue Metamorfosi (VI, 382) Ovidio descrive con crudezza l’episodio dello scorticamento:

«urlava, e la pelle gli veniva strappata da tutto il corpo, e non era che una unica piaga: il san-gue stilla dappertutto, i muscoli restano allo scoperto, le vene pulsanti brillano semza più un filo di epidermide; gli potresti contare le viscere che palpitano e le fibre translucide sul petto»

Ma poi questa descrizione tanto cruda viene emotivamente riscattata dal grande pianto del popolo di Marsia, dalle lacrime dei pastori, delle ninfe, dei satiri, del grande musico Olimpo suo allievo, e questo immenso pianto che in-zuppa la terra riaffiora come fiume Marsia.

«I fauni campagnoli, divinità dei boschi, e i satiri suoi fratelli, e Olimpo, a lui caro anche in quel mo-mento, lo piansero, assieme a chiunque su quei monti faceva pascolare mandrie e greggi lanute. Il suolo fertile si inzuppò delle lacrime che cadevano e inzuppatosi le raccolse e le assorbì fin nel pro-fondo delle proprie vene; poi le convertì in un corso d’acqua, e riversò quest’acqua all’aria aperta. Così quel fiume che da lì corre tra rive in declivio verso il mare ondoso, si chiama Marsia, il più lim-pido fiume della Frigia».

Talora è il sangue stesso di Marsia che colando dalla pelle appesa ad un albero forma il fiume che prenderà il suo nome. In certo senso, Marsia non è morto, la sua eternità è assicurata dall’acqua:

«Quindi Marsia continua a vivere sotto forma di ruscello e sul ruscello crescono le canne, e le canne diventano a loro volta fiati. Strabone (XII, 578) dal suo viaggio in Asia, riferisce che il popo-lo che abita le rive del fiume Marsia fabbricava gli auloi con le canne che proprio lì crescevano» (Winternitz, 1982, p. 134).

Page 179: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

179

Questa tragica fine nobilita la figura di Mar-sia - e l’interpretazione del comportamento di Apollo diventa una sorta di enigma a cui è necessario dare una risposta. Anche il mito può essere interrogato nelle sue ragioni. E quali sono le ragioni dello scorticamento di Marsia in rapporto ad una sfida che riguarda-va la grande arte della musica nella quale in ogni caso eccellevano entrambi i contenden-ti? Questa domanda è presente nella varietà di rappresentazioni che la sfida di Marsia e di Apollo ricevette nella pittura e nella gra-fica europea. Oltre tutto occorre notare che rappresentazioni greche e medioevali del mito di Marsia non forniscono mai raffigu-razioni dirette dello spellamento di Marsia, sostituendole con dettagli che alludono sem-plicemente ad esso - segno che la questione dello spellamento non era facile da accetta-re. Dal Perugino questo episodio conclusi-vo non viene nemmeno accennato, e Marsia viene rappresentato in forma di bel giovane, e non di satiro, con un Apollo che ascolta as-sorto avendo deposto a terra la cetra. Si tratta di una scelta molto decisa: siamo di fronte a figure e gesti tutti risolti nella bellezza della musica, in una natura accogliente ed idilliaca, con gli uccelli che volano in cielo e il lontano profilo di un castello. Tutto il resto non conta, non ha nessuna importanza.

Page 180: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

180

Solo quando la Chiesa Cattolica Apostolica Romana, ad maiorem gloriam Dei, santifica le pratiche della tortura i pittori osano dare espressione all’atroce sofferenza di Marsia.

Ribera (1591-1692)

Page 181: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

181

Giordano, 1696

Guercino, 1618

Domenichino (1581-1641

Page 182: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

182

Ma forse l’immagine più raccapricciante la propone Tiziano, con un Marsia con forme nettamente animalesche che viene scuoiato appeso a testa in giù ad un albero, rendendo intollerabile e ripugnante il bell’Apollo che poco oltre continua indisturbato le sue divine armonie con la sua “lira da braccio” e lo sguardo rivolto al cielo.

Alla domanda, perché tanta barbarie? la risposta più frequentemente ripetuta è che la sfida di Marsia è rivol-ta ad un dio, quindi un atto di hybris. Ora nel pensiero mitico greco atti come questi sono puniti con particolare spietatezza. Si pensi al caso di Prometeo. Altre risposte fanno rientrare questo episodio, nell’antitesi tra gli stru-menti e gli stili strumentali, che si risolve con una duris-sima rivendicazione dello strumento a corda. Infine vi è il motivo in certo senso “nazionalistico”. L’aulos è di derivazione straniera. Ma nessuna di queste spiegazio-ni riesce a mio avviso ad essere convincente. Oltretutto nei nostri commenti noi stiamo mostrando con sempre maggior chiarezza che siamo in presenza di una dialet-tica interna alla grecità, e lo si vede anche in questo rac-conto in cui comunque persino la vincita di Apollo viene messa in dubbio; cosicché entrambi gli strumenti ven-gono via via rivendicati sulle opposte sponde dell’anti-tesi. I greci amano la cetra, la lira, gli strumenti a corda. Ma forse li amano soprattutto i teorici, i filosofi, i puristi della musica. E tuttavia gli strumenti a fiato, e persino il modesto flauto di Pan, sono in grado di infiammare l’intero Olimpo.

Quelle spiegazioni non risultano convincenti anzitutto per il fatto che nessuna di esse riesce a rendere conto della specificità della pena e l’estrema violenza dell’azione, e di conseguenza riesce a dare coerenza al racconto mitico. Come abbiamo notato in precedenza, il comportamento di Apollo resta un enigma. Ma dobbiamo realmente cerca-re coerenza in un mito? Non è strettamente necessario, è vero. E può essere anche equivoco, data la “molteplicità”

Page 183: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

183

intrinseca del racconto mitico. Tuttavia a volte vale la pena di tentarci. Ed io credo di poter suggerire un mutamento di punto di vista che forse fornisce una chiave per un’interpretazione che a me sembra persuasiva.Comincerò a rammentare un noto passo dantesco nel primo canto del Paradiso che suona così, rivolgendosi al “buono Apollo”:

In una parola Dante, sulle soglie del Paradiso, sente di non poter più soltanto fare affidamen-to alla protezione delle muse e invoca Apollo affinché gli faccia lo stesso servizio che fece a Marsia. Interpretazione davvero straordina-ria perché fa dell’operazione dello scortica-mento una sorta di liberazione dell’elemento puramente spirituale dalle scorie corporee. Un’illustrazione di Giovanni di Paolo datata intorno alla metà del sec. XV sembra illustra-re alla lettera i versi danteschi.

O buono Apollo, all’ultimo lavorofammi del tuo valor sì fatto vaso

come dimandi a dar l’amato alloro.

Insino a qui l’un giogo di Parnasoassai mi fu, ma or con ambedue

m’è uopo entrar nell’aringo rimaso.

Entra nel petto mio, e spira tue sì come quando Marsia traesti

della vagina delle membra sue.

“... ispirami come è richiesto perché tu dia l’alloro amato da te per amore di Dafne.” (Tommaseo)

Il Parnaso aveva due cime (gioghi), l’una abitata dalle Muse, l’altra da Apollo. L’ispirazione delle Muse poteva bastare fin qui, ma ora Dante “chiama Apollo”.

Page 184: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

184

«Raffigurato in primo piano non ab-biamo il corpo di Marsia, ma solo la sua pelle svuotata del corpo. Nell’otti-ca dantesca il liberarsi dell’involucro corporeo è il presupposto irrinuncia-bile per portare a compimento il suo viaggio nell’Aldilà ed arrivare alla vi-sione di “colui che tutto move”, “che ridire/ né sa né può chi di là sú discen-de”; ed è per questo che – unico caso nell’iconografia del mito – Marsia scorticato non muore, ma vive dopo la morte» (Chiara Mataloni - Iconos).

Ora, naturalmente non avrebbe senso aderire ad un’in-terpretazione così particolare e così strettamente rela-tiva alle preoccupazioni del Dante poeta di fronte alle porte del Paradiso. Tuttavia vi è l’affacciarsi dell’ele-mento metaforico, questo è l’aspetto importante che ci interessa in modo particolare.

Nel mito, come in ogni opera dell’immaginazione, agi-scono regole implicite, e in particolare agisce una re-gola che traduce ciò che si propone anzitutto come semplice immagine in un evento o in una sequenza di eventi. L’immagine assume la concretezza di un’azione oppure le fattezze di un personaggio: il valore immagi-nativo - secondo una terminologia che ho usato altrove - si traduce in una cosa o in un evento fantastico. Quando questa concretizzazione è avvenuta può accadere che non sia subito evidente il valore immaginativo da cui

quell’evento ha preso forma. Si corre allora il rischio di andare alla ricerca di chiavi interpretative realistiche e motivazioni che ci allontanano sempre più dalla com-ponente immaginativa.

Io invece intenderei l’episodio dello scorticamento proprio come un’immagine che si è fatta evento e la sua interpretazione come un ritorno dall’evento all’im-magine. Dobbiamo allora rammentare ciò che abbia-mo detto fin dall’inizio: il problema dell’aulos e della cetra riconduce a quello del continuo e del discreto: e musicalmente dunque a quello del diatonismo e del

Page 185: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

185

cromatismo. Ma intorno a questa distinzione musicale si aggirano determinate aree di senso - dal lato del continuo prevale l’elemento erotico-istintuale, dal lato del discreto quello della razionalità e della misura. Ora, che cosa è la pelle di Marsia come la pelle di noi tutti? È il veicolo essenziale dell’erotismo perché è il veicolo della tattilità. Allora la coerenza immaginativa ridiventa visibile. Non dobbiamo dunque provare troppo meraviglia di fronte alla barbarie di Apollo: lo scorticamento è una elaborazione fantastica che si concretizza nel coltello del carnefice, ma l’immagine da cui deriva non ha nulla a che fare con l’uno e con l’altro. La condanna di Marsia è la condanna dell’elemento erotico che egli rappresenta in modo eminente come tutta la stirpe di Dioniso.

Nota 1. Per le raffigurazioni pittoriche di Marsia puoi vedere la sezione corrispondente di Iconos (Ovidio, Cap. VI) (http://www.ico-nos.it/index.php?id=1) con i notevoli commenti per la parte iconografica di Chiara Mataloni. Iconos è una iniziativa della Cattedra di Iconografia e Iconologia del Dipartimento di Storia dell’arte della Facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università di Roma “La sapienza” - una iniziativa rara, in Italia, che può essere citata come un vero e proprio modello di lavoro scienti-fico e culturale messo a pubblica disposizione. Ci auguriamo che esso possa essere di stimolo alla diffusione della cultura via Internet che in tutto il mondo sta fa facendo passi giganteschi mentre la situazione italiana sembra arretrare piuttosto che avanzare.

Nota 2.Le numerose valenze del mito di Marsia e le sue possibili diverse interpretazioni sono sintetizzate da Didier Anzieu nel sag-gio «Il mito greco di Marsia» che è stato pubblicato da Lucia Corrain nella dispensa “La pelle del visibile” per il corso 2004-2005 della disciplina Semiotica delle Arti presso il Dipartimento delle arti visive dell’Università di Bologna. Lucia Corrain ha corredato a parte il saggio di Didier con una notevole raccolta di immagini relative al mito di Marsia. Puoi trovare questi materiali all’indirizzo: http://www.artivisive.unibo.it/Didattica/CORRAIN%20Lucia/materiali/Dispensa%20semiotica%20del%20visibile%20(immagini).pdf. Il sito di Lucia Corrain - http://www.artivisive.unibo.it/Didattica/CORRAIN%20Lucia/ va segnalato per la ricchezza dei materiali di riflessione offerti.

Page 186: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

186

Page 187: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

2.6 Il mondo del dio Pan

Page 188: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

188

Le ninfe sono evanescenti emanazio-ni della natura, che si aggirano nei pressi dei fiumi e sulle rive degli sta-gni. E le possiamo anche incontrare nel profondo dei boschi e sui sentie-ri montani.

Nell’immaginazione mitica dei greci, le ninfe sono strettamente associate ai fauni. Benché esse pos-sano essere l’oggetto di desiderio dei grandi dei dell’Olimpo, in realtà sono le naturali compagne dei fauni: le une e gli altri sono soprattutto figure della natura, immagini evanescenti della vita e delle for-me naturali. Certo, il racconto mitico accentua spes-so la loro ritrosia di fronte alle bramosie amorose del fauno che le spia nascostamente o che preten-de di ghermirle: cosicché nella tradizione pittorica i fauni sono talora presentati come i loro maligni per-secutori.

A. Boecklin, 1827-1901

2.6.1 I fauni e le ninfe

Dosso Dossi, ca 1490-1542

Page 189: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

189

Ma talora la rappresentazione propone ad un tempo, insieme alla fuga, anche l’idillio, ed il rifiuto e la fuga sem-brano disposte nel contesto di un rito amoroso già in corso.

N. Poussin, 1637

J. F. de Troy (1679-1752)

J. Jordaens, 1593-1678

Page 190: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

190

La focosità e sensualità dei fauni impaurisce le ninfe e può accadere che la loro fuga si concluda in una “metamor-fosi”: che altro non è che un ritorno all’elemento naturale di cui sono fatte. È chiaro: ci stiamo accingendo a narrare la storia di Pan e di Siringa, che è una storia piena di musica - anzitutto per il fatto che è la storia meravigliosa del “flauto di Pan”, ma anche, come vedremo, per altri importanti aspetti. Pan è un dio; i fauni sono gli abitanti del suo regno. Siringa una ninfa.

Anche il culto di Pan viene localizzato soprattutto in Arcadia. In ogni caso Pan non è un satiro - ma è un dio. Un dio minore, certamente.

Non è nemmeno senz’altro uno dei seguaci di Dioniso e membro del suo corteo. Che egli ap-partenga alla cerchia di Dioniso, in ogni caso, è subito chiaro.

Lo si vede, intanto, dall’aspetto.

Attenendoci ai racconti, la regione da cui Pan proviene è l’Arcadia, nel Peloponneso, nel cuore dorico della Grecia continentale, molto lontano dunque dalle terre di Dioniso.

2.6.2 Il dio Pan

Page 191: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

191

Pavimentazione romana a mosaico che rappresenta Pan (Villa di Gennazzano) (II sec. d. C.)

Non è propriamente un satiro - perché i satiri dionisiaci hanno in fin dei conti forma umana prevalente, ed un cen-no animalesco di coda, forse le orecchie un po’ più lunghe del necessario, mentre questo dio ha in tutto e per tutto forme animalesche: orribile a vedersi il volto, con due corna in fronte, corpo villoso, coda e zoccoli da capro! Con-trassegni dei fauni che sono sue creature sono sempre le zampe e il pelame animalesco (a differenza dei satiri). E se un satiro (come accade talvolta nel caso di Marsia) viene rappresentato come un fauno, ciò tradisce un intento di degradazione.

Page 192: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

192

Pan era figlio di Ermes, di cui abbiamo già rilevato i tratti dionisiaci. Racconta il bellissimo Inno omerico dedica-to a Pan che Ermes si innamorò di una “fanciulla dalle belle trecce” e con essa giacque in un “florido amples-so”. Così fu generato un “figlio diletto”, già appena nato “mostruoso a vedersi” cosicché la fanciulla, “come vide quel volto ferino e barbuto”, fuggì tanto lontano che nessuno mai più la vide (Inni omerici, 1994, XIV, p. 369).

Eppure quando Ermes, da padre amoroso, lo presen-tò agli dei dell’Olimpo, essi proruppero in una gran-de risata e “si rallegrarono nell’animo tutti gli immor-tali, ma più di ogni altro il baccheggiante Dioniso”.

Pan si aggira “per le valli folte di alberi”, lo puoi scor-gere sulle “cime delle impervie rupi”, “sugli aspri sen-tieri”, e lungo “i lenti ruscelli”. Il viandante che si trovi a passare per questi luoghi, il pastore che accompa-gna solitariamente le proprie greggi, ne avverte la pre-senza misteriosa. Questa presenza puoi poi palesarsi - ed allora il dio Pan diventa un dio che incute terrore. L’espressione “timor panico” o semplicemente “pani-co” deriva proprio da questo ricordo.

In questo dipinto di Boecklin, Pan si affaccia alla rupe mettendo in fuga il pastore.

Page 193: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

193

Ma può realmente il dio che a fatto sorridere tutti gli dei dell’Olimpo esercitare un’effettiva minaccia? Le improv-vise comparse di Pan sembrano un gioco del dio che si diverte ad impaurire approfittando del suo aspetto, senza voler recare alcun danno. Questo elemento terrifico è legato prevalentemente al misterioso - ai silenzi ed ai suoni vagamenti inquietanti della natura, che tuttavia ci spaventano senza alcun vero motivo e non comportano alcuna minaccia.

Ma i luoghi in cui possiamo imbatterci nel dio e provare perciò un oscuro timore, sono anche i luoghi in cui si aggi-rano le ninfe - che assecondano Pan, dio “amante del clamore”, con le loro danze e i loro canti. Il termine “amante del clamore” traduce il termine greco filocrotos in cui krotos può indicare specificamente il ritmato batter dei piedi nella danza. Purtroppo nella traduzione questa sfumatura di senso va inevitabilmente perduta. Le ninfe sono esseri che cantano e danzano, ed in questo anzitutto sono associate al dio Pan. Il quale talora, al ritorno dalla caccia, al tramonto, suona solitario, con il suo strumento di canne, una musica dolcissima:

non riuscirebbe a superarlo nella melodial’uccello che tra il fogliame della primavera ricca di fiori

effonde il suo lamento, e intona un canto dolce come il miele.Con lui allora le ninfe montane dalla limpida voce

girando con rapido batter di piedi presso la sorte dalle acque cupecantano, e l’eco geme intorno alla vetta del monte.

Il dio, muovendo da una parte e dall’altra, e talora al centro della danza,le guida con rapido batter di piedi - sul dorso ha una fulva pelle

di lince -, esaltandosi nell’animo al limpido canto,sul molle prato dove il croco, e il giacinto

odoroso, fioriscono mescolandosi innumerevoli all’erba:Cantano gli dei beati e il vasto Olimpo.

Come nel caso del ritorno di Apollo nell’Olimpo con la sua grande cetra, anche qui gli dei si uniscono in un canto al suono del modesto flauto di canne pastorale del dio Pan ed al coro danzante delle ninfe.

Page 194: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

194

Per quanto posso giudicare, nella pittura vasaria greca, il dio Pan è piuttosto raramente rappresentato. Nelle figure di questa pagina vi è in ogni caso un esempio di Pan danzatore con satiri. Come nel caso dei satiri, ed anzi ancor più tipicamente in quello di Pan, il culto cristiano si appropriò di questa figura e fece di essa un’immagine fedele del demonio e ciò, come abbiamo già notato, per via delle ossessioni sessuofobiche del cristianesimo. Questa demonizzazione influenza involontariamente persino l’archeologo che così descrive questa immagine: «A sinistra rameggio di edera, a destra viticcio con grappoli d’uva. In mezzo danza estatica di carattere demoniaco. A sinistra satiro nudo con capelli scarmigliati e petto peloso. In mezzo Pan, rivolto frontalmente. Corpo villoso, piedi di capro, enormi corna ritorte e orecchie di capra. Suona il doppio flauto e danza preso dal ritmo della sua stessa musica. Un secondo demonio che giunge frettolosamente da destra allunga una coppa da bere al dio.» (CVA, Heidelberg, I, a cura di K. Schauenburg). Occorre ammettere tuttavia che anche l’antico autore di questo dipinto non sembra proprio simpatizzare con il dio.

Page 195: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

195

Assai più benevolmente Pan adulto viene presentato in questo vaso in stile beotico mentre danza al suono del timpano che egli stesso percuote e il Pan giovane (o forse un fauno) seduto su una roccia mentre suona l’aulos.

Page 196: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

196

È interessante notare come in Magna Grecia, la fisionomia del dio muti significativamente nelle rappresentazioni. Egli viene infatti raffigurato ingentilito dalla giovane età e senza accentuazione dei caratteri animaleschi. Nella ce-ramica campana presentata in fig. 1 e risalente al III sec. a.C. le corna sembrano quasi un ornamento, e i tratti del volto sono quelli di un giovane dai grandi occhi sognanti. In Fig. 2 si tratta invece di una ceramica apula databile nel quarto secolo a. C. Ed anche in questo caso un Pan giovane porta le sue corna da montone come un elemento di decoro.

Fig. 1

Fig. 2

Page 197: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

197

2.6.3 Storia di Siringa

Possiamo ora riprendere la storia di Siringa, una storia che si trova a metà strada tra mito e favola. Racconta Ovi-dio (Metamorfosi, Libro I, 689-721): innamorato della ninfa e da lei respinto, Pan la rincorre ed essa fugge “per luo-ghi impervi, finché non giunse alle correnti tranquille del sabbioso Ladone”; e “impedendole il fiume di correre ol-tre” essa invocò “le sorelle dell’acqua di mutarle forma”; cosicché quando ormai Pan stava per ghermirla “strinse in luogo del suo corpo un ciuffo di canne palustri”.

Pan e Siringa in una illustrazione di W. Baur (Vienna 1703) delle Metamorfosi di Ovidio

Hendrik van Balen, 1615

Page 198: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

198

Il vento «vibrando nelle canne, produsse un suono delicato, simile ad un lamento e il dio incantato dalla dolcezza tutta nuova di quella musica: ‘Così continuerò a parlarti’ disse, e, saldate fra loro con la cera alcune canne diseguali, manten-ne allo strumento il nome della sua fanciulla» (Ovidio, Libro I). Nella più cruda versione di Longo Sofista, in Dafni e Cloe (1987, p. 101) Siringa annega fra le canne del fiume, e Pan forgia lo strumento con il quale ne piange la morte. Un pic-colo dettaglio: quest’opera di Longo è offerta dall’autore nel Proemio “come dono votivo a Eros, alle Ninfe e a Pan».

In greco syrinx significa niente altro che “canna” - cosicché il racconto narra del vento della sera che fa sussurrare i canneti lungo i fiumi. La parola stessa forse lo dice, se può valere un etimo da syrizo che significa proprio sussurrare, sibilare, bisbigliare. Sembra che nel suono stesso della pa-rola si avverta un sussurro.

Arnold Boecklin, Pan nel canneto

2.6.4 Storia di re Mida

Intorno a Pan vi sono anche altri personaggi - ed in parti-colare un personaggio che sembra far terminare in farsa la storia di un dio che è cominciata con le risa degli dei dell’Olimpo. Si tratta di re Mida la cui capacità di tramu-tare in oro tutto ciò che tocca è passata in proverbio. Que-sto personaggio, intanto, richiama una sorta di ripetizione priva di tragiche conseguenze della sfida di Marsia ad Apollo. Anche Pan osò sfidare con il suo flauto disadorno la grande cetra di Apollo - ma ne risultò così clamoro-samente perdente che non ne fu punito. Una punizione la ebbe invece - qui sembra esservi la farsa - proprio re

Page 199: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

199

Mida, presente alla sfida, per aver dato il proprio plauso a Pan, piuttosto che ad Apollo. E ne ebbe in cambio da Apollo le orecchie d’asino. Con un’appendice, per l’appunto interamente farsesca: infatti che Mida avesse le orec-chie d’asino, dettaglio che egli teneva accuratamente nascosto con un copricapo, era ben noto al servo che aveva il compito di tagliargli i capelli. Il quale, non resistendo alla tentazione di comunicare una simil cosa a qualcuno, la gridò in una buca che poi ricoprì con cura. Attenzione superflua, dal momento che proprio lì sorse un canneto e si incaricò il vento della sera passando fra le canne a far risuonare quelle parole in modo che le intese il mondo intero.

Ora, non è questa una semplice degradazione novellistica del mito - peraltro splendidamente narrata da Ovi-dio - ma che è ormai lontana dai nostri temi? In parte ciò è vero, ma due parole vanno ancora dette, soprattut-to su re Mida, e naturalmente tenendo conto non tanto della narrazione così come è, quanto dei motivi che si intravvedono nel suo interno. Anzitutto egli ci riporta in modo nettissimo sul versante dionisiaco. Mida è un re frigio, e si guadagna da Dioniso l’insano merito di trasformare in oro tutto ciò che tocca come pre-mio per aver ritrovato Sileno, maestro del dio, perdutosi ubriaco nei boschi. Per essere guarito da quella che più che come premio si presentava come condanna si immerge, sempre su suggerimento di Dioniso, nell’ac-qua. In vari modi e probabilmente in vari sensi l’elemento acquoreo in queste storie è presente ovunque. Così come è presente l’atmosfera agreste. Mida si aggira in campagna e tra i boschi, e perciò diventa adoratore di Pan che “ha la sua dimora negli antri dei monti”. E diventa spettatore della sfida di Pan ad Apollo (XI,153):

Qui Pan, un giorno che, vantando alle tenere ninfe i propri zufolii (sibila),modulava lievemente sulle canne incerate una canzone,

osò spregiare, a suo paragone, la musica di Apollo,e così giunse, avendo giudice Tmolo, ad un’impari gara.

[Tmolo è una montagna divina, che poteva prendere forma umana, localizzata in Lidia o in Frigia]

Nell’illustrazione cinquecentesca che segue le scene sono due, da intendere come temporalmente separate. Sul-la sinistra estrema vi è Re Mida che ascolta Pan suonare un grosso flauto a canne, mentre Apollo gli sta dietro le spalle con la “lira” in mano. In realtà con “lira” qui non si deve intendere lo strumento greco, ma lo strumento a corde ed arco che allora veniva chiamato così. Sulla destra vi è il momento della prova di Apollo, con Pan e Mida seduti insieme a Tmolo, il giudice della gara. L’albero al centro fa da separatore “temporale” delle due scene.

Page 200: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

Il resto lo abbiamo già raccontato. Ma non c’è proprio nulla da dire sul finale sia per ciò concerne l’azione del servo sia per le orecchie d’asino del re? Io credo che, benché tutto si possa rivolgere in farsa, i motivi che vi compaiono appartengono ancora a Siringa, ovvero al flauto di Pan. E quindi hanno dei richiami interni che la semplice narrazione non rende evidenti. Intanto il servo va evidentemente a scavare la buca presso un fiume, se in breve sorge un canneto. E queste canne sono canne “cantanti”. Tuttavia la cosa, credo, più interessante è, a mio avviso, un’interpretazione diversa delle orecchie d’asino da quella solita, o da quella che comunque si sa-rebbe tentati di dare. Sembra infatti che Apollo voglia soltanto denunciare la sordità alla musica del re e io pen-so che tutti siano subito propensi a questo tipo di spiegazione. Io sono di diverso avviso. Il re Mida, che aveva avuto Orfeo tra i suoi maestri, ha fatto una scelta musicale. Ha mostrato di non appartenere al mondo di Apollo - e le sue orecchie d’asino sono il segno di un inizio di un viaggio verso il mondo di Dioniso e di Pan, i cui per-sonaggi sono caratterizzati da tratti zoomorfi. Anche questo finale ha dunque, a mio parere, un senso musicale.

A. Boecklin, Pan

Page 201: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

201

Pan si esibisce di fronte ad Apollo, Ermes e tre ninfe (Atene, Acropoli)

Page 202: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

202

Page 203: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

203

2.7 Orfeo

Jean Cocteau1960

Orpheus

2.7.1 La lira di Orfeo2.7.2 La morte di Orfeo

Annotazione sulla morte di Orfeo secondo Picasso

Page 204: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

204

2.7.1 La lira di Orfeo

I racconti mitici relativi ad Orfeo hanno attraversato tutta la cultura europea, sia nella pittura come nella musica, ed essi possono concludere anche questa parte del nostro album dedicato agli strumen-ti musicali nell’immaginazione mitica per il fatto che Orfeo rappresenta esem-plarmente il duplice orizzonte di senso, l’orizzonte dello splendore della luce e del giorno e quello dell’oscurità e della notte, con l’intera area di sensi che sta dentro questi orizzonti. «Orfeo è la figu-ra mitica inventata dai Greci per dare un volto alla grande contraddizione, al pa-radosso della polarità e dell’unità tra i due poli... Orfeo non è il pacificatore di Apollo e Dioniso: esprime la loro unione e perisce straziato dalla loro lotta» (Colli, 1990, pp. 38-39). Sia nella documentazio-ne letteraria sia in quella grafico-pittori-ca Orfeo è sempre rappresentato come suonatore della lira. Questo lo fa associa-re ad Apollo che, secondo i racconti , gli donò la lira ricevuta da Ermes.

Talora viene detto anche figlio del dio - e ciò ne rafforzerebbe il legame. Ma, secondo altri racconti, padre di Orfeo sarebbe invece Eagro, presunto re della Tracia (Pindaro, fr. 139, Colli, 1990, p.121 cfr). Ecco l’inizio di una sorta di contraddizione: «Orfeo proviene dalla Tracia, una regione non greca, in Egitto venne iniziato ai misteri di Dioniso che egli introdusse in Grecia. E tuttavia vale come “figlio” di Apollo che gli ha donata la sua famosa lira e che lo ha

Page 205: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

205

fatto educare nell’arte del canto e della lira dalle muse» (Roch, 2004) p. 141). I riferimenti alla Tracia nel caso di Or-feo sono del resto piuttosto numerosi. Così Euripide (Alcesti 962-972 cit. in Colli, 1990, p. 131) parla delle «tavolette lignee di Tracia che la voce di Orfeo riempì di scritti». Ed ancora in Euripide la stessa lira di Orfeo viene definitica “asiatica di Tracia” (Colli, 1990, p.135).

Nell’immagine gli ascoltatori di Orfeo sono guerrieri traci, che venivano dipinti con caratteristici copricapi.

Quando risuona la lira di Orfeo (Colli, 1990, p. 119),

uccelli innumerevolisi libravano a volo sopra il suo capo,

e dirittidall’acqua turchina balzavano

in alto i pesci per il canto bello.

E si acquetavano nell’ascolto gli animali più feroci. Questa la caratterizzazione più nota delle straordinarie capaci-tà di Orfeo: naturalmente essa ha soprattutto il senso di un elogio del fascino ammaliatore della musica. Nell’illu-

Page 206: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

206

strazione quattrocentesca (a sinistra in basso) la “lira”, come accade abbastanza spesso, è la la “lira da braccio” rinascimentale, uno strumento che poteva essere suonato sia a pizzico che con l’arco. Il nome naturalmente genera l’equivoco presente molto spesso anche in rapporto ad Apollo, come si è già notato (a questo equivoco Winternitz, 1982, dedica un’interessante appendice, pp. 263 sgg.).

Anonimo, Ill. per Ovidio, X, 86-106, Venezia 1497

W. Baur (Vienna 1703) Albert Cuyp, 1640

Briton Rivière, 1784

Page 207: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

207

Persino gli alberi si spostano per fare ombra ad Orfeo e per ascoltarlo, secondo la narrazione di Ovidio (X, 86 sgg.).

C’era un colle, e sul colle una radura pianeggianteche germogli d’erba coprivano di verde.Non c’era ombra in quel luogo, ma quando il divino poetavi venne a sedere e trasse dalla lira un accordo,l’ombra lì si diffuse: apparve l’albero della Caonia,e con quello il bosco delle Eliadi, il rovere svettante,i tigli flessuosi, il faggio, il vergine alloro,le fragili avellane, il frassino che serve per le lance,l’abete senza nodi, il leccio appesantito dalle ghiande,il platano fastoso, l’acero di diversi colori,

e insieme a loro i salici di fiume, il loto d’acqua,il bosso sempreverde, le tenere tamerici,il mirto di due colori e il timo con le sue bacche azzurre.E voi pure veniste, edere dalle radici aggrovigliate,e le viti piene di pampini, gli olmi avviluppati di viti,e ornielli, pìcee, corbezzoli carichi di fruttirosseggianti, tranquille palme che si danno in premio ai vincitori,e il pino che si erge con la sua chioma arruffata raccolta in cima...

Piante, animali, natura. Questo evoca la lira di Orfeo - e questa partecipazio-ne all’elemento naturale ci rammenta, non certo il mondo di Dioniso, ma for-se quello di Pan. Non so se Giovanni Bellini nell’inserire insieme ad Orfeo un fauno con zampe di capro sia stato mosso da questo pensiero. Egli dialo-ga con Eco - in fin dei conti anch’essa una divinità musicale che appartiene alla natura.

Giovanni Bellini (attrib), Orfeo, Circe, Pan, Eco, 1510 -Washington, Nat. Gallery

Page 208: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

208

In atmosfera idilliaca e pastorale viene narrato anche l’incontro d’amore di Orfeo con Euridice. Ma si tratta di un idil-lio che è in prossimità della tragedia, di un amore e di una musica che deve incontrare la morte. Al di là dell’aspetto narrativo, ecco presentarsi le figure di questa inquietudine, che dal mondo campestre dove vivono animali, piante e fiori, fanno subito intravvedere mondi oscuri. Ecco il serpente - e la morte dell’amata Euridice. Orfeo varca allora la soglia che conduce al regno dei morti, dialoga con gli dei che lo dominano. Il punto importante che egli lo possa fare, che a lui questo dialogo sia concesso.

Virgil Solis, illustrazione per le Metamorfosi di Ovidio (sec. XVI)

Page 209: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

209

Certo, è ancora il fascino ammaliatore della musica che domina - e che rende estatici gli abitanti del mondo della notte. Ogni ostacolo è superato con la forza incantatrice della sua lira. Per quanto riguarda lo sviluppo della storia non bisogna indulgere con i possibili “lieto fine” che poeti e musicisti attribuirono ad essa. Euridice muore vera-mente e definitivamente, e per uno sguardo d’amore.

W. Baur (1703) A. Scetta, Orfeo all’inferno (1845)

Friedrich Rehberg (1810)

Page 210: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

210

2.7.2 La morte di Orfeo

Tutta la storia di questo musico che per i Greci rappresentava la musi-ca stessa - ed il suo simbolismo è entrato profondamente nella nostra tradizione - si trova all’insegna del-la morte. Orfeo, tornato in Tracia, venne fatto a pezzi dalle Menadi. È ancora Ovidio a descrivere la sua morte orrenda mettendone in risal-to l’atrocità.

Page 211: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

211

Ormai la sconsiderata battaglia si fa furibonda,divampa sfrenata e su tutto regna la Erinni insensata.

Il canto avrebbe potuto ammansire le armi, ma il clamoresmisurato, gli auloi di Frigia uniti al corno grave,

i timpani, gli strepiti e l’urlo delle Baccantisommersero il suono della cetra. E così alla fine i sassi

si arrossarono del sangue del poeta, che non si udiva più.Per prima cosa le Mènadi fecero strage di tutti

gli innumerevoli uccelli, ancora incantati dal canto di Orfeo,e dei serpenti, delle fiere che erano vanto del suo trionfo.Poi con le mani grondanti di sangue, contro lui si volsero,

accalcandosi come uccelli che avvistano un rapace notturnodisorientato dalla luce; e il poeta pareva il cervocondannato a morire all’alba nell’arena, preda

dei cani che l’assediano sul campo. Nel loro assalto gli scaglianocontro i tirsi, virgulti di foglie non certo creati per questo.

...Alcune lanciano zolle, altre rami divelti dagli alberi,altre ancora pietre. E perché armi al loro furore non mancassero,

alcuni buoi, col vomere affondato, aravano lì quella terra,e non lontano, preparandosi con molto sudore il raccolto,

muscolosi contadini vangavano le dure zolle;alla vista di quell’orda, costoro fuggirono abbandonando

i loro attrezzi: disseminati sui campi deserti rimaserocosì sarchielli, rastrelli pesanti e lunghe zappe.

Quelle forsennate se ne impossessarono e, fatti a pezzi i buoi,che le minacciavano con le corna, si gettarono a finireil poeta che, tendendo le braccia, per la prima volta

parlava al vento e nulla, nulla più ammaliava con la sua voce:come scellerate lo massacrarono, e da quella bocca, o Giove,

ascoltata persino dai sassi e intesa dai sensi delle fiere,con l’ultimo respiro, l’anima si disperse nel vento.

Page 212: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

212

Ti piansero afflitti gli uccelli, Orfeo, ti piansero branchi di belve,le rocce immobili e le selve che un tempo seguivano il tuo canto:

senza più foglie, spogli, con la chioma rasa, gli alberiespressero il loro lutto; e si dice che anche i fiumi crebberoa furia di piangere, e che Naiadi e Driadi indossarono manti

velati di nero, lasciando spiovere sciolti i loro capelli.

La lira e le membra sparse di Orfeo finirono nel fiume Ebro ed iniziarono un viaggio lungo le acque entrando nell’Egeo ed approdando a Lesbo - mentre la testa, smembrata dal corpo e appoggiata alla lira ancora emetteva un sussurrante canto:

Disperse intorno giacciono le membra: capo e lira li accogliestitu, Ebro; è un prodigio: mentre fluttuano in mezzo alla corrente,

la lira, non so come, flebile si lamenta, la lingua esanimemormora un flebile gemito e flebili rispondono le rive.

Trasportati sino al mare, lasciano il fiume della loro patriaper arenarsi a Metimna sulle coste di Lesbo...

Odilon Redon, Morte di Orfeo, 1905-10

Page 213: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

213

John William Waterhouse, 1900 Gustave Moreau,1865

Page 214: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

214

Naturalmente non possiamo scavare tanto in profondità e del resto, per i nostri scopi, non è nemmeno necessario. Va tuttavia almeno detto che le spiegazioni offerte da Ovidio fanno parte degli adattamenti narrativi.

Orfeo, tornato in Tracia, sua terra d’origine, restò tanto legato al ricordo di Euridice da disprezzare le donne trace che vollero per questo vendicarsi... Ma a parte tutto, lo stesso Ovidio parla proprio di Menadi e di Baccanti, e que-ste non sono donne qualunque. Analogamente la punizione a cui Dioniso, sempre stando alla narrazione di Ovidio, sottopone le Baccanti, trasformandole in alberi, è una sorta di equivalente di “lieto fine”, oltre ad essere a sua volta una metamorfosi, soddisfacendo l’idea guida dell’opera.

Mentre la spiegazione di Ovidio risponde ad esigenze narrative, la singolare e inconsueta interpretazione che Platone nel Simposio dà della discesa di Orfeo nell’Ade e della sua morte sembra una sorta di razionalizzazione di eventi inspiegabili: «Gli dei onorano altamente la devozione e la virtù a servizio dell’amore» - dice Platone. E aggiunge:

«Ma Orfeo figlio di Eagro lo rimandarono dall’Ade a mani vuote; gli mostrarono l’ombra della donna per la quale era disceso, senza dargliela, perché parve loro un debole, proprio come un citaredo, e non avesse l’animo... di morire per amore, ma che escogitasse ogni via per penetra-re vivo nell’Ade. Appunto questa è la ragione per cui lo punirono e gli fecero trovare morte per mano di donne...» (Simposio, 179, d).

Chiedersi perché le Menadi si scatenarono su Orfeo, è una domanda che potrebbe suscitare perplessità, trattan-dosi di un mito. Ma non è è così. Nel caso del mito non ci si interroga su cause o concatenazioni causali, ma su com-plessi di senso. Nel mito di Orfeo confluiscono elementi differenti e soprattutto affinità con altre storie: la discesa nell’Ade, ad esempio, lo accomuna ad Eracle ed a Dioniso - in particolare a quest’ultimo: Dioniso scende nel mondo infero per sottrarre alla morte la madre Semele. Ed essa, a differenza di Euridice, ritorna sulla terra e diventa og-getto di culto come dea della rigenerazione.

La morte e la lacerazione di Orfeo, d’altra parte, è un tema che riguarda anzitutto Dioniso (entrambi poi rammen-tano la vicenda del dio egiziano Osiride). Il mito racconta infatti che Dioniso fanciullo, sbranato dai Titani, rinasce poi a nuova vita. Su questi temi si addensano elementi che fanno parte della tradizione dei misteri orfici che pro-prio ad Orfeo si ricollega.

Page 215: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

215

In questa interpretazione si resta colpiti dalla critica della “debolezza” di Orfeo: proprio come un citaredo. Plato-ne dice ciò a proposito di un suonatore dello strumento apollineo per eccellenza, gli attribuisce come suonatore della cetra quella “mollezza” che semmai andrebbe riferita ad un suonatore di barbitos o addirittura ad un auleta.

Ciò rappresenta un appiglio piuttosto forte per la lettura tutta musicale che Eckard Roch dà della morte di Orfeo: egli avrebbe, nonostante tutto, portato nello stile della cetra proprio quella varietà, quelle ornamentazioni, quei “colori” che erano tipici degli auleti abbandonando la severità “dorica” che Platone riteneva invece caratteristica dello strumento e desiderabile per la musica in genere. Tra queste novità che sarebbero state introdotte da Orfeo vi sarebbe dunque la “frantumazione” dell’ordine melodico, la frammentazione del discorso musicale. La vicenda della morte di Orfeo diventa così una metafora musicale - come musicale è, persino nella descrizione di Ovidio, il suo assassinio: egli avrebbe certamente potuto con la sua cetra ammansire non solo le belve feroci, ma anche le Menadi inferocite , ed infatti i primi colpi si infrangono contro il dolce suono dello strumento: persino un sasso, lanciato come proiettile «mentre ancora vola, rimane estasiato dai soavi concenti, della voce e della lira, e cade dinanzi ai suoi piedi, quasi a chiedere perdono di quell’ardire folle» (XI, 10-13). Ma timpani, tibie, auloi frigi, strepi-ti - e tutto questo “baccano” è ancora musica - vincono il suono della lira, che infine soccombe. Ed a Orfeo spetta quello smembramento che simboleggia la frantumazione a cui egli ha sottoposto la musica stessa. Le Menadi si riappropriano di Orfeo e lo riconsegnano a Dioniso - tutta la vicenda è metafora e rito:

«Benché Orfeo sia sacerdote di Apollo e la sua morte venga interpretata come come punizione o vendetta di Dioniso, tuttavia egli condivide il destino di Dioniso stesso. E proprio attraverso la sua morte Orfeo non non si trova in conflitto con Dioniso, ma in unità con lui» (Roch, 2004, p. 145).

Interpretazione assai suggestiva di cui ovviamente non possiamo garantire la “verità”. L’elemento metaforico lo abbiamo anche ritrovato nella disputa tra Marsia e Apollo - con cui la storia della morte di Orfeo ha qualche affini-tà: come la lira di Orfeo che sorregge il suo capo, anche l’aulos di Marsia, gettato nel fiume che porta il suo nome, arriva infine, attraversando l’Egeo e passando da fiume a fiume, alla città di Corinto dove viene conservato in un tempio.

Il mito è una fantasia sociale che ciascuno può soggettivamente interpretare e proseguire, scoprendo nuovi nessi e dunque anche nuovi sensi.

Page 216: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

216

ITuttavia alla base delle sue storie vi è comunque la Storia, le sue vicende concrete, gli intrecci tra le culture che si avvicendano. Nell’interpretazione or ora proposta Orfeo sembra essere anzitutto un musico apollineo, che si con-verte a Dioniso, anzi che si dissolve in Dioniso. Ciò significa da un lato fare del mondo religioso olimpico, qualcosa che precede piuttosto che seguire la fase ctonia della cultura religiosa greca; dall’altro a rinunciare a quello che è forse il tratto più caratteristico di questa figura: quello di essere portatore e mediatore di entrambi i messaggi, di mostrare la loro convivenza nella musica e nella spiritualità greca in generale.

Cosicché a me sembra che il modo diverso in cui viene raccontata la storia di Orfeo in un frammento dovuto ad Eratostene (III sec. a. C.), con riferimento ad una tragedia perduta di Eschilo (Le Bassaridi), suggerisca una spiega-zione più profonda

«Essendo disceso nell’Ade a causa della sua donna, e avendo visto come sono le cose di laggiù, cessò di onorare Dioniso, mentre considerò come massimo tra gli dei Elios, che egli chiamò anche Apollo. E svegliandosi di notte verso il mattino, per prima cosa sul monte detto Pangaion attendeva il sorgere del sole, per vedere Helios. Perciò Dioniso,adirato, gli mandò contro le Bassaridi [Menadi], come dice Eschilo, il poeta tragico: queste lo sbranarono e dispersero le sue membra, ogni parte del corpo separata dalle altre» (Colli, 1990, p. 199).

Vi sarebbe dunque un primo e fondamentale legame Dioniso-Orfeo che in qualche modo precede quello di Orfeo-Apollo. Sprofondando nelle tenebre Orfeo, il cui nome forse significa forse l’”oscuro” (Kerényi, cfr. 2004, p. 138), aspira alla luce. L’orfismo, la corrente religioso-filosofica che si ricollega a Orfeo, accentua i tratti notturni di questa figura, erigendo a principio divino di tutte le cose la Notte stessa (Colli, 1990, p. 205). Sarei quasi tentato di dire: la Notte che attende il giorno.

Annotazione sulla morte di Orfeo secondo Picasso

Nel 1930 Picasso si accinse ad illustrare le Metamorfosi di Ovidio. In particolare si soffermò sulla morte di Orfeo di cui realizzò due versioni. La prima, particolarmente densa e drammatica, in cui il corpo di Orfeo giace riverso mentre le menadi che lo dilaniano. Sono visibili in essa anche particolari particolarmente brutali. Di essa tuttavia egli non fu soddisfatto e realizzò una seconda versione, più “classicheggiante” sia nella disposizione dell’insieme

Page 217: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

217

Picasso, La morte di Orfeo (1930)

sia nelle forme: le menadi che prima infierivano ora contemplano il corpo di Orfeo. Non può sfuggire tuttavia un aspetto comune all’una ed all’altra versione. In entrambe è presente la testa del toro - due teste nella prima, una nella seconda nella quale Orfeo giace abbandonato sul toro abbattuto. Per Picasso il toro divenne sempre più im-magine della vittima sacrificale.

Page 218: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

218

Page 219: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

219

3. I filosofi che cantano3.1 Il volto di Pitagora

3.5 Chi è Pitagora?

3.7 Viaggi di Pitagora

3.9 I filosofi che cantano

3.2 Vita di Pitagora

3.3 Acusmatici e matematici

3.4 Scienza e immaginazione

3.6 Pitagora e Apollo

3.8 I prodigi di Pitagora

Page 220: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

220

Page 221: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

221

Dopo uno sguardo sommario ai principali strumenti impiegati nella musica greca ed alle fantasie che stanno loro intorno, ci avviciniamo ai problemi della teoria greca della musica. Ma a piccoli passi - a poco a poco. Avviandoci a parlare di Pitagora e del pitagorismo in genere, restiamo per un buon tratto se non nel mito, nella leggenda; ed anzi molto spesso abbiamo la sensazione di essere ancora interamente immersi nel mito. Questo non vuol dire che vi siano ragioni serie per dubitare della esistenza reale della figura di Pitagora. Siamo in grado ad esempio di indica-re una cronologia che resta, come è ovvio, molto indeterminata per quanto riguarda le date, ma abbastanza sicura per quanto riguarda i periodi ed alcuni luoghi.

Vi è anche una fisionomia tra-mandata attraverso sculture - sulla quale naturalmente non si può mettere la mano sul fuoco - ma che possono essere con-siderate come copie di altre molto arcaiche. Non sembra ra-gionevole escludere in linea di principio la somiglianza con la persona rappresentata (ammes-so che sia esistita). In seguito ovviamente questi "ritratti" di-ventano modelli che possono essere iterati, ed anche variati mantenendo elementi di somi-glianza con il modello.

3.1. Il volto di Pitagora

Page 222: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

222

Nella scultura precedente - conservata ai Musei Capitolini di Roma - Pitagora viene ritratto con un singolare co-pricapo. Attiro l’attenzione su questo punto perché è stata recentemente formulata un’interessante ipotesi dall’ar-cheologo Daniele Castrizio, che riguarda il confronto tra la scultura precedente ed il ritratto bronzeo presente nel Museo di Reggio Calabria già caratterizzato come “ritratto di filosofo” per via di un reperto ad esso associato di un corto mantello che era in Grecia portato in particolare da letterati e filosofi.

Il ritratto del cosiddetto “filosofo” dal relitto di Porticello (Reggio Calabria)

Page 223: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

223

Daniele Castrizio ha recentemente sostenuto che che questo notevole ritratto bronzeo potrebbe essere effetti-vamente il ritratto di un filosofo, e precisamente di Pitagora. In questa ipotesi il copricapo assolve una notevole funzione. In breve: il copricapo è un turbante che segnala i viaggi pitagorei in particolare in Egitto e presso gli arabi. Il bronzo di Reggio provvisto di turbante ci riporta direttamente al volto considerato ai Musei Capitolini.

Daniele Castrizio ha avuto la cortesia di mettere a disposizione un video in cui egli spiega a viva voce le proprie tesi documentando-le ovviamente con una maggiore ricchezza di particolari rispetto alla nostra breve sintesi - cosicché è possibile su questo punto fare riferimento diretto al video : Il filosofo di Porticello. Il ritratto di Pitagora di Samo? (http://www.youtube.com/watch?v=k-c_JhvLYRc)

Page 224: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

224

Vi sono anche dei motivi storicamente concreti a suggerire che possa trattarsi del ritratto di Pitagora poiché la città di Reggio Calabria aveva ospitato i pitagorici scacciati da Crotone intorno alla metà del secolo V. Si spiegherebbe così la presenza a Reggio di una statua di Pitagora che divenne parte (sempre secondo l'ipotesi di Castrizio) del bottino di guerra di Dionisio I di Siracusa dopo la presa di Reggio del 386 a. C. e trasportato su una nave affondata nello stretto in quel torno di tempo.

Eccoci dunque faccia a faccia con Pitagora! Bisogna ammettere che è un po’ singolare pretendere di pre-sentare quasi in carne ed ossa il filosofo dopo aver premesso che la sua storia sconfina nella leggenda e nel mito. Ma in fondo trovo attraente, proprio in questo caso, l’illusione della massima realtà e vicinanza che un ri-tratto può offrire, quasi per sottolineare un paradosso in cui ci imbattiamo fin dall’inizio e che vogliamo ac-cettare di buon grado come un annuncio che di qui in avanti la nostra strada potrà essere assai scivolosa

.

3.2. Vita di PitagoraChe io sappia, nessuno ha mai messo in dubbio l'esi-stenza storica di Pitagora. Di lui sappiamo alcu-ne cose che sembrano bene assodate. Pitagora nac-que nel VI secolo nell'isola di Samo - in prossimità delle città ioniche di Mileto e di Efeso. Rammento che Mileto era patria di Talete (VII sec. a. C.) e di Anassi-mandro (VI sec.) ed Efeso era patria di Eraclito (VI sec.).

Page 225: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

225

C'è anche chi azzarda per Pitagora una data di nascita nel 570 a. C.; in ogni caso intorno al 530, egli era ormai a capo di una scuola fiorente ed in pieno sviluppo svi-luppo in Magna Grecia, sulla costa del Mar Ionio, nel Tarentino, ed in particolare a Crotone, Metaponto e Taranto.

Si narra anche di numerosi viaggi di Pitagora in Egitto e in Babilonia. Sulla realtà di questi viaggi si può ampiamente dubitare per il fatto che fa parte dell'idea stessa del sapere di queste epoche arcaiche di proporre le conoscenze acquisite come provenienti di lontano - e per la Grecia in particolare dalla più antica civiltà egizia e assiro-babilonese. Da questo riconoscimento le conoscenze stesse ottenevano un lustro e una dignità più grande. Tuttavia è certo la cultura greca in genere entrò in rapporto sia con le civiltà mediterranee che con quelle orientali in misura molto ampia, e che di qui trasse conoscenze, usanze ed anche credenze religiose e prati-che di culto. I viaggi di Pitagora, reali o immaginari, sono in ogni caso una sorta di riflesso immaginativo dell'intensità di questi rapporti.

Il trasferimento di Pitagora in Italia vi fu veramente, benché sia anch'esso circon-dato da leggende. Probabilmente questo trasferimento fu dovuto sia alla situazione politica dell'isola di Samo dopo la presa del potere del tiranno Policrate sia allo scarso successo delle dottrine pitagoriche in madrepatria. La grande diffusione del pitagorismo in Magna Grecia è attestata da moltissime fonti e documentazioni di vario genere. È noto poi che il pitagorismo assunse in Magna Grecia non solo il carattere di una setta filosofica e religiosa, ma anche di una setta che mirava al con-trollo politico delle città per lo più in connessione con gli strati aristocratici della popolazione. In realtà ciò non significa che i pitagorici imponessero i propri prin-cipi etico-morali alle popolazioni. La setta aveva infatti un carattere rigorosamente chiuso, e di conseguenza all'osservanza dei principi (che riguardavano molti aspetti anche della vita pratica) erano tenuti soltanto i membri effettivi della setta.

A creare conflitti con la popolazione furono piuttosto i loro legami con le aristo-crazie cittadine. Questa alleanza costò loro piuttosto cara quando intervennero ri-

Page 226: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

226

volte popolari anti-oligarchiche. In effetti tra i dati storicamente certi vi è anche la cacciata dei pitagorici a causa di rivolte popolari da tutte le città in cui detenevano in tutto o in parte il potere. Si rammenta soprattutto la rivolta antipitagorica di Crotone, con l'episodio culminante dell'incendio del palazzo delle riunioni dei pitagorici, e che provocò una carneficina di filosofi. Questo episodio viene talora situato intorno alla metà del V secolo, ed è incerto se Pitagora morì prima dell'incendio o dopo di esso (la data di morte talora viene proposta intorno al 490 a. C.). Queste vicende posero fine all'epoca più strettamente settaria del pitagorismo. I sopravvissuti abbandonarono in gran parte, almeno temporaneamente, la Magna Grecia e ciò consentì il loro ritorno in Grecia e l'intreccio con le altre dottrine, in particolare con il platonismo. Le influenze pitagoriche in Platone sono numerosissime, e l'ultima filosofia di Platone, che va sotto il nome di teoria delle idee-numero, è sicuramente elaborata sotto il fascino del pitagorismo. Questa era già l’opinione di Aristotele: Platone «in molte dottrine seguì i pitagorici, ma altre ne ebbe sue proprie e lontane dalla filosofia italica... Platone si limitò a cambiare il nome, poiché i Pitagorici dicono che le cose esistono per imitazione dei numeri, ma Platone per partecipazione alla natura dei numeri” (Metafisica, VI, 6, 987 b)». C'è peraltro chi sostiene con buon fondamento che molte teorie attribuite al pitagorismo antico siano state invece elaborate all'interno dell'ambiente platonico. È certo in ogni caso che il platonismo ha fortemente contribu-ito a fornire un'immagine del pitagorismo che è piuttosto lontana dal pitagorismo delle origini.

Area di influenza dell’antico pitagorismo (da Riedweg, 2005)

Page 227: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

227

Le storie leggendarie intorno a Pitagora ed al pitagorismo si sono sicuramente affermate già all'epoca del pita-gorismo più antico, favorite peraltro dal fatto che che il pitagorismo aveva anche carattere religioso. Pitagora era a capo di una setta di cui egli era il gran sacerdote. A lui spettava una autorità di principio. La frase "lo ha detto lui" - l'ipse dixit dei latini, che normalmente viene riferita ad Aristotele, fu in realtà coniata dai pitagorici con riferi-mento a Pitagora. In quella frase è sicuramente implicato il riconoscimento di un magisterio di sapore sacerdotale.

In questo contesto settario vanno considerati gli aspetti iniziatici del pitagorismo, che implicano un "sapere" riser-vato agli adepti ed anche, come in ogni pratica di iniziazione, dei gradi che dovevano essere superati per adden-trarsi sempre più nella dottrina.

Si tramanda che Pitagora insegnasse dietro una tenda, e che al di là della tenda fossero ammessi solo gli adepti per così dire di grado superiore, che avevano già compiuto una gran parte dell'itinerario di iniziazione. I più giovani affiliati erano tenuti fuori dalla tenda, cosicché potevano sentire solo la voce di Pitagora, ma non il suo volto. Gli uni e gli altri erano comunque tenuti al segreto sulle conoscenze acquisite nell'insegnamento del maestro. Fra le prati-che per essere ammessi dietro la tenda vi era anche un "quinquennio di silenzio" (Giamblico, 1991, p. 237 e p. 205).

Al problema dell'ascolto è anche connessa un'altra importante espressione - quella di acusma e di acusmatici - che non sembra avere a che fare con le pratiche di iniziazione, ma piuttosto con l'evoluzione della stessa scuola pitagorica. Il termine di acusma significa "ciò che viene ascoltato" e acusmatici possono essere detti "coloro che tendono l'orecchio per ascoltare" o più breve "coloro che ascoltano". L'ascolto fuori dalla tenda da un lato può es-sere inteso come un'enfatizzazione del puro ascolto delle parole dette e del loro significato. Tuttavia impedendo la visione di colui che parla, e quindi precludendo la vista della provenienza del suono della parola, oggetto dell'en-fasi diventa anche il suono della parola come tale, e non solo il suo significato. Cosicché non è escluso un riferi-mento musicale indiretto. In certo senso viene messa in opera una regola immaginativa che stabilisce connessioni ex contrario: in questo caso si tratta del legame tra musica e cecità. Il poeta Omero era cieco, non perché poeta,

3.3. Acusmatici e matematici

Page 228: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

228

ma anzitutto perché cantore. In tempi abbastanza recenti, intorno agli anni sessanta del secolo scorso, il termine di acusma è stato ripreso da un teorico dell'avanguardia musicale, R. Schaeffer, all'interno di un libro il cui titolo è già indicativo del suo contenuto: Traité des objetx musicaux. In esso si tentava, si fronte alla larga sperimentazione del suono della musica novecentesca dopo gli anni cinquanta, di operare una sorta di tipologia sistematica degli "oggetti musicali". La premessa di questa tipologia è quello che Schaeffer, con terminologia fenomenologica, chia-ma "ascolto ridotto", cioè ascolto liberato dai suoi riferimenti a dati estranei al suono stesso, all'acusma come tale.

Questa interpretazione è assai seducente, e forse non troppo infedele allo spirito del pitagorismo: l'enfasi sull'ascol-to è indubbiamente uno dei suoi tratti caratteristici. Talora «i membri erano chiamati homakoi, ovvero 'coloro che vengono insieme per ascoltare' e la sala in cui si tengono le loro assemblee viene detta homakoeion, ovvero 'luogo per ascoltare insieme'» (Kahn, 1901, p. 8). Tuttavia non mi sembra si trovino passi molto netti che riferiscano il ter-mine di "acusmatico" proprio a questa enfasi. È possibile che la parola acusmatico avesse più di un senso ovvero che ai tempi della tradizione più tarda il suo significato originario fosse diventato malsicuro. Talora questo termi-ne serve a contraddistinguere i puri "uditori" dai "filosofi" che sono propriamente seguaci di Pitagora e disposti a vivere in comune secondo i suoi precetti (Giamblico 1991, p. 149). Ma più spesso con acusmatici si intendono al contrario proprio coloro che decidono di aderire in toto alla dottrina pitagorica e precisamente coloro che si ritenevano i seguaci più fedeli dell'insegnamento orale di Pitagora, e che dunque facevano esclusivo riferimento a quelli che venivano considerati i "detti" originari di Pitagora, gli "acusmata" - cioè le cose dette e ascoltate. Una parola talora usata come equivalente ad acusma era symbolon - termine probabilmente dovuto al fatto che il detto memorabile aveva forma di allegoria che doveva essere interpretata. «La più antica forma di trasmissione degli inse-gnamenti di Pitagora è rappresentata dagli acusmata, che erano anche chiamati symbola, massime e detti trasmes-si oralmente» (Burkert, p. 166). Il parlare per "simboli" sembra essere direttamente connesso con l'idea che i detti dovevano rimanere rigorosamente segreti e non comunicati al di fuori della setta. Agli "acusmatici" si contrappo-nevano i pitagorici che vengono chiamati "matematici". La distinzione più probabile tra gli uni e gli altri era di due ordini: i primi certamente davano la preferenza ai motivi morali, oltre appunto a ritenersi depositari della dottrina autentica; i secondi invece ponevano l'accento sui motivi scientifici e conoscitivi, e in particolare erano favorevoli alla divulgazione delle conoscenze pitagoriche. L'incontro di Platone con il pitagorismo avviene naturalmente in rapporto alla fase evolutiva caratterizzata dai "matematici". La figura di Pitagora si prestava fin dall’inizio alle fa-bulazioni e la sua storia mitico-leggendaria, anziché diventare più fievole, si andò sempre più arricchendo nella lunga vicenda dell’esperienza pitagorica che va ben oltre la grecità, attraversa il medioevo e il rinascimento fino a lambire i giorni nostri.

Page 229: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

229

3.4 Scienza e immaginazioneQuesti aspetti vennero certamente accentuati e favoriti dall’impiego di figurazioni simboliche, di emblemi, di pa-role e segni che si rivestivano di molteplici sensi e che hanno costituito anche una parte del fascino del pitagori-smo, sia ai suoi tempi sia per tutta la sua lunga storia. Il pensiero pitagorico è un pensiero immaginifico, e questo è tanto più singolare quanto più ad esso si debbono i primi arditi pensieri sulla struttura matematica della realtà, le prime audacissime ipotesi astronomiche sulla forma della terra e sulla natura dell’universo. Gli storici della filosofia e della scienza hanno spesso separato nettamente questo aspetto simbolico-immaginifico dalle ricerche che possono essere annoverate più motivatamente all’ambito dell’aritmetica e della geometria. Ciò naturalmente è del tutto giustificato; ma sarebbe erroneo ritenere che l’elemento immaginativo non abbia nulla a che fare con l’atteggiamento conoscitivo e che il compito dello storico sia unicamente quello di separare il grano dal loglio, e non invece quello di comprendere il senso di questa singolare mistura di fantasie e di conoscenza. Una riflessione sul pitagorismo ha anche il senso di richiamare l’attenzione sull’esemplarità della vicenda pitagorica proprio per il fatto che essa mostra un’interazione tra cose apparentemente tanto diverse come la ricerca astratta intorno alle forme numeriche e geometriche, l’osservazione empirica e l’immaginazione simbolica.

Credo perciò che sia da considerare eccessiva e unilaterale, e determinata da un pregiudizio teorico, la tesi so-stenuta da Burkert nel suo studio sul pitagorismo intitolato nella traduzione inglese Lore and Science in the Ancient Pythagorism (Burkert, 1972) e nell’edizione tedesca di una decina di anni prima Weisheit und Wissenschaft. Studien zur Pythagoras, Philolaos una Platon (Nurnberg, 1962) nel quale si fa una netta distinzione tra una direzione magico-numerologica a sfondo religioso che sarebbe propria del pitagorismo, escludendo interessi scientifici e matema-tici da questa corrente filosofica, e la direzione scientifico-matematica vera e propria e ponendo tra l’una e l’altra una netta cesura. Già nella prefazione del 1962 Burkert enuncia brevemente e con chiarezza la sua tesi affermando:

«In quel periodo crepuscolare tra il vecchio e il nuovo, quando i greci, impegnati in un’impre-sa storicamente unica, andavano alla scoperta dell’interpretazione razionale del mondo e della scienza naturale quantitativa, Pitagora rappresenta non l’origine del nuovo, ma la sopravvivenza o la reviviscenza dell’antica tradizione prescientifica, basata su autorità sovrumane ed espressa in obblighi rituali... Ciò che fu in seguito considerato come filosofia di Pitagora ha le sue radici nella scuola di Platone».

Page 230: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

230

Questa prospettiva di discorso secondo cui il sapere pitagorico sarebbe essenzialmente di carattere “pre-scientifico” e tipico di una setta religiosa è a mio avviso ormai del tutto superata, anche se ha dato a suo tem-po nuovo impulso agli studi del pitagorismo ed ha consentito di mostrare la difficoltà, del resto evidente, di de-limitare con chiarezza il pensiero pitagorico soprattutto nel suo sviluppo temporale. Del resto molto presto anche estimatori del lavoro di Burkert come Carl Huffman (1988) sono nettamente critici su aspetti di rilievo. Nel senso di una limitazione delle tesi di Burkert si esprime più recentemente anche Kahn quando scrive che

«il caso parallelo di Empedocle mostra che il ruolo duplice di profeta religioso e di filosofo ma-tematico che la tradizione assegna a Pitagora è storicamente possibile oltre che fattualmente corretto»(2001, p. 18).

Si tratta di un’osservazione quanto mai pertinente. Ma è ancora troppo poco. In realtà, a parte il problema storico, vi è, a mio avviso, anche un pregiudizio teorico che si manifesta apertamente nel titolo: si tratta della contrapposizio-ne tra Wissenschaft/Science e Weisheit/Lore (intesa non come un sapere, ma come una “sapienza” sacerdotale e tra-dizionale, oralmente tramandata più legata alla tradizione religiosa che alla riflessione filosofica). La guida teorica che orienta l’impostazione del Burkert è quello della pretesa “purezza” della ragione dominante nel pensiero scien-tifico rispetto agli elementi “spuri” che hanno un’origine nell’immaginazione e che vengono via via messi da parte dalla victory of rational science. È invece proprio questa opposizione che ha fatto il suo tempo: essa è una opposizio-ne vetero-neopositivistica che era già molto invecchiata negli anni in cui Burkert scriveva la sua opera. La sua tesi del resto è ampiamente anticipata in piena èra positivistica da Zeller. L’epistemologia dei nostri giorni è invece di-ventata sempre più consapevole delle vie traverse che il pensiero segue nei propri complessi percorsi conoscitivi.

Ciò non significa per nulla giustificare l’abuso degli aspetti immaginifici che ha colpito in particolare il pitagorismo e che gli ha nociuto non poco. Il simbolismo pitagorico è in effetti passato attraverso tutte le sette più o meno esote-riche e lo potete trovare nella sua massima degradazione persino presso maghi e fattucchieri di periferia dei gior-ni nostri. Questa degradazione è presente del resto anche in tentativi relativamente recenti di rinnovare lo spirito del pitagorismo riprendendone le valenze religiose e simboliche pretendendo (senza riuscirvi) di mantenere un alto profilo culturale. L’elemento simbolico-immaginativo, nettamente separato dagli interessi e dalla forma mentis che erano intrecciati alle sue origini, diventa del tutto privo di interesse.

Page 231: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

231

3.5 Chi è Pitagora?In precedenza abbiamo in qualche modo risposto con i pochi elementi relativamente sicuri alla domanda: "Chi è Pitagora?"

Ora è interessante notare che questa stessa frase, e proprio in forma interrogativa, faceva parte dei detti del repertorio del pitagorismo, era essa stessa un "sim-bolo" nel senso che abbiamo illustrato, intendeva cioè suggerire la presenza di un enigma, a cui era diffici-le dare una risposta. Siamo allora tentati di riproporre quella stessa domanda proprio come se fosse un enig-ma pitagorico - e le nostre risposte questa volta si rifa-ranno alla leggenda. Vi è uno straordinario aforisma di Stanislaw Jerzy Lec, autore fatto conoscere in Italia da Guido Davide Neri, che merita di essere riferito pro-prio a questo punto: "La storia non lo dice, ma la leg-genda parla chiaro" (Lec, 1965). Forse, guidati da que-sto "pensiero proibito", non risponderemo esattamente alla domanda "Chi è Pitagora" - che del resto è forse in se stessa meno importante di quanto si potrebbe pen-sare. Non sappiamo chi fosse Pitagora, ma sappiamo molte cose sul modo in cui questo personaggio ven-ne sentito, vissuto e costruito. Questa costruzione a sua volta non è solo artificio, ci potrebbe insegnare molte cose, esattamente come molte cose è in grado di inse-gnarci la narrazione mitica che abbiamo sviluppato in precedenza.

Page 232: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

232

Per questi nostri intenti attuali possiamo contare su un testo per molti versi straordinario, una sorta di romanzo filo-sofico che si legge tutto d'un fiato, la Vita pitagorica di Giamblico (Giamblico, 1991).

Giamblico fu allievo di Porfirio, anch'egli autore di una Vita di Pitagora, e può essere considerato un felicissimo rap-presentante del connubbio tra pitagorismo e neoplatonismo. Fondò una scuola filosofica ad Apamea in Siria, dove morì intorno al 330 e venne seppellito a Palmira, in un torre tombale che porta ancora il suo nome. Essendo vissuto tra il III e IV secolo dopo Cristo (ca. 245 C.E.- ca. 330), Giamblico quindi scrive dal più al meno novecento anni dopo la nascita di Pitagora. Egli, filosofo neoplatonico, si professava al tempo stesso pitagorico ed ha dedicato numerosi scritti ad esporre le dottrine filosofiche dei pitagorici.

Page 233: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

233

In questa Vita tuttavia si concede un'esposizione della bio-grafia immaginaria di Pitagora, e più ampiamente delle dot-trine soprattutto morali di Pitagora e dei Pitagorici e dei loro costumi. Ben poco viene invece dedicato alla teoria della conoscenza, all'aritmetica dei pitagorici di cui Giamblico si era occupato a fondo in altre opere. Non si tratta tuttavia di un'opera ingenua o vuotamente apologetica. Al contrario è notevole il fatto che si avverta in Giamblico il pericolo di un pitagorismo di bassa lega, che così spesso si è accompa-gnato alla tradizione pitagorica.

«Evitiamo di attribuire alcuna importanza - osserva Giamblico alla fine del proemio della Vita pitagorica - al fatto che questa scuola di pensiero ormai da molto tempo è nell'abbandono, è ammantata di dottrine strane e simboli arcani, su di essa getta-no ombra una quantità di scritti apocrifi e infine molte altre difficoltà rendono arduo l'accedervi» (Giamblico, 1991, p. 119).

Giamblico avverte in altri termini che l’attenzione pitagori-ca all’ambito dei simboli e degli emblemi, gli aspetti sacrali ed anche vagamente magici che sono presenti nel pitagori-smo, si prestano facilmente a manomissioni ed abusi. Que-sto è un giudizio molto acuto che riguarda l’intera tradizione pitagorica.

Quando Giamblico parlava di testi “apocrifi”, non pensava certo alla difesa di una possibile ortodossia, mentre intendeva mettere in guardia contro l’utilizzo di idee pitagoriche all’interno di contesti ciarlataneschi. Egli è un pi-tagorico assai sorvegliato sia nell’esposizione delle dottrine pitagoriche che fa soprattutto in altri testi ed in cui è

Page 234: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

234

© 1999 - 2001 Fausto Gabrielli - Dipartimento di Scienze Arche-ologiche - Pisa. Si ringrazia il prof. Fausto Gabrielli per l'autoriz-zazione all'impiego di questa fotografia. Essa si trova in: SIRIA 98, IMMAGINI NEL TEMPO[http://www.arch.unipi.it/Siria_98/foto_siriacentro.html]

Tomba di Giamblico a Palmira

certamente molto difficile distinguere ciò che appartiene al pitagorismo delle origini e ciò che invece è il frutto di una elaborazione molto più tarda, sia in questa Vita pita-gorica sicuramente destinata ad un pubblico più generi-co rispetto ai libri propriamente dottrinari, cosicché, egli non intende rinunciare al lato esplicitamente immagina-rio del “storie” che va raccontando.

Page 235: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

235

3.6 Pitagora ed ApolloAbbiamo detto: Pitagora nasce nel VI secolo, e possiamo azzardarci a indicare la data di nascita intorno al 570 a. C. Ma sappiamo anche (e da questo punto in poi questo "sappiamo" ha un senso del tutto particolare) che egli era figlio di Mnemarco e Pitaide. E che mai? Dovremmo forse ricordarci anche dei nomi dei genitori di Pitagora? Forse si. Almeno di Pitaide. Perché nel suo nome vi è una presenza misteriosa. Ci rammentiamo allora di Pitone e dell'ora-colo delfico.

C'è insomma chi sussurra che Pitagora non fosse affatto figlio di Mnemarco, ma di Apollo stesso, congiuntosi se-gretamente, come tanto spesso fanno gli dei greci, con una fanciulla. Il che è inammissibile - commenta Giamblico.

Ma egli, a sua volta, traduce la storia in modo che venga saldamente mantenuto il rapporto con Apollo. Di fatto Mnemarco venne a sapere della moglie incinta, che peraltro fino a quel momento non si chiamava affatto Pitaide, durante una visita all'oracolo delfico. Ed allora in onore di Apollo volle che la moglie ricevesse quel nome - Pitaide, appunto - a memoria di una tanto felice occasione. Ciò che secondo Giamblico rende inammissibile tutta la storia è il fatto che Apollo, dopo aver messo incinta la moglie di Mnemarco, faccia avvertire costui attraverso l'oracolo. Questo sarebbe proprio indegno di un dio.

L'episodio viene così laicizzato, ma resta il punto essenziale. Pitagora è comunque "figlio di Apollo" - sia pure in chiave metaforica. E precisamente dell'Apollo Pizio. Ma allora anche il suo stesso nome ci colpisce: non meno che nel nome di Pitaide, anche in quello di Pitagora vi è il ricordo di Delfo e del Pitone.

Ecco un bel modo di narrare della nascita, ben diverso dal dire semplicemente: 570 a. C. In realtà in questo primo passo vediamo subito in opera, in Giamblico, una tipica procedura pitagorica - un'enfasi sugli etimi, anzi sui falsi etimi, che diventano ipersignificanti. Questa è una procedura frequentissima che compare anche nelle discussio-ni dottrinali. In questo caso essa è posta al servizio dell'istituzione di un'importante relazione.

Ricollegandoci ai nostri discorsi precedenti: Pitagora si trova sul versante di Apollo. Egli, se suonerà, si ri-

Page 236: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

236

volgerà alla lira ed alla cetra; e la dottrina che svilupperà sarà tendente alla chiarezza luminosa di Apollo.È Aristide Quintiliano che ripropone, in rapporto a Pitagora, il tema dell’opposizione tra istintualità e razionalità in rapporto agli strumenti fondamentali della musica greca: «Questo era dunque il senso dell’ammonimento che si dice Pitagora abbia detto ai suoi discepoli: che se essi avessere ascoltato gli auloi avrebbero dovuti lavarsi le orec-chie perché il loro alito li aveva insozzate: avrebbero dunque dovuto usare melodie di buon auspicio cantate con l’accompagnamento della lira per nettare la loro anima da impulsi irrazionali. L’aulos, egli diceva, è al servizio di ciò che padroneggia la nostra parte peggiore, menre la lira è amata e goduta da ciò che si cura della nostra natura razionale» (Libro II, cap. 19 - Barker, 1989, p. 483).

La connessione con Apollo è attestata anche dalla singolare storia della visita del sacerdote Abari a Pitagora, ormai famoso. Abari viene da lontano, anzi da lontanissimo - dal paese degli Iperborei - e qui potrebbe cominciare un'altra storia in rapporto alla quale dirò soltanto che, se la Tracia, a due passi a Nord della Grecia, era già favolosa, in rapporto al paese degli Iperborei l'immaginazione mitico-nar-rativa si scatena. La parola significa una regione che si trova al di là dei venti del nord (Borea). Si è allora pensato ad un paese che i Greci localizza-vano al di sopra del Danubio; ma anche nei mari nordici presso il circolo polare - quindi ad esem-pio all' Islanda o alla Groenlandia. Tra le cose che si raccontavano di quella regione era anche che per ventiquattro ore non tramontava il sole, cosa che fa pensare all’aurora boreale. Non è escluso del tutto in realtà che i Greci siano in qualche modo venuti a conoscenza dei ghiacci dell’Artico. Come sem-pre accade, in casi come questi, è possibile che nella geografia immaginaria vi siano elementi di conoscenza derivanti da viaggi e peregrinazioni.

Page 237: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

237

Ciò apre naturalmente un diverso orizzonte di problemi. Per quanto riguarda invece il nostro contesto, il paese degli Iperborei con la sua favolosa città di Tule, va considerato come un assoluto altrove. In quel paese si vive una vita felice, ed in esso la musica ha una parte importante.

«E le Muse non sono certo estranee ai loro costumi: ovunque le fanciulle volteggiano nella danza al forte suono della lira e e degli auloi dalla voce aspra.

Alle loro gaie feste esse annodano ai loro capelli dorato alloro, malanni non vi sono tra quel popolo pio, e nemmeno la rovinosa vecchiezza,

ma essi vivono senza affaticamenti o battaglie, evitando il severo giudizio di Nemesi» (Pindaro, Odi Pitiche, X, 37-49)

Dice ancora Pindaro:

«Non per terra né per acqua troverai la via che porta agli iperborei»

(Pindaro, Odi Pitiche, X, 29-30)

In queste nordiche lontananze troviamo uno stretto rapporto proprio con Apollo. Gli Iperborei seguo-no il culto di Apollo, mandano doni ai suoi templi in Grecia. Abari proviene dal paese degli Iperborei ed è un sacerdote di Apollo. Proprio in quella regio-ne Apollo viene trasportato da un volo di cigni. O forse, viaggiando sul suo tripode su una barca por-tata da ali di cigno e accompagnata dai salti festosi dei delfini, come compare in questo vaso che risale al principio del sec. V a. C.

Apollo viene qui rappresentato con la faretra men-tre suona la lira. Cigni e delfini erano animali sacri ad Apollo.

Page 238: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

238

Abari si reca dunque da Pitagora portandogli in regalo una freccia, che è in realtà una freccia magica, che ha il potere di allontanare i mali ed a superare i pericoli. La freccia di Abari è in ogni caso un ulteriore ed evidente richiamo ad Apollo. E mentre Abari fa il suo dono, vede in Pitagora niente di meno che l'Apollo Iperboreo di cui egli è gran sacer-dote. Di ciò Pitagora non si meraviglia più di tanto, ed anzi per conferma di avere in sè qualche particella divina oltre che come ringraziamento del dono della freccia, mostrò ad Abari la sua coscia d'oro. Veniamo così a sapere che Pitagora aveva una coscia d'oro. Ma dunque: Chi era Pita-gora? L'oro appartiene a sua volta al simbolismo apollineo - per il suo splendore, per la sua luminosità. Ma il legame di Pitagora con Apollo avviene in ogni caso sotto il segno di quell’ambivalenza che abbiamo già appreso dall'analisi dei miti. Non parlava forse anche Pitagora per enigmi? Giamblico non esita a riferire questo stile ad un nesso con l'ora-colo apollineo.

«Era consuetudine di Pitagora comunicare ai suoi discepoli significati molteplici e complessi in modo simbolico, pronunciando come un oracolo detti asso-lutamente lapidari, nella medesima maniera di Apol-lo Pizio, ovvero della natura stessa. L'uno per mezzo di detti semplici e l'altra di semi di ridotte dimensio-ni che portano alla luce, il primo, una quantità ine-sauribile e inimmaginabile di pensieri, la seconda di esseri generati» (Giamblico,1991, XXIX, p. 319).

Vi è anche chi ha ipotizzato che la rivelazione ad Abari della propria “coscia d’oro” fosse un equivalente cifrato, comprensibile solo per gli adepti, per indicare che Pitagora gli aveva comunicato la scoperta della sezione aurea. Magismo, mitemi, allegorie si mescolerebbero in tal caso con particolare intensità.

Page 239: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

239

«Nella sua scuola era imprescindibi-le il metodo di insegnamento basato sui simboli. Questa forma di espres-sione era molto apprezzata presso tutti i Greci in quanto era la più antica, ma erano specialmente gli egiziani a far-ne l'uso più vario... In obbedienza alla regola di Pitagora...[i pitagorici] adot-tavano modi di esprimersi il cui senso per i non iniziati era insondabile e oc-cultavano i loro discorsi e i loro scrit-ti sotto il velo dei simboli. E se questi detti simbolici non vengono sceverati e spiegati, e intesi alla luce di una se-ria esegesi, quanto essi affermano po-trà sembrare risibile... Qualora invece quelle parole vengano svelate in con-formità con lo stile di questi simboli, e rese limpide e chiare alla gente, allo-ra esse risulteranno analoghe a quelle di certe profezie e di certi responsi di Apollo Pizio, rivelando una stupefacen-te profondità di pensiero, e procureran-no una divina ispirazione agli strudiosi che vi abbiano dedicato la loro rifles-sione» (Giamblico, 1991, XXIII, p. 251)

Questa relazione con l'elemento oracolare è presente an-che nelle storie delle visite di Pitagora ai santuari della Grecia, in particolare nell'isola di Delo. Per i seguaci di-

Page 240: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

240

retti di Pitagora non vi era dubbio che vi fosse in Pitagora una scintilla divina, ma curiosamente - e nello stesso tempo, a nostro avviso significativamente, questa scintilla poteva brillare di luce diversa. Perché un conto è fare di Pitagora una reincarnazione di Apollo, come nel racconto relativo alla visita del sacerdote Abari, ed un altro è fare di lui la reincarnazione di un demone residente nella luna, come sussurravano altri (Giamblico, 1991, p. 151).

In questo quadro si situa quella che potremmo chiamare la teoria delle tre nature. Giamblico riferisce che secondo i pitagorici vi sono tre nature:

«Degli esseri viventi dotati di ragione uno è dio, l'altro è uomo e il terzo ha la natura di Pitagora»(ivi).

Un enigma dei Pitagorici suonava così: «Bipedi sono l'uomo, l'uccello, e anche un terzo essere» - che era appunto Pitagora. Pitagora, dunque, pur essendo bipede, non era né uomo né uccello. (Giamblico, 1991, p. 295). Chi è dun-que Pitagora? Questa domanda diventa un enigma perché ha come risposte degli enigmi.

Page 241: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

241

3.7. I viaggi di Pitagora

Pitagora racconta i suoi viaggiIllustrazione tratta da D. Maréchal,

1799, Libro I

Non è solo Giamblico o Porfirio, e in ogni caso non sono solo autori molto antichi a sognare intorno alla vita di Pi-tagora. Nell'anno 1799 vengono pubblicati a Parigi sei vo-lumi di un'unica opera intitolata Voyages de Pythagore di Sylvain Maréchal, che è ad un tempo un'opera erudita, un grande romanzo filosofico ed anche, per certi versi, un'opera di utopia politica. Maréchal è del resto una fi-gura singolare e di grande rilievo all'interno dell'illumi-nismo. Egli fu attivo partecipe della rivoluzione francese ed ovviamente questi suoi Viaggi sono una testimonianza del suo pensiero e delle sue opinioni sulla rivoluzione e sugli sviluppi post-rivoluzionari che lo delusero profon-damente. Come accade in Giamblico, i personaggi pren-dono direttamente la parola, ci imbattiamo in dialoghi, in racconti narrati dai protagonisti - in breve: ci trasferiamo anche noi tra gli allievi di Pitagora ad ascoltare la voce del maestro. Il quale - questo è l'inizio dell'opera: "assiso sulla sedia d'avorio, nel vestibolo del tempio delle Muse", "la testa adorna da una lunga barba bianca e con una chio-ma così bianca come il lino delle sue vesti"- comincia a parlare così:

Page 242: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

242

«Miei beneamati! Questa lira d'oro che voi stessi avete appeso in questa sacra volta, a ricordo del giorno in cui sono nato, attesta il vostro attaccamento nei miei confronti e mi rende avvertito dei miei ultimi doveri verso di voi. Ho raggiunto la conta degli ottanta anni; è l'età del riposo. Vi debbo dare il mio addio, e sono qui per farlo. Questo dolce mormorio, che testimonia il vostro rincrescimento di fronte all'idea della nostra separazione, mi lusinga. Ma non potrei differire il mio ritiro: l'età, con voce imperiosa, mi dice che è necessario lasciarci al più presto... Questa notte, per via di un presen-timento di cui la ragione non può rendere conto, ho passato in rassegna i miei ottanta anni... Due cose formano l'uomo e lo fanno vivere assai in pochi istanti : i viaggi e la memoria: a loro io sono debitore di ciò che sono e di tutto ciò che so. Vogliate tollera-re che, con queste ultime lezioni, io dispieghi ai vostri occhi il quadro dei miei viaggi frequenti e lontani in tutti i loro dettagli, in tutte le loro sfumature»(I, p. 1-3).

Purtroppo noi non lo potremo seguire nel suo racconto (che si dipana per qualche migliaio di pagine), altrimenti andremo realmente troppo lontano. Diremo soltanto che a convincere il giovane Pitagora, che aveva già deciso di allontanarsi da Samo, a recarsi in Egitto fu il vecchio Talete che Pitagora era andato a visitare nella vicina Mileto per ricevere i suoi insegnamenti e la sua dottrina. Ma Talete, «adducendo la sua vecchiaia e la sua debolezza, lo invitò a recarsi in Egitto ed a incontrarsi soprattutto con i sacerdoti di Menfi e Diospoli: perché da loro egli stesso aveva ap-preso quanto gli valeva la sua diffusa fama di sapienza. Egli affermava di non possedere, né per natura né a seguito di esercizio, quelle doti privilegiate che scorgeva in Pitagora; sicché poteva preconizzare che se avesse frequenta-to quei sacerdoti, Pitagora sarebbe divenuto il più sapiente e divino tra tutti gli uomini» (Giamblico, 1991, p. 133). Ed ecco dunque Pitagora partire alla volta dell’Egitto. Pitagora viene descritto da Giamblico con l’occhio dei ma-rinai che lo vedono scendere da un monte impervio, “lentamente, senza volgersi intorno, senza incontrare una rupe scoscesa o impraticabile” - e avvicinatosi alla nave i marinai “ricordavano come avesse detto solamente “Si va in Egitto?” - e questa era in effetti la loro destinazione. Durante il viaggio il giovane siede in silenzio, e per tre giorni e tre notti resta nella stessa posizione senza né bere né mangiare. Mentre il viaggio scorre via senza il mi-nimo intoppo, con il mare calmo e il vento in poppa come se si dovesse portare a destinazione un dio. Cosicché i marinai lo onorano come tale al suo arrivo, mentre all’inizio, a dire il vero avevano fatto un mezzo pensiero, data la bellezza del giovane, di venderlo come schiavo per moneta sonante. In realtà, almeno per qualche aspetto, questa

Page 243: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

243

vicenda ricorda il viaggio per mare di Dioniso narrato dal Settimo Inno omerico (1994, p. 291), nel quale si rac-conta che i marinai tentano di rapire di Dioniso per rivenderlo, accorgendosi poi, troppo tardi, del fatale errore.In Egitto Pitagora sta ben ventidue anni - e attinge a piene mani dal sapere sacerdotale.

Cerimonia di IsideIllustrazione tratta da D. Maréchal,

1799, libro II

Oltre l'Egitto, l'altra regione vissuta dalla Grecia antica come depo-sitaria di scienza e di saperi arcani è naturalmente Babilonia. E Pi-tagora fu anche in Babilonia dove «venne istruito dai sacerdoti nei loro riti solenni, apprese il perfetto culto divino, raggiunse la vetta delle conoscenze aritmetiche, musicali e scientifiche» (Giamblico, 1991, p. 139). Naturalmente, una volta fatto giungere Pitagora a Ba-bilonia, i viaggi di Pitagora crescono di numero e vanno sempre più lontano. Porfirio scrive che

«quanto alle sue conoscenze, si dice che apprese le scienze matematiche dagli egiziani, caldei e fenici, poiché gli egi-ziani eccellevano nella geometria, i fenici nei numeri e nel-le proporzioni e i caldei nell'astronomia, nei riti divini e di adorazione degli dei; altri segreti relativi al corso della vita egli ricevette e apprese dai Magi» (Porfirio, 1920, cap. 6).

Ed anche l'India non è esclusa. D'altra parte, osserva Kahn (2001, p. 19),

«dopo le conquiste di Ciro (che morì ca. nel 530 a. C.), l'impero persiano si estendeva dalla Ionia sino alle rive del fiume Indo. Da quel tempo in poi, se non prima, era chiaramente possibile che dottrine orientali viaggias-sero verso l'ovest. Come esattamente esse raggiuse-ro Pitagora non possiamo nemmeno immaginare. Ma possiamo almeno vedere che la più tarda leggenda del viaggio di Pitagora in India alla ricerca della saggezza dell'Est può ben contenere un grano di verità allegorica»

Page 244: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

244

In ogni caso, dopo vent'anni di Egitto e una decina di Babilonia, Pitagora ormai nella piena maturità - Giamblico parla di 56 anni - ritorna in patria nell'isola di Samo. Ma alla sua ansia di insegnare non corrisponde nei concittadini un'altrettanta ansia di apprendere. Ebbe così, nei primi tempi, un unico allievo, un giovane atleta, che, con un'inver-sione delle parti, Pitagora paga perché egli assista alle sue lezioni. Tuttavia quando egli piange miseria e propone di interrompere queste lezioni per lui troppo costose, è l'allievo, inffiammato dal desiderio di conoscere, a offrire l'obolo al maestro (Giamblico, 1991, 143).

Page 245: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

245

Un’accoglienza così miserevole degli abitanti di Samo e la condizione politica della città convinse Pitago-ra a rimettersi in viaggio, questa volta verso l'Italia. Il centro pitagorico di maggior rilievo diventa Crotone:

Figura tratta da D. Maréchal,1799 , libro V

Nella figura a sinistra, tratta da Maréchal, Pitagora arringa i cittadini di Crotone. Porfirio scrive

«quando raggiunse l'Italia egli si fermò a Crotone. Il suo modo di presentarsi era quello di un uomo libero, di alta levatura, gra-devole nel discorso e nel modo di gestire e in ogni altra cosa. ... All'arrivo di questo grande viag-giatore, dotato di tutti i vantag-gi della natura e guidato dalla fortuna, egli produsse una così grande impressione che si gua-dagnò la stima dei maggiorenti della città attraverso i suoi molti ed eccellenti discorsi. Perciò lo invitarono ad esortare i giovani, e poi di rivolgersi ai ragazzi che si raccoglievano fuori dalla scuola per ascoltarlo; ed infine alle don-ne che vennero insieme di pro-posito» (Porfirio,1920, cap. 18).

Del resto fa parte dell’insegnamento pitagorico

«l’affermazione di una posizione

Page 246: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

246

Pitagora a CrotoneFigura tratta da The Story of the Greek People

di Eva March Tappar

egualitaria delle donne» che avevano dunque accesso alla setta. Vi sono prove del «ruolo inusua-le delle donne come attive partecipanti della comunità pitagorica» (Kahn, p. 10).

Fa parte della leggenda anche che la moglie di Pitagora di nome Teano resse per un certo periodo la setta in disfa-cimento dopo la rivolta dei crotonesi.

Page 247: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

247

I tratti "sacri" di questa figura si accentuano nella fabulazione della vicenda della diffusione del pitagorismo in Ma-gna Grecia forse più ancora che nel caso dei viaggi in Egitto e in Babilonia.

Ecco che compaiono i prodigi, i miracoli di Pitagora. Si può sospettare che in tutto ciò abbia una parte il cristiane-simo in espansione - rammentiamo che Giamblico è autore del III/IV sec. d. C. Vi sono certi momenti in cui questa presenza è avvertibile - vi sono abbastanza spesso in Giamblico figure o eventi che sembrano echeggiare miti sorti con il culto di Cristo, piuttosto che da quello di Dioniso o di Apollo. Ma spesso sembra anche valere l'inverso: essendo molte storie pitagoriche sicuramente molto antiche e precedenti all'era cristiana, può essere che il culto di Cristo abbia ripreso molti "miracoli" dalla tradizione pitagorica.

In Italia Pitagora spesso si fa strada con dei simpatici prodigi. Ad esempio, di fronte ad una pesca, non moltiplica i pesci, ma indovina il loro numero, e questo per una sorta di scommessa destinata ad imporre ai pescatori di libe-rare i pesci e di rimetterli in mare.

Sempre all'arrivo in Italia Pitagora attraversa un fiume e il fiume prorompe in un "salve Pitagora" "con voce forte e chiara che tutti poterono udire" (Giamblico, 1991, p. 283).

Inutile dire che Pitagora, come tutti i taumaturghi che si rispettino, ha talvolta il dono dell'ubiquità: così egli riesce a parlare contemporaneamente in due luoghi molto distanti tra loro (ivi, p. 287).

Ma come mostra la storia dei pesci, i prodigi di Pitagora non sono solo dimostrazione di una straordinaria abilità, ma hanno spesso carattere di insegnamento morale. Sono in certo senso parabole concretamente esercitate e può essere che esse siano state escogitate dai pitagorici proprio in questo spirito. La storia del numero dei pesci mo-stra un atteggiamento verso gli animali e in generale verso gli esseri viventi che è tipicamente pitagorico, e nello stesso tempo che non è affatto tipicamente greco, mentre è molto vicino ad un atteggiamento di cui troviamo il massimo degli esempi nella cultura indiana.

3.8 I prodigi di Pitagora

Page 248: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

248

Le prese di posizioni dei pitagorici su questo punto fecero certamente scalpore per il fatto che avevano delle conseguenze su importanti aspetti religiosi e rituali. Pitagora come la maggior parte dei filosofi greci più anti-chi non si trova affatto in consonanza con la religione corrente. I Pitagorici fanno una critica vivacissima contro i sacrifici di animali nei riti. Notate che siamo nel VI secolo a. C. - e si può immaginare quanto sia innovativa e addirittura rivoluzionaria la frase attribuita a Pitagora secondo cui “su un altare non dovrebbe essere sacrifica-to nemmeno un insetto” . Egli lasciò stupefatti gli abitanti di Delo perché venerò Apollo solo presso un altare “che non era macchiato dal sangue dei sacrifici” (Giamblico, VIII, p. 157). Si tratta di un aspetto ricorrente nella tradizione pitagorica che naturalmente è strettamente collegato con il precetto vegeteriano nell’alimentazione. Questo è legato a sua volta con la credenza nella reincarnazione. Peraltro è notevole il fatto che non è solo questa credenza religiosa che motiva l’ostilità pitagorica al sacrificio degli animali e la sollecitazine ad un regime preva-lentemente vegetariano. Vi è anche un motivo morale di ostilità alla guerra: «Tra le molte ragioni per cui Pitagora formulò il precetto dell’astensione dagli animali c’è anche il fatto che questa consuetudine favorisce la pace. In-fatti una volta che ci si fosse assuefatti ad odiare come illecita e e contro natura la soppressione di animali, si sa-rebbe reputato ancora più empio uccidere un uomo e non si sarebbero più fatte guerre» (Giamblico, XXX, p. 347).

Ovidio invece nel libro XV delle sue Metamorfosi riferisce il rifiuto dei sacrifici animali e il vegeterianismo esclusi-vo alla credenza nella reincarnazione. Il poeta fa fare a Pitagora una lunga perorazione contro i mangiatori di carne, a cui segue la formulazione della peregrinazione delle anime in corpi diversi:

Tutto si evolve, nulla si distrugge. Lo spirito vagadall'uno all'altro e viceversa, impossessandosi del corpo

che capita, e dagli animali passa in corpi umani,da noi negli animali, senza mai deperire nel tempo.

Come la cera duttile si plasma in nuovi aspetti,non rimanendo qual era e senza conservare la stessa forma,

ma sempre cera è, così, vi dico, l'animaè sempre la stessa, ma trasmigra in varie figure.

Dunque, perché la pietà non sia vinta dall'ingordigia del ventre,vi ammonisco, evitate d'esiliare con strage nefanda l'anima

di chi può esservi parente, e che di sangue si alimenti il sangue.

Page 249: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

249

Per chiudere l’argomento ecco un’immagine moderna sulla predicazione vegetariana di Pitagora. Questo dipinto di Rubens è notevole per il fatto che presenta l'atteggiamento vegeteriano come una sorta di festosa ed anzi lus-sureggiante e lussuriosa esaltazione del cibo fatto di frutta e verdure. Del resto al centro del quadro sta il nudo biancore di una donna tipicamente rubensiana, e le figure maschili che si intravvedono tra il verde hanno una certa somiglianza con i satiri di Dioniso...

P. P. Rubens, Pitagora che promuove l'alimentazione vegetariana (1618)

Page 250: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

250

3.9. I filosofi che cantano

Fjodor Bronnikov (1827-1902), Pitagorici che celebrano il levar del sole (1869)

Page 251: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

251

Si rammenterà che avevamo concluso la parte riguardante il mito di Orfeo, con l'immagine del musico che aspira al Giorno e che esce dal mondo della Notte per attendere il sorgere del sole. Il quadro di Fiodor Bronnikov intende rappresentare proprio l'attesa e la celebrazione dell'aurora da parte di Pitagora e dei pitagorici. In questo modo stabiliamo un ultimo nesso immaginativo.

Come Orfeo anche Pitagora è in grado di parlare agli uccelli e di accarezzare le aquile - quindi anche in Pitagora è presente sia uno stretto rapporto con la natura così come l'idea della malia incantatrice della musica. Una parte del pitagorismo del resto confluì nel movimento orfico - orfismo e pitagorismo formano uno dei grandi capitoli delle vicende filosofico-religiose della Grecia antica. Risulta anzi difficile in molti casi distinguere tra le due correnti (Cfr. Kahn, 2001, p. 20).

Questo rapporto è attestato da Giamblico quando scrive che

«non c'è dubbio che Pitagora prese spunto da Orfeo nello scrivere il discorso 'Sugli dei'» (Giam-blico, 1991, p. 297); egli «avrebbe imitato, a quanto si dice, il modo di esprimersi e l'atteggiamento spirituale di Orfeo... e avrebbe fatto conoscere i riti purificatori e le cosiddette cerimonie ini-ziatiche degli orfici, in quanto ne aveva una conoscenza perfetta" (pp. 305-306). «Questi fatti ed altri del genere mostrano che Pitagora deteneva lo stesso potere sugli animali che aveva Orfeo: cioè di incantarli e soggiogarli in virtù del potere della voce che usciva dalla sua bocca» (p. 189).

Pitagora viene dunque descritto come cantore. Ecco finalmente un filosofo che canta! Anzi eccoci di fronte ad una intera corrente di filosofi che cantano. È difficile trovare un manuale o una storia scolastica della filosofia che ci informi su questo aspetto canoro che viene evidentemente considerato un infimo dettaglio. Ed è invece assai verisimile che tutti i filosofi di tradizione pitagorica sapessero maneggiare la lira e cantare accompagnandosi con questo strumento. E persino danzavano:

«I pitagorici usavano anche danzare, e lo strumento di cui si avvalevano a questo fine era la lira, perché il suono del flauto lo consideravano violento, adatto alle feste popolari e del tutto indegno di uomini di condizione libera» (Giamblico, 1991, p. 257).

Page 252: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

252

Ettore e Menelao si contendono il corpo di Euforbo

Cantava sicuramente Ippaso di Metaponto, che viene citato come musico da Aristosseno. Canta-va Filolao, altro celebre pitagorico del V secolo.

Anzi Filolao cantava persino dopo morto. Voglio riferire questo altro piccolo racconto. Molti anni dopo la morte di Filolao un contadino passò ac-canto la sua tomba e sentì Filolao cantare a voce dispiegata sotto la pietra. Il contadino corse pie-no di spavento presso il sapiente pitagorico del luogo. Il quale avendo ascoltato ciò che gli stava dicendo il contadino, proruppe in modo inatteso nella domanda: "In quale tonalità, per gli dei?". Per nulla meravigliato del fatto in se stesso, tut-ta la sua curiosità va alla struttura musicale del canto (Giamblico, 1991, p. 294 e p. 303). Tra le storie pitagoriche questa mi sembra veramente la più straordinaria.

In primavera Pitagora «faceva sedere in mezzo un suonatore di lira, mentre tutt'intorno sedevano i cantori e così, al suono della lira, cavano insieme dei peani che ritenevano procurassero loro gioia, armonia e ordine interiore» (ivi). Talora viene presentato come cantore di versi di Omero, e «li cantava armoniosissimamente accompagnandosi con la lira». Giamblico arriva a citare il passo dell'Iliade cantato da Pitagora (XVII, 51-60) nel quale si parla del troiano Euforbo che ferisce Patroclo, venendo poi ucciso da Menelao. Perché proprio questo episodio tra i tanti? Perché Pitagora sosteneva di essere stato in una vita anteriore proprio Eufobo, e con ciò da un lato rammentava la creden-za nella reincarnazione; e nello stesso tempo questo filosofo "apollineo" rivendicava in certo senso un'ascendenza frigia. Va aggiunto anche che la credenza nella reincarnazione stabilisce un ulteriore legame tra pitagorismo ed orfismo

Page 253: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

253

4. Gli inizi della teoria della musica

4.1 Il principio del numero4.2 Il fabbro armonioso

4.6 Il monocordo come strumento di misura

4.3 Jubal - Chi era costui?

4.4 Commenti al racconto del fabbro armonioso

4.5 L’invenzione del mono-cordo

Page 254: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

254

Page 255: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

255

4.1 Il principio del numero

È ormai tempo di cominciare ad entrare in qualche dettaglio nella teoria greca della musica che, con buone ragio-ni, facciamo cominciare con la speculazione pitagorica. E dunque avremo anche a che fare, se non proprio con la storia della matematica, certamente con la sua preistoria - forse con una preistoria che, al tempo del primo pitago-rismo, sta ormai per finire e che tuttavia della preistoria ha un tratto di pronunciata insicurezza, di lacunosità e di dubbio che ci obbliga talvolta a riempire queste lacune con i nostri ragionamenti. È poi opportuno premettere che non entreremo nel merito della discussione se tutto ciò che si attribuisce a Pitagora sia proprio farina del suo sacco, essendo per noi sufficiente assumere che ogni volta che parleremo di Pitagora potremmo non intendere proprio lui, ma il pitagorismo in genere, accontentandoci per lo più di ciò che è stato tramandato, tenendo conto nella mi-sura del possibile di commentatori autorevoli.

Ci possiamo allora permettere di fingere la situazione nella quale si trova Pitagora e il pitagorismo più antico come una tabula rasa - dove tutto resta da accertare: nessuna teoria degli intervalli è stata ancora formulata e l'intero campo dei suoni è ancora tutto da indagare.

Naturalmente vi erano da sempre i musicisti, vi era una pratica musicale. In particolare vi erano tecniche di ac-cordatura degli strumenti. Queste tecniche, per quanto potessero variare, si appoggiavano indubbiamente sulle consonanze di quarta, di quinta e di ottava. E dunque ha poco senso attribuire a chichessia la scoperta dei rapporti consonantici fondamentali. La scoperta pitagorica essenziale in rapporto alle consonanze sta dunque nelle misure,

Page 256: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

256

e non nel fatto sonoro come tale. Va poi subito messo in evidenza che questa scoperta presuppone uno sfondo filosofico generale e contiene una presa di posizione di gran-dissimo rilievo nella storia della cultura e del pensiero scientifico-filosofico europeo.

Essa consiste nella tesi che ogni cosa ed ogni evento di questo mondo deve essere riportato al numero. Talvolta si formula questa tesi sintetizzandola nella frase: tutto è numero ovvero Tutte le cose sono numero. Una simile formulazione risale ad Aristote-le. Facendo il confronto con la posizione platonica, di cui nota affinità e differenze con il pitagorismo, egli sottolineava che Platone «distingueva i numeri dalle cose sensibili, mentre per i pitagorici i numeri erano le cose stesse...» (Metafisica, 987b28).

Forse è giusto che la frase secondo cui i numeri sono le cose stesse oppure, equivalen-temente, che le cose stesse consistano di numeri appaia anzitutto anche a noi, come appariva ai non iniziati della setta, incomprensibile e stravagante, persino di poco buon senso. Forse essa aveva carattere di "simbolo" nel senso che abbiamo spiegato in precedenza - quindi di una sorta di enigma che richiede interpretazione. Secondo l'interpretazione essa potrebbe apparirci sotto differenti angolature. Probabilmente uno degli aspetti più difficili dell'interpretazione consiste nella paroletta “è” che sta al centro della piccola frase: «tutto è numero».

Non è detto peraltro che proprio quella paroletta fosse presente nelle formulazioni pitagoriche: in Giamblico (1991, XXIX, 162, p. 319) che la propone proprio come un esempio di quei detti che racchiudevano "scintille della verità per coloro che fossero in grado di mutarle in fuoco", la formulazione è sensibilmente differente poiché dice

«Al numero si adattano tutte le cose»

e questa sembra la formulazione pitagorica vera e propria. Non bisogna sottovalutare la differenza tra queste formulazioni. La prima “tutto è numero” ha un’accentuazione sull’essere vero delle cose, come se si dicesse: l’essenza stessa delle cose non la devi cercare nelle loro apparenze visibili, ma in relazioni numeriche nascoste. Potremmo

Page 257: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

257

dire che la sua portata è più ontologica che epistemologica. Essa riguarda il modo in cui gli oggetti sono, e non anzitutto il modo secondo cui li conosciamo. Dire invece che tutte le cose si adattano al numero equivale indubbiamente a sta-bilire una relazione piuttosto forte tra numeri e cose, ma in ogni caso meno forte della precedente e più orientata verso il lato epistemologico, che verso quello ontologico.

Molti secoli prima, il pitagorico Filolao (ca 470-385 a. C.), in anni dunque non troppo lontani da Pitagora stesso, formula questo principio in modo che il suo significato appare ancora più nettamente orientato in senso epistemologico. Uno dei frammenti di Filolao (fr. 4) dice espressamente:

«Invero, ogni cosa che è conosciuta ha numero, in nessun modo è compresa o conosciuta senza il numero»

Affermare che il numero è inerente alle cose (avere numero piuttosto che esser-lo) e soprattutto specificare questa affermazione (ancora abbastanza misteriosa) nell’asserzione secondo non vi è effettiva conoscenza della cosa se non si stabi-lisce una relazione tra esse e il numero sposta il problema interamente sul ver-sante epistemologico. Carl Huffman ha attirato l’attenzione su questo punto:

«Il numero gioca in Filolao un ruolo epistemologico. Egli dice che le cose non possono essere conosciute senza numero, non che esse sono numeri»(1988, p. 6).

Il modo in cui Aristotele riporta la tesi pitagorica fondamentale è dunque pro-fondamente equivoco e induce a fraintendimenti.

L’affermazione generale secondo la quale tutte le cose si adattano ai numeri ov-vero che nulla si può comprendere o conoscere senza il numero trova una sua clamorosa applicazione nel campo dei suoni, ed è assai verosimile che nella spe-

Page 258: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

258

culazione pitagorica proprio l’interesse in rapporto agli eventi sonori abbia accentuato questa idea di una conce-zione della realtà gravitante sul principio del numero.

Deriva subito da una simile posizione l’idea che una teoria del numero può insegnarci direttamente qualcosa sulla musica anche al di là di riferimenti musicali specifici. E in tutto ciò è implicata una concezione della teoria della musica secondo la quale essa non deve essere affatto elaborata a ridosso della pratica musicale, e ancora meno deve essere intesa come pura come pura riflessione su questa pratica, in certo senso come una sua emanazione, ma in modo del tutto indipendente. Questa posizione ha avuto un peso enorme nella storia della teoria della mu-sica - non sempre e necessariamente positivo, ma indiscutibilmente della massima rilevanza storica. Essa spiega in particolare come il pitagorismo abbia potuto incontrarsi con il platonismo - cioè con una tendenza nella teoria della conoscenza che insisteva sulla necessità di possedere canoni ideali di valutazione per un approccio corretto e realmente scientifico alla realtà empirico-sensibile. Queste idealità sono intese come anteriori all’esperienza stessa, e come normative rispetto ad essa. Il pitagorismo antico, anche se certo in forme ancora ingenue, si trova già su questo terreno.

Ciò non significa che manchi nei pitagorici un atteggiamento di sperimentazione e di contatto con la realtà sen-sibile dei suoni. Nemmeno manca un adattamento delle teorie pitagoriche alla realtà musicale greca. Ma si tratta appunto di un adattamento. Prioritario, dal punto di vista pitagorico, è il tentativo di elaborare un sistema teorico. La commisurazione di questo sistema alla realtà musicale esistente avviene in via di principio in un secondo tempo. Le osservazioni le sperimentazioni sono poi tutte orientate dalla ricerca di una possibile matematizzazione.Questo atteggiamento, importantissimo dal punto di vista epistemologico, può dunque non incontrarsi o addirittura scon-trarsi con la musica direttamente praticata.

Il pitagorismo e il platonismo rappresentano peraltro soltanto un versante della teoria greca della musica. E fin d’ora possiamo far balenare il nome del più autorevole rappresentante dell’altro versante. Si tratta di Aristosseno di Taranto (ca. 354-300 a. C) e della corrente di pensiero che si è sviluppata dalla sua opera.

Page 259: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

259

4.2 Il fabbro armonioso

A Pitagora in persona si attribuisce la scoperta dei rapporti di ottava, di quinta e di quarta. Rispettivamente

1/2 2/3 3/4

Questi rapporti possono naturalmente essere proposti anche in forma inversa (ed è consuetudine prevalente): 2/1, 3/2, 4/3. In ogni caso la prima documentazione scritta di questi rapporti si trova nel fr. 6 di un’opera di Filolao intito-lata De natura. È anche opportuno segnalare i termini greci corrispondenti che permasero a lungo anche nella ter-minologia medioevale e rinascimentale. Si tratta di diapason, diapente, diatessaron. Essendo "dia = attraverso", si può intendere la designazione dell'intervallo come "da...alla". Diapason - che significa "attraverso tutte" (le note) - dalla prima all'ultima; diapente: dalla prima alla quinta, diatessaron: dalla prima alla quarta. Notiamo ancora che in greco la consonanza ovvero la concordanza tra due suoni veniva chiama sinfonia.

Ma come fece Pitagora a fare la scoperta dei rapporti aritmetici? A questa domanda cominciamo a rispondere con il raccontare un'altra storia, quasi una favola, che potremmo chiamare "la storia del fabbro armonioso", riprenden-do il titolo di una composizione per cembalo di Haendel.

Invece di raccontarla alla meglio io stesso, la trascriverò da uno dei testi che la narra con dovizia di particolari. Si tratta di un testo di Nicomaco, filosofo pitagorico vissuto tra tra il primo e il secondo secolo d.C. ed autore di un trat-tato di aritmetica - tenuta nettamente distinta dalla geometria - che conobbe molta fortuna nel Medioevo. Nicomaco scrisse anche un Manuale di Armonica nel quale egli scrive:

Page 260: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

260

«La tradizione dice che Pitagora ha scoperta la quantità numericamen-te espressa degli intervalli di quarta, di quinta e di ottava, che è la loro unione, nonché il tono disposto tra i due tetracordi, e che la scoperta sia avvenuta così. Un giorno, mentre fissava il suo pensiero sulla possi-bilità di trovare un qualche mezzo strumentale che soccorresse l'udito, sicuro e inoppugnabile, come quelli di cui con il compasso, e il regolo o anche la diottra dispone la vista, o il tatto con la bilancia e le sue misure passò accanto ad una fucina e, per un caso del destino, udì martelli che battevano il ferro sull'incudine producendo insieme suoni pienamente consonanti tra loro, ad eccezione di due. Riconobbe tra esse le conso-nanze di ottava, quinta e quarta; capì che l'intervallo tra quinta e quarta, in sé dissonante, era parte integrante del maggiore dei due, cioè che il tono che è dissonante nel senso che i suoni posti agli estremi di un tono sono dissonanti, era comunque parte integrante della consonanza di quinta. Felice quasi un dio lo avesse guidato nella sua ricerca, entrò di corsa nella fucina e con esperimenti diversi scoprì che la differenza tra i suoni dipendeva non dalla forma dei martelli, né dalla forza di chi li vibrava o dalla deformazione del ferro percosso, ma dalla loro mole; rilevati accuratamente pesi e contrappesi esattamente eguali a quelli dei martelli, tornò a casa. Qui, a un'unica barra metallica conficcata at-traverso l'angolo formato dalla congiunzione di due muri appese quat-tro corde uguali per materiale, numero dei capi, spessore e torsione (perché non ne risultasse qualche alterazione e non si potesse sospet-tare una differenza conseguente alla diversa natura delle corde) e poi attaccò un peso alla loro estremità inferiore. Colpì dunque le corde, predisposte di una lunghezza assolutamente identica, a due a due per volta, alternativamente, ritrovando le suddette consonanze, e cioè per ogni coppia una diversa....» (Nicomaco, 1990, pp. 153-154)

Questo racconto viene in particolare narrato anche da Giamblico (1991, XXIV pp. 261-269) e ripreso e ripetuto più volte da autori successivi.

Page 261: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

261

Ecco i fabbri al lavoro in una raffigurazione che risale a circa il 1100 (a sinistra). A dire la verità la figura non sembra troppo congruente. I martelli sull'incudine sono quattro e sono battuti simultaneamente. Il disegnatore ha pensato evidentemente più alle note che agli intervalli. Ma battendo i martelli in questo modo evidentemente risulterebbe una dissonanza risuonando simultaneamente l'intervallo di quarta e di quinta. Come incongruenza ulteriore il mar-tello alzato sembra alludere proprio all'intervallo dissonantico tra la quarta e la quinta - come se esso non venisse eseguito. Nei cerchi in alto ci si richiama alle strutture intervallari. Nella figura a fianco queste difficoltà non si pon-gono. In essa Pitagora si affaccia sulla porta ed osserva i fabbri al lavoro.

Page 262: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

262

Nella Teorica musicae di Gaffurio troviamo alcune immagini interessanti che possiamo riferire alla nostra storia.Ecco dunque Pitagora "sperimentatore" - con le campane oppure con i bicchieri, in cui le differenze di intonazione vengono ottenute attraverso quantità di acqua differenti. I numeri sono, in entrambi i casi, da sinistra a destra 16, 12, 9, 8, 6, 4. Su questi numeri avre-mo molto di che ragionare in seguito. Si noti come Pitagora tiene due bacchette che fa ruotare sull'orlo del bichiere - la tecnica per l'emissione del suono è dunque esattamente simile a quello dello strumento che ebbe un qualche successo tra il sec. XVII e XVIII con il nome di armonica a bicchieri (Glass Harmonica). La sola differenza è che, in luogo delle bacchette, il suona-tore si serviva delle dita leggermente inumidite che ruotavano delicata-mente sull'orlo del bic-chiere. Questo disegno dimostra un antico ante-nato proprio dell'armoni-ca a bicchieri che, nella sua forma più elementare, è esattamente questa.

Ragazza che suona l’armonica a bicchieri in una via di Roma in una fotografia di A Pingston (http://en.wiktionary.org/wiki/File:Glass.harmonica.in.rome.arp.jpg)

Page 263: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

263

Sempre nelle immagini proposte nell'opera di Gaf-furio vediamo rappresentati Pitagora e Filolao che sperimentano i giusti rapporti con i flauti. La misu-ra dei flauti effettivamente suonati sono qui l'una il doppio dell'altra (8 e 16), quindi i flauti stanno suo-nando in ottava. Ricompaiono anche qui la serie di numeri 16 12 9 8 6 4.

Teone di Smirne attribuisce al pitagorico Laso di Ermione ed alla scuola di Metaponto la sperimen-tazione con l'acqua e dei vasi. I vasi tuttavia veni-vano percossi. Il risultato è naturalmente lo stes-so, la differenza sta nel tipo di suono che nel caso della rotazione delle dita sull'orlo del bicchiere è un suono continuo, anziché un suono percussivo:

«Laso di Ermione (e quelli della scuola di Ippaso di Metaponto) secondo quanto si tramanda, giudicando che la velocità e la lentezza delle vibrazioni onde nascono gli accordi fossero esprimibili secondo la se-rie dei rapporti numerici, otteneva questi rapporti servendosi di vasi. Prendeva infat-ti alcuni vasi tutti uguali, e mentre ne lascia-va uno vuoto, riempiva il secondo d’acqua fino alla metà; poi li percuoteva entrambi e otteneva il rapporto di ottava. Quindi, la-sciando ancora vuoto uno di essi, riempiva l’altro per una quarta parte, e poi ancora li percuoteva entrambi e otteneva l’accordo di quarta; l’accordo di quinta l’otteneva quan-do riempiva il vaso per la sua terza parte. Il rapporto tra il vuoto di un vaso e quello dell’altro era dunque di 2 a 1 nell’accordo di ottava, di 3 a 2 nell’accordo di quinta, di 4 a 3 nell’accordo di quarta»(1892, 59.4)

Page 264: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

264

In apertura della sua opera intitolata The Temple of Music (1618) il medico, ingegnere, alchimista e ro-sacrociano Robert Fludd (1574-1637), filosofo ap-partenente alla tradizione ermetico-cabalistica, con interessi alchimistici, aritmetici e musicali, presenta una notevole architettura in cui ogni dettaglio ha un significato musicale ed alla cui base troviamo anco-ra la rappresentazione di Pitagora che si affaccia alla porta dell'officina dei fabbri.

Page 265: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

265

In Gaffurio vi è anche un'altra figura che presenta una vera e propria alternativa alla storia pitagorica, attribuendo la scoperta dei rapporti consonantici all'ebreo Jubal. Come si vede anche qui sui martelli sono segnati i pesi e dun-que i loro rapporti.

4.3 Jubal - Chi era costui?

Page 266: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

266

Anche nei bassorilievi del Duomo di Orvieto troviamo la presenza di Jubal che sta sperimentando con martelli e campane.

Page 267: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

267

Come nasca la storia di Jubal merita di essere brevemente raccontata. Occorre sapere che, dal tempo dei tempi fino al giorno d'oggi, il cristianesimo ha sempre avuto ostilità per le ascendenze greco-romane della cultura europea: si doveva invece dimostra-re che la cultura europea aveva radici giudaico-cri-stiane, e proprio nulla da spartire con il "paganesi-mo" dei greci e dei latini. Tertulliano ha espresso molto bene questo atteg-giamento con la frase: «Che cosa ha mai a che fare Atene con Gerusalemme? Che cosa vi è in comune tra l'Accademia platonica e la chiesa, tra gli eretici e i cristiani?» Questa fra-se, contenuta nel cap. VII di De prescriptione hereti-corum, e che non sembra aver niente a che fare con il nostro problema, è in realtà la sua chiave. Essa è citata molto opportuna-mente in apertura dell'ar-ticolo Jubal vel Pythagoras, quis sit inventor musicae? di McKinnon (1978, p. 1), nel quale si delinea magi-stralmente anche la storia del problema attraverso il medioevo e il rinascimento, fino all'illuminismo.

Page 268: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

268

Si dà il caso che nel Genesi. 4:21 si legga di un tale di nome Iubal e che di lui si dica che "fu padre dei musici di cetra e di organo". Non basta: veniamo anche informati nello stesso passo che il fratellastro di Jubal, di nome Tubal-cain, era "lavoratore al martello, artefice in ogni genere di lavoro in bronzo ed in ferro".

Ecco fatto: quei teorici medioevali della musica che condividevano l'atteggiamento di Tertulliano ritennero di tro-vare in queste due frasi la possibilità di attribuire a Jubal, e non a Pitagora, la storia dei fabbri e la scoperta dei rapporti consonantici, facendo di Jubal non tanto l'inventore di strumenti musicali, ma della musica tout court (cosa che peraltro nelle storie relative a Pitagora non è mai stato sostenuto né esplicitamente né in modo sottinteso).

Si trattava di una pretesa abbastanza ridicola, ma a parlare non era forse la Bibbia, ed attraverso di essa la voce di dio in persona? Cosicché la sostituzione di Jubal con Pitagora prese piede, e la si ritrova spesso ripetuta. Tanto più che, essendo Jubal vissuto prima del diluvio, era sicuramente anteriore a Pitagora e se Jubal avesse fatto qualche scoperta, egli avrebbe avuto in ogni caso la priorità. Talora gli autori scettici in rapporto a Jubal, ma timorosi di contraddire la Bibbia, anche per le conseguenze pratiche che ne potevano derivare, in effetti tacciono eventual-mente sul resto, ma ammettono almeno la priorità cronologica di Jubal rispetto a Pitagora quale "inventore della musica".

La storia aveva talvolta un corollario che riportava niente meno che ad Adamo. Secondo questa variante Jubal avrebbe ricevuto da Adamo in persona i segreti della musica, che egli incise su due colonne - una di marmo ed una di mattoni - cosicché la prima potré sopravvivere al diluvio e la seconda agli incendi: Adamo aveva anche profetizzato che l'umanità sarebbe stata distrutta dall'acqua e dal fuoco. Eccoci di fronte ad una favola dentro una favola, e ciascuna ha una sua motivazione e un suo senso. Quindi anche questa può ricevere ospitalità nel nostro album. La favola di Jubal chiama in causa, inattesamente, dato il nostro argomento, i rapporti tra cristianesimo, cul-tura greco-romana e giudaismo. Occorre dare il giusto peso a questo genere di favole, se pensiamo che Clemente Alessandrino sosteneva che

«quanto di vero avrebbe potuto esserci in Platone derivava in realtà dalla saggezza di Mosé» (McKinnon J., 1978, p. 3).

Page 269: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

269

4.4 Commenti al racconto del fabbro armonioso

È appena il caso di dire che molti aspetti del racconto di Nicomaco, certe inflessioni, certi dettagli, sono da attribui-re certamente più alla personalità di Nicomaco, che a quella di Pitagora. Ma come sempre si tratta di una questione che non ha per noi particolare rilievo come quella, particolarmente remota, di eventuali priorità nella scoperta: noi non stiamo cercando verità storiche intorno alla persona di Pitagora, ma cerchiamo di tratteggiare le problemati-che teoriche che si impongono nell'ambito del pitagorismo.

Pitagora subito viene tratteggiato dalle prime righe come un personaggio se ne va vagabondando e meditabondo - ed il suo pensiero è già diretto alla ricerca di qualche mezzo che ci consenta di procedere nella scienza dei suoni con la stessa certezza e sicurezza che ci dànno ad esempio gli strumenti del geometra, il compasso, il righello, la squadra.... o la bilancia che attribuendo un numero alle sensazioni tattili di peso ci consente di uscire dalle inde-terminatezze dell'esperienza sensibile.

Queste differenze sono colte dall'udito. Ma come riportarle ad una misura? Questa meditazione viene interrotta dal Pitagora "ascoltatore". Il suo orecchio viene colpito dai suoni che escono da quell'officina: mediante quelle incudini e quei martelli si producono straordinarie armonie. Pitagora si arresta di botto, e il testo di Nicomaco descrive assai bene l'entusiasmo con il quale egli si accinge, già nell'officina, ad apprestarsi gli strumenti per riprodurre quella stessa situazione, ma con un nuovo mezzo di controllo: il peso.

Come abbiamo già osservato, il filosofo pitagorico non si limita a speculare sul numero, e nemmeno a teorizzare astrattamente sui rapporti; ma osserva, e dopo aver osservato si pone degli interrogativi: e per rispondere ad essi si accinge ad una sperimentazione. I pitagorici fanno qualcosa che i musicisti non si sognavano di fare e nemmeno ne avevano bisogno.

Nell'officina vengono forgiati pesi equivalenti ai martelli armoniosi, e poi si descrive come, in un angolo della pro-pria casa, Pitagora compia il proprio esperimento. Particolare attenzione viene posta per rispettare quelle condi-zioni di omogeneità che rappresentano una condizione per isolare il fattore determinante. È interessante notare

Page 270: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

270

che Pitagora, nel racconto di Nicomaco, non pensi di ripetere letteralmente la situazione dell’officina dei fabbri - altrimenti sarebbe ricorso a dei blocchi di metallo. Egli pensa invece alle corde ed alla loro tensione. E si preoc-cupa dell'affidabilità dell'esperimento: vi deve essere omogeneità nel materiale e nella lunghezza delle corde. Se tutte le condizioni sono eguali, allora si può sperimentare con le tensioni, misurandole con i pesi. Dall'esperimento risulterebbero i famosi rapporti: 2:1 per l'ottava; 3:2 per la quinta; 4:3 per la quarta. Ho letto da qualche parte, che un simpatico matematico americano che si è occupato marginalmente della scala pitagorica, alla domanda: «Sarà veramente andata così?» Risponde: «Chissà; è passato così tanto tempo...». In realtà anche questo bello spirito sapeva benissimo che c'è qualcosa che guasta questo racconto. Si tratta proprio del pic-colo e decisivo dettaglio che viene alla fine: chi facesse un esperimento come questo non troverebbe affatto quei rapporti! Attraverso i pesi e dunque attraverso una possibile misura della tensione fatta in questo modo, si trova certamente una correlazione funzionale tra consonanze e tensioni (pesi), ma non quella.

«I greci non avevano nessun mezzo affidabile per misurare la tensione, e l'unico metodo a cui fanno riferimento gli scrittori di armonica, quello di appendere alle corde pesi più grandi o più piccoli, introduce sfortunate complicazioni; l'altezza non varia direttamente con i pesi degli oggetti appesi. Una matematica relativamente complessa sarebbe stata richiesta per esprimere accuratamente le relazioni tra le altezze con riferimento alle tensioni misurate in questo modo. Nessun teorico greco sembra avere compreso pienamente la difficoltà e nessun teorico greco al di là della leggenda pitagorica sembra mai aver tentato di misurare le relazioni musicali attraver-so questa procedura» (Barker, 2007, p. 21).

Dopo secoli che la leggenda pitagorica è stata ripetuta secondo la versione di Nicomaco, vi fu un filosofo che de-cise di verificarla e trovò un risultato differente. Fu infatti Mersenne (1588-1648) che stabilì sperimentalmente che se la lunghezza L di una corda resta la stessa, ma la tensione T varia, la frequenza di oscillazione F (e quindi l'altezza della nota) è proporzionale alla radice quadrata di T. Spiega esemplificativamente Mersenne:

«Supponendo che si voglia sapere di quale peso si debba usare per far salire una corda alla sua ottava, occorrerà sapere anzitutto la sua tensione, cioè con quale peso essa deve essere tesa, quando produce il suono sul quale si regolano gli altri;...poniamo che il peso sia di quattro lib-bre, allora saranno necessarie sedici libre per far salire la stessa corda all'ottava, cosicché il rap-

Page 271: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

271

porto di ottava, che è di due a 1, es-sendo duplicato produce il rapporto quadruplo:..e ciò mostra che il peso che porta la corda all'ottava bassa deve essere il sotto-quadruplo (sous-quadruple) dell'altro peso» (Harmo-nie Universelle, libro III, prop. XIII).

A questo punto siamo più che mai curiosi di saperne di più. Perché un fatto è certo: i rapporti numerici propo-sti da Nicomaco sono in se stessi corretti, e la loro co-noscenza appartiene al pitagorismo più antico. Ma allora la domanda deve essere rinnovata: Come fece Pitagora a determinare correttamente attraverso numeri i rapporti consonantici?

Page 272: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

272

4.5 L’invenzione del monocordo

Vogliamo riesaminare la questione riflettendo liberamente sul problema come se noi stessi dovessimo determina-re questi rapporti. Potrebbe intanto risultare naturale considerarli come rapporti di lunghezza tra le corde, anziché come rapporti tra tensioni. Ma non appena ci sembra di poter porre il problema in questo modo, appare subito chiaro che il parlare di pura lunghezza di una corda è una frase abbastanza vuota se ci disponiamo in una situazione tanto primitiva come è quella in cui si trovavano ad operare i Pitagorici. Intanto vi è il problema di come erano fatte le corde. Nicomaco allude ad una torcitura, e quindi ad una composizione di corde di budello animale: la tecnica necessaria per realizzare delle buone corde fatte così non è affatto semplice. Possiamo comunque immaginare che corde di budello fossero prodotte comunemente nella Grecia più antica. Più difficile è immaginare che queste cor-de avessero spessori e conformazione materiale realmente omogenea. Ma il problema principale è un altro: una corda considerata nella sua pura lunghezza, senza essere in qualche modo tesa, semplicemente non suona!

Non c'è dubbio che i Pitagorici sperimentassero con corde, ma altrettanto indubbio è che le corde con cui speri-mentavano erano corde tese, perché altrimenti mancherebbe una condizione per la produzione del suono.

Il racconto di Nicomaco, e l'invenzione che sta alle sue spalle, sembra derivare proprio da un ragionamento che potremmo schematizzare così:

1. le corde debbono essere tese2. la tensione deve essere dominabile, e cioè vi deve poter essere una misura della tensione.3. la tensione può essere ottenuta non solo tirando con delle chiavi le corde, come si faceva nell'accordatura della lira, cosa che non consentirebbe nessuna determinazione quantitativa, ma anche usando dei pesi. Attraverso i pesi possiamo ottenere delle unità di misura significative per la tensione delle corde.

Si tratta di un ragionamento tutt'altro che da poco, proprio da un punto di vista di teoria della conoscenza. Qualcosa di simile ad un atteggiamento scientifico muove qui i suoi primi passi. Tuttavia, per quanto riguarda il nostro pro-blema particolare, avendo escluso che si possa pervenire ai rapporti indicati attraverso i pesi, sembra un enigma

Page 273: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

273

il fatto che essi siano stati alla fine correttamente individuati. L'enigma si dirada ben presto se pensiamo allo stru-mento musicale che la tradizione assegna a Pitagora: la lira.

Chi cerca di analizzare gli intervalli, di riportarli possibilmente ad una legge generale, ovvero chi cerca sempli-cemente di sperimentare sugli intervalli non può farlo con uno strumento a fiato. Vi è anzitutto il problema della relativa possibile indeterminazione dell'intonazione dello strumento a fiato secondo la forza del soffio che non è ovviamente misurabile; ed anche il fatto che le prove sulle differenze di intonazione dovrebbeo avvenire realiz-zando nuovi fori, cosa che renderebbe evidentemente la sperimentazione molto complicata. Il pitagorico Archita accenna a questa instabilità degli auloi per determinare le cause che rendono un suono più grave o più acuto di un altro (fr. 1), ma l’argomento è ripreso soprattutto, con gande acume e con dubbi relativi anche alla sperimentazione con i pesi e con altri mezzi, da Tolomeo (II sec. d. C.) (2002, 1.8, 17 - p. 115). Così scrive infatti Tolomeo:

«Si respinga dunque l’idea di dimostrare l’assunto basandosi sugli auloi e sulle siringhe oppure sui gravi appesi all’estremità delle corde, in quanto siffatte dimostrazioni non possono raggiun-gere il massimo grado di perfezione, ma possono solo creare ostacoli a coloro che le sperimen-tano. Infatti negli auloi e nelle siringhe, oltre al fatto che la correzione delle loro imperfezioni è difficile da individuare... va aggiunto che in genere nella maggior parte degli strumenti a fiato è insita una certa imprecisione dovuta all’insuflazione. D’altra parte anche riguardo ai gravi ap-pesi alle corde, poichè le corde non si mantengono affatto senza variazioni le une rispetto alle altre, anzi è difficile trovare corde che si mantengano eguali ciascuna rispetto a se stessa, non sarà possibile collegare i rapporti tra i pesi e i suoni ottenuti per mezzo di essi, dato che, a pari-tà di tensione, le corde più compatte e più leggere producono suoni più acuti. E ancora prima...qualora anche la lunghezza delle corde sia eguale, il peso maggiore, in virtù della maggiore tensione, aumenterà la lunghezza e renderà più compatta la corda alla quale è appeso, cosicché anche per questo motivo si verificherà una certa variazione nei suoni rispetto ai rapporti tra i pesi. Similmente accade per i suoni prodotti mediante il confronto, come quelli sui quali si fanno esperimenti, ottenuti con martelli o dischi di diverso peso e con le coppe vuote e piene, per-ché è veramente difficile in tutti questi corpi mantenere l’uniformità nei materiali e nelle forme»

Pitagora (o chi per lui) era alla ricerca di «un qualche mezzo strumentale che soccorresse l'udito, sicuro e inoppu-

Page 274: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

274

gnabile» come quelli di cui dispone la vista. Ed era sicuramente consapevole di tutte queste difficoltà che si oppo-nevano alla correttezza dell’esperimento: la lira invece indica con chiarezza la via per arrivare ad un simile mezzo per una sperimentazione sufficientemente precisa. È infatti questo strumento musicale che suggerisce l'invenzione del monocordo. Molto spesso in luogo di monocordo, si parla nelle fonti greche e latine, di canone. Si è affacciata l'ipotesi che la parola canone indichi in senso stretto «le istruzioni per dividere la corda ovvero il diagramma che deve essere posto sotto la corda per la facilitare l'esatta disposizione dei ponticelli», ma le due parole possono es-sere essere considerate come sinonime (Adkins, 1967, p. 36).

La tradizione attribuisce a Pitagora l'invenzione del monocordo. Racconta Aristide Quintiliano (III-IV sec. d. C.) che le ultime parole di Pitagora rivolte ai suoi allievi furono: «Esercitatevi al monocordo». Aristide aggiunge il commen-to: «In questo modo Pitagora mostrava che si perviene meglio alla conoscenza musicale attraverso la ragione, che attraverso l'orecchio, cioè attraverso i sensi» (III, cap. 2 - Barker, 1989, p. 497) - commento tra l’altro un po’ curioso perché senza l’orecchio che coglie i rapporti consonantici esercitarsi al monocordo non serve proprio nulla. In ogni caso il senso della frase di Pitagora, ed anche del commento di Aristide, è sufficientemente chiaro: egli esorta i suoi allievi a proseguire la ricerca sui fondamenti teorici della musica. Per alcuni l’invenzione del monocordo è più tarda. In generale per contestare l'attribuzione dell'invenzione al pitagorismo antico si fa notare che «non vi è nessuna menzione precedente al tardo secolo quarto dello strumento utilizzato a questo scopo, il monocordo o ca-none» (Barker, 2007, p. 26). Ma vi è anche chi a sua volta non accetta come prova questa circostanza. Arpad Szabò, un autore a cui faremo riferimento anche in seguito, scrive:

«In effetti è stato congetturato che non vi era alcuna possibilità di misurare gli intervalli sul cano-ne fino a tempi posteriori ad Aristosseno, quindi non prima del 300 a. C. Il maggior elemento di prova portato a favore di questa conclusione è il fatto che il 'canone' non è menzionato nei Pro-blemi musicali (un'opera spuria di Aristotele) e nemmeno nella Sectio canonis; e analogamente non è menzionato dagli scrittori del quarto e quinto secolo in generale. La spiegazione data per questo fatto è che assai probabilmente non esisteva a quel tempo nessuno strumento per la mi-surazione musicale. Io penso che questo punto di vista sia erroneo perché si può provare in modo conclusivo che il canone esisteva almeno a partire dai tempi di Platone» (Szabò,1978, p. 118).

In realtà la Sectio Canonis è stata tramandata sotto il nome di Euclide, ed a parte il titolo, vi è un solo passo che

Page 275: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

275

menziona la parola canone (prop. 19-20) e si è ipotizzato che questo passo sia stato aggiunto da altra mano. Questa ipotesi è ritenuta malsicura da Burkert che in ogni caso considera controversa la data possibile dell’introduzione del monocordo. In ogni caso secondo Szabò, la giustificazione ultima della datazione del monocordo al pitagorismo antico si basa su una interpretazione di un passo dell'Epinomide (991a) di Platone nel quale compaiono dati nume-rici che sono ottenibili solo attraverso il monocordo. D'altra un fatto è sicuro: non è possibile effettuare nessuna sco-perta relativa ai rapporti tra le corde se non attraverso il monocordo. Noi ci associamo all'opinione di Szabò. D'altra parte, la mia sommessa opinione è che per un pitagorico che aveva letteralmente a portata di mano la lira, l'idea guida di questa invenzione non poteva certo essere lontana due o tre secoli. L’attribuzione a Pitagora della sua in-venzione è attestata, fra gli autori antichi, da Diogene Laerzio, Gaudenzio, Aristide Quintiliano, Proclo e Porfirio.

Tolomeo sottolinea giustamente che per una buona sperimentazione sarebbe necessario possedere corde perfettamente omogenee. Questa è una con-dizione per isolare il fattore determinante - ed è una condizione, per una ragione o per l’altra difficilis-sima da ottenere. Ma un’altra via è anche quella di “neutralizzare” le differenze. Consideriamo infatti lo schema della lira o di uno strumento a corde in genere. Esso potrebbe essere presentato come si mostra nello schema a destra dove le corde sono in questo caso vincolate nella sbarra in basso e sono innestate in chiavi nella zona in alto in modo da per-mettere l’accordatura. Possiamo immaginare di ten-dere tutte le corde in modo da portarle all’unisono. In questo modo vengono neutralizzate tutte le diffe-renze tra le corde per quanto riguarda il materiale, la fattura, la grossezza, ecc. Per quanto riguarda il risultato sonoro, tutte le corde sono equivalenti.

Page 276: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

276

Naturalmente non dobbiamo nemmeno preoccuparci dello stato di tensione della corda dal momento che anch'es-so è diventato indifferente - l'una potrà essere meno tesa di un'altra. Anche questo è indifferente poiché l'unica cosa rilevante è che si possa pervenire ad una situazione di unisono. Prendiamo allora una corda soltanto e la accordia-mo su un altezza qualunque. Naturalmente sarà preferibile prendere un'altezza in un registro medio, ovvero non troppo acuto e non troppo grave. Ora l'invenzione del monocordo è consistita semplicemente nell'introduzione di un ponticello mobile tra i due sostegni rigidi che delimitano la zona vibrante della corda. Abbiamo così uno stru-mento che, visto lateralmente, avrebbe questo schema:

Uno schema che si ritrova in Boezio (IV, cap. XVIII) che vale per il Medioevo come diagramma tipico per il mono-cordo è il seguente:

dove naturalmente A e C sono i punti di aggancio della corda, EB ed FD i ponticelli fissi e K il ponticello mobile. In realtà questa figura venne spesso fraintesa per quanto riguarda i semicerchi sui ponticelli, che secondo le intenzioni originarie di Tolomeo, a cui risale questo schema, intendevano certamente alludere solo ad una leggera curvatura del bordo del ponticello. Il semicercerchio venne invece interpretato invece come se il ponticello stesso dovesse essere costruito in forma semicircolare o addirittura di semisfera, cosa che non avrebbe alcuno scopo (Atkins, 1967, p. 35).

ponticello fisso ponticello fisso

ponticello mobile

chiave chiave

Page 277: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

277

4.6 Il monocordo come strumento di misuraNell’opera di Gaffurio oltre le tre tavole che abbiamo mo-strato ve ne è un’altra che merita di essere commentata perché si presta a qualche equivoco. Essa presenta ancora Pitagora che sperimenta su corde, ma occorre richiamare l’attenzione anzitutto sul fatto che la tensione è ancora ot-tenuta attraverso pesi e soprattutto si nota la mancanza di qualsiasi ponticello mobile. Questo è l’elemento decisivo, insieme ad una misurazione che non si avvale più di pesi. Nel caso del monocordo, il ponticello mediano può essere spostato e dunque divide la corda in due parti. Ora è come se avessi due corde che posso paragonare tra loro nel suo-no che emettono. Ad esempio se pizzico sulla parte a sini-stra, ipotizzando che sia molto più corta della parte a destra, otterrò un suono più acuto, se pizzico dalla parte a destra, nella stessa ipotesi, otterrò un suono più grave. È chiaro anche che posso verificare con molta facilità questa prima relazione funzionale: a corde più brevi corrispondono suo-ni più acuti, a corde più lunghe corde più gravi. In effetti è ora proprio soltanto la lunghezza della corda che viene in questione. Inoltre, poiché evidentemente non interessano le lunghezze assolute, il confronto è quantificabile in forma di rapporto. Ad esempio, supponiamo prima di togliere il pon-ticello e di fare risuonare la corda, e poi di inserire il ponti-cello esattamente alla metà. Allora avremo sia a destra che a sinistra un suono che è corrisponde all'ottava acuta della corda intera - abbiamo cioè per l'ottava il rapporto di un 1/2 o inversamente, il rapporto del doppio.

Page 278: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

278

Naturalmente questi confronti potrebbero risultare più facili disponendo di due o anche più corde. Dovremo al-lora assumere come situazione di partenza l'unisono e poi manovrare con uno o più ponticelli mobili. Il buon senso, a cui non si vede perché si debba rinunciare in questo genere di questioni, ci suggerisce subito che ben difficilmente si sperimentava con una corda soltanto: in effetti sembrerebbe abbastanza strano che chiunque sia stato in grado di effettuare il pensiero del monocordo non sia stato anche in grado di semplificare lo stru-mento con due o più corde in modo da rendere più agevole la sperimentazione. Già con due corde soltanto le cose migliorano notevolmente perché si consentirebbe di avere un suono fisso di riferimento, ponendo il ponticello mobile sull'altra corda e comparando i suoni risultanti dal movimento del ponticello con il suono fis-so - sempre nell'assunto che le due corde entrambe prive di ponticello siano accordate all'unisono. In effetti è ormai comunemente accettato che con la parola monocordo si intendeva sia uno strumento con una sola cor-da sia, per estensione, strumenti con più corde. Il nome in certo senso vale solo per l'idea - ma con lo stesso nome si poteva intendere uno strumento che poteva arrivare alle otto corde. Nelle rappresentazioni consuete più tarde comunque il nome faceva testo, e quindi il monocordo veniva rappresentato con una corda soltanto.

«Il fatto che nella designazione di monocordo venisse menzionata una sola corda non significa che il monocordo dovesse essere obbligatoriamente costituito di una sola corda tesa. Se si vogliono suonare simultaneamente gli intervalli messi in evidenza è certamente più pratico disporre di una corda aggiuntiva, come descrive ad esempio Teone di Smirne che utilizza per questa opera-zione due corde accordate all'unisono... Il monocordo a otto corde che si trova già in Tolomeo vie-ne descritto tra l'undicesimo e dodicesimo secolo da Theogerus di Metz» (Münxelhaus, 1976,p. 25). «Gli scrittori più tardi descrivono la costruzione di monocordi di una gran varietà di dimen-sioni e forme, molti dei quali provvisti di più di una corda. Tecnicamente questi strumenti a più corde non dovrebbero essere chiamati monocordi, ma vi era consenso sul fatto che se le corde venivano accordate all'unisono la designazione poteva essere mantenuta» (Adkins, 1967, p. 36).

Il passaggio ulteriore è infine quello della graduazione. Sulla base del monocordo, che supponiamo sia in legno, metteremo delle tacche ai fini di effettuare le misurazioni. Il monocordo era in effetti graduato. Per questo veniva anche chiamato canone, termine che in greco vuol dire "metro", "regolo".

Il passo essenziale è fatto. E si capisce benissimo come Pitagora, al di là della favola del "fabbro armonioso", abbia po-

Page 279: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

279

tuto determinare i rapporti di ottava, di quinta e di quarta e lo abbia fatto correttamente, anche se, come vedremo tra breve vi è una problematica relativamente comples-sa proprio in rapporto alla determinazione numerica.

Notiamo per il momento che, una volta scoperti i rap-porti relativamente alle corde, questi stessi rapporti vengono sperimentati ad esempio sui flauti o sui bic-chieri contenenti acqua in varie proporzioni - cercando di superare le difficoltà che abbiamo enunciato in pre-cedenza; si poteva così ottenere lo stesso risultato. Ciò aveva una importante conseguenza: il rapporto nume-rico assumeva il carattere di una generalità astratta, in-dipendente dalle sue applicazioni e dalle particolarità dei materiali. Esso viene ottenuto anzitutto sperimen-tando sulle corde, ma non viene considerato come una proprietà particolare che spetta soltanto ad esse. Ed anche questo è un passo importante che non interessa soltanto la teoria della musica ma anche la teoria della scienza e la teoria della conoscenza in genere. Io sarei disposto ad enfatizzare un poco questo punto: il mono-cordo non è uno strumento musicale essendo intera-mente destinato alla sperimentazione, ma non si può non notare che esso è la lira stessa che è diventata uno strumento di laboratorio. Del resto talvolta il monocordo viene considerato anche come uno strumento musicale. Cosi Boezio lo paragona ad una cetra. Ed inversamente

«Si può dimostrare che nel medioevo anche strumenti musicali venivano impiegati per mi-surazioni intervallari. Ad esempio Johannes

Gallicus (XV sec.) intende la viella con una sola corda come lo strumento con il quale po-tevano essere dimostrati i rapporti intervallari e presso i teorici arabi questioni di accordatu-ra di ordine generale venivano spiegate con riferimento al liuto» (Münxelhaus, 1976, p. 26).

Tutto ciò fa pensare che una rappresentazione di Pita-gora come la seguente che risale al sec. XV sia ovvia-mente conforme alle raffigurazioni dell'epoca, ma che essa intenda raffigurare un Pitagora musicante, ma an-che sperimentatore.

In una miniatura del XIII secolo il monocordo viene chiamato senz'altro "lira" (Münxelhaus, 1976, p. 30)

Page 280: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

280

Intorno al 1500 il monocordo subisce un cambiamento significativo non solo nella forma ma anche nella funzione. Intanto va notato che il monocordo, nel suo impiego più evoluto, interagisce sempre con i calcoli matematici, co-munque eseguiti. Talvolta avviene anche una sorta di scambio delle parti: il monocordo più che servire per sco-prire i rapporti rapporti matematici di intervalli dati, viene impiegato per udire suoni e intervalli predeterminati calcolisticamente. Ma vi è anche un altro suo impiego particolarmente interessante che è quello di contribuire a determinare quale lunghezza deve essere attribuita ad una corda per ottenere una determinata serie di intervalli. La forma viene allora adattata a questa diversa funzione. Il ponticello fisso dal lato opposto alla chiave viene net-tamente abbassato rispetto alla cassa armonica. In questo modo diventava possibile premere direttamente i vari punti della corda esattamente come si fa per una chitarra o con un violino (Adkins, 1967, p. 35). Un monocordo del periodo rinascimentale poteva così assumere la forma seguente, che non solo è assai simile a quella di uno stru-mento musicale ma che mostra un uso in certo inverso che di esso era possibile fare: esso poteva servire a stabilire la posizione dei “tasti” degli strumenti a corda.

Questo è naturalmente un problema diverso dai precedenti. Gli strumenti a corda avevano spesso una “tastatu-ra”, come ha oggi ancora uno strumento come la chitarra, in cui il dito viene disposto tra due tacche che vengono predeterminate sullo strumento e che sono come ponticelli che diventano attivi quando avviene la pressione del dito sulla corda. Una problema che si pone è allora, ed era un problema importante in un periodo in cui la spe-rimentazione sulle forme scalari faceva parte degli interessi musicali, è quello di stabilire dove debbono essere

Page 281: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

281

disposte le tacche, in modo da ottenere una particolare sequenza di intervalli (Adkins, 1967, p. 41). L’illustrazio-ne precedente può dare una idea di come si poteva usare il monocordo per assolvere questo compito. Va nota-to comunque che questo impiego del monocordo non riguarda la grecità, che non aveva strumenti tastati. Tar-do è anche il simbolismo del monocordo come spina dorsale dell’universo accordato dalla mano stessa di dio.

«Nel Medioevo il monocordo non soltanto assolveva le funzioni di base ad esso assegnate dai Greci, ma serviva anche come il principale metodo per esporre dettagli della teoria musicale, cioè esso fu frequentemente impiegato nella spiegazione dei metodi matematici per la determi-nazione degli intervalli e delle scale, ed anche come un apparato per produrre altezze nell’inse-gnamento del canto. Il Rinascimento e i periodi successivi utilizzarono ampiamente lo strumento come uno dei mezzi pratici per sperimentare con le varianti scalari ed assai meno per l’accorda-tura degli strumenti a tastiera. In ogni caso in quest’epoca un sistema di rappresentazione acusti-ca espressa nella forma di lunghezza di corde, di derivazione monocordista, trovò grande favore da parte di teorici, compositori e matematici. Nel rinascimento inoltre fu fatto un uso simbolico del monocordo per illustrare l’unità esistente tra l’uomo e il suo ambiente sia fisico che spiritua-le» (Adkins, 1967, p. 11).

monocordo di costruzione modernahttp://www.carousel-music.com/stringmain.html

Page 282: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

282

Page 283: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

283

5. La matematica pitagorica

«La matematica ha la sua preistoria,e non delle meno importanti»

H. G. Zeuthen

Page 284: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

284

Page 285: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

285

5.1 Numeri, rapporti e proporzioni

5.2 I numeri figurati

5.1.1 Il logos5.1.2 L’analogia

5.2.1 La lavagna di Pitagora nella Scuola di Atene di Raffaello

5.2.2 La Tetractys

5.2.4 Sviluppi e commenti sui numeri figurati

5.2.3 Cenni sui numeri figurati

5.2.6 I numeri eteromechi

5.2.5 I numeri quadrati

5.2.7 I numeri figurati e l’idea di matrice

Page 286: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

286

5.3 Le opposizioni pitagoriche

5.4 I numeri irrazionali

5.5 L’armonia delle sfere

5.3.1. Le opposizioni pitagoriche e il loro senso

5.3.2 L’opposizione illimitato/limitato in Filolao

Page 287: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

287

Page 288: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

288

5.1 Numeri, rapporti e proporzioni5.1.1 Il logos

Vogliamo ora chiarire meglio il modo in cui i Pitagorici concepiscono il riferimento ai numeri ed ai rapporti tra i numeri. In realtà noi siamo abituati dalla scuola a considerare la "frazione" nient'altro che come un modo di indicare la divisione come operazione puramente aritmetica. Ci viene insegnato che una frazione può essere "tradotta" in un numero decimale, e che il numero decimale può essere finito o infinito periodico. Se ad esempio dividiamo 3 : 2 otteniamo 1,5 che è un numero decimale finito. Se invece dividiamo 4:3 otteniamo 1,33333.... che è un numero deci-male infinito periodico. Sappiamo anche che questi numeri vengono chiamati razionali. La parola "razionale", con-cepita così, la abbiamo accettata una volta per tutte nell'insegnamento medio. Il fatto singolare è che forse sarebbe probabilmente difficile per ciascuno di noi rendere conto dell'impiego di questo termine - forse nessuno ci ha mai detto nulla in proposito, forse ciò che ci è stato detto lo abbiamo completamente dimenticato. Naturalmente esso ha a che vedere con la parola latina ratio e con la parola greca logos. Si tratta di termini tremendamente impegnativi per la filosofia. Ma vi è qualche relazione tra l'impiego filosofico ed un simile impiego aritmetico? La tentazione sembra essere spesso quello di dare una risposta negativa a questa domanda. Ecco alcune definizioni prese qui e là dai nostri comuni libri scolastici:

Un numero razionale è un numero che è la ratio di due interi. Tutti gli altri numeri reali sono detti irrazionali. La ratio è il quoziente di due numeri.

In un dizionario di matematica, anch’esso destinato alla scuola, sotto la voce "razionale" si osserva: «Si noti che il senso di ratio è rapporto, e non ragione, cosicché razionale non va inteso come ragionevole» . Su di ciò non si può che essere d'accordo: non vi sono numeri ragionevoli e numeri irragionevoli. Ma la ragione non c'entra proprio nulla con quella di rapporto?

Page 289: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

289

È appena il caso di dire che potremmo ricorrere a defi-nizioni assai più sofisticate, che richiederebbero conte-sti teorici di ampio respiro e che certamente ora non è nemmeno il caso di evocare. Tanto più che, per quanto riguarda le nostre discussioni, non solo non abbiamo bi-sogno di procedere verso l'alto, ma al contrario vogliamo ripensare i problemi nella loro forma iniziale, regreden-do ai livelli più semplici - alla preistoria della matematica più che alla sua storia. Del resto io credo che il raggiungi-mento di una maggiore complessità, quando è accompa-gnata dall’oblio del senso primitivo da cui tutto ha inizio, non sia sempre un vantaggio dal punto di vista del com-prendere. Se ad esempio la "frazione" viene intesa come una divisione che non è stata ancora compiuta o come un modo diverso di scrivere un numero decimale, il parla-re di numeri razionali e correlativamente di irrazionali, assume sempre più nettamente il carattere di una pura convenzione terminologica, il cui senso tende a sfuggir-ci. A maggior ragione se poi si aggiunge (penso sempre all'insegnamento elementare e medio) l'idea che il pro-blema più importante per il giovane discente che sta per essere introdotto nei grandi regni della matematica sia quello di risolvere gli "esercizi" con le frazioni, che in ge-nere consistono nel riempire una pagina del quaderno a quadretti con un immenso grattacielo di frazioni impilate l'una sull'altra al cui termine si trova, se tutto va bene, una frazioncella come -87/17. Come avrà ben compreso il mio lettore, i grattacieli di frazioni sono stati un mio incubo scolastico infantile di cui voglio qui vendicarmi mostran-do un esempio di grattacielo tratto dal mio vecchio ma-nuale di aritmetica.

Page 290: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

290

La soverchia importanza data ai calcoli rischia di mettere in ombra i concetti, ed il credere che l'insegnare la mate-matica significhi imparare a fare calcoli corretti è una convinzione che, a mio avviso, ostacola gravemente l'afferra-mento della grandezza e della bellezza del pensiero matematico, oltre ad essere ormai diventata del tutto obsoleta l'utilità pratica dell'acquisizione di una simile abilità.

Ritornare ai concetti spesso significa proprio ritornare ai primi inizi. Una riflessione sui problemi della matematica pitagorica può essere orientata proprio in questa direzione, che forse è proficua non solo sul piano storico, ma an-che su quello teorico. Considerazioni filosofiche e considerazioni matematiche entrano qui le une nelle altre. Tra le tante cose che si attribuiscono a Pitagora, vi è anche il fatto che egli sia stato il coniatore del termine "filosofia".

«Egli fu il primo che diede il nome alla filosofia, descrivendola come desiderio e amore della sa-pienza, che era per lui conoscenza della verità delle cose che sono» (Giamblico, 1991, XIX, p. 315).

Questa circostanza merita di essere rammentata qui. Pitagora e i pitagorici sono alla ricerca di rapporti. La filoso-fia del numero potrebbe addirittura essere considerata conseguente a questo scopo primario, se si tiene conto del fatto che i numeri sono cercati in quanto essi possono essere messi chiaramente in rapporto e possono dunque riportare questa chiarezza sulle cose a cui "convengono".

In greco rapporto si dice logos. E ci sembra suggestivo pensare che per Pitagora la parola "filosofia" che indica anzitutto l'amore per la saggezza e per la sapienza, e nello stesso tempo per la conoscenza della verità delle cose, significasse anche "filologia" - nel senso del termine suggerito da queste considerazioni. Ragionare significa stabi-lire relazioni, ricercare ragioni è ricercare collegamenti. Mi sembra anche di poter dire anche che quando Pitagora scoperse il logos del fenomeno consonantico, ovvero quando scoperse che la consonanza aveva un logos, per lui questa parola avesse una valenza matematica e filosofica insieme.

Sull'origine della parola logos si sono spese naturalmente moltissime parole. La si fa derivare da leghein, verbo che significa normalmente dire, parlare, raccontare. Esso però significa anche raccogliere, collegare, connettere. Stabilire una connessione significa anche cominciare con il "rendere conto" del fenomeno considerato. Cosic-ché il significato della parola rapporto e quello di ragione possono scivolare l'uno nell'altro. Arpad Szabò sostie-ne addirittura che la parola logos nei suoi impieghi più arcaici non avesse «nulla a che fare con il linguaggio quotidiano o con la vita quotidiana dei Greci. Era una denominazione puramente scientifica. Vale a dire: la ma-

Page 291: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

291

tematica era il campo unico nel quale il vocabolo logos aveva il senso di 'rapporto tra due numeri', rispettiva-mente, più tardi, anche 'rapporto tra due grandezze»(1971, p. 85). Si tratta di una tesi che rafforza, anziché inde-bolire ciò che dicevamo in precedenza. Da quel significato particolare si intravvede un significato più generale. Entrambi poi per un certo tratto cammineranno insieme, per un altro si divaricheranno nettamente e avranno una vita indipendente, al punto che sarebbe erroneo confonderli: ma tra questi significati una relazione c'è, ed è giu-sto da un lato rammentare le origini musicali del problema, dall'altro dare a quella parola una duplice valenza.

Per comprendere questo intreccio abbiamo tuttavia bisogno di rimettere in gioco quella nozione di intero e di parte che sembra essere semplicemente cancellata dalle precedenti definizioni della "frazione", nonostante il fatto che questa nozione sia per così dire stampata in fronte alla parola.

Anche l'operazione del dividere deve essere considerata non tanto nel suo aspetto di operazione aritmetica, cioè di un'operazione che ha come oggetto e come risultato dei puri numeri, realizzata per di più come una pura ma-nipolazione di tipo calcolistico, quanto il fatto che se dico 3/2, c'è un intero a cui abbiamo aggiunto la sua metà. Dobbiamo riportare alla memoria una circostanza che abbiamo sempre saputo, ma di cui potremmo finire di non tenere affatto conto, e cioè il fatto che il segno 1 deve essere considerato non tanto come simbolo di un numero, quanto di un intero qualsivoglia. Ed allora 1/2 è appunto la metà dell'intero e se scrivo 1+1/2 intendo appun-to un intero a cui è stata aggiunta la sua metà, dove ciò che si ha da intendere con il segno "+" andrà deciso di volta in volta, secondo l'intero considerato. Questo è qualcosa di concettualmente diverso dal numero 1.5 inteso come risultato della divisione aritmetica tra il numero 3 e il numero 2. Analogamente 2/3 significa che un intero è stato ripartito in tre parti, di cui ne vengono considerate due. E questo è ancora qualcosa di diverso, dal pun-to di vista del contesto significativo, del numero 0,66666.... che è il risultato della divisione aritmetica di 2 : 3.

A dire il vero, sul numero 1 vi è qualcosa d'altro da dire. Come abbiamo detto or ora, esso rappresenta l'intero stes-so che verrà diviso in parti. Tuttavia l’unità può essere intesa come unità di misura per interi, di cui sarà dunque una parte. Secondo una certa unità di misura, ad esempio, un intero avrà la misura 2, secondo la stessa unità di misura, un altro intero avrà misura 3. In questo modo i due interi saranno commisurati l'uno all'altro, dove commi-surare significa appunto mettere in rapporto una cosa con un'altra facendo riferimento ad un’unica unità di misura.

Page 292: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

292

Da questa nozione di rapporto si deve poi passare alla nozione di proporzione. In greco proporzione si dice analo-gia, parola nella lingua italiana viene per lo più usata nel senso di "somiglianza", in presenza di aspetti comuni tra una cosa ed un'altra. In realtà vi è qualche affinità di senso tra questi impieghi - che possono naturalmente essere usati anche per cose che non sono numeri - con l'impiego delle parolette stare a e come . Ad esempio: «Dio sta al diavolo, come il bene sta al male». Occupandosi del ruolo della somiglianza nella costruzione delle definizioni, Ari-stotele nei Topici (108b24) si richiama in realtà alla problematica delle proporzioni in un’accezione generale del termine. In effetti Aristotele scrive:

«La considerazione della somiglianza è utile per le espressioni definitorie anche nei confronti degli oggetti assai distanti tra loro, ad esempio, quando si oserva un’identità tra la bonaccia nel mare e l’assenza di vento nell’aria (in entrambi i casi si tratta infatti di una calma), ed ancora tra il punto contenuto nella linea e l’unità contenuta nel numero (ciascuno dei due è invero un princi-pio). In questo modo, se assegneremo come genere la determinazione comune a tutti i casi, la no-stra definizione non apparirà estranea all’oggetto. Del resto, si può dire che siffatte formulazioni siano date di solito da coloro stessi che definiscono: essi infatti affermano che l’unità è principio del numero e che il punto è principio della linea. È dunque chiaro che costoro riportano il genere alla determinazione comune ad entrambi questi oggetti»

Ma quando entrano in campo i numeri la nozione di proporzione diventa più precisa. Ed è ancora Aristotele a cui possiamo fare riferimento anche se in una discussione che riguarda il “giusto”, ma nella quale la proporzione nu-merica viene direttamente implicata. All’interno di questa discussione di argomento etico si parla infatti dell’ana-logia (termine che contiene in sé la parola logos) come “eguaglianza di rapporti” (Etica Nicomachea, 1131 a 31). «Questa osservazione di Aristotele mi ha indotto a ricostruire una locuzione arcaica della matematica che viene senza dubbio dai Pitagorici del VI e V sec. a. C, e le cui tracce si leggono ancora in Euclide. Si diceva originariamen-te di quattro numeri che stanno in proporzione a: b=c:d che essi sono uguali secondo il logos ... Il sostantivo analo-gia - un'espressione artificiale che originariamente aveva senso solo nel linguaggio matematico - viene dunque da

5.1.2 L’analogia

Page 293: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

293

questa locuzione pitagorica e significa 'uguaglianza dei rapporti'. Anche il nostro concetto di analogia è per questa ragione di origine matematica e pitagorica» (Szabò, 1971, p. 85).

Nonostante questa sottolineatura di Szabò sull'originaria origine matematica del termine di analogia, che è ovvia-mente conseguente alla sua osservazione sul termine di logos, credo che sia opportuno almeno per un certo tratto rammentarsi che segni come quelli di eguaglianza o quello di divisione non hanno esattamente lo stesso senso dei segni corrispondenti usati nell'aritmetica elementare, proprio per il fatto che al di qua e al di là del segno di eguaglianza, dove vi sono i "membri della proporzione", potrebbero esservi cose che non sono numeri. Potrem-mo anche trovarci di fronte ad un membro della proporzione che non è numerico mentre l'altro lo è. In tal caso ci troveremmo di fronte a formulazioni che tengono un piede nell'aritmetica ed un altro fuori di essa. Proprio il tema dell'intervallo espresso in rapporti illustra questo fatto. Potremmo dire che la nota do sta al sol più acuto come 3 a 2. In un membro della proporzione troviamo dei suoni, nell'altro troviamo dei numeri. Il segno di eguaglianza “=” ha qui un significato piuttosto particolare e talora viene in effetti sostituito, anche in una proporzione i cui membri sono tutti numeri, dal segno “::”.

Naturalmente per stabilire una proporzione tra cose che non sono numeri e numeri quali sono il 3 e 2 abbiamo bisogno di una mediazione che ci consenta di effettuare questo passaggio. Nel nostro caso, questa mediazione è rappresentata dalla corda e dalla sua lunghezza: ciò che è adatto al numero è la corda, perché essa può essere misurata, e ciò richiede il numero. Conseguentemente due corde possono essere commisurate l'una all'altra. Nello stesso tempo la corda può essere considerata per così dire rappresentativa del suono che essa emette, e quindi viene stabilito un nesso preciso tra una determinazione numerica e un fenomeno uditivo che sembra sfuggire a qualunque determinazione numerica.

Ponendo le cose in questi termini vi sono alcune cose da mettere in rilievo con molta chiarezza: anzitutto l'importan-za fondamentale che riveste la consonanza come fenomeno uditivo quando sia considerata alla luce di una media-zione che consente una determinazione quantitativa. Questa mediazione è ancora fenomenologica, nel senso che le corde sono entità percepite e manipolabili, io le posso mettere in una tensione minore o maggiore, posso prendere corde più lunghe o più corte. Peraltro, come abbiamo già notato, il rapporto ad es. di 3/2 non viene vincolato alla corda come tale, ma può essere trasferito alla lunghezza in genere, e quindi lo stesso rapporto potrà essere fatto va-lere, ad esempio, per la lunghezza dei flauti, o per la posizione dei fori praticati in essi. In seguito, in tempi relativa-mente molto vicini ai nostri, verrà considerato il fenomeno sonoro come evento fisico che si può considerare in se

Page 294: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

294

stesso: il legame con il numero avviene attraverso la frequenza delle oscillazioni di un corpo elastico, ed i rapporti numerici restano gli stessi, benché da interpretare inversamente (a numero maggiore, suono più acuto, a numero minore suono più grave). Ma occorre anche mettere in rilievo che quando non si è ancora raggiunta chiarezza sulle cause del suono e sul suono come evento fisico, il rapporto numerico tende a distaccarsi dai suoi veicoli materiali: le mediazioni che portano al riconoscimento di quel rapporto vengono in certo modo neutralizzate, proprio perché viene operata una generalizzazione che supera la particolarità del veicolo. In assenza di una conoscenza fisica ef-fettiva, si tenderà ad attribuire una speciale virtù, un particolare e misterioso potere proprio al rapporto numerico come tale. È inutile dire che questo rischio è stato ampiamente corso dal pitagorismo in tutte le fasi della sua lunga storia e che in certo senso è già scritto nei suoi principi che, se da un lato possono essere ascritti ad una riflessio-ne anzitutto epistemologica, dall'altro si trovano fin dall'inizio sul piano inclinato di un’interpretazione ontologica.

Da un punto di vista epistemologico, dire che la consonanza ha un logos significa affermare che essa comincia ad entrare in nostro possesso, ad essere dominabile. Ma non nel senso in cui essa è dominata dal musicista, che pratica direttamente consonanze e che sa benissimo accordare il suo strumento. La consonanza comincia ad essere domi-nata nel senso che possediamo qualcosa di simile ad una legge che la governa.

Basta spostare di poco l'accento per passare dal piano epistemologico a quello ontologico. La conoscenza è cono-scenza non di questo o di quello, non del caso empirico, ma di generalità. Questo è un tema pitagorico di grandis-sima importanza. Giamblico, coniugando motivi pitagorici e platonici, collega la conoscenza agli esseri incorporei e nell'Introduzione all'aritmetica di Nicomaco scrive:

« Affinché la presente trattazione non sia incompleta neppure in questo, diciamo che fu Pitagora il primo che usò il nome di filosofia e disse che questa è scienza della verità degli enti. E con la parola "enti" egli intendeva dire le cose immateriali ed eterne che costituiscono la sola parte atti-va dell'essere, cioè gli incorporei, e del resto le forme corporee e materiali, e generate e corrut-tibili, e che non sono mai realmente, sono chiamate enti per omonimia, in quanto partecipano dei veri enti. E la sapienza, egli diceva, è scienza degli enti veri e propri, non degli enti per omoni-mia, giacché le cose corporee non sono oggetto di scienza, né ammettono conoscenza sicura...» (Giamblico, 1995, p. 209).

Come appare in questa citazione vi è un uso forte ed un uso debole della parola ente - ciò che è - e l'uso forte ri-

Page 295: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

295

guarda soltanto gli oggetti intelligibili, cioè dominabili dalla ragione, mentre l'uso debole è un uso in certo senso trasposto e riguarda gli enti sensibili, cose corporee o inerenti alle cose corporee. Di ciò non c'è scienza; o meglio - si precisa subito dopo - c'è scienza solo in quanto, una volta che si sono comprese le "ragioni" sul piano degli intelligibili, si arriva anche a riferire ad esse il piano degli enti corporei.

«E infatti nella conoscenza di tali enti [intelligibili] accade, anche senza volerlo di proposito, che si ac-compagni anche la conoscenza degli enti per omoni-mia, in quanto nella scienza dell'universale è inclusa la scienza del particolare» (ivi, p. 209).

Tutto questo discorso sembra resti interamente sul piano della teoria della conoscenza, ma l'accento posto sull'ente vero, su ciò che vera-mente è, ci sposta verso la metafisica. Una conoscenza è possibile in quanto vi sono enti immobili, che meritano realmente il nome di ente. Per il filosofo pitagorico-neoplatonico questi enti sono anzitutto i nume-ri, i rapporti, le proporzioni numeriche. Scoprire dunque il logos della consonanza, nello spirito di queste considerazioni, potrebbe significare anche riportare questo ente sensibile, che è il suono, alla sua essenza ideale, dall'ente soltanto per nome all'ente che veramente è. Anche que-sti possibili esiti e interpretazioni confermano che vi è una connessione tutt'altro che insignificante tra la ragione nel senso matematico del ter-mine e la ragione nel senso filosofico più ampio - ed il cogliere questa connessione ci aiuta a comprendere meglio la speculazione che ora si sta sviluppando.

Page 296: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

296

5.2. I numeri figurati

5.2.1 La lavagna di Pitagora nella Scuola di Atene di Raffaello

Il grande affresco di Raffaello rappresenta uno straordinario omaggio alla scienza ed alla filosofia della Grecia Antica, senza dimenticare il contributo dato dalla scienza araba alla cultura europea.

Page 297: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

297

Al centro sono rappresentate le grandi direzioni filosofiche indicate da Platone e da Aristotele.

Ogni figura rappresenta una gran-de personalità della filosofia e del-la scienza, da Euclide a Tolomeo, frammiste a personalità dell'epo-ca tra cui lo stesso Raffaello il cui volto si intravvede dietro il gruppo dei geometri sull'estrema destra.

Naturalmente noi siamo subito at-tirati dal gruppo che ha Pitagora al proprio centro.

Mentre l'identificazione di Pitagora è resa sicura dalla lavagna che il giova-ne allievo porge al maestro, l'identifi-cazione delle altre figure è dubbia. Si è pensato alla presenza di Aristosseno nel gruppo ma le interpretazioni sono oscillanti. A noi sembra probabile e si-gnificativa l'interpretazione di coloro che identificano Aristosseno nella figu-ra che regge a sua volta un libro qua-si in un gesto di contrapposizione. In

Page 298: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

298

tal caso sarebbe felicemente caratterizzata la differenza e anche l'opposizio-ne tra i due grandi protagonisti della teoria musicale greca. Sembra inoltre degno di nota il fatto che i tipi umani dell'uno e dell'altro corrispondano in modo piuttosto evidente rispettivamente alla figura di Platone e di Aristote-le rappresentati al centro del dipinto, segnalando un'affinità di orientamento teorico tra Pitagora e Platone, da un lato, e Aristosseno e Aristotele dall'altro.

(Cfr. per questa descrizione ed altri dettagli Spazio_filosofico, http://www.lettere.unimi.it/Spazio_Filosofico/imago/raffaello/index.htm e soprattutto, per un’informazione più completa sulla Scuola di Atene: Most, 2001).

Per quanto riguarda l’elaborazione dei nostri temi attuali, tutta la nostra attenzione deve con-centrarsi ad un piccolo dettaglio, e precisamen-te alla lavagnetta che viene proposta ai piedi del maestro dal giovane che gli sta a fianco. La figura è sovrastata dalla scritta Epogdoon: si tratta della designazione greca per indicare il tono pitagori-co di 9/8. Epi significa “sopra” ed ogdoon “otta-vo”: «È possibile che alla parola “epogdoon” che vale quasi come titolo della tavola, spetti anche la funzione di fornire un rimando alla tradizione, secondo la quale fu Pitagora ad avere introdotto nella scala il tono intero a 9:8, o almeno a mettere in evidenza l’importanza che questo tono ha per la scala pitagorica» (Münxelhaus, 1976, p. 190).

Page 299: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

299

Questa importanza è dovuta al fatto che l’ottava pitagorica deve essere concepita come formata da due quarte se-parate da un tono. La quarta come parte costitutiva fondamentale dell’ottava viene chiamata tetracordo, ed il tono in questione che opera la disgiunzione (diazeugsis) tra i due tetracordi viene chiamato tono disgiuntivo. Gli archi, secondo una convenzione diventata del tutto comune nella trattatistica, indicano gli intervalli e il tono disgiuntivo viene evidenziato rispetto agli altri intervalli con l’archetto superiore. In basso l’arco più ampio indica l’intera ot-tava e gli altri archi la quarta e la quinta nelle due direzioni. Nella parte superiore della figura compaiono anche i numeri 6,8,9, 12 che abbiamo già incontrato nelle raffigurazioni medioevali e di cui è opportuno ancora rinviare la spiegazione. È il caso invece di dare qualche spiegazione sulla parte sottostante della figura aprendo nello stesso tempo una digressione piuttosto ampia.

5.2.2 La Tetractys

Fino a che punto ci troviamo in bilico tra istanze di ordi-ne diverso, all'interno di uno stesso orizzonte problemati-co, e come sia importante tenere insieme queste istanze, è dimostrato in realtà molto bene dalla discussione che può essere sviluppato da uno dei più famosi emblemi pi-tagorici. Si tratta della cosiddetta Tetractys. La figura che Raffaello ha tracciato sulla lavagna che viene mostrata a Pitagora, al di sotto dello schema della divisione dell’ot-tava, si chiama appunto così. Essa è intanto una rappre-sentazione, letta dall’alto verso il basso, dei numeri 1, 2, 3, 4 che si conviene nel loro insieme di indicare con il ter-mine di tetrade o di quaternario, e questa rappresentazio-ne rappresenta un modo particolare di enfatizzare la sua densità simbolica, a cominciare dal riferimento musicale all’idea dell’”armonia” ovvero dei rapporti musicalmente “sinfonici”. Questi rapporti sono tutti formulati all’interno della tetrade - trattandosi, come abbiamo già detto, 2/1 per l’ottava, 3/2 per la quinta, 4/3 per la quarta. Forse in essa è contenuto anche il rapporto dissonantico di 9/8 -

Page 300: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

300

che peraltro è in certo senso una risultante della divisione “sinfonica” dell’ottava - poiché i numeri 9 e 8 possono essere formulati come 32 e 23.

Rappresentando l’unità con una pietruzza (psefos), un punto o un trattino, possiamo disporre ogni punto in modo da costruire una sorta di triangolo.

Naturalmente la figura può essere costruita anche mettendo in evidenza caratteristiche di particola-re simmetria: ad esempio facendo bene le cose, si può puntare un compasso e tracciare un cerchio la cui circonferenza passi sui vertici.

1

2

3

4

VIII

V

IV

I numeri romani indicano gli intervalli musicali

Nel “triangolo” formato dalla Tetraktys

1 . ogni lato è formato da quattro punti che possia-mo numerare da 1 a 4

2 . cominciando da uno qualunque dei tre verti-ci possiamo trovare il quaternario nell'ordine suo proprio: 1, 2, 3, 4.

3. Poiché il totale dei punti è 10, la figura mostra direttamente la relazione tra il quattro e il numero dieci, mostrando che la somma tra i primi quattro numeri della successione dei numeri naturali è appunto pari a 10.

Page 301: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

301

Vi sono fonti che fanno risalire queste relazioni spaziali al pitagorismo antico, e in particolare a Filolao (Test. A13), ma è possibile che esse siano state proposte in ambiente platonico (Huffman, 1993, p. 359); certa è in ogni caso l’importanza di questa figura per i pitagorici, e che questa importanza sia dovuta al valore emblematico che essa poteva riassumere sulla base dei suoi valori aritmetici, geometrici e musicali con le loro espansioni simboliche. Il numero dieci, che è del resto la base del sistema decimale, è sempre stato un’immagine di totalità e di perfezione; e così anche il cerchio. Questa idea della totalità è ancor più rafforzata dall’idea che questi primi quattro numeri, che la teoria musicale ha messo in evidenza come quintessenza dell’armonia, siano rappresentativi delle dimen-sioni del reale. Questa figura aveva per i pitagorici un valore quasi sacrale, e si racconta che la fase di iniziazione si concludesse proprio con un giuramento sulla tetractys.

«Il più comune dei giuramenti associati alla tetraktys era: ‘Io giuro a colui che ha trasmesso alle nostre anime la tetraktys / fonte che contiene la radice della natura perenne’; un’altra formula di giuramento riferito da Giamblico afferma: ‘Che cosa è l’oracolo a Delfi? la tetractys; / cioè l’ar-monia in cui cantano le sirene’» (Barbera, 1985,p. 197).

Il riferimento all’oracolo di Delfi è significativo perché mostra che figure come queste appartenevano, come i “sim-boli” verbali agli enigmi di cui si compiaceva il pitagorismo più antico e più recente.

Inoltre si può ancora notare che vi è un valore simbolico che rimanda alla totalità delle dimensioni del reale:

1 = punto = zerodimensionalità2 = linea = unidimensionalità3 = triangolo =bidimensionalità (è la figura piana più semplice) 4 = tetraedro = tridimensionale (il primo dei solidi regolari platonici, piramide con facce triangolari)

Page 302: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

302

Sarebbe tuttavia sbagliato insistere sull’aneddotica relativa alla tetractys, e sbagliatissimo pensare che la sua por-tata teorica si esaurisca in essa. Al contrario questa figura, così importante sul piano emblematico, è un semplice dettaglio dentro il contesto in cui essa deve essere effettuata. Essa infatti non è che un possibile esempio della più ampia tematica dei numeri figurati, e questa assolve un ruolo che è difficile sottovalutare nella preistoia del pensie-ro matematico. Su di essa val la pena di soffermarsi anche un poco di più dello stretto necessario.

Il primo problema che va discusso è come debba essere considerata la tematica del numeri figurati. Ci si deve chiedere in primo luogo se sia giusto ritenere che essa sia una sorta di raffigurazione geometrica del numero, come si dice così spesso nella manualistica corrente. In realtà i pitagorici parlano di numeri triangolari, poligonali, rettangolari, quadrati, ecc. e sia i nomi che le configurazioni di punti corrispondenti hanno tutta l’apparenza di forme geometriche. Si potrebbe allora sostenere che qui sarebbe in atto una rudimentale visione “geometrica” dei rapporti aritmetici. Del resto il prevalere di un punto di vista geometrico sarebbe tipico della matematica gre-ca in genere. Io credo che questa opinione non sia condivisibile né per il caso generale né per il caso particolare della matematica pitagorica. Per quanto riguarda il caso generale non vi è dubbio che negli studi dei matematici greci il riferimento geometrico sia prevalente. Ma forse si tiene poco conto del fatto che dal punto di vista teorico, per il pensiero greco è l’aritmetica, e non la geometria, la disciplina matematica per eccellenza. Nella geometria si sospetta sempre una contaminazione con la realtà, da cui invece l’aritmetica sembra immune. L’aritmetica ha una generalità di principio che manca alla geometria.

5.2.3 I numeri figurati

Page 303: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

303

Ma a parte il caso generale, non c’è dubbio che, sul versante pitagorico, risulta del tutto erronea e gravemente fuor-viante, l’attribuzione di una visione geometrizzante del numero. In realtà si può dare una interpretazione del senso della figuralizzazione del numero che ha ben poco a che fare con la geometria.

Proviamoci a riconsiderare la figura precedente con questo dubbio in testa: che cosa ha di propriamente geome-trico la figura della tetractys? Potremmo rispondere: la disposizione dei punti è una disposizione triangolare, e ciò significa che in questa figura si può notare la configurazione tipica (=Gestalt) del triangolo. Se tracciassimo delle linee seguendo i punti più esterni e cancellassimo i punti interni avremmo un triangolo. Ma una simile operazione non è di poco conto! Se colleghiamo i punti in questo modo e cancelliamo i punti interni, ed anzi, tutti i punti (come alla fine dovremo fare), del numero figurato non avremmo proprio nulla, ma per l’appunto soltanto un triangolo. La Gestalt triangolare di questa rappresentazione (come di quella delle altre figure prodotte) distoglie l’attenzione dai problemi veramente importanti. Una prima considerazione, che non è ancora decisiva ma che comincia con insinuare qualche dubbio, è che il vedere la tetractys come un triangolo introduce necessariamente il fattore della continuità che caratterizza la geometria rispetto all’aritmetica, mentre al contrario una rappresentazione per punti sottolinea l’appartenenza del numero intero all’ambito del discreto, a cui è connessa l’aritmetica come teoria degli interi. Una considerazione geometrico-spaziale si affaccia certamente nell’ambito della tematica del numero figu-rato in particolare per il fatto che il punto può essere considerato con lo spazio che necessariamente ha intorno, dando a questo spazio la forma di un piccolo quadrato.

«Le unità-punto debbono essere spaziate, altrimenti esse si confonderebbero. Intorno a ciascuna di esse si estende un ‘campo’ (chora o choros) - e le unità assemblate compongono dei campi più vasti rappresentativi del numero. Ogni numero può dunque essere raffigurato sia come un assem-blaggio di punti, sia come un assemblaggio di quadrati eguali (campi). Si può anche utilizzare ad un tempo punti e campi e rappresentare così l’unità-atomo e lo spazio che si assume che gli stia intorno» (Michel, 1950, p. 296).

Page 304: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

304

Questa circostanza suggerisce la trasposizione geometrica di diversi problemi, ma non è in grado di intaccare l’impianto aritmetico fondamentale. Anche l’espressione aritmo-geometria usata da Michel (Michel, 1950) per in-dicare i numeri figurati può generare l’equivoco che si tratti di un misto poco coerente di aritmetica e geometria. Beninteso lo stesso Michel, che ha studiato a fondo l’argomento ed al quale per lo più faremo riferimento in questa nostra esposizione, pone l’accento sul carattere essenzialmente aritmetico dei numeri figurati. Così egli aggiunge:

«Ricordiamoci tuttavia che noi prendiamo le mosse dal numero. È a partire dall’aritmetica che approdiamo alla geometria. Noi siamo alla presenza di numeri figurati e non di figure misurate o numerate, e se appaiono delle figure ciò accade perché delle unità-punti che hanno una po-sizione ed un’estensione sono stati raggruppati seguendo certe regole» (Michel, 1950, p. 296).

«Questi punti non sono punti della geometria... essi rivelano un concetto di matematica che riguarda essenzialmente i numeri interi - cosa che rappresenta la più importante caratteristi-ca della relazione tra matematica pitagorica e teoria pitagorica della musica» (Crocker, p 308)

In queste affermazioni pur così decise non si arriva pienamente a formulare quello che è il vero nodo della que-stione. Io oso avanzare l’opinione che queste figure non solo non abbiano carattere geometrico (nonostante alcune significative implicazioni con problematiche geometriche) ma debbono essere considerate come un vero e pro-prio metodo notazionale. Si tratta, io credo, di un geniale e fecondo sviluppo del metodo notazionale più primitivo che ogni teoria del numero non può non presupporre e che talora viene chiamata notazione tratto: la notazione per punti o linee in successione, in cui ciascun punto vale ovviamente come unità.

==

Page 305: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

305

In effetti quello che potremmo chiamare il primo livello dei numeri figurati sono i numeri lineari, e questi non sono altro che i segni numerici della notazione tratto, si tratta dunque di pure successioni di punti o di linee. Come si comprenderà con essi si potrà fare ben poco, e naturalmente un simile metodo di notazione è totalmente imprati-cabiòe per numeri appena un poco grandi. Ora, la grande invenzione pitagorica consistette nel vedere la possibi-lità di organizzare questo metodo di notazione a linee sovrapposte in modo tale da realizzare “figure numeriche” secondo una regola. Quest’ultimo punto è di fondamentale importanza così come è di fondamentale importanza lo scopo: che non è solo quello di facilitare i calcoli ma anzitutto quello, genuinamente conoscitivo, di rendere visibi-le nel segno stesso le relazioni tra i numeri. «L’aritmetica pitagorica è visiva, con una tendenza a figurare piuttosto che a definire ed a mostrare piuttosto che a dimostrare» (Michel, 1950, p. 339). Abbiamo già sottolineato che per il pitagorismo - ma credo di poter dare a questa affermazione un carattere generalissimo - conoscere significa so-prattutto stabilire relazioni. Nei numeri figurati dei pitagorici vi sono più pensieri di quanto ritengono coloro che presentano l’intera questione come una pura curiosità degna soltanto di una matematica rozza e primitiva.

Uno psicologo gestaltista dirà senz'altro (e con buone ragioni dal suo punto di vista) che nella fig. 1 si vede anzitutto un triangolo. Ma non è un triangolo che vuol far vedere il filosofo pitagorico. Vedere un triangolo distoglie in realtà la nostra attenzione dall'af-ferramento dell'aspetto processuale e costruttivo che qui è in atto. In effetti la figura deve essere vista come costruita in due passi: il primo passo è la posizione del primo punto a sinistra. Il secondo passo è la posizione dei due punti alla destra del primo punto. Poste le cose in questo modo siamo in grado di capire che siamo di fronte ad un procedura costruttiva che può essere iterata secondo una regola.

Il passo successivo consisterà nella produzione del 6 applicando la stessa regola sulla destra della figura del tre come nella nostra fig. 2. Naturalmente potrete interpretare questa figura come 3 + 3 oppure come 1+2+3. In entrambe le interpretazioni è presen-te in realtà una regola costruttiva. Che vi sia una regola di costruzione è dimostrato dal fatto che voi ora sapete subito quali saranno le figurazioni immediatamente successi-ve. Incontreremo dunque anzitutto la tetraktys (fig. 3) e poi il numero figurato 15 (fig. 4) , e così via. Per dare evidenza alla modalità di costruzione del numero triangolare potremmo cominciare dal punto a sinistra e poi tracciare delle linee che hanno il solo scopo di rendere chiaro come dovrà essere prodotta la figura immediatamente suc-cessiva (fig. 5).

fig.1

fig. 2

Page 306: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

306

fig. 3

fig. 4

fig. 5

Page 307: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

307

Sarebbe dunque un gravissimo errore soffermarsi sulla tetractys come tale come una mera curiosità e tirare oltre. La tetractys in sé rimanda alla costruzione di una successione infinita seconda una regola che ha come risultato una precisa concettualizzazione. Concettualizzare vuol dire molte cose, ma vuol dire anche creare delle tipologie. In questo caso si effettua una classificazione, si forma un concetto, e precisamente il concetto di numero triangolare. Questo concetto - questo è il punto che io ritengo del massimo interesse - è costruito sulla base dell'iterazione di una regola applicata al risultato ottenuto nel passo precedente. Questo modo della costruzione nella matematica moderna si chiama costruzione ricorsiva.

Ciò che risulta a mio avviso con assoluta chiarezza dalla problematica connessa ai numeri figurati è proprio l'in-teresse pitagorico verso formazioni concettuali che hanno al loro fondamento procedure iterative da cui risultano serie di numeri aventi particolari proprietà e che hanno il loro modello nella procedura iterativa che genera la stessa serie dei numeri naturali. Quelle esposizioni che tacciono su questo interesse dei pitagorici per la ricorsività dimostrano non solo di non aver compreso un aspetto importante della loro filosofia della matematica, ma anche di ignorare il fatto che nell’ambito del pensiero matematico antico e moderno il tema della ricorsività ha avuto ela-borazioni particolarmente profonde. Questo pensiero sta al centro della matematica pitagorica, non è possibile parlare di essa senza tenerne conto.

Vorrei sottlineare questa differenza: una cosa è far notare che vi è una relazione tra il quattro e il dieci per il fatto che la somma dall'1 al 4 dà 10, ritenendo che tutta l'enfasi anche immaginativa della tetraktys poggi su questa cir-costanza. Un’altra è integrare questo "emblema" in un problema più generale che mostra come una delle ricerche caratteristiche della matematica pitagorica sia quella di individuare relazioni interessanti tra i numeri e formare ti-pologie che non sono puramente descrittive o immaginifiche, ma propriamente concettuali per il fatto che vengono enunciate delle regole che stanno alla loro base. La proprietà di essere un numero triangolare non dipende dalla pura e semplice parvenza di un triangolo, ma dal fatto che esso, in forza della sua regola di costruzione, appartiene alla serie dei numeri che chiamiamo triangolari, sulla base della loro forma gestaltica.

Page 308: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

308

5.2.4 Sviluppi e commenti sui numeri figurati

Per comprendere un poco più a fondo le poche cose che abbiamo detto sui numeri figurati e per intravvedere anche soltanto i possibili sviluppi che da questi inizi posso-no verificarsi, conviene intrattenersi ancora un poco sull’argomento. La riflessione sul numero comincia con la riflessione sui possibili metodi notazionali. Nel caso del pita-gorismo la comprensione razionale, abbiamo più volte osservato, consiste nel cogliere relazioni: la notazione ha il compito di scoprirle e, ad un tempo, di mostrarle: nel senso letterale del portarle alla vista. Naturalmente a questo livello intuitivo il pensiero arit-metico non potrà indugiare troppo a lungo, ma è significativo che la sua preistoria deb-ba cominciare da quel livello. La comprensione razionale significa poi naturalmente anzitutto stabilire distinzioni, e dunque operare classificazioni. Tutto ciò non avviene pensando un concetto di numero in astratto, ma riflettendo sulle organizzazioni figurali possibili. Risulta intanto subito chiaro che, secondo il metodo di notazione indicato, si possono dare per così dire tre livelli di formazioni numeriche che secondo la termino-logia della figura potranno essere distinti in numeri lineari, piani e solidi. In via di prin-cipio naturalmente ogni numero può essere scritto come numero lineare, ma ciò non ha particolare interesse. Se consideriamo la formazione della figura come risultato di una moltiplicazione tra numeri - come accade in Euclide (libro VII, Def. 17) - allora può interessare il fatto che possiamo ottenere una caratterizzazione dei numeri primi come numeri “essenzialmente lineari” non essendo il prodotto di più fattori. Conseguente-mente il numero piano - che genera dunque una figura piana - sarà essenzialmente il possibile prodotto di due fattori e il numero solido di tre fattori (Euclide, libro VII, Def. 18) per il fatto che congiungendo i punti ovvero considerando i punti come spigoli si ottiene il profilo di una figura solida. Ad esempio, se consideriamo 8 = 2*2*2 e scri-viamo queste coppie in modo opportuno con punti possiamo congiungerli ottenendo la figura di un cubo.

Page 309: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

309

Debbo subito avvertire che questo non mi sembra un buon modo di cominciare, e questo per una ragione molto precisa: naturalmente il numero 8 può essere proposto, dal punto di vista dei suoi possibili fattori, in tre modi come 8*1 (numero lineare), 2*4 (numero piano), 2*2*2 (numero solido). Ma il problema effettivo sta nel fatto, reso evi-dente dagli esempi delle figure proposte, che noi dovremmo predisporre i punti, quindi allinearli e incolonnarli, avendo già di mira il risultato, ovvero li dovremmo disporre in modo tale da consentire poi una coerente congiun-zione dei punti in una figura cubica. Così facendo saremmo del tutto fuori dalla via che abbiamo già delineato parlando dei numeri triangolari. Il problema che abbiamo prospettato non è evidentemente quello di dare figura al numero a nostro piacimento, avendo addirittura di mira l’immagine di una figura geometrica, realizzata attra-verso la congiunzione di punti! Ci interessa invece una disposizione di punti che sia conforme ad una regola e di individuare proprietà e relazioni numeriche proprio attraverso la possibilità di applicazione iterata della regola. Ritorniamo dunque sulla retta via, intanto mettendo da parte i numeri solidi e limitandoci ai numeri piani che sono sufficienti ad insegnarci molte cose proprio nella prospettiva che abbiamo delineata.

5.2.5 I numeri quadrati

In primo luogo occorre notare che non è affatto necessario considerare il numero figurato come un prodotto di fattori, e quindi chiamare in causa la moltiplicazione. Naturalmente un numero come lo concepiamo normalmente potrà, se non è primo, essere considerato come prodotto di più fattori oppure come risultato di varie possibilità di addizione. La questione naturalmente si pone anche per i numeri figurati, ma per quanto riguarda la loro teoria, è determinante ai fini di valutare la composizione del numero, la figura stessa, e conseguentemente, come abbiamo già spiegato, la sua regola di costruzione. Perciò abbiamo in precedenza anzitutto sottolineato che non si tratta sem-plicemente di disporre i punti a piacere in vista di un disegno. Non una qualsiasi disposizione di punti è dunque un numero piano, ma solo quella disposizione che sia costruita secondo una regola. Per spiegare questo punto in un modo abbastanza generale abbiamo bisogno di introdurre un nuovo concetto, e precisamente quello di gnomone.

Un realtà questo termine allude intanto ad una dimensione conoscitiva, e il suo stesso etimo riporta al conoscere. Probabilmente esso si riferiva primariamente semplicemente ad un bastoncino di legno ficcato perpendicolar-mente nel terreno per ottenere informazioni di carattere astronomico attraverso l’osservazione dell’ombra del sole proiettata sul terreno dal bastoncino. Quindi divenne il nome di un quadrante solare più o meno evoluto assumen-do talora la caratteristica forma di una squadra da geometra o da carpentiere:

Page 310: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

310

Cosicché esso venne ad assumere anche un senso molto generico richiamando semplicemente il rapporto di perpendicolarità ovvero la forma della squadra:

«A qualunque figura composta di due elementi in squadra potrà essere applicato il termine di gnomone». (Michel, 1950, p. 306).

«Gnomone nel suo significato letterale voleva dire conoscitore, riconoscitore; in astronomia signifi-cava semplicemente un’asta perpendicolare, che serviva ad indicare col decorso della sua ombra il cammino del sole; in geometria indicò da principio la perpendicolare, poi si allargò a significare la squadra, ciò che rimaneva di un quadrato se se ne toglieva un quadrato minore. Aristotele (Catego-rie, XI, 4) considerava come gnomone la figura che aggiunta ad altra non ne altera la forma; Euclide (II, termini, 2) estende questa definizione dal quadrato al parallelogramma. Erone dà una defini-zione anche più generale: tutto ciò che aggiunto ad un numero o ad una figura rende il tutto simile a quello a cui fu aggiunto... Ora tutte queste definizioni interpretavano l’impiego che del gnomone avevano fatto i pitagorici nella generazione gnomonica dei numeri» (Capparelli, 1999, II, p. 472) .

Page 311: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

311

Naturalmente già i primi pitagorici fecero dello gnomone un uso astratto, pur facendo riferimento ad una forma in-tuitiva, in stretta connessione con il loro metodo di figurazione del numero. Il numero figurato sorge infatti a partire da un inizio dato, che sarà anzitutto l’1 ma che potrà essere anche un altro numero qualsiasi, per giustapposizione iterata di gnomoni, naturalmente essi stessi concepiti come una figurazione di punti. La forma di “squadra” non può naturalmente apparire nel caso dei numeri triangolari - ed in effetti qui lo gnomone è sostituito da una linea. Ma il ricorso a questa nozione, di cui la linea del numero triangolare può essere considerato come un caso particolare, diventa subito evidente nei numeri quadrati o rettangolari, così come nei numeri piani in genere.

Consideriamo esemplificativamente la formazione del più semplice dei numeri qua-drati, che sarà naturalmente il numero 4. Ma come numero figurato esso non è affatto da concepire come quattro punti la cui figura ghestaltica appare come un quadrato. Esso è invece il risultato della seguente costruzione:

Ecco dunque che compare lo gnomone. Al numero 1 si giustappone il primo gnomone che consterà di tre punti. Se vogliamo, il quattro viene concepito come 1+3. Ma non è poi questo il punto decisivo. Una volta chiarita que-sta forma di costruzione potrete anche considerare 4=2*2 o 2+2. Il punto decisivo sta nel fatto che la costruzione gnomonica è ricorsiva e dunque ciò che importa è che vi sarà un numero successivo al quattro, che verrà ottenuto giustapponendo un nuovo gnomone al numero figurato corrispondente, e questo processo potrà essere iterato a piacere. Avremo così una vera e propria serie, infinitamente proseguibile, i cui tre primi numeri saranno i se-guenti:

1

11 1

Page 312: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

312

Si ha dunque la successione, liberamente proseguibile, 1, 4, 9, 16 ecc. Ma vi è anche un’altra serie “figurativamente” dentro questa. È la serie delle unità comprese nello gnomone (anch’esse fanno parte integrante di questo approc-cio aritmetico). Si tratta della serie 3, 5, 7 ecc. cioè la serie dei numeri dispari. Quando si comincia ad argomentare ed a operare in questi termini le diramazioni di discorso e i modi di utilizzare il metodo di scrittura si moltiplicano in modo imprevedibile e con una ricchezza insospettata. Abbiamo detto or ora che possiamo anche portare la no-stra attenzione sullo gnomone e trarre di qui nuove determinazioni. Così ci rendiamo conto che lo gnomone di un numero figurato può essere “visto” come se constasse di tre parti (fig. 1). Così se escludiamo il punto situato al suo spigolo otteniamo due numeri che hanno la stessa lunghezza.

«I due lati simili della squadra, che rappresentano due nu-meri eguali, si chiamano tautomechi (ovvero della stessa lunghezza). Se si cancella l'unità, gli gnomoni successivi, ridotti ai loro elementi tautomechi forniscono la serie dei numeri pari» (Michel, 1950, p. 307) (cfr. fig. 2). Senza an-dare troppo oltre, si incomincia qui ad intravvedere come l’aritmetica pitagorica dei numeri figurati possa spinger-ci piuttosto lontano. Figuratività come notazione, concet-tualizzazione sulla sua base e tematica delle successioni confluiscono l’una nell’altra offrendo mezzi per l’avvia-mento e la prosecuzione della riflessione sul numero e sulle sue proprietà.

fig. 1 fig. 2

In che senso qui stiamo operando ad un tempo sulla figura (notazione) e sulla differenziazione concettuale risulta, mi sembra, piuttosto chiaro. Ciò che costituisce la determinazione concettuale è l’appartenenza alla serie - nel senso che potremo definire numero quadrato il numero appartenente alla serie dei numeri quadrati; oppure il nu-mero dispari come appartenente alla serie degli gnomoni dei numeri quadrati. Ma l’analisi concettuale potrebbe scoprire anche altre relazioni sempre considerando la regola costruttiva. Infatti ogni numero quadrato è il risulta-to dell’addizione successiva dei numeri dispari nell’ordine, e cioè dei numeri che appartengono alla successio-ne aritmetica di ragione 2 che ha inizio con 1. Il 9, ad esempio, è eguale a 1+3+5 e il 16 è eguale a 1+3+5+7 ecc. Il pensiero matematico “pensa” attraverso le figure, ovvero attraverso i segni della notazione numerica. La deter-minazione concettuale fa corpo con la procedura di costruzione segnica.

1

Page 313: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

313

Nonostante il riferimento “figurale”, di geometrico nei numeri figurati dei Pi-tagorici vi è dunque ben poco. Certamente, come nota Michel, se in luogo dei punti ci serviamo dei “campi”, otteniamo dei quadrati nel senso geometrico del termine suddivisi in quadrati più piccoli che formano l’unità di misura del-la loro area. Tuttavia sono assenti i concetti caratteristici della figura geome-trica, in particolare restando ai numeri quadrati, i concetti di base e di altezza e l’idea del loro prodotto. Si opera sempre con successioni numeriche, ed il numero figurato assume la forma di una tabella per queste successioni.

Di esse potremmo naturalmente fornire secondo la notazione moderna la regola di formazione. Così nel caso del numero quadrato di tratterà la formula potrebbe essere scritta così:

1 + 3 +5 ... +(2*n-1) = n*n ovvero n2

ma Michel, nel momento in cui la segnala, tiene giustamente a sottolineare che «da un numero somma si passa ad un numero prodotto, ma ciò non toglie che storicamente il quadrato è stato considerato un numero-somma, la sua qualità di numero-prodotto appare soltanto come conseguenza» (Michel, 1950, p. 305).

Questa osservazione, a mio avviso, va intesa come una sottolineatura dell’interesse della successione, rispetto a quello della forma geometrica.

Certamente se consideriamo anche le poche cose che abbiamo dette sulla nozione di gnomone e sui suoi possi-bili sensi, ci rendiamo conto che un’inclinazione geometrica è in certo senso sempre alle porte. Si considerino ad esempio le definizioni precedentemente citate di Aristotele e di Erone. Per Aritstotele gnomone è una figura che aggiunta ad un’altra non ne altera la forma. Questa definizione è perfettamente applicabile ai numeri quadrati. L’aggiunta di uno gnomone aumenta la dimensione del quadrato, ma la figura non cambia. C’è tuttavia già qui una implicazione prevalentemente geometrica, perché quella definizione non si adatta alla componente propriamente te numerica. Questo riferimento aritmetico viene ad essere massimamente indebolito dalla definizione di Erone, che generalizza la nozione di gnomone in modo tuttavia da renderlo applicabile soprattutto alle figure.

Page 314: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

314

«I matematici alessandrini chiameranno gnomone qua-lunque figura che, aggiunta ad un'altra formi una figura simile ad essa. Per Euclide (Elementi, II. def. 2) come per Erone di Alessandria, uno gnomone non è necessariamen-te a forma di squadra, né un gnomone di numero dispari. Lo gnomone del triangolo, ad esempio, potrebbe essere un trapezio aggiunto alla sua sua base. Di qui l'espressio-ne "crescita gnomonica" applicata ad una figura qualun-que» (Michel, 1950, p. 306)

Si comprende che a questo punto l’aspetto aritmetico sia alquanto lontano, e soprattutto sia andato perduto il senso per cui la nozione di gnomone aveva interessato l’antico pitagorismo, e la problematica ad essa strettamente con-nessa. Probabilmente queste interpretazioni tarde del concetto di gnomone hanno fatto passare in secondo piano l’aspetto essenziale della costruzione ricorsiva di successioni aritmetiche.

Nei numeri figurati, il numero 1 assume una posizione particolare perché sarà o l’inizio o parteciperà all’inizio di tutti i numeri piani. Per questo esso potrà di volta in volta essere considerato indifferentemente come numero triangolo o quadrato o di qualche altra forma. In realtà non è nessuno di essi, ma è eminentemente l’origine delle serie. Di qui l’enfasi sull’1 come elemento da cui tutto scaturisce - quell’enfasi che tanto ha sollecitato la fantasia dei teologi. Una posizione particolare occupa del resto anche il 2, già nel pitagorismo più antico, sia a livello arit-metico che a livello simbolico. Esso rappresenta il primo inizio dal molteplice anziché dall’unità, e con il metodo degli gnomoni perveniamo ad un altra tipologia di numeri figurati: i numeri rettangolari “eteromechi”.

Si comprende subito infatti che la procedura può ricevere significative generalizzazioni. L’elemento iniziale dato può essere costituito da più punti, anziché da uno solo. Si avranno allora successioni di numeri rettangolari, ciascuna serie essendo tuttavia caratterizzata dal numero di punti scelti come inizio. La prima di queste serie è quella che ha come inizio i numero due. Ovviamente in tutti i numeri rettangolari i lati saranno “eteromechi”, cioè di lunghezza diseguale: ciò appartiene alla definizione stessa di rettangolo. Ed in effetti il termine di eteromeche viene impiegato da Euclide

5.2.6 I numeri eteromechi

Page 315: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

315

per indicare semplicemente il rettangolo (Michel, 1950,p. 318). Tuttavia dobbiamo ammettere almeno due accezioni in cui il termine viene utilizzato : un’accezione lata in cui si intende in generale la proprietà della rettangolarità, ed una più ristretta, che è più conforme agli impieghi della tradizione pitagorica, secondo cui questo termine si applica per quei numeri rettangolari che hanno la “diade” come base. Questi sono i numeri eteromechi “per eccellenza”.

«La tradizione pitagorica non è mai cambiata su questo punto. È la tradizione che viene rispet-tata da Teone e da Nicomaco e che si ritrova fino alla del medioevo bizantino, così come in oc-cidente, seguendo Boezio, sino ai matematici pitagorizzanti del XVI sec.» (Michel, 1950, p. 320).

Come si vede l’inizio qui è il numero 2, poi si passa seguendo una logica analoga a quella dei casi precedenti ai numeri 6, 12, 20 ecc. (Si rammenti che il 2 va qui considerato come caso limite dei numeri rettangolari). Va natural-mente ribadito che secondo la logica costruttiva qui indicata non dobbiamo pensare ad un numero ottenuto per moltiplicazione del numero che spetta ai lati. Ad esempio il 6 non deve essere inteso come 2 * 3 ma come 2+4. Il terzo valore verrà considerato come derivante da questo risultato, 6, a cui viene aggiunto 6, quindi 12. Infine a questo risultato si aggiungerà il valore del terzo gnomone, ovvero 8, ottenendo il numero 20 ecc. Se consideriamo

Page 316: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

316

la successione degli gnomoni, includendo naturalmente l’inizio, avremo la successione dei numeri pari 2, 4, 6, 8, 10, 12 ecc. cosicché ogni membro della successione dei numeri eteromechi può essere concepito come il risultato dell’addizione successiva dei numeri pari nell’ordine, e cioè dei numeri che appartengono alla successione arit-metica di ragione 2 che ha inizio con 2. In termini di somma la formula costitutiva è, per l’n-esimo numero della serie

2 + 4 + 6+... + n (n-1)

Inoltre è necessario attirare vivacemente l’attenzione sul fatto che i numeri eteromechi nell’accezione ristretta del termine hanno questa caratteristica peculiare: i loro “lati” differiscono di una sola unità. In termini moltiplicativi l’n-esimo elemento è rappresentato dalla formula:

n (n+1)

I numeri n ed n+1 sono appunto i due lati del numero eteromeco corrispondente. Impareremo in seguito a cono-scere i vari aspetti per i quali questa circostanza è importante per il pensiero pitagorico. Ma vi è un punto che può fin d’ora di essere segnalato. Per illustrarla poniamoci pure dal punto di vista della Gestalt percettiva o addirittura di rettangoli geometricamente considerati e opportunamente misurati. È chiaro che una figura rettangolare carat-terizzata da base 3 e altezza 2 oppure a base 4 ed altezza 3 ci appaiono come forme rettangolari molto pronunciate. Man mano che i numeri diventano sempre più elevati tuttavia la forma si avvicina sempre più dal punto di vista percettivo ad un quadrato.

Naturalmente, dal punto di vista percettivo ad un certo punto possiamo chiudere la serie, perché l’approssimazione non può più essere colta visivamente. Ma i numeri figurati ci insegnano che quanto più si procede nella successione dei numeri eteromechi tanto più il numero eteromeche si approssima al numero quadrato, senza mai raggiungerlo.

4*3 7*6 11*10

Page 317: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

317

Il filosofo pitagorico, alla ricerca di relazioni, scopre una prima importante relazione tra numeri quadrati e numeri eteromechi, e, se non ad un passo soltanto, sicuramente si trova a due passi dall’evidenziazione di un concetto di fondamentale importanza matematica. È il caso di dire che siamo nel cuore di quella preistoria che non è di poco momento di cui si parla nella frase di Zeuthen che abbiamo messo in cima a questo capitolo.

5.2.7 I numeri figurati e l’idea di matrice

In realtà vi è ancora un elemento di grande interesse e, a quanto ne so, poco sottolineato, dagli studiosi della mate-matica pitagorica. A parte le varie notazioni - punti, tratti, quadratini ecc. - che indicano in ogni caso l’unità, mentre lo schema figurale nel suo insieme il numero risultante, noi potremmo puntare l’attenzione sulla “tabella” che in ogni caso ne risulta. Naturalmente ci converrà allora pensare soprattutto ai quadratini, agli spazi vuoti, cioè alla modalità rappresentativa del tipo

Ma questa volta vogliamo anzitutto supporre di disporre di un metodo notazionale efficiente come il nostro siste-ma decimale e considerare ogni quadratino come uno spazio vuoto in cui noi possiamo inserire cifre numeriche. Siamo allora di fronte a tabelle (di varie possibili forme) nelle quali possiamo inserire in un ordine definito delle successioni numeriche ottenute secondo una qualche regola. Naturalmente pensiamo qui al caso più elementare di successioni di numeri interi (naturali). Ora non abbiamo in alcun modo a che fare con numeri figurati, ma con alcune idee che sono state proposte in stretta connessione con i numeri figurati: l’idea di una disposizione ordinata di numeri, l’idea della successione secondo una regola e naturalmente anche l’idea dello gnomone, che assume-

Page 318: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

318

rà qui una diversa funzione. Esso non avrà il compito di costruire una serie, quanto piuttosto di correlare i numeri contenuti nella tabella che saranno già stati organizzati in una serie. Penso proprio che a questo punto vi è chi avrà pensato alla “tabellina pitagorica” che abbiamo studiato nelle scuole elementari per imparare le moltiplicazioni più semplici. In effetti io credo che quella “tabellina”, che non a caso si chiama ancora “pitagorica”, esca dallo stesso ordine di pensieri dei numeri figurati, secondo l’angolatura in cui ne abbiamo parlato or ora. Essa contiene determinate successioni numeriche costruite secondo una regola, e lo gnomone non è altro che la forma idealmen-te intesa al cui spigolo vi è il risultato dell’operazione da eseguire. Ma forse susciterà perplessità l’interpretazione che ora sto per suggerire e che vi comunico come un mio piccolo segreto. La tabellina in questione non deve af-fatto essere intesa come un semplice artificio per imparare ad effettuare i calcoli. Essa assolve certo ottimamente a questo scopo. Ma io mi permetto di ipotizzare che nelle idee che stanno alla sua base vi sia l’esatto contrario - e cioè l’idea di una disposizione di successioni aritmetiche date (e quindi già preventivamente calcolate) che ci con-sentano di risparmiarci la fatica di calcolare. Se non so quale sia il risultato di 6*7, basterà ricorrere alla tabellina ed applicare le due linee fra loro ortogonali, ovvero utilizzare lo “gnomone” opportuno. Sul suo spigolo troveremo il risultato. Quindi possiamo fare a meno di memorizzarlo.

Se invece di tabella o di tabellina parliamo di matrice, usiamo un termine matematico moderno che ci fa subito comprendere in quale direzione questa nostra osservazione sia puntata. In seguito avremo modo di mostrare che attraverso successioni, disposizioni tabulari e metodi di correlare le cifre all’interno di queste disposizioni si può andare molto oltre le più semplici moltiplicazioni relative ai primi dieci numeri naturali. Si noti poi come tutti i di-scorsi sui numeri figurati finiscano con l’avere al loro centro l’idea di successione di numeri secondo una regola. A poco a poco ci renderemo conto che queste nozioni che riguardano gli inizi del pensiero matematico siano con-cresciuti strettamente insieme a problematiche musicali.

Per il momento possiamo concludere con Michel:

«Quali che siano i difetti e persino, se si vuole, i pericoli, è incontestabile che la rappresentazione per punti-unità e lo studio della crescita gnomonica delle figure hanno permesso progressi note-voli nelle scienze matematiche: nella geometria, manifestando rapporti costanti tra certi gruppi di numeri e certe forme determinate; nell’aritmetica, rendendo visibili certe proprietà dei nume-ri e soprattutto aprendo la via alle ricerche riguardanti le sommatorie delle successioni» (Michel, 1950, p. 322).

Page 319: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

319

5.3 Le opposizioni pitagoriche

5.3.1 Le opposizioni pitagoriche e il loro senso

Nel capitolo quinto del primo libro della Metafisica, nel quale Aristotele illustra le dottrine pitagoriche, egli sottoli-nea in particolare il fatto che i pitagorici, oltre al numero, davano importanza a dieci “principi”, che erano “ordinati in serie di opposti”(Metaf. I, 5, 986a). Egli li enumera in questo modo:

Forse qualcuno potrebbe pensare che nell'elaborare una simile tavola delle opposizioni non è necessario un ecces-sivo sforzo filosofico, e non si vede perché si debba dare rilievo ad esse. Esse appaiono anzitutto tremendamente ovvie. È necessario forse un filosofo che ci insegni che la luce si contrappone al buio o il buono al cattivo? Questo lo sanno tutti.

Limitato Illimitato

Dispari Pari

Uno Molti

Destro Sinistro

Maschio Femmina

Immobile In movimento

Diritto Curvo

Buono Cattivo

Quadrato Eteromeche

Luce Buio

Page 320: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

320

Il fatto è che forse nelle esposizioni correnti non si richiama a sufficienza l’attenzione sul fatto che il significato delle opposizioni non sta nell’ordine orizzontale della tabella, ma in quello verticale. Del resto lo stesso Aristotele non fa cenno a questo punto, ed anzi sembra attirare l’attenzione piuttosto sull’ordine orizzontale. Voglio dire che non è tanto interessante, ad esempio, che la luce venga contrapposta al buio - quanto piuttosto che la luce si trovi nella stessa colonna con il limitato e il buio con l’illimitato; oppure che il dispari si trovi insieme alla luce ed al qua-drato, piuttosto che al buio ed al rettangolo... Naturalmente questo modo di intendere le opposizioni non ci libera da possibili interrogativi e molti incolonnamenti ci possono sembrare stravaganti o senza ragione. Si intuisce qui qualcosa di simile ad un pensiero ordinatore che stabilisce relazioni, e si sospetta che si voglia dire di più di quanto appaia dalla semplice e ovvia contrapposizione. Ma l’ordinamento verticale sembra in più di un caso privo di giu-stificazioni. Forse dovremmo provare a considerarlo come un caratteristico “enigma pitagorico”, un “simbolo” che ha in ogni caso bisogno di un’intepretazione. Di alcuni forse non ne verremo a capo, ma di altri potremmo rendere ragione tenendo conto delle considerazioni che abbiamo fatto fin qui.

Pensiamo soprattutto ai numeri figurati. Perché mai il maschio viene posto nella stessa colonna del dispari, e la femmina in quella del pari? Puro "simbolismo" campato in aria oppure vi è per questo incolonnamento qual-che ragione? Ecco una possibile soluzione dell'enigma. Attraverso la notazione dei numeri figurati - pensia-mo ai numeri "lineari" - tracciando una linea di separazione nel mezzo, nel caso del numero pari la linea me-diana incontrerà uno spazio vuoto, nel caso del dispari un punto ovvero un spazio pieno (Michel, 1950, p. 297).

Vi è dunque un riferimento alla conformazione sessuale. Naturalmente si può considerare questo riferimento come una pura stravaganza priva di senso. Ma si può anche interpretare l’analogia come un modo di intendere il pari e il dispari e di rammentare la differenza riscontrabile sul piano notazionale, piuttosto che come un'improbabile attribuzione di una sessualità ai numeri! Si ha talvolta l'impressione che molte persone dotte possano facilmente cadere nei tranelli tesi dagli enigmi della rozzezza pitagorica.

Page 321: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

321

Un altro esempio: anche i numeri figurati entrano nella tabella delle opposizioni come numeri quadrati che stanno dalla parte del dispari e numeri eteromechi che stanno dalla parte del pari. E se non facciamo qualche riflessione in proposito certamente questa relazione può sembrare non troppo comprensibile, soprattutto se pensiamo ai cor-rispondenti geometrici. Perché dunque il quadrato dalla parte del dispari? A questa domanda in realtà abbiamo già risposto quando abbiamo parlato della costruzione dei numeri quadrati attraverso gnomoni di numeri dispari, e inversamente. Ancora una volta dunque l’associazione non è banale.

«...se si tien conto di ciò l'opposizione parallela delle coppie quadrato/eteromeche, dispari/pari, limitato/illimitato si comprende senza difficoltà. Il quadrato è fondato sull'unità ed è generato per somma dai dispari; l'eteromeche è fondato sulla diade ed è generato dalla somma dei pari; il quadrato è sempre simile al quadrato, è sempre lo stesso; gli eteromechi successivi sono sempre differenti, sempre altri. Da un lato la fissità perfetta, dall'altro la modulazione senza fine; da un lato l'unità immutabile della perfezione; dall'altro la diversità, il divenire, l'eterno perseguimento di questa perfezione e la sua approssimazione crescente senza che essa venga mai raggiunta» (Michel, 1950, 321).

Nell’ultima frase di questa citazione di Michel si accenna al problema dell’incolonnamento eteromeche/illimitato e quadrato/limitato secondo le linee di una soluzione che avevamo già precedentemente indicato, di un’approssima-zione infinita del rettangolo eteromeche nell’accezione ristretta del termine (quindi di forma n (n+1)) al quadrato. In nota Michel precisa:

«Nella misura in cui si fa crescere il valore di n, il rapporto n/(n+1) tende all’unità,ed il rettangolo n*(n+1) si approssima al quadrato» (Michel, 1950, p. 321)

Naturalmente entrambe le serie possono procedere all'infinito: nel caso dei quadrati avremo quadrati sempre più grandi, ma pur sempre stabilmente dei quadrati; ma rispetto alla serie dei rettangoli, sembra avere un qualche senso affermare che essi si muovano verso la forma quadrata che rappresenta un elemento limitante, senza mai stabilizzarsi in essa. Se aggiungiamo che l’uno apparterrà alla stessa colonna del quadrato perché da esso comin-ciano i numeri quadrati, mentre il molti sarà dalla parte del pari, dato che l’inizio dei numeri eteromechi è il due, ci possiamo realmente rendere conto della significatività di un simile incolonnamento.

Page 322: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

322

Le opposizioni dunque non debbono essere esposte l’una accanto all’altra come opposizioni qualunque, di puro buon senso, ma debbono essere considerate nella loro dimensione verticale e soprattutto debbono essere eviden-ziate le molte implicazioni filosofiche che esse possono avere, se si riesce a risolvere l’”enigma” di questi incolon-namenti. In particolare, sembra rivestire a questo proposito particolare importanza una stretta connessione con la problematica dei numeri figurati e con la filosofia pitagorica del numero in genere.

5.3.2. L’opposizione tra illimitato e limitato in Filolao e il problema dell’armonia

Fra le opposizioni nominate da Aristotele, forse la prima è la più importante di tutte e in ogni caso merita un rilie-vo particolare. Si tratta dell’opposizione tra l’illimitato e il limitato di cui, in particolare, parla Filolao (ca. 470-385) e che rimanda ad un quadro filosofico più ampio, e precisamente ad uno dei primi tentativi di delineare l’ordine dell’universo sulla base delle conoscenze empiricamente acquisite. Filolao fu anche presumibilmente il primo filo-sofo pitagorico a lasciare opere scritte, superando la tradizione orale, una circostanza di importanza non seconda-ria perché implica un’intenzione di comunicazione del sapere che era estraneo al primo pitagorismo, molto legato ai segreti che solo i membri della setta potevano venire a conoscere. La comunicazione scritta rappresenta di per sé anche la ricerca di dare un maggiore fondamento alle proprie teorizzazioni. La relazione che la teoria pitagorica del numero ha da un lato con la musica e dall’altro con una vera e propria interpretazione dell’universo assume una dimensione particolarmente profonda proprio nella considerazione della opposizione tra illimitato e limitato. Pri-ma di accennare brevemente ad essa conviene sottolineare che con l’espressione “limitato” dobbiamo intendere anche qualcosa che promuove una limitazione, dunque un “limitante” o un “limitatore”. Ora Filolao afferma, in uno dei pochi frammenti rimasti della sua opera Sulla natura, che

«È necessario che tutte le cose che sono siano limitanti o illimitate ovvero limitanti e illimitate» (fr. 2, Hufmann, 1993)

Questa pura e semplice alternativa logica deve essere letta alla luce di un altro frammento che dice:

«La natura nel cosmo fu connessa insieme mediante cose che sono illimitate e di cose che istituisco-no dei limiti. questo vale sia per il cosmo come intero sia per ogni cosa che si trova in esso» (fr. 1).

Page 323: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

323

Benché naturalmente tutta la concezione di Filolao sia difficile da interpretare, possiamo tuttavia renderci conto di questa distinzione in modo molto semplice: pensiamo all’acqua o alla terra (ma anche all’aria o al fuoco, i quattro elementi che si ripresentano di continuo nel pensiero presocratico come “principi” di tutte le cose). Considerate come tali esse non sono delimitate, mentre ciò che le delimita potrebbe essere, nel caso della terra, la forma attra-verso la quale essa viene plasmata, e nel caso dell’acqua il recipiente che la contiene, quindi ancora una forma.

Appare subito da questa considerazione elementare che, nello spirito del pensiero di Filolao, l’opposizione tra l’illimitanto e il limitante deve essere superata come oppo-sizione: l’un elemento deve interagire con l’altro. Questa è una condizione per l’essere stesso delle cose che si trovano nell’universo e dell’universo stesso considerato nella sua totalità. In realtà questo è anche il nucleo di una notevole visione cosmologica che pren-de la mosse da una concezione dell’origine dell’universo per teorizzare poi nello stesso tempo il suo assetto. Secondo il pensiero di Filolao, “all’inizio” vi è un fuoco originario indifferenziato - una delle possibili imma-gini del caos e nello stesso tempo, natural-mente, dell’illimitato - e da questo fuoco ha origine, per limitazione, l’universo ordinato, il cosmo, che ha nell’insieme forma sferica e il cui centro è occupato ancora dal fuoco. L’elemento limitante, a quanto sembra di ca-pire, è il fatto stesso che il fuoco ha una posi-zione precisa in questo ordine, trovandosi al centro della sfera (esso è stato in certo sen-so chiuso in un luogo). Ai bordi più esterni Immagine tratta da G. Scalera, 1999, p 13.

Page 324: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

324

vi è il cielo delle stelle fisse, quindi i corpi celesti, Saturno, Giove, Marte, Mercurio, Venere, Sole, Luna, la Terra (secondo l’antico ordine pitagorico, ancora presente in Platone, sostituito più tardi da Saturno, Giove, Marte, Sole, Mercurio, Venere, Luna), a cui il pitagorismo aggiungeva l’Antiterra e il Fuoco centrale, entrambi non visibili dalla terra. Tutto ruota intorno al Fuoco centrale, dunque né il sole né la terra occupano il centro dell’universo.

Questa visione cosmogonica e cosmologica strettamente collegata all’opposizione tra illimitato e limitante, ci in-teressa per un aspetto che comincia a trasparire già nei frammenti citati ed all’accenno del resto che abbiamo anticipato sulla necessità che gli opposti formino una unità. Per indicare questa necessità, nel fr. 1, Filolao usa una forma arcaica del verbo harmozo e ciò merita una riflessione.

Questo verbo ha una forte valenza musicale. In realtà il suo impiego originario appartiene al linguaggio dei fale-gnami. Esso indica l'incastro di una cosa con l'altra.

«Una prima accezione del termine ci porta all’interno di un contesto artigianale: la parola si riferisce al lavoro di un falegname, che adatta pezzi di legno tra loro, nel collegare le par-ti di un manufatto. Con il lemma harmonia si designa proprio il collegamento, il connetter-si delle parti. Siamo quindi di fronte al prodotto di un’accezione tecnica che indica un’opera-zione, che presiede alla messa a punto di una rapporto fra intero e parte» (Serra, 2003, p. 23).

Va notato anche che questo termine rimanda normalmente, già nei suoi impieghi quotidiani e prima ancora di essere elaborato filosoficamente, ad un'opposizione che viene risolta.

«Nella cultura greca, in cui la passione per la meccanica è così forte da permeare di sé la stes-sa concezione del mito, il movimento di una vite da cardatura, che scioglie e pettina una fibra, ruotando su se stessa lungo un asse, verticale o orizzontale, diventa un paradigma dell'armo-nia in grado di combinare due movimenti, fondendoli in un moto rettilineo. Anche in questo caso, i due movimenti, ossia il ruotare su se stesso e quello di traslazione rettilinea, vengono intesi come opposti, integrati dall'armonia come momenti di un intero» (Serra. 2003, p. 33).

Page 325: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

325

Così, nel primo frammento di Filolao, potremmo tradurre il “connettere insieme” senz’altro con “armonizzare” di-cendo dunque:

“La natura nel cosmo fu armonizzata mediante cose che sono illimitate e di cose che istituiscono dei limiti...”.

Anche se naturalmente l’armonia ha qui un senso molto lato, si comprende che la musica sarà prima o poi diret-tamente implicata. Come abbiamo già precedentemente accennato fu Filolao a “mettere per iscritto” i rapporti armonici fondamentali e quindi ad enunciare l’impianto di quella che sarà poi definita “scala pitagorica” e di cui dovremo parlare a lungo in seguito. Il punto interessante è che questi rapporti - enunciati nel fr. 6a - ineriscono al contesto globale della tematica delle opposizioni da “armonizzare”, e in particolare dell’opposizione tra l’illimi-tato e il limitante. Che cosa può essere illimitato nel mondo dei suoni? Esso può essere soltanto - come nel caso dell’acqua e del fuoco - il mondo dei suoni concepito come una amalgama indifferenziato, quindi come pura con-tinuità, come un trapassare di un suono nell’altro e quindi come totale mancanza di distinzioni: un mondo di suoni “caotico” nel quale non vige nessun ordine. E come l’acqua essa viene distinta ponendola in contenitori diversi, così una distinzione analoga deve avvenire nel caso del mondo sonoro. Distinguere significa separare, ed implica un passaggio da un continuo caotico ad un cosmo discreto. Questo ordine che separa e distingue all’interno del mondo sonoro è la scala stessa che viene individuata attraverso le consonanze fondamentali e i rapporti numerici corrispondenti. L’armonia è, in questo primo abbozzo, una sorta di principio autonomo che interviene per stabilire un legame tra continuità e discretezza, e quindi istituire l’ordine necessario tra le cose della musica come tra quelle che appartengono all’universo. Si ripresenta così la tematica del numero e del rapporto numerico, innestata pro-prio in quella dell’opposizione tra illimitato e limitato che inizialmente sembrava prevalere su di essa. Sullo sfondo si annuncia, senza essere esplicitamente enunciata, l’idea di una relazione interna tra strutture musicali e strutture dell’universo fisico-astronomico che è importante non solo per la tradizione pitagorica più antica, ma anche per gli sviluppi medioevali e moderni.

Page 326: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

326

5.4 I numeri irrazionali nel pitagorismo

Uno degli aspetti che vengono ribaditi più frequentemente in raporto alla matematica pitagorica è che, essendo tutta giocata sui numeri interi (razionali), la scoperta di numeri irrazionali e, sul piano geometrico, di grandezze in-commensurabili, determinò la sua crisi definitiva e irrevocabile. Affermazioni come queste non si trovano soltanto nella manualistica di secondo piano, ma anche in ponderose e celebrate opere di storia della matematica come in quella di Morris Kline (1991) dove non solo i numeri figurati vengono erroneamente interpretati come figurazioni geometriche e non si sospetta nemmeno l'interesse per la ricorsività che in esse è presente, ma si dichiara esplici-tamente che "i pitagorici furono "fastidiosamente allarmati dalla scoperta che alcuni rapporti... non possono essere espressi da numeri interi" (Kline, 1991, p. 41). Sempre in questa autorevole storia della matematica sta scritto che il pitagorico Ippaso di Metaponto (V sec. a. C.) venne buttato in mare dai pitagorici per «aver introdotto un elemento dell'universo che negava la dottrina pitagorica secondo la quale tutti i fenomeni dell'universo possono essere ri-dotti a numeri interi o a loro rapporti» (ivi). Talora in effetti lo stesso Ippaso viene menzionato come scopritore di un caso di irrazionalità, e sarebbe stato punito per aver divulgato una dottrina dannosa alla setta.Verrebbe anche a noi voglia di dire: è passato così tanto tempo, e... chissà come è andata! Ma la critica più avveduta ha fatto da tempo ampiamente giustizia di opinioni come queste che, attraverso la narrazione di episodi apparentemente innocui, propongono interpretazioni che si rivelano fortemente riduttive e semplificatorie. Resta vero, naturalmente, che l'aritmetica pitagorica è prevalentemente un'aritmetica dei numeri interi, ma attraverso percorsi e problemi assai complessi. Cominciamo intanto con il dire che queste opinioni che fanno della scoperta della tematica degli irra-zionali in ambito pitagorico uno “scandalo” da tener nascosto sono prive di fondamento. Secondo Michel

«non vi è affatto traccia di una resistenza all'irrazionale in se stesso, all'irrazionale che ci si rifiute-rebbe di ammettere o che si dovrebbe coprire con un velo oppure ancora che si dovrebbe ricono-scere solo a titolo di eccezione - e di eccezione scandalosa. Vi sono invece tracce di un primo tenta-

Page 327: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

327

tivo di distinguere tra due domini: quello dello spazio continuo e quello del numero discreto - con l'arrière-pensée, del tutto naturale per dei precursori dell'atomismo, che il dominio del numero è anche quello delle cose»; ed ancora: «Non si potrebbe supporre che la nozione di irrazionale abbia aperto la via ad un nuovo ordine di ricerche senza che fosse abbandonato l'antico? Ecco allora che due scienze si distinguono e si sviluppano l'una accanto all'altra: l'una, propriamente aritmetica, anche sotto la sua forma aritmo-geometrica, ha per oggetto il numero; l'altra, nata dalla meditazione sull'irrazionale e che fa all'ombra della Scuola i suoi primi passi avrà per oggetto lo spazio, non più tagliato in campi eguali e aritmetizzato, ma continuo e purificato dal numero» (1950, II, p. 492-93).

L'idea che «vede la scoperta dell'irrazionalità matematica ed ancora più la pubblica discussione intorno ad essa come un sacrilegio...sembra una ingenua leggenda sorta in un secondo tempo. È assai probabile che questa scoperta non suscitò nessuno scandalo tra i matematici»(Szabò, 1978, p. 88).

Una dei primi numeri irrazionali scoperti fu la radice quadrata di 2, e una delle vie per la sua scoperta - non la sola - fu dovuta alla scoperta dell'incommensurabilità tra lato e diagonale di un quadrato di lato 1, implicando il teore-ma di Pitagora; oppure direttamente dall'applicazione del teorema di Pitagora ad un triangolo rettangolo isoscele con cateti eguali ad 1. È del tutto inverosimile che la scoperta del teorema fosse per troppo tempo distinta dalla scoperta dell’irrzionalità della radice quadrata di 2.

La leggenda racconta che i pitagorici celebrarono la scoperta del teorema con il sacrificio di un bue. O addirittu-ra di cento buoi. Così Diogene Laerzio nella sua Vita di Pitagora:

«Apollodoro il logico racconta di lui che sacrificò una ecatombe, quando ebbe scoperto che il quadrato dell'ipotenusa di un triangolo rettangolo era eguale ai quadrati dei lati contenenti l'an-golo retto. Vi è un epigramma che mette le cose in questi termini:

Quando il grande saggio di Samo trovò il suo nobile problemaun centinaio di buoi con il loro sangue tinsero la terra»(XI)

Questa volta proprio noi che diamo un qualche affidamento alle leggende non possiamo che manifestare perples-

Page 328: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

328

sità: questa notizia, molto interessante perché manifesta tutt’altro che imbarazzo di fronte alla scoperta del teorema è contradditoria con tutto ciò che sappiamo dell'ostilità di Pitagora per i sacrifici di animali sugli altari degli dei. Giamblico rammenta che

«egli faceva sacrifici agli dei con miglio, dolci, miele e incensi. Ma non faceva sacrifici di animali, e li escludeva per i filosofi contemplativi. Comunque egli consentì agli altri suoi discepoli, gli uditori e i politici, di sacrificare animali come un gallo o un agnello altri animali giovani, ma solo raramente; ma fu loro proibito di sacrificare buoi» (cap. XXVIII).

La soluzione di questo singolare problema viene da Porfirio (Vita di Pitagora, 36 cfr. Rousell, 1920):

«Quanto Pitagora sacrificava agli dei, egli non usava uno sperpero offensivo, ma offriva non più che pane di orzo, focacce e mirra; meno di tutto animali, a meno forse dei galli e dei maiali. Quando scoperse il teorema secondo cui il quadrato dell'ipotenusa di un triangolo rettangolo era eguale ai quadrati sui lati contenenti l'angolo retto, si dice che abbia sacrificato un bue, benché i più precisi dicono che si trattava di un bue fatto di farina»

L’erudito illuminista André Dacier (1651-1722), autore anch’egli di una Vita di Pitagora (1706) sottolinea che questa pratica sarebbe stata appresa da Pitagora nei suoi viaggi in Egitto e riferisce, sulla base dei resoconti dei viaggi in India di un certo Thevenot, che essa era ancora esercitata ai tempi suoi dai bramini indiani (Dacier, 1706, p. 201). Insomma la leggenda si espande nel tempo persino in questi dettagli. Ed a questo punto le nostre perplessità iniziali vengono a cadere. È inutile chiedersi, in rapporto ad una leggenda, se essa sia vera o falsa. Indipendentemente da ciò, essa ha senso, e su questo senso essa parla chiaro: la leggenda ci racconta dell’esultanza pitagorica di fronte all'apertura di un campo di indagine interamente nuovo - nella quale c'è il teorema e tutto ciò che ci sta intorno, compresi i numeri irrazionali. Di passaggio rammenterò che uno degli emblemi più famosi del pitagorismo è il pentagono stellato (ta-lora chiamato pentacolo, pentagramma o pentalfa) e che esso richiede per la sua costruzione la conoscenza della sezione aurea di un segmento che è un numero irrazionale. Inoltre, ciò che rende ancora più emblematica quella figura è il fatto che essa abbia struttura ricorsiva, essa è, come diremmo oggi, un frattale geometrico (Piana, 1999). Particolarmente notevole mi sembra poi una prova indiretta della conoscenza della differenza tra numeri razionali e numeri irrazionali, ma anche del presumibile impiego di questa differenza nella speculazione filosofica di Filolao secondo un'ipotesi avanzata da Huffman: dopo aver osservato che «di fatto sembra esservi un largo consenso sul

Page 329: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

329

fatto che questa scoperta ebbe conseguenze disastrose per i pitagorici», Huffman formula un'interpretazione appa-rentemente azzardata, e che egli stesso definisce "speculativa" non essendoci documentazione in proposito, ma che è a mio avviso particolarmente ricca di interesse. Si chiede Huffman: Come avrebbe reagito Filolao alla scoperta dell'incommensurabilità della diagonale del quadrato con il suo lato? La risposta suggerita è che questa circostanza non solo non avrebbe messo in difficoltà la posizione di Filolao, ma avrebbe potuto rappresentare un ottimo esem-pio di ciò che Filolao stesso intendeva con l'unione dell'elemento limitante con l'elemento illimitato (1988, p. 10).

Infatti nel quadro complessivo della concezione di Filolao, la diagonale del quadrato starebbe certo dalla parte dell'illimitato - mentre il lato del quadrato, che ha una grandezza esattamente definita, si troverà sul versante del limitato o meglio dell'elemento limitante. In certo senso il lato del quadrato “chiude” l’illimitatezza latente della diagonale dando luogo ad una figura “ben connessa”, anzi ad una figura che è un vero è proprio modello di “buona connessione”, e dunque di “armonizzazione”. Non solo vi è dunque compatibilità tra queste nozioni aritmetiche e sui loro corrispondenti geometrici, ma addirittura entrambe debbono essere richiamate al fine di ricreare un or-dine che sarà ad un tempo armonico e, in quanto derivante da un'opposizione, dinamico. Huffman gioca d'azzardo, non vi sono prove, non vi è nessun frammento di Filolao che ci parli di questo problema: ma io credo che sia assai giusto che il filologo tenti , almeno qualche volta, di mettersi nella testa del pensatore di cui si occupa. Di ciò Huff-man ci fornisce un magnifico esempio.

Page 330: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

330

5.5 L’armonia delle sfereSpesso accade, nella filosofia, che da piccole osservazioni possano sorgere grandi pensieri. Io credo che proprio così sia accaduto per il grande pensiero dell' armonia delle sfere. Esso non riguarda le cose dappoco che ci circon-dano, ma il cosmo intero, il mondo ordinato della terra, del sole, dei pianeti, delle stelle. Abbiamo visto che già in Filolao ci si spinge ad una concezione dell'universo; e come sarebbe possibile, a questo stadio tanto primitivo del pensiero umano, non tentare di conciliare ciò che è vicino con ciò che è remotissimo, ciò che vediamo con ciò che non vediamo se non riempiendo i vuoti con l'immaginazione?

L'idea dell'armonia delle sfere, cioè l'idea che i corpi celesti, con il loro movimento producano suoni formando una straordinaria armonia per noi inudibile, risale sicuramente al pitagorismo più arcaico e forse fu formulata dallo stesso Pitagora di cui, per non allontanarci troppo dal bel mondo delle favole filosofiche, si racconta che fosse. a differenza di tutti gli altri comuni mortali, in grado di percepirla. Peraltro l'espressione di armonia delle sfere non è del tutto precisa «se la si applica ad epoche anteriori ad Eudosso, poiché si parlava di corpi, ruote, anelli, circoli nel cielo, ma non di sfere» (Burkert,1972, p. 351, n. 1). L'espressione si è tuttavia imposta e può essere riferita ai corpi celesti così come alle loro orbite o alla rotazione delle sfere in cui si pensava fossero integrati. Essa va intesa dunque come un'espressione adattabile a vari possibili sistemi dell'universo.

Nei frammenti di Filolao essa non è citata; e questo basta a Burkert per escluderne la presenza dalla problemati-ca del sistema celeste che questo filosofo propone. Inoltre egli dedica un intero capitolo per mostrare che questa teoria delle sfere non ha nulla a che fare con la matematica e la teoria della musica. Essa sarebbe invece un'idea di origine religiosa, che riguarda la destinazione delle anime dopo la morte: così egli parla molto, a proposito dell'ar-monia delle sfere, dell'"immortalità astrale" - cioè dell'idea che le anime salissero al cielo (anziché finire nell'Ade). Questo non ha certo a che fare con matematica. E con la musica? Forse l'unico argomento che qui viene portato è un'analogia che poggia sulle ultime parole di Pitagora morente. Le abbiamo già ricordate in precedenza: “Esercita-tevi al monocordo!” ed abbiamo già spiegato il loro senso come invito a continuare la ricerca sulla musica e sui suoi fondamenti teorici. Burkert intende queste parole come se si trattasse di un invito fatto ai suoi allievi ad accompa-gnare la sua morte suonando il monocordo perché senza musica le anime non possono ascendere al cielo.

Page 331: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

331

Spiegazione, a dir poco, sorprendente. Pitagora morente non chiederebbe che si suoni la lira, la cetra o l’aulos, ma il monocordo! E come fare a trarre da esso una qualche melodia? Tirando su e giù i ponticelli? Oltretutto Aristi-de Quintiliano commenta la frase di Pitagora come un invito a rammentarsi dell’importanza di una comprensione razionale della musica. A rafforzare la sua inaccettabile interpretazione Burkert rammenta che nella religione di Zaratustra «il paradiso al quale l’anima ascende è chiamato ‘casa dei canti’» (Burkert, 1972, p. 357). In effetti “casa dei canti” è anche l’universo platonico così come viene visto dalle anime dei trapassati secondo la narrazione di Platone nel mito di Er (Repubblica 616b-617) (Platone, 1981, p. 377-378).

Dopo aver scontato le proprie colpe, le anime ascendono al cielo e raggiungono un luogo da cui è visibile l’uni-verso stesso, nella forma del fuso di Ananke che deve essere concepito

«come se in un gran fusaiolo cavo e da parte a parte bucato fosse racchiuso e adattato un al-tro ugual fusaiolo più piccolo, come i recipienti rientranti l’uno nell’altro, e così un ter-zo, un quarto e quattro altri ancora. Otto eran dunque in tutto i fusaioli, racchiusi gli uni ne-gli altri, mostrando dall’alto le labbra come dei cerchi, e formando come un unico dorso di un sol fusaiolo attorno al fusto conficcato da parte a parte in mezzo all’ottavo di essi»

In questa forma compare il sistema cosmologico di origine pitagorica formato da otto emisferi concentrici - e compare nello stesso tempo anche l’”armonia delle sfere”: questa volta, tuttavia, è l’estro poetico di Platone che si esprime, dal momento che non è il movimento che genera il suono, bensì le Sirene che cantano insieme alle Moire, figlie di Ananke:

«Il fuso si volgeva sulle ginocchia di Ananke. Su ognuno dei cerchi di esso incedeva in alto una Sirena, tratta anch’essa nel moto circolare, ed emettendo una voce di un unico tono; e da otto che erano in tutto risuonava una sola armonia. Sedevano in giro a pari distanze tre altre persone, cia-scuna in trono, le Moire, figlie di Ananke, vestite di bianco e con corone sul capo, Lachesi, Cloto ed Atropo, e cantavano sull’armonia delle sirene, Lachesi il passato, Cloto il presente, Atropo l’avvenire»

Page 332: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

332

Benché la connessione con l’elemento musicale avvenga attraverso il canto delle Sirene e delle Moire, tuttavia la lettura del passo platonico mostra chiaramente come questo canto sia strettamente coordinato al movimento dei corpi celesti, anche se certamente il riferimento al fuso del destino ed alle figlie di Ananke che dominano il tempo aggiungono nuovi sensi all’intero problema. Più tardi, in era cristiana, nel tema dell’armonia delle sfere è il paradi-so stesso ad essere chiamato in causa, con i suoi angeli cantanti in gloria di dio e dell’universo da lui creato. Così Dante all’inizio del Canto XXVII del Paradiso:

«Al Padre, al Figlio, allo Spirito Santocominciò gloria tutto il Paradiso.sì che m’inebriava il dolce canto.

Ciò che io vedeva mi sembrava un risodell’Universo; perché mia ebbrezza

entrava per l’udire e per lo viso»

Armonia delle sfere è la “circulata melodia” di cui parla an-cora Dante nel Canto XXIII, vv. 103-111 del Paradiso (Richel-mi, 2001); così come è il canto celeste a cui volge l’orecchio estaticamente la Santa Cecilia di Raffaello e che ormai nulla ha a che vedere con la musica suonata dagli strumenti del nostro mondo.

G. Doré, Illustrazione per la Divina commedia, Canto XXXI, vv. 1- 12

Page 333: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

333

Una copertina della Musurgia universalis di Kircher è assai indicativa per il carattere sincretico che l’ar-monia delle sfere finisce con l’avere oltre che per la distanza con le origini scientifico-immaginifiche che erano alle sue origini. E tuttavia anche in questa im-magine, con la presenza di Pitagora ed il suo teorema sulla sinistra dell’immagine e della sfera al suo centro queste origini non vengono del tutto cancellate. L’ar-monia delle sfere è il risultato di attenzione scientifica e immaginazione, e non un’esclusiva manifestazione di credenze religiose, come sostiene Burkert.

Su questo punto Burkert "va veramente troppo oltre" (Huffman, 1993, p. 280). Molto ragionevolmente viene fatto notare che

«l'armonia delle sfere è in realtà una ardita congettura presocrati-ca intorno alla natura della realtà, che è basata su alcune osservazioni 'scientifiche' (la scoperta delle rela-zioni tra certi rapporti tra numeri in-teri e certe elementari osservazioni astronomiche), ma che, date le ca-pacità scientifiche del tardo quinto secolo, rimase una ipotesi audace che non avrebbe potuto essere in-corporata in un sistema articolato nel dettaglio. Come molte altre teorie presocratiche ed ippocratiche, essa

Page 334: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

334

promette di più di quanto possa mantenere, ma non vi è ragione per questo di supporre che essa, non meno di tante altre teorie presocratiche non abbia nulla a che fare con la matematica o la scienza empirica» (ivi).

Per quanto riguarda il caso specifico di Filolao è assai improbabile che chi parla di armonia come principio di-namico che connette il limitato con l'illimitato (fr. 6), e che rammenta in un simile contesto i rapporti musicali, non trasferisca all'ordine cosmico un ordine musicale.

Dobbiamo allora chiederci: come può nascere l'idea del suono celeste?

Da piccole osservazioni possono sorgere grandi pensieri - abbiamo detto poco fa. I pitagorici non si posero soltan-to i problemi dei possibili rapporti matematici come definitori degli intervalli, e nemmeno erano in generale dei matematici "puri". Essi cercavano risposte alle loro domande anche nell'osservazione empirica. Così si chiesero quali fossero le "cause" del suono, cosa che allora poteva significare soltanto: come un suono ha origine? Come esso viene prodotto? La risposta poteva intanto venire dall'esperienza quotidiana, ma da un'esperienza quotidiana orientata da un interesse conoscitivo. Quando una pietra cade a terra oppure quando viene battuta su un'altra pietra emette un suono. In casi come questi vi dunque un urto. Se osserviamo una corda che viene pizzicata, vediamo che essa fa un movimento di tipo particolare - essa vibra e noi vediamo la vibrazione. Questo movimento lo avvertiamo come un movimento omogeneo e regolare che va gradualmente verso una estinzione che è ad un tempo estinzione del suono e del movimento. Non meno notevole è il sibilo della freccia dopo che essa è stata lanciata da un arco. Il movimento, oltre che l’urto, farà dunque parte del nostro problema. Inoltre osserviamo che il suono si propaga, quindi che esso si diffonde lontano e possiamo notare che un suono la cui intensità è costante in realtà diminuisce per il nostro udito quanto più la fonte è lontana, notiamo cioè l'esistenza di una relazione tra distanza e percezione del suono. Forse questo non fa parte del problema della causa del suono, ma indubbiamente della modalità della sua ricezione. Abbiamo detto che osservazioni come queste fanno parte dell'esperienza quotidiana, ma se ne di-stinguono nettamente quando esse cadono sotto una intenzione conoscitiva, cioè quando esse vengono effettuate avendo lo scopo di chiarire le cause del suono e le sue caratteristiche fisiche. Allora esse cambiano natura, assu-mono il carattere di indici di una ricerca che aspira a diventare una conoscenza autentica (Piana,1967, cap. I, § 1).

Page 335: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

335

Che Pitagora fosse più simile ad uno sciamano che ad uno scienziato non ha nessuna importanza. Importa invece che in ambiente pitagorico, in personalità che si ricollegavano idealmente a questa figura creandone un mito, si ponessero queste domande e le si ponessero esattamente con il carattere di indici per una conoscenza possibi-le. Certo, non possiamo ancora dire che in simili osservazioni si possa intravvedere la nascita dell'acustica come scienza: essa dovrà attendere più di duemila anni. Non vi erano infatti i mezzi per un’obbiettivazione sufficiente di queste semplici osservazioni, e quindi per il loro arricchimento attraverso l'apprestamento di opportune situazioni sperimentali. Ma vi era comunque il tentativo di rendere conto sul piano fisico - e non solo su quello musicale - dei caratteri e delle cause degli eventi sonori.

Il modo di presentare la cause del suono non solo tra i pitagorici, ma in tutta la tradizione filosofica antica, può va-riare e talora può essere oscuro, ma forse si può affermare che i due concetti che giocano il ruolo principale sono quello di urto e di movimento. Entrambi questi concetti intervengono nel pitagorico Archita di Taranto (prima metà del IV sec. a.C.). Egli sosteneva che non può esservi suono se non ha luogo un urto, e che un urto può sorgere solo all'interno di un movimento in cui due corpi si scontrano l'uno contro l'altro. Inoltre notava che la velocità del movi-mento aveva relazione con l'altezza del suono:

«Se si prende una frusta e la si muove lentamente e debolmente, verrà prodotto con il colpo un suono profondo, mentre se la si muove rapidamente e fortemente un suono acuto» (fr. 1 - Huffman, 2005, p. 106; Diels, 1906, p. 258).

L'esempio della frusta mostra che Archita pensava all’urto anche come una percossa rispetto all'aria stessa. Nelle spiegazioni, pur difficili da interpretare di Archita, si comincia ad affermare in ogni caso la relazione tra movimento e suono che resta alla base delle teorie greche della causa del suono.

Già con le formulazioni delle domande sulla natura del suono orientate da un interesse conoscitivo, l'esperienza quotidiana - pur ancora attiva - viene nettamente superata. Ed ancor più quando avviene il balzo al grande pen-siero: se dove vi è suono vi è anche necessariamente movimento, allora, forse!, inversamente dove vi è movimento dobbiamo supporre che vi sia il suono. Giusta o sbagliata che sia questa inversione, è essa in ogni caso che realizza il passaggio dal suono prodotto dall'auleta o dal citaredo al suono cosmico, all'armonia delle sfere. Alla base vi è l'osservazione empirica e un principio di ragionamento che tenta di isolare l'evento sonoro e di rendere conto di esso come evento fisico. Dall'altro vi è un altro insieme di conoscenze, quelle guadagnate guardando il cielo - il

Page 336: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

336

sistema astronomico che si va stabilizzando nella cultura greca - con la terra al centro e tutti gli altri corpi celesti che vi girano intorno secondo orbite (o come volete dire: cerchi, ruote, sfere...) perfettamente circolari, più o meno distanti dalla terra, e secondo velocità differenti. Con una probabile correlazione tra velocità e distanza: se si do-vesse ipotizzare che gli astri compiano la loro orbita esattamente nello stesso tempo, dovremmo anche assumere che il movimento dell'astro con l’orbita più ampia sia assai più veloce di quella con l’orbita più stretta. E l’altezza del suono emesso sarà dunque differente. Questo passaggio dall’osservazione empirica al moto dei corpi celesti è molto ben sintetizzata da Nicomaco di Gerasa quando scrive

«Si afferma infatti che ogni corpo lanciato in una materia penetrabile e ad alta elasticità genera neessariamente rumori che dipendono, per grandezza e ambito sonoro o dalla sua mole o dalla sua particolare velocità o dalla zona in cui compie la sua corsa, zona che può essere molto elasti-ca o, al contrario rigida. Le stesse tre distinzioni si osservano chiaramente in rapporto ai pianeti, diversi l’uno dall’altro per grandezza, velocità e luogo, sfreccianti eternamente e senza sosta nel fluido etereo» (Nicomaco di Gerasa, 1990, cap. 3, p. 147).

Se sulla terra il movimento è suono, perché non dovrebbe esserlo anche il movimento degli astri? E ciò non basta ancora: se nel nostro ambiente circostante, a movimento più veloce corrisponde suono acuto, a movimento più len-to suono più grave perché ciò non dovrebbe accadere anche per i suoni prodotti dalle differenti velocità di movi-mento che caratterizza ogni corpo celeste? Per quanto riguarda la determinazione dei corpi celesti, il loro ordine e dunque i rapporti tra le loro orbite le spiegazioni sono spesso confuse, fino alla sistemazione tolemaica. Ma il problema di una connessione tra velocità e acutezza del suono è comunque posto. I corpi celesti produrranno più suoni simultaneamente; ed è forse possibile che in un mondo dominato dall'ordine che il cerchio stesso rappre-senta in modo eminente, in un mondo dove vi è un centro fisso, e la terra non se ne va vagando su un mare infinito, come ancora pensava Talete - è forse possibile che in un mondo dove tutto è sferico, regni il disordine proprio tra i suoni emessi dai corpi celesti ovvero tra i loro movimenti? Nella musica vi sono leggi interne, numericamente espresse. Vi è logos, ratio, ragione, rapporto. Tutto ciò ora passa dal monocordo all'universo. Come vedremo, sul monocordo è possibile stabilire una "scala" - fatta precisamente di sette distinte posizioni - sette, come i sette cor-pi celesti - cosicché potremmo arrivare addirittura ad attribuire ad ogni "sfera" una nota di quella scala. Certo se esse suonano tutte insieme, ne dovrebbe risultare, piuttosto che una divina armonia, "une jolie cacophonie" - come osserva argutamente Henri Potiron (1954, p. 60): ma né Boezio né altri si impensierino per questo.

Page 337: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

337

Certo il balzo dall'osservazione empirica sull'origine dell'emissione del suono all'armonia delle sfere non è solo un balzo del pensiero, ma è soprattutto un balzo dell'immaginazione. Per questo esso può incontrarsi con il pensiero mitico-religioso nei punti in cui, in un modo o nell'altro, esso fa cantare il cielo. Il pensiero mitico può estrarre di qui ciò che più gli piace, piegando questo o quel dettaglio a significati diversi, o aggiungere nuovi dettagli. Se così stanno le cose possiamo persino chiamare in causa il paradiso di Zaratustra, senza naturalmente avere nemmeno il frammento di un frammento a disposizione per sostenere le spiegazioni di Burkert. Ciò che ci tolgono le interpreta-zioni veteropositivistiche che contrappongono la ragione all'immaginazione, la Weisheit alla Wissenschaft, è il fatto che esse nascondono la complessità e la ricchezza di questi intrecci, nell'una e nell'altra direzione - perché è poi anche vero che l'armonicità del mondo è stata un'idea-guida importante negli studi matematici (possiamo dimen-ticare Keplero? possiamo dimenticare Newton?) - e ci tolgono persino il gusto, di penetrare in questi intrecci per interrogarci seriamente e con coscienza di causa su ciò che che in essi ha una portata conoscitiva autentica.

Vorrei aggiungere un'osservazione molto personale: per quanto riguarda la musica, essa è per me qualcosa di fa-talmente terreno. Preferisco nettamente un satiro auleta ad un angelo canoro. Per quanto riguarda il mondo, vedo che in esso vi è un ordine, talvolta meraviglioso, lo vedo nelle grandi creazioni di cui la natura e l'uomo stesso sono capaci; ma vedo anche che in esso vi è assai meno armonia di quanto possa esservi in un brano musicale. Penso addirittura che proprio un brano musicale possa talora insegnarci che il mondo, se è stato fatto, è stato fatto abba-stanza male e lo si sarebbe potuto fare molto meglio; ed ho il sospetto che anche il tema dell'armonia delle sfere ci insegni esattamente la stessa cosa.

Page 338: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

338

Page 339: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

339

6. Il reperimento dei rapporti fondamentali sul monocordo

Page 340: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

340

Page 341: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

341

6.1 Il monocordo senza graduazione

6.1.1 Il metodo delle sottrazioni successive

6.1.2 Osservazioni sul metodo delle sottrazioni successive

6.2 La divisione in quattro del monocordo

6.3 La divisione in dodici del monocordo

6.3.1 La considerazione “lineare” dell’intervallo

6.3.2 I rapporti consonantici espressi con i numeri 6,8,9,12

6.1.3 Il quaternario

Page 342: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

342

Page 343: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

343

6.1 Il monocordo senza graduazione

È tempo ormai, dopo le nostre considerazioni generali sul numero nella filosofia pi-tagorica, di riprendere il nostro tema particolare della determinazione dei rapporti numerici delle consonanze. Il metodo - anzi, i metodi di questa determinazione - non sono poi così ovvi, e certamente non lo erano agli albori della teoria della musica e del sapere aritmetico e geometrico.

Come primo passo sembra giusto pensare che una volta inventato il monocordo, si tentasse si scoprire i rapporti consonantici fondamentali senza ricorrere al proble-ma della sua graduazione. La determinazione puramente uditiva delle posizioni del ponticello secondo le consonanze è peraltro cosa presto fatta. Supponiamo di avere a disposizione un monocordo a due corde: una corda priva di ponticello che possa servire come nota di confronto, e l'altra invece con un ponticello mobile. Muovendo il ponticello, per prove ed errori, si potrà certo arrivare a determinare le posizioni:

6.1.1 Il metodo delle sottrazioni successive

VIII V IV

I

Page 344: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

344

Pizzicando sulla sinistra del ponticello, e confrontando la nota così prodotta con la nota ottenuta pizzicando la cor-da senza ponticello, si sentirà nell'ordine l'ottava superiore, la quinta e la quarta. Ma ovviamente la questione che si volle affrontare con il monocordo era quella di una determinazione numerica di queste posizioni, tentando di stabilire un rapporto tra la corda di riferimento e la corda "accorciata" dal ponticello. Dobbiamo allora renderci conto di come questo problema possa essere posto già a questo primo stadio del problema su un monocordo non graduato.

In precedenza, nella determinazione puramente uditiva, ci siamo mossi per prove ed errori, che è quasi quanto so-stenere che ci siamo mossi quasi a caso. Tenteremo ora di affrontare il problema in questo stesso spirito? In realtà, date le premesse di fondo, è ben difficile che il filosofo pitagorico non abbia pensato di affrontare il problema con metodo. Tanto più che, come appare chiaro, la questione non era in alcun modo pratica, ma tutta teorica, e sullo sfondo non vi era soltanto una questione musicale. Si affacciava invece il problema generale della misurazione e nello stesso tempo della "commisurazione" di due lunghezze.

In primo luogo è certo che si deve procedere con un intervallo per volta. La prima figura che abbiamo presentata che presenta tutte e tre le consonanze è da questo punto di vista un poco ingannevole. Cominciamo esemplificativamen-te dall'intervallo di quinta.

A

C E

B

D

quinta

Page 345: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

345

Abbiamo appunto messo il ponticello nella posizione E dove risuona uditivamente un intervallo di quinta con AB. Ora notiamo che il segmento ED, che rappresenta per noi la parte non risuonante della corda, può essere conside-rato come resto di una sottrazione il cui minuendo è AB e il cui sottraendo è CE. Naturalmente ci saremo provvisti di qualcosa di simile ad un filo o ad un bastoncino per riportare le misure. È chiaro che parlando di sottrazione, di minuendo e sottraendo non intendiamo qui le operazioni aritmetiche a noi consuete, ma azioni concrete fatte con oggetti concreti,

Supponiamo allora di prendere il resto ED e di sottrarlo al segmento CE facendo coincidere E con C. E di ripetere la stessa operazione per gli eventuali resti. La situazione potrebbe allora presentarsi come nella figura che segue:

A

C

C

C F

FE=CF resto = 0

B

E D

EF

Page 346: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

346

Questa successione di operazioni di sottrazione ha un resto, ed essendo i segmenti FE e CF eguali fra loro, il loro resto sarà = 0 ed il procedimento ha termine. Se ora riportiamo i tratti verticali sul segmento AB, esso risulta suddiviso in tre parti eguali. Di conseguenza il segmento CE è determinato come 2/3 di AB (fig.1).

Per capire meglio come stanno le cose e quali problemi si potrebbero incontrare in questa procedura di sottrazioni successive, vogliamo applicarla con un po' di pedanteria all'intervallo di quarta. La nostra rappresentazione grafi-ca avrà ora la forma della fig. 2. Qui le cose diventano un poco più complicate anche se la procedura è esattamente la stessa. Il punto della piccola complicazione sta nel fat-to che quando sottriamo ED da CE abbiamo un resto FE che è maggiore di CF. In tal caso non posso sottrarre FE da CF. Questa è la novità rispetto al caso precedente. A questa novità rispondiamo aggiungendo una regola alla procedura delle sottrazioni successive: stabiliamo che la sottrazione andrà fatta in ogni caso dal segmento mag-giore a quello minore. Dal punto di vista della rappresen-tazione grafica ciò ci ha imposto un cambiamento di rotta reso visibile dal cambiamento di direzione delle frecce. Ora dunque è CF=ED che viene sottratto ad FE. Per coe-renza rappresentativa quindi indirizziamo la freccia sulla destra del segmento FE che d’altronde abbiamo allineato al segmento superiore. Ma a parte questi aggiustamenti nel grafico si procede esattamente nello stesso modo, e si perviene anche ora ad un resto = 0. fig. 2

fig. 1

A B

C

E

D

A B

C DE

E

E

F

F

F

G

G

C

GE = FG resto = 0

Page 347: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

347

Come in precedenza il risultato è leggibile sulle linee verticali che riportiamo con il tratteggio sul segmento AB. Questo risulta essere diviso in quattro parti eguali , e la quarta sta esattamente su 3/4 della corda di riferimento AB (fig. 3).

Nel caso dell'ottava si arriva subito a conclusione per il semplice fatto che i due segmenti sono eguali: la sottrazione effettuata ha resto 0 già al primo passo.

Abbiamo dunque applicato un metodo di sottrazio-ni successive, abbiamo cioè iterato un’unica opera-zione che si applicava al risultato precedentemente ottenuto. Questo è un ottimo esempio di procedura ricorsiva: esso conferma quell’interesse pitagorico per la ricorsività che abbiamo già sottolineato come uno degli interessi caratteristici della matematica pitagorica.

A B

C DE

E

E

F

F

F

G

G

C

GE = FG resto = 0

Page 348: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

348

6.1.2 Osservazioni sul metodo delle sottrazioni successive

A questo punto possiamo dare libera stura sia alle obiezioni che ai chiarimenti con-seguenti sicuramente necessari. Forse si potrebbe osservare: in tutti e tre i casi siamo stati molto fortunati, per il fatto che proprio la lunghezza a destra del ponticello si rivela essere una unità di misura in tutti e tre i casi. E proprio per questo si potrebbe obiettare che abbiamo complicato inutilmente le cose perché, in casi come questi, basterebbe evidentemente una pura e semplice operazione di riporto. Se abbiamo deciso per così dire di cominciare a provare con ED tanto vale vedere subito "quan-te volte ED sta in CE", ed avremmo scoperto in un batter d'occhio che nel caso della quinta ci sta due volte prospettando una divisione per tre di AB e nel caso della quarta ci sta 3 volte prospettando una divisione in quattro di AB. Perché dunque cercare una soluzione tanto complicata come è quella delle sottrazioni successive? E perché poi indugiare così a lungo su una questione che sembra riguardare soltanto la suddivisio-ne del monocordo e la determinazione dei rapporti consonantici?

Supponiamo allora che io mi serva di una semplice operazione di riporto. I segmenti da commisurare siano AB e CE dove E cade in un punto qualsiasi di AB. Ora io mi servo del resto della loro differenza ED riportandolo più volte su CE. Ma supponiamo anche che le cose non vadano così liscie come sono andate nei casi precedenti. Ad esempio: dopo aver riportato il resto sul segmento minore ci troviamo di fronte ad situazione di questo genere:

A B

C DF E

Page 349: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

349

In questo caso abbiamo appunto un resto CF che mostra che il segemento ED non può essere impiegato come unità di misura comune. Che cosa dovremo fare allora? In realtà dovremmo ricominciare da capo, con le mani e i piedi, insomma con il metodo del prova e riprova. La scelta di ED come unità di misura era arbitraria, e per cercare una nuova unità di misura per entrambi i segmenti dovremo andare a tentoni. Il porre il problema meto-dicamente, e cioè attraverso il metodo delle sottrazioni successive, ci fornisce invece una

procedura che non assume fin dall’ini-zio un determinato segmento come unità di misura comune, ma serve in-vece a ricercare, dati due segmenti, la loro misura comune - che viene de-terminata al termine del processo se il processo ha termine, cioè se viene rag-giunto il resto 0. Si noti che all’interno di queste considerazioni risulta chiara la differenza tra semplice misurazione e commisurazione. Se due segmenti AB e CB hanno ad esempio lunghezze di 6 e 10 sulla base di una misura comune, la loro commisurazione richiede non solo una misura comune, ma la massi-ma misura comune. Nella fig.1 essa è data dal segmento alfa che si ottiene attraverso il metodo delle sottrazioni successive ed il rapporto è di 3/5 o in-versamente di 5/3.

fig. 1

A C B

α

6 10

Page 350: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

350

Naturalmente potremmo anche dire che la massima unità di misu-ra è pari a 2 unità con cui sono stati misurati i segmenti e in parti-colare che 2 è il Massimo Comune Divisore tra i numeri 10 e 6. In effetti vi è una stretta relazione tra la nozione di Massimo Comune Divisore e quella della Massima Unità di Misura comune. Risco-priamo qui, ragionando in modo assai grezzo, delle connessioni elementari che avevamo probabilmente dimenticato.

Con tutto ciò abbiamo anche implicitamente risposto alla seconda osservazione nella quale ci si chiedeva se vale la pena tanta cura del dettaglio per un problema che sembra riguardare un caso tanto particolare. In realtà dobbiamo sempre tener presente che il pas-saggio cruciale da problemi di teoria musicale a problemi mate-matici avviene intanto per il semplice fatto che la corda può essere considerata come il rappresentante fisico di una entità puramente geometrica - il segmento. Ed allora questi problemi di commisu-rabilità hanno direttamente un carattere generale. Essi aprono una questione particolarmente impegnativa sul terreno aritmetico-geometrico: noi abbiamo detto che il metodo delle sottrazioni suc-cessive è un modo che segue una regola e dunque un metodo per trovare l'unità di misura comune - ed anche che abbiamo buone ragioni di ritenere che esso si affacci nella prima determinazione dei rapporti con un monocordo non ancora graduato. Nei nostri esempi la procedura si chiudeva quando si raggiunge un resto che è pari a zero. Quando ciò accade le grandezze considerate si di-cono appunto commensurabili: e ciò significa esattamente che vi è una misura comune per entrambe e che quindi possono essere messe esattamente in rapporto tra loro senza resti. Ma possiamo affermare che questo risultato venga sempre e inesorabilmen-te raggiunto ed eventualmente escludere che si possa dimostra-re che in taluni casi questo risultato non può essere raggiunto?

Luca della Robbia,Pitagora ed Euclide1437

Page 351: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

351

In realtà non possiamo fare questa affermazione e non possiamo escludere che possa verificarsi una cosa simile. I Pitagorici lo sapevano benissimo. Sapevano cioè che vi sono grandezze incommensurabili, il che vuol dire, secon-do il senso della nostra discussione, grandezze in cui la procedura delle sottrazioni successive dà sempre un resto, per quanto piccolo possa essere. Per esse non è possibile trovare una massima unità di misura comune in grado di fornire la misura dell'una e dell'altra e quindi di determinarne esattamente il rapporto. In termini aritmetici si tratta naturalmente della differenza tra numeri razionali - che possono essere scritti come rapporti di numeri interi - e numeri "irrazionali" per i quali non sussiste questa possibilità. Euclide si serve del metodo delle sottrazioni succes-sive proprio per mostrare l'esistenza di grandezze incommensurabili; quindi per la ricerca della massima misura comune e del massimo comun divisore. Così nella proposizione seconda del libro X degli Elementi si legge:

«Se di due grandezze disuguali veniamo a sottrarre, sempre e vicendevolmente, la minore dalla maggiore quante volte sia possibile, e quella ogni volta restante non misura mai la grandezza ad essa precedente, le grandezze saranno incommensurabili».

Nella proposizione successiva si pone il problema seguente: «Date due grandezze commensurabili, trovare la loro massima misura comune» mentre nello stesso modo viene proposta la ricerca del massimo comune divisore nella seconda proposizione del libro settimo.

Questa problematica tuttavia non comincia dai numeri considerati astrattamente come tali, ma dai segmenti, e ose-rei dire, ancor prima, dalle corde e precisamente dal problema della loro commisurazione. Quando in Euclide que-sta tematica riceve una sistemazione logica e argomentativa effettiva, si ricorre proprio al metodo delle sottrazioni successive, che viene talvolta chiamato "algoritmo euclideo".

Noi abbiamo cercato di mostrare, seguendo il lavoro di Szabò (1978, p. 136), che i germi di questo algoritmo si trovano già negli esercizi al monocordo dei pitagorici.

Page 352: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

352

6.1.3 Il quaternario

Il passaggio dal livello uditivo a quello del rapporto numerico dipende in modo emi-nente dalla filosofia pitagorica del numero e inversamente la scoperta di rapporti nu-merici astratti per la consonanza rappresenta un rafforzamento di quella filosofia. Que-sto rafforzamento può arrivare ad attribuire al numero stesso la dimensione profonda di ciò che si manifesta alla superficie, ad esempio si potrebbe arrivare a sostenere - e i pitagorici erano ampiamente su questa strada, che la consonanza udita è una semplice manifestazione in ambito musicale di una realtà numerica che riguarda, ad esempio, il numero 3 e il numero 2 - e che di conseguenza vi è "armonia" ovunque ci siano questi numeri in rapporto tra loro, in un'accezione di armonia che potrebbe non riguardare solo l' ambito musicale.

Non solo. I numeri che caratterizzano questi intervalli tendono a diventare in se stessi iper-significativi, proprio per la posizione che occupano nella successione numerica. In realtà se invece di usare i rapporti, usassimo la moderna misura dei cents, secondo la quale ciascun cent corrisponde ad un centesimo di semitono temperato, gli intervalli consonantici sarebbero caratterizzati, per approssimazione, dai numeri 1200 (ottava), 702 (quinta), 498 (quarta). È il caso di notare che, in certo senso, essi sono numeri qualsiasi. Espressi in termini di rapporti, le consonanze fondamentali vengono invece interamente espresse utilizzando unicamente i primi quattro numeri della serie dei numeri naturali - che proprio per la posizione che occupano nella successione dei numeri non sono numeri qual-siasi. Come già sappiamo, su questi quattro numeri

1 2 3 4cadde una particolare enfasi. Abbiamo anche già notato che il rapporto di 9/8 che rappresenta il tono di separa-zione tra la quarta e la quinta ed è fortemente dissonantico nella sua "manifestazione musicale", non solo viene inevitabilmente prodotto dalla suddivisione consonantica della ottava, ma esso non aggiunge, secondo il modo di pensare pitagorico, nessun nuovo numero essendo 9 esprimibile come 3*3 (avvero 32) e 8 come 4*2 ovvero 2*2*2 ovvero 23. L'intera articolazione consonantica dell'ottava si trova dunque tutta racchiusa nel "quaternario".

Page 353: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

353

I Pitagorici furono colpiti anche da due altre circostanze: l’intervallo di ottava era caratterizzato dal fatto che il nu-meratore era multiplo del denominatore. In tutti gli altri casi il numero al denominatore era invece caratterizzato dal fatto di essere superato dal numero al numeratore di una sola unità; e inversamente per il rapporto inverso.

L'importanza che all'interno della matematica pitagorica ricevono i numeri eteromechi ha probabilmente anche la sua origine nel significato che a questo tipo di rapporto viene attribuito in ambito musicale. Tutto ciò fu con-siderato come scoperta di fondamentale importanza. Si rammenti che sullo sfondo delle “frazioni” c’è la tematica dell’intero e delle parti - il denominatore indica in quante parti è stato diviso l’intero e il numeratore quante di quelle parti vengono prese in considerazione. E questo sfondo spiega la complessa terminologia, assai spesso poco maneggevole, che viene riservata ai rapporti aritmetico-musicali sia in ambito greco-latino sia in ambito medioevale fino all’età moderna. Il rapporto avente una simile struttura veniva chiamato dai greci epimorio e dai latini superparticolare o sesquiparziale. Credo che sia lecito vedere in entrambi i termini l’idea di una parte in più rispetto all’intero. Quando questa parte in più era metà dell’intero - ad esempio 3/2 - si parlava di rapporto emio-lio - termine che contiene nella sua etimologia sia l’idea della metà che quella dell’intero. Gli altri numeri epimori venivano poi caratterizzati con epi- (sopra) e l’indicazione del numero al denominatore .

Il fatto che nel concetto sia implicata l'idea di una parte in più rispetto all'intero consente un’estensione del concet-to, che non è affatto irrilevante nei nostri futuri sviluppi. In effetti, sempre ragionando in termini di intero e di parti, se in un’accezione ristretta di numero epimorio consisteva nel fatto che essendo n al denominatore il numeratore doveva essere n+1, in un’accezione estesa era sufficiente che, essendo un intero divisibile in parti eguali ciascuna formato dallo stesso numero di unità, ad esempio, il numero 8 in due parti di quattro unità, al numeratore vi fosse una parte in più, formata a sua volta dello stesso numero di unità - ad esempio 12 rispetto ad 8. Il rapporto 12/8 ri-sulta dunque essere un rapporto epimorio in un'accezione estesa.

Credo che fra i vari modi possibili di caratterizzare un rapporto epimorio, il migliore possa essere il seguente: si parla di rapporto epimorio quando la differenza tra numero maggiore e numero minore è pari ad una parte intera del numero minore. Questa definizione è particolarmente semplice ed ha tre vantaggi: 1. vale per il rapporto e per il suo inverso; 2. comprende l'accezione estesa e come caso particolare quella più ristretta in cui la differenza è pari ad uno; 3. distingue nettamente tra rapporti epimori e rapporti multipli. Infatti, ad esempio, il rapporto 2:1 è un rapporto multiplo ma non epimorio perché la differenza è 1, e dunque eguale al numero minore.

Page 354: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

354

La precedente definizione di numero epimorio si può leggere in Teone di Smirne (II, 24 - Teone di Smirne, 1892, p. 125) in questa forma: «Il rapporto è chiamato epimorio quando il termine più grande contiene una volta il più piccolo e una parte del più piccolo, cioè quando il termine più grande supera il piccolo di una certa quantità che equivale ad una sua parte. Così il numero 4 è epimorio in rapporto a 3 perché lo supera di una unità che è il terzo di 3. Analogamente 6 supera 4 di due unità che sono la metà di 4». Peraltro Teone ritiene che si debba parlare di sottoepimorio quando il numero maggiore si trova al denominatore. Nel suo uso più generico, la parola epimere veniva usata per un rapporto che non fosse né multiplo né epimorio. Giamblico nella sua Introduzione all’aritmeti-ca di Nicomaco lo definisce così: «Si ha un rapporto “epimere” quando il termine maggiore contiene il minore più alcune parti di esso, cioè più di una sola parte» (Giamblico, 1995, p. 253 - 42).

Annotazione

Page 355: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

355

Il secondo stadio del problema è naturalmente il passaggio alla misurazione e soprattutto alla graduazione. La mi-surazione in effetti poteva essere facilmente effettuata perché in certo senso l'unità di misura era scritta nel rappor-to. Nel caso del rapporto multiplo, la corda più piccola poteva fungere da unità di misura, e così anche nel caso dei rapporti epimori, perché la differenza tra le corde era appunto di una unità. Negli altri casi non potevano che sor-gere difficoltà. Commentando Tolomeo che faceva notare questo punto (Tolomeo, 2002, 11 - 1.5) Barker osserva:

«i rapporti multipli ed epimori, sono ‘migliori’ degli epimeri [cioè dei numeri che non apparten-gono nè all’uno né all’altro tipo]; e in Tolomeo si offre subito una spiegazione di ciò. Ciò accade “per via della ‘semplicità della comparazione’ tra i termini della classe ‘migliore’ di rapporti. L’idea è poi brevemente sviluppata. La comparazione è semplice ‘perché in essa l’eccesso (cioè la differenza tra i termini) nel caso dei numeri epimori è una parte semplice (cioè un fattore inte-ro di ciascuno dei termini), e nei multipli il termine minore è una parte semplice del maggiore’. Supponiamo di dover paragonare la grandezza di due oggetti nettamente osservabili, ad esem-pio le lunghezze di due bastoncini rettilinei. Per far questo abbiamo bisogno o di esprimere una lunghezza come funzione dell’altra o di esprimere entrambe come funzioni di una certa terza lun-ghezza che si possa identificare ed impiegare come una ‘misura’. Ora se il rapporto tra le lunghez-ze è multiplo, possiamo usare la prima strategia: il bastoncino più lungo lo è un numero di volte la lunghezza di quello più corto. Se il rapporto è epimorio, possiamo usare la seconda strategia: useremo come nostra “misura” la differenza tra le loro lunghezze, che è prontamente identificata, e la lunghezza di ciascun bastoncino è un numero intero di volte di quella misura. Se il rapporto è epimere, invece, non vi è alcuna lunghezza immediatamente data alla percezione dell’osserva-tore che possa essere usata come una misura, una lunghezza tale che ciascuno dei bastoncini sia lungo un certo numero di volte di essa. Di conseguenza nel caso nei rapporti epimeri il problema di paragonare le quantità è destinato ad essere più complesso e difficile» (Barker, 1994, p. 124).

6.2 La divisione in quattro del monocordo

Page 356: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

356

Nell'invenzione del monocordo era certamente compresa l'idea di possedere un "metro" non soltanto per misu-rare e commisurare le consonanze, ma ogni intervallo possibile. In rapporto alle consonanze si può utilizzare con successo e metodo un monocordo privo di graduazioni. Ma se vogliamo fare di esso uno strumento efficiente e completo per la misurazione e il confronto tra gli intervalli abbiamo bisogno di aggiungere ad esso degli intagli o dei contrassegni, delle "tacche". Presumibilmente il monocordo assume il nome di "canone" quando riceve queste tacche e diventa così un autentico strumento di misura.

Ora siamo in possesso dei rapporti consonantici fondamentali in modo numericamente determinato. Possiamo senz'altro prendere un coltellino e fare incisioni sulla base su cui scorre il ponticello mobile? In realtà ci rendiamo subito conto che il nostro "canone" o "metro" dovrebbe avere una tacca nel punto mediano; ma dovrebbe anche es-sere diviso in terzi, per potervi individuare sopra i 2/3 della quinta; e dovrebbe essere diviso in quarti, per potervi individuare sopra il 3/4 della quarta. Il fatto è che abbiamo al denominatore numeri diversi. Evidentemente non posso pensare di fare una divisione con una unità di misura differente per ogni intervallo. Le tacche debbono avere un'unica unità esattamente come nel caso del metro.

Si deve perciò avviare una seconda fase nell'elaborazione del problema che ci impone in certo senso di ricom-porre i rapporti già scoperti in una visione unitaria ed il più possibile semplice (come è semplice il misurare una lunghezza con un metro). Si pensò ad una divisione dell'intero in quattro parti eguali che, come subito vedremo, ha una sua relativa efficienza e che forse anche poteva essere suggerita dall'enfasi posta su quel numero. In realtà re-sta memoria di una possibile divisione del monocordo in quattro parti in testi latini medioevali. Ad esempio, Aribo Scholasticus (XI sec.) in De musica equipara nettamente la scoperta dei rapporti consonantici con la "distribuzione quadripartita del monocordo" (Münxelhaus, 1976, p. 27). Nella trattatistica greca invece questa partizione non è do-cumentata, probabilmente perché arcaica e presto abbandonata. Vi è però un indizio consistente di questa speri-mentazione. In Platone talora l'ottava viene chiamata intervallo doppio e la quinta intervallo emiolio (Szabò, 1978).

La prima dizione non ci sorprende certamente. Allude ad un monocordo diviso in due, nel quale cioè il ponticello è posto nel mezzo. Se vengono pizzicate insieme le due parti in cui esso è suddiviso abbiamo un unisono, essendo eguali le lunghezze delle corde. Se invece viene pizzicata la corda intera senza il ponticello e poi la sua metà si avrà tra le due note un intervallo di ottava.

Page 357: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

357

Più interessante è l'impiego del termine emiolio per indicare la quinta - un impiego che è già stato in precedenza rammentato e giustificato come "l'intero a cui si aggiunge la sua metà". Riportando il problema su quello della di-visione del monocordo, la quinta verrà prospettata nel modo seguente:

A B C D E

1

3/2

1/2 di AC

Page 358: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

358

La quinta cadrà nel punto D . Naturalmente si tratta di una quinta relativamente ad AC, che è l'ottava acuta rispetto ad AE. Ma il punto interessante è che se consideriamo anche la divisione in metà di AC otteniamo una divisione di AE in quattro e di conseguenza il punto D, rappresenta l'intervallo di quarta relativamente ad AE. Questo è di per sé un risultato degno di nota. Si è realizzata una procedura di suddivisione che - desidero esplicitamente far nota-re questo punto - ha tendenzialmente un carattere ricorsivo. Di fatto si è diviso un segmento per due, e poi si sono divisi per due i segmenti ottenuti dalla divisione precedente.

Un vantaggio di questo metodo è comunque che ora diventiamo consapevoli della "complementarità" della quarta con la quinta nell'ottava. Detto in altro modo la quarta rispetto alla nota grave è quinta rispetto alla nota in ottava acuta. Questa circostanza ci appare ora in certo senso "visibile" sul segmento suddiviso: essa ci è "mostrata" dalla coincidenza del quarta e della quinta rispetto all'ottava inferiore e superiore nel disegno. In termini aritmetici la questione non è ovvia: occorre in proposito rammentare che benché i calcoli sugli intervalli nella trattatistica greca siano normalmente corretti, il modo in cui essi venivano realizzati è oggetto discussione. Si tenga in ogni caso sem-pre presente che la "somma" di due intervalli corrisponde al loro prodotto aritmetico dei rapporti corrispondenti, la "differenza" alla loro divisione, e la divisione di un intervallo in n parti alla radice n-esima del rapporto che lo designa.

Naturalmente volendo fare delle tacche, in luogo delle lettere alfabetiche di cui ci siamo serviti in precedenza, metteremo dei numeri. E quali numeri? Naturalmente 1, 2, 3, 4. Nel modo che segue.

1 2 3 4

Page 359: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

359

La prima tacca sarà posta come pari a 0, come accade del resto su tutti i metri. Ora dobbiamo pensare a che cosa succede ponendo il ponticello mobile sulle tacche, naturalmente determinando la parte che decideremo di pizzi-care. Questo è un punto molto importante. Si può pizzicare a destra o a sinistra del ponticello mobile. Per chiarezza anche nelle esposizioni successive parlerò di lato destro o di lato sinistro per indicare il lato a destra o rispettiva-mente il lato a sinistra del ponticello mobile. Si rammenti anche che la corda relativamente più lunga ha il suono più grave. Un dettaglio tutt'altro che privo di importanza sta nel fatto che attraverso le tacche possiamo indicare la posizione del ponticello con un numero soltanto.

Naturalmente con ciascuno di questi numeri si indica materialmente un punto ben determinato. Ma nello stesso tempo, poiché dipendono da una partizione, essi possono essere considerati anche come frazioni con un denomi-natore comune, che in questo caso sarà il 4. Questo è una sorta di denominatore sottinteso. Ora sotto 4 c'è dunque 4, e 4/4 è pari ad 1. Mentre poi avremo tre parti di quattro, due di quattro o una di quattro, come potremmo anche dire; ovvero più familiarmente e scolasticamente 3/4, 2/4, 1/4.

Da questi numeri si vede subito che otteniamo qualche risultato in rapporto al nostro problema. Il ponticello in posizione 2 ci fornisce l'ottava pizzicando la corda su entrambi i lati. Se poi procediamo ora da sinistra a destra con-venendo di pizzicare sempre sulla parte sinistra della corda, avremo il ponticello su 1 (ovvero 1/4) in una posizione che corrisponde alla metà della metà dell'intero, dunque la doppia ottava rispetto alla corda intera. Sappiamo già che su 2 avremo l'ottava, e sul tre avremo la quarta. Altre possibilità non ci sono - mettere il ponticello sul quattro significa, come abbiamo già osservato, semplicemente levare il ponticello, o come anche ci accadrà di dire, pizzi-care sulla corda "vuota".

1 2 3 4

4 4 4 4

Page 360: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

360

Cominciando da destra e pizzicando a destra avremo esatta-mente gli stessi intervalli nella stessa sequenza. Le sequenze si invertono nell'ordine di successione, ma gli intervalli restano gli stessi, invertendo il lato da pizzicare. Naturalmente quarta e quinta si sovrappongono o meglio se consideriamo ad esem-pio unicamente il percorso da destra a sinistra, pizzicando nel-la parte a destra, non vi è propriamente nessuna quinta relati-vamente alla nota di riferimento, cioè all’intero di 4/4. In altri termini la quinta che ha dato il via alla divisione in quattro non è “visibile” autonomamente nel grafico ovvero sul monocordo diviso in quattro. Tuttavia il problema segnalato in precedenza è visibile anche ora. Proviamoci infatti a presentare la suddivi-sione in quattro servendoci di un monocordo a quattro corde. E stabiliamo di pizzicare solo il lato sinistro. La parti tratteggiate sono le parti delle corde non risuonanti. Il ponticello blocca infatti le vibrazioni generate dal pizzico a sinistra. I ponticel-li mobili si trovano ovviamente nei punti in cui sono indicati i numeri. Si può anche supporre che le quattro tacche segnate in alto siano riportate sotto tutte le quattro corde e che siano a nostra disposizione tre ponticelli mobili. Mettiamo il primo sul 3, il secondo sul 2 il terzo sull’1. In queste condizioni pizzi-chiamo le corde dal basso verso l’alto e inversamente. Il punto essenziale che questa modificazione chiarisce è che comun-que una quinta c’è, e c’è nel rapporto tra la corda lunga 3 e la corda lunga 2. Ma a ben guardare con il monocordo suddiviso in quattro non andiamo affatto più lontano di quanto andavamo con il monocordo privo di graduazioni. Al più, usando quattro corde possiamo far risuonare con facilità la sequenza degli in-tervalli, ma non possediamo ancora quello strumento generale per la misurazione degli intervalli che è lo scopo fin dall’inizio perseguito.

1 2 3 4

1

2

3

4

Page 361: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

361

6.3 La divisione in dodici del monocordo

6.3.1 La considerazione “lineare” dell’intervallo

Facendo riferimento alla suddivisione in quattro del monocordo possiamo anticipare sommariamente i termini di un problema che avrà la sua applicazione più persuasiva ed evidente nella suddivisione in dodici. Nella figura successiva i numeri sono inter-pretabili in due modi.

Con il numero 1 posso intendere il segmento tra 0 e 1, con il numero due il segmento tra 0 e 2, e così via. Trascurando lo 0, i semplici numeri 1, 2, 3, 4 individuano lunghezze ben determinate. Nello stesso tempo questi numeri possono indicare delle lunghezze determinate anche usati in coppie, e precisamente come estremi di un segmento. Det-to in altro modo: potremmo impiegare coppie di questi numeri nello stesso modo in cui si fa di solito per le lettere alfabetiche come segni di delimitazione di un segmen-to. Così la coppia di numeri 2,4 potrebbe avere il senso di indicare la lunghezza del segmento ai cui estremi vi sono il 2 e il 4 . Tuttavia fra questi due ultimi casi - numeri e lettere - vi è una differenza, perché mentre le lettere sono per così dire neutre rispetto alle partizioni possibili e quindi ai rapporti di misura effettuati, i numeri non lo sono.

1 2 3 4

Page 362: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

362

Per questo si può intravvedere la possibilità di usare questi numeri, usati singolarmente o in coppia, anche per la rappresentazione di rapporti che verranno così in certo senso usati "linearmente". Questo problema di una consi-derazione lineare dell'intervallo - cioè dell'intervallo come qualcosa di analogo ad un segmento - che è peraltro da concepire come un rapporto - tormenta tutta la speculazione teorico-musicale greca, ma la riflessione su di esso ha diversi contraccolpi proprio sulla formazione della teoria dei rapporti e delle proporzioni.

Nelle considerazioni sul monocordo e sulla sua possibile divisione si affaccia la possibilità di lavorare su una sor-ta di terreno intermedio che sta tra il segmento e il rapporto. Si cerca un metodo per addizionare i rapporti o per sottrarli - cioè per trattarli come segmenti veri e propri, e non come rapporti tra segmenti. Il segreto di questa possibilità sembra stare proprio nel fatto che posso usare numeri come indicatori della lunghezza di segmenti ed anche come indicatori di un segmento di cui ne contrassegnano gli estremi. Ad esempio nella divisione in quattro io posso considerare la coppia 3,2 come indicativa del segmento delimitato da questi due numeri e come rappre-sentativo di un intervallo di quinta. Considerati singolarmente come lunghezze e poi messi in relazione essi mo-strano il rapporto di 3 a 2.

Nella divisione a quattro questo esempio assume il carattere di caso particolare, e proprio per questo non troppo convincente. Questa situazione diventa realmente interessante non tanto nella divisione in quattro quanto nella di-visione in dodici.

6.3.2 I rapporti consonantici espressi con i numeri 6,8,9,12

Sappiamo già che rapporto traduce il termine greco logos. Ma vi è invece stata per lungo tempo un'ambiguità significativa per ciò che stiamo sostenendo sulla parola diastema. Esso significa nei trattati musicali, intervallo, nella terminologia matematica segmento. In un testo di Porfirio si legge: «Ma anche Demetrio considera diastema con lo stesso significato di logos, e molti altri degli antichi seguono questo uso. Così come Dionisio di Alicarnasso e Archita Sulla musica e l'autore degli Elementi, Euclide nella Divisione del canone parlano di diastemata piuttosto che di logoi» (Huffman, 1905, p. 163).

Page 363: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

363

Il segmento ha degli estremi che vengono chiamati anche oroi. Oros significa confi-ne. La stessa parola tuttavia, nella terminologia greca più antica, ricorre anche per in connessione con logos. Si parla degli oroi di un logos, ovvero si usa una nozione che ha il suo senso primario nel segmento anche per il rapporto. Questa è una circostanza singolare, perché si comprende subito che non ha troppo senso parlare del numerato-re e del denominatore della frazione come dei suoi confini. Evidentemente dobbiamo rendere esplicito un discorso sottaciuto (per tutta questa tematica faccio riferimento soprattutto a Szabò, 1978).

Nei vari racconti sulla scoperta di Pitagora si giunge invariabilmente a formulare i rapporti non nei termini del quaternario puro e semplice, ma con numeri che messi in rapporto tra loro riconducevano al quaternario, ma solo attraverso una "riduzione ai minimi termini". Questi numeri erano propriamente:

6 8 9 12Anche nella favola del fabbro armonioso, nella versione di Nicomaco a cui abbiamo fatto riferimento, alla fine questi sono i numeri che vengono proposti. Inoltre questi nu-meri che indicano rapporti possono essere messi in proporzione, che assume la forma 6:8 = 9 : 12. In realtà tacitamente sconfessando la favola del fabbro, questa proporzione viene riferita come scoperta babilonese importata da Pitagora in Grecia. Talvolta essa riceve senz’altro il nome di “proporzione babilonese”

«È documentato che questa forma del quaternario potrebbe essere anteriore all'Accademia platonica. Giamblico ci informa che lo stes-so Pitagora portò in Grecia questa fondamentale proporzione 12:9 :: 8:6 dalla Babilonia »(Barbera, 1985, p. 200).

Page 364: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

364

In effetti Giamblico, nella sua Introduzione all'Aritmetica di Nicomaco (118-119) scri-ve:

«Bisogna discutere ora della proporzione perfettissima che inter-corre tra quattro termini, di quella cioè che viene propriamente chiamata "proporzione musicale" per il fatto che contiene in sé, in maniera assolutamente nitida, i rapporti musicali degli accordi ar-monici. Si dice che essa sia stata scoperta dai babilonesi e che sia giunta in Grecia per la prima volta attraverso Pitagora. Si scopre in-fatti che la hanno utilizzata molti Pitagorici, ad esempio Aristeo di Crotone e Timeo di Locri e Filolao e Archita, ambedue di Taranto, e molti altri, e dopo di questi anche Platone nel Timeo...»(1995, p. 349).

Questi numeri apparivano anche in tutte le immagini di provenienza medioevale che ho proposto. Essi sono la forma tipica del quaternario nei trattati. Occorre capire chia-ramente la ragione di questa circostanza.

Naturalmente si vede subito che in questa quaterna è possibile ritrovare i precedenti rapporti. Intanto agli estremi troviamo il rapporto del doppio, ovvero il rapporto carat-terizza l'ottava, tra questi estremi vi è il tono pitagorico, 9/8. E poi naturalmente in 12/8 ritroviamo il rapporto 3/2 e nel caso di 12/9 il rapporto 4/3. Abbiamo inoltre già spie-gato che questi rapporti, espressi in quest'altro modo, possono ancora essere chiama-ti epimori in un'accezione estesa del termine. Questa quaterna rappresenta dunque niente altro che una forma modificata della forma del quaternario che chiameremo originaria. Come abbiamo notato si passa dalla seconda alla prima operando quella che oggi chiameremmo una riduzione ai minimi termini - la quale richiede, come si sa, che numero e denominatore siano divisi per il loro Massimo Comune Divisore. Il 12 a sua volta rappresenta il Minimo Comune Multiplo dei numeri del quaternario nella sua forma originaria. Con ciò ribadiamo che queste nozioni, tanto utili ai calcoli, non nacquero astrattamente da una considerazione puramente aritmetica e di regole di calcolo corrispondente, ma da problemi strettamente attinenti alla misurazione ed alla

Page 365: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

365

Un monocordo suddiviso in dodici avrà l'aspetto seguente:

Nelle considerazioni successive assumeremo sempre che la corda venga pizzicata sul lato sinistro, e che invece il lato destro sia la parte che non solo non viene pizzicata, ma viene eventualmente tenuta ferma per impedirle di vibrare se a ciò non bastasse la presenza del ponticello.

Nello stesso tempo è particolarmente importante, per evitare di incorrere in equivoci, una lettura che proceda da destra a sinistra, nel senso che prima si farà risuonare l'intero, ovvero la "corda vuota" delimitata solo dai ponticelli fissi (capotasti), poi si porrà il ponticello su 9 e si avrà la quarta superiore, quindi su 8 ottenendo la quinta, infine su 6 ottenendo l'ottava.In questo modo si procede dalla corda più lunga alla corda più corta in una direzione che va dal grave all'acuto.

Con questo tipo di partizione tutto diventa molto più chiaro. In particolare i rapporti vengono espressi in certo senso in modo lineare. Parlando di diastema per indicare l'intervallo si intende proprio una lunghezza, e l'impiego non è affatto metaforico.

chiara individuazione dei rapporti in un contesto che ha il tema dell'intero e della parte al suo centro e la riflessione sui problemi posti dalla divisione del monocordo come stimolo.

6 8 9 12

Page 366: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

366

I numeri vengono infatti usati in due modi: presi singolarmente indicano una lunghezza, e precisamente la lunghez-za della corda. Presi in coppia come estremi (oroi) indicano ancora una lunghezza ma questa può essere conside-rata come rappresentativa di un rapporto.

Si veda la graffa superiore. Essa indica gli oroi 12, 8 e dunque il segmento che rappresenta, in quanto segmento, l'intervallo di quinta. Questo intervallo come rapporto lo leggete con gli stessi numeri ma nella parte di sotto del monocordo, dove avete le due graffe che vi indicano le lunghezze prese in considerazione. Non si tratta più di coppie di numeri ma dei numeri singolarmenti presi, i quali tuttavia rimandano ad un sistema di partizione in 12. Secondo quanto possiamo vedere nella figura più in basso l'8 cade a due terzi rispetto l'intero rappresentato da 12 e l'intero viene suddiviso in effetti in tre parti di 4. Pizzicando sul lato sinistro con il ponticello in 8 avrete la quinta superiore; con il ponticello in 9 avrete una quarta superiore.

12986

Page 367: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

367

Naturalmente una simile partizione ci consente anche di fare direttamente confronti tra intervalli. Ad esempio, se vogliamo sapere se la quarta, come rapporto e intervallo sia maggiore o minore della quinta, allora notiamo che il segmento che ha come estremi 12, 9 [quarta] è compreso nel segmento che ha come estremi 12, 8 [quinta] . La quarta è dunque un intervallo minore della quinta.

Da notare che in questo caso è comunque importante la lettura da destra a sinistra ed io credo che da questo tipo di impostazione si possa trarre una buona giustificazione del fatto che nella trattatistica i rapporti sono indicati normalmente con il numeratore maggiore del denominatore mentre ovviamente negli esperimenti sulle corde sembrerebbe più naturale usare la frazione inversa. Tenendo conto di questo tipo di lettura - che viene proposta da Szabò - si viene a capo anche di altri piccoli enigmi che hanno spesso portato ad assunzioni erronee. Ad esempio, secondo Laloy, Pitagora non avrebbe saputo riconoscere il rapporto differenziale di 9/8 tra la quinta e la quarta, per il fatto che si può dedurre questo rapporto direttamente dai precedenti solo

«alla condizione che si sappia che una differenza di intervalli si esprime attraverso un quozien-te di rapporti; e noi vedremo che questa legge particolare, benché sia osservata da un grande matematico come Euclide, non è stata mai formulata espressamente nell'antichità e non è ancora presente in certi calcoli di Filolao. Non possiamo dunque supporla conosciuta da Pitagora...». (Laloy, 1904, pp. 49-50).

Invece se si è ben compresa la doppia lettura dei numeri che si può effettuare sul monocordo (in questo dop-pia lettura sta il segreto di tutto), ci si rende conto che il problema posto da Laloy non sussiste. Infatti se usia-mo il criterio della designazione dei segmenti attraverso gli estremi ci rendiamo subito conto che il segmento caratterizzato dalla coppia (9,8) è interpretabile come risultato della sottrazione del segmento (12, 8) e (12, 9) - ciò era accessibile a partire da un uso primitivo del monocordo. Quando un teorico antico parlava del tono di 9/8 come risultante dalla differenza tra quinta e quarta sapeva quel che diceva e non confondeva una divisio-ne con una sottrazione. Ma vi è di più: se abbiamo capito bene come funziona tutto il problema non stentere-mo a vedere in questa suddivisione del canone anche la complementarità di quarta e quinta nell’ottava e na-turalmente senza effettuare moltiplicazioni o divisioni tra frazioni. Verifichiamo direttamente, al più con una semplice operazione di conteggio per constatare l’eguaglianza o la diseguaglianza del numero delle parti, che il segmento determinato dalla coppia (12,6) può essere considerato come composto dal segmento formato da (12,9) - quarta - e dal segmento 9,6 - quinta; oppure dal segmento (12,8) - quinta - e dal segmento 8,6 - quarta.

Page 368: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

368

Tutta questa vicenda che vi ho raccontata è, a mio avviso, una storia fenomenologica che esemplifica in modo straordinariamente efficace un possibile processo di formazione di concetti astratti. Questa storia comincia con un fatto uditivo specifico che è la consonanza. Per poter essere in qualche modo posto sotto controllo questo fatto uditivo viene tradotto in un fatto visibile e maneggiabile, facendo riferimento alle corde che producono il suono. Questa visibilizzazione ci fa restare ancora in larga parte sul terreno fenomenologico. Le corde possono essere os-servate, più o meno tese, manipolate in vari modi. Queste pratiche di manipolazione aprono un problema di misu-razione e commisurazione. Per questa via il numero entra nell'ambito delle nostre considerazioni. Ma per un certo tratto resta legato alla lunghezza, come fatto visibile e questo legame si spinge sino al rapporto ed al confronto tra i rapporti. Al di là di questo breve tratto, il numero si separa nettamente dall'ambito intuitivo e prende la sua via.

Questa partizione in dodici, o meglio il modo di interpretarla, è dunque una invenzione realmente straordinaria che prepara sviluppi in realtà altrettanto straordinari. Questi sviluppi riguarderanno la teoria musicale degli intervalli, ma riguarderanno soprattutto lo sviluppo della teoria matematica dei rapporti e delle proporzioni.

Di fatto come il numero tende a liberarsi dal riferimento al segmento, così il rapporto tende ad essere considerato come un rapporto tra numeri, un rapporto propriamente aritmetico e quindi tutta la tematica è destinata a divari-carsi ed autonomizzarsi interamente dalla teoria musicale. Vi è anche un aspetto di ordine generale che viene qui in evidenza sui rapporti tra musica e matematica. Si è sempre impostato il problema di questi rapporti come se si trattasse di trovare nella matematica in certo senso le leggi più profonde della musica, nei rapporti matematici le ragioni più profonde dell'espressività della musica. È indubbio che questa posizione abbia origine proprio in questa impostazione pitagorica della questione. Ma mi sembra anche indubbio che la questione possa presentarsi anche in modo inverso, o meglio secondo una angolatura piuttosto di epistemologia della matematica che di meta-fisica della musica.È innegabile che qui vediamo anche la musica come levatrice della matematica, la musica come luogo in cui comincia a germinare il problema matematico, ed inversamente l'elaborazione germinale di problemi matematici si sperimenta sul piano della teoria musicale essendovi così non tanto un rapporto di fondazione in un'unica direzione, ma piuttosto di interscambio fecondo per entrambe le discipline.

Page 369: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

369

7. Tematica delle medie

Archita di Taranto (IV sec. a. C.)

Page 370: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

370

Page 371: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

371

7.1 Media aritmetica, media armonica e media geometrica

7.1.1 L'affermarsi del problema delle medie

7.1.2 Le formule delle medie

7.2 Le medie secondo le definizioni di Archita7.2.1 Media aritmetica

7.2.2 Media geometrica

7.2.3 Media armonica

7.3 La media geometrica7.3.1 Ottava, rapporti epimori, media geometrica.

7.3.2 Ripresa del problema dei numeri irrazionali

7.3.3 Duplicazione del quadrato e media geometrica

7.3.4 Media geometrica e il problema del tetragonismo

7.3.5 Conseguenze sulla teoria pitagorica della musica

Page 372: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

372

Page 373: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

373

7.1 Media aritmetica, media armonica e media geometrica

7.1.1 L'affermarsi del problema delle medie

Un esempio notevole dell'intreccio tra musica e matematica, e proprio nel senso di un complesso di stimoli che la riflessione sulla musica eser-cita sugli sviluppi della matematica, riguarda il formarsi del concetto di media, entro il contesto del discorso pitagorico sui rapporti e le propor-zioni.

Abbiamo già notato in precedenza che con la forma modificata del qua-ternario possiamo costruire la proporzione

12 : 9 = 8 : 6

e naturalmente, come sua variante possibile.

12 : 8 = 9 : 6

Questo non è naturalmente che un altro modo di riproporre lo schema fondamentale di articolazione consonantica dell'ottava. Ma in realtà formulando la questione in termini di proporzione i pitagorici si avvidero di un'altra circo-stanza notevole, dalla quale alla fine fecero in larga parte dipendere la "perfezione" di questa suddivisione.

Riprendiamo a questo proposito il cenno fatto in precedenza sugli interessi aritmetici dei pitagorici. Tenendo conto del simbolismo così spesso attribuito ai numeri nella loro singolarità, questi interessi potrebbero sembrare rivolti a cogliere peculiarità in certo senso individuali dei numeri; ma in realtà si trattava di un orientamento che era ca-ratterizzato soprattutto dalla ricerca di relazioni.

Page 374: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

374

Di fronte ad una proporzione come la precedente, che mostrava una struttura relazionale particolarmente forte a livello fenomenologico superficiale (musicale), sorse all'interno dei pitagorici la domanda se vi fosse una qualche relazione altrettanto forte tra gli estremi della proporzione e i suoi termini intermedi - una relazione appartenente dunque, dal punto di vista pitagorico, al livello profondo.

La riflessione dunque passa ora ad una possibile connessione tra la coppia degli estremi 12 e 6, da un lato, e il nu-mero 9, dall'altro e così anche tra la stessa coppia e il numero 8. È a questo punto che ci imbattiamo nel problema delle "medie".

I pitagorici considerarono la ricerca di "medie" come uno dei compiti importanti della ricerca aritmetica, ed essi caratterizzarono vari tipi di medie dando ad essi dei nomi appositi. Ma in che cosa consiste propriamente il pro-blema delle medie?

Forse per rispondere a questa domanda, è opportuno, prima di ricollegarsi diret-tamente alle fonti greche, ricercare tra le nostre infarinature scolastiche cercando di ricordarci alcune delle definizioni proposte nei manuali. Cosicché dimentichia-moci del monocordo e dei segmenti e le misurazioni che esso suggeriva e reci-tiamo le definizioni come ci sono state insegnate nell'insegnamento elementare e medio in termini strettamente aritmetici:

Media aritmetica

Dati n numeri, la loro media aritmetica si ottiene sommandoli e dividendo la loro somma per n

7.1.2 Le formule delle medie

Page 375: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

375

media aritmetica di a e b

Ora i pitagorici si resero conto subito che il numero 9 corrispondeva alla media aritmetica degli estremi della proporzione, 12 e 6.

Media armonica (detta anche subcontraria)

Dati n numeri, la loro media armonica si ottiene dividendo n per la somma dei loro inversi

Media armonica tra i numeri a e b

Dopo la prima molto semplice scoperta del 9 come media aritmetica dei numeri 12 e 6, il punto che sollecitò la fan-tasia matematica e speculativa dei pitagorici fu quella di trovare una qualche relazione definibile tra i due estremi della proporzione 12, 6 e il numero l'8. E fecero una scoperta singolare. Anche in questo caso era possibile formu-lare una stretta regola di collegamento tra questo numero e gli estremi della proporzione ed inoltre questa regola aveva una precisa relazione strutturale con la media aritmetica. Si trattava appunto del fatto che il numero 8 corri-spondeva alla media armonica di 12 e 6.

La relazione tra media armonica e media aritmetica forse risulta più evidente se formuliamo il problema in modo leggermente diverso.

21a 1

b

ab2

Page 376: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

376

Atteniamoci al caso esemplificativo elementare di n=2. Facendo la media aritmetica degli inversi dei numeri a e b si avrà

L'inverso di questo rapporto è appunto la media armo-nica:

21a 1

b

1a 1

b

2

Si potrà così definire la media armonica tra due numeri anche come l’inverso della media aritmetica dei loro inversi.

Nota che la media aritmetica divide l’ottava in una quarta+quinta, mentre la media armonica in una quinta+quarta. Nella media aritmetica la suddivisione cade su 9 e dunque sulla coppia 12:9 e 9:6, mentre nella media armonica la suddivisione cade su 8, formando la coppia 12:8 e 8:6.

Media geometrica (detta anche proporzionale)

Dati n numeri, si ottiene la loro media geometrica realizzando la radice n-esima del loro prodotto

Da questa formulazione non può certo risultare per qua-li motivi questa media possa essere interessante sotto il profilo matematico-musicale dei pitagorici; tuttavia dobbiamo confessare che tutte e tre le medie, benché facili da definire ed altrettanto facili da calcolare, for-mulate così, sembrano, almeno a me, in qualche modo opache, anche se non saprei dirne il preciso motivo.

Confesso addirittura che resterei per un istante imba-razzato persino nel dare una risposta chiara a chi ci chiedesse perché le medie si chiamino medie, e ad-diritura i motivi o la storia dei loro nomi. Forse anche qualche mio lettore proverebbe qualche imbarazzo. Ed allora venite con me! Andiamo tutti insieme a pren-dere lumi da un grande maestro: Archita di Taranto.

Page 377: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

377

7.2 Le medie secondo le definizioni di Archita

7.2.1 Media aritmetica

Ci siamo ricollegati al sapere cavato sui banchi di scuola, abbiamo fatto qualche cal-colo di prova ed alla fine abbiamo pur mostrato qualcosa. Abbiamo persino comin-ciato a capire in che modo matematica e musica qui si intrecciano. Ma nello stesso tempo siamo sempre più tentati dalle domande "filosofiche" con le quali il fanciullo di cui narra una volta Wittgenstein assilla il maestro di scuola, che alla fine si spa-zientisce e lo ammonisce a tacere affinché egli possa fare la sua lezione. Questa rea-zione del maestro è certamente fino ad un certo punto giustificata perché egli deve svolgere il programma ed arrivare alle dimensioni più evolute dei problemi e non può indugiare più di tanto sulle infime origini. Ma qualche ragione le ha pur anche quel fanciullo perché sente oscuramente che qui e là vi sono delle lacune, dei bu-chi che, se non sono riempiti subito, non lo saranno mai più. Nemmeno a tarda età.

Per attenerci ai casi nostri: abbiamo fatto un balzo verso la problematica delle medie, ma in fin dei conti una "media" che cosa è? A che tipo di problema risponde la ricerca di essa almeno per quanto riguarda i casi elementarissimi di cui ci stiamo occupando? Ora io credo che ripensare al modo in cui questa problematica si pone nella matematica greca arcaica - con l'aiuto di filologi che hanno studiato a fondo questi problemi e sen-za trattenerci sulle straordinarie e ammirevoli sottigliezze a cui filologi e storici della scienza riescono a pervenire - ci giovi proprio perché contribuisce a chiudere qualche lacuna che è motivo di curiosità per il fanciullo che forse sta nel fondo di ogni filosofo.

Page 378: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

378

Ed eccoci ora di fronte ad Archita: benché sia possibile, ed anzi sostanzialmente certo, che le tre medie fossero note anche ad autori precedenti, nel fr. 2 di Archita si trova la loro prima formulazione scritta.

Conviene dunque rifare almeno in parte il percorso precedente, ma facendo tabula rasa delle nostre conoscenze scolastiche elementari e andando piuttosto alle definizioni ed alle discussioni più antiche.

Intanto cominciamo a fissare questo punto. L'espressione "media" deriva da questa circostanza. Anzitutto la rifles-sione comincia come è ovvio dal caso più semplice, quindi relativamente a due numeri. Il problema che ci si pone è allora quello di trovare un terzo numero che sta fra l'uno e l'altro, un numero "intermedio" dunque, con caratteristi-che tali da stabilire un preciso collegamento tra loro. In forza di questa relazione è possibile fornire una regola che consenta, dati gli estremi, di trovare il medio. L'attirare l'attenzione sul collegamento e la connessione è importante perché conferma che la ricerca pitagorica, a cui senza dubbio risale la posizione della tematica delle medie, era fortemente orientata verso le relazioni e le regole che le governano. È anche comprensibile che, in questo stadio, la ricerca non si muovesse totalmente all'interno dell'astrazione numerica, ma che essa prendesse le mosse da stimoli molto concreti che, come ormai stiamo sempre più verificando, hanno a che vedere da un lato con la musica, dall'al-tro con la figuralità geometrica che il monocordo stesso in fin dei conti proponeva. Perché porsi il problema di un "medio" tra due numeri in un'accezione forte, cioè come un numero che collega l'uno all'altro secondo una regola matematica? Le ragioni di questo interesse si comprendono subito se si assume che i numeri considerati avevano già una pregnanza di significato sul terreno musicale. È ritenuto ormai acquisito che Pitagora, se non fece un impie-go sistematico delle proporzioni, sicuramente si occupò di problemi che ne implicavano il concetto e che

«la teoria delle medie fu sviluppata molto presto nella sua scuola con riferimento all'aritmetica ed alla musica» (Heath, 1921, p. 85).

«Una volta che gli intervalli musicali furono espressi come rapporti aritmetici, si potevano com-binare usando operazioni aritmetiche. Qui, in ogni caso, sembra che fu la musica che procurò il metodo dell'aritmetica - almeno in questi inizi» (Crocker, 1963, p. 194).

Page 379: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

379

«L'origine delle tre medie descritte nel secondo frammento non è identificata, e noi non siamo in grado di sapere chi le formulò per primo, ma è plausibile che il pitagorico Ippaso fosse a co-noscenza di esse nel prima metà del quinto secolo e che Archita le abbia tratte da lui»(Huffman, 2005, p. 52).

«Poiché il secondo fammento di Archita è il primo testo che dà chiare definizioni delle medie aritmetica, geometrica e armonica, talvolta Archita viene considerato come il loro scopritore.... e noi abbiamo visto, in ogni caso, che la dossografia li assegna in età anteriore ad Archita, spesso allo stesso Pitagora» (ivi, p. 175).

Il problema venne in seguito variamente sviluppato e si giunse a formulare una decina di tipi di medie. Va sottoli-neato che Tolomeo loda Archita come «impegnato nello studio della musica più di tutti i Pitagorici» (A16: 6–7 cit. in Huffman, 1905, 52). Consideriamo la definizione che egli propone per la media "aritmetica".

«La media è aritmetica ogni qualvota tre termini (oroi) sono in eccesso l'uno all'altro nel modo che segue: di tanto il primo eccede il secondo, di quanto il secondo eccede il terzo».

Se dunque A, B,C sono rispettivamente il primo secondo e terzo termine, B è medio aritmetico se se A-B=B-C. Na-turalmente è necessario intendersi anzitutto sull'ordine e precisamente è necessario considerare come primo il numero maggiore. Torniamo ora al nostro schema di monocordo:

6 8 9 12

Page 380: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

380

È subito chiaro che non vi nessun bisogno di fare cal-coli, a parte l’operazione di conteggio delle unità di base, per vedere che 9 è la media aritmetica tra 6 e 12 essendo il segmento (12,9) eguale al segmento (9,6) .

La definizione che ci propone Archita è dunque qual-cosa di ben diverso da ciò che in precedenza avevamo proposto. Potremmo azzardarci a dire che non c’è prima la tematica delle medie bell’e pronta, ma che nel consi-derare una figura come questa ci si rende conto di una peculiarità del termine 9 che “sta fra” il 6 e il 12 in modo da essere equidistante dall’uno e dall’altro ovvero, se-condo la formulazione di Archita, il primo (12) eccede il secondo (9) tanto quanto il secondo eccede il terzo (6).

Poiché sappiamo inoltre che il rapporto 12/9 rappre-senta una quarta, possiamo dire che la quarta è media aritmetica dell’ottava.

Abbiamo già notato se 12/9 (=4/3) rappresenta la quar-ta, 9/6 (=3/2) rappresenta una quinta cosicché la media aritmetica suddivide l’ottava in una quarta ed in una quinta in successione in ordine discendente.

Naturalmente poiché non dobbiamo perdere la presa sul rapporto, tutto ciò non significa che la somma arit-metica dei rapporti corrispondenti abbia come risulta-to l’ottava. Questo risultato si ottiene solo attraverso la moltiplicazione dei rapporti, ovvero 12/9*9/6 = 12/6 = 2.

Gli intervalli intesi come rapporti vengono “composti”

o “sommati” tra loro attraverso la loro moltiplicazione. E naturalmente il doppio di un intervallo sarà il rappor-to che lo contraddistingue moltiplicato per se stesso - dunque il suo quadrato.

Ciò mostra anche come sia importante fare una duplice lettura dei numeri in questione, ed in particolare oc-corre non perdere di vista che abbiamo a che fare con rapporti. L’equidistanza di cui si parla non è evidente-mente eguaglianza dei rapporti!

Page 381: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

381

7.2.2 Media geometrica

La seconda definizione proposta da Archita riguarda la media geometrica. Anche in questo caso si tratta di trova-re, dati due numeri, un numero che “sta fra” essi, ma secondo una qualche particolare regola, e quindi stabilendo una relazione tra gli estremi.

La definizione di Archita, realmente semplice, è la seguente:

«La media è geometrica, ogni qual volta i termini sono tali che il primo sta al secondo come il secondo sta al terzo”.

Mentre nel caso della media aritmetica si trattava di un’eccedenza di grandezza, qui invece si parla proprio di rap-porti e di proporzioni. Per questo talvolta si parla della media geometrica anche come media proporzionale. Del resto, come presto vedremo, la dizione di media geometrica richiede a sua volta una spiegazione. Archita propone la media geometrica in seconda posizione probabilmente per il fatto che essa presenta, come la media aritmetica, un caso di eguaglianza, questa volta relativa ai rapporti piuttosto che alle lunghezze. L’elemento cercato B, nella media geometrica tra A e C , è tale per cui deve valere la proporzione a tre termini:

A : B = B : C

Simili proporzioni a tre termini si dicono solitamente proporzioni continue. Poiché in generale in una proporzione il prodotto degli estremi è eguale al prodotto dei termini medi (Euclide, VII, prop. 19), allora, essendo A*C=B2, la media geometrica B sarà:

B=√[A*C].

In questa formulazione ritroviamo, per il caso particolare di due termini, la formulazione che abbiamo dato nel paragrafo precedente, nella quale si diceva che si ottiene la media geometrica tra n elementi facendo la radice n-esima del loro prodotto. Come esempio: tra gli estremi 12 e 3, il termine medio risulta essere 6 essendo 12:6=6:3. Per cominciare ad intravvedere in che modo il tema della media geometrica interessa la teoria musicale, potremmo notare, sulla base di questo esempio, che abbiamo a che fare con un intervallo composto da due ottave caratteriz-

Page 382: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

382

zate dai numeri 3, 6, 12, che sono evidentemente l’uno il doppio dell’altro. Il numero 6, che rappresenta la media geometrica tra 3 e 12, rappresenta allora esattamente la metà della doppia ottava. Prendiamo ora in considerazione un intervallo di ottava - gli estremi del rapporto sono 1 e 2, e vogliamo conoscere la metà di questo intervallo che consisterà dunque nella media geometrica tra essi. Essendo 1*2 = 2, e 2 = B2 allora la media geometrica B sarà

B = √ 2

Ci troviamo così di fronte ad uno dei primi e più famosi numeri irrazionali che siano stati scoperti. I pitagorici, e naturalmente Archita con loro, si rese conto di questa circostanza che aveva certamente importanti conseguenze della teoria pitagorica della musica ed una forza dirompente sul piano della matematica. Benché non possa essere nei nostri intenti approfondire l’argomento, alla questione si dovrà dedicare un cenno a parte.

Veniamo ora alla media "subcontraria" o "armonica" che Archita propone per terza:

«La media è subcontraria, che noi chiamiamo armonica, ogni volta che i termini sono tali che per quella parte di se stesso il primo termine eccede il secondo, per questa stessa parte del terzo il medio eccede il terzo».

Formulazione non chiarissima, ma nemmeno troppo difficile da comprendere. Anzitutto si pone il problema, come nel caso della media aritmetica, di una eccedenza tra i termini e di un ordine che pone come primo il numero più elevato. Tuttavia l'eccedenza che qui viene in questione e che deve essere eguale tra il primo e il secondo termine e tra il secondo e il terzo riguarda la parte che essa rappresenta rispetto agli interi che formano gli estremi.

Ritorniamo dunque ancora al nostro monocordo. Abbiamo già visto che gli estremi 12 e 6 hanno nel 9 il loro medio aritmetico. Ci rimane da considerare il numero 8. Sempre con una semplice operazione di conteggio è facile ren-dersi conto che 12 eccede 8 di 4, ed 8 eccede 6 di 2. Ma 4 è 1/3 dell'intero rappresentato da 12 e 2 è 1/3 rispetto

7.2.3 Media armonica

Page 383: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

383

all'intero rappresentato da 6. In base alla definizione di Archita, sappiamo subito che 8 è la media armonica tra 12 e 6. E poiché sappiamo che 12/8=3/2, possiamo dire che la quinta è media armonica dell'ottava. Di conseguenza una ottava viene divisa dalla media armonica da una quinta (12/8=3/2) e da una quarta (8/6 =4/3) rispettivamente in successione in ordine ascendente.

Nella definizione di Archita, la media subcontraria viene strettamente legata nella formulazione definitoria alla me-dia aritmetica essendo entrambe considerate dal punto di vista dell'eccedenza, ed avrebbe potuto perciò occupare la seconda posizione; inoltre, a quanto sembra dal testo stesso, il nome “media subcontraria” è quello più antico, e non si trova usato in Platone e Aristotele, mentre quello di “media armonica” è in tutta probabilità un' innovazione dello stesso Archita (Huffmann 1905, p. 173). Giamblico ritiene che questa innovazione sia dovuta al fatto che tale media abbraccerebbe tutti i rapporti musicali consonantici. Nicomaco (II, 26.2) (Heath, p. 86) invece rammenta che Filolao parlava di "armonia geometrica" in rapporto al cubo per il fatto che esso possiede 12 spigoli, 8 angoli e 6 facce, ed 8 è appunto la media armonica secondo la teoria musicale. Ma si tratta di un riferimento poco persuasivo che spiega al massimo perché Filolao riferisse al cubo un'armonia geometrica, presupponendo del resto il nuovo nome a questo tipo di media. In realtà questo termine rimanda certo al fatto che la riflessione su questa media, come anche sulla media aritmetica e geometrica, era fortemente stimolata dal problema di rendere conto delle relazioni tra i punti essenziali consonantici dell'articolazione dell'ottava. Archita sembra «non tanto aver pensato che la media armonica di per se stessa fosse adeguata a descrivere l'armonia musicale, ma piuttosto che la terza media presa insieme alle precedenti due medie abbracciava [secondo la formulazione di Giamblico] 'i rapporti di tutto ciò che vi è di melodico e armonico'» (ivi, p. 174) Inoltre il fatto che nel fr. 2 venga usato il termine di diastema è secondo Huffman un segno che mostra che in Archita «l'applicazione musicale delle medie era in realtà il suo primo pensiero» (ivi, p. 169). Peraltro Huffman ritiene che diastema abbia solo il senso di intervallo musicale e non quello di logos, mentre sembra del tutto possibile che questa significativa ambiguità valga ancora nel testo di Ar-chita. Un altro elemento volto nella stessa direzione è il fatto che Archita fa seguire a ciascuna media, sia pure in una formulazione piuttosto astratta, l'asserzione della maggiore grandezza della quinta sulla quarta (e ovviamente l'inverso) oltre che naturalmente l'eguaglianza degli intervalli determinati attraverso il medio geometrico (quando questo medio "esiste").

A proposito della media armonica è forse anche il caso di fare un passo indietro verso la formulazione puramente aritmetica precedentemente proposta per mostrare come essa guadagni in trasparenza se la consideriamo alla luce delle nostre considerazioni monocordiste. Riprendiamo il nostro monocordo diviso in dodici parti e nello

Page 384: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

384

stesso tempo rammentiamoci della formula per il calcolo della media armonica a due termini che saranno preci-samente 12 e 6:

Media armonica tra i numeri 12 e 6

Notiamo allora subito che quelli che erano semplicemente numeri ovvero frazioni, ed eventualmente frazioni in-verse, assumono il significato di lunghezze ben definite.

2112 1

6

Ad esempio 1/12 è l'unità di misura per la lunghezza della nostra corda. E 1/6 chiede una divisione per sei della corda portando l'unita di misura della lunghezza a 2/12. Queste cose le diciamo naturalmente tenendo gli occhi ad un tempo sulla formula di calcolo e sulla corda. Chiarito questo punto la somma tra 1/12 e 2/12 sarà 3/12 ov-vero 1+2=3 che è una lunghezza ben determinata che si può ottenere sempre per semplice conteggio sul grafi-co. Abbiamo così ottenuto un’ “interpretazione” per il denominatore della frazione. Ciò che va ora interpretato in termini di lunghezza è il numero 2 che nella formula della media armonica sta al numeratore.

6 8 9 12

Page 385: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

385

Poiché l'1 rappresenta l'intero, come abbiamo sottolineato più volte, in questo genere di considerazioni il 2 sarà da considerarsi come il doppio dell'intero, e dunque 24. Il risultato finale sarà dunque 24 : 3 = 8.

Qui non ci limitiamo a calcolare, ma abbiamo fatto dei ragionamenti insieme ai calcoli. Non perdiamo di vista il riferimento musicale che ci fornisce uno stimolo, una sorta di guida o forse soltanto un esempio; e nel calcolo nu-merico, da un lato teniamo conto della tematica fondamentale dell'intero e della parte e, dall'altro, della rappresen-tazione in termini di lunghezze, e quindi di una rappresentazione geometrica. Un intreccio realmente straordinario che ci accompagnerà lungo tutti i nostri sviluppi.

A questo punto torniamo sulla nostra proporzione "babilonese" - in rapporto ad essa ora sappiamo alcune cose più di prima:

12 : 9 = 8 : 6

Essa sembra semplicemente riflettere il nostro solito schema secondo cui l'ottava viene distinta in due intervalli di quarta (tetracordi). Ma ora abbiamo mostrato che vi sono nodi che legano strettamente il 9 e l'8 agli estremi 12 e 6. Il 9 è la loro media aritmetica e l'8 la media armonica. È inutile dire che questo rappresenta un legame fortissimo tra i numeri del quaternario. La situazione si presenta ovviamente non diversa nel caso della forma originaria o della forma modificata.

Naturalmente si potrà rivoltare in vari modi questa proporzione ma il suo significato resta quello che è. Il punto im-portante è che la rete di relazioni messe in evidenza tra i quattro numeri del quaternario è ora diventata realmente imponente.

Proprio all’esistenza di questa rete di relazioni implicate dalla proporzione “babilonese” si finisce con l’attribui-re la bontà degli intervalli in questione, la loro perfezione. E come ulteriore conseguenza dobbiamo richiamare l’attenzione su una sorta di inversione del cammino effettivo che abbiamo sviluppato. Comunque siano andate in concreto le cose, è certo che prima vi sono i fenomeni uditivi concreti e poi le corrispondenti analisi misurative e numeriche.

Page 386: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

386

Ma questo percorso tende ad essere pensato come invertito: come se ad esempio non sapessimo nulla delle con-sonanze di quinta e di quarta e le derivassimo applicando la media aritmetica e geometrica ai numeri che caratte-rizzano l'ottava. In questo modo si fa strada una fortissima relazione tra l'ottava e la modalità della sua articolazione, ormai non più a livello percettivo, ma a livello logico-matematico. Si comincia a pensare che un intervallo in gene-rale è "buono", "giusto", "musicale" - o quale altro termine vorrai usare - non quando il musicista lo ritiene adatto alle sue esigenze espressive, ma quando risponde a certi requisiti di ordine matematico. È caratteristica a questo proposito la raccomandazione di Socrate nel VII libro della Repubblica platonica (531c): gli studenti di armonica dovrebbero indagare quali numeri siano consonanti e quali no, interrogandosi in entrambi i casi sulle ragioni. Il ca-rattere "sinfonico" diventa una proprietà dei numeri, e tutta aritmetica deve essere la ragione di questa sinfonicità. Questa inversione del cammino ha come conseguenza un’impostazione erronea di problemi sia di ordine genera-le, attinenti all’espressività della musica ed ai suoi mezzi espressivi, sia di ordine particolare, imponendo questa o quella valutazione su fatti specificamente musicali facendo riferimento a circostanze la cui specificità deve essere ricercata del tutto altrove. Inoltre, proprio in rapporto all'importante problema dei rapporti tra musica e matemati-ca, ed in generale tra musica e strutture formali, vengono confusi piani differenti in cui esso può essere posto.

Page 387: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

387

7.3 La media geometrica

7.3.1 Ottava, rapporti epimori, media geometrica.

Il nostro lettore dopo aver letto le poche cose che abbiamo scritto sulla media geo-metrica, si sarà forse posto alcune domande che giungono spontanee. Intanto, come abbiamo già dimostrato, noi diamo una certa importanza ai nomi ed alla loro pos-sibile storia. Allora ci chiederemo subito: perché la media "geometrica" si chiama così? E poi: questa media ha una reale importanza nella teoria della musica greca? In realtà, la prima domanda è più difficile della seconda, cosiché preferiamo co-minciare a rispondere a quest’ultima: la teoria delle proporzioni nasce nel quadro della teoria della musica e la teoria delle medie non è che un’elaborazione della teoria delle proporzioni. Ora vogliamo trattenerci un poco sulla media geometri-ca mostrandone le implicazioni anche su altri terreni che non su quello puramen-te musicale: in rapporto alla tematica che stiamo discutendo sembra impossibi-le scindere campi di indagine che concrescono l'uno nell'altro. Sarebbe un errore tentare di operare nettamente questa scissione, pur essendo coscienti che, nono-stante l'unità dei primi inizi, poi le vie saranno molte e si distanzieranno sempre più l'una dell'altra (salvo a ricongiungersi in qualche punto più o meno imprevisto).

La media geometrica è in realtà un nodo importante di incontro tra considerazioni musicali, aritmetiche e geometriche. Dato che non ci poniamo il problema di una rico-struzione storica, possiamo pur ipotizzare - in certo senso per ragioni di pura coerenza con lo sviluppo del nostro argomento - che quella √ 2 che mostrava un nuovo scenario nel campo della riflessione sul numero si fosse presentata come problema proprio nel corso di una ricerca che aveva di mira le articolazioni interne dell'ottava. L'identifica-zione di valori numerici soggiacenti alle partizioni consonantiche dell'ottava, portava con sé indubbiamente il problema di rendere conto delle sue possibili partizioni e quindi di articolazioni più ricche.

Page 388: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

388

Sullo sfondo intravvediamo la questione delle scale - delle har-moniai come anche dicevano i greci, in una seconda accezio-ne, più specifica, del termine. Ma prima di tutto è logico che ci si interroghi sulle partizioni più semplici, ad esempio sulla partizione in due dell'ottava e degli altri intervalli e del resto anche dell'intervallo di tono. Accade allora che ci imbattiamo nel problema della distinzione tra numeri razionali e irrazionali. Poiché gli “estremi” del rapporto di ottava sono 1 e 2, per via direttamente aritmetica perveniamo ad un numero che in certo senso “non esiste”, o meglio non esiste come intero o come rap-porto tra interi. Fu ancora Archita a rendersi conto che questa difficoltà si proponeva anche per i rapporti epimori in genere (il rapporto 1:2 va considerato come un rapporto multiplo ma può essere visto come un caso particolare di rapporto epimo-rio). In rapporto a questo problema ci è pervenuta una preziosa ed attendibile testimonianza da Boezio, De Institutione Musica, III. 11 (A19, Huffman, 2005, p. 451):

«Superparticularis proportio scindi in aequa medio proportionaliter interposito numero non potest» - «Un rapporto superaparticolare (=epimorio) non può essere suddiviso in parti eguali attraverso un medio proporzionale posto tra essi».

La dimostrazione è piuttosto complessa e viene ripresa quasi letteralmente nella Sectio Canonis attribuita ad Eu-clide, al punto che si è anche ipotizzato che sia quest’opera sia il libro VIII degli Elementi, che si occupano dello stesso problema, siano opera di Archita (cfr. Huffman, 2005, pp. 468-470, nel quale peraltro si contesta questa ipo-tesi).

«Archita dunque elaborò una prova matematica di un teorema che si spinge direttamente, e in modo particolarmente rilevante, sino a questioni musicali: si tratta della proposizione che non vi è nessuna media proporzionale, ‘ né una né più di una’ tra termini in rapporto epimorio.

Page 389: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

389

Qui ‘media proporzionale' sta per media geometrica. Tra i due termini in rapporto epimorio A e B non vi è nessun elemento intermedio, X, tale che A:X=X:B; né vi è una serie di termini X, Y, Z tali che A:X=X:Y=...=Z:B. La dimostrazione si applica ovviamente ai rapporti epimori in genere ovunque si presentino, e non soltanto dunque in contesti musicali. Ma è ovviamente rilevante, e ha le sue conseguenze più incisive nel campo dell'armonica ed il fatto che Archita pensas-se che esso fosse abbastanza significativo da meritare una prova formale è un altro segno del-la posizione privilegiata che egli attribuiva ai rapporti epimori in questo campo. Il suo esito, come lo intesero i teorici greci, è che nessun intervallo il cui rapporto è epimorio può essere esattamente dimezzato, o diviso in un numero qualsiasi di sotto-intervalli eguali; ed esso fu di particolare importanza sia nello sviluppo dell'approccio matematico alla divisione degli inter-valli sia nelle posteriori controversie tra gli aristossenici e i pitagorici» (Barker, 2007, p.304).

Resta in ogni caso il fatto che le medie geometriche in campo musicale dicono che qualcosa non c'è - un risulta-to che è l'esatto opposto della scoperta della media aritmetica e armonica che attestano luoghi ben determinati nell'ottava. Questo è cosa da poco? Tutt'altro. Questo risultato qualifica, nel bene come nel male, l'intera dottrina pitagorica della musica.

Page 390: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

390

7.3.2 Ripresa del problema dei numeri irrazionali

Già dall'esempio proposto relativamente all'ambito musicale si scorgeva un nuovo scenario nel momento in cui si mostrava che non per ogni intervallo c'è una media geometrica, o meglio non per ogni intervallo c'è una media geometrica esprimibile come rapporto tra interi. Nel caso del rapporto di ottava ci troviamo subito di fronte alla radice quadrata di 2, forse il primo e certamente il più famoso numero irrazionale comparso all'orizzonte della matematica greca.Nell'intreccio così caratteristico della problematica che stiamo trattando, di problematiche di ordine musicale, aritmetico e geometrico, la via teoretico-musicale verso la tematica dell'irrazionale ha una parte importante. Ma la ha soprattutto l'idea di media geometrica e i tentativi della sua applicazione.

Prima di andare oltre conviene operare alcune precisazioni terminologiche. All'irrazionale in greco ci si riferisce in vari modi. Di alogos si è già detto. Ma vi sono termini altrettanto significativi. In Cleonide (II-III sec. d. C.) (Za-noncelli, 1990), il razionale è detto retos ovvero "dicibile"; e il termine si contrappone ad alogos che per contrap-posizione potrebbe indicare l'"indicibilità". La spiegazione di Cleonide è comunque molto chiara perché i numeri "dicibili" sono gli intervalli di cui è possibile definire la misura comune di grandezza, mentre i non dicibili sono «gli intervalli che si scostano da queste grandezze per una misura non commensurabile». Per l'irrazionale del resto si parla talora senz'altro di arreton , ma questo termine non va assolutamente enfatizzato: l'indicibilità indica soltanto che non c'è un segno per indicare questo numero. Inoltre occorre richiamare l'attenzione sul fatto che l'indicibilità è volta al versante propriamente aritmetico, mentre il termine incommensurabile riguarda il versante geometrico. Esso si richiama all'assenza di una misura comune tra due grandezze, ad es. due segmenti. Questi tre termini hanno dunque significati leggermente differenti che sono tuttavia in relazione tra loro. Soprattutto occorre tenere presente l'importanza del problema della misura e la sua connessione con l'idea del rapporto insieme alla possibilità della sua seriazione (cfr. Michel, 1950, 413-4). Se prendiamo una serie di numeri fra i quali vi è identità di rapporto, ad esempio il successivo è il doppio del precedente :

2 4 8 16 32 ...

possiamo dire che il numero precedente misura il numero successivo. Così in generale di due numeri primi fra loro, messi in rapporto, come 9/8 possiamo dire che 1/8 è la misura comune, e dunque determinare 9 secondo quella misura. Oppure 8 può essere commisurato a 10 e formare un rapporto, attraverso il 2 che stabilisce le partizioni

Page 391: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

391

esatte degli interi corrispondenti. Se vi sono interi, vi è la possibi-lità del loro rapporto, e dunque anche la possibilità della commi-surazione. La media "proporzionale" o "geometrica" rappresentava una sorta di cartina di tornasole per la verifica della razionalità o dell'irrazionalità.

Ora dalla scoperta dei numeri irrazionali e di conseguenza, nel campo geometrico, di segmenti tra loro incommensurabili derivò, non tanto una crisi di una posizione filosofica o addirittura negli stu-di matematici in genere, quanto un nuovo impulso ad una ricerca in varie direzioni: si apriva infatti il problema di studiare le condizioni della commensurabilità (ciò trova una sua sintesi in Euclide, VIII, in particolare nelle prop. 11, 12, 18, 20), il trattamento degli incom-mensurabili (in particolare le tematiche relative ai possibili metodi di approssimazione), la tematica di reperire la media geometrica rispetto a segmenti qualsivoglia, e naturalmente anche quello di fornire dimostrazioni logiche adeguate di irrazionalità ovvero di incommensurabilità dal momento che, in presenza di procedure in-finitarie, ovviamente non avrebbe senso lasciare questa decisione all'empiria. Del resto siamo qui nel campo delle idealizzazioni sia aritmetiche che geometriche.

Vi è tuttavia una ulteriore circostanza su cui va attirata particolar-mente l'attenzione. Proprio i casi dell'ottava e dei rapporti epimori mostrava che vi erano operazioni il cui risultato non poteva esse-re espresso aritmeticamente in termini di rapporti tra interi. D’al-tra parte erano possibili costruzioni geometriche in cui, ad esempio, segmenti dimostrabilmente incommensurabili, avevano una loro esistenza effettiva e visibile, nel senso che erano entità geometri-che come tutte le altre: l'asse della ricerca si sposta dunque verso il versante geometrico.

Page 392: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

392

7.3.3 Duplicazione del quadrato e media geometrica

Questo spostamento può essere spiegato in termini piuttosto semplici con il famoso problema della dupli-cazione del quadrato proposta da Socrate allo schiavo nel Menone di Platone. Socrate, propone allo schiavo il quesito di costruire un quadrato di area doppia a quel-lo di lato 2 che lui stesso ha tracciato sul terreno.

Lo schiavo ritiene che la solutazione consista nel rad-doppio della lunghezza del lato, ma così facendo si ot-tiene un quadrato troppo grande essendo di area 16.

Lo schiavo propone di ridurre di una unità il lato del quadrato originario, portandolo al valore di 3. Ma an-che in questo caso il risultato non è raggiunto.

Infatti il quadrato ottenuto consta di nove quadrati, mentre deve constare di otto. Socrate interviene infine proponendo la soluzione. Si tratta del quadrato costru-ito sulla diagonale del quadrato dato. Così facendo si ottiene infatti un quadrato costituito da quattro triango-li eguali, mentre il quadrato originario è fatto di due triangoli eguali ai precedenti.

A B

C

D

fig. 1

fig. 2

fig. 3

fig. 4

Page 393: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

393

Con ciò si mostra anche qualche altra cosa:

«In realtà, quando i Greci scopersero che la diagonale di un quadrato era il segmento necessario per costrui-re un secondo quadrato avente due volte l’area di un quadrato dato, essi dovettero aver compreso nello stes-so tempo che essa rappresentava la media proporzionale tra un lato del quadrato ed una linea che era due volte più lunga di questo lato» (Sza-bò, 1978, p. 178)

In effetti tenedo presente il modo in cui è stata costruita la fig. 4 e ponendo AB=a, CB=b e DB = c vale la propor-zione secondo cui il lato del quadrato da raddoppiare (a) sta alla sua diagonale (b) come questa diagonale, che è lato del quadrato raddoppiato, sta alla diagonale di quest’ultimo (c), ovvero

a : b = b : c

Dunque b è media geometrica tra a=2 e c=4. Cosicché essendo b=√ 8 si presenta ancora la √2 nella forma

√ 8 = 2 √ 2

Si noti che qui il teorema di Pitagora non è implicato di-rettamente. Nemmeno potremmo dire che siano impli-cati particolari calcoli aritmetici, dal momento che tutto

si riduce alla costruzione della figura ed al conteggio dei quadrati o dei triangoli così introdotti. Non vi è di-mostrazione, ma esibizione di una figura. E certamente anche una riflessione sulla figura ed un’osservazione attenta delle sue proprietà, con l’occhio in parte attento alla figura visibile, in parte ai “ragionamenti” che essa suggerisce. In questa esibizione naturalmente il doppio di un segmento e il segmento stesso sono due indiscu-tibili "realtà" geometriche. Ma lo sono anche il doppio del quadrato dato, il suo lato e la sua diagonale.

Il concetto di media che stiamo discutendo comincia appunto ad assumere una consistenza sul piano della figura piuttosto che su quello del numero.

Poiché ci siamo trattenuti a lungo sui numeri figura-ti vorrei aggiungere, per mostrare la densità dei pro-blemi che vanno affiorando, che se noi prendiamo la successione dei numeri quadrati e quella dei numeri eteromechi, gli uni costruiti con gnomoni dispari e gli altri con gnomoni pari

quadrati 1 4 9 16 25... eteromechi 2 6 12 20 30...

ogni numero eteromeche è media geometrica tra il nu-mero quadrato precedente e quello successivo; e in-versamente due numeri eteromechi successivi hanno come media aritmetica il numero quadrato che è tra essi (Teone I, 16 - 1892. Cfr. Michel, 1950, p. 317).

Page 394: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

394

7.3.4 Media geometrica e il problema del tetragonismo

Sul problema della media geometrica e del reperimento di grandezze commensurabili o incommensurabili vorrei dedicare ancora un cenno al modo in cui la media geometrica interviene nel "tetragonismo". Tetragonon è il nome caratteristico del quadrato, e con tetragonismo si intende un problema specifico che potremo rendere con "quadra-tura del rettangolo". Si tratta infatti di trovare un quadrato che abbia la stessa area di un rettangolo dato. Szabò, che tratta a lungo di questo problema, sottolinea il fatto che la parola dynamis ha nei suoi impieghi matematici un signi-ficato affine indicando "il valore di quadrato di un rettangolo" (the value of the square of a rectangle) (p. 47) e che la nostra consuetudine di intendere l'elevare al quadrato come "elevare un numero alla seconda potenza" (dunque esclusivamente all'interno di un orientamento aritmeticamente orientato) può essere fuorviante.

Che ha a che vedere questo problema con la media geometrica e con tutto ciò che stiamo discutendo qui?

Rammentiamo ancora una volta che la media geometrica b tra due numeri a e c espressa nella proporzione a:b=b:c può essere espressa nella forma:

a * c = b2

Ci rendiamo subito conto allora che, fornendo ai numeri il senso di grandezze lineari, la media geometrica ci mette di fronte proprio al problema della quadratura del rettangolo. Infatti, essendo a e c lati di un rettangolo, il loro pro-dotto rappresenta la sua area che risulta eguale alla loro media geometrica b elevata al quadrato. In altri termini la media geometrica tra i lati del rettangolo, corrisponde al lato del quadrato ricercato. Ancora Szabò ci rammenta una netta risposta di Aristotele (Metafisica, 996b 18-21) che, alla domanda di che cosa sia il tetragonizzare. risponde brevemente che esso consiste nel «ritrovamento di una media proporzionale» (1978, p. 47).

Page 395: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

395

Naturalmente i lati del rettangolo in questione e il lato del quadrato di area corrispondente possono essere com-mensurabili. Ma anche non esserlo. E nulla toglie a questo proposito che riprendiamo anche qui il nostro esempio del rapporto del doppio, dove a=1 e c=2 per ritrovarci di fronte un quadrato di area pari a 2, che avrà ovviamente come lato la radice quadrata di 2. Ed anche in questo caso ribadiremo che grandezze tra loro incommensurabili possono essere costruite geometricamente.

Finalmente possiamo dare un'effettiva risposta domanda sulle ragioni per cui la media geometrica si chiama così: nonostante tutto, nonostante il fatto che con l'irrazionale/incommensurabile siamo entrati ormai nel regno delle idealizzazioni geometriche, il riferimento geometrico sembra essere più adeguato di quello aritmetico. Ciò spiega perché l'irrazionale aritmetico resti "senza nome", mentre l'incommensurabile geometrico è ritenuto ammissibile come se potesse avere una sorta di esistenza che cade sotto i nostri occhi.

«Pur non potendo assumere forma aritmetica la media geometrica tra 1 e 2 può essere tracciata, cioè rappresentata rigorosamente mediante una linea in una costruzione geometrica... Di qui il nome di media geometrica: essa può essere trovata per tutti i rapporti solo all'interno della disci-plina geometrica, e non aritmetica» (Crocker 1963, p. 327).

«È chiaro che la media geometrica non ricevette il suo nome finché i matematici non impararono a costruirla in un modo geometrico» (Szabò, 1978, p. 175).

Vogliamo ora ritornare su alcune considerazioni di carattere generale che riguardano nuovamente la musica, pro-priamente la teoria pitagorica della musica. Resta assodato che non vi fu un semplice rifiuto del numero senza nome, ma l’apertura di nuovi problemi che spostava l’asse del problema dal terreno aritmetico a quello geometrico. Ma noi dobbiamo comprendere a fondo il senso di questa problematica sul terreno musicale al di là di questo o quel risultato particolare. In ultima analisi restano dettagli anche i problemi che si vengono a creare con l’applicazione della media geometrica all’ottava o ai rapporti epimori se non si coglie l’effettiva posta in gioco.

7.3.5 Conseguenze sulla teoria pitagorica della musica

Page 396: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

396

La teoria aveva cominciato a muovere i suoi primi passi proprio di qui - dai rapporti consonantici fondamentali, ed ora, nel momento in cui ci si accinge al passo successivo che, come abbiamo già accennato dovrà essere, quello di una più fine suddivisione dell’ottava, si scopre che vi sono delle lacune tra gli uni e gli altri estremi degli intervalli: una teoria già fin dall'inizio orientata dall'idea dominante del logos, ovvero del rapporto, sarà portata ad escludere dal continuo dei suoni qualunque punto che sia "privo di logos", quindi sarà portata ad una concezione discreta della scalarità, ad accentuare il carattere di modello dei rapporti consonantici, ed in particolare di quegli inter-valli che hanno come corrispondente aritmetico un rapporto epimorio. Ed è proprio a questo punto che la teoria pitagorica comincia a prendere le distanze dal fatto uditivo-musicale e quindi dalla pratica musicale in genere. Persino le pratiche musicali al monocordo finiscono per essere risucchiate dal prevalere di questo punto di vista aritmetizzante. In certo senso, si è ormai sul punto di dimenticare un aspetto su cui abbiamo in precedenza tanto insistito: che il monocordo essere immagine di un segmento. Deve essere chiaro infatti quel luogo che per l'arit-metica "non ha un nome", è pur tuttavia un fatto acustico uditivo e come tale non ha "realtà" minore degli elementi geometrici costruiti in modo di cui sia dimostrabile l'incommensurabilità dell'uno rispetto all'altro. Comincia qui a intravvedersi l'azione di un conflitto che attraversa tutta la filosofia greca - il conflitto tra idealizzazione da un lato e approssimazione empirica dall'altra. Ma anche dire questo forse presenta diverse possibilità di equivoci e di frain-tendimenti. Anche le approssimazioni richiedono ragionamenti, calcoli, dimostrazioni, idealizzazioni. Un musicista, nelle sue pratiche esecutive concrete, non ha a che fare né con rapporti esatti né con rapporti approssimati. E sono ragioni di scelte musicali che decidono se una "posizione" dello spazio sonoro esiste o non esiste, se un intervallo è buono o cattivo.

La conseguenza più grave che comincia ora chiaramente ad intravvedersi è che la teoria pitagorica formula un'idea del tutto extramusicale dell'intervallo buono o cattivo, e dell'intervallo cattivo, che pur tuttavia ha una esistenza acu-stica concreta, decreta l'inesistenza attraverso un calcolo. E inversamente: attraverso un calcolo decreta l’esistenza e la bontà di un intervallo.

Ancora più chiaramente: le spiegazioni di Archita sui rapporti epimori sono ineccepibili. Straordinarie sono poi le vie aperte dalla media "proporzionale" nei campi dell'aritmetica e della geometria. Eppure, datemi un monocordo, ed io non stenterò a costruire un buon semitono - nel senso letterale e moderno del termine: un tono diviso in due. Ed a sottoporlo, non certo al giudizio dei vostri calcoli, ma a quello del vostro udito (Piana, 2003, p. 67-69).

Page 397: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

397

8. Discussione sulla cosiddetta “scala pitagorica”

Page 398: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

398

Page 399: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

399

8.1 Il problema della validità degli intervalli e della formazione della scala

8.1.1 La costruzione della scala attraverso le medie

8.1.2 Costruzione della "scala pitagorica" attraverso il ciclo delle quinte

8.2.6 Costruzione della “scala pitagorica” e metodi di accordatura

8.2.2 L’apotome

8.2.3 Il comma

8.2 Precisazioni e commenti

8.2.5 L’andamento discendente della scala

8.2.1 Tono e limma

8.2.4 Il calcolo pitagorico del comma come rapporto

8.3 Eccessi del matematismo pitagorico8.3.1 Il problema della consonanza di undicesima

8.3.2 La soluzione di Tolemeo e quella di Gaudenzio

8.3.3 I tentativi di costruire scale con rapporti epimori

Page 400: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

400

Page 401: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

401

8.1 Il problema della validità degli intervalli e della formazione della scala

8.1.1 La costruzione della scala attraverso le medie

Fino a questo punto abbiamo certo speso molte parole ma, se badiamo esclusivamente all'articolazione dell'ottava, in tutto e per tutto non abbiamo fatto altro che individuare tre intervalli significativi. Dobbiamo perciò procedere oltre interrogandoci sui modi di introdurre altri possibili intervalli. Ma ad una simile domanda non si dovrebbe ri-spondere andando semplicemente a vedere quali fossero gli intervalli in uso?

In realtà la questione è un poco più complessa. Occorre tener presente che esiste sempre una pratica musicale che precede la teoria. Del resto abbiamo sottolineato che le consonanze di quarta e di quinta non sono certo una scoperta del filosofo pitagorico. Il suo problema non era quello di una descrizione della pratica musicale, ma di una giustificazione di ordine intrinseco, che fosse anche accompagnata da una precisa determinazione quantitati-va. Si tratta di una posizione del tutto coerente in un quadro filosofico nel quale la musica veniva teorizzata come come disciplina scientifica affine all'aritmetica e specificamente dedicata allo studio dei rapporti. Come è noto, il raggruppamento che poneva la musica insieme alla geometria, l'aritmetica ed all’astronomia - il Quadrivium di cui si parlava nel Medioevo - era stato teorizzato anzitutto in Grecia.

Di conseguenza la ricerca non è rivolta all'intervallistica in genere, ma alla validità degli intervalli, e lo studio degli intervalli validi, in questo senso, poteva essere del tutto indipendente dagli intervalli eventualmente utilizzati nella pratica musicale. Si creò così una situazione che ha alcuni aspetti paradossali: da un lato i musicisti facevano, per dirla in breve, quello che volevano; ma anche i teorici spesso non erano da meno.

Del resto, le scale proposte dai teorici greci sono numerosissime, e molto spesso, e forse per lo più, non siamo in grado di stabilire quali scale siano da considerare come effettivamente praticate e quali come escogitazioni pura-mente teoriche.

Page 402: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

402

Nello stesso tempo sarebbe falso affermare che non ci fosse interrelazione tra i due campi. La posizione di Aristos-seno, che esamineremo in seguito e che propone una netta alternativa teorica rispetto al pitagorismo, era sicura-mente vicino alla realtà musicale più di quanto lo fosse la posizione pitagorica. D'altra parte anche Aristosseno si pone il problema delle scale "migliori" dal punto di vista teorico; e inversamente, i pitagorici, pur nella posizione generale che abbiamo prospettata, non perdono del tutto di vista la realtà e la pratica musicale.

Uno sguardo rivolto alla pratica musicale e una posizione di fondo che sostiene l'autonomia della teoria della mu-sica rispetto ad essa - questo duplice aspetto è molto chiaramente visibile nel modello più noto di scala pitagorica spesso indicato dai manuali come "scala pitagorica" tout court. Inoltre questa scala viene proposta nella versione diatonica e nella versione cromatica, come se si trattasse di una scala assai simile a quelle che ci sono familiari nel linguaggio della tonalità, con la sola differenza che essa avrebbe grandezze intervallari sue proprie e alcune peculiarità che riguardano la differenziazione tra note diesizzate e bemollizzate. Questo modo di presentare il problema è profondamente equivoco. La stessa dizione di “scala pitagorica” è erronea se riferita letteralmente alla teoria ed alla pratica musicale greca. Infatti una scala pitagorica in realtà non esiste. Ne esistono molte, sia all’interno dell’area del pitagorismo, sia all’esterno di essa. Ma il fatto di cui dobbiamo essere avvertiti fin dall’inizio è che per ogni tipo di scala dobbiamo ragionare in termini di suddivisione, non già dell’ottava, ma dell’intervallo di quarta. I greci parlavano della suddivisione del tetracordo e risultavano differenti suddivisioni dell’ottava secondo le dif-ferenti proposte di suddivisione del tetracordo. Per di più, tutta la tematica delle scale greche deve essere trattata all’interno della teoria dei generi.

Nulla di tutto ciò può comparire se parliamo di "scala pitagorica" e ne andiamo elencando gli intervalli. Tuttavia quando i manuali riportano la dizione di scala pitagorica e ne parlano in quel modo, non hanno hanno tutti i torti se non altro dal punto di vista della tradizione storica. Infatti questa scala diventa preminente nella tarda grecità e viene ereditata dal Medioevo fino all'età moderna come scala pitagorica tout court.

Tuttavia, una volta fatta questa premessa, credo si possa senza equivoci parlare di “scala pitagorica” - sia pure fra vigolette - traendone vantaggi di comprensibilità per i nostri sviluppi successivi. Ma dobbiamo considerare quanto segue non più che una sorta di introduzione alla problematica della scalarità che verrà in seguito tratteggiata più correttamente alla luce della teoria dei generi e della scelta del tetracordo come spazio sonoro fondamentale.

Page 403: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

403

Parlando delle medie, abbiamo fatto notare che nella prospettiva del pitagorismo si tende ad effettuare un ro-vesciamento della situazione a favore del lato aritmetico-matematico. In fin dei conti la scoperta della "proporzione babilonese" autorizza a pensare che la quarta e la quinta siano deducibili dall'intervallo di ottava. E non c'è dubbio che questa circostanza stimola il pensiero pitagorico in direzione dell’escogitazione di una qualche procedura di deduzione anche per ogni altro intervallo. Quindi si pen-sa a dei metodi possibili, che sono nello stesso tempo an-che metodi di legittimazione.

Vi è subito un pensiero che in certo senso si impone da sé. Perché non adottare il metodo delle medie anche per determinare le altre posizioni "valide" all'interno dell'ottava? Avremmo così un’articolazione tutta determinata da una metodologia omogenea, puramente aritmetica e fondata sui rapporti consonantici originari.

Questa possibilità è dimostrata da un esempio molto semplice. Sappiamo già che 2/3 è media armonica dell’ottava 1 e 1/2. Potrebbe essere una buona idea assumere questo valore come estremo e come altro estremo la sua metà, ovvero 1/3 - rammentando che a corda più corta corrisponde suono più acuto. La corda suddivisa per due risuona all’ottava superiore della corda non suddivisa.Se ora realizziamo la media armonica tra (2/3, 1/3) otteniamo il valore di 4/9. Dobbiamo ora stabilire se questo va-lore rientra nell'ottava che vogliamo suddividere. Questa ottava è compresa tra 1 e 1/2 e il rapporto ottenuto deve essere tale che il suo numeratore sia maggiore della metà del denominatore. Se è minore della metà del denomi-natore, è minore di 1/2, ed in tal caso il rapporto andrà moltiplicato per 2 per rientrare nell'ottava. Quest’ultimo è appunto il caso di 4/9 e dunque si ottiene il primo valore valido con 4/9 * 2 = 8/9.

Suppongo che qualcuno, di fronte alla regola or ora enunciata, abbia quella singolare sensazione di imbarazzo che talora si manifesta di fronte a formulazioni simili. Donde viene? Perché mai le cose stanno così? In questi casi con-viene, se è possibile, rammentarsi del significato di contesto nella quale la pura e semplice formula aritmetica è inserita. In realtà per comprendere la regola indicata basterà rammentarsi di ciò che rappresentano numeratore e

Page 404: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

404

denominatore rispetto al problema dell’intero e delle parti - e nello stesso tempo della lunghezza delle corde che il rapporto rappresenta. La metà del denominatore rappresenta sempre la metà dell’intero, quale che sia l’unità di misura prescelta ovvero il numero di parti in cui l’intero è stato diviso. E una corda che sia inferiore a metà dell’in-tero risuonerà più acuta dell’estremo acuto dell’ottava di riferimento. Potremmo rappresentare l’intero problema con la seguente figura:

A questo punto non si fa altro che iterare la procedura. Poiché 4/9 è in rapporto di ottava con 8/9 si fa, come in pre-cedenza, la media armonica tra questi due valori (9/8, 4/9) =16/27. Qui 16 è maggiore della metà di 27, e dunque rientra nell'ottava. Si otterrà l'ottava all'acuto di questo valore attraverso divisione per 2 e la media armonica sarà questa volta tra (16/27, 8/27)=32/81. Questo rapporto non rientra nell'ottava per la ragione spiegata e quindi mol-tiplicheremo questo valore per 2, ottenendo nello stesso tempo l'ottava di cui calcolare la media armonica che sarà fra (64/81,32/81) = 128/243. I valori ottenuti sono ora 8/9, 16/27, 64/81, 128/243 in cui vanno inseriti 1, 3/4, 2/3, 1/2 al punto giusto.

1 8/9 64/81 3/4 2/3 16/27 128/243 1/2

11/2

9

4/9

9/2

4/9 X 2

Page 405: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

405

Naturalmente è possibile anche proporre i rapporti in forma inversa come è consuetudine fare.

1 9/8 81/64 4/3 3/2 27/16 243/128 2

Il punto che preme maggiormente mettere in evidenza è, ancora una volta, l'adozione di una procedura ricorsiva. Ignorare l'importanza della ricorsione per il pitagorismo significa non soltanto precludersi la comprensione della matematica pitagorica, ma anche la teoria della musica ad essa connessa. La media armonica viene iterativamente applicata al risultato dell'applicazione precedente. Inoltre ciò che doveva certo apparire seducente è che un unico tipo di operazione sta alla base di questa articolazione scalare, e si tratta di quel tipo di operazione dalla quale ri-sultavano anche i rapporti consonantici fondamentali di quarta e di quinta.

Naturalmente l'operare con le frazioni persino per noi che la sappiamo molto più lunga dei matematici pitagorici può essere particolarmente faticoso. Il risultato finale può dunque assai più chiaramente espresso in cents. La pre-cedente struttura scalare si presenta nel modo seguente:

0, 203.914, 407.829, 498.056, 701.97, 905.885, 1109.8, 1200.03

E per arrotondamento:

0, 204, 408, 498, 702, 906, 1110, 1200

Così sembra tutto più chiaro. e naturalmente possiamo fare un confronto diretto con la nostra scala diatonica tem-perata. Tuttavia volendo mostrare come il problema delle medie intervenga nella determinazione della scala non potevamo certo usare questa unità di misura, ma dovevamo far ricorso necessariamente ai rapporti.

Page 406: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

406

8.1.2 Costruzione della "scala pitagorica" attraverso il ciclo delle quinte

Nella manualistica corrente, qualora si addivenga a parlare della scala pitagorica, non si seguirà certo la lunga via delle medie. Si parlerà piuttosto di una scala ottenuta attraverso il "ciclo delle quinte". L'iterazione delle medie armoniche nella forma che abbiamo illustrato equivale in effetti a costruire una concatenazione di quinte. Per re-stare ancora sul terreno dell’aritmetica, e con le nozioni che oggi ci sono note, questo problema può essere anche posto come costruzione di una progressione geometrica di ragione 2/3 ovvero di una progressione che sarà caratterizzata dalla funzione espo-nenziale

2/3x

con x che varia sui numeri naturali. Avremo così la progressione dei rapporti

2/3, 4/9, 8/27, 16/81, 32/243 ....

Dal punto di vista intervallare, questo è naturalmente un ciclo di quinte, cioè una suc-cessione ascendente da quinta a quinta. Risulta poi subito, per le ragioni spiegate poco fa, che dopo il primo elemento 2/3, tutti gli altri andranno ridotti entro l'ottava attraverso una moltiplicazione per due, eventualmente iterata secondo necessità.

Di conseguenza avremo una successione che sarà identica a quella ottenuta con il calcolo delle media una volta che si siano aggiunti 1, 1/2, 3/4 e si siano disposti gli in-tervalli in ordine progressivo (operazione naturalmente non facile da fare “a vista”).

1 8/9 64/81 3/4 2/3 16/27 128/243 1/2

Questa volta, a differenza del caso precedente, la procedura può essere mostrata im-piegando i cents, e le cose si semplificano. Anzitutto si opererà per addizioni succes-sive di 702, che è il valore espresso in cents di 2/3.

Page 407: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

407

Si avrà così ovviamente la successione

702, 1404, 2106, 2808, 3510...

Tutti i valori che superano 1200 debbono essere ridotti all'interno di questa cifra, così dovremo operare le diffe-renze opportune ottenendo

702, 204, 906, 408, 1110

che andranno opportunamente riordinati e integrati dal primo elemento (0), dalla quarta (498) e dall’ottava (1200)

0, 204, 408, 498, 702, 906, 1110, 1200

Per dare risalto alla ricorsività della procedura per la formazione della successione potremmo forse proporre la funzione generatrice nella forma che segue:

La prima linea rappresenta il valore iniziale di x e dunque il primo elemento della serie e la seconda la struttura della ricorsione nella quale si mostra con chiarezza che l'operazione indicata agisce sul risultato dell'applicazione dell'operazione precedente. Naturalmente tra intervallo e intervallo la successione risulta essere la seguente:

204 204 90 204 204 204 90

x = 2/3x= x * 2/3

x = 702x = x + 702ovvero

Page 408: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

408

8.2 Precisazioni e commenti

Naturalmente sono ora necessarie varie precisazioni, che richiedono anche l’introduzione di nuovi concetti. In analogia con la nostra scala maggiore corrente (ma come vedremo questa analogia nasconde molti equivoci), essa consta di cinque toni e due semitoni che differiscono per la loro grandezza dal sistema temperato nel quale il tono è pari a 200 cents e il semitono a 100 cents. Anche in greco vi è la parola tonos, tra l’altro con una molteplicità di sensi che è propria degli usi moderni: in particolare va almeno richiamata l’attenzione che questa parola può si-gnificare due nozioni del tutto eterogenee tra loro: una grandezza intervallare - come nel contesto attuale - oppure l’altezza di un suono. Alla voce Tonos del dizionario Grove, firmata da Mathiesen, si legge:

«Termine con vari significati nella tradizione della teoria della musica della Grecia antica. Esso può riferirsi all’altezza (tasis), ad una nota (ftongos), alla grandezza di un intervallo (diastema) oppure ad un ‘modo scalare’ (tropos systematikos)»

Anche la parola semitono esiste, in calco letterale, in greco, ma il termine più proprio nel contesto della problema-tica pitagorica è quello di limma (leimma), che è nettamente preferibile al precedente proprio perché non implica l’idea della “metà di un tono”. Il senso letterale di limma è poi significativo. Si noti anzitutto come questo intervallo non viene introdotto come una semplice suddivisione del tono: esso sorge invece da una suddivisione sistemati-ca dell’ottava. Quando tutta questa problematica verrà riveduta e corretta assumendo il tetracordo come nozione centrale del concetto di spazio sonoro nella teoria della musica greca, diventerà invece ancora più evidente il si-gnificato letterale di limma: resto, avanzo. In effetti il limma puà essere semplicemente proposto come resto della differenza tra l’intervallo di quarta e i due toni iniziali. Il conteggio in cents rende la cosa evidente (498-408=90). I pitagorici avevano comunque calcolato questa “differenza” in termini frazionari determinando il valore del limma come 256/243. Questo rapporto non è affatto banale da determinare, e tanto meno lo è con il monocordo. Abbiamo già notato che, quanto alla precisa misurazione dei rapporti intervallari, con il monocordo non si va molto lontano, proprio perché si tratta di una misurazione empirica che non può certo essere sensibile alla differenze più fini. Fatti i primi passi il monocordo continuerà a rivestire un carattere emblematico nella tradizione teorica europea ma il suo impiego pratico dovrà, è il caso di dire, fare i conti con la determinazione dei rapporti intervallare attraverso i calcoli.

8.2.1 Tono e limma

Page 409: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

409

Ora i calcoli con le frazioni intese come rappresentative di intervalli sono ovvie per noi. Sappiamo che pe “somma-re” due intervalli occorrerà moltiplicare i rapporti corrispondenti; e occorrerà dividerli l’uno per l’altro per effet-tuare la loro differenza. Procedendo in questo modo si perviene in un battibaleno al valore del limma essendo

Ma i pitagorici non procedevano così ed avevano escogitato vari metodi per venire a capo di questo tipo di cal-coli. Nel caso in questione (ma la procedura aveva carattere generale in casi analoghi) si trattava di determinare il rapporto 3/4 con due numeri interi che si trovassero tra loro in quel rapporto e che fossero abbastanza grandi da contenere i numeri interi rappresentativi di due intervalli di 9/8. Il primo numero venire costruito a partire da 8*8=64. Moltiplicando per 3 questo numero si ottiene 192 e moltiplicandolo per 4 il numero 256. Perciò i numeri 256 e 192 stanno dunque tra loro nel rapporto di 4/3 e sono rappresentativi dell’intervallo di quarta. Dopo di ciò si tratta soltanto di determinare i numeri intermedi. È chiaro che il numero successivo di 192 sarà 1/8 maggiore di esso perché deve trovarsi con esso nel rapporto di 9/8, e così il seguente rispetto al precedente. Abbiamo così la successione di numeri interi

192 216 243 256

e poiché tra i primi tre numeri vale il rapporto 9/8, il resto è rappresentato da 256/243.

98988164

43:

8164

256243

192 216 243 256

4/3

9/89/8 256/243

Page 410: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

410

Ho voluto indugiare un poco su questi aspetti di calcolo numerico perché essi esemplificano alcuni dei tratti del modo di approccio dei pitagorici che in precedenza abbiamo già messo in evidenza. L’idea soggiacente al me-todo, ad esempio, sembra essere ancora quella di tentare quella che abbiamo chiamato “linearizzazione” del rap-porto, sia pure impiegato in modo peculiare, con l’intento di realizzare un calcolo frazionario che realizzi risultati complessi fondandosi in buona parte su numeri interi. Ricompare qui soprattutto l’idea degli oroi di un rapporto, ovvero dei suoi estremi che richiamano alla mente gli estremi di un segmento, così come l’impieo di numeri interi che potrebbero rappresentare misure di lunghezze. Ma vi sono altri aspetti su cui tra breve ritorneremo fornendo qualche indicazione aggiuntiva.

8.2.2 L’apotome

Se noi apriamo un testo di teoria musicale che parli della cosiddetta scala "pitagorica", presumibilmente trovere-mo alcune considerazioni relative al ciclo delle quinte - e poi la proposta di una tabella ottenuta attraverso il ciclo che presenta in un colpo non soltanto le nostre note principali, con i nomi di tradizione europea do, re, mi ecc., ma anche tutte le diesizzazioni e bemollizzazioni corrispondenti. Talvolta ci viene proposta una tavola con l'esatta in-dicazione del rapporto intervallare in forma frazionaria ed eventualmente in forma decimale e in cents - facendo supporre o dichiarando esplicitamente che non vi è solo una scala diatonica pitagorica, ma anche una scala cro-matica in un'accezione affine a quella che ben conosciamo. Si pongono insomma le cose come se i greci avessero i loro tasti neri e i tasti bianchi, solo con una diversa accordatura - e con la peculiarità di avere tasti neri molto più numerosi dei nostri. Anche in rapporto a questa pretesa scala "cromatica" si fa riferimento al "ciclo delle quinte" andando nella catena delle quinte al di là del quarto passo al quale noi ci siamo arrestati.

In realtà non è possibile in questa sede entrare veramente nel merito delle confusioni che intervengono qui e che in realtà dipendono anche, in larga parte, da equivoci attinenti all'impiego moderno dei termini come diatonico e cromatico ma anche da posizioni poco chiare sul senso musicale generale di ciò che va sotto il nome di "croma-tismo" oltre che sugli equivoci generali sulla cosiddetta “scala pitagorica” su cui abbiamo già richiamato l’atten-zione all’inizio (cfr. Piana, 2003 e 2004). Ciò che ora va detto è che il discorso sulla scalarità non prosegue nella direzione di un'ipotetica scala cromatica pitagorica: è necessario invece spendere qualche parola sulla nozione di trasposizione e sulla nozione pitagorica ad essa strettamente connessa di apotome.

Page 411: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

411

La nozione di traposizione è naturalmente una nozione musicale generale. Si ha trasposizione quando uno stessa sequenza di intervalli viene riportata in una regione più grave o più acuta senza variazione della grandezza e della direzione degli intervalli. La variazione riguarda dunque soltanto l'altezza. Ora può accadere che, al fine di man-tenere l'identità della grandezza intervallare, un suono debba essere alterato, ovvero l'intervallo corrispondente debba essere incrementato o decrementato (oggi parleremmo di diesizzazione e bemollizzazione). Ad esempio, nel trasporre, può essere che in una determinata posizione in luogo di un tono compaia un semitono oppure che in luogo di un semitono compaia un tono. Di conseguenza il semitono dovrà essere “alzato” sino al tono e, nel caso inverso, il tono dovrà abbassato sino al semitono. Tenendo presente che il semitono (limma) di cui qui parliamo è pari a 90 cents e il tono è pari a 204 cents l’incremento del semitono o inversamente il decremento del tono è pari a 114 cents (204-90). Questo valore di 114 cents equivale alla differenza tra tono e semitono (limma) e viene chiamato apotome e non è da considerare come un intervallo vero e proprio, ma un puro valore incrementale o decrementa-le. In effetti esso non compare come intervallo nella trasposizione. Come è ovvio.

Tutto ciò può essere sintetizzato come segue:

90

90

0+114

0 204

204-114

(do) (do#)

(re)(re b)

Page 412: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

412

Si badi alla direzione delle frecce: si comprenderà allora che non si tratterà della divisione di un tono (204) in due parti, ed ancor meno si potrà dire, come talvolta si legge, che nella “scala cromatica” pitagorica il bemolle precede il diesis. Del resto parlare di scala cromatica nel caso della scala pitagorica facendo riferimento all'apotome non ha semplicemente senso, anche se molti parlano dell'apotome come semitono cromatico per distinguerlo dal limma come semitono diatonico. Si tratta di una dizione equivoca che ricalca il nostro modello scalare. L'apotome non è un'alterazione cromatica, ma una alterazione per scopi di trasposizione (cfr. Piana, p. 25 sgg. 2004). Una problemati-ca di scala cromatica in senso in qualche modo prossimo all'accezione moderna non sorge sul terreno della teoria greca della musica, ma soltanto a partire dagli impieghi in epoca molto più tarda, dal medioevo in poi.

Anche in questo caso i pitagorici riuscirono a determinare calcolisticamente il rapporto di apotome che è pari a 2187/2048, risultato apparentemente sorprendente se non si ricorre al calcolo frazionario consueto. Facile invece da ottenere con il metodo già sommariamente illustrato per la determinazione del limma. L’intervallo di cui si deb-bono considerare gli estremi è ora l’intervallo di 9/8 e il dato noto è il rapporto del limma di 256/243. Per ottenere i numeri interi che ci interessano si moltiplicherà anzitutto 243 e 8 ottenendo 1944, che rappresenta l’estremo ini-ziale dell’intervallo; per ottenere l’estremo finale basterà aggiungere a questa cifra 1/8 di essa ovvero 1944 + 243 = 2187 o, che lo stesso, moltiplicare 243 * 9. Il valore intermedio che ci porta al risultato finale si ottiene semplice-mente moltiplicando 256 * 8 = 2048, dovendo i primi due numeri essere nel rapporto 256/243.

1944 2048 2187

9/8

2187/2048256/243

Page 413: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

413

Ciò che abbiamo detto or ora sull'apotome ci consente di introdurre in un battibaleno una nozione che è in realtà piuttosto complicata, o meglio: essa ha generato complicazioni su complicazioni ed è stata una vera croce della "scala pitagorica" determinandone in tempi moderni il suo declino. Si tratta del cosiddetto comma pitagorico. Come lo definiremmo in due parole? Ancora mediante una semplice differenza. Il comma è la differenza tra l'apo-tome e il limma:

comma pitagorico = 114 -90 = 24 cents

Ma qual'è l'origine di questo valore intervallare e quale il suo interesse? Perché esso assume in certo senso, come abbiamo detto or ora, un significato critico rispetto alla stessa struttura scalare che stiamo discutendo? In realtà, nella nostra esposizione abbiamo tenuto ancora nascosto un problema che crea sconcerto all'interno di questa costruzione che sembra, a tutta prima, assai bene ordinata. Come abbiamo visto essa si può pensare costruita attraverso le medie o il ciclo delle quinte. Naturalmente per noi la via più facile è quella di fare riferimento al ciclo delle quinte facendo uso, come in precedenza, dei valori intervallari espressi in cents. Ora si sarà notato che ci siamo limitati a iterare i cicli fino a quando non avevamo ottenuto la sequenza di sette note nelle posizioni che abbiamo precentemente indicato, ed anzi le note effettivamente dedotte attraverso questo andamento ciclico, secondo la nostra esposizione si riducevano a cinque - dal momento che il nostro punto di arrivo era 1110 cents. A queste posizioni aggiungevamo appunto l’intervallo di quarta, in certo senso come intervallo già riconosciuto come appartenente alla divisione dell’ottava. In effetti se dovessimo procedere oltre la nuova nota ottenuta non sarebbe 498, ma 612 ovvero la nuova nota ottenuta si trova una apotome al di sopra della quarta. Ciò del resto lo si può verificare anche ripartendo da 1110 (infatti 1110+702-1200=612). E non è certo difficile verificare che il valore successivo sarà 114 (essendo 612+702-1200=114).

8.2.3 Il comma pitagorico

Questi passi ulteriori mostrano che se continuiamo ad operare con il ciclo delle quinte facendo le necessarie ri-duzioni di ottava possiamo ottenere non solo tutte le note diatoniche ma anche tutte le alterazioni di trasposizione ascendenti e discendenti. Ma occorre prendere alcuni accorgimenti affinché questo risultato venga ottenuto: par-tendo dalla nota iniziale (0) si addizionera successivamente il valore di 702, ottenendo tutte le alterazioni ascen-denti, ma questa procedura dovrà essere interrotta al dodicesimo ciclo e ripresa da capo a partire dalla nota ini-ziale (0) nella direzione inversa - cioè sottraendo successivamente il valore 702 - sempre facendo le operazioni di riconduzione del valore ottenuto entro l’ottava 0,1200.

Page 414: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

414

In realtà non è per noi necessario entrare nei dettagli. Il vero problema sta infatti nella ragione di questi “accorgi-menti”. Perché si deve fare una interruzione al dodicesimo ciclo e ricominciare da capo nella direzione inversa? La cosa appare priva di una necessità intrinseca e manifestare una sorta di falla nel sistema, che in effetti c’è. Una procedura ricorsiva non la posso interrompere a piacere dove voglio. È interessante tuttavia notare un caso specia-le che si può verificare in una ricorsione. Se in essa si ottengono successivamente i valori A, B, C, D e poi ancora A allora si può essere certi che la prosecuzione genererà ancora B, C, D, e poi ancora A indefinitamente. Ciò natural-mente dipende dal fatto che l’operazione generatrice della successione si applica al risultato di un’applicazione precedente. Con A si è raggiunto quello che talora viene chiamato “punto fisso” - il processo è in questo senso terminato nel senso che non è in grado di produrre nulla di nuovo.

Ora il problema è che se la catena delle quinte procedendo sempre in direzione ascendente con le opportune riduzioni, raggiungesse prima o poi il valore di 1200 che con una sottrazione di 1200 ci riporterebbe a 0, non avrebbe più senso continuare il ciclo delle quinte e il numero delle note e l’intervallistica corrispondente sarebbe rigorosamente chiusa e con caratteristiche forti di necessità intrinseca. Io credo che si comprenda quanto una simile situazione renderebbe pregnante questo tipo di suddivisione. Agli intervalli ritrovati non se ne potrebbe aggiun-gere nemmeno uno, se non in modo del tutto arbitrario, al di fuori della regola che produce tutti gli altri intervalli - e questi riceverebbero la caratteristica della più ferrea necessità. La chiusura dell’iterazione potrebbe essere il coro-namento dell’idea guida del pitgorismo che si orienta fin dall’inizio alla ricerca di un tipo di divisione dello spazio sonoro che sia intrinsecamente giustificata e corrispondente ad una sua legge essenziale interna.

Ed invece ciò non accade, perché al dodicesimo ciclo ci imbattiamo, una volta effettuate le riduzioni necessarie, nel numero 1224, che supera dunque di un comma l’ottava. A questo punto continuando la procedura si aprirerebbe una spirale che produrrebbe posizioni sempre nuove nell’ottava: essa diventerebbe così sempre più densa. Debbo avvertire il lettore che qui mi servo di qualche semplificazione che non incide sull’essenza del problema poiché i valori in cents così come li stiamo usando sono arrotondati e ciò non può non avere conseguenze sulla correttezza dei calcoli. Ma a parte queste semplificazioni, la natura della questione introdotta dal comma pitagorico è chiara. Il ciclo è una spirale in via di principio infinita e la sua prosecuzione porterebbe a cancellare la suddivisione dell’ot-tava legittimando qualunque posizione al suo interno. Non vi potrebbe essere fallimento più clamoroso del punto di vista pitagorico. Questo risultato è del resto dovuto ad un fatto strettamente matematico: la successione delle ottave è una successione con ragione 2, la successione delle quinte è una successione con ragione 3/2: che un membro dell’una coincida con un membro dell’altra è impossibile matematicamente.

Page 415: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

415

Vorrei ancora aggiungere, a proposito della “grandezza” del comma, un ultimo appunto che si ricollega al calco-lo frazionario di cui abbiao in precedenza discorso a proposito del limma e dell’apotome. Si fa presto a dire “24 cents”! Ma i pitagorici calcolarono anche questa grandezza individuando correttamente un rapporto pari, niente di meno, che a 531.441/524.288. Questo risultato è stato ottenuto di parte pitagorica per confutare la tesi degli ari-stossenici, che discuteremo in seguito, i quali che sostenevano che l’ottava constando di cinque toni e due semitoni misurava esattamente sei toni. La controprova pitagorica intende allora dimostrare che, assumendo il tono come al solito a 9/8, sei toni eccedono l’ottava di quella frazione che corrisponde appunto a 24 cents. La procedura, come sappiamo consiste nell’assumere due numeri interi in rapporto di ottava e due numeri costruiti pezzo a pezzo con 6 toni, misurando l’eccedenza conseguente. Si procede allora assumendo come estremo iniziale 262.264. Subito si avrà come estremo finale nel caso dell’ottava 262.264*2= 524.288. Il problema della misurazione dei 9/8 in succes-sione a partire da 262.264 non è difficile da risolvere, dal momento che sappiamo che il numero successivo rispetto al precedente dovrà “misurare” 1/8 in più del precedente. Abbiamo dunque la seguente successione:

262264, 294912, 331776, 373248,419904, 472392, 531.441

L’ultimo numero eccede il valore rappresentativo dell’ottava e la eccede nel rapporto 531441/524288.

8.2.4 Il calcolo pitagorico del comma come rapporto

9/89/8

262144

524288

294912 331776 373248 419904 472392 531441

262144

9/89/89/89/8

2

Page 416: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

416

Qualcuno probabilmente chiederà: tutti i conti tornano, ma come fai a stabilire il termine iniziale della serie da cui poi tutto dipende? Non potrai certo andare a tentoni o per prove ed errori. In effetti qui diventa evidente un proble-ma che in precedenza è rimasto un poco in ombra. A quel valore si perviene creando una successione geometrica la cui ragione è 8, in sei passi, essendo sei gli intervalli da considerare. Si ha dunque la successione 8, 64, 512, 4096, 32768, 262144. Quest’ultimo valore sarà l’estremo iniziale di una nuova successione in cui ogni valore è maggiore di 1/8 del precedenteAssume qui particolare evidenza l’impronta caratteristica della matematica pitagorica - che era già tipico della problematica dei numeri figurati che qui può essere indubbiamente richiamata. Non certo per via della designa-zione dei numeri mediante punti, ma per l’idea di una accumulazione ricorsiva rappresentata dallo gnomone, oltre che, in coerenza con tutto ciò, dalla rappresentazione tabellare dei rapporti. Su questo esempio ci possiamo rende-re conto che le nostre singolari considerazioni sulla “tabellina pitagorica” non erano fatte a caso e che una forma mentis orientata da queste idee poteva guardare abbastanza lontano.

Da questo punto di vista il nostro grafico non è troppo soddisfacente, dimostra troppo poco. Crocker (1963, p. 196) ha invece proposto una disposizione tabellare che mostra, a mio avviso, quanto sia presente anche qui la forma mentis che presiede alla concezione dei numeri figurati.

Page 417: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

417

Noi ci siamo limitati a prendere in considerazione la prima riga orizzontale e l’ultima colonna verticale, oltre che l’intervallo di ottava qui indicato in parentesi. In questa tabellina si fa molto di più. Si costruisce una “matrice” di sei righe e sei colonne (numero delle parti da considerare). Tutte le righe orizzontali sono formate da numeri ognu-no dei quali risulta dal precedente moltiplicato per otto. Le prime due righe iniziano con i numeri che sono estremi del rapporto (8 e 9). In questo modo in diagonale si generano successioni di numeri ognuno dei quali risulta dal precedente moltiplicato per 9. In questo modo si generano anche la terza, quarta, quinta e sesta riga. I numeri di ogni colonna sono tali per cui si trovano nel rapporto di 9/8 con il numero sovraordinato e naturalmente di 8/9 con il numero sottordinato. Considerando questa tabellina, i valori dell’ultima colonna invece di essere calcolati come abbiamo fatto noi con l’aggiunta di 1/8 rispetto al numero precedente, risultano direttamente dalle serie orizzontali al sesto passo oppure dalle serie diagonali. Inutile dire che in questa disposizione il risultato complessivo della somma di sei toni di 9/8 ha la forma di uno gnomone.

Page 418: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

418

Usando per il tono pitagorico la lettera T e per il semitono ovvero limma la lettera S, la nostra scala sarebbe rap-presentata ovviamente dalla sequenza:

T T S T T T S

Qualcuno potrebbe commentare: ecco il nostro modo maggiore! sia pure con le piccole variazioni nella grandezza degli intervalli sulla quale non è più necessario d'ora in avanti attirare l'attenzione. Se questo fosse il nostro com-mento commetteremmo un errore piuttosto grossolano. Di fatto talvolta le scale greche vengono presentate come se procedessero dal grave verso l'acuto nel modo che ci è familiare, ed in tal caso certo, se così fosse, gli intervalli sarebbero proprio quella della nostra tonalità standard Do-do con gradi non alterati. Questo errore è probabilmen-te stato determinato dal fatto che naturalmente anche le scale greche hanno un'andata e un ritorno, e talora i teorici greci stessi indicano una scala dal grave all'acuto, sottintendendo sempre che per essi l'andamento fondamentale restava dall'acuto al grave. Questo stesso sottinteso sta anche in quei teorici moderni (come Munro, Landels o Ma-thiesen) che continuano a proporre strutture scalari in forma ascendente, cosa comunque sconsigliabile per gli equivoci che può indurre ed anche perché rende più faticosa la lettura della struttura. La questione è importante perché chiarisce che non si tratta affatto del nostro modo maggiore. Nei termini della nostra scrittura musicale in-fatti essa sarebbe rappresentata come segue:

8.2.5 L’andamento discendente della struttura intervallare

Se non vogliamo usare le alterazioni la stessa sequenza intervallare è rappresentata dal “modo di mi”:

Page 419: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

419

8.2.6 Costruzione della “scala pitagorica” e metodi di accordatura

Abbiamo già accennato al fatto che, da un lato, vi è da parte pitagorica l'interesse alla costruzione di una scala integralmente fondata sul calcolo, dall'altro vi è anche uno sguardo rivolto in direzione di una proble-matica direttamente musicale, e precisamente in dire-zione delle pratiche di accordatura degli strumenti a corda. Ciò che rende realmente interessante l'intera tematica è proprio l'esistenza di queste connessioni. Ancora una volta abbiamo qui un bell'esempio di stret-ta relazione tra un fatto meramente tecnico-pratico che riguarda l’accordatura di uno strumento ed un insie-me di considerazioni di carattere teorico e filosofico.

Le pratiche di accordatura di strumenti a corda si ser-vivano certamente in primo luogo dei rapporti conso-nantici - quindi dell'ottava, della quarta e della quinta. E poi si poneva lo stesso problema che abbiamo già enunciato. Volendo disporre di una maggiore articola-zione della scala, riflessione teorica e pratica musicale sembrano fino ad un certo punto incontrarsi sull'impie-go degli intervalli "sinfonici" al fine di ottenere inter-valli validi. Eccoci dunque a maneggiare con la lira realizzando un'accordatura per rapporti consonantici, e lasciando da parte medie e cicli. Ma fino a che punto lasciamo veramente da parte tutto ciò? Effettivamente nell'accordare lo strumento non si fanno calcoli, ma le procedure messe in campo potrebbero essere consi-derate come una sorta di loro equivalente.

Page 420: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

420

E’ appena il caso di dire che le pratiche di accordatu-ra - e facciamo qui riferimento soltanto agli strumenti a corda - furono molteplici ed anche orientate secondo finalità differenti. Intanto il numero di corde della lira aumentò nel tempo - quattro, sette, otto ed ancor più; ma anche gli schemi melodici prevalenti nelle diverse occasioni poterono giocarono un ruolo nel determina-re questo o quel modo di accordare lo strumento. Tut-tavia se supponiamo di dover accordare una lira ad otto corde, possiamo, sulla base delle considerazioni fin qui compiute, farne oggetto di un ragionamento puramen-te teorico che comunque raggiunge lo scopo pratico dell’accordatura voluta. Che è poi quella della scala pi-tagorica TTSTTTS nella forma discendente or ora illu-strata. Per chiarezza, e dal momento che non reca alcun danno, ci serviremo dei nomi delle nostre note e del modo di mi. Risulta subito piuttosto naturale scegliere le due corde estreme, l’una destra e l’altra a sinistra, come delimitanti l’ottava: supponiamo che quella di sinistra debba essere la nota di riferimento più grave (I) (mi), la accorderemo secondo le nostre esigenze e si potrà subito accordare la nota più a destra in ottava acuta ri-spetto ad essa (VIII) (mi’). L’impalcatura fondamentale dell’ottava è subito ottenuta perchè potrò accordare la quinta corda dalla I in intervallo di quinta ascendente con essa (si) e la quinta corda dalla VIII in intervallo di quinta discendente (la) ottenendo così le due conso-nanze fondamentali di quarta e di quinta. Ora, avendo a disposizione otto corde non possiamo certo procedere per quinte successive e compiere riduzioni di ottava, ma dobbiamo stare sempre all’interno dell’ottava che

abbiamo già individuato. Cosicché ci rammentiamo di un dato di un dato teorico di particolare importanza che è quella della complementarità degli intervalli di quarta e quinta nell’ottava, cosa che stabilisce una equi-valenza tra quinta ascendente e quarta discendente e inversamente. La nostra intenzione è inoltre quella di costruire un modo di mi, e cioè la struttura TTSTTTS let-ta dall’acuto al grave. Assumiamo dunque come inizio la quinta discendente dall’ottava acuta e poi la quar-ta ascendente iterando quinta e quarta secondo il se-guente schema. Il percorso dell’accordatura è indicato dall’andamento delle frecce.

I VIIIacIVVbd

INIZIO

QUARTE

QUINTE

Page 421: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

421

Le lettere alfabetiche a, b, c, d indicano i passi successivi che andiamo facendo, quindi l'ordine con cui le diverse posizioni sono acquisite. La posizione a è quella acquisita per prima (re), poi la posizione b (sol), quindi la posizio-ne c (do) e infine la posizione d (fa). Se invece consideriamo le note - assumendo l’ottava che inizia con mi (sui tasti bianchi, per intenderci) avremo appunto la scala corrispondente, beninteso con le grandezze intervallari pitago-riche. (Qualcuno potrebbe chiedere: e se avessi cominciato da V a partire da I (cioè in direzione ascendente), in-vertendo l’alternanza tra quarta e quinta - ovvero alternando quinta ascendente con quarta discendente? Ebbene: essendo il primo grado do, il risultato sarebbe indubbiamente la nostra scala di do maggiore).

Abbiamo così indicato uno dei possibili modi di accordare la lira; ma abbiamo anche nello stesso tempo compiuto musicalmente (o almeno uditivamente) qualcosa di assai simile al percorso calcolistico che abbiamo prima accura-tamente descritto. Si tratta propriamente del metodo di accordatura talvolta chiamato del "su e giù". Naturalmente nelle poche righe che precedono non stiamo letteralmente insegnando ad accordare la lira, ma stiamo in qualche modo imparando a ragionare su simili argomenti, mostrando un nuovo nodo che congiunge pratica musicale, spe-culazione teorica e speculazione aritmetica. Lo schema di accordatura proposto contiene tutti i problemi teorici di cui ci stiamo occupando. Ma anche - è questo è un punto importantissimo - li presuppone. Perché un punto deve essere chiaro: la scala dedotta dalle medie non è certo l'unica scala musicalmente possibile e nemmeno l'unica mu-sicalmente interessante. Non lo era nemmeno per la musica greca e per la sua teoria. Molte sono ancora le riflessioni che dovremo fare intorno ad essa ed al di là di essa. La "validità" degli intervalli da cui abbiamo preso le mosse non è un concetto generale di validità, ma un concetto particolare e relativo all'impostazione complessiva proposta ed ai suoi presupposti filosofici.

Page 422: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

422

8.3 Eccessi del matematismo pitagorico

8.3.1 Il problema della consonanza di undicesima

Come abbiamo già rilevato una "scala cromatica pitagorica" fatta di ventuno note non è probabilmente mai esistita - mentre scale costruite sul modello pitagorico con aggiustamenti di vario genere ("temperamenti") fanno parte della tradizione medioevale e rinascimentale. Ciò che ci ha spinto a dare alcune indicazioni anche a questo propo-sito è soprattutto lo scopo di dare un’illustrazione dei concetti di base - questi sì, appartenenti alla tradizione del pitagorismo - ma anche, in particolare, trattando della costruzione della scala attraverso le medie ovvero attraverso il ciclo delle quinte, di fare intravvedere i punti di crisi del matematismo pitagorico. Questi punti non riguardano solo la questione del comma e le difficoltà ad esso connesse, ma anche giudizi e valutazioni proiettate sul piano musicale sulla base di considerazioni di ordine puramente matematico.

Nello spirito del pitagorismo l’assenza di legittimazione matematica poteva ripercuotersi inesorabilmente sullo stesso concetto di consonanza, mettendo del tutto in sottordine qualunque "testimonianza della sensibilità". Vi è in proposito un caso famoso che risale al pitagorismo più antico e viene discusso per alcuni secoli fino a a Boezio e oltre. Noi abbiamo parlato delle consonanze riconosciute dai pitagorici facendo riferimento ad un'unica ottava. Ma in realtà nella musica greca lo spazio ritenuto musicalmente valido era di due ottave, uno spazio piuttosto ristretto se pensiamo alle nostre consuetudini musicali, ma ben calibrato per le esigenze di una musica che, come in tutte le culture musicali delle origini, aveva nel canto il proprio riferimento principale . Ciò spiega anche perché i pita-gorici estesero la considerazione del rapporto consonantico a due ottave, e non ad una sola. Oltre l'udito, anche il “ragionamento” suggerirebbe che, essendo le note in ottava tanto consonanti tra loro da essere spesso confrontate con l’unisono, gli intervalli di quarta e di quinta della seconda ottava fossero senz'altro da considerarsi consonanti con la nota grave della prima ottava. Si tratta degli intervalli che si usa chiamare oggi di undicesima e di dodicesi-ma, rispettivamente ottava + quarta e ottava + quinta - come preferivano chiamarli i greci e e nel Medioevo (Bar-bera 1985, p. 191).

Page 423: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

423

Ora, i pitagorici - potremmo aggiungere: con nostra meraviglia - ammisero subito il carattere consonante della do-dicesima, ma non quello dell'undicesima. La meraviglia tuttavia è, almeno in parte, fuori luogo. Una ragione c'era, molto semplice e puramente aritmetica. La teoria dei rapporti consonantici fondamentali riteneva accertato che i rapporti consonantici dovessero ricadere in uno di questi due casi

1. rapporti intervallari multipli 2. rapporti intervallari epimori

Ora l'intervallo di dodicesima non era altro che l'ottava acuta della quinta dell'ottava grave, cosicché essa era ca-ratterizzata dal numero (3/2)*2 = 3. Si trattava dunque di un numero multiplo. Ora se noi facciamo l’ottava della quarta, dobbiamo moltiplicare 4/3 * 2 ed otteniamo 8/3. La frazione è irriducibile. Il rapporto non è né multiplo né epimorio. E contiene per di più l’8 che (forse) non ha niente a che vedere con la tetractys.

Page 424: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

424

8.3.2 La soluzione di Tolomeo e quella di Gaudenzio

Naturalmente siamo di fronte a posizioni pregiudiziali ed a ragionamenti falsi. Della questione si continua a dibat-tere dentro e fuori del pitagorismo, nell'ambito della te-oria musicale greca in genere. Una simile posizione nei confronti della undicesima viene ancora confermata in Boezio (De musica, II, Barbera 193 nota 6) proprio per il fatto che il rapporto aritmetico apparteneva al caso dei rapporti superpartientes che, nella terminologia medio-evale, indicava un rapporto tra numeri in cui il maggiore supera il minore più di una sua parte, a differenza del rapporto epimorio in cui il maggiore supera il minore di una sola sua parte. Questa posizione Boezio la trae pre-sumibilmente dalla Aritmetica di Nicomaco di cui egli fece una traduzione latina.

Ma una simile violenza fatta a quello che era anzitutto un dato di fatto uditivo certamente non incontrava il favo-re di tutti i teorici pitagorici - nonostante la pronunciata tendenza all’astrazione. Essa venne considerata anche come un punto critico che minacciava l’impostazione teorica fondamentale. Si cercò dunque di vedere se quella impostazione teorica poteva essere riconsiderata da una angolatura tale da poter includere anche la co-siddetta undicesima.

Due tentativi sono soprattutto degni di nota. L’argomen-to fu ripreso dal grande Claudio Tolomeo (II sec. d. C.), autore anch’egli di un’Armonica che rappresenta una sintesi fondamentale della teoria musicale greca, in cui la componente pitagorica è ancora fortemente presente.

Page 425: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

425

A difesa del carattere consonantico della undicesima, Tolomeo osserva che

«In generale la consonanza dell'ottava... quando viene aggiunta ad un altro intervallo preserva inalterata la forma di quell'intervallo» (I,13 - 1.6. Tolomeo, 2002, p. 111).

Ciò corrisponde alla nostra osservazione iniziale intorno al problema ed in fondo potrebbe essere considerata come una osservazione di logica della percezione - se possiamo esprimerci così. Questa osservazione viene in qualche modo rafforzata con una analogia aritmetica: così fa il dieci che sommato, ad es. a 2, mantiene il 2 nel 12. Analogia un po' stravagante, ma certamente di gusto pitagorico.

La spiegazione più brillante che riesce a includere l’undicesima tra le consonanze ci viene tuttavia dall’ Introdu-zione Armonica di Gaudenzio (III o IV sec. d. C.). Di essa possiamo venire a capo facilmente utilizzando la nostra consueta rappresentazione “lineare” estesa tuttavia su due ottave.

6 8 9 12 16 18 24

Tenendo fermo il 24 come primo termine del rapporto, esattamente come in pre-cedenza il 12, scendendo verso i rapporti successivi si ottengono tutti i punti di consonanza, fra i quali vi è anche l'undicesima.

24 : 18 = quarta 4/3 24 : 16 = quinta 3/2 24 : 12 = ottava 2/1

24 : 9 = undicesima 8/324 : 8 = dodicesima 3

24 : 6 = doppia ottava 4

Il punto indicato da 9 era già sta-to acquisito come quarta all’inter-no dell’ottava (0,12). Ora è lo stesso punto che viene mostrato come con-sonanza ottava+quarta nella doppia ottava (0,24). 24 : 9 rappresenta un anello necessario nella struttura delle consonanze distribuite su due ottave.

Page 426: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

426

Ci si può chiedere se la soluzione di Gaudenzio, che peraltro noi presentiamo secondo l'idea della "linea-rizzazione" dell'intervallo e dunque nel quadro della nostra interpretazione complessiva, sia da conside-rare conforme al punto di vista pitagorico oppure un momento importante della sua crisi. L'opera di que-sto teorico - il cui profilo è del tutto sconosciuto - ha in effetti una singolare particolarità: la prima parte del suo trattato Introduzione all'armonica (1990) ha un'impostazione tutt'altro che pitagorica, ma pro-pende nettamente nettamente verso la rivalutazio-ne dell'elemento sensibile che è, come vedremo tra breve, una caratteristica eminente della scuola ari-stossenica. Cosicché

«nella parte aristossenica del suo trattato (capp. 1-9), noi leggiamo che è solo attraverso l'udito che si riconosce consonanza e dissonan-za, e la ragione non aiuta in simili giudizi» (Barbera, 1985, p. 206).

Ma poco oltre il tono dell'opera cambia completa-mente - assumendo un’inclinazione fortemente pi-tagorizzante. Il racconto del fabbro armonioso viene ripreso secondo tradizione e così anche i valori ba-silari della struttura consonantica pitagorica. L'im-barazzo dell'interpretazione in certo senso cresce proprio di fronte alla sistemazione del problema della diapason+diatessaron. Così mentre da un lato questa proposta viene fatta nel cuore di un’esposi-

zione che accetta in buona sostanza i valori pitagori-ci, dall’altro essa sembra ad alcuni segnare una netta crisi della visione pitagorica. Secondo Barbera questo modo di ammettere l’undicesima corrisponde ad una vera e propria

«abrogazione della vecchia regola pitagorica che riguarda le ragioni multiple e superparticolari... Am-mettendo l’undicesima nella cate-goria della consonanza, Gaudenzio evidentemente riconosce il fatto em-pirico della consonanza di undicesi-ma...La caratterizzazione di questa consonanza come 24/9 indica lo spo-stamento delle ragioni numeriche da cause a metafore nell’armonica pita-gorica» (1985, pp. 206-207).

Anche su questo punto, Gaudenzio farebbe dunque prevalere nettamente l’empirismo aristossenico (e ari-stotelico) di fronte al razionalismo pitagorico (e plato-nico):

«Gaudenzio mira ad un’informazione esauriente piuttosto che a una sintesi; il suo scopo non è sistemare organi-camente e coerentemente la mate-ria... ma presentare ciò che è ormai acquisito in modo definitivo. In questa prospettiva si inquadra anche l’espo-

Page 427: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

427

sizione dei valori numerici concer-nenti i rapporti fra i suoni : essi non sono più il manifestarsi nella realtà della legge dell’armonia universale... sono semplici dati di fatto nei quali ci si può anche imbattere occupan-dosi di strumenti» (Zanoncelli, 1990).

A mio avviso, per quanto riguarda l'undicesima, si può concordare su queste valutazioni soltanto in parte, e precisamente per la parte che riguarda l'evidenza sen-sibile della consonanza in questione. Nelle affermazio-ni citate invece sembra che il punto realmente critico sia il superamento del quaternario, con la filosofia ad essa connessa. Su questo punto io credo che si possa discutere per due ordini di ragioni: come sempre, in questo genere di questioni i numeri sono più elastici di quanto si potrebbe pensare. L'infrazione al quater-nario si potrebbe ridurre a ben poco se si tiene conto che il numero otto è il doppio di quattro (ovvero 23)! Cosicché le frazioni della tabella della doppia ottava di Gaudenzio possono essere ridotte ai minimi termini mostrando di contenere soltanto i numeri da 1 a 4. La filosofia dell'armonia fondata sulla tetrade viene così in certo senso appena ritoccata. Si deve in fin dei conti ricorrere soltanto ad un aggiustamento ragionevole e conforme del resto all’abito mentale del pitagorismo.

La ragione più importante che ci suggerisce di manife-stare qualche dubbio consistente su quelle citazioni sta

nella presentazione diagrammatica della doppia ottava secondo i criteri che abbiamo in precedenza illustrato e che rimandano alle pratiche monocordiste. Si tratta di un’angolatura della cui possibilità nelle osservazioni precedenti non si tiene conto: ed in essa si mostra la stretta coerenza del modo di argomentare di Gauden-zio con il pitagorismo, nonostante la diversa conclusio-ne a cui si perviene.

Ciò non toglie che sia la rigidità della posizione anti-ca, che anteponeva nettamente l'elemento matematico a quello uditivo, sia i tentativi più recenti che tentano di porre riparo alla violenza razionalistica sull'empiria ca-ratterizzino questo problema, apparentemente minimo, come una difficoltà interna nell'ambito del pitagorismo, in cui comincia a mostrarsi che l'elemento "razionale" e l'elemento "sensibile" stentano a convivere l'uno con l'altro.

Page 428: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

428

8.3.3 I tentativi di costruire scale con rapporti epimori

Sotto il tema degli eccessi del matematismo della tendenza pitagorica, che bada più al versante dell'impianto teorico che alle problematiche sorgenti dalla pratica musicale, credo che debbano essere inscritti anche i vari tentativi compiuti dai pitagorici, ma forse dovremmo dire più in generale dai teorici greci, di escogi-tare scale sulla base del criterio del rapporto epimorio. Vi è a questo proposito una singolarità che merita di essere segnalata. La tendenza matematizzante - con le sue istanze di perfezione, di unicità e di assolutezza - in luogo di promuove-re la rigidità, stimola invece ad una ricerca che è produttiva di una grande va-rietà di sistemi scalari. L'obiettivo è sempre quello: trovare il sistema di intervalli migliore, la scala perfetta o meglio quella che più si avvicina ad una scala che possa essere chiamata così. Dal medioevo in poi fino a tempi relativamente re-centi si è ritenuto di poter trovare la scala migliore modificando un modello so-stanzialmente unitario: sorge così la tematica dei temperamenti che in certe epo-che sembra diventare una vera e propria ossessione. Il punto di arrivo di questa ricerca, che sembra mettere fine a questa ossessione, è il sistema equalizzato in dodici semitoni considerato appunto, dai più, come la migliore soluzione (di compromesso, come si legge nei manuali e come io non mi sentirei di ripetere).Solo in tempi recenti o recentissimi, e non senza l’impulso dell’informatica musica-le e di programmi che rendono agevole la sperimentazione sui modelli scalari più diversi, si è riaperto un interesse in questa direzione. Nel caso della teoria greca, invece la nozione di temperamento non trova nessuna applicazione; beninteso si è continuata a cercare la scala migliore, ma come una ricerca che non aveva un principio o un modello fondamentale da "temperare" bensì sulla base di diversi principi e criteri informatori, dando luogo alla proposta di una quantità veramen-te notevole di sistemi intervallari. La rigidità degli inizi, con le consonanze fissate come pilastri inamovibili, le ipotesi matematiche e i calcoli conseguenti per legit-timare i sistemi intervallari proposti hanno in certo senso sortito l'opposto effetto di squadernarci di fronte una tale varietà di sistemi da essere del tutto impensabile

Page 429: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

429

nel quadro del pensiero musicale europeo successivo. Spesso naturalmente si trattava di sistemi scalari che non avevano alcun impiego reale e che erano pure escogitazioni teoriche. In effetti non siamo in grado di valutare se le proposte teoriche di cui abbiamo notizia avessero riscontro nella pratica musicale. Tuttavia il fatto che il teorico non esitasse ad avventurarsi in proposte dei sistemi più diversi ci fa pensare che lo stesso musicista pratico non si sentisse affatto troppo vincolato dal punto di vista della grandezza degli intervalli - seguendo il proprio estro mu-sicale, come fa ancora oggi un musicista indiano o orientale in genere. Questa mobilità del resto fa parte della teo-ria dei generi che rappresenta il punto culminante della teoria e della pratica musicale greca. È bene sottolineare vivacemente che l’idea di un unico tipo di scala come scala che possa pretendere validità assoluta si fa strada solo nella tarda grecità, e proprio nel quadro della crisi della teoria dei generi e nel progressivo prevalere del genere diatonico sugli altri. Nel Medioevo «si cessò completamente di comprendere il meccanismo dei tetracordi e delle note fisse o mobili, tanto più che si era presa l’abitudine di considerare tutto secondo il genere diatonico» (Chailley, 1979, p. 44)

Abbiamo già notato a suo tempo che i pitagorici furono colpiti dalla forma dei rapporti rappresentativi delle conso-nanze elementari. In particolare furono colpiti dal fatto che l'intervallo centrale immediatamente legittimato dalla suddivisione dell'ottava fosse a sua volta caratterizzato, come le consonanze, da un rapporto epimorio. Naturalmen-te due note a distanza di un tono non sono consonanti, al contrario, sono fortemente dissonanti. Ma una volta risolto il problema delle consonanze, si trattava di trovare una suddivisione dell'ottava che potesse essere considerata musicalmente coerente e i cui elementi potessero essere connessi l'un l'altro secondo la massima coesione - po-tremmo dire "amonicamente", secondo l'accezione originaria del termine di armonia che abbiamo spiegato a suo tempo. Nella proposta di nuovi modelli scalari è spesso presente l'intento che la maggior parte degli intervalli e possibilmente tutti gli intervalli siano fondati su rapporti epimori.Questo risultato fu ottenuto da Tolomeo (Scienza Armonica 1.16, Tolomeo 2002) che riesce non solo a realizzare una scala interamente fatto di rapporti epimori, ma anche a inanellarli gli uni agli altri con scambi tra numeratore e denominatore. Ne risulta il seguente sistema inter-vallare

10/9 11/10 12/11 9/8 10/9 11/10 12/11 ovvero, in cents

183, 165, 149, 204, 183, 165, 149

Page 430: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

430

Si noterà che il tono di disgiunzione resta fissato a 9/8, come è giusto che sia. In generale, nella varietà di scale pro-poste questo tono resta costante, perché esso garantisce la posizione dell’intervallo di quarta e di quinta. Un otttimo commento a questa particolare scala di Tolomeo, come alle altre da lui proposte, si trova nell’edizione di Tolomeo curata da Massimo Raffa (Tolomeo, 2002, p. 362). Più di uno studioso mostra le proprie perplessità di fronte a scale come queste. Chailley, ad esempio, le qualifica come vane speculazioni e scrive perentoriamente: «Tout cela pré-sente l’apparence trop visible de jonglerie numériques sans valeur musicale réelle» (Chailley,1979, p. 35); lo stesso autore rammenta che secondo Reinach, nonostante il suo apprezzamento per questi tentativi, la scala epimoria di Tolomeo è una «mostruosità armonica».

Io credo che in effetti gli intervalli in rapporti epimori possano essere citati come eccessi della tendenza mate-matizzante caratteristica soprattutto della direzione pitagorico-platonica, ma anche generalmente diffusa in misura maggiore o minore tra i teorici greci della musica. Detto questo, commenti come quelli di Chailley e di Reinach mi appaiono appaiono alquanto fuorvianti. L’espressione jonglerie significa “gioco” nel senso dei giochi che fa il giocoliere. Giochi di abilità, giochi di prestigio. E fondamentalmente inutili e superflui: speculazioni vane, appun-to. Ora è difficile sostenere che nella musica la jonglerie non abbia proprio nessun posto. Basterà notare che in fin dei conti ciò vale persino per la matematica. Il gioco in essa ha una parte importante. Un gioco serio, si intende: ma che fa parte comunque, per certi versi, della jonglerie, e dunque dell’abilità del giocoliere. Nello stesso tempo bisogna anche badare alle intenzioni più o meno nascoste di chi fa queste obiezioni. Esse infatti possono essere compiute da punti di vista diversi, e talvolta da un punto di vista che ricorda proprio il pitagorismo: l’errore che verrebbe qui rimproverato non sarebbe tanto di gingillarsi con la matematica, ma di far dimenticare che esistereb-be un ordine musicale intrinseco, e di farlo dimenticare proprio con questi gingilli. Potremmo insomma essere di fronte ad un paradossale rovesciamento della situazione. Un matematismo che ci porta alla produzione di una gran-de molteplicità di modelli scalari e di articolazioni intervallari rischia di minare l’idea di un fondamento assoluto e necessario che richiede al contrario, almeno idealmente, un unico sistema scalare realmente valido. Vi è perciò il timore più o meno nascosto che proprio una simile tendenza matematizzante - in certo modo contro le proprie giustificazioni primarie - faccia precipitare le regole della musica nell’arbitrarietà. Credo che questo sia il caso di Chailley, il quale, tra l’altro simpatizza per Aristosseno e dunque, come vedremo, per struttura scalari molto libere. Di qui gli deriva l’ostilità per il pitagorismo e per le tendenze matematizzanti in genere. Cionostante egli è anche convinto fautore di una “storia naturale”, fondata sulla successione degli armonici, della scalarità europea culmi-nante nel linguaggio tonale. Per Chailley era sicuramente una jonglerie anche la dodecafonia schoenberghiana (e forse non lo era?).

Page 431: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

431

9. Il tetracordo

9.1 Il tetracordo come spazio sonoro fondamentale

9.2 Il tetracordo diatonico di Filolao

9.3 I nomi delle note

Page 432: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

432

Page 433: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

433

9.1 Il tetracordo come spazio sonoro fondamentale

Abbiamo fin dall'inizio reso avvertito il lettore che ciò che abbiamo chiamato "scala pitagorica" è in realtà la scala dominante nella tarda grecità e tramandata come tale nel Medioevo fino all'età moderna. Ma se andiamo alla real-tà della teoria greca dobbiamo cosiderare questa scala all'interno di una visione che fa del tetracordo, e quindi nell’intervallo di quarta, l'unità musicale di base e che differenzia i tetracordi per generi.

Questa circostanza cambia interamente il quadro entro cui debbono essere ripensate le considerazioni prece-denti. Nel caso della musica greca l'ottava non rappre-senta, come per noi, l'unità compiuta dello spazio sono-ro. La stessa nota apre e chiude il percorso scalare e, nel linguaggio tonale, essa avrà carattere di nota fondamen-tale del brano - di "tonica". Invece l'intervallo alla luce del quale deve essere intesa l'articolazione dello spazio sonoro nella teoria e nella musica greca è l'intervallo di quarta. È l'articolazione del tetracodo che sta alla base dell’articolazione dell'ottava. Di conseguenza quando per i motivi più diversi, si escogitano scale, ciò avviene unicamente sull’unità tetracordale; ed analogamente la differenza del genere è tutta giocata sulla differenza dei tetracordi.

Page 434: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

434

La ragione che normalmente i teorici greci richiamano per giustificare questo punto è il fatto che gli estremi dello spazio tetracordale costitu-iscono la consonanza minima all’interno dell’ottava, ma naturalmente questa motivazione non può fornire una vera e propria ragione ogget-tiva di questa scelta. A mio avviso, ci imbattiamo qui in un esempio di scelta espressiva realizzata già a livello di organizzazione elementare dello spazio sonoro. Il suo interesse sta anche nel fatto che sulla sua base si può fornire un’illustrazione notevole della diversa "intenziona-lità" con cui la stessa struttura oggettiva (l'ottava) può essere soggetti-vamente considerata (intesa).

Per spiegarci possiamo anche prescindere momentaneamente da fatti acustici e musicali e fare riferimento all'ambito visivo considerando i nostri simboli T ed S come pure strutture figurali, piuttosto che come segni indicativi di intervalli e di note conseguenti. E potremmo tentare di vedere nella sequenza di T e S una T centrale, frapposta tra sequenze di egual struttura.

Page 435: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

435

Diamo così evidenza a quello che già a suo tempo abbiamo chiamato tono di disgiunzione ed in questa articolazione scalare ci rendiamo conto che questo tono può essere inteso come un intervallo che separa due tetracordi perfetta-mente eguali di struttura. L'ottava compare qui formata da due tetracordi disgiunti: essi non hanno nessuna nota in comune. In questo caso l'ottava è ancora importante e i due tetracordi si propongono come suoi elementi costitutivi. Ma si vede subito che vi è un'altra possibilità: i due tetracordi posssono essere congiunti, e cioè avere una nota in comune. In tal caso naturalmente avremo a che fare con sette note, e non con otto. Le due note limitanti lo spazio sonoro globale non saranno in rapporto di ottava.

Peraltro nei Problemi musicali dello pseudo Aristotele si afferma (Problema n. 32 - Aristotele, 1957, p.55) che il mu-sicista Terpandro tolse la terza nota aggiungendo invece l’ottava: le corde restavano così sette, ma con la chiusura dell’ottava, volendo nello stesso tempo fornire anche una spiegazione al fatto che l’ottava, invece di chiamarsi “dia-octo” in analogia con diatessaron e diapente, si chiamava invece diapason - richiamandosi genericamente a tutte le note che in effetti restavano sette.

«Perché l’ottava è detta diapason e non diaocto in relazione al numero delle corde, nello stesso modo che si dice diatessaron la quarta e diapente la quinta? Non è forse perché originariamente le corde erano sette? Più tardi Terpandro, tolta la trite, aggiunse la nete e in base a questo si disse diapason e e non diaocto, perché l’intervallo era una diaepta»

Naturalmente una simile modificazione di Terpandro non era affatto innocua per la struttura della scala e per la sua logica interna ed lecito pensare che essa rimase una peculiarità tutta sua o comunque caratteristica di particolari stili melodici. In ogni caso il tetracordo congiunto si ricollega alla fase della lira a sette corde che sembra apparte-nere ad una fase arcaica, mentre la lira a otto corde viene talora riferita a Pitagora stesso.

Page 436: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

436

Converrà infine menzionare la possibile articolazione dell'ottocordo in tetracordo+pentacordo ovvero in penta-cordo + tetracordo

Sarebbe un grave errore considerare queste possibilità unicamente come partizioni formali - cosa che anche sono: dal punto di vista teorico-musicale quando giungiamo a porre problemi come questi ci troviamo in realtà già sul terreno di diversi modi di intendere strutture date, e quindi sul terreno delle potenzialità espressive e delle alter-native possibili che essere offrono sul piano dell'espressione musicale. In altri termini queste partizioni sono inte-ressanti in quanto sono collegate alla struttura del melos, e quindi destinate ad essere "sentite" sul piano uditivo, a diventare strutture fenomenologiche percepibili. Nell'elaborazione successiva del problema ci renderemo meglio conto che questa articolazione tetracordale è la grande intuizione formale e musicale della musica greca. Essa ver-rà sviluppata nella teoria dei generi che rappresenta il cuore della sua teoria: la grande novità (rispetto alla musica futura!) della musica greca.

pentacordo tetracordo

pentacordotetracordo

Page 437: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

437

9.2 Il tetracordo diatonico di Filolao

La scala che abbiamo chiamato "pitagorica" compare documentata per la prima volta nel libro di Filolao De Natura (Fr. 6a) e, in conformità con il principio tetracordale, la sua costruzione viene proposta realizzando un unico tetracordo che verrà poi ripetuto dopo il tono di disgiunzione. In realtà nella descrizione di Filolao appare chiaro che l'ottava è costituita da una quarta ed una quinta, ma che può essere intesa sia come un'associazione di due quarte separate dal tono di disgiunzione, relativamente ad una scala di otto note, sia di due quarte congiunte relativamente ad una scala di sette note. La procedura che mette in atto per la sua derivazione non viene resa esplicita, ma si può ipotizzare che Filolao, in conformità con il principio tetracordale, si limiti a costru-ire un solo tetracordo semplicemente ottenendo il tono di 9/8 per "sottrazione" della quarta dalla quinta e usando questo stesso intervallo di base anche per dividere il tetracordo, ovvero mettendo due toni in successione e ottenendo, come sappiamo, un resto rispetto all'intervallo di quarta.

Non si sa peraltro se il valore del limma (che Filolao chiama diesis) fosse da lui real-mente calcolato, e come. Si ipotizza comunque che disponesse di mezzi e di procedu-re che rendevano possibile questo calcolo (cfr. Huffman, 1993, p. 164).

Credo che si avverta in questo caso molto chiaramente la portata e il senso del fare del tetracordo l'unità essenziale dello spazio sonoro. La struttura di base dell’ottava che ne risulta - la suddivisione TTS del tetracordo e il suo raddoppio al di là del tono di disgiunzione - fa pensare che per l’introduzione della “scala pitagorica” il ricorso alla tematica delle medie o al ciclo delle quinte faccia parte di una fase evoluta e che invece, in una fase più antica, il problema si riducesse ad una ripetizione dell'interval-lo di tono all'interno dell'intervallo di quarta.

Page 438: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

438

«La divisione dell'ottava ottenuta non già con il 'ciclo delle quinte', ma proiettando il tono 8/9 all'interno della quarta, è forse il metodo più antico usato dai pitagorici e in certo modo il più caratteristico. Esso usa i principi inerenti agli inizi della serie degli interi in modo più economico di ogni altro» (Crocker, 1963, p. 197)

Non solo: questa partizione della scala non va considerata come “scala pitagorica” tout court, convenzione a cui ci siamo adattati in precedenza per opportunità espositiva, ma piuttosto come una delle scale appartenenti al genere diatonico proposta nell’ambito del pitagorismo. Questo motivo si arricchirà naturalmente considerando il problema dei generi.

Va infine almeno rammentato di sfuggita che questo stesso tetracordo, in forma coperta, è presente in Platone (Ti-meo 34 b10) a proposito dei rapporti tra le parti che il demiurgo assegna all’anima del mondo. In forma coperta, per il fatto che questi rapporti corrispondono a quelli del tetracordo di Filolao, ma l’origine musicale del problema non viene menzionata. (Una bella discussione della questione è contenuta in Huffman, 1993, p. 149 sgg.).

Page 439: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

439

9.3 I nomi delle noteAbbiamo già notato che il prestare attenzione alla terminologia greca è tutt'altro che una pedanteria, ma nella mag-gior parte dei casi ci apre le porte ad aspetti concettuali e relazionali a volte inattesi. Di qui in avanti dovremo tener in conto maggiore questa problematica nella quale in precedenza ci siamo del resto già imbattuti più di una volta.

Le note che costituiscono i due tetracordi che formano l'ottocordo o l'eptacordo hanno naturalmente dei nomi che vogliamo cominciare con l'introdurre. Anzitutto, per intenderci, chiamiamo tetracordo superiore il tetracordo che sta all'acuto e tetracordo inferiore quello che sta nella sezione grave. La nota più acuta si chiama nete, la nota più grave hypate. Le note prossima all'una ed all'altra prendono nome dalla loro posizione: quella successiva alla nete, paranete - ovvero nota vicina alla nete; quella che precede l'hypate, parhypate - ovvero nota vicina all'hypate. Nel caso dell'ottocordo abbiamo agli estremi dell'intervallo di disgiunzione la mese e come nota precedente la para-mese - ed anche questi nomi sono palesemente nomi di posizione poiché mese significa ciò che sta al centro e pa-ramese nota prossima alla mese. Restano da nominare la terza nota del tetracordo superiore che si chiama trite con significato ovvio del termine, e la seconda del tetracordo inferiore che viene chiama lichanos - un termine questo che ha invece bisogno di essere spiegato. Nel caso dell’eptacordo, la questione del nome delle note (e delle note corrispondenti) è di fatto un po più complessa ed anche più confusa sotto il profilo storico. Qui ci limiteremo ad osservare che, almeno in via di principio, la mese sta letteralmente al centro dell’eptacordo essendo le note in nu-mero dispari. Ma per il momento prescindiamo dalle vicende dell’eptacordo e ci limitiamo a proporre lo schema precedente aggiungendovi i nomi delle note:

nete paranete trite paramese mese lichanos parhypate hypate

Page 440: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

440

Come abbiamo già sottolineato la struttura in questione è da considerarsi discendente e la mese sarà rappresen-tata dalla nota La (440 Hz) se si assume come ottava quella che va dal mi acuto al mi grave nella regione media del nostro pianoforte. Si rammenti comunque che

«le vere altezze sonore sono per forza di cose sconosciute, e la nostra abitudine a chiamare il centro la è convenzionale se non arbitraria. Questo centro sembra infatti essere piuttosto alto... ma per altro verso è pratico giacché ci permette di trascrivere le antiche melodie con il minimo di diesis e di bemolle» (Sachs, 1943, p. 203)

Veniamo ora al nome delle note nete, mese e hypate. Chiunque consulti un dizionario di greco non potrà non sor-prendersi per via di una circostanza realmente singolare. Nete, come abbiamo osservato, rappresenta la nota più acuta dell'ottava, ma il suo senso rimanda al "sotto" ed al "basso" piuttosto che all'"acuto" ed all'"alto". L'inverso vale per l'hypate, nota più grave, ma che letteralmente rimanda all' “alto” e al “sopra” piuttosto che al “grave” ed al “basso”. Inoltre nell'ottocordo non vi può essere nota letteralmente centrale. Il nome mese sarebbe realmente appropriato soltanto in rapporto ad un doppio tetracordo congiunto - e quindi ad un eptacordo. Così nei Problemi dello pseudo-Aristotele (1957, p. 49), oss. 25 e 44 si avanza l'ipotesi che il nome di mese non sia altro che un ricordo della lira a sette corde:

«Perché nella scala la mese ha questo nome per quanto non sia nel mezzo delle otto note? Perché in antico la scala era costituita di sette corde: e il sette ha un mezzo».

Si tratta soltanto di una sopravvivenza oppure vi è qualcosa di più profondo da capire? Ecco alcuni dei punti inter-rogativi che ad alcuni sembreranno inappariscenti, ma che invece aprono una discussione tutt'altro che priva di interesse da vari punti di vista. Intanto vi è questa discrepanza, che è un vero e proprio capovolgimento di senso, tra i nomi e la cosa stessa - e di ciò vi deve essere una qualche spiegazione. Diciamo subito che abbandoniamo al loro destino coloro che ritengono di potersi servire di questo strano caso come una prova eclatante che dimostrerebbe la validità di una posizione di relativismo variamente dosato con presupposti sociologizzanti, storicistici o semiolo-gici. Secondo costoro qui non c’è nulla di strano e nulla da spiegare, perché le convenzioni arrivano dovunque - e su di esse non vi è nulla da discutere. Se i greci sentivano come gravi i suoni che noi sentiamo come acuti e inver-samente, ne dobbiamo prendere atto - e nulla più. Anche la percezione soggiacerebbe ai relativismi socio-culturali. Del resto si è anche sostenuto - e mi sembra che si tratti di una variante equivalente - che i greci udivano le loro

Page 441: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

441

successioni sonore secondo un rapporto intervallare inverso! (Tanner, 1961, p. 41 sgg.). Che cosa accadrebbe, ad un greco antico, se si trovasse ad ascoltare la nostra musica, essendo vere simile concezioni, lo si può immaginare. E va da sé che noi non saremmo assolutamente in grado di afferrare le melodie greche che ci sono rimaste perché risulterebbero del tutto snaturate dalle nostre diverse consuetudini uditive. Di opinioni come queste non terremo nessun conto e non ci attarderemo a discuterle. Ci limitiamo soltanto a segnalare, per quanto riguarda la differenza grave/acuto, che nei Problemi, n. 8, si trova una similitudine che dice tutto quel che si deve dire:

«Perché la nota grave rafforza il suono di quella acuta? Perché la grave è maggiore: difatti è simile ad un angolo ottuso mentre l'acuta è simile ad un angolo acuto» (Aristotele, 1957, p. 33).

Le metafore utilizzate sono più che sufficienti per stabilire che i greci percepivano le differenze del grave e dell’acu-to esattamente come noi. In realtà, più o meno consapevolmente, quelle concezioni rilevano, per di più ingenua-mente, assunzioni dell’empirismo filosofico e spetta alla filosofia confutarle a quel livello (Piana, 1991, p. 225 sgg.).

Sembra subito avere maggiore plausibilità l’idea che questa inversione, poiché non riguarda il fatto sonoro come tale, derivi piuttosto dalle tecniche strumentali, ed in particolare dalla disposizione delle corde di strumenti del tipo della lira, cetra e arpa. Si pensi al modo di emissione del suono di un violoncello ed alla pratica che lo strumentista mette in atto: le sue dita scorrono verso il basso quando le note vanno verso l’acuto, in certo senso allontanandosi dallo strumentista, e inversamente. Cosicché si può pensare che una tecnica di questo genere possa suggerire di chiamare “basse” le note alte, e alte le note basse. Ciò sembra suggerire una buona spiegazione anche nel nostro caso se in qualche modo si potesse dimostrare che nella lira la nota più acuta fosse “più bassa” o comunque “più lontana” dalle mani dello strumentista (nel senso che egli avrebbe dovuto per raggiungerla allungare il braccio) e la nota più grave invece “più vicina”. Quest’interpretazione - sia pure in una certa varietà di modi - ha avuto molta fortuna tra filologi e musicologi perché sembrava metter capo ad una soluzione fondata e di buon senso.

Tuttavia nel 1984 è uscito un lavoro di Frieder Zaminer proprio sull’argomento di queste denominazioni che im-posta l’intero problema su basi interamente nuove, arricchendo la discussione di elementi in precedenza non sospettati. Questo lavoro (Zaminer, 1984, pp.1-26) merita di essere riassunto, sia pure brevemente, proprio per la ricchezza dei temi che l’adozione di un diverso punto di vista e di un differente atteggiamento metodologico riesce a portare alla luce.

Page 442: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

442

Dopo aver sottolineato che si tratta di denominazioni molto antiche di cui si trova già traccia in Filolao almeno per quanto riguarda la nete, la trite e l’hypate, si passa ad una critica stringente dell’opinione prevalente secondo cui queste denominazioni avrebbero origine nella pratica strumentale. In realtà vi è più di una ragione particolare per questa critica, ma a mio avviso vi è anche un tema metodico di particolare importanza: la ricerca della soluzione del problema viene indirizzata senz’altro in un qualche dato di fatto che sembra ancorare la spiegazione ad elementi “positivi”, mentre si trascurano tutti quei fattori che potrebbero riportarlo all’interno di un contesto più ampio di idee, di concezioni, di fantasie.

In via di principio tutti questi tentativi di spiegazione soggiacciono al pregiudizio secondo cui entrambe queste espressioni tecniche derivino dalla prassi musicale, e precisamente dall’associazione comune con gli strumenti a corda come la lira, la cetra o l’arpa,

«come se fosse ovvio che la teoria del contesto armonico fosse orientata alla prassi, e quin-di rimandasse a relazioni empiriche con strumenti reperiti a caso e traesse di qui i suoi primi concetti»(p. 3)

A partire da questo pregiudizio sembra ovvio che espressioni come nete, hypate e mese si riferiscano a corde, e questo riferimento viene rafforzato dalle designazioni delle altre note dell'ottava che indicano la prossimità all'una o all'altra corda (paranete, paramese) o la posizione (trite) o, a quanto sembra, ad una pratica d'uso della corda (lychanos). Ora Zaminer fa notare che queste circostanze non sono sufficienti a dare un effettivo fondamento all'in-terpretazione proposta e che le domande che si potrebbero proporre ne indebolirebbero ancor più la portata. Che cosa sappiamo realmente del modo di suonare la lira? E perché un’eventuale terminologia empirica derivata da quello strumento dovrebbe avere la prevalenza su ogni altra, e in particolare su questioni che non hanno diret-tamente a che fare con la pratica, ma con la teoria? E poi perché proprio la lira? Se si estende la considerazione ai cordofoni greci in genere e si osservano le disposizioni dello strumento rispetto allo strumentista nella vasaria greca si hanno le disposizioni più varie:

«Se ci atteniamo alle rappresentazioni figurative antiche, gli strumenti a corda sono tenuti in modo molto differenziato: la forminx va dalla posizione verticale fino a quella orizzontale, la cetra si tro-va in posizione eretta oppure leggermente inclinata verso l'esterno, la lira fortemente inclinata in avanti e il barbitos inclinato obliquamente fino alla posizione orizzontale. Che queste posizioni

Page 443: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

443

favoriscano o anche soltanto reandano possibile la formazione di un impiego verbale univer-salmente riconosciuto per l'hypate e la nete è veramente difficile da sostenere. Si aggiunga che molto poco si sa su come le corde fossero ordinate secondo la loro altezza, dove ad esempio si trovasse la corda più grave e quella più acuta rispetto alla vista del suonatore» (p. 5).

Vi è infine, insieme ad altre considerazioni più minute, un singolare passo di Plutarco (Platonicae Quaestio-nes, 9.2) che afferma che l’hypate nella lira si trova nella prima posizione più elevata, mentre negli auloi essa è nella ultima posizione più bassa: affermazione, che qualunque cosa voglia dire letteralmente, indubbiamente sembra relativizzare la denominazione hypate e renderla «indipendente dai rapporti con la pratica degli stru-menti musicali» (p. 6). La plausibilità delle obiezioni di Zaminer nei confronti dell’opinione più corrente mi sem-bra indubbia; ma tanto più cresce il nostro interesse quanto più egli si avvia a formulare le proprie ipotesi, che non solo ci portano lontano da tentativi di spiegazioni “positive” che risultano alla fine fortemente riduttive, ma che riescono a fare intravvedere, attraverso queste scelte terminologiche, un orizzonte di senso assai ampio. In effetti veniamo subito sbalzati dalle questioni di tecnica strumentale ai grandi problemi della concezione dell'uni-verso e della relazione della musica con il sistema celeste. In effetti vi è una relazione tra i nomi delle note e il si-stema astronomico. Ecco un’interessante citazione tratta da Nicomaco di Gerasa (II sec. d. C):

«Probabilmente i nomi delle note risalgono ai sette pianeti che percorrendo il cielo ruotano attorno alla terra... Dal moto di Crono, che è il più alto rispetto a noi, fu chiamato hypate il suono più grave dell’ottava, perché hypaton significa alto. La nete prende invece il nome dalla luna, il più basso di tutti e il più vicino alla terra, perché neton vuol dire basso. Dai pianeti che si trovano accanto a loro la parypate deriva il suo nome da Zeus, al di sotto di Crono, e la paranete da quello al di sopra della luna, cioè Afrodite. La mese dal pianeta che si trova esattamente al centro, cioè il sole, situato in quarta posizione a partire dal basso come dall’alto; la mese dell’antico eptacordo distava di un tetracordo dai due suoni estremi, così come il sole, tra i sette pianeti, è il quarto a partire da tutte e due le parti , e si trova in posizione assolutamente centrale. Ai due lati del sole, Ares che si colloca nella sfera tra Zeus ed il Sole ha dato nome alla ipermese o lichanos, ed Ermes in mezzo ad Afrodite ed al Sole, alla paramese». La mese prende invece nome dal movimento intermedio che è proprio del sole che occupa la quarta posizione dall’uno e dall’altro lato» (Nicomaco, 1990, pp. 148-149).

Page 444: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

444

Il commento di Barker è lapidario: «Questo è certamente sbagliato. Probabilmente le note hanno ricevuto il loro nome dalle corde o dalle dita usate per suonarle, essendo il significato di hypate “molto lontano” e il significato di nete “molto vicino”» (Barker, 1989, p. 252). Noi seguiremo invece, anche se in modo non letterale in questo o quel dettaglio, la tesi di Zaminer e le sue congetture, facendo peraltro riferimento a quest’unico passo di Nicomaco con qualche precisazione preliminare. Intanto non staremo a discutere sulla posizione qui proposta dei corpi celesti, dove Venere-Afrodite viene posta subito al di sopra della Luna, mentre in altri autori questa posizione è occupata da Mercurio e Venere segue ad esso. Scrive in proposito Luisa Zanoncelli:

«La collocazione di Venere prima di Mercurio corrisponde alla concezione di Posidonio.... L’ordi-ne di dei pianeti era stato variamente stabilito (v. Teone, p. 143 H) in base ai tempi della loro rivo-luzione zodiacale (uguale per sole, Venere e Mercurio); la questione dei cosiddetti pianeti interni restò a lungo aperta e le soluzioni proposte per risolverlo erano molto complesse (v. Teone, p. 186 ss. H)» (Zanoncelli, 1990. p. 186).

È evidente che questo non cambia nulla per quanto riguarda il senso del problema. Inoltre il rapporto tra la mese e il sole, oltrettutto così ricco di portata simbolica, crea qualche imbarazzo in Nicomaco che precisa che tale conce-zione vale per l’eptacordo, ma non per l’ottocordo. Se consideriamo l’ottocordo come suddiviso in quinta+quarta nella direzione ascendente e discendente è facile rendersi conto che la trite e la mese si scambiano le parti, non avendo né l’una né l’altra carattere di nota centrale. Nell’una direzione la quinta cade sulla mese, nell’altra sulla trite.

«Mese e trite sarebbero in questo caso “toni medi” allo stesso titolo e la loro denominazione volendo potrebbero essere scambiate, cosicché questi termini non avrebbero alcuna specificità rispetto ai loro significati» (Zaminer, 1984, p. 14).

Come subito vedremo, questo imbarazzo viene tolto di mezzo da una diversa interpretazione del problema. Occor-re infine richiamare l’attenzione sul fatto che, benché nel testo di Nicomaco si parli di movimento e ci si ricolleghi all’armonia delle sfere alla fine del paragrafo («Spiegherò anche per quali cause noi non riusciamo a percepire questo cosmico simultaneo risuonare generatore - come riporta la tradizione - di un suono puro e armonioso»), la questione va affrontata interamente in termini di posizione - evitando anche confusioni con la tematica del rapporto velocità-emissione del suono.

Page 445: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

445

Il punto in cui ci discostiamo un poco da Zaminer sta nel fatto che il percorso che conduce alla tesi che egli pro-pone può essere con esemplare immediatezza illustrato dalla nostra tematica della “linearizzazione” dell’intevallo, ovvero della corda considerata come rappresentativa di un segmento. Così diremo subito che il problema deve, a nostro avviso essere considerato non già dal punto di vista della posizione effettiva della corda (come traspare anche nella citazione di Nicomaco), ma dal punto di vista della posizione della mese nella sua proiezione in certo senso geometrica. Ciò che importa, in questa designazione, non è l’intervallo come rapporto aritmetico che al-trove ho chiamato intervallo “intelligibile”, ma l’intervallo “visibile” (Piana, 2003). Vogliamo dunque ricollegarci senz’altro alla nostra esposizione precedente. Essa contiene già sia l’impostazione che la soluzione del problema.

6 8 9 12

nete trite mese hypate

In questo diagramma la Mese occupa esattamente la posizione di centro rispetto al segmento (6,12). Questa stessa posizione è in grado di rappresentare sia la quarta dall'hypate alla Mese (12,9), sia la quinta, dalla Mese alla Nete (9,6) essendo 12 : 9 = 4 : 3 e 9 : 6 = 3 : 2.

Zaminer presenta esattamente lo stesso schema proponendolo in questa forma:

Page 446: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

446

«Di qui risulta che il dimezzamento dell’intervallo di ottava hypate-nete mediante la mese con-siste nel dimezzamento della lunghezza della corda corrispondente all’intervallo di ottava e che la denominazione mese - ed è questo che è sfuggito finora alla ricerca - è legittimato soltanto da questo stato di cose» (Zaminer, 1984, p. 15)

Con ciò anche è risolto anche il problema della trite: benché nella direzione ascendente dall’Hypate alla Trite essa contrassegni un intervallo di quinta (12: 8 = 3 : 2) e dalla trite alla nete un intervallo di quarta (8:6= 4:3), essa non ha mai, rispetto al segmento rappresentativo dell’ottava, carattere di centro. È difficile trovare un’interpretazione più trasparente di questa. Giustamente anche in questa spiegazione Zaminer vede una conferma dell’errore di cerca-re spiegazioni per queste denominazioni unicamente nei dati di fatto della pratica strumentale (p. 14). In realtà in questo caso abbiamo anzitutto a che fare con nomi che rimandano ad un’elaborazione intellettuale geometrizzante dell’intervallo di ottava piuttosto che con la posizione delle corde dello strumento.

Non solo: dopo questi chiarimenti possiamo ritornare alla tematica annunciata dalla citazione di Nicomaco di Gera-sa - alla relazione tra nomi delle note e organizzazione dell'universo astronomico - relazione che richiede passaggi analogici che hanno carattere ad un tempo scientifico e immaginativo.

Per effettuare questi passaggi lo schema precedente relativo allo spazio di un'ottava non ci porta allo scopo. Zami-ner ricorre in effetti ad una rappresentazione analoga che riguarda tuttavia la doppia ottava fornendo una comples-sa spiegazione sulla quale eviteremo di riferire dal momento che possiamo operare una notevole semplificazione non facendo altro che raddoppiare il nostro schema (come abbiamo già fatto in precedenza per altri scopi).

6 8 9 12 16 18 24

0

Page 447: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

447

Su questa doppia ottava dobbiamo riferire anzitutto i nomi delle note nete, mese e hypate facendo un ragiona-mento tipicamente monocordista. La corda di riferimento sarà dunque (0,24) e dunque il nome mese andrà natu-ralmente al suo centro, e cioè sarà assegnato il numero dodici. Altrettanto naturale sarà l’assegnazione della nete e dell’hypate rispettivamente al numero 6 ed al numero 24, con riferimento ai segmenti (0, 6) e (0,24). Il punto 0 rappresenta il punto di aggancio (o il ponticello fisso sul lato sinistro).

Con queste assegnazioni saremo in grado di effettuare un coerente coordinamento con il sistema di consonanze vi-sibile sullo schema ed il sistema planetario. L’ipotesi che attraversa tutto il pitagorismo è che l’ordine armonico dei corpi celesti corrisponda ai rapporti musicali sinfonici, quindi ottava, quarta e quinta. Il modo di concepire l’univer-so da parte dei greci è cambiato nel corso del tempo e talvolta differisce in autori di epoca vicina - ma ha anche ricevuto una certa stabilizzazione, naturalmente in età piuttosto tarda. Molte cose erano comunque già note nelle fasi arcaiche del pensiero greco, anche a seguito delle conoscenze ereditate dalla civiltà egiziana e babilonese; ed erano in circolazione diverse concezioni sulla struttura generale dell’universo, in particolare sulla posizione dei “pianeti” e sul loro movimento. In questa nostra discussione noi non dobbiamo impegnarci più di tanto in proble-mi di astronomia antica perché le assunzioni che ci sono necessarie ai fini della sua impostazione sono realmente minime. Come abbiamo già sottolineato, dobbiamo presupporre la sequenza degli astri “vagabondi” (“pianeti”) Luna, Venere, Mercurio, Sole, Marte, Giove, Saturno - che è appunto l’ordine proposto da Nicomaco, avendo già del resto chiarito che anche uno scambio di posizioni tra Mercurio e Venere non ha particolare importanza. Importante è invece la concezione della terra come punto di aggancio del sistema. Il punto essenziale, che fa parte della pro-posta interpretativa di Zaminer è quello di considerare la Terra a somiglianza del punto 0 di aggancio della corda. Si tratta di una plausibile analogia: come vi è un punto fisso in cui la corda deve essere agganciata, così il sistema dei corpi celesti può essere concepito come agganciato alla terra, punto stabile della loro rotazione.

6 8 9 12 16 18 24

0

Nete Mese Hypate

Page 448: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

448

Rendendo operante questa similitudine la coordinazione tra il sistema di consonanze e corpi stellari e dunque la “sinfonicità” del cosmo diventa, vorrei quasi dire, evidente. In effetti lo schema precedente ora assume la forma seguente (cfr. Zaminer, 1989, p. 24):

6 8 9 12 16 18 24

Terra Luna Venere Mercurio Sole Marte Giove Saturno

nete mese hypate

ottava ottava

quinta quinta

quarta quarta

Da un lato si conferma l’idea della nete come riferita al pianeta più vicino e l’hypate al pianeta più lontano, dall’altro la posizione del sole rende naturale la sua associazione alla mese, trovandosi in quarta posizione sia rispetto a Luna, Venere, Mercurio da un lato, sia rispetto a Marte Giove e Saturno dall’altro - in questo senso, per quanto riguarda la posizione, il sole è il centro stesso del sistema planetario in corrispondenza del centro del sistema armonico. Ma ciò significa, come è illustrato dal grafico, che prendendo come riferimento questo centro, le “distanze musicali”, come verrebbe voglia di dire, tra i corpi stellari comprendono secondo un preciso ordine le consonanze di quarta, di quinta e di ottava. La scala è ben connessa, come lo è l’universo stesso.

Page 449: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

449

«In questo contesto visionario il sistema planetario e il sistema delle consonanze ricevono attra-verso questa correlazione dei fissi contorni. I pianeti vengono riferiti l'uno all'altro nel senso dei suoni consonantici e i suoni consonantici ricevono a loro volta un significato planetario» (Zami-ner, 1989, p. 25).

Aggiungerei forse anche che qui siamo di fronte ad una singolare intuizione della centralità «musicale» del sole - il che significa della centralità del sole per l’ordine dell’universo che è in qualche modo associata alla centralità della terra come punto fisso: un’intuizione che, per i tempi, non mi sembra di poco conto nemmeno da un punto di vista astronomico. Una breve osservazione integrativa mi sembra debba essere compiuta anche per la relazione di tutto ciò con il tema dell’armonia delle sfere. È evidente che una relazione c’è, anche se noi abbiamo sottolineato in precedenza che qui non è in questione l’emissione di suoni, e dunque il movimento dei pianeti, ma la loro posizione e la loro correlazione con i nomi delle note. Se si considera questa relazione sembrerebbe esservi incongruenza tra la relazione hypate-Saturno e nete/Luna perché secondo alcune concezioni Saturno sarebbe il pianeta più ve-loce (e quindi capace di emettere il suono più acuto) e la Luna il pianeta più lento (e quindi capace di emettere il suono più grave); ma anziché cercare di contrapporre altre concezioni che sostenevano l’inverso, sembra a me più opportuno far notare che una ottava o una quinta resta un’ottava o una quinta, qualunque siano i pianeti interessati. In altri termini l’intera impostazione non muterebbe di una virgola se l’ordine della velocità fosse crescente dalla Luna a Saturno o inversamente.

Il problema dei nomi delle note non è il problema dell’armonia delle sfere, ma non è nemmeno in contrasto o in contraddizione con esso. Il suo tema essenziale è, ancora una volta, quello di un accordo interno dell’universo. Questo tema si sviluppa atttraverso associazioni che si muovono tra l’immaginario ed un livello scientifico ai suoi inizi. Ma è bene rammentare che i greci sapevano benissimo distinguere tra una nota ed un corpo celeste come sappiamo farlo noi. Alla base delle correlazioni stabilite vi è l’idea che un ordine, e precisamente un ordine nume-rico, il che significa nello stesso tempo - anche questo occorre non dimenticarlo - l’ordine di una legge che governa l’universo: ora è accaduto che un primo sintomo particolarmente significativo di quest’ordine sia stato scoperto nella musica, e lo sia stato non come una circostanza di ordine particolare, ma al contrario come un sintomo che poteva prescindere dall’empiria dei materiali e delle cose visibili per concernere il lato universale delle cose. Vi è dunque un pensiero profondo che suggerisce di guardare in alto, al cosmo stesso, a partire dalla musica - e questa è cosa diversa del guardare al mondo come un mondo fatto di musica.

Page 450: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

450

Page 451: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

451

10 I generi

Page 452: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

452

Page 453: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

453

10.1 Prima dei generi

10.2 I generi e le loro differenze

10.3 L'indicatore del genere

10.4 L’alterna vicenda dei generi

10.5 Il pyknon

10.6 La teoria dei generi e i tetracordi di Archita

Page 454: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

454

Page 455: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

455

Abbiamo più volte richiamato l'attenzione sul fatto che è la teoria dei generi che caratterizza la teoria greca della musica in modo eminente, e conseguentemente tutte le nostre considerazioni precedenti debbono essere ripen-sate e ricomprese nel contesto loro proprio rappresentato da quella teoria.

Il termine genere (genos) ha in realtà un'origine logica - si tratta proprio della differenza tra genere e specie nella teoria del concetto dove il genere è sovraordinato alla specie come quando diciamo che la specie "uomo" appar-tiene al "genere" animale. Ma da ciò converrà ora prescindere per identificare meglio il problema propriamente musicale.

La problematica musicale dei generi comincia prendere forma quando il materiale musicale che possiamo sup-porre fortemente differenziato e disparato nelle diverse regioni della Grecia, comincia ad essere messo sotto il fuoco dell’attenzione teorica e si pone il problema, come in tutte le culture musicali evolute, della sua organizzazio-ne. Si tratta di un processo graduale, che attraversa anche il pitagorismo, ma che ha il suo punto culminante e la sua formulazione più netta nel più grande teorico della musica greca, Aristosseno di Taranto (seconda metà del secolo IV a. C.). Dei generi parlerà poi tutta la trattatistica musicale successiva.

Con Aristosseno si apre un nuovo paesaggio della teoria greca della musica, e si apre all'insegna di Aristotele di cui egli fu allievo e presumibilmente per un certo tempo anche candidato alla direzione della scuola peripatetica. Ecco dunque che mentre con il pitagorismo si crea ben presto un legame con un platonismo destinato a protrarsi nel tempo, con Aristosseno entra in scena l'altro grande versante della filosofia e della spiritualità greca: il versante aristotelico. Con tutto ciò che questo comporta: l'attenzione che si volge verso il mondo sensibile, la rivalutazione dell'apporto della percezione che nel platonismo dove necessariamente recedere di fronte alle pure idealità, quindi anche la maggiore vicinanza, per quanto riguarda le vicende della musica alle pratiche effettivamente operanti.

Ma che cosa vi era prima della sistemazione teorica aristossenica e dei tentativi pitagorici di tener conto della differenza dei generi? Io credo, che al di là di precise e documentate verifiche storiche si possa supporre che an-che in Grecia, sia avvenuto ciò che avviene nelle culture musicali che si sviluppano da stadi primitivi fino a livelli di grande dignità teorica. In ogni cultura musicale ai suoi inizi, all'interno della pratica musicale stessa si vanno

10.1 Prima dei generi

Page 456: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

456

stabilizzando stilemi, elementi motivici e andamenti melodici che vengono liberamente impiegati dai musicisti, cantori o strumentisti e che cominciano a formare un patrimonio musicale comune, prima in un ristretto ambito regionale-tribale, poi in una sfera sempre più ampia. Questi elementi di organizzazione melodica, che assumo-no forma di schemi intervallari, e quindi di scale differenti, di variazioni tipicamenti inerenti a questo o a quello schema, possono contraddistinguersi per la loro prevalenza in regioni geografiche diverse o per il loro impiego prevalente presso questo o quel gruppo etnico, e ricevere anche dei nomi che li identificano. Potremmo parlare ge-nericamente di "tipi melodici" (implicando anche naturalmente l’elemento ritmico) e ciascun tipo può avere carat-teristiche peculiari sia sotto il profilo musicale sia sotto quello extramusicale, ad esempio occasioni particolari in cui un determinato tipo melodico viene eseguito (matrimoni, cerimonie funebri, riti religiosi, feste, spettacoli ecc). Si tratta di un materiale musicale disparato inizialmente privo di organizzazione. A poco a poco, sia per esigenza di apprendimento e di trasmissione da maestro a discepolo, sia per un'esigenza di ordine teorico, interviene un pen-siero sistematizzatore. Questi concetti e questo percorso può essere esemplificato nella musica etnica in genere, ma anche nelle culture musicali evolute come quella indiana, araba o cinese. Tutto ciò vale indubbiamente anche per la musica greca arcaica.

Poiché siamo liberi di usare i termini come vogliamo questi "tipi melodici" potrebbero essere chiamati modi - ma con un'importante precisazione. Il termine modo ha un impiego particolare in tutta la tradizione musicale europea dal medioevo fino all'avvento della tonalità; prima di essa la “modalità” ha rappresentato un vero e proprio sistema lin-guistico con le proprie regole e specifiche terminologie. Esso si va affermando nel medioevo a partire dai cosiddetti "modi ecclesiastici" o "modi di chiesa", ricollegandosi spesso con notevoli fraintendimenti alla teoria greca e svisan-done anche la terminologia. Questi fraintendimenti e svisamenti sono poi stati riproiettati sulla teoria della musica greca, creando, come si può ben immaginare, confusioni a catena. Ora se la parola “modo” viene presa in questo si-gnificato storico specifico, occorre guardarsi dall'impiegarlo in rapporto a questo o a quell'aspetto della teoria greca.

«I Greci non hanno conosciuto alcun modo» (Gombosi, 1951, p. 20).

«Nella dottrina greca vi sono cose sufficientemente certe perché non perdiamo il nostro tempo a elaborare ipotesi fragili e sterili. L'importanza del modo nella musica liturgica del medioevo e in quella del giorno d'oggi non deve farci credere che l'antichità abbia avuto preoccupazioni simili alle nostre» (Potiron, 1961, p. 176).

Page 457: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

457

È importante, a mio avviso, sottolineare che quando si nega la presenza di modi nella musica greca, come nelle citazioni precedenti, si presuppone sempre l’accezione storicamente determinata del modo nella tradizione musi-cale europea. Infatti nulla ci impedisce di usare lo stesso termine in un'accezione estesa, come “tipo melodico” nel senso or ora descritto, che da quella tradizione musicale europea è perfettamente scindibile (Piana, 1998, p. 20). Ciò può può facilitare i confronti così come attirare l'attenzione sulle differenze. Del resto è ormai invalso l'uso, che non è affatto da disapprovare, di chiamare modi ad esempio anche i raga e gli schemi intervallari orientali in genere, benché essi non siano certo da confondere con i modi ecclesiastici.

Va detto che non mancano le parole greche per indicare il tipo melodico e in generale aspetti che possono cade-re sotto l’accezione estesa del termine “modo” benché, anche in rapporto ad esse ci possano essere controversie interpretative. In particolare il termine di harmonia, nella varietà dei significati che gli vengono attribuiti, ha anche un significato che assomma le caratteristiche che abbiamo riunito sotto la nozione di tipo melodico, in un'accezione nettamente rivolta ad uno schema intervallare che poteva riguardare l'ottava in possibili diverse suddivisioni.

Ora vi sono indizi che nella fase più antica della musica greca vi fossero "armonie" non necessariamente già incor-niciate nel quadro della teoria dei generi. Uno di questi indizi è rappresentato dalle armonie di cui parla Platone nel terzo libro della Repubblica (398 c) e da Aristotele al termine della sua Politica (1340a-b). In Platone esse hanno dei nomi: egli parla di dorico, frigio, lidio, iastio, misolidio e sintonolidio. L’harmonia dorica, frigia, e misolida sono nominate invece da Aristotele. Alcune di queste armonie sono dunque caratterizzate con i nomi delle regioni di origine o di provenienza benché in quest'epoca avessero in gran parte perduto il loro carattere di musiche regio-nali ed avessero piuttosto il carattere di stili differenti. Questo processo di standardizzazione e di regolarizzazione continua presumibilmente con i teorici talvolta chiamati “armonisti”:

«Essi continuarono a riorganizzare le vecchie harmoniai che rapidamente diventarono tonoi con parti costitutive più regolarizzate e relazioni maggiormente compatibili tra loro. Fu alla fine con Aristosseno una o due generazioni più tardi che otteniamo la nostra prima teoria analitica com-pleta, unificata e onnicomprensiva» (Solomon, 1984, p. 249).

Per quanto riguarda le antiche harmoniai, Platone peraltro non dà alcuna caratterizzazione tecnica relativa alla loro struttura. Aristide Quintiliano fornisce invece di esse una vera e propria notazione. Sia sull’interpretazione della notazione, sia sulla natura delle "scale" proposte, sulla loro maggiore o minore arcaicità, sono sorte numerose con-

Page 458: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

458

troversie - ed alcuni imputano a erronee interpretazioni di queste "armonie" la tesi secondo cui cui la modalità nel senso medioeval-moderno sarebbe presente nella musica greca:

«Ci viene detto che il suo trattato contiene la notazione delle armonie dette platoniche secondo i più antichi tra gli autori antichi... cosa che ha fatto credere che noi abbiamo in questi diagrammi le forme di modi primitivi» (Potiron, 1961, p. 160).

A parte i dettagli della disputa, sembra difficile dimostrare che le armonie di cui parlano Platone e Aristide Quin-tiliano riferendole ad una fase arcaica della musica greca siano da considerare nel quadro della teoria dei generi, così come non possiamo certo supporre, perché si tratterebe di una supposizione priva di senso, che tale teoria sia sorta tutta in un colpo nella testa di un unico grande teorico. La teoria dei generi viene dopo la sua graduale affermazione nella pratica musicale e sembra naturale ritenere che essa, nella pratica come nella teoria, abbia avuto una gestazione a partire da tipi melodici e dunque modelli intervallari caratteristicamente praticati in conte-sti regionali e in occasioni particolari, come è il caso della musica popolare in genere. Inoltre va detto che alcuni nomi che si possono fare risalire alle "armonie" più antiche vengono mantenuti anche negli sviluppi della teoria dei generi, rimanendo sullo sfondo dell'elaborazione musicale e teorica dei greci.

Page 459: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

459

10.2 I generi e le loro differenzeIntroducendo il problema del tetracordo come spazio sonoro fondamentale per la teoria greca abbiamo proposto la scala diatonica pitagorica proponendo anche per ciascuna nota un nome soffermandoci anche sulle ragioni profonde dei nomi delle posizioni fondamentali nete-mese-hypate. Abbiamo anche fatto notare che le note che delimitano l'intervallo di disgiunzione sono inamovibili in quanto la modificazione dell'intervallo tra esse modifi-cherebbe i pilastri consonantici dell'ottava, la quarta e la quinta. Ma che ne è degli intervalli che stanno all'interno del tetracordo superiore e di quello inferiore? Il principio su cui si regge la differenza tra i generi sta nel fatto che di fronte alle note stabili - nete, paramese, mese e hypate - vi sono le note mobili: la paranete e la trite nel tetra-cordo superiore e la lichanos e la parhypate nel tetracordo inferiore. Gli intervalli che sono interessati da queste note possono dunque variare e questa variazione va intesa come vincolata ad una tipologia delineata in linea di massima. I tipi in questione vengono chiamati generi. Una stessa struttura melodica potrà dunque essere eseguita in modi diversi secondo il genere e acquisire così una diversa inclinazione di senso. Questa idea delle note mobili e della possibilità conseguente di "interpretare" un andamento melodico attraverso variazioni della grandezza dei suoi intervalli costitutivi è caduta completamente negli sviluppi successivi, ed è da considerarsi estranea alla musica europea dal medioevo in poi, nonostante il fatto che fino al secolo XVIII la terminologia dei generi ha continuato ad affiorare all'interno della trattatistica teorica (con sensi ovviamente del tutto mutati).

Il fatto che la direzione diretta degli andamenti scalari greci sia considerata quella discendente e la direzione in-versa quella ascendente non è un dettaglio di secondaria importanza, non solo, ovviamente per la corretta lettura della sequenza degli intervalli, ma anche perché dal punto di vista espressivo esso segnala una tendenza del movi-mento melodico a "cadere", ed in realtà è questa stessa tendenza che si manifesta - per quanto poco questo aspetto venga sottolineato - nella differenza dei generi.

I generi greci sono tre, i loro nomi sono: 1. diatonico: 2. cromatico; 3. enarmonico. Dall'uno all'altro si ha un’accen-tuazione del senso della discesa, e quindi del senso della "caduta". Il tetracordo è sentito ad un tempo come un intervallo unitario che si chiude sulla quarta, ma nella sua articolazione interna la grandezza degli intervalli può essere variata in modo tale che l'andamento verso la quarta avvenga a passi relativamente uniformi oppure che venga progressivamente "accelerato" - ciò significa che i passi diventano sempre più stretti approssimandosi alla

Page 460: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

460

mèta. È come se ci fosse una forza di gravità, che nel genere diatonico si fa sentire relativamente poco mentre nel genere cromatico ed enarmonico si accentua sempre più. Nel primo caso essa viene in certo modo frenata, negli altri altri sempre più assecondata.

Al di là delle immagini che peraltro tentano di descrivere un senso inerente alla percezione, ciò che accade og-gettivamente è soltanto un coerente mutamento di grandezza di intervalli. Nel genere diatonico i primi due passi sono uniformi, e l'ultimo più stretto (cosa che già sappiamo). Nel genere cromatico, il primo passo è più ampio e gli altri due (normalmente) si restringono, mentre nel genere enarmonico il primo passo è amplissimo, e gli ultimi due sono strettissimi, e si precipitano quasi sulla nota di chiusura del tetracordo.

Possiamo assumere la nostra ben nota struttura intervallare T T S come particolarmente rappresentativa del tetra-cordo di genere diatonico. Questo termine è dunque in realtà da considerarsi come nome di un genere. Ma va da sé che ora la mobilità delle note intermedie del tetracordo ci possono porre vari problemi per ciò che concerne espressioni come tono o semitono. Esse debbono essere ormai prese come designazioni assai generiche la cui grandezza resta di volta in volta da determinare.

1.Il genere diatonico potrebbe essere rappresentato graficamente in questo modo, usando i nomi delle note del tetracordo inferiore che è considerato significativo del genere:

mese lichanos parhypate hypate

Page 461: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

461

2. Nel caso del genere cromatico invece la forza di attrazione della paramese o dell'hypate si fa sentire maggior-mente. Infatti noi abbiamo qui la posizione dei due suoni mobili in modo tale che il primo realizza un grande pas-so, a cui seguono due piccoli passi. La conseguenza è che il primo intervallo deve essere maggiore di un tono. Di quanto? Per il momento e in attesa di ulteriori chiarimenti diciamo che deve essere maggiore di un tono e minore di due toni. Esso potrebbe essere rappresentato così:

3. Infine abbiamo il genere enarmonico: la tendenza che già vediamo in atto nel genere cromatico viene ulterior-mente accentuata. Cosicché avremo un passo iniziale larghissimo e poi due passi molto stretti.

mese lichanos parhypate hypate

mese lichanos hypateparhypate

Page 462: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

462

Nella precedente discussione sui nomi delle note abbiamo lasciato un punto interro-gativo sul termine lichanos - non potevamo in realtà trattare l'argomento prima di aver parlato della teoria dei generi. Ora una precisazione diventa possibile.

Letteralmente lichanos significa “dito indice". Abbiamo già in più di un passo sollevato dubbi sulla tendenza a cercare ad ogni costo ed in modo esclusivo spiegazioni "po-sitive" in dati di fatto relative alla tecniche strumentali, mettendo da parte elementi più densi di teoria o intrisi di immaginazione. Qui troviamo un altro ottimo esempio di questa tendenza. Che cosa vi è di più ovvio che ritenere questa denominazione come relativa al dito che toccava la corda corrispondente del tetracordo? I nomi delle note "sono connessi anzitutto con la mano in atto di suonare: ad esempio, lichanos significa dito indice..." (Henderson, 1962, p. 386). Così anche il dizionario greco Liddel-Scott (Le Monnier, 1975) che dopo aver segnalato come primo significato "dito indice", come secondo significato indica "la corda pizzicata con l'indice e la nota relativa". Questa spiegazione ha comunque un'origine antica.

10.3 L’indicatore del genere

Page 463: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

463

È singolare che talora le spiegazioni che a tutt’a prima sembrano tener saldamente i piedi per terra si rivelino, ad un minimo di riflessione, del tutto arbitrarie e fantasiose. Questo sembra essere proprio il caso di questa spie-gazione della lichanos: basti pensare alla varietà di cordofoni (che vengono qui evidentemente privilegiati) a di-sposizione ed alla molteplicità di diteggiature possibili per brani diversi o per lo stesso brano - una possibilità da sempre sfruttata a fondo dagli strumentisti di ogni epoca. Sembra allora rasentare il nonsenso il ritenere che un determinato dito fosse preordinato a pizzicare una corda preordinata.

La parola va intesa invece nel quadro della teoria dei generi. Se guardiamo anche soltanto i nostri precedenti gra-fici ci rendiamo conto del "significato" della lichanos rispetto al genere: a seconda della posizione della lichanos sappiamo subito in quale genere ci muoviamo. Va naturalmente precisato che lo stesso modo di intendere l'ottava come doppio tetracordo rende possibile il fatto che i due tetracordi potessero essere sia dello stesso genere, che di genere diverso. Henderson (1962, p. 387) afferma esplicitamente che «è da scartare il concetto di scale di ottava uniformi, poiché due tetracordi accoppiati potevano essere di genere diverso». Nel caso che i generi dei due tetra-cordi fossero diversi, il genere era caratterizzato dal secondo tetracordo.Il dito indice della mano ha dunque a che fare con il significato della parola, perché esso è il dito che indica per eccellenza, e come tale suggerisce subito possibili impieghi metaforici.

Page 464: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

464

10.4 L’alterna vicenda dei generi

Occorre guardarsi dal considerare la mobilità delle note interne al tetracordo nel senso di "alterazioni", sia pure un po' particolari, simili a quelle in uso nella musica europea. Il sistema dei generi è una peculiarità della musica greca, anche se naturalmente le note mobili possono essere ritrovate anche in altre culture. Il restringersi o l'allargamento di un intervallo in funzione espressiva è qualcosa di diverso dalla diesizzazione o dalla be-mollizzazione di una nota, anche se eventualmente per necessità notazionali tenderemo, in una eventuale trascrizione e usando i nostri nomi delle note, ad usare diesis e bemol-le. Ciò si può fare soltanto se si sa bene quel che si fa. Sarebbe invece un errore ritenere, ad esempio, che il primo intervallo del genere cromatico o del genere enarmonico siano composizioni di intervalli - anche se la loro grandezza coincide con due intervalli: ad es. il primo intervallo di un genere cromatico potrebbe essere pari ad un tono+apotome oppure possiamo far equivalere il primo intervallo del genere enarmonico a due toni - ed anzi può talvolta essere utile per indicare queste grandezze, se è possibile, alla somma di grandezze standard come 204, 114 o 90. Questa utilità riguarda solo il problema eventuale di una mi-surazione. Un tono che si allarga o si restringe è una caratteristica circostanza dinamica (dal punto di vista uditivo) che pone un problema interamente diverso da una entità misurata in sotto-entità. Le trascrizioni nella nostra notazione con i nomi delle nostre note possono essere utili anche per fare confronti con i valori del nostro sistema temperato - ma occorre che esse siano accompagnate dalla consapevolezza che il "modo di intendere" la differen-za dei generi è un fatto eminentemente espressivo.

Questa osservazione è tanto più importante se si tiene conto che la possibilità di impiego di uno genere o dell'altro, o di un genere misto (due generi diversi nel tetracodo superiore e in quello inferiore) arricchisce la tavolozza espressiva in rapporto ad una stessa melodia. Qui siamo in presenza di un concetto effettivamente nuovo al quale non siamo certamente abituati. In certo senso, la stessa melodia può ricevere diverse "interpretazioni" secondo il genere in cui viene eseguita.

Page 465: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

465

Per illustrare le differenze del genere sarei tentato di usare un concetto visivo: quello di punto di vista. Se io guardo un colonnato frontalmente ponendomi in una posizione centrale avrò grosso modo la visione di una fila di colonne eguali:

È chiaro che, se dovessi fare una associazione con i generi, assocerei questa visione frontale, che è la più stabile, al genere diatonico. Se invece mi dispongo lateralmente, vi sarà una scorciatura prospettica più o meno forte.

Ecco il cromatico e l'enarmonico! L'oggetto è lo visibilmente lo stesso, ma la prospettiva è mutata, e lo è secondo una regola.

Page 466: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

466

Così la melodia, nel mutamento del genere, è perfettamente riconoscibile, ma la sua espressività muta. In certo senso, rompendo l'ordine diatonico, si ha una maggiore dinamicità, che si traduce in una sorta di drammatizzazione interna. L'oggetto sonoro resta quello che è, ma è diventato più plastico, più mobile, forse anche più ambiguo.

Naturalmente non sappiamo come fossero realmente giocate le possibilità che i generi mettevano a disposizione, ma proprio per questo siamo anche tentati di comprendere, al di là degli aspetti formali, come queste differenze possano in ogni caso agire sul piano dell'espressione. Ben poco siamo informati dell’evoluzione storica del proble-ma. È noto tuttavia che i generi ebbero fortune alterne - e che proprio il genere enarmonico, che abbiamo messo per ultimo, perché questo sembra l'ordine logico, sia stato invece il genere più antico. Questo attesta lo Pseudo-Plutarco (I sec. d. C.), nel suo De Musica, che è secondo Sachs fonte attendibile:

«Dei tre generi nei quali è divisa la scala musicale, corrispondenti in numero e potenza ai loro rispettivi sistemi, suoni e tetracordi, uno solo fu coltivato dagli antichi. Nei loro trattati noi non troviamo nessuna indicazione sull'uso del genere diatonico o cromatico, ma dell'enarmonico sol-tanto» (Sachs, 1943, p. 208)

Peraltro, questa affermazione potrebbe anche voler dire, mi sembra, che non vi era a quei tempi nessuna teo-ria dei generi, ma la prevalenza di un'ottava assai simile a quella che venne poi ascritta al genere enarmonico.

È certo in ogni caso che verso la tarda grecità il fenomeno rilevante e decisivo sia il prevalere del genere diatonico. Questa prevalenza è stata così pronunciata da segnare una crisi irreversibile nella teoria dei generi che resta alla fine soltanto nelle esposizioni trattatistiche, ed ovviamente - non vivendo più nella pratica musicale - perdendosi in mille equivoci. Secondo lo stesso Pseudo-Plutarco i suoi contemporaneai non erano più in grado di cantare nel genere enarmonico; ed un secolo dopo Gaudenzio (II sec.) nella sua Introduzione all’armonica conferma che il dia-tonico era l'unico genere cantato ai suoi giorni. Scrive Gaudenzio:

«La trattazione sarà limitata al solo genere diatonico; dei tre generi è il solo ad essere oggi comune-mente impiegato, mentre gli altri due rischiano di cadere in disuso» (Gaudenzio, 1990, cap. 6, p. 319).

Page 467: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

467

Questa vicenda tuttavia suggerisce anche altri pensieri. Il genere cromatico è indubbiamente un genere interme-dio, ma lo si può accoppiare certo meglio al genere enarmonico che al genere diatonico. Ciò dipende in particolare per il fatto che già nel genere cromatico si perde l'eguaglianza dei due toni iniziali, e si crea invece una regione di intervalli più ristretti, che diventano strettissimi nel genere enarmonico.Questa regione ha un nome nella teoria dei generi - essa si chiama pyknon. Si tratta di un termine che allude all'addensamento degli intervalli, dovuta proprio al fatto che essi si restringono come conseguenza del movimento della lichanos, intensificando l'effetto cadenzale verso l'estremo inferiore del tetracordo. Nel genere cromatico ed enarmonico lo spazio in cui sono comprese le ultime tre note (e quindi la somma dei due intervalli) è minore dell'intervallo che va dal limite superiore al prima nota discendente. Si può dunque riconoscere un tratto comune ai due generi e questo accoppiamento è del re-sto riconosciuto dalla teoria greca che parla talora del genere cromatico e del genere enarmonico come “generi pycnici”(Solomon, 1984, p. 246).

Ciò significa che la vera opposizione tra i generi è quella tra diatonico da un lato e cromatico/enarmonico, dall'altro. Ora nell'enarmonico il pyknon è talmente stretto che ciascuno dei due intervalli di cui è costituito si aggira intorno al quarto di tono. Ora, se è vero che non dobbiamo confondere il cromatismo nel senso moderno del termine, con nozioni che presuppongono la teoria dei generi, è vero anche che se consideriamo i termini diatonico/cromatico in senso moderno come relativi alla differenza tra il grande ed il piccolo intervallo, come io sarei disposto a fare, e se inoltre colleghiamo la problematica del diatonismo e del cromatismo non tanto a questo o quel linguaggio musicale particolare, ma alla differenza tra il discreto e il continuo, allora indubbiamente questa stessa differenza è richiamata dalla coppia diatonico e cromatico/enarmonico. Non si può allora non notare che l'alterna vicenda dei generi che vede il diatonico trionfare sulla coppia cromatico/enarmonico, con il conseguente tramonto dei generi e delle libertà ad essi collegate, rispecchia sul piano tecnico-musicale la vicenda mitica della vittoria di Apollo su Marsia. A ciò non sono certo estranei i teorici greci della musica e, naturalmente, i filosofi, a cominciare da Platone: le harmoniai che egli critica dal punto di vista etico-pedagogico, benché presumibilmente non organizzate nella teoria dei generi, sembrano avere un’inclinazione "cromatico/enarmonica", quelle che sono per lui ammissibili una inclinazione "diatonica".

10.5 Il pyknon

Page 468: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

468

10.6 La teoria dei generi e i tetracordi di Archita

Dobbiamo ora riparlare di Archita. Delle sue definizioni delle medie aritmetica, armo-nica e geometrica abbiamo trattato abbastanza diffusamente in precedenza. Ora invece ci occupiamo di Archita in rapporto ad un’importante esposizione di Tolomeo (II sec. d. C.) (A16 - Huffman, 2005) che descrive con molta precisione tre tetracordi proposti da Archita in corrispondenza dei tre generi. In realtà Archita non nomina i generi secondo la terminologia che diventò consueta dopo Aristosseno, ma in ogni caso si tratta di un det-taglio poco importante - come osserva Barker - di fronte al fatto che i tetracordi riferiti e illustrati nel dettaglio da Tolomeo

«rappresentano le più antiche analisi in nostro possesso che propongo-no insieme tre differenti tipi di sistemi intervallari che sono pienamente conformi ai tre generi della teoria di Aristosseno... Sulla base delle te-stimonianze che ci restano, possiamo spingerci a dire che l'analisi det-tagliata e pienamente quantificata dei tre sistemi armonici non aveva precedenti» (2007, p. 292).

La ragione per cui ci soffermiamo sui tetracordi di Archita non è tuttavia solo di ordine sto-rico o semplicemente informativo. In rapporto ad essi si può aprire una discussione che è effettivamente di grande interesse per estendere e perfezionare la nostra esposizione.

Intanto vi è la circostanza, che abbiamo già sottolineata secondo cui, anche presso i pita-gorismo antico, non vi è alcuna scala assoluta - che i punti veramente fermi sono soltanto i punti della ripartizione consonantica dell’ottava. Dopo che questi punti sono stati fissati, cominciano elaborazioni che presuppongono in linea di principio la possibilità di inter-venire sull’intervallistica interna del tetracordo e quindi dell’intera ottava. I tetracordi di Archita ne sono una prima consistente dimostrazione.

Page 469: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

469

Vi sono tre dati vistosi che saltano subito agli occhi. Il primo è la diseguaglianza dei due primi toni, cosa assai sin-golare per un genere diatonico; il secondo tono è più grande del primo. Il limma è assai più piccolo dei 90 cent del semitono diatonico che abbiamo imparato a conoscere. Per di più i primi due hanno una precisa relazione tra loro. Il numeratore di una frazione è anche il denominatore dell'altra - sono in qualche modo concatenati. Vi sono dunque deviazioni vistose rispetto al tetracordo di Filolao che indicano che il metodo di costruzione del tetracordo non è, in questo caso, quello che abbiamo descritto a suo tempo. Ma colpisce anche il fatto che tutti i rapporti intervallari sono rappresentati da rapporti epimori, e questo vale soprattutto per il limma che, in Filolao, presentava un 256/243 che non poteva essere giustificato se non come resto, e che quindi non aveva una giustificazione matematica abba-stanza forte. Archita modificò il diatonico standard documentato da Filolao proprio per arrivare ad una suddivisio-ne del tetracordo nei diversi generi tutta fatta di rapporti epimori?

Questa ipotesi potrebbe essere confermata dal tetracordo nel genere enarmonico, ma essa viene piuttosto energi-camente contraddetta dal tetracordo del genere cromatico.

Ecco come si presenta il genere diatonico in rapporti e in cents:

Diatonico

mese lichanos parhypate hypatenete paranete trite paramese

9/8 8/7 28/27

204 231 63

Page 470: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

470

Cromatico

Enarmonico

mese lichanos parhypate hypatenete paranete trite paramese

32/27 245/224 28/27

63294 141

mese lichanos parhypate hypatenete paranete trite paramese

5/4 36/35 28/27

63386 49

Page 471: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

471

Nel genere enarmonico tutti i rapporti sono epimori. Si noti la lichanos assai ampia che arriva a quella che, nella terminologia europea, si chiama terza maggiore (zarliniana) mentre nel cromatico sfiora la terza minore temperata (300 cents). In realtà le espressioni terza maggiore e terza minore facendo riferimento alla musica greca non do-vrebbero essere usate affatto, o esserlo con estrema cautela. Ad esempio, sui 5/4 di Archita si potrebbero sprecare molte parole a sproposito, come se egli avesse “intuito” quella che viene ritenuta la terza consonante per eccellen-za, la terza che poi compare anche nella serie degli armonici.

Beninteso non si tratta tanto del rispetto astrattamente inteso del contesto storico-culturale e nemmeno di esclude-re in via di principio l'uso di una terminologia moderna: a volte questo uso può essere fatto "con proprietà" - voglio dire che potrebbe essere utile per capire affinità e relazioni tra problemi. Ma esso diventa fortemente inopportuno quando aiuta, anziché a capire, a confondere. Si legge talvolta che la terza maggiore non era riconosciuta dai greci come consonanza - oppure che essa era "stonata" (essendo pari a 204+204=408 cents). Questi sono discorsi privi di senso. Di fronte ad essi, e quindi di fronte ad un uso che provoca solo equivoci e fraintendimenti risponderemmo che la terza maggiore nella musica greca non esiste affatto, né intonata né stonata. E il 5/4 non ha quasi nulla a che vedere con la terza zarliniana proprio per la differenza di contesto. Quel 5/4 che compare in questo tetracordo è la lychanos dell'enarmonico di Archita, e niente altro.

Nel caso del genere cromatico, non sono epimori né il primo né il secondo intervallo - lo è solo l'ultimo, che peraltro è lo stesso in tutti e tre i generi.

Page 472: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

472

Discussione

Eccoci dunque di fronte a vari interrogativi: qual'è l'idea guida dei tetracordi di Archita? Quali le procedure co-struttive che egli ha messo in opera? Si tratta di una vuo-ta jonglerie del matematico giocherellone, oppure vi è un rapporto con la pratica musicale della sua epoca?

Ecco intanto il giudizio dello stesso Tolomeo:

«Archita di Taranto, che si impegnò nello studio della musica più di ogni altri pitagorico, tentò di mantene-re l'accordo con la ragione, non sol-tanto nelle consonanze, ma anche nella divisione del tetracordo, sulla base del fatto che avere un eccesso che sia una misura comune è pro-prio della natura di ciò che è melo-dico. Cionondimeno, nell'impiega-re questo principio, in taluni casi è chiaro che egli devia completamen-te da esso» (Huffman, 2005, p. 404).

La formulazione "l'avere un eccesso che sia una misura comune" detta in rapporto a numeri è in realtà un'otti-ma e sintetica formulazione del principio del numero epimorio. Ad esempio, 9/8 eccede l'intero di 1/8 che rappresenta anche l’unità di misura dell'intero.

1.

In Tolomeo è dunque presente una valutazione positiva ed una critica. La valutazione positiva sta evidentemen-te nel fatto che Archita cercò di razionalizzare la divi-sione del tetracordo, guidato in particolare del princi-pio della "melodicità" che sarebbe legata al carattere epimorio del rapporto, mentre la critica consiste nel fatto che, tenendo conto del suo genere cromatico, egli fallisce in questo suo scopo, e fallisce dunque proprio come matematico. Un'altra critica che Tolomeo rivolge ad Archita è di aver proposto in ogni genere un inter-vallo di 28/27 (63 cents) che sarebbe estraneo all'orec-chio musicale. Si tratta evidentemente di una valuta-zione che presuppone un'interpretazione da passare al vaglio della critica, mentre taluni studiosi moderni l'hanno fatta senz'altro propria, appesantendola al pun-to da dichiarare Archita mediocre matematico (contro tutta la tradizione antica) e per di più duro d'orecchio! Burkert ritiene, ad esempio, che Archita avrebbe otte-nuto i suoi valori per prove ed errori, come dire con le mani e con i piedi (Burkert 1972, p. 389, n. 17). Secondo questo autore le novità introdotte da Archita derivereb-bero dall’insoddisfazione rispetto al limma di Filolao, in quanto rapporto non epimorio.

«Burkert suppone che Archita pre-se le mosse dall’imbarazzante dia-tonico di Filolao con il suo limma a 256/243 e, in luogo di mantenere i primi due intervalli nel tetracordo entrambi a 9/8, tentò di mutarne uno leggermente, portandolo a 8/7 tro-

Page 473: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

473

Ben più articolate e ricche di informazioni appaiono es-sere le posizioni espresse da Winington-Ingram (1932) e da Barker (1989) che vengono riprese ed ulterior-mente perfezionate dal bellissimo commento che Huff-man (2005) dedica alla testimonianza di Tolomeo, ed al quale ci atterremo riprendendolo per sommi capi.

vando a propria delizia che l’ultimo intervallo diventava anch’esso epi-morio (28/27)» (Huffman, 2005, p. 416)

2.

Questo commento ci riserva alcune sorprese. Secon-do Huffman il primo elemento da cui prendere le mos-se è che Archita è tutt'altro che insensibile alla pratica musicale del suo tempo, ed anzi che proprio da questa pratica egli è stimolato ad una "razionalizzazione", cioè a trovare un'articolazione dei generi in rapporti mate-matici che siano prossimi a quella pratica. Questa affer-mazione è fondata su un rilievo di Winington-Ingram (1932) che dimostra che le suddivisioni di Archita sono presenti in Aristosseno che scrive appena una genera-zione dopo la morte di Archita.

«Aristosseno non le considera tutte e tre come suddivisioni ‘proprie’ ma non vi è alcun dubbio che egli le tro-vava tutte e tre nella musica dei suoi giorni» (Huffman, p. 412).

Questa è una circostanza notevole intanto perché mo-stra come in generale le due correnti fondamenta-li della teoria musicale greca potessero in taluni casi intersecarsi in punti comuni. La prossimità alla pratica musicale era certamente più caratteristica dell'orienta-mento aristossenico piuttosto che di quello pitagorico. Anche per quanto riguarda la singolare identità dell'ul-timo intervallo nei tre generi

«la più naturale spiegazione di questo parallelismo è che vi fu un tempo in cui era usanza per tutti e tre i generi avere l'intervallo più basso identico e che il rapporto di Archita è una rappresen-tazione di questa pratica» (cit., p. 413).

Per quanto riguarda il valore di 28/27 (63 cents) attri-buito a questo intervallo vi è una sottigliezza da mette-re nel dovuto rilievo. Nella pratica musicale dell’epoca era particolarmente presente un intervallo con rap-porto di 7/6 (cents 267). Ora, questo intervallo non è presente direttamente nel diatonico di Archita, ma la differenza tra l’intervallo di quinta e la somma dei pri-mi due toni del tetracordo è pari a 7/6 - essendo (3/2)/((9/8)*(8/7)) = 7/6 cosicché questo intervallo risuona tra la trite e la mese. Si rammenti che tra paramese e mese vi è il tono di disgiunzione (204+63=267); di con-seguenza il rapporto 28/27 risulta dalla differenza tra 7/6 e il tono a 9/8 (267-204) = 63. Tutto ciò viene sinte-tizzato nella figura seguente.

Page 474: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

474

ne te p a ra ne te trite p ara m e se

9 /8 8 /7 2 8 /27

20 4 231 63m es e lich an os p arhy pate h ypa te

9 /8 8 /7 28 /2 7

2 04 2 3 1 63204

9 /8

7 /6

Questo intervallo di 7/6, caratteristico della pratica musicale dell’epoca, è dunque presente all’interno del tetra-cordo diatonico di Archita e questo proprio in forza del secondo tono a 231 cents e del limma a 63 cents. Qui vi è tutto tranne che un metodo per prova ed errori. È dunque Tolomeo che ignora la pratica musicale dell’epoca di Archita e di Aristosseno (del resto egli scrive cinquecento anni dopo) e ha torto nell'affermare che il rapporto in-dicato da Archita "contraddice i sensi", ed è dunque in errore anche Burkert che segue Tolomeo anche su questo punto affermando che Archita propone questo intervallo «in spregio dell'orecchio e della pratica musicale»( Huff-man, ivi).

3.Ma le sorprese non finiscono qui. Barker è ancora disposto a sostenere, in modo particolarmente raffinato, che Ar-chita si lascia guidare dal mito della “melodicità” dei rapporti epimori anche nel cromatico, ed anzi egli sarebbe il primo a tentare questa operazione (Barker,1994, p. 129). La raffinatezza sta nel supporre che anche i valori ottenuti nel tetracordo cromatico siano risultati di operazioni realizzate su rapporti epimori. Huffmann presenta invece una tesi più radicale e apparentemente priva di sostegni. Egli nega in generale che il principio dei rapporti epimori fac-cia da guida alla costruzione intervallare di Archita.

«Vi sono molte buone ragioni, in ogni caso, per pensare che, nostante la testimonianza di Tolo-meo, Archita non segua affatto questo principio» (p. 414).

Page 475: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

475

Per Tolomeo il principio dei rapporti multipli ed epi-mori faceva parte del patrimonio di idee apparente-mente ovvio del pitagorismo in genere e la circostanza sembrava ricevere conferma dal fatto che sette su nove rapporti dei generi di Archita sono epimori - e natural-mente questa stessa circostanza segnalava il fallimento dell’operazione. Ma se si mette in dubbio questo fon-damento della scelta di Archita, allora tutto il problema deve essere riconsiderato ed occorre trovare una giu-stificazione valida ed omogenea per tutte e tre le forme del tetracordo.

Ora, secondo Huffman, occorre prendere le mosse dall’ipotesi che Archita applichi in rapporto al tetra-cordo anzitutto il metodo delle medie, che egli stesso aveva così attentamente teorizzato in rapporto all'ot-tava (fr.2). Vogliamo rendere conto della procedura adottata, andando all’osso della questione. Quello che può essere considerato il primo passo consiste nel non calcolare solo la media armonica e la media aritmetica dell’ottava, che conosciamo già molto bene consistere in 3/2 e 4/3, ma anche le rispettive medie degli inter-valli di quinta e di quarta. Senza indugiare su questo calcolo che, ciascuno, se vuole, potrà fare da sé, otter-remo alla fine la seguente interessante sequenza, inclu-dendovi l’ottava con valore 2 e il tono con valore 9/8.

2, 3/2, 4/3, 5/4, 6/5, 7/6, 8/7, 9/8

Questi risultati hanno rilevanza nell'interpretazione dei tetracordi di Archita? Facendo il confronto troviamo sol-tanto, oltre ovviamente 2, 4/3 e 3/2 - ovvero l’ottava. il li-mite inferiore del tetracordo superiore (paramese) e il limite superiore del tetracordo inferiore (mese) - i va-lori di 9/8, di 8/7 e di 5/4. Ma mentre il primo aveva co-munque la sua giustificazione nel tono di disgiunzione, l’inserimento nella scala dei valori di 8/7 nel diatonico e di 5/4 nell’enarmonico va in ogni caso giustificato, per non dire di tutti gli altri che non compaiono in que-sta serie. A questo punto intervengono nuovamente le considerazioni sul rapporto con la pratica musicale. In altri termini, dopo aver prodotto questa serie, Archita avrebbe tenuto conto delle intonazioni spesso pratica-te dai musici della sua epoca oltre che dai metodi di ac-cordatura, in particolare quello per quarte e quinte di cui abbiamo già parlato in precedenza a cui ci si riferi-sce talora con l'espressione "metodo di concordanza".o “metodo del su e giù”. A questo punto avviene un ulte-riore riferimento alla pratica musicale:

«Archita potrebbe aver visto musi-cisti che usavano questo metodo di accordatura due toni sotto a partire dalla mese nel tetracordo enarmoni-co, ma poi aver notato che essi non essendo soddisfatti di questa intona-zione tendevano leggermente la cor-da per produrre il suono più piace-vole della terza maggiore. Cosicché questo suono avrebbe dovuto avere

Page 476: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

476

un rapporto leggermente inferiore a quello del ditono, che può essere precisamente calcolato a 81/64 (ov-vero 9/8*9/8) a partire dal metodo di concordanza» (Huffman, 2005, p. 419).

Ecco una possibile spiegazione per l'apparire del 5/4 nell'enarmonico di Archita. La pratica musicale sugge-risce un mutamento di intonazione che si trova fra i valo-ri ottenuti attraverso le medie, e quindi secondo il modo di pensare di Archita, senz’altro adottabile. Mi sembra solo di dover ribadire che l’uso da parte di Huffman dell’espressione “terza maggiore” non mi sembra opportuna, tanto più che egli allude proprio alla ter-za maggiore zarliniana di 5/4 (386 cents), assumendo senz’altro come motivazione di questo “temperamen-to” la sua maggiore gradevolezza. In realtà anche per Zarlino una simile terza veniva giustificata attraverso il metodo delle medie (in questo si può vedere un tratto comune, ma il contesto di insieme è comunque del tut-to diverso).

Per quanto riguarda la singolare variante che Archita propone nel tetracordo diatonico assumendo il rappor-to di 8/7 come secondo intervallo, a ben vedere una spiegazione è già stata proposta nelle nostre conside-razioni precedenti. Questo valore rende possibile l’in-tervallo di 7/6 (267 cents) tra la trite e la mese che era nella pratica musicale dell’epoca. Ed entrambi i valori sono presenti nella serie delle medie ottenute da Ar-chita.

Con ciò si rende conto pienamente conto del diatoni-co di Archita. Ma che ne è dell’enarmonico ed ancor più del cromatico che sembra il più difficile da ripor-tare entro l’ambito delle giustificazioni matematiche?

In realtà l’enarmonico non pone troppi problemi per-ché, avendo tratto dalla prassi musicale l'eguaglianza dell'ultimo intervallo del tetracordo in tutti e tre i gene-ri che è stato “razionalizzato” in 28/27, ed avendo già motivato una lichanos a 5/4, l’intervallo intermedio tra lichanos e parhypate si ottiene con una normale proce-dura sottrattiva: dall'intero tetracordo (4/3) si sottrae la “somma”degli intervalli 5/4 e 28/27: sempre rammen-tando che, in rapporto agli intervalli, sottrarre= divide-re e sommare = moltiplicare [(4/3)/(5/4*28/27)=36/35] a meno che non si voglia più semplicemente opera-re con i cents per i quali il calcolo consisterà in 498-(386+63) = 49.

Dopo tutto ciò anche il problema apparentemente più difficile del genere cromatico viene presto risolto se si tien conto che esso è genere intermedio tra gli altri due. Di conseguenza il primo intervallo sarà di gran-dezza intermedia tra il primo intervallo diatonico (204 cents) e il primo intervallo enarmonico (386 cents). Questa misura intermedia poteva essere legittimata se poteva essere concepita come “somma” di rapporti

4.

Page 477: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

477

noti ed acquisiti. Di fatto i 32/27 (cents 294) sono ana-lizzabili come somma del tono e del limma di Filolao (ovvero 9/8*256/243; in cents: 204+90). Essendo stato fissato l'ultimo intervallo a 28/27, l'intervallo interme-dio - quel singolare 243/224 - lo si giustifica a sua vol-ta come differenza: dall’intero tetracordo si “sottrae” la somma dei valori intervallari noti [(4/3)/(32/27*28/27) = 243/224. In cents: 498-(294+63) = 141] È interessan-te infine far notare che l'intervallo dalla lichanos alla hypate è pari ad un tono di Filolao (243/224*28/27 = 9/8 ovvero 141+63=204)

Scopriamo così che il cromatico di Archita è interamen-te costruito con gli intervalli del diatonico di Filolao.

5.Per dare una sintesi dell'intera discussione: La questio-ne per Archita è come si possano associare i rappor-ti che egli ha determinato usando la media armonica ed aritmetica e l'osservazione dell'uso del "metodo di concordanza" . Il suo problema non è quello costruire una catena di rapporti epimori ma quello di una scelta di tetracordi ben formati dove la buona formazione di-pende essenzialmente da due circostanze:

«1. Tutti gli intervalli debbono essere derivabili o direttamente dal 'meto-do di concordanza' di cui il sistema di Filolao costituisce una rappresen-tazione oppure da deviazioni intel-ligibili da esso (Barker, 1989, p. 50); 2. deviazioni intelligibili sono quelle deviazioni che si ricollegano alla di-visione della quinta e della quarta attraverso le medie armoniche e arit-metiche. Tutte le sue divisioni dei te-tracordi possono essere spiegate in termini di questi principi. Ed in que-sta misura egli persegue il criterio della ragione» (Huffman 2005, p. 423).

Ma nello stesso tempo Archita è attento alle pratiche musicali del suo tempo e vi sono modificazioni che di-pendono strettamente dalle intonazioni che egli udiva

Page 478: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

478

praticare dai musicisti del suo tempo. E quando fa questo egli, piuttosto che dalla parte di un razionalismo ostinato, segue ciò che gli viene suggerito dalla sensibilità (ivi).

Questa conclusione di Huffman ci trova consenzienti, anche se noi saremmo assai più prudenti nell'usare espres-sioni come terza minore e terza maggiore. Ma si tratta di questioni di dettaglio. In realtà questa discussione risulta assai istruttiva. I chiarimenti che sono stati ottenuti nel corso della discussione mostrano quale lavorio, quali intrecci problematici vi siano sotto queste proposte numeriche che a tutta prima si vorrebbe trascurare come prive di inte-resse musicale e teorico insieme. Inoltre viene confermato un discorso generale che è già affiorato in rapporto ad altri problemi: benché vi sia un lato del pitagorismo fortemente “razionalistico”, e questo lato sia in ultima analisi l’elemento caratterizzante del pitagorismo e poi del platonismo, vi sono anche aspetti di apertura alla concretezza dell’osservazione e della pratica musicale. In questo senso questa discussione sul tetracordo è forse la migliore introduzione alle problematiche filosofico-musicali della teoria dei generi in Aristosseno proprio perché mostra quanto profonda sia la differenza che interviene sullo stesso tema a partire da basi concettuali interamente diverse.

Page 479: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

479

11. Aristossenoe la teoria dei generi

Page 480: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

480

Page 481: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

481

11.1 Un nuovo concetto di intervallo11.1.1 L'illimitatezza del numero delle lichanoi

11.1.2 L'esperienza dell'intervallo

11.1.3 Differenze rispetto alla posizione pitagorica, il problema del geometrismo e della matematica degli irrazionali

11.2 Il significato delle misure aristosseniche11.2.1 La divisione in trentesimi dell'intervallo di quarta11.2.2 Una ipotesi sulla scelta del trentesimo di quarta11.2.3 La presunta equalizzazione operata da Aristosseno

11.3 La teoria dei generi secondo Aristosseno11.3.1 Il punto di vista funzionale

11.3. 2 Confronto tra i generi di Archita e di Aristosseno

Page 482: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

482

Page 483: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

483

11.1 Un nuovo concetto di intervallo

11.1.1 L'illimitatezza del numero delle lichanoi

Vi è un punto in cui Aristosseno, nei suoi Elementi di Armonica, alla domanda sulle posizioni possibili della nota lichanos, risponde che essa può occupare un luogo qualunque del tetracordo. Egli dice precisamente che

«il numero delle lichanoi deve essere considerato illimitato... Infatti in qualunque luogo si fermi la voce, si avrà una lichanos e non vi è nessun vuoto intermedio tale da non poter accogliere una lichanos» (Meib.26.10 - 1954, p. 39).

Forse proprio quest’affermazione può essere il punto di avvio per mostrare, sia pure di scorcio e con la massima sobrietà possibile, la vera e propria rivoluzione che Aristosseno introduce nella teoria greca della musica. In appa-renza essa sembra dire niente altro che ciò che abbiamo già detto: la lichanos come la parhypate sono le due note mobili, che determinano la divisione in tre intervalli del tetracordo. Abbiamo già notato che secondo la posizione della lichanos si determina la differenza tra i generi. Ora, questi spostamenti che venivano eseguiti con immedia-tezza sotto il gioco degli impulsi espressivi da parte dei musicisti, rappresentano per i teorici un problema classi-ficatorio. Da un lato, si trattava di stabilire entro quali limiti si poteva parlare ancora di un determinato genere ed dunque anche se si potesse, tenendo in ogni caso presente la pratica musicale, distinguere più di una varietà del genere. Oltre a ciò all'interno del genere in una qualche sua varietà, si potevano ammettere ulteriori sottili varianti, che i greci chiamavano chroai, un termine che rimanda al colore e che si potrebbe tradurre con sfumature oppure colorazioni - varianti così sottili e così affidate all'immediatezza dell'esecuzione da non rendere nemmeno sensata una classificazione. In questo modo, a partire dai modelli dei tre generi, era possibile sviluppare «uno stupefacente numero di subgeneri o sfumature differentemente bilanciate» (Sachs, 1943, p. 213). Tutto ciò è già stato detto o era implicito in quanto è stato detto.

Page 484: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

484

Resti Liceo di Aristotele

Tuttavia nell'accingersi ad affrontare la problematica dei generi che Aristosseno trova nella realtà musicale del suo tempo, egli non si limita a prenderne atto e ad accettare le elaborazioni di provenienza pitagorica o platonistica. Con la sua dichiarazione secondo cui non vi è alcun limite ai luoghi che può occupare la lichanos egli implica una concezione che investe sia il modo di concepire il tetracordo in genere, sia la nozione di in-tervallo, facendo interamente "saltare" l'impianto pita-gorico del problema. Come abbiamo visto, all'interno di questo impianto può benissimo essere assorbito il concetto di genere, ma in nessun modo vale il princi-pio che la "voce" ovvero il "suono" possa fermarsi in un luogo qualunque del tetracordo: al contrario, una varietà anche lontana dal modello di base, come ac-cade nel caso dei tetracordi di Archita, deve avere una sua giustificazione matematica. Nello stesso tempo vi erano "luoghi" che il calcolo segnalava come "senza

rapporto" e che dunque erano per principio esclusi dal novero delle possibilità musicali. Anche nel quadro della teoria dei generi, da parte pitagorica, restava l'accento sul fondamento matematico dell'intervallo e in particolare sul privilegio della discretezza ovvero dei rapporti tra numeri interi.

Quella semplice frase, che potrebbe sembrare riguardare una pura concezione tecnica del tetracordo collegata alle differenze tra i generi ed alle loro varietà e sfumature, diventa invece una frase dirompente che comincia a portare il primo piano il problema della continuità. Beninteso anche per Aristosseno la musica c'è, solo se vi sono in ogni caso delle scelte discrete - il che vuol dire: se ci sono le "note", se ci sono altezze determinate. Ma il punto di vista nuovo, formulato in breve, è che queste scelte vengono effettuate su un spazio sonoro - ed anzitutto sul te-tracordo - considerato come continuo di suoni possibili.

Questa modificazione di punto di vista è strettamente connessa con una drastica modificazione sul modo di conce-pire l'intervallo. Su questo punto Aristosseno gioca la propria carta teoreticamente più impegnativa.

Page 485: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

485

11.1.2 L'esperienza dell'intervallo

La musica è fatta di suoni, di fenomeni uditivi. Ed allora il problema dell'intervallo deve essere affrontato esclusi-vamente dal punto di vista dell’esperienza che noi abbiamo di esso. Se dobbiamo descrivere in che cosa consista la percezione dell'intervallo non parleremo di rapporti numerici che essa non è in grado di afferrare come tali, ma di qualcosa di simile ad una distanza tra punti - e non nella complessa forma mediata in cui ne abbiamo parlato in precedenza in connessione con la divisione del monocordo in cui si cerca di dare "visibilità" ad una "ragione" soggiacente al fenomeno, ma come una relazione appartenente al fenomeno stesso, come una "distanza" udita : esattamente come si colgono uditivamente le differenze tra il grave e l'acuto, le differenze timbriche o di durata tra suono e suono (Piana, 2003). Tutte queste relazioni stanno dentro l'esperienza del suono, appartengono alla sua fe-nomenologia, e per quanto riguarda l'esperienza della grandezza dell'intervallo, essa può essere analogizzata alla visione di un tratto, di un segmento. In questo modo la fondamentale componente aristotelica del pensiero greco, con l'accento posto sulla sensibilità e con la sua attenzione all'empiria, entra a gran voce negli sviluppi della teoria greca della musica introducendo punti di vista nuovi e dirompenti.

Gustav Adolph Spangenberg (1828-1891) - La scuola peripatetica

Page 486: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

486

11.1.3 Differenze rispetto alla posizione pitagorica,il problema del geometrismo e della matematica degli irrazionali

Vi è un'acutissima affermazione di Szabò (1978, p. 113), che a tutta prima stentiamo a comprendere, secondo la quale fu Aristosseno e non il filosofo pitagorico ad usare l'espressione diastema in senso metaforico, e non in senso letterale. In effetti, a ben pensarci, le cose stanno proprio così: quando il pitagorico parla di diastema inten-de una lunghezza effettiva, rappresentata dal pezzo di corda con cui egli fa i propri esperimenti. Quindi si tratta di un segmento visibile e l'uso del termine diastema non è di tipo analogico o metaforico. Proprio per questo il segmento può essere rappresentativo di un rapporto e la parola diastema, che significa originariamente segmento, assume come senso prevalente quello di intervallo (Szabò, 1978, p. 113). Invece da un punto di vista aristossenico si dirà: se vogliamo una buona immagine, un'immagine pertinente e adeguata per l'intervallo musicale, il segmento si adatta ai nostri scopi.

«Questo mutamento è di grandissima importanza. In base ad esso è possibile proporre una concezione dell'intervallo come distan-za e spazio senza essere costretti ad assumere tutte le implicazioni precedenti, e mettendo nettamente da parte l'aritmetica inerente all'intervallo come logos. E potremo persino servirci, come ele-mento rappresentativo dell'intervallo, di una linea, di un segmento considerato nei suoi estremi. Una simile rappresentazione visiva concreta dell'intervallo, in luogo di rimandare alla corda del mo-nocordo, non sarebbe altro che figura di quell'immagine» (Piana, 2003, p. 43).

Page 487: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

487

La riconduzione dell'intervallo al rapporto numerico non è dunque accettata da Aristosseno. O meglio: la sua ri-sposta sarebbe più articolata e riguarderebbe una distinzione di piani di discorso. Anzitutto ci sono alcuni fatti che possiamo accettare come fatti primitivi, che non hanno bisogno di essere ridotti ad altro: essi sono riconoscibili all'orecchio ed entrano come tali all'interno della musica. Fra questi fatti vi sono in primo luogo le consonanze.

«Noi percepiamo una quinta come consonanza, argomenta Aristosseno: è necessaria qualche ulteriore qualificazione? Essa non diventa più consonante se la analizziamo come un rapporto tra numeri piccoli come fanno i pitagorici. Perché non accettarla come un dato di fatto? Un sistema diventa rigoroso, continuerebbe Aristosseno, non tanto riferendo i suoi elementi ad altri che si tro-vano fuori del sistema (come i numeri), ma piuttosto individuando gli elementi basilari del siste-ma, riducendoli ad un piccolo numero, e poi deducendo gli altri da esso» (Crocker, 1961, p. 101).

Una simile presa di posizione diventa tanto più insistente, tanto più appuntita, quanto più mira a colpire una posizio-ne come quella pitagorica nella quale era diventato quasi ovvio lo scivolamento consistente nel sostituire integral-mente i valori numerici dei rapporti al dato di fatto squisitamente musicale-uditivo della consonanza. In realtà tali valori possono essere considerati come appartenenti ad un piano extramusicale anche se naturalmente continuano a poter essere ritenuti come fondamento del fenomeno sonoro.

Molti interpreti tuttavia non hanno compreso che la distinzione dei piani non implica che l'uno escluda l'altro. Il pun-to che bisogna avere in chiaro è soltanto il fatto che la determinazione dei rapporti riguarda un piano che sta oltre il dato musicale diretto. Ciò spiega perché, ad esempio, da un punto di vista aristossenico, un intervallo di quarta, può essere riconosciuto come tale senza alcun appoggio esterno; e nello stesso tempo la misura di 4/3 proposta dai pitagorici può essere considerata perfettamente corretta.

Se si ammettono due possibili livelli di discorso su una simile presa di posizione non vi è nulla da eccepire. Tuttavia occorre subito notare che la revisione radicale a cui Aristosseno sottopone il concetto di intervallo fa riaffiorare il problema della misurazione delle loro grandezze in termini del tutto nuovi. All'interno di questo problema si ripre-senta un matematismo che ha un senso interamente diverso da quello pitagorico. Infatti il “ritorno alla percezione” - espressione che può essere considerata esemplare per sintetizzare il punto di vista di Aristosseno - si estende ovviamente anche alla grandezza degli intervalli e non vi sono ragioni per escludere non solo che esista la possi-bilità di una valutazione direttamente uditiva, ma anche che essa sia passibile di una qualche quantificazione.

Page 488: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

488

Una teoria della musica, sembra pensare Aristosseno, deve poter fornire delle indicazioni quantitative, perché al-trimenti un discorso teorico rimarrebbe del tutto nel vago intorno ai suoi oggetti ed alle differenze tra essi. Perciò Aristosseno comincia ad usare termini come tono e semitono, secondo una accezione nuova, assumendo un atteg-giamento che in fin dei conti non è troppo diverso da ciò che fa lo strumentista nell’azione di suonare il suo stru-mento. Egli opera con intervalli percepiti e null'altro.

Un intervallo percepito deve essere riconoscibile nella sua grandezza alla semplice percezione e di conseguenza deve aver senso, ad esempio, parlare del doppio o del triplo di una grandezza intervallare e inversamente della sua metà o di un terzo o di un quarto di essa. Appare allora subito la drastica differenza rispetto alla posizione pi-tagorica. Aristosseno e la scuola aristossenica in genere non è disposta a sostenere le restrizioni che i pitagorici non potevano non imporre agli intervalli ed alle operazioni sugli intervalli. Una restrizione particolarmente signifi-cativa, a cui abbiamo già accennato, era l'esclusione di quei luoghi dello spazio sonoro che erano inevitabilmente rappresentati da numeri irrazionali. Si rammenti che dividere un rapporto in due, in tre, ecc. significa fare di esso la radice quadrata, cubica ecc. Ora sappiamo già che per il filosofo pitagorico non era possibile dividere l'ottava in due, perché la radice quadrata di due è un numero irrazionale. Ma irrazionale è anche la radice quadrata di 9/8. La conseguenza di ciò era che l’espressione “semitono” non poteva essere intesa come se essa significasse letteral-mente la metà di un tono.

Aristosseno sosteneva anche che l'ottava poteva essere suddivisa in sei toni e i pitagorici dimostravano con i loro calcoli che la composizione di sei toni realizzava una differenza in eccedenza rispetto all'ottava. Ci siamo già oc-cupati di questo problema mostrando in che modo i pitagorici determinavano il valore del comma. Analogamente l'affermazione aristossenica secondo cui la grandezza della quarta era misurata da due toni e un semitono veniva confutata con una dimostrazione matematica. Naturalmente nessuno degli autori che criticarono questa affermazio-ne di Aristosseno (Euclide, Sectio Canonis, 15, oppure Tolomeo, 1.10) prendeva in considerazione il nuovo modo di intendere l'intervallo di Aristosseno. E questa circostanza implicava un pesante svisamento di tutta la problematica aristossenica.

È ovvio che con il loro tono di 9/8 i pitagorici avevano assolutamente ragione. Dovremmo concludere che Ari-stosseno non sapeva far di conto? E inversamente: la polemica antipitagorica condotta da Aristosseno in difesa di valutazioni puramente uditive significa forse che i pitagorici non avevano le orecchie?

Page 489: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

489

Si tratta di un problema più complesso e di una presa di posizione più ricca. Anzitutto va notato che Aristosseno, come qualunque teorico greco, pitagorico o meno, ammetteva il tono disgiuntivo pitagorico a 9/8, e questo per consentire una buona consonanza di quarta e di quinta. Ma il punto che interpreti antichi ed anche moderni talora non hanno compreso, è che una simile ammissione non esigeva, in realtà nemmeno da parte pitagorica, che questo "tono" assumesse il carattere di norma anche per la divisione del tetracordo (abbiamo visto in proposito il tetracor-do diatonico di Archita). Ciononostante taluni teorici non si poteva ammettere che grandezze intervallari differenti potessero essere chiamate con lo stesso nome. Per il musicista greco invece il tono, ad esempio, poteva essere più stretto, più largo, molto stretto, molto largo... Vi è una fondamentale polemica di Aristosseno sui nomi delle note, che è strettamente coerente con la sua posizione e con la prassi musicale greca, la cui sintesi è:

«Il ritenere che intervalli eguali debbano essere definiti con lo stesso nome ed i disuguali con nomi diversi è lottare contro l'evidenza» (Aristosseno, 1954, Meib. 49.25).

Dal punto di vista di Aristosseno, come si può valutare, per un segmento abbastanza piccolo, la sua metà con il semplice ausilio della vista, così si può, con il semplice ausilio dell'udito, valutare se un suono disposto tra altri due, sia più vicino al precedente o al successivo. E se si può fare questo allora si può anche valutare che esso non è più vicino né all'uno né all'altro, e di conseguenza suddivide l'intervallo in due metà (Piana, 2003, pp. 60 sgg.). Ci appare così: al centro di quell'intervallo. «Si tratta dunque di pura apparenza!» - obietterà il filosofo pitagorico. Certamente. E sta bene così: fainetai ovvero "appare" e "si mostra" (Aristosseno, 1954, Meib. 8.24 e altrove). Questa espressione caratteristicamente aristossenica corrisponde al grande principio metodologico:

«Anzitutto bisogna afferrare bene i fenomeni» (ivi, Meib. 43.30).

Contro le obiezioni pitagoriche viene giocato scientemente un punto di vista fenomenologico e la metafora su cui esso si appoggia. Un punto di vista fenomenologico - e non, ad esempio, un punto di vista geometrico.

Qui tocchiamo un altro punto interessante del dibattito intorno ad Aristosseno. Talvolta infatti la posizione di Ari-stosseno viene presentata come se egli ragionasse, invece che aritmeticamente, geometricamente per il semplice fatto che assimilava l’intervallo ad un segmento. Su questa tesi, che peraltro è piuttosto diffusa, credo che si possa nutrire qualche perplessità. A mio avviso è lo stesso Aristosseno che rifiuta questo riferimento, per il fatto che il geometra, anche quando si serve di modelli sensibili, ha comunque di mira l’idealità. Cosi egli scrive con grande

Page 490: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

490

chiarezza su questo punto:

«Bisogna abituarsi a giudicare con precisione i particolari. Perché quando si parla di in-tervalli non si possono adoperare le frasi che si è soliti adoperare per le figure geometriche come: sia questa una linea retta. Il geometra infatti non si serve delle sue facoltà sensibili, egli non esercita la sua vista a giudicare nè bene nè male la retta, il cerchio o qualche altra figura, questo essendo piuttosto compito del falegname, del tornitore o di altri artigiani. Ma per lo studioso di scienza musicale è fondamentale, invece, l'esattezza della percezione sen-sibile, perché non è possibile che chi ha una percezione sensibile deficiente possa spiega-re convenientemente dei fenomeni che non ha in nessun modo percepito» (II, 33, 1954, p. 48)

Coloro che pensano ad un modello geometrico che sarebbe prevalente in Aristosseno collegano questo problema a quello dell'aritmetica degli irrazionali. In effetti con l'assunzione di uno spazio sonoro continuo nel quale qua-lunque punto poteva essere oggetto di una scelta, Aristosseno non poteva avere alcuna difficoltà nell'ammettere intervalli irrazionali. In realtà dovremmo dire, più precisamente: intervalli che, trattati matematicamente, verreb-bero rappresentati da numeri irrazionali. Su questa base si è anche sostenuto che Aristosseno fu certo uno degli allievi importanti di Aristotele al Liceo di Atene, ma egli non sarebbe soltanto un filosofo influenzato dall'empiria aristotelica. In fin dei conti Aristosseno proviene da Taranto, culla del pitagorismo e si tramanda che egli compì gli studi presso un filosofo pitagorico chiamato Xenofilo (Crocker, 1961, p.99). La tendenza matematizzante sarebbe dunque ancora particolarmente forte e la differenza rispetto ai pitagorici consisterebbe nel fatto che egli si faceva sostenitore sul piano della teoria musicale di una matematica nuova rispetto a quella pitagorica, ad una matematica interessata proprio al campo degli irrazionali. Ed ancora: poiché, come abbiamo già esposto, il trattamento degli irrazionali era ritenuto possibile solo sul versante geometrico, Aristosseno porterebbe questo aspetto geometriz-zante anche nel campo della teoria dell'intervallo. È stato fatto notare che proprio negli anni in cui opera Aristosse-no i matematici greci cercano di penetrare i problemi dei numeri irrazionali attraverso i problemi delle grandezze commensurabili e incommensurabili che del resto avevano consentito la loro scoperta. Punto culminante di questo processo è la trattazione geomerica che forniscono gli Elementi di Euclide alla fine del quarto secolo (l'opera di Aristosseno si fa risalire al 320 a. C.). Aristosseno si troverebbe sulla scia di questi problemi e la sua posizione sa-rebbe aderente agli sviluppi più recenti della matematica greca (Crocker, 1961).

Page 491: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

491

Si tratta di una tesi molto suggestiva. Ma anche molto debole. È dubbio che Aristosseno fosse consapevole di quegli sviluppi, mentre è possibile che egli desse per scontato che gli intervalli potessero cadere in "posizioni" intradu-cibili aritmeticamente in termini di rapporti tra interi e, poiché ciò non recava alcuna offesa alle nostre orecchie, questi intervalli fossero ammissibili. Una vera e propria intenzione esplicita di far valere una "matematica degli irrazionali" mi sembra improbabile e del resto superflua - ed è inutile dire che in Aristosseno non vi è la minima traccia di una fondazione della teoria dell'intervallo in una aritmetica degli irrazionali. Proprio Crocker che cerca di fare valere questa tesi in un senso piuttosto forte scrive:

«Il tono intero 9/8 può in realtà essere "diviso in due": noi esprimiamo il risultato come radice quadrata di 9/8, che è un numero irrazionale, mentre Aristosseno, usando operazioni geometri-che, si limitava a rappresentare un tono con una linea, e poi a dividere questa linea in due. Nello stesso modo egli poteva dividere un intervallo in una parte qualsiasi senza interessarsi se il risul-tato fosse razionale o irrazionale. Lo stesso approccio che faceva la nuova geometria in modo più generale, più potente che la vecchia aritmetica era qui usato a Aristosseno per creare una nuova descrizione dei generi» (Crocker, 1961, p. 103).

Il punto più rivelatore di questa frase non sta nella conclusione, ma in quel "senza interessarsi se il risultato fosse razionale e irrazionale" che in fin dei conti quella conclusione contraddice. Questo disinteresse è altra cosa che farsi promotore in sede di teoria musicale di un’aritmetica degli irrazionali. Inoltre, come abbiamo detto poco fa, l’impiego del segmento è la rappresentazione in figura di una metafora, cosa di cui nella citazione precedente non si tiene conto. Se vogliamo parlare della matematica in Aristosseno dobbiamo andare a vedere che cosa egli fa propriamente con i numeri, visto che non rinuncia affatto alla quantificazione delle grandezze intervallari. In realtà in modo del tutto coerente con la propria posizione, la matematica degli intervalli proposta da Aristosseno è una matematica per così dire lineare, e pura aritmetica degli interi, dove si parla di somma e differenza nel modo solito.

In altri termini con Aristosseno si calcola con gli intervalli all'incirca come noi calcoliamo con i nostri cents, che peraltro noi impieghiamo normalmente arrotondati. L'unica cospicua differenza sta nel fatto che la misura in cents è tale da poter essere trasformata calcolisticamente in termini decimali e infine in rapporti tra frequenze. Ma in questo contesto diventa significativo il fatto che talora possiamo usare utilmente i cents senza saper nulla di questa possibilità. Naturalmente abbiamo bisogno qui di fornire ulteriori spiegazioni.

Page 492: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

492

11.2 Il significato delle misure aristosseniche

11.2.1 La divisione in trentesimi dell'intervallo di quarta

Per fare un discorso ricco di senso nell'ambito della teoria dei generi dobbia-mo poter effettuare confronti, proporre esempi di sistemi intervallari, distin-guere le "sfumature". Di conseguenza non possiamo fare a meno della misu-ra, e dunque del numero, tanto più di fronte ad un oggetto tanto impalpabile come è il suono. In Aristosseno in effetti vengono proposte delle misure che portano a numeri interi ed a rapporti tra numeri interi. Solo che l'unità che vie-ne suddivisa e misurata è una unità data solo acusticamente, ed è considerata solo in quanto tale, indipendentemente dallo strumento che la emette. Come sappiamo tutti i discorsi pitagorici hanno bisogno invece di fare riferimento, almeno indiretto, a strumenti a corda.

Il presupposto da cui si prendono le mosse è che la percezione sia in grado di stabilire una unità di conto e sulla sua base di determinare le grandezze in-tervallari colte dall'udito. Il concetto stesso di unità di conto per la misura degli intervalli lo incontriamo qui per la prima volta e non può che nascere sul terreno dell'impostazione aristossenica.

Spieghiamoci con un esempio: Aristosseno si pone il problema della grandez-za intervallare percepibile minima. Io credo peraltro che questa ricerca non sia da intendere in senso strettamente letterale ed interessi quindi il piano puramente puramente acustico, ma che egli pensi piuttosto alla minima gran-dezza intervallare musicalmente significativa.

Page 493: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

493

Supponiamo di aver deciso qualcosa in proposito. Avremo allora in ogni caso a che fare con una grandezza inter-vallare riconoscibile. Questa grandezza potrà essere usata come unità di conto. Così potremmo dire di un determi-nato intervallo che esso è il doppio, il triplo ecc. di questa unità minima musicalmente significativa. Naturalmente potremmo anche usare come unità di conto un suo multiplo.

Come è chiaro queste misure non hanno più nemmeno l'ombra di un significato pitagorico. Il quarto di tono è l'unità di conto minima, il tono può essere scelto come unità di conto sovraordinata. Il tono o il quarto di tono sono realtà percettive e nello stesso tempo possono assolvere il ruolo di unità di conto per grandezze intervallari udite: sembra quasi che l'una cosa richiami necessariamente l'altra. Ma non è così. A partire da un discorso che inizia così è possi-bile scivolare, non senza logica, fuori dal campo percettivo postulando unità di misura che sono solo unità di conto. Così potremmo assumere come unità di misura un sottomultiplo dell'intervallo minimo musicalmente significativo, che potrebbe essere tanto piccolo da essere insignificante sia percettivamente che musicalmente. Ecco una unità di conto pura e semplice alla quale non corrisponde alcuna grandezza percepibile. Ma a che scopo? Forse essa potrebbe avere una utilità.

Un esempio tratto dalla modernità: nessuno può ragionevolmente sostenere di avere una qualche idea concreta del cent quando sente dire per la prima volta che esso rap-presenta la milleduecentesima parte dell'ottava. Però abbiamo una idea chiara dell'in-tervallo di ottava sulla base della sua realtà percettiva. E così del resto abbiamo una idea chiara del numero 1200. Queste due cose possono essere messe insieme - ed esi-bire un metodo di valutazione, anche al di là della complessità ulteriore di cui il con-cetto di cent è portatore. Esso è in certo senso più potente di una mera unità di conto, perché, come abbiamo già notato, è possibile il passaggio calcolistico da interval-li espressi in cents a intervalli espressi in rapporti di frequenza. Ma questa possibilità è appunto una potenza in più che si aggiunge alla capacità del cent di fungere da unità di conto. In realtà considerando una delle scale che abbiamo già incontrato si capisce piuttosto bene come essa è fatta quando viene trascritta in cents. Va da sé che pos-siamo renderci conto al volo sia se un certo intervallo è maggiore di un altro, sia fare dei raffronti in cui ci appoggiamo ad un tempo sui numeri e su realtà percepite ben e sperimentate: ad esempio sappiamo subito che un intervallo di 250 cents corrisponde ad un tono temperato aumentato di un quarto di tono - e questo è già qualcosa.

Page 494: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

494

Fatte queste premesse possiamo comprendere il metodo di quantificazione de-gli intervalli messo in opera da Aristosseno. Anch’egli, anzitutto, opera sul tetra-cordo, di cui accetta la misura pitagorica di 4/3, benché il punto essenziale sta nella riconoscibilità percettiva dell’intervallo. Per affrontare il problema della sua suddivisione interna, che è comunque una suddivisione essenzialmente li-bera, egli ha in ogni caso bisogno di un’unità di conto. Egli propose di conside-rare la quarta come suddivisa in trenta parti eguali. Un trentesimo di quarta, evi-dentemente, non è un intervallo effettivamente percepito, ma anzitutto un’unità di conto.

Perché la scelta, che sembra ad un primo sguardo del tutto arbitraria, cade pro-prio sul trentesimo di quarta? Intanto possiamo cominciare con il rispondere che il trentesimo di quarta è un'interessante unità di conto se assumiamo nello stesso tempo che la quarta sia suddivisa a sua volta in due toni e in un semitono. Le due assunzioni sembrano richiamarsi a vicenda. Ne risulta infatti un tono di dodici parti, cioè di dodici trentesimi e un semitono di sei trentesimi di quar-ta (12+12+6 = 30), restando ovviamente nella forma tipica del diatonico che Aristosseno chiama “sintono”. Ora mettiamo in opera i nostri cents per vedere di che intervalli propriamente si tratta. Per far questo non dobbiamo fare altro che prendere la misura in cents della quarta (498) e dividerla per 30 e ottenia-mo un esatto 16.6. Questo è il valore in cents del trentesimo di Aristosseno. Di conseguenza il tono di Aristosseno posto in cents risulta essere pari a 16.6 * 12 = 199.2 ed il semitono 16.6*6 = 99.6.Naturalmente due toni sommati ad un semitono secondo questi valori fornirà una quarta di 498 cents che rappresenta la quarta pitagorica di 4/3. Il punto del problema, che risolve ogni pretesa con-traddizione e incoerenza teorica, è il fatto che non debbono essere toccati i 9/8 ovvero i 204 cents del tono di disgiunzione. Di fatto Aristosseno non tocca il tono di disgiunzione, ottenendo una costruzione del tutto coerente. Poiché Aristos-seno argomenta rigorosamente in quarte, la sua suddivisione in trentesimi non vale per l'ottava, ma per il tetracordo. E del tono di disgiunzione viene in questo modo sottolineata l'autonomia strutturale.

Page 495: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

495

Il fatto che il tono di disgiunzione venga da Aristosseno mantenuto a 9/8, preservando le consonanze di quinta e di quarta secondo i valori dei rapporti pitagorici, appare con assoluta chiarezza da una tabella presente nella Scien-za armonica di Tolomeo (2.14, 2002, p. 184) presumibilmente aggiunta da un copista. Tale tabella è costruita sui numeri 60 e 120, da intendere pitagoricamente come lunghezza di corde e quindi da mettere in rapporto tra loro. Ora per tutti i teorici considerati (la tabella comprende anche le scale di Archita, Eratostene, Didimo e Tolomeo) la quarta e la quinta sono caratterizzati dai numeri 80 e 90 il cui rapporto è appunto 9/8. Ciò vale anche per Aristosse-no. E questo intervallo non viene affatto riportato all’interno del tetracordo e nemmeno inversamente interpretato in termini di trentesimi di quarta. È appunto un intervallo per così dire “a sé stante”. Non posso perciò concordare con il commento di Lichtfield a questa tavola - ammesso che io lo abbia correttamente compreso - nel quale egli dice, a proposito di Aristosseno:

«Nelle tavole ‘tolemaiche’ due tetracordi disgiunti sono presentati con un tono intero di disgiun-zione (cioè un tono di 9/8). È facile supporre che questo tono di disgiunzione sia eguale a 12 parti di una quarta perfetta, esattamente come un cosiddetto tono all’interno della quarta» (1988, p. 59).

A me sembra che i numeri della tabella dicano esattamente l’opposto. Non solo: è possibile dare una controprova puramente aritmetica del fatto che, rispettando i criteri e le misure di Aristosseno, egli aveva perfettamente ragione nel calcolare in sei toni la grandezza dell’ottava. Occorre soltanto tener conto del fatto che si tratta di cinque toni “ari-stossenici” a cui va sommato il “tono pitagorico” di disgiunzione. Allora, sulla base delle considerazioni precedenti e facendo i nostri conti in cents, si avrà:

192.2 * 5 = 996 996+204 = 1200

Non vi potrebbe essere prova più “rotonda” di questa. I pitagorici avevano dunque nettamente torto nel criticare la valutazione aristossenica della misura dell’ottava in sei toni ed è strano che io non sia riuscito trovare una simile affer-mazione nei commenti specializzati e che dunque sia costretto a proporla senza un adeguato sostegno bibliografico.

Page 496: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

496

11.2.2 Una ipotesi sulla scelta del trentesimo di quarta

Per quanto riguarda le ragioni della scelta dei trentesimi di quarta, sarei propenso a formulare una ulteriore ipotesi che mi sembra interessante perché mostra che essa non è del tutto arbitraria e che è coerente con il modo di pen-sare complessivo di Aristosseno.

Come abbiamo visto esiste comunque per Aristosseno il problema di un coordinamento dell'unità di conto con il piano percettivo, anche se questo coordinamento può essere indiretto. Ora le divisioni (in parti intere) di un intero in ordine descrescente sono 1, 1/2, 1/3, 1/4... Se l'intero è il tono si potrà parlare di un terzo e di un quarto di tono - come si è già detto. Secondo il modo di pensare di Aristosseno il quarto di tono è la minima grandezza interval-lari percepibile (di interesse musicale); di conseguenza sarà percepibile anche un terzo di tono che è maggiore di essa. Ora, la differenza aritmetica - ed ora si intende proprio la sottrazione nel senso consueto - tra 1/3 e 1/4 è 1/12 e questa differenza tra percepibili è a sua volta percepibile. Essa è l'unità di misura del tono in genere che è l'intero in questione. Io credo dunque che proprio questo dodici sia l'origine del trenta, ovvero riportato in una concezio-ne della quarta come due toni ed un semitono, la quarta risulta divisa in trenta e il dodicesimo di tono ovviamente eguale ad un trentesimo di quarta. Il trentesimo di quarta tuttavia non si sa dove afferrarlo sul piano percettivo: in-vece il dodicesimo è tratto da due grandezze intervallari percepite ed è a sua volta percettibile nel passsaggio dal terzo al quarto di tono (o inversamente).

Cosicché se una divisione in trenta sembra a tutta prima una pura stravaganza aritmetica, riveduta alla luce di un sperimentazione uditiva concreta, le cose cambiano, e di molto. L'intervallo del trentesimo di quarta non è più così estraneo alla percezione come ci era sembrato in un primo tempo. Se le cose stessero così, verrebbe certamente rafforzata l'idea di un radicamento sul piano percettivo anche delle misure apparentemente astratte di Aristosseno.

Page 497: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

497

11.2.3 La presunta equalizzazione operata da Aristosseno

non possiamo non notare quanto i valori siano vicini e le differenze stiano sostanzialmente al di sotto della percet-tibilità. Sembrerebbe così solo una pignoleria aritmetica non ammettere arrotondamenti che porterebbero alla nostra scala equalizzata. Anche il tono disgiuntivo naturalmente dovrebbe essere portato a 200 cents. E qui comin-ciano i dubbi - non tanto certo sull'arrotodamento, ma sul fatto che verrebbe completamento frainteso il senso della proposta di Aristosseno, che fa riferimento alla quarta e non all'ottava, e perviene all'ottava solo con il raddoppio del tetracordo al di là del tono di disgiunzione.

Volendo si può sostenere allora un'ipotesi più debole relativa unicamente al tetracordo. Dividendo in trentesimi la quarta, essa viene costituita da cinque semitoni perfettamente eguali tra loro. Non sarebbe sbagliato parlare qui di equalizzazione, mentre l'espressione di temperamento sarebbe a mio avviso da evitare: il temperamento presup-pone qualcosa da "temperare", e quindi un sistema intervallare preesistente. L'equalizzazione invece non richiede questo presupposto e semplicemente indica un intervallo suddiviso in parti eguali.

Uno dei problemi molto discussi è se Aristosseno sia pervenuto a praticare o addirittura a teorizzare una scala equalizzata in dodici semitoni anticipando di secoli la nostra scala temperata. Qualche ragione evidentemente c'è per una simile ipotesi. Se guardiamo ai risultati ottenuti con i calcoli in trentesimi di quarta tradotti in cents

scala aristossenica scala temperataquarta 30 = 498 cents 500 centstono 12 = 199,2 cents 200 centssemitono 6 = 99,6 cents 100 cents

Ma il dubbio principale sta in questo: la divisione in trentesimi della quarta non è orientata a produrre una scala, ma rappresenta niente altro che un metodo di misurazione da utilizzare nel contesto della teoria dei generi. La presunta equalizzazione operata da Aristosseno è dunque soltanto un problema mal posto. Il nostro temperamento equalizzato sorge invece da precise esigenze musicali.

Page 498: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

498

Il riconoscimento implicito compiuto da Aristosseno è che la complicazione matematica dell'intervallo considera-to come rapporto non ha niente a che vedere con la chiarezza e la semplicità dell'intervallo effettivamente udito. Questa è una lezione di grande importanza che è stata per lungo tempo dimenticata. Non si tratta dunque di con-siderare ingenuamente Aristosseno come precursore del temperamento: il quadro concettuale e musicale entro cui si muove è assolutamente diverso da quello in cui si muoverà la tematica futura del temperamento e dell'equa-lizzazione. Si tratta invece ancora una volta di ribadire la necessità di una chiara distinzione di piani di discorso e l'importanza dei contesti.

11.3 La teoria dei generi secondo Aristosseno11.3.1 Il punto di vista funzionaleLo scopo essenziale di Aristosseno in rapporto alla teoria dei generi è quello di fornire una tipologia di base dei generi, distinguendo per il genere diatonico e il genere cromatico alcune varietà all'interno delle quali possono giocare le varie "sfumature" - da un lato dunque offrendo un quadro di riferimento di base, dall'altro mantenendo l'apertura intervallare caratteristica del concetto stesso di genere. Scrive Aristosseno

«Occorre sapere che la comprensione musicale porta ad un tempo su due oggetti, di cui l'uno è stabile e l'altro mutevole, e che ciò è vero della musica intera e, in una parola, di tutte le sue parti. Ad esempio noi prendiamo coscienza delle differenze di genere, quando l'intervallo totale resta invariabile, mentre gli intermedi sono modificati. Di nuovo quando, non cambiando la grandezza, la chiamiamo talora intervallo fra l'hypate e la mese, tal'altra intervallo tra la paramese e la nete, perché pur rimanendo costante la grandezza, accade che la funzione delle note cambi...» (II, 34 - 1954, p. 48).

Del resto abbiamo preso le mosse proprio dalla affermazione che vi è un numero illimitato di licanoi, affermazione “ardita” (Laloy, 1904, p. 212), ma che indubbiamente va intesa, più che in senso letterale, come una presa di posi-zione molto forte sulla varietà e sulla libertà nelle scelte intervallari. Abbiamo già accennato alla risposta che egli fornisce all’obiezione che gli fu rivolta secondo cui se cambia l’altezza della nota, e ciò è inevitabile variando la gradezza dell’intervallo, dovrebbe variare anche il suo nome. Quest’obiezione è tipica di un punto di vista statico. Le note sono quelle che sono e stanno dove si trovano, e perciò ciascuna ha un determinato nome che la identifica. Nome e identità della nota fanno tutt’uno.

Page 499: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

499

Questa è naturalmente anche la posizione che è prevalsa in tutta la musica europea fino ad oggi. La presa di posi-zione di Aristosseno, che è del resto conforme allo spirito della musica greca, è dunque particolarmente signifi-cativa perché che non considera la nota come un oggetto che viene posto in un luogo a cui apparterrebbe in via di principio ed attraverso il quale esso viene identificato e nominato. Ciò che identifica la nota è la relazione che ha nel sistema cui appartiene - dunque non è la posizione, determinata con esattezza, ma piuttosto la funzione che essa assolve. La parola funzione traduce dynamis. Di fronte ad un punto di vista statico, che richiede una fondazione matematica, si fa avanti in una concezione fenomenologica dinamico-funzionale, in cui l’elemento matematico ha uno scopo relazionale-descrittivo.

Dunque la sua risposta alla richiesta del mutamento dei nomi, ha una chiarezza ed è anche di un' importanza straordinaria:

«In generale finché i nomi delle due note estreme rimangono gli stessi e la più acuta si chiama mese, la più grave hypate, rimarranno gli stessi anche i nomi delle due note intermedie e la più acuta di esse si chiamerà lichanos, la più grave parhypate, perché l'orecchio percepisce sempre le note tra la mese e l'hypate come lichanos e parypate» (II, 49 - 1954, p. 71)

Ciò significa che lo spazio sonoro non è fatto di note e quindi non consegue da esse, ma le note sono articolazioni possibili dello spazio sonoro, e quest'ultima nozione ha dun-que un'anteriorità di principio. Chiarito tutto ciò, è necessario determinare alcune po-sizioni della lichanos che consenta di operare una distinzione di massima tra i generi. Questo per una esigenza di ordine che fa parte degli scopi di qualunque sistemazione teorica. Le posizioni in questione rappresentano peraltro delle linee di confine che determinano quello che potremmo chiamare uno “spazio di gioco” per ogni genere. Nella teoria dei generi di Aristosseno si ammettono, almeno per il genere diatonico e cromatico, alcune varietà. In particolare vi sono due tipi di diatonico e tre tipi di cromatico, mentre il genere enarmonico viene proposto come unico. Naturalmente nulla impedisce che si considerino queste distinzioni come “sfumature”, anche se io credo che il tentativo di Aristosseno non riguardi tanto il fissare le sfumature, quanto

Page 500: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

500

piuttosto di indicare dei limiti entro cui possono gioca-re le sfumature. Preferisco perciò parlare piuttosto di varietà, che rientrano tra le sfumature come loro limiti.

Il grafico a destra della pagina presenta la sistemazio-ne aristossenica dei generi, indicati in trentesimi di quarta e in valori in cents, che sono come al solito arro-tondati. A partire da questi dati è possibile proporre le stesse misure in tono, semitoni e terzi o quarti di tono.

Queste indicazioni tanto precise ci vengono fornite dal teorico aristossenico Cleonide che fornisce le seguen-ti spiegazioni:

«Le sfumature si possono spiegare anche per via aritmetica come segue: si supponga il tono divi-so in dodici minime parti, chiamate dodicesimi di tono e si dividano anche tutti gli altri intervalli sul-la stessa base; cioè il semitono in sei dodicesimi, la diesis [con questo termine si indicava spesso un piccolo intervallo] di un quarto di tono in tre dodicesimi, la diesis di un terzo di tono in quattro dodicesimi; il diatessaron è formato da trenta di queste parti. Il tetracordo enarmonico risulterà quindi composto - in dodicesimi di tono - di tre, tre e ventiquattro; il cromatico molle di quattro, quattro e ventidue; il cromatico emiolio di quattro e mezzo, quattro e mezzo e ventuno; il cromatico tonico di sei, sei e diciotto, il diatonico molle di sei, nove e quindici; il diatonico acuto di sei, dodi-ci e dodici» (Cleonide, cap. 7, 1990, p.89 ).

diatonico

syntonon malakon12 12 6

200 200 100

15 9 6

250 150 100

enarmonico24 3 3

400 50 50

cromatico

toniaion18 6 6

300 100 100

emiolion21 4,5 4,5

350 75 75

malakon22 4 4

366 67 67

Page 501: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

501

Naturalmente i dodicesimi di tono sono trentesimi rispetto alla quarta. Si noti come l'ordine in Cleonide è ascen-dente, mentre noi ci atteniamo nel grafico, come sempre, all'ordine discendente.

Sulla base di questo schema ne possiamo proporre un altro che mostra più chiaramente l'intenzione di segnare i limiti e nello stesso tempo lo "spazio di gioco" che rappresenta il senso effettivo del progetto di Aristosseno.

0 1 2 3 10987654 20191817161514131211 30292827262524232221mese lichanos

limite

delp

ycno

n

parhypate hypatediatonico syntonon

diatonico malakon

cromatico malakon

cromatico toniaion

cromatico emiolion

enarmonico

movimento della lichanos

movim

entodella

parhypate

tono tono semitono

quartodi tono

quartodi tono

tre semitoni (triemitono)

Page 502: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

502

Consideriamo a titolo esemplificativo il genere diatonico nei suoi due tipi syntonon e malakon. Se abbiamo strut-ture esattamente secondo le misure indicate, esse rappresentano le forme normali - potremmo chiamarle così - del genere. Tuttavia questi valori significano anche, secondo Aristosseno, che nel genere diatonico la lychanos può distanziarsi dalla prima nota da un minimo di 200 cents sino ad un massimo di 300 cents, valore con il quale si entra nel genere cromatico. Essa può dunque può muoversi nell'ambito di un semitono. Tutto questo spazio verrà compreso nel diatonico. D'altra parte possiamo "giocare" anche nello spazio del primo tipo di diatonico, in cui la lichanos può assumere valori compresi tra 200 e 250 e nello spazio di gioco del diatonico morbido che va da 250 a 300. In questo gioco vi sono appunto le sfumature a cui lo schema indicato fornisce un inquadramento teorico.

L'enarmonico è dato in un solo tipo e non ha sfumature, secondo Aristosseno, e ciò lo si può comprendere per il fatto che si tocca qui il limite del quarto di tono. Al di sotto di esso non è possibile andare, al di sopra si passerebbe al genere cromatico.

Nell'insieme la lychanos rispetto alla mese può muoversi di un tono, cioè tra 200 e 400 cents. E il movimento di un semitono segna il passaggio sia dal diatonico al cromatico (da 200 a 300 cents) sia dal cromatico all'enarmonico (da 300 a 400 cents). Il tentativo di stabilire un quadro di riferimento sembra piuttosto evidente. A seconda della divi-sione intervallare proposta si potrà attribuire il tetracordo ad una sfumatura dell'uno o dell'altro genere. Cleonide conferma che il senso della costruzione non sta nel fissare come legittime solo alcune delle possibili varietà, ma soprattutto quello di definire lo spazio di gioco nel passaggio da un genere all'altro.

«Le differenziazioni dei generi hanno luogo attraverso le note mobili: la lichanos può spostarsi entro lo spazio di un tono e la parhypate entro lo spazio di una diesis [quarto di tono], per cui la lichanos più acuta viene a trovarsi a un tono e la più grave a due toni di distanza dai due estremi del tetracordo, e analogamente la parhypate più grave viene trovarsi ad una diesis e la più acuta invece ad un semitono di distanza sempre dall'estremo inferiore del tetracordo» (Cleonide, cap. 6, 1990, p. 89)

Page 503: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

503

Una piccola aggiunta va fatta per i nomi: essi hanno una diversa natura. Alcuni alludono alla struttura intervallare come toniaion e emiolion: Cleonide spiega che «queste specie cromatiche prendono il nome dal loro picnon»: il cromatico toniaion si chiama così per il fatto che «il tono vi è compreso come intervallo composto determi-nante il picnon» - in effetti il limite del picnon si trova a 12 trentesimi dall'hypate, mentre lo stesso autore spiega “emiolio” per il fatto che le diesis (piccoli intervalli) che si trovano in esso hanno valore emiolio rispetto alla die-sis enarmonica. In effetti il picnon del genere cromatico emiolio ha due intervalli di 4,5 trentesimi di quarta, che sono pari a 3 + 1,5 trentesimi di quarta. Emiolio, significa, come abbiamo già osservato altrove, un valore che su-pera l'intero della sua metà (cap. 7, p. 91). Syntonon e malakon sembra invece abbiano altra origine e rimandino piuttosto ad una componente espressiva. Syntonon ha indubbiamente a che vedere con la tensione (dal verbo teino = tendere). Malakon, spesso tradotto con molle, ha come significati fondamentali morbido, lieve, tenero. Ed è inutile dire che anche in questo caso si fa sentire la tendenza a cancellare i valori espressivi implicati talvolta nel senso dei termini per preferire riferimenti fattuali positivi. Così ad esempio malakon = molle in quanto «la corda allentata (molle) rende il suono più grave» (Zanoncelli, 1990, p. 119): quasi che la differenza tra i due dia-tonici, stesse nel fatto che l'uno ha le corde tese e l'altro allentate. Di fronte a posizioni di questo genere è per-sino da preferire un'affermazione di Laloy che pone un accento anche troppo vigoroso sull'aspetto espressivo:

«Certi suoni, consonanti tra loro, sono colti nel loro rapporto e riportati all'unità del giudizio musicale; altri invece, irriducibili e indipendenti, dànno con il loro spostamento l'idea di uno sforzo o di un abbandono, di uno slancio gioioso o di una tristezza abbandonata; queste sfuma-ture sono molto ben spresse dal linguaggio stesso, dove gli epiteti che caratterizzano queste alterazioni aggiungono un senso morale al loro senso tecnico: vi sono, proprio per via dell'esi-stenza dei suoni mobili, della scale tese e delle scale rilasciate e morbide» (Laloy,1904, p. 209).

Page 504: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

504

11.3. 2 Confronto tra i generi di Archita e di Aristosseno

Non credo che dopo tutto ciò sia necessario di spendere troppe parole sulla differenza che sussiste sulla proposta di razionalizzazione di Archita della teoria dei generi e la proposta di Aristosseno. Indipendentemente dalle in-teressanti giustificazioni che sono state proposte per motivare le scelte di Archita, risulta chiaro da tutta la nostra discussione precedente che Archita intende anzitutto stabilire un quadro stabile per i generi fissando le posizioni delle note mobili del tetracordo secondo principi coerenti con la metodologia matematica pitagorica e con inter-valli definiti in termini di rapporti tra interi; si può naturalmente pensare che, anche stando al punto di vista di Ar-chita, si possano dare anche altri sistemi intervallari purché siano fondati negli stessi criteri. In questa fondazione va da sé che vi saranno posizioni escluse e che il punto di vista di principio rimane discretistico. Ciò ha una signifi-cativa conseguenza: in questa ipotesi si potrà parlare eventualmente di possibili varietà dei generi, ma non di vere e proprie "coloriture" nel senso di Aristosseno. Infatti deve allora cambiare - tra le tante altre cose - anche il modo di concepire la fissazione della posizione delle note nel tetracordo.

«Forse l'esempio più convincente e più chiaro del nuovo metodo di Aristosseno consiste nel suo trattamento dei generi o tipi di tetracordo - diatonico, cromatico, enarmonico. Questi tre ge-neri erano stati dapprima sistematizzati da Archita, un pitagorico, intorno al 400 a. C. che usò un insieme accuratamente costruito di rapporti di interi. Un confronto diretto dei generi di Ar-chita con quelli di Aristosseno rivela la natura della novità della sua teoria così come sugge-risce qualcosa intorno ai mutamenti stilistici che potevano essere intervenuti al principio del IV secolo... Aristosseno semplicemente rese esplicito ciò che era già presente nel sistema di Archita, ma lo fece attirando l'attenzione sul movimento della lichanos piuttosto che sulle sue posizioni. Egli pose le posizioni della lichanos nel diatonico e nell'enarmonico come 'limiti' al movimento della lichanos, permettendo così ad essa ciò che ora potrebbe essere definito un 'locus' piuttosto che un ‘punto’ corrispondente ad un rapporto» (Crocker, 1961, p. 102-103).

Page 505: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

505

12. Il sistema completo

Page 506: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

506

Page 507: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

507

12.1 Introduzione12.1.1 Sistemi, toni, armonie

12.1. 2 Le specie (eidos, schema)

12.1.3 Metabolé

12.2 Il sistema completo12.2.1 L’ampiezza dello spazio sonoro nella musica greca

12.2.3 Il sistema completo piccolo e la sua integrazione nel grande

12.2.4 Le specie di ottava

12.2.5 Il problema della trasposizione e la "modulazione della melodia”

12.3 Conclusione12.3.1 Tesi e dynamis12.3.2 La prospettiva dinamica e tetica nell'intero spazio sonoro

12.3.3 L’immutabilità del sistema completo

12.2.2 Il doppio tetracordo di base come fondamento del sistema completo

Page 508: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

508

Page 509: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

509

12.1 Introduzione

12.1.1 Sistemi, toni, armonie

L'argomento conclusivo di questo nostro album è un tentativo di illustrare il sistema completo o perfetto. Il termi-ne greco è sistema teleion. Non so se si possa trovare traduzione migliore: nel termine greco si allude comunque ad una forma di perfezione nel senso della compiutezza, di ciò che racchiude tutto l'essenziale. In Tolomeo questo termine riceve un significato più preciso che vedremo in seguito. Qualunque tentativo di illustrazione del sistema completo richiede che si porti la discussione sui "tonoi" e sulle "specie di ottava" - due concetti tra loro interdipen-denti - molto controversi, che hanno dato luogo a interpretazioni talora fortemente divergenti, anche se le ricerche più recenti hanno portato una chiarezza un tempo insperata su un argomento che

«è il più problematico di tutti i vari scomparti della 'armonica' greca, in parte per via delle lacune nella testimonianze e della confusione presenti nelle fonti che abbiamo a disposizione» (Barker, 2000, p. 158).

In realtà dopo gli sforzi compiuti per impossessarci di alcuni "segreti" della teoria greca, sarebbe sbagliato non fare nemmeno un tentativo per delineare questo problema nonostante tutte le incertezze e la sua riconosciuta no-tevole complessità. Tuttavia affinché questo tentativo possa sperare di riuscire nel suo scopo dovremo da un lato introdurre qualche semplificazione, dall'altro cercare di cogliere il nucleo e il senso di questa costruzione, più che i dettagli della costruzione stessa. Come del resto in tutta la nostra esposizione, l’obbiettivo è quello di enucleare alcuni concetti di base capaci di indicare almeno la direzione e il senso dei problemi e il tipo di indagine da svol-gere intorno ad essi.

Benché sia un aspetto assai poco sottolineato dalla letteratura specialistica, nella considerazione del sistema com-pleto vi è un profilo filosofico che ci riporta ancora nel quadro delle grandi linee e fertili opposizioni del pensiero greco: come abbiamo visto, sullo sfondo delle questioni di pratica e di teoria musicale vi sono le posizioni del pi-tagorismo e dell'aristossenismo, del platonismo e dell'aristotelismo, e i grandi temi di cui esse sono portatrici. Nel sistema completo questi temi riaffiorano in una nuova forma, in un modo più nascosto, e sicuramente inaspettato.

Page 510: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

510

Sistema

Cominceremo da qualche precisazione terminologica. Il primo termine da precisare è certo quello di sistema: questa parola ha un’accezione molto ampia che non riguarda solo l'ambito muicale. In questo ambito, con sistema si intende una sequenza di inter-valli. Nella sua accezione musicale più ampia si chiede soltanto che gli intervalli siano più di uno. Ma vi sono anche accezioni più ristrette. Per Aristide Quintiliano «un siste-ma è costituito da più di due intervalli» (11.4 - cap. 8. Barker, 1989, p. 413). In questo modo Aristide rende il tetracordo il sistema più piccolo. Altri richiedono che si parli di sistema solo per gruppi di intervalli capaci di formare un intervallo musicalmente significativo, il che significa ridurre l'accezione di sistema agli intervalli di quarta, di quinta e di ottava. Tipica di Tolomeo è una ulteriore restrizione:

«... si chiama usualmente sistema una grandezza risultante dalla composizione di intervalli melodici: il sistema è appunto, per così dire, una consonanza di consonanze» (Tolomeo, 2.4, 2002, p. 54). «Nell'uso di Tolomeo, soltanto le sequenze che sono costituite dalla composizione di due o più gruppi di intervalli, ciascuno limitato da suoni consonanti, conteranno come sistemi. Così un singolo tetra-cordo non è un sistema, ma un sistema verrà formato quando due di essi sono disposti in congiunzione o in disgiunzione» (Barker, 2000, p. 158).

Nell'accezione di Tolomeo, che evidentemente propone questa restrizione già nell'ot-tica del sistema completo, saranno sistemi solo l'ottava, l'ottava + quinta o + quarta, la doppia ottava (2.4). Va da sé che l'accezione più larga, che abbraccia tutte le altre, è la più maneggevole e meno impegnativa. Va richiamata l'attenzione anche sul fatto che la nozione di sistema non riguarda le altezze, ma gli intervalli e la loro disposizione reciproca.

Page 511: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

511

Tonos

Una bella caratterizzazione dei vari sensi che può assumere la parola tonos la si può trovare in Cleonide:

«Il termine tonos può avere quattro significati: esso infatti indica o un suono (fthongos), un inter-vallo (diastema), uno spazio sonoro (topos fonés) o una posizione (tasis). Si usa nel senso di suono quando per esempio si dice che la forminx ha sette toni, come fanno Terpandro e Ione. Il primo dice infatti:

Ora noi volgendo le spalle al canto tratto da quattro corde,cantiamo nuovi inni sulla forminx dai sette toni.

(...)

E non pochi altri usano il termine in questa accezione. Ha il significato di intervallo invece quan-do si dice che c’è un tono dalla mese alla paramese. Ha il senso di ambito sonoro quando si parla di tono dorico, frigio o lidio o di qualcun altro di essi» (cap. 12 - 1990, p. 103).

Le differenze di senso di tono come suono, intervallo di una grandezza relativamente determinata e posizione sono facili da spiegare perché sono entrate nell'uso in tutta la nostra tradizione musicale e il termine viene in genere impiegato in contesti che non lasciano dubbi. La posizione in cui si trova il suono è ovviamente l'altezza, e quindi il senso è qui assai prossimo al tono inteso semplicemente come "nota". La parola tasis ha comunque numerose altre implicazioni (Piana, 1903, pp. 47-49). Già un poco più difficile è il senso di tonos come "ambito sonoro". Facendo gli esempi di tono dorico, frigio ecc. Cleonide si leva di impaccio rispetto ad un problema con cui avremo a che fare fra poco. Ciò comunque a cui allude è il senso, anch'esso fortemente presente nella tradizione europea successiva, di una scala caratterizzata da un determinato sistema intervallare, quindi di un insieme di luoghi, entro cui si svolge la melodia: dunque un senso affine “tonalità” nell’accezione più ampia possibile del termine. I versi di Terpandro (prima metà del VII sec. a. C.) presentano anche uno squarcio sulla problematica dell'aumento delle corde della lira da quattro a sette, vista con soddisfazione dai poeti e cantori, e con sospetto o addirittura condanna da parte dei teorici.

Page 512: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

512

Trattando della problematica dei generi abbiamo poi richiamato l’attenzione sul termine di “harmonia” - nel senso di tipo melodico. Per certi versi l’espressione tonos come sistema scalare è erede di quel termine. Tropos è un altro termine usato per lo più come sinonimo di tonos.

12.1. 2. Le specie (eidos, schema)

Anche l'impegnativa parola greca eidos, oltre ad avere un significato importantissimo nella logica aristotelica in-dicando le specie di un genere, e in Platone addirittura valere come idea, ha un significato musicale molto deter-minato. Secondo Solomon (1984, p. 245), la parola "specie" (eidos, schema) viene impiegata in un'accezione tecni-co-musicale piuttosto tardi tra la fine del quinto secolo e l'inizio del quarto nell'ambito dell'accademia platonica. In Aristofane significa "figura" di danza; nella scuola ippocratica schema significa posizione del corpo. Ed anche Platone usa sia eidos che schema per indicare figure, tipi, forme. Sarebbe solo in Aristosseno che questi termini assumono il significato specie di quarte, quinte e ottave nel senso che stiamo per precisare. Ed essendo Aristos-seno peripatetico taluni coordinano senz'altro questo termine all'uso logico aristotelico. Così scrive Barbera (1984, p. 229):

«Nella Categorie di Aristotele si afferma: "La specie è il soggetto del genere. Invero i generi sono predicati delle specie, ma le specie inversamente non sono predicabili dei generi". Un poco oltre nello stesso trattato leggiamo che il genere ha la priorità rispetto alla specie (15a), e Aristotele ci dice nei suoi Topici che la specie partecipa dei generi, ma non viceversa (120b). Cosicché la nostra ricerca intorno alla specie deve prima determinare che cosa sia il genere. Per fortuna tale determinazione nella musica è facile da ottenere, poiché gli antichi teorici sono virtualmente unanimi nella loro definizione del genere musicale. Aristide Quintiliano afferma: "Un genere è una certa divisione di un tetracordo". Gaudenzio espande questa definizione in questi termini: "Un genere è una certa divisione e disposizione di un tetracordo". La maggior parte dei teorici procede di qui per distinguere tre generi di tetracordi: enarmonico, cromatico e diatonico, secondo l'ampiezza dei tre intervalli abbracciate dalle quattro note del tetracordo».

Page 513: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

513

Tutto ciò è naturalmente giusto, ma il richiamare l'attenzione su questa origine del termine e sulla sua relazione con la nozione musicale di "genere" può dar luogo ad equivoci. Questa parola infatti non si accoppia con i generi nell'accezione musicale del termine, che si differenziano se mai attraverso le "sfumature", ma piuttosto con i siste-mi, e soprattutto, come vedremo meglio in seguito, con i tonoi. Occorre dunque mettere in guardia dalla possibile confusione tra le specie e le sfumature dei generi, cosa che ovviamente non toglie che anche queste ultime possano essere considerate "differenze specifiche". Ad esempio, in Cleonide si scrive che «la sfumatura è una distinzione specifica del genere» (Cleonide, 1990, cap. 7). È evidente tuttavia che proprio in casi come questi tradurre “sfuma-tura” (chroa) con specie dovrebbe essere accuratamente evitato. L’unica giustificazione per istituire questa relazio-ne, oltre ovviamente il puro significato logico, sta nel fatto che i sistemi tetracordali erano comunque caratterizzati da un genere e i primi esempi proposti da Aristosseno di specie riguardano appunto l’intervallo di quarta, preso nel genere enarmonico. Aristosseno parla dell’argomento proprio nel punto in cui il suo trattato si interrompe. Egli dice:

«Si deve poi considerare il significato e la natura della differenza di specie (eidos). Per noi è lo stesso dire eidos oppure schema perché riferiamo queste espressioni alla stessa cosa. Questa differenza si verifica quando cambia l’ordine degli intervalli non composti che costituiscono un intervallo composto, mentre il numero e l’ampiezza degli intervalli rimane la stessa» (Meib., 74 - Aristosseno, 1954, p. 99). (Marquard rende eidos con Form e schema con Figur, 1868, p. 109)

La definizione di specie è in effetti di sapore aristotelico, come nota Barbera (1984, p. 230), che rammenta una simi-litudine musicale presente nella Politica per illustrare il variare di forma di una struttura composta: una qualunque unione o composizione è diversa, osserva Aristotele, se la specie della sua composizione è diversa, come accade nel caso delle “armonie” musicali se si muta l’ordine degli intervalli.

«Anche l’armonia cambia, pur rimanendo identici i suoni, se quest’armonia ora è frigia, ora è do-rica» (1276b6-9).

Aristosseno è particolarmente chiaro in proposito: un mutamento di specie è un mutamento di ordine degli inter-valli, mentre gli intervalli rimangono identici numericamente e per grandezza. Così TTS e TST hanno lo stesso nu-mero di intervalli e gli intervalli interessati sono della stessa grandezza essendovi in entrambi i casi due toni e un semitono, ma l’ordine è differente. L’esemplificazione aristossenica riguarda gli intervalli di quarta.

Page 514: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

514

«Stabilita questa definizione si deve dimostrare che tre sono le specie della quarta: prima, quella in cui il pycnon è al grave: seconda, quella in cui la diesis [quarto di tono] giace da una parte e dall’altra dal ditono; terza, quella in cui il pycnon è all’acuto del ditono. Si comprende facilmente che non vi sono e che non ci possono essere altre posizioni relative della quarta oltre queste» (Aristosseno, ivi).

Questo passo è notevole per vari motivi. Intanto, poiché si parla di pyknon, evidentemente l'esempio va inteso come relativo ad un tetracordo di genere enarmonico. In esso si conferma che caratteristica della specie è il mu-tamento di ordine degli intervalli. Si noti che la "sfumatura" lascia invece inalterato proprio questo ordine. Si par-la dunque di tre specie: il pycnon può essere sotto il ditono, oppure esso viene diviso dal ditono constando esso di due intervalli, infine esso si trova sopra il ditono. È notevole poi il fatto che la questione della distinzione tra le specie venga posta in modo piuttosto astratto: si tratta di enumerare tutte le specie nella loro struttura in-tervallare, dimostrando nel contempo che non ce ne possono essere altre. L'astrattezza sta nel fatto che una si-mile operazione può essere compiuta in modo del tutto indipendente da considerazioni di ordine musicale. In effetti non è difficile mostrare che queste e non più di queste sono le specie di quarta in modo semplicemen-te grafico, considerando i puri simboli degli intervalli di cui sono costituiti due intervalli di quarta successivi.

Indichiamo con D il ditono e con Q il quarto di tono. Facendo ruotare l'inizio "ciclicamente" si ottengono le specie

DQQ, QQD, QDQ

ed evidentemente non vi sono altre possibilità perché la trasformazione successiva ci riporterebbe alla prima strut-tura. Questo modo di esibire le specie per spostamento e dunque per rotazione (in greco = periforà) - nel variare della specie il primo elemento diventa ultimo nella specie successiva - non affatto inessenziale per stabilire in che senso si parla di numero di specie possibili. Infatti non si tratta di tutte le combinazioni possibili ma appunto solo di quelle che sono "derivabili" per rotazione da una configurazione. Si consideri, ad esempio, la sequenza di lettere ABC. Le combinazioni possibili sono sei, ma quelle ottenibili per rotazione sono soltanto tre. L'individuazione delle "specie" diventa così un problema puramente matematico-formale e di questa relativa astrattezza occorrerà tener conto anche nelle nostre considerazioni future.

Page 515: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

515

Inoltre si vede qui assai bene la differenza tra specie e sfumatura. La sfumatura opera allargamenti e restringimenti degli intervalli, ma non ne turba l'ordine e dunque anche la funzione. La specie invece è del tutto indifferente al genere - un genere qualunque può servire da esempio. Essa incide pesantemente sull'ordine e dunque sulla funzio-ne. Nell'esempio lo vediamo soprattutto nella terza specie: si può forse ancora parlare di pycnon, che indica, come sappiamo, una zona di addensamento di piccoli intervalli, se il quarto di tono sta a destra ed a sinistra del ditono? Possiamo parlare di lichanos per una nota che sta ad appena un quarto di tono dalla mese?

Nell'aristossenico Cleonide (II sec. d. C.) lo stesso metodo ciclico viene impiegato per individuare le specie di quinta. In rapporto al genere diatonico egli elenca quattro specie di quinta che nel seguente diagramma noi pre-sentiamo in forma circolare.

Prendendo le mosse dalla lettera T con 1 sottoscritto, e proseguendo nell’ordine si ottengono

1. TSTT2. STTT3. TTTS4.TTST

Si ottengono così tutte le specie della quinta. L’ordine di successione è evidentemente poco importante. Si otten-gono in ogni caso le stesse specie partendo da un lettera qualsiasi. Proponendo lo schema circolarmente si mette in evidenza che vi è una forma di successione costante di base e che l’ordine cambia seguendo questa forma.

T

1

S

T

T4

3

2

Page 516: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

516

12.1.3 Metabolé

Infine va rammentato il termine metabolé che è di particolare importanza per la tematica che stiamo per trattare. Questo termine significa mutamento, trasformazione. Ed ha naturalmente diverse applicazioni e interpretazioni diverse. Come abbiamo già detto, all'interno di una stessa melodia il genere può mutare - ovvero la stessa melo-dia può variare di genere nel corso del suo sviluppo. Questo è un caso di metabolé. Un altro caso riguarda ciò che modernamente chiameremmo trasposizione di una stessa melodia da una regione grave ad una regione più acuta. Mentre prima il termine era connesso al genere, qui è invece connesso al tonos. Ma a questo proposito vi è un’im-portante distinzione da fare che viene formulata con particolare chiarezza da Tolomeo. Un conto è la semplice ripe-tizione della melodia una volta più grave ed un'altra più acuta, tanto più se poi questa semplice ripetizione avviene in modo tale che le due esecuzioni siano separate l'una dall'altra. Questa è una nozione musicalmente poco interes-sante di metabolé. Altro conto è invece che, all'interno di uno stesso sviluppo melodico, vi sia passaggio da tono a tono - questa "trasposizione interna" ha un effettivo significato musicale e può essere usata come importante mezzo espressivo (presa in questa accezione vi è un'affinità con il termine moderno di "modulazione"). Non è allora tanto importante la distinzione tra il grave e l'acuto, quanto piuttosto l'effetto espressivo che questa "mutazione" interna alla melodia produce. Ma questo potrà essere meglio approfondito quando avremo trattato del sistema completo, delle specie di ottava e fornito qualche precisazione sui tonoi come toni di trasposizione.

Page 517: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

517

12.2 Il sistema completo

12.2.1 L’ampiezza dello spazio sonoro nella musica greca

Fin qui ci siamo mossi orientati dall'idea di uno spazio sonoro minimo, l'intervallo di quarta e della possibilità del suo raddoppiamento che, nella forma disgiunta, raggiunge l'ampiezza dell'ottava. È ovvio tuttavia che le melodie greche, benché fossero per lo più contenute entro un ambito molto ristretto, certamente potevano liberamente svi-lupparsi oltre il tetracordo superiore ed il tetracordo inferiore. Di conseguenza lo spazio sonoro effettivamente uti-lizzato era più ampio dell'ottava. Inoltre si poneva il problema di operare trasposizioni di melodie da un registro gra-ve ad uno più acuto o inversamente. In questi casi diventava una necessità ovvia superare i ristretti limiti dell'ottava.

Certo, non dobbiamo pensare alle grandi estensioni a cui siamo oggi abituati. Un pianoforte da concerto si estende su sette ottave e in un'orchestra sinfonica vi sono strumenti tali da poter coprire, nel loro insieme, una simile esten-sione. Lo spazio sonoro greco si estendeva solo su due ottave.

Rammentiamo che l'ampiezza dello spazio sonoro è fortemente determinata dalla prevalenza o meno della musica vocale rispetto a quella strumentale. La voce ha dei limiti ben precisi, limiti che possono essere talvolta agevolmen-te superati dagli strumenti. Ma per la voce lo spazio di due ottave è indubbiamente uno spazio molto ampio. Qua-lunque sia la regione di riferimento (basso, baritono, tenore, contralto, soprano), la voce non supera normalmente le due ottave. Va peraltro notato, che in Grecia non vi era un riferimento assoluto, ma soltanto relativo dell'intonazione - cosicché le due ottave non erano fissate su una tastiera ideale o reale che fosse. Già questa circostanza stabilisce una prima differenza rispetto alle nostre consuetudini, per il fatto che lo spazio sonoro veniva, in certo senso, visto dall'interno, e non come una totalità oggettiva considerata dall'esterno con i suoi limiti altrettanto oggettivi, entro cui vi sono circa sette ottave che si possono percorrere linearmente passando dall'una all'altra.

Page 518: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

518

Ora è interessante notare che i teorici svilupparono questo problema dell'ampliamento dello spazio sonoro, con lo scopo di raggiungere un “sistema completo”, in un senso che riguarda in primo luogo la sua adeguatezza alle esigenze musicali effettive, in stretta coerenza con il principio del tetracordo come principio organizzativo fonda-mentale, animati, nello stesso tempo, da un forte spirito architettonico. Per questo parlare di due ottave, o dire che lo spazio sonoro greco si estende su due ottave comporta possibili equivoci. Anzitutto sembra che ci si serva dell'otta-va come unità di riferimento (e sulla natura di questo errore abbiamo insistito abbastanza); in secondo luogo si dà l'impressione che si tratti semplicemente di uno spazio doppio, rispetto a quello dell'ottava, e null'altro. Ovviamente affermare che due ottave rappresentano uno spazio doppio rispetto a quello di una sola ottava è banalmente vero - chi mai potrebbe non essere d'accordo su una simile affermazione? Eppure, essa non solo non ci insegna nulla sul modo di intendere questo spazio, ma rischia anche di introdurre profondi fraintendimenti.

Cominceremo intanto con il dire che il sistema completo, in ultima analisi, non è niente altro che una tabella, ed il modo migliore per tentare di venire a capo almeno delle sue idee guida è quello di costruirla di passo in passo. Si tratta di una costruzione che può essere esposta come se avvenisse in due tempi: il primo riguarda l'estensione dell'ottava a due ottave, il secondo riguarda invece l'ambito delle possibili trasposizioni.

Page 519: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

519

12.2.2 Il doppio tetracordo di base come fondamento del sistema completo

Cominciamo a metterci sotto gli occhi il doppio tetracordo disgiunto. Voi chiederete: secondo quale genere? Ri-spondiamo semplicemente: secondo il genere diatonico. Ma questa risposta deve essere accompagnata da qual-che giustificazione.

Abbiamo già notato che se l’ordine espositivo che procede dal diatonico all’enarmonico passando attraverso il cromatico può avere una sua giustificazione teorica nell’appesantimento della tendenza cadenzale ovvero nel pro-gressivo distanziarsi della lichanos dalla mese, tuttavia questo ordine non rispetta la vicenda storica che sicura-mente era assai più complessa: il prevalere nella tarda grecità della genere diatonico, e per via di questo prevalere, la decadenza della stessa teoria dei generi, non deve far pensare che i generi cromatico ed enarmonico - con tutto tutto che essi comportano, dal punto di vista musicale - fossero di importanza secondaria. È opportuno invece sot-tolineare vivacemente che i greci amavano molto i piccoli intervalli, le ornamentazioni, la varietà consentita dalla teoria dei generi; così essi conferivano fama ed onori a quei musicisti che introducevano modifiche ai loro stru-menti per aumentarne la flessibilità espressiva, ad esempio aumentando il numero di corde della lira così da poter disporre di una tavolozza più ricca di possibilità. Lo stesso vale per l’aulos: il satiro auleta è una figura esemplare della vasaria greca in tutta la sua sensualità apertamente esibita: le proteste di teorici e moralisti suonano come una conferma di tutto ciò. Vi sono mille indizi che mostrano come i greci per lungo tempo avessero una partico-lare predilezione non solo per l'intervallistica mobile, ma anche per il gioco con i piccoli intervalli, e quindi per un'espressività particolarmente intensa; al punto che si può formulare l'ipotesi che la critica di questa espressività, l'elogio della semplicità, la reazione contro la varietà, ecc., come elementi "barbari", "orientali" non genuinamente ellenici, fosse soprattutto propria dei teorici - pitagorici e platonici soprattutto - e fosse tanto più netta quanto più invece la musica greca sembrava spesso muoversi su tutt'altra via.

I generi enarmonico e cromatico sono certamente in auge nell'età di Aristosseno. Aristosseno e gli aristossenici avviano la loro rivoluzione teorica avendo di mira il problema di una maggiore aderenza alla pratica musicale. Anche da questo punto di vista è significativo che a proposito del tema delle specie di quarta, Aristosseno sembra volere avviare la trattazione dall'enarmonico e non è escluso che le proposte aristosseniche di "sistema completo" fossero influenzate da questa propensione. Ma è certo che questa tendenza della musica reale va ben oltre l'età di Aristosseno.

Page 520: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

520

Quando cominciò ad esistere una scala standard di accordatura della lira? È assai difficile dirlo. E questa scala standard era la scala diatonico-pitagorica? È assai improbabile. Si chiede Monro: che ne è dell’ottava standard della lira? Quale era la successione di intervali da cui era caratterizzata? Ed egli risponde così:

«Nessuna successione di intervalli aveva qualche privilegio per essere scelta. Si può so-stenere che l'ottava standard era di fatto la scala di un particolare modo, che si era guada-gnato una reputazione come modello, ad esempio il dorico. Ma non vi è traccia di una simile preminenza del modo dorico come se si trattasse di una necessità. I filosofi che sostenevano il carattere elevato e la sua rappresentatività rispetto alla purezza ellenica erano assai lontani dall'implicare che esso fosse in cima alle preferenze popolari. In realtà il contrario era eviden-temente il caso» (Monro, 1894, p. 42).

Altro lato mirabiledel suo trattar porcino:chi studiò da bambinocon lui, dice che usò

temprar la lira in doricosempre; né percepíaverun'altra armonia;

e, irato, lo scacciòil maestro, da scuola.

«Questo bimbo la solaaccordatura dorica

capisce: e l'altre no!»

(trad. di E. Romagnoli, Le Commedie, Zanichelli, 1924, p. 206)

A riprova ecco una testimonianza veramente straordinaria, tratta dai Cavalieri di Aristofane. Si sta parlando di Cle-one e si dice di lui:

Page 521: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

521

Eppure ciò che finisce con il contare, dal punto di vista della costruzione teorica, è che il diatonico si trova, in fin dei conti, a partire dal “tetracordo di Filolao” all’origine della teoria musicale proprio per il fatto che esso è costruito con i rapporti tratti dalla teoria delle consonanze; ed è dominante quando la teoria raggiunge la sua sistemazione più compiuta. Dopo la scossa aristossenica ed un periodo, che si può supporre piuttosto ampio, di dominio della varietà dei generi e della ricerca musicale e teorica correlativa, il platonismo e il pitagorismo hanno il netto soprav-vento. È sintomatico che il trattato di Tolomeo (II sec. d. C.), che può essere considerato una sorta di straordinaria sintesi conclusiva della teoria musicale della grecità, dedichi tutto il suo primo libro a confutare le tesi di Aristosse-no e degli Aristossenici. Naturalmente si parla ancora dei generi e delle loro sfumature, si formulano ancora nuove proposte intorno ad esse (sia pure nello spirito più del pitagorismo che di quello dell'aristossenismo) - ma si tratta ormai non tanto di discorsi sulla musica, ma di discorsi sui discorsi passati di una musica passata.

Ma vi è un altro punto a cui va dato particolare rilievo. Nella costruzione del sistema completo, il problema della diversa grandezza degli intervalli, su cui tanto abbiamo insistito in precedenza, non è più in primo piano. Ci basta la differenza tra tono e semitono genericamente intesi. Che poi la grandezza di questi intervalli possa variare in funzione dei movimenti delle note “mobili” non rappresenta un problema, non implicando questa variazione alcu-na modificazione dell’architettura complessiva della costruzione. La problematica dei generi può restare in ombra perché il nucleo della questione del sistema completo in fin dei conti non la riguarda.

Riconsideriamo dunque il doppio tetracordo disgiunto, facendo riferimento alla struttura di toni e semitoni che ci è ormai ben nota dal momento che è stata da noi già ampiamente illustrata con il nome di “scala pitagorica”. Vogliamo ora chiamare questa scala doppio tetracordo di base. Questo termine è tutto nostro e serve da un lato a neutralizzare gli equivoci associati al termine di “ottava” e nello stesso tempo a richiamare l’attenzione sul fatto che questa struttura intervallare ha carattere di fondamento per il sistema completo. Nella sua rappresentazione grafica ricorreremo normalmente ad un ordine orizzontale, nella sequenza nete, paranete, trite, paramese, mese, lichanos, parhypate, hypate, con la nete a sinistra e l’hypate a destra. Rammentiamo inoltre che abbiamo convenuto, per quanto riguarda i nomi delle note, di ricorrere talvolta anche ai nostri nomi usuali, iniziando con Mi, secondo una convenzione comunemente accettata così da avere la scala diatonica nella forma priva di alterazioni nella no-stra consueta scrittura musicale. Anche questo artificio ci può risparmiare molte parole e rendere più accessibile la nostra discussione. Non abbiamo invece diversificato notazionalmente le differenti altezze delle stesse note, es-sendo queste differenze ovvie nella lettura da sinistra a destra (andamento dall’acuto al grave).

Page 522: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

522

Fatte queste precisazioni, possiamo ora compiere il primo passo nella costruzione della tabella del sistema com-pleto. In questo primo passo si tratta soltanto di operare un’estensione a destra ed a sinistra del doppio tetracordo di base aggiungendo un tetracordo congiunto da entrambi i lati (come abbiamo detto, l’antico eptacordo non venne mai dimenticato dalla cultura musicale greca).

Così il tetracordo a cui appartiene la mese viene chiamato già da Aristos-seno "tetracordo della mese" e questo termine viene poi reso plurale vo-lendo intendere tutte le note appartenenti al tetracordo della mese (Chail-ley, 1979, p. 49). Il tetracordo sovraordinato viene caratterizzato per il suo essere un tetracordo disgiunto, il tetracordo aggiunto superiormente (alla sinistra nel nostro schema) come tetracordo delle note acute: la nota più acuta verrà ancora caratterizzata come nete, le successive paranete e trite con la precisazione di appartenenza al tetracordo delle note acute; infine il tetracordo che sta al di sotto (a destra nel nostro schema) del tetracordo della mese come tetracordo delle note gravi i cui nomi saranno ancora lichanos, parhypate e hypate con la precisazione di appartenenza al tetra-cordo delle note gravi. Come è chiaro, la forma stessa nei nomi delle note non può aver nulla a che fare con quella delle nostre note che segue una logica completamente diversa. La forma del nome è qui determinata dalla sua integrazione nel sistema. Perciò avremo la "nete dei disgiunti (=nete del tetracordo disgiunto)", la nete degli acuti (=nete del tetracordo delle note acute), ecc. (Schema a destra tratto da Gollin, 2004).

Questa aggiunta richiede che le note siano identificate non solo con il nome consueto, ma anche con l'aggiunta determinativa del tetracordo cui appartengono. Ne deriva una terminologia un po' macchinosa ma chiaramente comprensibile.

MI RE DO SI LA SOL FA MI

DOPPIO TETRACORDO DI BASE

MESE

LA SOL FA RE DO SI

HYPATENETE

Page 523: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

523

Si tratta di quattordici note, la cui idea costruttiva appare essere quella di uno spazio centrato, cioè di uno spazio di cui si possa indicare un luogo come suo centro. Affinché questa condizione si realizzi letteralmente, abbiamo biso-gno di aggiungere una nota (proslambamenos), cosa che del resto si impone per "chiudere" lo spazio richiamando la nota con cui esso si è aperto. Cosicché aggiungeremo un La a destra in modo da stabilire il richiamo in doppia ottava con la prima nota. Le note diventano di conseguenza quindici, la mese occupa non solo il centro esatto dello spazio ma ne richiama anche i bordi. Potremmo tentare di rendere la situazione in questo modo:

Evidentemente si tratta di far nascere qualcosa di completamente diverso del raddoppio di una ottava ovvero di due ottave accostate l'una all'altra. I due aspetti particolarmente importanti che caratterizzano il modo di intendere questa struttura è l'esistenza di un centro che riguarda l'intero spazio sonoro così costituito. Parlando di centro si allude naturalmente anche all'immagine della circolarità. I due la che fanno da confine al sistema nel grafico sono associati da una doppia freccia per il fatto che in realtà la nota aggiunta deve essere pensata come una nota che idealmente si ricongiunge con la nete del tetracordo delle note acute (nete hyperbolaion).

MI RE DO SI LA SOL FA MILA SOL FA RE DO SI LA

Page 524: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

524

In altri termini il senso della costruzione (il suo “modo di intenderla”) non è quello di un percorso lineare che può proseguire oltre i suoi confini superiori o inferiori, ma di uno spazio che, giunto al suo limite inferiore prosegue nel suo limite superiore e inversamente, ovvero non prosegue affatto, ma è circolarmente chiuso su se stesso.Questa circolarità sembra apertamente sottolineata da Tolomeo quando pone una sor-ta di coincidenza tra la nete del tetracordo superiore e la nota aggiunta (Tolomeo, 2002, 2.5, p. 158) cosicché, osserva il traduttore e commentatore della versione italiana Massimo Raffa,

«lo schema più adatto per visualizzare la nomenclatura funzionale non dovrebbe essere pensato come orientato in senso verticale su una direttrice alto/basso ma piuttosto come una circonferenza nella quale il proslambanomenos e la nete hyperbolaion [nete del tetra-cordo delle note acute] individuano un unico punto (da concepirsi come punto doppio)» (Raffa, p. 379 - cfr. anche p. 295).

Questa coincidenza non può essere intesa come letterale, e in particolare non signi-fica necessariamente che qualora la melodia richiedesse il superamento nella nete hyperbolaion, si passasse direttamente alla nota corrispondente all'ottava bassa. Que-sta soluzione potrebbe essere musicalmente inopportuna ed anche distruttiva rispetto all'unità della melodia. Ma vi sono vari modi di ovviare a simili problemi che questa circolarità e questa chiusura comportano e che del resto si possono ripresentare an-che in altri linguaggi musicali e vi è sempre modo di aggirare la difficoltà con modifi-cazioni adeguate e coerenti con il complesso dello sviluppo melodico.

Ecco un modo di “pensare” lo spazio sonoro certamente difforme da quello infine prevalso nella tradizione musicale europea. Indubbiamente qui la nozione chiave è quella di Mese, cioè di una nota centrale dell’intero sistema. Osserva Sachs che «il sistema completo era più di una semplice doppia ottava», ma soprattutto un tentativo «di organizzare lo spazio musicale intorno ad un centro». Basta trascurare questo pun-to e dimenticarsi del modo in cui il sistema è costruito - ed in particolare l’importanza

Page 525: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

525

Ciò rappresenta un errore in quanto esprimendosi in questo modo si cancella l'intero contesto da cui questa co-struzione riceve senso.

«Il lettore deve essere messo in guardia contro gli autori che chiamano la scala dorica La minore per il fatto che la sezione dalla mese in giù somiglia ad una moderna scala di La minore... Il termi-ne, musicalmente, è improprio... Tale terminologia è inammissibile, musicalmente e logicamente parlando» (Sachs, 1943, p. 228).

Il fraintendimento poi non è solo quello di attribuire alla mese il carattere di "tonica", facendo riferimento al lin-guaggio tonale, ma quello di presentare le cose come se si trattasse di due ottave contigue e come se la mese costituisse l'inizio di una scala tonale. Essa è invece centro dell'intero sistema completo costituito di due tetracordi disgiunti e di due tetracordi congiunti ai loro poli e la nota che essa rappresenta è nello stesso tempo la nota di confine, verso l’alto e verso il basso, del sistema stesso.

fondativa del doppio tetracordo di base - ed ecco che diventa irresistibile il parlare del sistema completo come se fosse una pura e semplice scala di la minore.

Page 526: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

526

12.2.3 Il sistema completo piccolo e la sua integrazione nel grande

Il sistema completo che abbiamo cominciato a costruire è chiamato anche sistema completo grande o maggiore. Ora occorre dire che vi è anche un sistema completo detto piccolo o minore, più antico, che venne poi integrato in esso. In realtà, benché la completezza a cui sempre si allude assommi in sé vari sensi che possono anche essere co-esistenti, «la parola completo (teleion) fu indubbiamente applicata in ciascun periodo alla scala più completa che la teoria musicale avesse allora riconosciuto» (Monro, 1894, p. 37). Il sistema che venne poi chiamato piccolo era costituito di tre tetracordi congiunti, cosicché assunse anche il nome di sistema congiunto (synnemenon), rispetto al sistema grande, detto anche disgiunto (diezeugmenon), basato invece sul doppio tetracordo disgiunto. È evidente che il sistema piccolo si ricollega alla fase più antica eptacordale della musica greca.

Questo schema rappresenta la base del sistema completo piccolo o congiunto: ad esso viene aggregato un tetra-cordo congiunto nella regione grave raggiungendo così le undici note che venivano portate a dodici con la nota “aggiunta” , che entrava in rapporto di ottava con la mese.

RE DO SIRE DO SIb LA SOL FA MIT STTST STT

LA

Poste le cose in questo modo, si vede subito la possibilità di fare del sistema piccolo niente altro che una possibile articolazione del sistema grande, creando un ramo che si incontrava con la mese - tutte le altre note essendo coin-cidenti.

RE DO SIb LA SOL FA MIHYPATENETE PARANETE TRITE MESE PARHYPATELICHANOS

T STTST

Page 527: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

527

Con la possibilità di impiego di Si b e di modulare nel tetracordo del sistema pic-colo si apportava così un ulteriore arricchimento all'insieme. In effetti il passaggio dall’uno all’altro sistema può essere considerato un esempio di “metabolé”.

«Associando le due strutture in un singolo sistema, i teorici sem-brano ancora in accordo con la pratica musicale coeva, poiché vi sono prove che le melodie ai tempi di Aristosseno spesso prendevano un andamento che potrebbe essere descritto come modulante tra i tetracordi disgiunti e congiunti. Tali modulazio-ni erano tanto comuni che i due percorsi venivano sentiti come egualmente naturali, e di conseguenza essi vennero conden-sati in un unico sistema che li compendia» (Barker, 2007, p. 15).

Nelle nostre considerazioni successive, come si vedrà, non è tuttavia necessario prendere in considerazione l'unione dei due sistemi, poiché i temi che intendiamo trattare possono essere svolti interamente sulla base del sistema completo "disgiun-to" (maggiore).

LA

REMIFASOL

DOSILA

REMIFASOL

DOSILA

REDO

SIb

Page 528: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

528

12.2.4 Le specie di ottava

Ora che abbiamo realizzato il primo passo nella costruzione di quella tabella che è il sistema completo, possiamo passare al secondo passo, che consiste, come abbiamo detto, in un’ ulteriore estensione che implica il problema delle trasposizioni. La premessa di questo secondo passo consiste nell’introdurre le specie di ottava, in stretta ana-logia con le specie di quarta e di quinta di cui abbiamo già discorso. Infatti si tratterà anzitutto di individuare le ot-tave presenti nel sistema e le strutture intervallari corrispondenti. Per far questo useremo lo schema circolare che abbiamo già esemplificato in rapporto alle specie di quinta.

T

1

S

T

T5 4

2T

T6

S

3

7

Seguendo la direzione della freccia e cominciando da T con 1 sottoscritto si ottengono via via sette “sistemi” inter-vallari che sono appunto le specie di ottava: precisamente

1. TTSTTTS 4. TTTSTTS 7. STTSTTT2. TSTTTST 5. TTSTTST3. STTTSTT 6. TSTTSTT

Page 529: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

529

Le specie sono sette e non possono essere più di sette, se vengono proposte per rotazione degli intervalli. Notia-mo che se ci atteniamo a questa sequenza eseguendo successivamente su un pianoforte gli intervalli indicati a partire da Mi e in direzione discendente otteniamo ottave senza note alterate. Tutte le specie non si distinguono nel numero e nel tipo di intervalli, ma nel loro ordine.

Ma perché questo interesse alle "specie di ottava"? Aristosseno rimprovera i teorici che lo hanno preceduto di non aver considerato le specie di ottava ad eccezione di un autore (Eratocle, di cui peraltro non si sa nulla) che avrebbe fatto un tentativo in questa direzione limitatamente al genere enarmonico e servendosi del metodo della rotazione. Non ci è tuttavia pervenuta alcuna esposizione di Aristosseno stesso relativamente alla specie di ottava: l'accenno precedente può far pensare ad un tempo che egli ne trattasse in modo relativamente ampio nella parte perduta della sua opera, oppure soltanto che questo tema delle specie di ottava fosse comunque nell'aria ai tempi suoi (Solomon, 1984, p. 245)

In questo rimprovero di Aristosseno riusciamo a cogliere le ragioni di questo affaccendarsi intorno alle specie, e in particolare intorno alle specie di ottava. Da parte del teorico - ma anche, presumibilmente, da parte dei musi-cisti - si faceva avanti da tempo l'esigenza di stabilire un qualche ordine nelle harmoniai e nei tonoi, un qualche metodo che da un lato operasse una semplificazione del numero, preservandone al massimo la varietà e dall'altro fornisse qualche punto fermo per cantanti ed esecutori. Aristosseno denuncia chiaramente la confusione esistente e la necessità di porvi riparo.

«I tonoi d'altra parte, rappresentavano la musica reale per questi antichi teorici. Quando Aristos-seno discute dell'argomento paragona la confusione sul numero dei tonoi, sulla loro costituzione e sulla possibilità di stabilire fra loro delle relazioni, alla confusione relativa all'antico calendario greco» (Solomon, 1985, p. 248).

Ora proprio le specie di ottava potevano assolvere questo scopo di semplificiazione e di riordino. Anzitutto esse erano prodotte secondo un metodo ben determinato e questa circostanza soddisfaceva le istanze teoriche. Ma non meno significativo è che esse riproponevano alcuni sistemi intervallari prossimi alle principali antiche "armonie".

Page 530: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

530

Le culture e le tradizioni ancora molto diversificate della Grecia arcaica (VII-VI sec, a.C) fornivano sicuramente

«il clima per la creazione delle differenti armonie - la dorica dalle austere tribù della Grecia meridianale, la Lidia dalla florida società orientale della costa dell'Asia Minore, la frigia dalle po-polazioni sfrenate della selva e delle regioni montagnose dell'altopiano anatolico. Con armonie differenti non intendo solo tonoi, cioè scale diverse, ma sistemi etnomusicali interamente diffe-renti - scale, strumenti, contenuti narrativi, danze, poesie e costumi. Naturalmente non abbiamo esempi di teorie della musica e di analisi che risalgano al VII, VI o V sec. a. C. ed è soltanto nel quarto secolo che Platone e Aristotele ci danno le loro brevi filosofie descrittive della musica e degli etos. (Plato Rep. 398 C - 399 E: Arist. Pol. 1340a38 - 1340b10)... In quell'epoca la harmoniai nazionali sembrano essere abbastanza standardizzate... Quando Platone e Aristotele ammettono o respingono certe harmoniai nello stabilire il loro stati ideali, la questione che pongono non è certamente di ordine 'nazionale'. Essi non respingono la musica Lidia, ma lo stile musicale lidio. All'incirca contemporeanee di Platone e Aristotele sono comunque le teorie di Eratocle e degli armonisti che tendono ad una regolarizzazione. Essi continuano a sopprimere le vecchie armo-nie che ora rapidamente diventano "tonoi" con parti più regolarizzate e strutture relazionali più compatibili. Alla fine con Aristosseno, una o due generazioni più tardi, si arriva a possedere una completa teoria analitica, unificata e capace di abbracciare ogni cosa» (Solomon, 1984, p. 249).

Nello stesso tempo le specie di ottava tendono a prendere alcuni dei nomi "regionali" o "etnici" con cui esse erano un tempo indicate. Naturalmente non siamo in grado di giudicare il grado di prossimità con quelle forme scalari, ma non c'è dubbio, io credo, che se questi nomi vennero ripresi ciò dipese dal fatto che erano ritenuti musicalmen-te abbastanza pertinenti. Forse sarebbe anche il caso di ricordarsi che un processo del tutto analogo è avvenuto per la musica indiana in cui si alternarono i tentativi dei teorici di operare un riordino della disparata molteplicità dei raga con metodi relativamente astratti che tentavano in ogni caso di operare una semplificazione che rappre-sentasse anche una sintesi dal punto di vista musicale. Anche in questi casi, quando si addivenne ad un numero di scale assai limitato, i nomi delle scale vennero ripresi da raga particolarmente rappresentativi di famiglie di tipi melodici. Il problema delle specie di ottava tende a complicarsi, ma anche a mostrare la sua ricchezza e concretez-za. Anche in questo caso troviamo infatti un caratteristico intreccio tra considerazioni astratte guidate da uno scopo essenzialmente classificatorio senza rilevanza musicale diretta e considerazioni che si incontrano invece con pro-blemi musicali autentici, sia di ordine compositivo sia di ordine esecutivo.

Page 531: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

531

12.2.5 Il problema della trasposizione e la "modulazione della melodia”

Il secondo passo per la costruzione del sistema completo consiste in una moltiplicazione verso l'alto e verso il bas-so della doppia ottava che abbiamo realizzato con l'ampliamento del doppio tetracordo di base con i due tetracordi congiunti. Si tratta quindi ancora di una sorta di estensione dello spazio sonoro che ha questa volta come base e asse fondamentale la stessa scala diatonica. Quest’estensione avviene in stretta connessione con la tematica della trasposizione.

Qualcuno ha osservato che, nonostante la relativa ovvietà di questa nozione, talvolta non si sa che cosa propria-mente si traspone ed a che cosa si traspone. In realtà è opportuno chiedersi anzitutto che cosa cambia e che cosa resta identico in una trasposizione. La risposta allora risulta molto semplice. Ciò che resta identico è la struttura intervallare. Si muovono invece le altezze delle note, e di quanto si muovono dipende appunto dall'ampiezza della trasposizione. È bene notare che questa ampiezza non ha vincoli di principio. In effetti l'esigenza di trasporre me-lodie è sempre stata anzitutto propria del cantante interessato ad adattare il più possibile il canto al registro della propria voce. Considerata entro questi limiti la questione potrebbe non richiedere alcun mutamento importante nell'assetto teorico. Il registro più acuto o più grave viene semplicemente adottato senza che si ponga alcun proble-ma che riguardi il sistema degli intervalli. L'eventuale strumento accompagnatore viene riaccordato corrisponden-temente. È subito evidente che la grandezza della trasposizione è indifferente, e la sua misurazione o una qualche sua precisa determinazione non ha particolare interesse: un cantante può cantare una melodia un po' più acuta o un po' più grave di quanto verrebbe cantata da un altro cantante e potrà eccedere verso l'alto o verso il basso secondo i limiti stabiliti dalla qualità della sua voce. Entro questi limiti, potremmo dire che la grandezza della trasposizione è una grandezza "a piacere". Naturalmente ciò è vero in particolare per un sistema che non ha, come quello greco, un'altezza standard di riferimento come il nostro LA a 440 Hz. Per questa ragione alcuni ritengono che il sistema completo sia un puro arzigogolo da teorici e che non abbia alcun senso propriamente musicale nemmeno per la tematica della trasposizione.

In realtà in una simile presa di posizione dimentica che la trasposizione diventa musicalmente significativa quando rientra a sua volta nei mezzi di espressione del linguaggio musicale, e non rappresenta una semplice accidentalità pratica. Non si tratta di una dimenticanza da poco.

Page 532: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

532

Come tutti sanno nel nostro moderno linguaggio tonale, uno dei fondamentali mezzi espressivi è la transizione da una tonalità all’altra (modulazione) - dove ciascuna tonalità, rispettivamente maggiore o minore, può essere consi-derata il risultato di una trasposizione. Ora per quel che sappiamo dalla teoria greca, non possiamo affatto esclu-dere che anche in essa la trasposizione, insieme alla tematica dei generi, avesse un impiego espressivo (anche se non sappiamo quale, ma certamente attinente ad una qualche forma di "modulazione"). Oserei dire che proprio l'inclusione nel sistema completo di questo problema sia un forte indizio a favore di questa ipotesi. La forma che assume questa inclusione è quella di attribuire alle grandezze della trasposizione una logica scalare determinata e di conseguenza un numero determinato di vere e proprie "tonalità". La trasposizione cessa allora di essere una questione meramente empirica di aggiustamento del registro del canto, anzi si rende completamente autonoma rispetto a questo problema e diventa una questione che non può non interessare la teoria e la pratica musicale nella sua generalità.

Vi è in ogni caso un passo di Tolomeo veramente notevole in rapporto a questo problema:

«Rispetto al cosiddetto tono vi sono due tipi fondamentali di mutazione: uno è quello in base al quale trasponiamo l'intera melodia in una posizione più acuta o viceversa più grave, mantenen-do assolutamente immutata la specie; l'altro è quello per cui non viene mutata di posizione tutta la melodia, ma una sua parte, con conseguente alterazione della struttura iniziale; perciò si po-trebbe chiamare quest'ultima mutazione della melodia piuttosto che del tono. Infatti con il primo di tipo di mutazione la melodia non cambia, ma cambia completamente il tono; con il secondo invece la melodia si discosta dalla sua struttura originaria, mentre la sua posizione nell'ambito delle altezze non muta in sé, bensì limitatatamente a quanto concerne la melodia stessa. Per-ciò il primo tipo di mutazione non produce ai sensi l'impressione di una diversità di funzione - che poi è quella che che modifica il carattere della melodia -, ma solo di uno spostamento verso l'acuto o il grave. Il secondo tipo invece produce un cambiamento, per così dire, nella struttura consueta della melodia, quella che comunemente ci si aspetta. Ciò accade nel caso in cui la melodia segua per buona parte il percorso consueto, ma in qualche punto si trasformi in un'altra specie oppure rispetto al genere o all'altezza, per esempio nel caso in cui essa passi in qualche modo senza soluzione di continuità dal genere diatonico al cromatico, oppure nel caso in cui, in una melodia che solitamente si muove per intervalli di quinta, si verifichi un passag-gio a intervalli di quarta come nei sistemi su esposti» (Tolomeo, II. 6 - 54.12-55.15, 2002, p.161).

Page 533: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

533

Non si potrebbe dare una formulazione più chiara della differenza tra metabolé del tonos e metabolé della melo-dia, che Tolomeo tiene a distinguere anche terminologicamente. La metabolé musicalmente significativa è quella della melodia, che può avvenire, oltre che per mutamento di genere, anche per il mutamento della specie di ottava e per trasposizione (mutamento di altezza) - e, in quest'ultimo caso, solo se questo mutamento avviene all'interno nello sviluppo della melodia e dunque colpisce non tanto per il mutamento di altezza, che potrebbe non essere nemmeno avvertito come tale, ma per il mutamento di carattere che lo sviluppo melodico riceve. Ed è chiaro dal contesto che il tipo di modulazione a cui Tolomeo è soprattutto interessato è la "modulazione della melodia" nelle sue varie forme (Barker, 2000, p. 170).

12.3.1 Tesi e dynamisProseguiamo la nostra discussione sulla trasposizione proponendo un esempio di scala di trasposizione verso l'acu-to che conveniamo abbia la grandezza di un tono, ovviamente a partire dalla scala diatonica in doppia ottava che rappresenta, in questa fase ulteriore della sua costruzione, la base del sistema, vorremmo ancora dire: il suo centro. Approfittiamo del nostro rigo musicale e della nostra notazione per rendere subito chiaro il nostro problema.

T T T T T T T T T TSS S S

T T T T T T T T T TSS S S

nete hypatemese

mese

dinamica

nete

dinamica

hypate

dinamica

12.3 Identità e mutamento nel sistema completo

Page 534: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

534

Nella riga in basso sono indicati gli intervalli della scala diatonica mentre nel rigo immediatamente superiore le note che si trovano ai loro estremi. Quello che abbiamo chiamato “doppio tetracordo di base” viene evidenziato dal doppio rigo verticale. Al di sopra sono indicati gli intervalli del genere diatonico spostati di una casella verso sinistra (ovvero verso l'acuto), e poi naturalmente le note con i segni delle alterazioni rese necessarie dalla traspo-sizione. Ciò che abbiamo fatto è una operazione di trasposizione da un tonos ad un altro. Il nuovo tonos ottenuto da questa operazione è indicato dalla graffa orizzontale superiore.

Ora chiediamoci: che cosa avviene in questa semplice operazione di spostamento tenendo conto del contesto teorico che abbiamo fin qui delineato? Per rispondere adeguatamente a questa domanda conviene ricollegarci a due concetti introdotti da Tolomeo, ma presumibilmente con ricordi nella tematica aristossenica. Si tratta di nozioni che riguardano il rapporto tra la base del sistema e la costruzione che avviene su di essa. Nella base del sistema abbiamo una mese che sta al suo centro e la nete che insieme all'hypate definiscono il doppio tetracordo. Queste note vengono chiamate mese tetica, nete tetica e hypate tetica. Questa aggettivazione si richiama ad una tesi, cioè ad una posizione in un senso un poco particolare del termine: ciò che è stato posto occupa un luogo rigorosamente definito e stabile. Il verbo a cui il sostantivo tesi è collegato (tithemi) ha numerosi significati, ma quelli a cui ci si può richiamare più opportunamente in questo tipo di impiego sono quelli che alludono ad una "disposizione" nel senso del comando imperativo, dell'ordine impartito. Questo concetto di tesi si illustra poi ancor meglio nella sua contrapposizione alla dynamis, termine che può avere anch'esso vari significati, ma che in questo contesto allude ad un tempo al movimento ed alla funzione. Ora è chiaro che nel nostro esempio di trasposizione, la paramese nella scala trasposta ha cambiato funzione ed è diventata una nuova mese che merita di essere perciò chiamata mese dinamica, così come la nuova nete e la nuova hypate, e del resto tutte le note della nuova scala. Tutto si è mosso, ma qualcosa è rimasto identico: il sistema intervallare caratteristico dell'ottava che rappresenta la base del sistema. Si noti come questo modo di porre le cose è strettamente legato al fatto che, a differenza dei nomi delle nostre note, i nomi greci sono caratterizzati da nessi puramente relazionali. Ora il distinguere tra mese tetica e mese dinamica significa stabilire da un lato la possibilità di movimento, ribadendo che una nota può diventare una mese, nel senso che può assolvere la sua funzione, dall'altro confermare che vi è sempre una mese che non è diventata tale, ma che semplicemente lo è perché è stato disposto così. Ciò vale naturalmente per tutte le altre note della stessa scala.

Ora, è tipico del sistema che stiamo illustrando quello di non considerare soltanto la trasposizione come tale, ma anche di ritenere significativa quella che potremmo chiamare la sezione della scala trasposta corrispondente al doppio tetracordo di base, dunque lo schema intervallare che leggiamo sul primo rigo tra le doppie righe verticali.

Page 535: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

535

Considerando le note scritte sul rigo in questa sezione ci rendiamo subito conto che questa sequenza ha la carat-teristica di contenere esattamente le note che contiene la scala trasposta, ma secondo un diverso sistema interval-lare. Si tratta dunque di una specie di ottava che è caratterizzata dalla sequenza di intervalli:

T S T T T S T

La specie di ottava così caratterizzata ha ricevuto il nome di specie di ottava frigia - e questo nome viene attribuito all’intera scala di trasposizione - tonos - del nostro esempio. Naturalmente dobbiamo qui destreggiarci con i nomi. Ogni scala di trasposizione può essere indicate come tonos, ed anche naturalmente la scala diatonica di base, che rappresenta lo scala da cui viene valutata la trasposizione. Ma una volta chiariti gli equivoci che in precedenza ab-biamo indicato può essere impiegata senza problemi anche la parola “modo” utilizzando i nomi etnico-regionali delle antiche “armonie”. Così noi non avremmo difficoltà nel parlare di “modo frigio” esattamente come non avremmo difficoltà nel parlare di “modo dorico” in rapporto alla scala diatonica (doppio tetracordo) di base. No-tiamo che il modo frigio senza alterazioni corrisponde sul nostro pianoforte al “modo di re” così come il dorico al modo di mi. Ciò lo si vede subito anche dal nostro grafico. Se adottiamo una direzione ascendente, abbasseremo l’hypate dorica di un tono, raggiungendo il Re, ed a partire di qui, leggendo da destra a sinistra troveremo appunto, senza alterazioni, la struttura intervallare del “modo frigio”. Ma questa è una considerazione marginale che potreb-be rendere equivoco l’ordine della nostra esposizione.

Quali conseguenze possiamo trarre da tutto ciò? Intanto sembrerebbe che la terminologia medioevale dei modi cosiddetti "ecclesiastici" non solo possa essere utilizzata qui, ma che addirittura abbia origine di qui e di qui sia stata ereditata - anche se con una nefasta confusione tra i nomi (nella tradizione medioevale e moderna si chiama dorico il modo di re). Invece proprio questa costruzione ci insegna che ci troviamo su un terreno profondamente diverso da quello "modale" - nel senso medioevale-moderno del termine. Sachs (1943, p. 339) diceva che i greci

«rappresentavano i loro modi come sezioni di scale doriche».

Questa è una situazione nuova e del tutto particolare. Da un lato si comprende che la terminologia dei modi possa essere riproposta, dall’altro se vogliamo proprio parlare di modi (il che non è vietato, ma nemmeno obbligatorio) non dobbiamo dimenticare che questi modi sorgono in stretta unità con le scale di trasposizione, sono in certo sen-so annidati nel loro interno.

Page 536: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

536

Tutto ciò ha ben poco a che fare con la tematica modale nel senso consueto. Infatti qui non siamo alla presenza di una struttura autonoma eventualmente collegata ad altre per rotazione degli intervalli, ma abbiamo a che fare con una una sezione di una scala diatonica trasposta. Vi è rotazione, ma subordinatamente ad un'operazione di traspo-sizione. Anche questo è un altro notevole esempio per illustrare come le stesse strutture possono essere intese secondo sensi differenti. Queste intenzioni dipendono dai contesti in cui a loro volta esse possono essere subor-dinate. La concettualità che caratterizza il sistema modale medioevale-moderno è tutt'altra dalla concettualità che caratterizza il sistema completo.

Talora il termine "aspetto" viene impiegato come traduzione alternativa di eidos a specie o forma. Facendo riferi-mento a quando abbiamo sottolineato or ora ha indubbiamente senso affermare che il tonos nel cui interno si trova la configurazione TST T TST, deve essere considerato come un "dorico in aspetto frigio". La parola "aspetto" quindi più che una traduzione contiene già un'interpretazione, che a noi sembra del tutto corretta, nella quale si suggerisce che si resta nel dorico ma lo si guarda per così dire da una particolare angolatura. Forse anche per la tematica delle "specie o aspetti di ottava" ha una sua applicazione la metafora della prospettiva che abbiamo già impiegato nella tematica dei generi. Potrei così, ad un certo punto dello sviluppo melodico, che fino a quel punto era rigorosamente dorico, disporlo secondo una angolatura dalla quale diventa visibile l'aspetto frigio che sta nel suo interno. Eccoci dunque a richiamare ancora una volta, e forse con maggior precisione, la tematica musicale della metabolé.

Ma anche sul piano della pratica esecutiva possono esservi conseguenze interessanti. Una trasposizione richiede un mutamento di accordatura che sia conforme al mutamento dell’impianto tonale che interviene di conseguenza. Ciò rappresenta una difficoltà ed una complicazione se si pensa agli strumenti fondamentali della musica greca: la lira standard ad otto corde e l’aulos. Una trasposizione richiederebbe una riaccordatura di tutte le otto corde; op-pure, nel caso dell’aulos, si dovrebbbe cambiare lo strumento ed avere dunque a disposizione strumenti con varie accordature. Tuttavia, come abbiamo detto, la sezione del tono di trasposizione corrispondente al doppio tetracor-do di base contiene tutte le note del tono di trasposizione, pur essendo diverso il “modo” (l’ordine degli intervalli). Di conseguenza, sempre stando al nostro esempio, in una lira a otto corde accordata nel modo diatonico basterà diesizzare il fa# e il do#, cosa che, come abbiamo spiegato a suo tempo, si può realizzare con l’impiego del plettro senza necessariamente riaccordare nemmeno le corde corrispondenti a quelle note. Anche nel caso degli auloi era certamente possibile usare artifici di diteggiatura e di metodi di insuflazione per operare alterazioni sullo stesso strumento qualora l’alterazione non fosse già prevista.

Page 537: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

537

12.3.2 La prospettiva dinamica e tetica nell'intero spazio sonoro

Il singolo esempio che abbiamo proposto con le distinzioni e i problemi che subito esso propone, suggerisce l’ef-fettuazione di quello che abbiamo chiamato secondo passo nella costruzione del sistema. Si tratta di operare una generalizzazione della questione includendo nel sistema le scale di trasposizione. Questa inclusione non è tuttavia subito ovvia. Essa richiede intanto la limitazione del numero delle trasposizioni. Solo in questo modo si esce da quella indeterminatezza del problema che lo rende teoricamente e musicalmente di scarso interesse. Abbiamo no-tato all’inizio che, se il trasporre fosse soltanto una questione di adattamento alle esigenze vocali del cantante, esso sarebbe da un lato privo di un effettivo interesse teorico, dall’altro esso non avrebbe in via di principi dei vincoli e potremmo avere un numero indefinibile di "livelli" di trasposizione. In realtà è un problema che Tolomeo enuncia con una certa chiarezza quando osserva:

«Ora bisogna tuttavia precisare che il numero delle mutazioni che interessano interi complessi intervallari (quelle che propriamente si chiamano toni per il fatto che differiscono in base all'al-tezza) è illimitato in potenza, come pure il numero dei suoni (infatti il cosiddetto tono differisce dal semplice suono in quanto è composto rispetto a questo, che è semplice, proprio come la retta rispetto al punto; ma d'altra parte nessuno ci impedirà di traslare sia il punto sia l'intera retta su posizioni contigue successive), ma in atto è limitato dalla percezione esattamente come il numero dei suoni» (II, 2.7, trad. it, p. 164).

Si noti ciò che si dice in parentesi: per quanto in modo un po' intricato, con il paragone con il punto e la retta, Tolo-meo fa notare che i suoni rappresentano un continuo - come la retta -, e che in linea di principio nulla impedirebbe di scegliere un suono di altezza qualunque all'interno del continuo (un punto all'interno della retta) per fare di esso la "nete dinamica" a partire dalla quale si istituisce un tono di trasposizione. Questa illimitatezza viene respinta da Tolomeo per il fatto che vi sarebbe un limite percettivo nel cogliere punti troppo prossimi tra loro nel continuo dei suoni, ma questo argomento in realtà è assai poco convincente perché passa al problema dell'afferramento dei piccoli intervalli, e questo è in realtà semplicemente un altro problema che non tocca la questione della trasposi-zione. La vera ragione per la quale si richiede una limitazione sta nel fatto che questa illimitatezza non consentirebbe l’integrazione nel sistema della tematica musicale della trasposizione.

Page 538: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

538

Per spiegarci: un cantante potrebbe chiedere di accordare il la del pianoforte o degli strumenti che lo accompagnano a 435 Hz piuttosto che a 440, e dunque di abbassare l'intonazione di tutte le note, ma questa variazione non ha a che fare con il sistema delle trasposizioni rappresentato dalle tonalità nel linguaggio tonale. La limitazione invece punta su un ordine che è poi rilevante per l'impiego musicale dei toni traspo-sti.

Ma quale criterio deve seguire la riduzione del numero e la scelta delle "posizioni"? Evidentemente non può esserci un criterio obbiettivo, ma possono esservi scelte dif-ferenti, anche se certamente ogni scelta non può essere interamente arbitraria. Ciò spiega la ragione per cui i teorici greci propongano numeri differenti di scale di trasposizione - cosa che ha reso ancora più intricata la questione già di per sé piut-tosto complessa. Secondo una testimonianza di Cleonide (1990, cap. 12), Aristosseno proponeva tredici tonoi. Altri teorici parlano di dodici o quindici tonoi. Naturalmen-te il nostro compito è solo quello di cogliere le linee-guida di ordine concettuale, e perciò ci limiteremo a prendere atto della scelta di Tolomeo, che limita a sette i toni interessanti musicalmente sulla base di un criterio abbastanza ragionevole. Tolomeo pensa infatti che in un sistema come quello qui abbozzato che dà la massima impor-tanza all'ordine diatonico eptatonico, proprio questo ordine possa rappresentare una regola anche per l'ordine e il numero delle trasposizioni ammesse. Ciò conferma la scarsa pertinenza dell'argomento sopra addotto della difficoltà di cogliere i piccoli intervalli: infatti se valesse quell'argomento, Tolomeo avrebbe dovuto ritenere che il criterio della trasposizione dovesse essere rappresentato dall'intervallo minimo per-cepibile. Così non è: vi è invece una certa logica nel fatto che la struttura intervallare di base TTSTTS venga scelta anche per fornire da criterio per integrare nel sistema i toni di trasposizione e dunque per giustificare la scelta di determinare il loro numero a sette, e non più di sette. In particolare ha certamente assunto rilievo in questa scelta il fatto di porre l'accento sulla "modulazione della melodia", che spingeva probabil-mente Tolomeo a considerare come caratteristico del tono più la sua specie di ottava, che la variazione di altezza: «l'identità del tonos è costituita dalla 'forma di ottava' che esso contiene» (Barker, 2000, p. 179).

Page 539: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

539

Si tratta dunque di predisporre i toni di trasposizione in modo tale che si ritrovi nell’ordine dei toni di trasposizio-ne l’ordine diatonico. In effetti nella figura seguente se seguiamo dal basso la prima linea diagonale incontriamo il seguente ordine intervallare: TTSTTS (si, do#,re#,mi,fa#,sol#,la) - e questo è l’ordine intervallare del diatonico eptatonico.

T T TTT T

TTTTT

TTTT

T

T T TT T

T

T

TT

TTTTTT

TTTTT

TTT

T

S

T

T

TTTTT T T

T T

TT

T

TTTT

T

T T

T

T

TT

T

S

S S S

S

S

S

S

S

S

SSS

S

S S

S

S

S

SS

S

S

S

S

S T

T

T

Le tre linee diagonali indicano rispettivamente la nete, la mese e l’hypate dinamiche nelle loro varie posizioni, te-nendo conto peraltro che nel modo dorico si tratta propriamente di posizioni “tetiche”. Come nel caso del dorico e del frigio anche gli altri toni prendono i loro nomi dalle specie di ottava che risultano corrispondenti all’ottava do-rica. Notiamo che a differenza di altri autori che, seguendo Tolomeo, hanno dato un ordine ascendente al sistema, noi abbiamo preferito invece mantenere l’ordine discendente in coerenza con tutta la nostra esposizione.

misolidio

lidio

frigio

dorico

ipolidio

ipofrigio

ipodorico

S

T

Page 540: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

540

Benché tutto l’essenziale sia contenuto nella precedente figura, vi sono altre cose che si possono vedere meglio se lasciamo da parte la nostra notazione e ci limitiamo a considerare solo le strutture intervallari e in particolare se riusciamo a rendere evidente il modo in cui il sistema è astrattamente costruito. Per mostrare la circolarità della costruzione possiamo semplicemente ricorrere allo schema circolare già impiegato per le quinte e per le ottave, applicandolo in questo caso alla doppia ottava.

T

1

S

T

T

5

2

T

TS3

T

4

S

T

T

T S

7

6

ipodorico

dorico

frigio

ipofrigioipolidio

lidio

misolidio

T

Percorrendo il cerchio nella direzione della freccia dalla T con 1 sottoscritto (ipodorico) e poi proseguendo nell’or-dine otterremmo la tabella dell’intero sistema dal basso verso l’alto tenendo conto soltanto delle strutture interval-lari. Ma sarebbe difficile attenendoci a questo schema cogliere gli altri aspetti importanti del sistema.

Page 541: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

541

Conviene perciò ricorrere piuttosto ad un diagramma rettangolare mostrando la costruzione a partire dal “dori-co” cominciando con il dar rilievo alla sequenza delle T e delle S all’interno delle due diagonali esterne - tra la nete e l’hypate dinamica.

Qui vediamo in tutta chiarezza la ripetizione dello schema TTSTTTS in tutte le scale di trasposizione. L’aspetto del-la ciclicità, che rende automatica la costruzione della tabella, si ripresenta nel modo in cui si risolve il compito di riempire le caselle vuote. Infatti, per conseguire questo scopo, occorre operare una rotazione che tenda conto dello schema complessivo della doppia ottava. In altri termini, per ogni riga si proseguirà a destra con gli intervalli TTS[T] del tetracordo congiunto nella regione grave integrato dall’intervallo di tono che porta al suono “proslam-bamenos” e con gli intervalli TTS del tetracordo congiunto nella regione acuta, proseguendo a sinistra della stessa riga qualora questa sia stata completata a destra. In questo modo, ad esempio, la prima riga sovraordinata al “modo

T T TS T T S

T T TS T T S

T T TS T T S

T T TS T T S

T T TS T T S

T T TS T T S

T T TS T T S

T T S T T S T

Page 542: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

542

dorico” verrà completata a destra con TTSTT e con TS a sinistra. Si otterrà così lo schema intervallare già presente nella figura con i segni delle note o nel diagramma circolare, ma credo che in questo modo risalti con particolare chiarezza, non solo la ciclicità della costruzione, ma soprattutto il tipo di intreccio tra la dimensione diagonale e quella verticale.

T T TS T T S

T T TS T T S

T T TS T T S

T T TS T T S

T T TS T T S

T T TS T T S

T T TS T T S

T T S

T T S

T

T T S T TT S

T T S T T TS

T T S T T T S

TT T S

T T T S

T TS T T T S

TT S T T T Sipodorico

misolidio

dorico

Lo spazio sonoro del sistema completo ha dunque la possibilità di un duplice “taglio”: un taglio diagonale ed un taglio verticale - quest’ultimo compreso tra le doppie righe verticali. La metafora della prospettiva sembra poter essere usata anche in questo caso. Potremmo dire infatti che il sistema completo che intende fornire la struttura dello spazio sonoro può essere colto da una duplice prospettiva: la prospettiva dinamica che è quella in cui vi è spostamento della nete, mese e hypate: in contrapposizione ad essa sarei tentato di chiamare prospettiva tetica la sezione verticale per il fatto che essa è individuata in tutti i toni tra la nete e l’hypate tetica. Con questa singolare dialettica tra l’una e l’altra: nella prospettiva dinamica viene messa in evidenza l’identità della struttura intervallare diatonica; in quella tetica il mutamento inerente alle strutture intervallari delle specie di ottava.

Page 543: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

543

12.3.3 L’immutabilità del sistema completo

Sul significato complessivo del sistema completo si sono assunte varie interpretazioni che si possono sintetizzare in tre posizioni, talvolta sostenute in netta contrapposizione l'una con l'altra.

Taluni vedono in esso la teorizzazione di un linguaggio modale, dove i modi sono caratterizzati secondo la concezio-ne medioevale-moderna. Secondo questa interpretazione i modi ecclesiastici (a parte la nomenclatura) sono eredi naturali dei modi greci. Su questo punto abbiamo già preso di posizione. Non vi è nessun problema nell'utilizzare il termine "modo" per indicare i sistemi nel senso greco di schemi intervallari; è invece completamente erronea la proiezione del modello di linguaggio modale-medioevale moderno sulla sistematica musicale greca.

Altri studiosi sono del tutto ostili a questa interpretazione e vedono nei tonoi e nelle specie di ottava niente altro che scale di trasposizione. Anche in questo caso spesso la tesi è sostenuta con un netto esclusivismo che nuoce alla comprensione della situazione. Sembra infatti difficile negare che qualcosa del sistema greco sia passato nel-la teoria e nella musica del medioevo, creando certamente una notevole confusione di lingue, di terminologia, di problemi mal posti; ma è un dato di fatto che la concettualità greca ha influenzato le teorie successive come è vero che vi possono essere profonde differenze che tuttavia rischiano a loro volta di essere fraintese se non si afferrano alcune affinità. Credo che una ragionevole posizione non esclusiva sia quella rappresentata da Sachs, autore che abbiamo tenuto particolarmente presente nella nostra esposizione.

Infine vi è chi ritiene che, escluso il caso di Aristosseno, tutti i sistemi via via proposti, compreso il sistema tolemai-co, non abbiano a che vedere né con i modi né con le scale di trasposizione, ma che siano elucubrazioni teoriche del tutto avulse dalla pratica musicale. Essi sarebbero opera spesso di “una classe inferiore di professori di scienza armonica”, “prezzolati”, di “cervelli deboli”, di “personalità di modesta fantasia” e particolarmente ignoranti di cose musicali. Si tratti di aggettivi che sorprendono, ed il loro impiego, riferito ad autori di più di duemila anni fa, è un po’ grottesco ed a dire il vero poco consono alle consuetudini dei filologi classici e degli storici della cultura in genere, ma sono letteralmente utilizzate da Isobel Henderson (1962) che può essere citata per la durezza con cui propone questa terza tesi.

Page 544: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

544

Questa durezza è del resto del tutto fuori luogo. Che il sistema, e prima ancora la stessa nozione di specie di ottava, siano in buona parte il risultato di una riflessione astratta, è fuori di dubbio, e sarebbe un errore non tenerne conto. Ciò vale naturalmente anche per Tolomeo. Del resto egli parla dei generi quando i generi non sono più praticati, e costruisce anche in rapporto ad essi differenze che avevano una pura valenza teorica (come la scala epimoria che abbiamo citato a suo tempo). Inoltre il richiamo a Tolomeo è interessante perché esso rappresenta il canto del cigno della musica greca e della sua teoria: in questo schema è scolpito il predominio assoluto del genere diatoni-co, predominio che, come si può ampiamente sospettare, appartiene più alla teoria che alla musica greca nella sua fase di massimo rigoglio. In questa fase di tramonto invece, e proprio con Tolomeo, vi è la rivalsa del pitagorismo sull'aristossenismo, una rivalsa che consegna alla cultura occidentale l'idea della scala unica, dell'obbligo di una sua giustificazione matematica, del dominio dell'ottava come spazio sonoro fondamentale e soprattutto la cancellazio-ne della mobilità delle note interne al tetracordo. Ai tempi di Tolomeo non esiste più la sensibilità alle "sfumature", né da parte dell'ascoltatore né da parte dell'esecutore. Il teorico invece se ne ricorda, le enumera pazientemente, così come ricalcola le varietà dei generi, e conserva nei nomi dei tonoi le antiche harmoniai; si ricorda dei pro-blemi delle tecniche compositive eventualmente non più attuali. Questi ricordi noi dobbiamo riuscire a riafferrarli attraverso i suoi schemi, le sue tabelle. Ma quel che più ci colpisce è forse il fatto che in questa meccanica distribu-zione distribuzione di T e di S c'è qualcosa che va al di là di un puro gioco formale, qualcosa che va persino oltre i problemi di tecnica musicale per cogliere quello spazio più ampio di pensieri e di cultura che sta sempre intorno alle tecniche di produzione dell'arte. Questo ci appare persino sorprendente: che quei pensieri che informano uno straordinario orizzonte culturale abbiano radici così profonde da affiorare nella musica e in schematismi in cui sembra persino immiserirsi la sua risonante ricchezza.

Riconsideriamo dunque per l'ultima volta le nostre ultime tabelle. Lo abbiamo già notato: se noi guardiamo lo schema del sistema completo dal punto di vista dinamico, e quindi dal punto di vista del movimento, di ciò che si sposta da tono a tono, troviamo sempre esattamente lo stesso schema intervallare: dal punto di vista del movimento troviamo l'identico. Se invece ci disponiamo dal punto di vista tetico, quindi di ciò che semplicemente sta nel luogo in cui si trova, che non si muove, troviamo il mutamento delle specie di ottava. Ecco profilarsi, nella teoria musicale, i grandi poli dell’identico e del diverso, dell’essere e del divenire - come poli che stanno annidati l’uno nell’altro, quei poli che hanno attraversato la filosofia e la cultura greca dalle origini fino alla loro massima espressione in Platone ed Aristotele e nelle loro scuole. Quando Raffaello, nella Scuola di Atene, pone l’uno e l’altro filosofo affiancati al centro della scena intende mostrare un’opposizione che agisce all’interno dell’unità di una cultura.

Page 545: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

545

Ma è certamente giusto anche subito chiedersi se e come si manifesti concretamente nella musica l’immagine che traspare dal “sistema completo”. Naturalmente nessuno è in grado di dirlo con fondatezza e qualunque pretesa interpretativa di risalire di qui alla musica o inversamente di negare che vi sia un rapporto tra la musica e il sistema è pura presunzione. Ci rammenta Jon Solomon:

«L'antica musica greca includeva i canti epici ionici di Omero e dei rap-sodi, le canzoni eoliche (ovvero delle isole greche) di Saffo e Alceo, le li-riche doriche (Grecia del Sud) di Pindaro (il poeta degli epinici), Eschilo, Sofocle, Euripide (i poeti tragici) e Aristofane (il poeta della commedia), i peana delfici ellenistici (Grecia del nord) ad Apollo, l'iscrizione funeraria pagana di Sicilo del primo secolo, un inno cristiano dal quarto, e altri resti dell'intero corpus, quasi tutto perduto, della musica greca, composta prima senza, e poi con l'aiuto della notazione; ed un addestramento tecnico che attraverso un periodo di circa 1200 anni da Omero a Boezio» (1984, p. 242)

Tuttavia alcune cose possono essere intraviste. Intanto dobbiamo nuovamente attirare l'at-tenzione, di fronte ad uno schema così rigido, sul fatto che in esso possiamo vedere tutti i generi in azione, in tutte le loro varietà e sfumature; e dobbiamo renderci conto anche del-le possibilità di variazione offerte dalla gestione delle ottave diatoniche trasposte e delle specie di ottava in esse contenute. Se teniamo conto di tutto ciò la rigidità dello schema si dissolve e ci si prospetta una caleidoscopica varietà di possibilità ai fini della struttura mu-sicale. Come abbiamo detto, non sappiamo come il musicista greco operasse con queste possibilità - tanto meno abbiamo conoscenza - al di là di vaghi cenni - delle fasi dell' evolu-zione delle pratiche compositive in un lasso di tempo tanto esteso e in presenza di lacerti di scritture musicali di controversa interpretazione. Ma proprio dalla forma teorica del siste-ma completo si possono cogliere, anche se molto alla lontana, i giochi compositivi possibili nel quadro della struttura musicale in esso delineata. È chiaro ad esempio che la nozione di metabolé - ovvero di transizione da una struttura ad un'altra struttura - doveva avere una grandissima importanza e poteva a sua volta essere giocata in vari modi secondo le strut-

Page 546: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

546

ture di volta in volta interessate. La metabolé poteva riguardare i generi, ma anche i toni di trasposizione; e questi a loro volta potevano entrare in una dialettica più o meno complessa con le specie di ottava che la trasposizione senz'altro metteva in essere nell'istante in cui veniva effettuata. Osserva Sachs, tenendo conto anche dei frammenti musicali greci rimasti, che

«non c'è dubbio che la scala e il modo fossero semplicemente due differenti aspetti dello stes-so fenomeno... ma che i due aspetti non erano necessariamente equilibrati. Alcune melodie gravitavano verso il centro dinamico piuttosto che verso il centro tetico, ed in altre avveniva il contrario. Infatti la prevalenza di una gravitazione può escludere l'altra... » (Sachs, 1943, p. 251).

"Tonalità" e "modalità" dunque potevano entrare entrambe a far parte del gioco compositivo: l'una - e quindi il dia-tonico trasposto - poteva prevalere sull'elemento modale ("specie di ottava"), per un certo tratto, per cedere poi di fronte alla specie di ottava, dando luogo a fluttuazioni della mese, a passi di una sua relativa indeterminazione, ecc. Non si vede perché mai la teoria delle specie di ottava debba obbligatoriamente rimanere solo teoria e per quali ragioni sia da escludere l’impiego musicale delle specie di ottava intrecciato con i toni di trasposizione, quando esse compaiono così strettamente e coerentemente integrate dentro il sistema. Tutte queste operazioni possono essere impiegate dall'immaginazione musicale sullo sfondo di uno spazio sonoro che è caratterizzato da un unico centro, la mese tetica, e dai centri dei toni di trasposizione, ciascuno con la sua propria mese dinamica.

Ovunque dunque riusciamo a cogliere tipi differenti di mutamenti, passaggi, transizioni, variazioni. Tenendo conto di ciò appare singolare che gli studiosi non si siano, a mio avviso, soffermati abbastanza nella ricerca delle ragioni per le quali il sistema viene chiamato, oltre che completo, anche immutabile - una parola che esclude proprio la metabolé. Appoggiandosi sulla Sectio Canonis (1990, p. 55 - prop. 19) taluni riferiscono l’aggettivo “immutabile” alla differenza tra note mobili e note fisse - ma ciò non sembra aver molto senso. La spiegazione più frequente è forse quella che riferisce questa espressione soltanto alla doppia ottava centrale in quanto base del sistema com-pleto. Tutte le altre scale sono sue mutazioni. Questo è anche il senso dell'affermazione secondo cui si dice immu-tabile la scala in cui i riferimenti tetici sono eguali a quelli dinamici: «Nel sistema ametabolon mese tetica e mese dinamica sono la stessa nota» (Gollin, 2004, p. 122). Questo è un altro modo di far notare la speciale posizione che occupa la scala diatonica che da un lato è base del sistema, quasi un riflesso empirico di una scala ideale, dall'altro è una scala come un'altra. In ogni caso ad essa soltanto sarebbe da riferire quell'aggettivo. Questa spiegazione, che ha certamente una parte di verità, non mi sembra esauriente. C'è dell'altro. In fin dei conti, come sistema di inter-

Page 547: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

547

valli, questa scala è onnipresente nelle trasposizioni e quindi in tutto il sistema. Ed è proprio il sistema nella sua interezza che sembra essere caratterizzato dall'aggettivo immutabile. Se questo è vero, io oso pensare che la parte prevalente dell'area di senso di quel termine sia occupato da un altro pensiero forse più conforme alla natura dello schema e certamente al tenore dei nostri commenti: il sistema è immutabile perché è il luogo di tutti i mutamenti. La completezza implica la nozione di totalità, e totalità e immutabilità si richiamano a vicenda. Credo che si tratti di un'idea che non poteva essere estranea ai teorici greci che così spesso hanno, nella musica, coinvolto l'universo stesso; tanto meno avrebbe potuto esserlo per un autore come Tolomeo la cui grande mente tanto girovagò fra gli astri e che alla relazione tra la musica e il "cielo" dedicò l'ultimo libro del suo trattato. L'immutabilità del sistema completo è quella stessa che caratterizza quel sistema che è l'universo stesso: tutto in esso si muove e muta, e pro-prio per questo - perché contiene ogni movimento e mutamento - l'universo stesso può essere detto immutabile. Esso non diviene, ma semplicemente è. Altrimenti vi sarebbe il caos.

Page 548: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

548

Page 549: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

549

Testi citatiAdkins C., 1967The Technique of the Monochord, in «Acta Musicologica», Vol. 39, Fasc. 1/2 (Jan. - Jun., 1967), pp. 34-43.

Aristide Quintiliano, 1989 Sulla musica. trad. ingl. in Barker, 1989.

Aristosseno, 1954Elementi di armonica, trad. it. a cura di R. Da Rios, Aristoxeni Elementa Harmonica, Roma, 1954.

Aristotele, 1957Problemi musicali, trad. it. a cura di G. Marenghi, Fussi-Sansoni, Firenze, 1957

Aristotele, 1949Metafisica, trad. it, di A. Carlini, Bari 1949

Aristotele, 1955Topici, in Organon, trad. it. di G. Colli, Torino. 1955

Aristotele, 1957Etica Nicomachea, trad. it. di A. Plebe, Bari, 1957

Barbera A., 1984aThe consonant eleventh and the expansion of the musical Tetractys: a study of ancient Pythagoreanism, «Journal of Music Theory», vol 28, 1984 pp. 191-223.

Barbera A., 1984bOctave Species, «The Journal of Musicology», Vol. 3, No. 3. (Summer, 1984), pp. 229-241.

Page 550: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

550

Barker A., 1988Che cos’era la Magadis, in La musica in Grecia,1988.

Barker A., 1989Greek Musical Writings. II. Harmonic and Acoustic Theory, Cambridge, New York.

Barker A., 1994Ptolemy's Pythagoreans, Archytas, and Plato's conception of mathematics, in «Phronesis», vol XXXX, n. 2.

Barker A., 2000Scientific Method in Ptolemy’s Harmonics, Cambridge University Press, Cambridge.

Barker A., 2007The science of Harmonics in classical Greece, Cambridge University Press, Cambridge, 2007

Baud-Bovy S., 1988La canzone popolare della Grecia moderna e la musica antica, in La musica in Grecia, 1988.

Bonanni, 1964, Antique Musical Instruments and Their Players, 152 Plates from Bonanni's 18th Century "Gabinetto Armonico", Dover, New York, 1964.

Bundrick S. D., 2005Music and Image in Classical Athens, Cambridge, 2005.

Burkert W., 1972Lore and Science in the Ancient Pythagorism, Cambridge. Mass.

Capparelli V., 1988La sapienza pitagorica, Edizioni Mediterranee, 1988

Page 551: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

551

Càssola F., 1994Inni omerici, Mondadori, Milano, 1994.

Chailley J.,1963Le monochorde et la theorie musicale, in Organicae Voces, Amsterdam, 1963.

Chailley J., 1967Expliquer l'harmonie?, Paris, 1967

Chailley J., 1979La musique grecque antique, Paris, 1979

Cleonide, 1990Introduzione all'armonica, Zanoncelli, 1990.

Colli G., 1990La sapienza greca, Adelphi, Milano, 1990.

Crocker R., 1961Aristoxenus and Greek Mathematics, in Aspects of Medieval and Renaissance Music, New York 1961. pp. 96–110

Crocker R., 1963Pythagorean Mathematics and Music, in «Journal of Aesthetics and Art Criticism», n. 22 (1963-64), parte I, p. 189-198, e parte II pp. 325-335.

Dacier A., 1706La vie de Pythagore, Paris, 1706.

Di Giulio A. M., 1988Iconografia degli strumenti musicali nell'arte apula in La musica in Grecia, 1988.

Page 552: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

552

Diels H., 1906Die Fragmente der Vorsokratiker, Weidemannsche Buchhandlung, Berlin, 1906

Dumoulin D., 1992Die Chelys. Ein altgriechisches Saiteninstrument, in «Archiv für Musikwissenschaft», Parte I, 49. Jahrg., H. 2. (1992), pp. 85-109; Parte II, ivi, 49. Jahrg., H. 3. (1992), pp. 225-25.

Edmonds G. M., 1924Lyra Graeca, vol. I-III, London, 1924

Euclide, 1990Sectio Canonis, in Zanoncelli, 1990, pp. 39 seg.

Euripide, 1921Baccanti, trad. it. E. Romagnoli, Bologna 1921.

Fadda E., 2009Alcmane e la pernice. Note su vocalità e iconismo, in «De Musica», Anno 2009, Internet.

Fludd, 1618The Temple of Music, London, 1618.

Franchi S., 1988Monodia e coro: Tradizione classica,scritti criti e origini del melodramma. Sopravvivenze di una danza greca nell'Eu-ropa medievale e moderna, in La musica in Grecia,1988.

Gaudenzio,1990Introduzione all'armonica, Zanoncelli, 1990, pp. 305-370, 1990.

Giamblico, 1991La vita pitagorica, a cura di M. Giangiulo, Rizzoli, Milano, 1991

Page 553: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

553

Giamblico, 1995Introduzione all'Aritmetica di Nicomaco, in Il numero e il divino, a cura di Francesco Romano, Rusconi, Milano, 1985.

Giannattasio F., 1985Suonare a bocca. Elementi di 'teoria e solfeggio' dei suonatori di launeddas sardi, in Forme e comportamenti della musica folklorica italiana, Unicopli, Milano, 1985.

Gollin E., 2004From Tonoi to Modi: A Transformational Perspective, in «Music Theory Spectrum», Vol. 26, No. 1 (Spring, 2004), pp. 119-129.

Gombosi O. J., 1939Tonarten und Stimmungen der Antiken Musik, Kopenhagen, 1939.

Gombosi O. J., 1951Key, Mode, Species, «Journal of the American Musicological Society», Vol. 4, No. 1 (Spring, 1951), pp. 20-26.

Graf F., 2008Apollo, Routledge, New York, 2008.

Heath T., 1921A History of Greek Mathematics, voll. 2, Oxford, 1921.

Henderson I., 1962L'antica musica greca, pp. 377-448 in Musica Antica e orientale, New Oxford History of Music, Feltrinelli, Milano, 1962.

Huffman C., 1988The role of Number in Philolaus’ Philosophy, in «Phronesis», 33, pp. 1-30.

Page 554: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

554

Huffman C., 1993Philolaus of Croton, A commentary on the Fragments and Testimonia, with interpretative Essays, Cambridge, 1993.

Huffman C., 2005Archytas of Tarentum, Cambridge. 2005.

Iliade,1973trad. it. di G. Tonna, Garzanti, Milano,1973.

Inni omerici, 1994a cura di F. Càssola, Mondadori, Milano,1994.

Kahn Ch. H., 2001, Pythagoras and the Pythagoreans. A Brief History, Hackett, Cambridge, 2001.

Kircher A., 1650Musurgia universalis, Roma. 1650.

Kline M., 1991Storia del pensiero matematico, Torino, 1991.

La musica in Grecia, 1988a cura di B. Gentili e R. Pretagostini, 1988, Laterza, Bari 1988.

Laloy L., 1904Aristoxène de Tarente et la musique de l'antiquité, Parigi, 1904.

Landels J.G., 1999Music in Ancient Greek and Rome, Routledge, London-New York, 1999.

Page 555: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

555

Lasserre F., 1988Musica babilonese e musica greca, in La musica in Grecia, 1988.

Lec S. J., 1965Pensieri proibiti, trad. di R. Landau, con una nota di G. D. Neri, Milano, 1965.

Lichtfield M., 1988Aristoxenus and empiricism. A reevaluation based on his theories. in «Journal of Music Theory», n. 32, 1988, pp. 51–73.

Longo Sofista, 1987,Dafni e Cloe, trad. it. con testo a fronte a cura di L. Migotto, Studio Tesi, Pordenone, 1987.

Maréchal Sylvain,1799Voyages de Pythagore, Paris, 1799.

Marquard P., 1868Die Harmonische Fragmente des Aristoxenus, Berlin, 1868.

Mathiesen T. J., 1999Apollo's Lyre. Greek Music and Music Theory in Antiquity and Middle Ages,University of Nebraska Press,Lincoln and London.

McKinnon J., 1978Jubal vel Pythagoras, quis sit inventor musicae? in «The Musical Quarterly», Vol. 64, No. 1 (Jan., 1978), pp. 1-28.

Mersenne M., 1636Harmonie universelle, Edizione digitale della School of Music - Indiana University fondata sull'edizione di Parigi, Sebastien Cramoisy.

Page 556: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

556

Metzler D., 1971Ein Griechisches Plektron, in «Archiv für Musikwissenschaft», 28 Jg., H. 2, pp. 147-150.

Michel P. H., 1950De Pythagore à Euclide, Contribution à l'histoire des Mathématiques préeuclideenes, vol. I-II, Paris.

Monro D. B., 1894The Modes of Ancient Greek Music, Oxford, 1894.

Moretti C., 1998L'organo italiano, Casa editrice Eco, Milano, 1998.

Most Glenn W., 2001, Leggere Raffaello. La Scuola di Atene e il suo pre-testo, pp. 95, Einaudi.

Münxelhaus B., 1976Pythagoras musicus. Zur Rezeption der Pythagoreischen als quadrivialer Wissenschaft im lateinischer Mittelalter, Bonn 1976.

Nicomaco, 1990Manuale di armonica, in Zanoncelli, 1990, pp. 135- 204.

Nietzsche F., 1967La nascita della tragedia ovvero grecità e pessimismo, a cura di P. Chiarini, Laterza, Bari 1967. [È difficile spiegarsi perché uno studioso come Paolo Chiarini ritenga di poter deformare a suo piacimento nel fron-tespizio il titolo dell'opera di Nietzsche che è La nascita della tragedia dallo spirito della musica. Come è evidente "dallo spirito della musica" non è nemmeno un sottotitolo. Forse egli ha voluto dare rilievo allo scritto di Nietzsche Saggio di un'autocritica che ha posto come premessa del volume, anziché, come sarebbe stato più giusto, in appen-dice. In ogni caso resta il dubbio che si tratti di uno dei tanti segnali di quanto poco in quegli anni una certa cultura italiana fosse interessata ad una problematica musicale ed ancor meno ad una problematica filosofico-musicale come è quella di Nietzsche].

Page 557: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

557

Odissea, 1968trad. it. di G. Tonna, Garzanti, Milano1968

Ovidio, 1979Metamorfosi, a cura di P. Bernardini Marzolla, Torino, 1979

Piana G., 1967Elementi di una dottrina dell'esperienza, Il Saggiatore, Milano. Tutti i miei lavori sono presenti e liberamente scari-cabili presso il mio archivio internet all'indirizzo http://www.filosofia.unimi.it/piana, in seguito indicato con Inter-net, Archivio.

Piana G., 1991Filosofia della musica, Internet, Archivio.

Piana G.,1998Annotazione sull'origine e sull'impiego dei termini "modo" e "tono", Internet, Archivio.

Piana G., 1999Numero e figura, Idee per una epistemologia della ripetizione, Internet, Archivio.

Piana G., 2003L'intervallo, Internet, Archivio.

Piana G., 2004Il cromatismo, Internet, Archivio.

Pindaro, 1820Odi Pitiche, testo gr. e trad. it A. Mezzanotte, Pisa, 1820

Pindaro, 1915The Odes of Pindar, testo gr. e trad. ingl. di J. Sandys, London, 1915.

Page 558: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

558

Platone, 1971Opere complete, a cura di a. Zadro, Bari, 1971

Platone, 1981La Repubblica, tr. it. di F. Gabrieli, Rizzoli, Milano, 1981.

Porfirio, 1920Life of Pythagoras, trad. ingl. di Kenneth Sylvan Guthrie. Cfr. Rousell, 1920.

Potiron H., 1954Boèce théoricien de la musique grècque, Paris, 1954.

Potiron, H., 1961Les notations d'Aristide Quintilien et les harmonies dites Platoniciennes, «Revue de Musicologie», Vol. 47e, No. 124e (Dec., 1961), pp. 159-176.

Rault L., 2000Musical Instruments. A Worldwide Survey of Traditional Music-Making, Thames-Hudson, New York, 2000.

Ricci A. e R. TucciStrumenti musicali popolari in Calabria, http://www.-csdim.-unical.it/ospiti/strum_1/strume_i.htm

Richelmi C., 2001, Circulata melodia. L'armonia delle sfere nella Commedia di Dante Alighieri, De Musica, Internet, V, Anno 2001

Riegwed C., 2005, Pythagoras. His Life, Teaching and Influence, Cornell University Press,Ithaca 2005

Roch E., 2004Die Lyra des Orpheus. Musikgeschichte im Gewande des Mythos, in «Archiv für Musikwissenschaft», 61. Jahrg., H. 2. (2004), pp. 137-159

Page 559: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

559

Rouget G., 1986Musica e trance. I rapporti fra la musica e i fenomeni di possessione, trad. it. a cura di G. Mongelli, Torino, 1986.Rousell P., 1920The Complete Pythagoras, revisione ed edizione digitale della traduzione di Kenneth Sylvan Guthrie (comprende Giamblico, Porfirio, Diogene Laerzio ed altri testi relativi al pitagorismo). Reperibile all'indirizzo seguente: http://www.completepythagoras.net/

Sachs C., 1943La musica nel mondo antico, trad. it. , Firenze 1963.

Sachs C., 1980, Storia degli strumenti musicali, trad. it. P. Isotta e M. Papini, Milano, 1980.

Saint-Saëns C., 1919Lyres et Cithares, «Bulletin de la Société française de musicologie», T. 1er, No. 4e (1919), pp. 170-174. Questo testo con diverse varianti e datato 1912 si trova anche in A. Lavignac, Encyclopedie de la musique, Première partie, pp. 545 seg.

Saint-Saëns C., 1912Lyres et Cithares, vedi Saint-Saëns C., 1919

Sas A., 1934Aperçu sur la musique inca, in «Acta Musicologica», Vol. 6, Fasc. 1 (Jan. - Mar., 1934), pp. 1-8.

Scalera, G., 1999I moti e la forma della terra, Istituto Nazionale di Geofisica, 1999.

Serra C., 2003Intendere l’unità degli opposti: la dimensione musicale nel concetto eracliteo di armonia, Cuem, Milano (ora anche in Internet, Spazio filosofico).

Page 560: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

560

Solomon J., 1984, Towards a History of Tonoi in «The Journal of Musicology», Vol. 3, No. 3, 1984, pp. 242-251.Szabó A., 1971La teoria pitagorica delle proporzioni, «La parola del passato» n. 26, 1971.

Szabó A., 1978The Beginnings of Greek Mathematics, trad. ingl. Reidel, Boston, 1978. La prima edizione in lingua tedesca Anfänge der Griechischen Mathematik è stata pubblicata nel 1969.

Tanner R., 1961La musique grecque antique, «La revue Musicale», n. 248, 1961.

Tannery P.,L'invention de l'idraulis, «Revue des E'tudes Grecques», T. XXI, 1908.

Teone di Smirne, 1892Exposition des connaissances mathématiques utile pour la letcture del Platon, trad. franc. con testo a fronte di J. Du-puis, Hachette, Paris, 1892

Tolomeo, 2002La Scienza Armonica, trad. it. e commento di M. Raffa, Messina, 2002

Van der Waerden B. L., 1943Die Harmonielehre der Pythagoreer, in «Hermes» n. 78, pp. 163–99, 1943.

West M. L., 1992Ancient Greek Music, Oxford University Press, Oxford, 1992.

Williams C. F. A., 1916The Story of the Organ, London,1916.

Page 561: g.piana Album Per La Teoria Greca Della Musica

561

Winnigton-Ingram,1932Aristoxenos and the Intervals of the Greek Music, in «Classical Quarterly», XXVI, 1932.

Winternitz E., 1982Gli strumenti musicali e il loro simbolismo nell’arte occidentale, Torino, 1982.

Zaminer F., 1984Hypate, Mese und Nete im frühgriechischen Denken. Ein altes musikterminologisches Problem in neuem Licht, «Ar-chiv für Musikwissenschaft», 41. Jahrg., H. 1. (1984), pp. 1-26.

Zanoncelli L., 1990La manualistica musicale greca, Milano, 1990.

Zemp H., 1982Deux à huit voix: Polyphonies de flûtes de Pan chez les Kwaio (Iles Salomon), «Revue de Musicologie», T. 68e, No. 1er/2e, 1982.