PERIZIA SULL’IMPIANTO DI COGENERAZIONE A BIOMASSA … · Premessa Il presente studio è...

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Ing. Francesco Chiosi PERIZIA SULL’IMPIANTO DI COGENERAZIONE A BIOMASSA DELLA DITTA NOVALEDO ENERGIA SRL IN COMUNE DI NOVALEDO – TN Per: Comune di Novaledo – Piazza Municipio, 7 – 38050 TN Ottobre 2015 F947-0004761-12/10/2015 A - Allegato Utente 3 (A03)

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Ing. Francesco Chiosi

PERIZIA SULL’IMPIANTO DI COGENERAZIONE A BIOMASSA DELLA DITTA

NOVALEDO ENERGIA SRL IN COMUNE DI NOVALEDO – TN

Per: Comune di Novaledo – Piazza Municipio, 7 – 38050 TN Ottobre 2015

F947-0004761-12/10/2015 A - Allegato Utente 3 (A03)

Indice

Premessa

PARTE I – VALUTAZIONE PROGETTUALE E DELLE EMISSIONI IN ATMOSFERA

1 - Il Progetto

2 - Descrizione impiantistica

3 - Le tecnologie adottate per l’abbattimento delle emissioni

4 – Il combustibile utilizzato

5 - Le emissioni degli impianti di combustione biomasse

5.1 Macroinquinanti tradizionali

5.2 Microinquinanti organici

5.3 Polveri e metalli

6 - Emissioni in atmosfera – limiti autorizzati

7 - Confronto emissivo ante-operam e post-operam

PARTE II – ANALISI DELLA DOCUMENTAZIONE DI SCREENING VIA E VALUTAZIONE DEGLI IMPATTI

1 – Premessa

2 - Impatti sulla qualità dell’aria nella zona di interesse - NOx e Polveri

3 - Impatti sul bilancio CO2 e altri gas clima-alteranti

4 – Altri impatti

4.1 - Impatti odorigeni

4.2 - Impatti sull’ambiente antropico

4.3 - Impatto acustico

5 - Considerazioni e suggerimenti

5.1 Rimessa in pristino dei luoghi

5.2 Trasparenza dei risultati dei monitoraggi ambientali

5.3 Valutazione di incidenza ambientale

Premessa

Il presente studio è finalizzato all’esame del progetto presentato dalla ditta Novaledo Energia S.r.l. per la

realizzazione di un nuovo impianto di cogenerazione a biomassa, e all’analisi di quanto emerso nei vari step

valutativi e autorizzativi a cui tale progetto è stato sottoposto. In particolare sono state richieste e

ottenute dalla ditta Novaledo Energia S.r.l. le seguenti autorizzazioni ambientali:

- Determinazione n. 20 del 17.04.2014 di non assoggettabilità a procedura di valutazione di impatto

ambientale emanata a seguito della presentazione di idonea relazione di screening dal Dirigente

del Servizio Valutazione Ambientale della provincia di Trento

- Autorizzazione alle emissioni in atmosfera ai sensi del D.Lgs 152/06 rilasciata dal Dirigente del

servizio Autorizzazioni e Valutazioni Ambientali della Provincia di Trento con provvedimento n. 17

del 21.05.2014

Tali autorizzazioni ambientali sono successivamente confluite nel provvedimento n. 124 del 30.05.2014,

rilasciato ai sensi del D.P.R. n. 53/1988 dal Dirigente del servizio Gestione delle Risorse Idriche ed

energetiche (A.P.R.I.E.), di autorizzazione alla realizzazione dell’impianto.

Obiettivo di questo studio, commissionato dal Comune di Novaledo, è una valutazione oggettiva delle

caratteristiche impiantistiche della nuova opera, dei suoi impatti e delle ricadute sul territorio delle

emissioni che verrebbero introdotte a seguito della sua realizzazione, per individuare eventuali criticità nel

progetto presentato e, di conseguenza, negli atti autorizzativi emanati e per poter giungere alla proposta di

azioni correttive e mitigative. Con la speranza che tali azioni, concordate con azienda ed enti locali,

possano portare ad una ottima armonizzazione dell’impianto con la realtà territoriale nel quale andrà ad

inserirsi.

PARTE I – VALUTAZIONE PROGETTUALE E DELLE EMISSIONI IN ATMOSFERA

1 – Il progetto

L’impianto di cogenerazione è progettato per produrre congiuntamente energia elettrica ed energia

termica: 999 kWe/h dedotti gli autoconsumi dell’impianto verranno immessi in rete, mentre l’energia

termica sarà ceduta alla limitrofa società Menz&Gasser S.p.A. in continuo sottoforma di vapore a 10 bar e

180°C, per una quantità variabile a seconda del ciclo tra le 3 e le 4 tonn/ora.

La cessione di vapore è giustificata per il fatto che la citata società ha in programma un ampliamento della

sua capacità produttiva e pertanto son ipotizzabili degli aumenti di consumo sia di energia termica sia

elettrica.

Attualmente la Menz&Gasser utilizza per la produzione di energia termica necessaria ai cicli produttivi dello

stabilimento di n.3 caldaie a gas metano che producono circa 4-6 ton di vapore a 10 Bar (2,3 MWt al

focolare cadauna).

Sono inoltre presenti i cogeneratori a metano e biogas da 800 kWe i quali producono 1.100 kWt suddivisa

tra acqua calda e vapore per i cicli tecnologici della Menz&Gasser.

L’attuale assetto di produzione energia della Menz&Gasser sarà radicalmente rivisto con la realizzazione del

progetto del cogeneratore a biomasse solide verdi in quanto saranno dismesse le tre caldaie a metano

alimentate da fonte fossile (gas metano).

La biomassa vegetale solida utilizzata come carburante è costituita da un mix di combustibili composto da

70% sottoprodotti di origine vegetale (cippato, potature, paglie, sottoprodotti agricoli) e 30% di prodotti

agricoli (coltivazioni short rotation o coltivazioni dedicate a ciclo annuale come ad esempio Herbal Crops®).

L’Herbal Crops® è una coltura dedicata per usi energetici, ottenuta come ibrido da sorgo ed è una coltura

erbacea annuale appartenente alla famiglia delle Poacee.

2 - Descrizione impiantistica

Per cogenerazione a biomassa solida si intende la combustione di biomassa finalizzata alla produzione di

energia elettrica e calore. La biomassa utilizzabile ai fini energetici consiste in tutti quei materiali di matrice

organica, costituiti o derivati da organismi vegetali o loro componenti, che possono essere utilizzati

direttamente come combustibili, ovvero trasformati in altre sostanze combustibili (liquide o gassose) di più

facile utilizzo, in sistemi di conversione in grado di produrre energia elettrica, termica e meccanica.

Gli impianti cogenerativi a combustione esterna a biomassa solida sono costituiti dai seguenti tre

componenti principali:

- Sistema di combustione della biomassa

- Caldaia per il trasferimento del calore dai fumi di combustione al fluido vettore

- Motore per la cogenerazione

L’impianto progettato dalla ditta Novaledo Energia s.r.l. è costituito dalle seguenti sezioni:

- area esterna coperta destinata al deposito della biomassa

- silo di stoccaggio biomassa, sistema di estrazione e caricamento su nastro trasportatore per

l’alimentazione della camera di combustione

- camera di combustione con forno a griglia mobile dotata di estrazione automatica della frazione

inerte e di camera di post combustione per l’ottimizzazione dell’ossidazione

- generatore di vapore

- linea depurazione fumi costituita da un sistema di depolverazione seguito da una batteria di

abbattimento a maniche

- camino per l’espulsione in atmosfera dei gas si combustione depurati munito di appositi sistemi di

rilevamento e monitoraggio in continuo

- turbina a vapore e sistema di condensazione ad aria

- trasformatore e struttura di conferimento energia

L’impianto utilizza un ciclo Rankine convenzionale a vapore. La camera di combustione a griglia mobile

permette una migliore combustione del materiale in quanto un movimento automatizzato della griglia

consente di adattare il posizionamento della biomassa in ingresso in modo da avere sempre un’esposizione

ottimale del combustibile nei confronti del comburente, migliorando i profili di temperatura e

conseguentemente diminuendo le emissioni rispetto ai sistemi a griglia fissa.

La biomassa viene trasferita mediante nastro di trasporto e tramoggia di carico alla camera di combustione,

dove viene depositata sulla griglia mobile inclinata. Durante la combustione, avanza con moto discendente

a gradini, garantendo pertanto allo stesso tempo una combustione su un piano orizzontale e il continuo

rimescolamento del combustibile: ceneri e incombusti vengono raccolti al di sotto della griglia e asportati

automaticamente con coclea.

Al di sotto della griglia viene insufflata aria che dal basso attraversa la griglia e il combustibile, sia per

fornire aria primaria per la combustione, sia per raffreddare la griglia stessa.

Le altre funzioni svolte dall’aria sono dell’aria sono evitare la fusione degli inerti all’interno della camera di

combustione e favorire la miscelazione dei gas di combustione.

L’aria viene ripartita in aria primaria e aria secondaria. Il gruppo di miscelazione e distribuzione dell’aria è

affidato ad un carburatore dotato sinteticamente di un ventilatore centrifugo e un sistema a serrande per

la miscelazione dei fluidi. L’aria primaria viene preriscaldata sino alla temperatura di progetto (da 70-

140°C); aspirata e incanalata nelle sezioni sotto-griglia. L’aria secondaria, formata da gas di combustione e

aria primaria, viene prelevata a valle del sistema di recupero gas ad una temperatura di circa 200-250°C e

miscelata con una quota parte di aria primaria. Questa miscela viene e introdotta all’interno della camera di

combustione previo passaggio in un depolveratore.

Sempre da un punto di vista strettamente impiantistico, anche la soluzione adottata per il sistema di

condensazione ad aria appare ottimale, in quanto non prevede consumi specifici di acqua né la presenza di

scarichi idrici dedicati, gli auto-consumi elettrici sono inferiori e viene evitata la formazione di pennacchi di

vapore visibili.

Di seguito i dati tecnici di funzionamento caratteristici dell’impianto:

- Potenza termica massima in camera di combustione: 8000 KWt

- Potenza elettrica prodotta: 999 KWe

- Potenza termica recuperabile: 5088 KWt

- Potere calorifico: 10980 – 12960 KJ/kg

- Consumo di combustibile: 18750 t medie annue

- Rendimento termico: 70%

- Portata gas di scarico 11000: kg/h

3 - Le tecnologie adottate per l’abbattimento delle emissioni

I fumi in uscita dalla camera di combustione subiscono i seguenti trattamenti in serie:

- post-combustione con iniezione di urea, per l’abbattimento degli ossidi di azoto NOx

- Scambio termico nel generatore di vapore

- pre-filtrazione su sistema a multi ciclone

- iniezione di calce idrata per l’abbattimento dell’SO2

- filtrazione su filtro a maniche

- espulsione a camino.

La fase di post-combustione è necessaria per ottimizzare l’ossidazione dei residui carboniosi in uscita dalla

camera di combustione, ed è previsto possa operare in un range di temperature compreso tra 850°C e

1000°C. In questa sezione impiantistica viene effettuato un primo step di depurazione dei fumi stessi

attraverso l’applicazione del sistema SNCR (Reazione selettiva non Catalitica) , mediante iniezione di urea in

camera di post-combustione. L’urea reagisce con gli ossidi di azoto formatisi in combustione riducendoli ad

azoto e acqua secondo la reazione :

NO + NH2-CO-NH2 + 1/2 O2 = 2 N2 + 2H2O + CO2

L’urea, nebulizzata nei gas caldi da trattare, si scinde in ammoniaca (NH3) ed acido isocianico (HNCO), il

quale in parte libera a sua volta ammoniaca ed in parte forma NCO che si trasforma in protossido d’azoto

(N2O), un “gas serra” indesiderato; inoltre, l’acido isocianico può formare depositi condensando nei

“punti freddi” sotto forma di acido cianurico ed una serie di prodotti di polimerizzazione. Questi depositi

possono complicare notevolmente le operazioni di manutenzione e possono costituire fonti di emissione di

NOx secondari. E’ pertanto fondamentale porre particolare attenzione alla fluidodinamica in camera di post

combustione per ottenere una corretta distribuzione del reagente.

Le temperature ottimali per la reazione vanno dagli 870°C ai 950°C. Al di sotto di 870°C infatti la sua

velocità è troppo lenta e non produce rese di abbattimento apprezzabili, al di sopra di 950°C invece

tendono ad innescarsi meccanismi di ossidazione dell’ammoniaca a formare NOX, e producendo quindi

l’effetto opposto a quello desiderato. Altro parametro fondamentale per un corretto abbattimento degli

ossidi di azoto è il tempo di permanenza dei gas in camera di post-combustione. In un range ottimale di

temperature di post combustione attorno ai 900°C, questo non deve essere inferiore a 1 sec. Tempi

inferiori infatti non danno tempo all’ammoniaca di ridursi completamente, e causeranno elevate

concentrazioni di ammoniaca a camino.

Il fenomeno della presenza di ammoniaca a camino, detto ammonia slip, è da evitarsi in quanto

l’ammoniaca costituisce un inquinante peggiore degli ossidi di azoto che si desiderano abbattere. Il

fenomeno è ovviamente dovuto anche alla quantità in ingresso. Un dosaggio sovra stechiometrico di urea

porterà infatti ad una sostanziale invarianza del tenore di NOx emessi ma ad una molto maggiore

concentrazione di ammoniaca nei fumi. E’ per questo motivo che il l’NSR (rapporto stechiometrico

normalizzato) tra reagente e NOx va tenuto basso, sacrificando parzialmente la resa di abbattimento.

Nella documentazione tecnica esaminata viene correttamente descritto il valore ottimale di temperatura di

esercizio della camera di post-combustione entro il range 900°C-950°C. Non si sono invece trovati

riferimenti al tempo di permanenza dei fumi. E’ parere dello scrivente che si tratti invece di un parametro

significativo, e che debba essere prescritto in autorizzazione un suo valore minimo pari ad 1 secondo nel

range di temperature indicato.

I fumi in uscita dalla camera di post combustione vengono prima fatti passare attraverso il gruppo di

generazione vapore, dove la loro temperatura viene drasticamente ridotta. Quindi subiscono una prima

depolverazione grossolana in un sistema multi ciclone dove, per effetto centrifugo, le particelle più grosse

di polvere vengono separate e allontanate come rifiuto assieme alle ceneri di combustione.

Di seguito è prevista una stazione filtrante a maniche, a monte della quale verrà iniettata calce idrata nella

corrente gassosa. Il sistema prevede quindi un serbatoio della calce, un dosatore e un ventilatore per

l’iniezione della miscela aria/reagente, con un mixer che verrà installato all’interno della tubazione per un

perfetto mescolamento. L’apporto di calce idrata favorisce sulle maniche del filtro reazioni di

chemiadsorbimento della SO2 presente nei fumi.

Dalla documentazione tecnica esaminata non risulta essere presente un sistema di avviso della mancanza

di calce nel serbatoio. Se non previsto, andrebbe certamente installato per evitare periodi di assenza

reagente e contestuale aumento nelle emissioni del tenore di ossidi di zolfo.

Il filtro a maniche è sicuramente una delle tecnologie più standard e affidabili per il trattamento finale di

questo tipo di emissioni: il pannello di polveri adese alle maniche filtranti contribuisce, entro il range di

differenziale di pressione di esercizio, a migliorarne l’efficienza ed è substrato per il chemiadsorbimento

della SO2. E’ prevista la pulizia periodica delle maniche mediante impulsi di aria che vengono inviati al loro

interno e direzionati verso il basso, in modo da distaccare il pannello adeso che cade verso il basso in

idonee tramogge di raccolta. E’ previsto il confezionamento in big bags del rifiuto ed il suo invìo ad impianti

autorizzati. Le temperature di esercizio del filtro oscillano da tra i 145°C e i 170°C.

4 - Il combustibile utilizzato

La determina n. 124 del 30 maggio 2014 dell’APRIE così riporta:

Il fabbisogno annuo di biomassa per l’alimentazione dell’impianto sarà mediamente pari a 18780 t,

costituite almeno dal 70% (pari a 13125 t medie annue) da sottoprodotti di origine vegetale (scarti di

segheria come da Tabella 1.A dell’Allegato I del DM 06/07/2012) e per il restante 30 % al massimo (pari a

5625 t medie annue) da prodotti agricoli dedicati ( come da Tabella 1.B dell’Allegato I del DM 06/07/2012)

Dove i le tabelle citate così riportano:

Tabella 1.A dell’Allegato I del DM 06/07/2012

Sottoprodotti provenienti da attività agricola, di allevamento, della gestione del verde e da attività

forestale: effluenti zootecnici, paglia, pula, stocchi, fieni e trucioli di lettiera, residui di campo delle aziende

agricole, sottoprodotti derivanti dall’espianto, sottoprodotti derivati dalla lavorazione dei prodotti forestali,

sottoprodotti derivati dalla gestione del bosco, potature, ramaglie e residui dalla manutenzione del verde

pubblico e privato.

Sottoprodotti provenienti da attività industriali: sottoprodotti della lavorazione del legno per la produzione

di mobili e relativi componenti

Tabella 1.B dell’Allegato I del DM 06/07/2012

SPECI ERBACEE ANNUALI ….. SPECIE ERBACEE POLIENNALI … SPECI EARBOREE …

D’altra parte, l’autorizzazione n. 17 del 21.05.2014 prescrive all’art. 1.a che:

“quale combustibile nell’unità termica identificata dalla sigla M1 deve essere impiegata esclusivamente

biomassa vegetale solida esente da sostanze estranee e conforme alle tipologie e alle provenienze

individuate nella sezione 4 della parte II dell’allegato X alla parte V del D.Lgs 152/2006”

Correttamente infatti le caratteristiche dei materiali combustibili e le relative condizioni di utilizzo sono

regolamentate dall’allegato X alla parte V del D.Lgs 152/2006 e s.m.i. In particolare, la sezione 4 della parte

II indica le tipologie e la provenienza delle biomasse combustibili che possono definirsi tali, e precisamente:

a) Materiale vegetale prodotto da coltivazioni dedicate; b) Materiale vegetale prodotto da trattamento esclusivamente meccanico di coltivazioni agricole non dedicate; c) Materiale vegetale prodotto da interventi selvicolturali, da manutenzione forestale e da potatura; d) Materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica di legno vergine e costituito da cortecce, segatura, trucioli, chips, refili e tondelli di legno vergine, granulati e cascami di legno vergine, granulati e cascami di sughero vergine, tondelli, non contaminati da inquinanti; e) Materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica di prodotti agricoli

f) Sansa di oliva disolcata avente le caratteristiche riportate nella tabella seguente, ottenuta dal trattamento delle sanse vergini…. g) Liquor nero ottenuto nelle cartiere….

Precisando poi, al punto 1-bis, che:

Salvo il caso in cui i materiali elencati nel paragrafo 1 derivino da processi direttamente destinati alla loro

produzione o ricadano nelle esclusioni dal campo di applicazione della parte IV del presente decreto, la

possibilità di utilizzare tali biomasse secondo le disposizioni della presente parte quinta è subordinata alla

sussistenza dei requisiti previsti per i sottoprodotti dalla precedente parte quarta.

In altri termini, rimanendo nell’ambito esclusivo dei materiali elencati al punto 1, sono ammesse le seguenti

casistiche:

1 – materie prime provenienti da processi direttamente dedicati alla loro produzione (ES: coltivazione)

2 – residui di altre produzioni/processi esclusi dall’ambito di applicazione della parte IV, e quindi “non

rifiuti” per definizione.

3 – residui di altre produzioni/processi inclusi nell’ambito di applicazione della parte IV ma riqualificabili

come sottoprodotti possedendone i requisiti.

Nel punto 1 potrebbero rientrare materiali elencati nella Tabella 1.B dell’Allegato I del DM 06/07/2012, mai

in nessun caso quelli elencati nella tabella 1.A.

Nel punto 2, notiamo che l’art. 185 del D.Lgs 152/06 e s.m.i comma 1 lettera f) esclude dall’ambito di

applicazione della parte IV…”paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale

non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da biomassa

mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”

Tale definizione è sicuramente ambigua, in quanto introduce concetti quali ad esempio quello di “materiale

agricolo o forestale naturale” e di mancato danneggiamento dell’ambiente o pericolo per la salute umana

nei processi di combustione, variamente interpretabili. Ad esempio, la nota n. 8890 del 18 marzo 2011 del

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del Mare ha chiarito che non rientrano nelle

esclusioni di cui al citato articolo, e pertanto risultano a tutti gli effetti dei rifiuti urbani , i rifiuti vegetali

provenienti ad esempio dallo sfalcio e manutenzione di aree verdi cimiteriali, parchi, e giardini.

Per il punto 3 invece occorre rifarsi alla definizione di sottoprodotto contenuta nell’art. 184-bis del TUA: in

sintesi, lo specifico materiale conferito deve soddisfare alle condizioni di:

- non essere il prodotto principale del processo produttivo che lo origina

- avere un utilizzo certo e non eventuale nel momento stesso della sua produzione

- il non necessitare di processi di trasformazione che lo rendano riutilizzabile (nel qual caso si

configurerebbe un recupero di rifiuti), laddove come “normale pratica industriale” è da intendersi quella

direttamente prevista per il suo impiego e non quella di processi aggiuntivi e/o preparatori.

- avere un utilizzo legale, ovvero soddisfare tutti i requisiti tecnici e merceologici previsti per quel tale

impiego e che questo stesso impiego sia conforme alla norma.

E’ evidente che tali requisiti non possono che far riferimento al sopra citato allegato X, che ne definisce le

caratteristiche. La norma crea dunque una corrispondenza biunivoca tra i due concetti: può essere

classificata come biomassa combustibile solo ciò che non è rifiuto (perché prodotto appositamente, o non

rifiuto, o sottoprodotto) e che è privo da qualunque contaminazione di sostanze inquinanti, ma può essere

classificato come sottoprodotto solo ciò che a sua volta è conforme all’allegato X, e quindi nuovamente

privo di qualunque contaminazione con sostanze inquinanti.

In sintesi: in nessun modo una biomassa vegetale, e in particolar modo uno scarto di produzione di cui alla

tab. 1.A dell’Allegato I del DM 06/07/2012 o di cui al punto d della sezione 4 parte II dell’allegato X citato

può essere contaminato da sostanze inquinanti. Qualora lo fosse, l’intero processo si configurerebbe come

recupero energetico di rifiuti ai sensi dell’allegato 2 – sub 1 p.to 6 del DM 5.02.1998

Inoltre, qualora il materiale costituito da legno trattato possa contenere composti organo alogenati o

metalli pesanti, troverà applicazione la normativa in materia di coincenerimento e di incenerimento, il

D.Lgs. n. 133/2005. L'assenza di tali elementi deve essere supportata da una procedura di verifica del

processo lavorativo che genera il rifiuto. Se inoltre si giunge a determinare la presenza di componenti in

misura tale che il rifiuto sia da considerarsi pericoloso, non sarà più possibile ricorrere alla procedura

semplificata, e come si è detto, dovrà trovare applicazione il D. Lgs. n. 133/2005.

Per scarti contaminati da sostanze inquinanti si intendono ad esempio residui e trucioli di legni verniciati,

impregnati, incollati, residui di pannelli do compensato, truciolati, multistrato, impiallacciati, nobilitati

ecc…

Alla luce di quanto sopra esposto, la prescrizione 1.a non sembra del tutto chiara: anziché riportare la

definizione dell’allegato X (a cui comunque fa, a onor del vero, riferimento), utilizza termini diversi:

richiama la conformità alle tipologie di biomasse combustibili dell’allegato X ma poi quando si tratta di

porre vincoli sulle loro caratteristiche parla di “biomassa vegetale solida esente da sostanze estranee”. Ma

“sostanza estranea” e “sostanza inquinante” sono due concetti ben diversi: la sostanza estranea può essere

tale se è in generale estranea al processo che la produce. Se il materiale proviene dalla produzione di

pannelli nobilitati, le resine presenti non sono estranee, in quanto caratteristiche del processo produttivo,

ma sono invero inquinanti.

L’Atto autorizzativo n. 17 del 21.05.2014 dovrebbe fare, a parere dello scrivente, maggiore chiarezza su

questo punto, escludendo esplicitamente la possibilità di conferire in impianto materiali trattati fatta

esclusione per le lavorazioni meccaniche e con aria, acqua o vapore. Questo a maggior ragione se si

considera che la determina n. 124 del 30 maggio 2014 dell’APRIE fa riferimento, nel richiamo alle tabelle

del DM 06/07/2012, a generici “sottoprodotti della lavorazione del legno per la produzione di mobili e

relativi componenti”, senza fare esplicito richiamo alla natura di tali sottoprodotti che abbiamo visto essere,

per definizione, costituiti da solo legno vergine e privi di ogni sostanza inquinante.

Inoltre dovrebbe essere prevista una procedura finalizzata a verificare, al momento del conferimento in

impianto dei materiali provenienti da attività produttive, l’effettiva rispondenza ai criteri necessari a

classificarli come sottoprodotto

5 - Le emissioni degli impianti di combustione biomasse

L’influenza delle caratteristiche del combustibile sulla quantità e composizione delle emissioni è stata

oggetto di numerosi studi (Hays et al., 2003; Purvis et al., 2000; McDonald et al., 2000); tuttavia, il numero

è assai elevato dei parametri che influenzano il processo non rende agevole l’identificazione di una

relazione univoca. In linea generale, le emissioni dipendono dall’essenza del legno utilizzato, dalla sua

pezzatura e dalla sua umidità. Nelle applicazioni pratiche, l’eccessiva umidità del combustibile (legna non

sufficientemente stagionata) produce condizioni di cattiva combustione, ed in particolare una elevata

formazione di PM2.5. Per quanto riguarda l’influenza del tipo di essenza, la legna da ardere presenta

caratteristiche diverse a seconda della pianta dalla quale è derivata: di conseguenza variano anche il

processo di combustione e le tipologie di inquinanti. Si individuano due gruppi principali di piante: le

softwood (gimnosperme: ad esempio pino, abete) e le hardwood (angiosperme: ad esempio faggio,

quercia). La lignina delle angiosperme si caratterizza per una maggiore presenza del gruppo metossile e

quindi per una più elevata ossigenazione, che si traduce in un maggior grado di gassificazione ed una

minore presenza di ceneri. Anche se non è possibile correlare i tipi di legna a specifici livelli emissivi, è

possibile comunque trovare delle specificità mediante la caratterizzazione chimica delle sostanze organiche

emesse. In generale le gimnosperme sono considerate le essenze che – a parità di altri fattori, presentano

le maggiori emissioni specifiche.

Gli inquinanti atmosferici derivanti da un processo di combustione di un combustibile solido sono

tipicamente:

•Polveri, NOx, SO2, CO, COV

•HCl, HF, NH3

•Metalli

•Microinquinanti organici (IPA, PCB, diossine)

Rispetto ai combustibili solidi tradizionali, quale ad esempio il carbone, le biomasse legnose presentano

tipicamente percentuali inferiori di sostanze quali cloro, fluoro e zolfo, il che si riduce in tenori inferiori

nelle emissioni di HCl, HF e SO2, e nel più limitato rischio di formazione di microinquinanti organici come le

diossine.

I meccanismi di formazione degli inquinanti sono complessi e sono caratteristici delle varie fasi in cui si

suddivise il processo di formazione della biomassa legnosa: riscaldamento ed essiccazione del combustibile,

pirolisi, combustione primaria in fase gas, combustione secondaria gas-solido. La possibile presenza di

metalli di varia natura può inoltre favorire attraverso fenomeni di catalisi la formazione di alcuni composti

anziché altri, rendendo determinante la natura del materiale utilizzato. E’ per questo che l’utilizzo di legno

trattato comporta l’impossibilità di controllare l’esatta natura del materiale che si avvìa a combustione, e

necessita quindi di sistemi di trattamento, di controllo e di monitoraggio speciali. Altri fattori determinanti

per la formazione dei composti inquinanti sono la natura stessa del sistema di combustione, la regolarità di

conduzione del processo e la frequenza e qualità degli interventi di manutenzione.

5.1 Macroinquinanti tradizionali

Tra i macroinquinanti tradizionali che si originano nel processo di combustione, particolare rilevanza è

assunta dagli Ossidi di Azoto (NOx)

Gli NOx derivano da diversi meccanismi di formazione:

•Fuel NOx: generati durante la combustione dall’azoto elementare contenuto nel combustibile.

•Thermal NOx: generati dalla reazione dell’azoto atmosferico e l’ossigeno alle alte temperature di

combustione >1400°C.

•Prompt NOx: generati dall’azoto atmosferico e gli idrocarburi nelle fasi primarie di combustione.

•N2O (protossido d’azoto): generati alla basse temperature di combustione <1000°C.

Di questi meccanismi, nella combustione delle biomasse assumono particolare importanza il primo e

l’ultimo La frazione di azoto che volatilizza dipende dal tipo di biomassa e quindi di legami, ma anche dalle

condizioni operative. Questa infatti aumenta con la quantità di ossigeno presente nel combustibile. A bassa

temperatura o per bassi tempi di residenza l’azoto rimane preferenzialmente legato al residuo carbonioso,

mentre alle alte temperature viene rapidamente rilasciato.

Le biomasse trasferiscono in fase gas l’azoto anche a temperature relativamente basse. L’80% dell’azoto

passa allo stato gassoso durante il processo pirolitico a temperature superiori a 850-900 K

5.2 Microinquinanti organici

Le principali categorie di microinquinanti organici riscontrabili nelle emissioni da combustione di biomassa

solida sono gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e la categoria delle PCDD/PCDF

(policlorodibenzodiossine e policlorodibenzofurani).

Gli IPA hanno noti effetti negativi sull’ambiente, sulla salute umana ed animale, come tossicità evidente per

alcuni organismi acquatici ed uccelli, alta tossicità cronica per la vita acquatica, e sono contaminanti per i

raccolti agricoli. Diversi IPA sono stati classificati dalla IARC (1987) come "probabili" o "possibili cancerogeni

per l'uomo", mentre il benzo(a)pirene è stato recentemente (2008) riclassificato nel gruppo 1 come

"cancerogeno per l'uomo". Si formano in carenza di ossigeno a temperature elevate (superiori a 650°C) e a

temperatura ambiente sono composti stabili e allo stato solido. Nelle emissioni pertanto aderiscono al

particolato seguendone i coni di ricaduta.

Per “diossine” invece si intende una categoria molto ampia di composti, alla quale appunto appartengono

le policlorodibenzodiossine e i policlorodibenzofurani. Di tale categorie fanno parte diversi composti

cancerogeni. A esse vengono ascritti composti estremamente tossici per l'uomo e gli animali, arrivando a

livelli di tossicità valutabili in ng/kg.

Sono poco volatili per via del loro elevato peso molecolare, poco o nulla solubili in acqua (circa 10−4 ppm),

ma sono più solubili nei grassi (circa 500 ppm), dove tendono ad accumularsi. Proprio per la loro tendenza

ad accumularsi nei tessuti viventi, anche un'esposizione prolungata a livelli minimi può recare danni.

Rispetto agli IPA si formano a temperature più basse (200-500°C circa) in presenza di cloro e catalizzatori

metallici (soprattutto rame e ferro) e carenza di ossigeno. Sono termolabili, quindi vengono distrutte da

temperature più elevate, ma tendono a riformarsi nel successivo raffreddamento dei fumi, aderendo

anch’esse al particolato solido a temperatura ambiente. E’ per questo che i sistemi di abbattimento

specifici per i fumi provenienti dall’incenerimento di sostanze clorurate prevedono una prima fase di

termodistruzione ad elevata temperatura (>850°C) seguita da un raffreddamento veloce. In assenza di

tecnologie specifiche per il loro abbattimento, l’unico modo efficace per prevenirne la formazione è evitare

la combustione di materiali contenenti cloro.

Alcune ricerche hanno dimostrato che la presenza di zolfo nelle biomasse può inibire la formazione di

diossine. Si riporta di seguito un grafico* che mostra una correlazione significativa tra la presenza di

diossina nelle emissioni e il rapporto tra le percentuali di Cloro e Zolfo nella biomassa

*Emissions from Wood-Fired Combustion Equipment (Paul A. Beauchemin, P.EngMartin Tampier, P.Eng. -2008)

Si riportano di seguito, a titolo di esempio, due grafici riportanti il contenuto di Cloro e di Zolfo in alcune

biomasse vegetali, tratti dal Rapporto 2.1.D - Attività 2 del Progetto Renerfor / Regione Piemonte.

Si osserva come sia la % di cloro di partenza sia il rapporto Cl/S sono buoni per le essenze legnose, mentre

diventano sfavorevoli per alcune biomasse vegetali quali paglia e granelle derivate da colture cerealicole

Nel progetto presentato dal proponente, è espressa la volontà di utilizzare al 70% biomassa legnosa, di cui

si è discusso in precedenza, e al 30% biomassa vegetale proveniente da colture dedicate. La tabella 2.2 del

documento 04 allegato alla relazione di screening presentata riporta le caratteristiche medie del prodotto

Herbal Crops®:

Si osserva che il contenuto percentuale in cloro è in assoluto elevato se confrontato con quello delle altre

biomasse come riportato nelle tabelle precedenti, e il bassissimo tenore di zolfo rende il rapporto cl/S

decisamente sfavorevole (>>1). Le correlazioni poco sopra riportate forniscono i seguenti parametri:

Cl/S: 18.66

ng TEQ/m3 a 11%O2: 1.29

Si tratta di valori vicini a quelli individuati dalla Provincia di Treviso e dall’ARPAV _DAP di Treviso nel suo

studio “Impianti di combustione a scarti di legno: controllo tecnico-analitico delle emissioni prodotte e

raffronto con il quadro normativo di settore” per la combustione di legno trattato – Rapporto Conclusivo”

per la combustione di legno trattato (1.8 ng TEQ/m3 a 11%O2)

Per tale motivo si è deciso di esaminare, nello studio delle ricadute, anche le emissioni di PCDD/PCDF con

concentrazione in uscita cautelativamente posta a 1.8 ng TEQ/m3 a 11%O2. Tale valore è stato deciso in

virtù del fatto che quelli riportati per l’Herbal Crops® sono valori medi, e nello studio delle ricadute

risultano evidenti le differenze di impatto tra una configurazione “solo biomassa” e una “solo Herbal

Crops”, assunta come scenario limite.

Le considerazioni indotte dall’analisi dell’ Herbal Crops® introducono un punto particolarmente importante

ad opinione dello scrivente: l’utilizzo di prodotti diversi dalla biomassa legnosa per la quota del 30%

concessa all’utilizzo di prodotti agricoli dedicati pone il problema della natura di questi prodotti, spesso

molto diversa da quella del restante 70% e potenzialmente correlabile a variazioni anche molto significative

dei fattori emissivi dell’impianto. Non è inoltre chiaro se le percentuali di utilizzo previste dall’art. 2 della

determinazione n. 124/2014 si riferiscano ad un rapporto istantaneo di alimentazione, o a quantitativi medi

annui. Nel primo caso emergono problemi di gestione della stagionalità del prodotto (vedi Parte II, punto

4.2), nel secondo gli scenari emissivi potrebbero avvicinarsi allo scenario limite di cui sopra.

Per quanto da un punto di vista esclusivamente normativo non vi siano estremi per impedire o vietare

l’utilizzo di tali prodotti, si ritiene che una configurazione a solo cippato possa avere notevoli effetti

positivi in termini di ricadute emissive in generale e in particolare di microinquinanti organici.

In alternativa, dovrebbe essere chiarito il tipo di rapporto di alimentazione previsto, e le eventuali

variazioni di questi prodotti dedicati dovrebbero essere oggetto di valutazione preventiva da parte della

competente Provincia Autonoma di Trento al fine di stabilirne la sostanzialità o meno e l’eventuale

necessità di intervenire sui monitoraggi in atto.

5.3 Polveri e metalli pesanti

A valle di un processo di combustione si evidenzia la produzione di due principali tipologie di particolato

solido: un residuo inorganico, dato dalle impurezze presenti nei combustibili o formatosi nella reazione

stessa di combustione, e una frazione costituita da particelle carboniose, e agglomerati organici in misura

strettamente connessa alla qualità della combustione. In funzione del tipo di combustibile e modalità di

combustione tali residui si ripartiscono tra le ceneri di fondo, raccolte sotto la camera di combustione e

smaltite come rifiuto, e le ceneri leggere o volanti che, trascinate con i gas di combustione, costituiscono le

cosiddette “polveri” presenti nelle emissioni.

Nel caso dei combustibili solidi e in particolare biomasse solide, può verificarsi il trascinamento nei fumi di

una parte anche molto significativa delle ceneri e, a sua volta, una parte rilevante di queste può essere

costituita da polveri inalabili sottili (PM10) e ultrasottili (PM2.5, PM1). Difatti l’’emissione di particolato

sottile e ultrasottile, con dimensioni inferiori a 1 micron, rappresenta uno dei principali problemi inerenti gli

impatti ambientali di questo tipo di impianti.

Non vi sono in letteratura molti studi che riportano dati di emissioni di polveri fini e ultrafini da impianti di

media potenza alimentati a biomassa legnosa, principalmente per motivi di validazione e complessità dei

metodi di misura necessari. Una ricerca condotta in Finlandia (Sippula O, J Hokkinen, H Puustinen, P

YliPirilä, J Jokiniemi. Comparison of particle emissions from small heavy fuel oil and wood-fired boilers.

Atmospheric Environment 2009;43(32):4855-4864) su un gruppo di quattro impianti di combustione a

biomassa legnosa costituita da segatura, cortecce e cippato di legno da attività forestali, adibiti a

teleriscaldamento e di potenzialità variabile da 5 a 15 MW, e pertanto paragonabile a quella dell’impianto

in esame, ha confrontato i loro livelli emissivi di polveri ultrafini (PM1) con quelli di tre impianti a olio

combustibile pesante di simile potenza termica.

Tre degli impianti a biomassa utilizzavano una tecnologia di combustione a forno rotante, con trattamento

a multiciclone abbinato in un caso a scubber umido e nei restanti due a filtro elettrostatico. Il quarto

impianto invece utilizzava una tecnologia moto diversa, con gassificazione della biomassa e successiva

combustione del gas prodotto, seguita da un semplice abbattitore a multiciclone, I fattori d’emissione delle

PM1 dopo il trattamento fumi nei tre impianti a forno rotante erano 31, 6 e 4 mg/MJ e 13 mg/MJ nel

gassificatore. I tre impianti di teleriscaldamento alimentati a olio combustibile (da 4 a 7 MWt), senza

nessun trattamento fumi, hanno invece evidenziato un fattore d’emissione di PM1, pari rispettivamente a

5,0 - 8,3 e 4,1 mg/MJ: se si considera che questi valori sono del tutto confrontabili e in un caso addirittura

molto inferiori ai primi, risulta evidente la produzione significativamente maggiore di PM1 negli impianti a

biomassa rispetto a quelli a olio combustibile.

La minore emissione di polveri fini da impianti a olio combustibile, rispetto a caldaie a legna, è stato

evidenziato anche in un altri studi condotti su caldaie a legna e a pellet.

E’ infine importante sottolineare che, per effetto di fenomeni di volatilizzazione e di condensazione sul

particolato fine ad elevata superficie specifica, i composti tossici più volatili quali arsenico, piombo e

cadmio si concentrano nelle ceneri leggere, costituite da materiale di piccola granulometria. Il mercurio

eventualmente presente, invece, in virtù della propria elevata volatilità e di quella dei suoi composti, viene

emesso in forma totalmente gassosa.

Il sopra citato studio condotto da Provincia di Treviso e ARPAV_DAP di Treviso riporta nella seguente

tabella i valori medi, minimi e massimi di polveri e metalli riscontrati analiticamente nel set di impianti di

combustione valutato.

Di seguito, dalla medesima fonte, si riporta il grafico che evidenzia la percentuale di PM10 sul totale per

ogni impianto analizzato:

Si fornisce infine, a titolo di esempio, una tabella riportante il contenuto di alcuni metalli pesanti in due

combustibili (mg/Kg combustibile)

[Obernberg e Thek, 2004]

6 - Emissioni in atmosfera – limiti autorizzati

L’impianto è stato autorizzato alle emissioni in atmosfera con Determinazione del Dirigente del Servizio

Autorizzazioni e Valutazioni Ambientali della Provincia Autonoma di Trento n. 17 del 21 maggio 2014.

Nella tabella di seguito riportata sono espressi nella seconda e nella terza colonna i limiti imposti

all’emissione principale E1/1: si tratta dei valori previsti dal T.U.L.P. (Testo Unico delle leggi provinciali in

materia di tutela dell’Ambiente dagli inquinanti di cui al D.P.G.P. di Trento 26.1.1987 n. 1-41/Legisl ) ,

integrati e sostituiti da quelli più restrittivi contenuti nell’allegato 1 alla parte V del D.Lgs 152/2006 e s.m.i. ;

nella quarta colonna invece, sono riportati i limiti che l’azienda intende traguardare per poter usufruire

degli incentivi previsti dal D.M. 6/7/2012 “Incentivi per energia da fonti rinnovabili” –

A questo proposito si sottolinea come non siano giustificabili i valori previsti in flusso di massa desunti

applicando i limiti in concentrazione del T.U.L.P. di Trento: l’applicazione del criterio dei limiti più restrittivi,

correttamente proposto per i valori di concentrazione, avrebbe dovuto essere coerentemente riproposto

anche per i flussi di massa. Viceversa, risultano dei flussi di massa autorizzati molto maggiori di quelli

ottenibili anche solo a partire dai valori della prima colonna, che sarebbero:

SOx: 6 kg/h

Polveri: 0.45 Kg/h

Ammoniaca: 0,27 Kg/h

Formaldeide: 0,028 Kg/h

La differenza risulta particolarmente marcata ed evidente per polveri e SOx. Lo scrivente ritiene che tali

valori vadano corretti: l’imposizione di limiti in flusso di massa in aggiunta a quelli in concentrazione ha

infatti lo scopo di “fissare” nel sistema autorizzativo il valore di portata nominale, per impedire che le

concentrazioni limite siano traguardate attraverso la diluizione del flusso gassoso. In questo caso però tale

operazione non avrebbe alcun senso, in quanto le concentrazioni effettive da confrontare con il valore

limite vengono normalizzate al tenore di ossigeno di riferimento, e la rilevazione dell’ossigeno

effettivamente presente viene effettuata sul medesimo flusso di gas campione. Un’ipotetica introduzione di

aria falsa a valle del sistema di combustione, o un elevato eccesso di aria comburente in camera di

combustione effettuati per abbassare le concentrazioni misurate avrebbe come immediato effetto

l’aumento del valore reale di ossigeno misurato dei fumi e il conseguente aumento del fattore correttivo da

applicare secondo la formula prevista dall’art. 271 del D.Lgs 152/06: E= ((21-O2)/(21-O2m))x Em

Inoltre non è chiaro il motivo per cui tra i parametri autorizzati è presente la formaldeide: per quanto si

ritene positiva a prescindere la valenza di un suo controllo nelle emissioni, si sottolinea che non si tratta di

una sostanza caratteristicamente prodotta dalla combustione di legno vergine, e sarebbe ipotizzabile una

sua presenza solo nel caso in cui venisse utilizzato legno trattato con prodotti a base formaldeide in camera

di combustione

Per quanto riguarda l’emissione E1/2, è prevista l’attivazione di questo camino di by-pass nelle condizioni

operative che potrebbero arrecare danno alle maniche del sistema filtrante, e quindi in fase di avviamento

o di malfunzionamento del sistema di combustione. Si tratta di una categoria di punti di emissione

particolare, in quanto svolge funzioni sia di “camino di emergenza”, sia di punto di emissione adibito a

particolari fasi del processo che non si possono definire emergenziali, quali appunto le fasi di avviamento,

ma che sono comunque difficilmente regolamentabili secondo i normali criteri utilizzati per un camino di

processo.

Sul condotto fumi in ingresso al filtro è prevista la presenza di una valvola a due vie utile a far bypassare ai

fumi il filtro a maniche nelle seguenti condizioni:

- temperature dei fumi troppo elevate (oltre i 190°C), che potrebbero compromettere l’integrità delle

maniche

- temperature dei fumi troppo basse (inferiori a 130°C circa), in modo da evitare la condensa di parte del

vapor acqueo sulle maniche del filtro con relativo crollo della relativa efficienza.

In caso di attivazione del bypass, gli unici sistemi di abbattimento che continuerebbero a funzionare sono

l’SNCR e il primo stadio di filtrazione multiciclone.

L’ambiguità della natura di questo punto di emissione ha indotto l’Ente autorizzante a voler imporre al

punto 1.e dei valori limite anche a questo camino, nonostante l’impossibilità di prescrivere controlli

programmati e quindi di fatto di accertare il loro effettivo rispetto o meno. Inoltre questi limiti non

possono essere intesi come strumento di contenimento dei livelli emissivi, posta la configurazione degli

abbattimenti con by-pass attivo sopra descritta, ma come mera fotografia delle emissioni tal quali del

sistema di combustione. Infatti il sistema non riuscirebbe ad avere alcun controllo sulle emissioni finali di

SO2, dal momento che l’azione della calce idrata è inefficace in assenza del filtro a valle, e in buona misura

anche delle polveri. A questo proposito risulta imprecisa l’indicazione della neutralizzazione con calce tra

gli abbattimenti attivi nell’emissione via bypass della tabella di pag 9 della suddetta autorizzazione.

Viceversa non dovrebbe manifestarsi alcun effetto negativo sulle emissioni di NOx

Questo fatto, di per sé inevitabile e accettabile in caso di dispositivi di emergenza “puri”, con rischio di

attivazione molto basso (es: apertura valvola di sicurezza per sovrappressione in un condotto), diventa

insostenibile quando le attivazioni del by-pass diventano non solo frequenti ma anche legate alla normale

operatività del processo. Si consideri infatti che, prendendo ad esempio le polveri, a parità di portata il

flusso di massa emesso in un’ora di bypass attivo risulterebbe venti volte maggiore di quello emesso in

marcia regolare. Il che significa che per le polveri un’ora di attivazione del bypass conta come venti ore di

normale processo. Per gli ossidi di zolfo questo rapporto sale a 39 ore di normale funzionamento.

Si evidenziano pertanto le seguenti criticità:

1. non sono identificati i problemi impiantistici alla base delle possibili attivazioni, e manca una

relativa valutazione dei periodi di funzionamento con bypass attivato

2. questi stessi periodi di funzionamento non vengono in alcun modo limitati, e non sono fatti oggetto

di alcuna prescrizione se non l’obbligo di comunicazione e un generico richiamo all’adozione degli

accorgimenti utili a garantire il “massimo contenimento delle emissioni”

3. Andrebbe inserita una procedura che consenta eventualmente un numero limitato di ore di

funzionamento dell’impianto con bypass aperto, al termine del quale va sospesa o comunque

ridotta la minimo tecnico l’alimentazione di biomassa alla camera di combustione.

4. Come alternativa preferibile rispetto al punto 3, l’impianto andrebbe dotato di un sistema

filtrante ausiliario sulla condotta di by-pass, in grado di garantire l’abbattimento delle polveri a

valori prestabiliti e di dare efficacia all’azione della calce idrata nell’abbattimento degli ossidi di

zolfo.

5. Va previso un sistema di registrazione automatico delle attivazioni del bypass

7 - Confronto emissivo ante-operam e post-operam

Si riporta di seguito l’attuale scenario emissivo della ditta Menz&Gasser:

L'attivazione del cogeneratore a biomassa comporterebbe la cessazione del funzionamento dei due

generatori di vapore M9 e M11. La seguente tabella riassume indicativamente i flussi annui emessi di NOx,

SOx e CO calcolati a partire dalle concentrazioni medie di cui sopra per gli impianti esistenti, e di quelle che

l’azienda intende traguardare (quarta colonna della tabella sui valori limite) per il nuovo cogeneratore a

biomassa. A livello puramente indicativo è stato ipotizzato un funzionamento di tutti gli impianti pari a 24

ore al giorno per 220 giorni all’anno. Si sottolinea come queste scelte fatte siano particolarmente

cautelative per l’azienda, sia nella scelta dei valori limite più bassi traguardabili (a testimoniare le migliori

performance ambientali raggiungibili), sia nella valutazione dell’operatività massima dei cogeneratori

esistenti: una loro operatività inferiore farebbe “pesare” infatti di più l’introduzione del nuovo

cogeneratore a biomassa nel bilancio emissivo.

NOx (t/anno) SO2 (t/anno) CO (t/anno)

Nuovo cogeneratore a Biomassa 11,88 11,88 11,88

Cogeneratore esistente a biogas 4,71 0,71 0,87

Cogeneratore esistente a metano 4,05 0,21 25,60

M9 0,91 0,00 0,03

M11 0,59 0,00 0,02

Configurazione attuale 10,26 0,92 26,51

Configurazione futura 20,64 12,80 38,35

Percentuale aumento % 101,15 1291,32 44,64

Si osserva come si abbia un forte incremento delle emissioni di ossidi di zolfo, un aumento moderatamente

significativo delle emissioni di CO e un sostanziale raddoppio di quelle di ossi di azoto. Quest’ultimo fatto

assume un significato particolare alla luce delle considerazioni che vedremo più avanti in termini di

rapporto con l criticità e le esigenze evidenziate dal Piano di Tutela della Qualità dell’Aria

Inoltre, va sottolineato l’incremento delle polveri e l’introduzione di nuove categorie di inquinanti, vale a

dire quei microinquinanti organici e metalli che abbiamo visto essere caratteristicamente emessi dalla

combustione di biomassa e che sono invece presumibilmente assenti nelle attuali emissioni.

PARTE II – ANALISI DELLA DOCUMENTAZIONE DI SCREENING VIA E VALUTAZIONE DEGLI IMPATTI

1 - Premessa

Gli estensori della verifica di VIA hanno redatto l’elaborato di screening in conformità con le linee guida di

applicazione della legge provinciale trentina in materia di VIA.

Risultano sufficientemente argomentati sia l’inquadramento dell’impianto nella programmazione,

pianificazione e normativa ambientale vigente, sia la parte relativa le informazioni utilizzate per eseguire la

valutazione degli effetti possibili sull’ambiente e le misure adottate per ottimizzare l’inserimento dell’opera

nel territorio.

Di seguito si espongono alcune considerazioni emerse dalla lettura degli elaborati progettuali.

2 - Impatti sulla qualità dell’aria nella zona di interesse - NOx e Polveri

Il comune di Novaledo è situato nella Valsugana, all’incirca a metà strada tra Borgo di Valsugana e Levico

Terme. La geografia della valle è dominata dallo scorrere del fiume Brenta, che nasce dai laghi di Levico e di

Caldonazzo, e prosegue in direzione est, per poi sfociare nel mare Adriatico. Importante è anche il corso del

torrente Fersina, che passando per Pergine Valsugana si getta poi nel fiume Adige nella città di Trento. Il

bacino del Brenta è separato da quello del Fersina dalla Sella di Pergine.

Dal punto di vista orografico, la vallata è racchiusa da due catene montuose:

• a nord dalla catena del Lagorai, che la separa dalla Valle di Fiemme;

• a sud dalla catena Cima XII-Ortigara, che la separa dalla Provincia di Vicenza.

L’orografia tipicamente alpina della vallata presenta dunque caratteristiche che possono influenzare

pesantemente la dispersione di sostanze inquinanti da una sorgente puntiforme. I fenomeni dispersivi

sono infatti determinati , oltre che dalla concentrazione iniziale, dalla velocità e dall’altezza di uscita dal

camino, anche dalle condizioni di trasporto nell’atmosfera, nonché da fenomeni di rimozione e

trasformazione chimica. Ad esempio possono manifestarsi marcati fenomeni di inversione termica che

rallentano la dispersione de gli inquinanti emessi concentrandoli nel fondovalle.

Si parla di inversione termica quando il normale andamento di diminuzione della temperatura dell’aria con

l’aumentare della quota (circa 0,6 °C in meno ogni 100 m di innalzamento) viene invertito e la temperatura,

invece che diminuire, aumenta; Questa condizione genera una stratificazione dell’aria rallentando i moti di

rimescolamento che tenderebbero, in condizioni normali, a far scendere l’aria fredda, più densa e pesante

di quella calda, e far salire quest’ultima. Quando la temperatura aumenta con la quota già a partire dal

suolo e continua ad aumentare nello strato sopra ad esso, si parla di inversione al suolo. Questo tipo di

inversione si forma per: l’accumulo e/o il ristagno di aria fredda , confluisce e/o si deposita nei bassi strati e

nei fondovalle formando le brezze di monte, situazione frequente in quasi tutte le valli alpine e nelle zone

caratterizzate avvallamenti e concavità del terreno, come gli altopiani prealpini di origine carsica. Altro

motivo di formazione è dato dal raffreddamento per perdita di calore notturna, che avviene specialmente

durante le notti invernali con cielo sereno e ancor più con suolo innevato, il quale, perdendo energia, si

raffredda e raffredda l’aria a suo diretto contatto. Questi meccanismi sono più efficaci quando il vento è

debole o assente e sono favoriti nelle valli più in ombra, e inoltre possono agire contemporaneamente,

rafforzando il fenomeno. Le inversioni al suolo sono pertanto più frequenti e intense durante la stagione

autunno-invernale, e possono persistere nei fondovalle per molti giorni, anche e soprattutto se in quota le

temperature tendono ad aumentare e se vi è assenza di venti forti.

Il particolare orientamento est-ovest della Valsugana rende particolarmente importanti questi fenomeni di

inversione, a motivo di una circolazione dei venti tendenzialmente scarsa rispetto a quella che si registra in

altre vallate alpine con orientamento nord-sud, interessate dall’arrivo periodico di masse di aria fredda

provenienti da nord che ne “ripuliscono” l’aria. Questo fa sì che la qualità di quest’ultima rimanga scadente

anche quando, in zone limitrofe, le concentrazioni di sostanze inquinanti diminuiscono sensibilmente.

Questa considerazione trova conferme nelle rilevazioni fatte da APPA Trento nella stazione di rilevamento

di Borgo Valsugana (classificazione BU: background in zona urbana):

Si osservi come sia in termini di concentrazioni rilevate sia in termini di numero annuo di superamenti dei

valori limite della qualità dell’aria, la centralina di Borgo Valsugana ha fornito dati spesso confrontabili e

addirittura superiori a quelli di Trento Nord, situata in una zona di urbanizzazione ben maggiore, a riprova

di quanto possono influire le condizioni meteoclimatiche e orografiche nei fenomeni dispersivi. Anche il

Piano Provinciale di Tutela della Qualità dell’Aria elaborato dalla Provincia Autonoma di Trento e Agenzia

Provinciale per la Protezione dell’Ambiente (APPA Trento) in collaborazione con l’università di Trento e

adottato nel 2007, descrive per tale centralina una situazione caratterizzata da valori debolmente oscillanti

giornalmente, con andamento settimanale pressochè costante ma con una marcata diminuzione nei mesi

estivi rispetto a quelli invernali.

Già dai dati rilevati nel periodo 2000- 2005 si erano registrati nella valle superamenti dei valori limite della

qualità dell’aria per NOx e PM10, motivo per cui il Comune di Novaledo era stato fatto rientrare nella zona

A di risanamento. Con Delibera n. 1036 del 2011 la Provincia di Trento ha quindi dato attuazione al D.Lgs

155/2010, ri-suddividendo il territorio in tre macro-zone: due riferite agli inquinanti: biossido di azoto,

polveri sottili (PM10 e PM2.5), monossido di carbonio, biossido di zolfo, benzo(a)pirene, piombo, arsenico,

cadmio, nichel (IT0403 – Zona di fondovalle con altitudine< 1500 m e IT0404 - Montagna con altitudine

>1500m) e una unica riferita all’Ozono.

Tali zone hanno ricevuto la classificazione, per ciascun inquinante, riportata nella tabella a pagina

seguente.

Il Comune di Novaledo, rientrante nella zona di fondovalle, è stato pertanto classificato UAT (Maggiore

della soglia di valutazione superiore, per NOX, PM10, PM2.5 sia come valori medi sulle 24 h che come valori

medi annui.

Alla luce di quanto sopra esposto, si espongono le seguenti due considerazioni.

La prima è relativa al fatto che il richiedente ha allegato alla documentazione per lo screening di VIA i

risultati di una simulazione effettuata con il programma Main Model Suite, WINdImula 3.0, un codice

meteodiffusivo che si basa principalmente sulla soluzione analitica gaussiana dell'equazione di diffusione di

inquinanti in atmosfera. Le ipotesi di validità della soluzione gaussiana principalmente sono:

• stazionarietà meteorologica

• l'omogeneità sia meteorologica che geografica del dominio di calcolo, condizioni che si traducono

essenzialmente nelle seguenti ipotesi operative:

o orografia piana (o gradualmente variabile)

o intensità e direzione del vento costanti nello spazio per ogni intervallo di tempo simulato

o sviluppo spazialmente omogeneo della turbolenza

o chiusura al primo ordine della turbolenza

In WinDIMULA è stato introdotto un modello per la trattazione delle calme di vento che sono escluse dalle

ipotesi della soluzione gaussiana. Il modello tiene conto di alcune opzioni avanzate della trattazione

gaussiana:

• trattamento di terreno complesso

• possibilità di calcolo di concentrazioni in corrispondenza di recettori 'discreti' anche non a livello del

suolo

• calcolo dei flussi di deposizione secca ed umida degli inquinanti (effetto di assorbimento e della

sedimentazione gravitazionale)

Per quanto la validità della suite usata sia riconosciuta ai fini di uno screening ambientale, si ritiene che

le citate caratteristiche non siano pienamente idonee al dominio di studio, caratterizzato da un’orografia

complessa e terreno non pianeggiante. Nello studio modellistico che accompagna la presente relazione si è

pertanto optato per un modello CALMET/CALPUFF, suggerito da US-EPA. Le caratteristiche di questa suite

modellistica verranno diffusamente spiegate nella relazione allegata; in sintesi si tratta di un modello

meteorologico (CALMET) in grado di ricostruire la meteorologia 3D considerando sia le misure che gli effetti

orografici, abbinato ad un modello di dispersione non stazionario (CALPUFF) in grado di tenere conto degli

effetti di casualità.

La seconda riguarda il sostanziale aumento delle emissioni di NOx e Polveri (totali, PM10 e PM2.5)

apportato dalla realizzazione del progetto in esame (Vedi: confronto emissivo Ante Operam e Post

Operam), a fronte della necessità, sancita dal Piano Provinciale di tutela della qualità dell’Aria, di operare

invece un risanamento, nella zona di fondovalle, per tali inquinanti.

Chiaramente non è pensabile l’utilizzo dello strumento pianificatorio in chiave di permesso/divieto alla

realizzazione di nuove attività produttive, la cui autorizzazione è regolata dall’applicazione di leggi

specifiche (TU ambientale) e limiti puntuali alle emissioni. Si ritiene però percorribile la via

dell’individuazione concertata tra richiedente e Amministrazioni locali di misure mitigative finalizzate

non solo al non aumento, ma possibilmente alla riduzione dell’apporto di tali inquinanti in atmosfera.

Tali misure mitigative, come vedremo di seguito, possono avere il duplice effetto positivo sulla riduzione

della CO2: a puro titolo di esempio, si citano l’efficientamento dei sistemi domestici di produzione calore ed

energia, lo studio con idonei modelli dell’apporto inquinante dato dal traffico veicolare e l’individuazione di

misure atte ad eliminarne una quota parte.

3 - Impatti sul bilancio CO2 e altri gas clima-alteranti

L’intervento ha l’obbiettivo di produrre energia e calore (vapore), da cedere alla Menz&Gasser S.p.A

partendo da biomasse solide in sostituzione di combustibili fossili quali il gas metano. I progettisti

dichiarano più volte negli elaborati progettuali che “utilizzare come combustibile biomasse vegetali solide

dedicate, contribuisce a ridurre l’effetto serra, in quanto il biossido di Carbonio (CO2) rilasciato durante la

combustione si può considerare riassorbito dalle piante stesse durante la loro crescita grazie alla fotosintesi

clorofilliana; inoltre essendo questa biomassa priva di zolfo fa si che, quando utilizzato in sostituzione del

carbone o dell’olio combustibile, contribuisca ad alleviare il fenomeno delle piogge acide.” In merito a tale

affermazione si evidenziano alcune lacune. Si ricorda infatti che ogni essere vegetale oltre che ad un ciclo

fotosintetico di sintesi (solo di giorno e nel periodo vegetativo) del glucosio e di altri derivati polisaccaridi,

presenta anche un ciclo opposto ossidativo che si chiama respirazione cellulare (di giorno e di notte tutto

l'anno) dei prodotti fotosintetici utilizzati appunto come nutrimento dalle piante stesse. E’ vero che il

bilancio complessivo dei flussi di O2 e CO2 da e verso l'ambiente esterno è comunque a favore della

fotosintesi ovvero la pianta si comporta come un assorbitore di carbonio piuttosto che come una 'sorgente'

(emettitore) verso l'ambiente esterno di carbonio ma nel caso in questione risulta necessario fare un serio

bilancio della CO2 organicata per poter affermare che vi sia un benefico in termini generali, ed inoltre si

evidenzia che nulla si dice del contributo delle emissioni dal traffico veicolare indotto per e da l’impianto.

Inoltre la neutralità dei biocombustibili nei bilanci dei gas clima-alteranti è solo presunta. A questo riguardo

va segnalato che in letteratura sono rare le valutazioni delle emissioni di gas metano da impianti a

biomasse. Una di queste, contenuta nello studio:“Johansson LS, B Leckner, L Gustavsson, D Cooper, C Tullin,

A Potter. Emission charac- teristics of modern and old-type residential boilers fired with wood logs and

wood pellets. Atmospheric Environment 2004;38(25):4183-4195.” riporta che “il metano, in impianti

domestici alimentati con biomasse è risultato sempre presente, anche a concentrazioni rilevanti: 0,95

mg/MJ è il fattore di emissione di metano trovato nei fumi del migliore impianto a biomasse testato e valori

compresi tra 610 e 4.800 mg/MJ sono stati trovati nei fumi delle caldaie a legna di tipo tradizionale. Poiché

il metano ha un effetto clima alterante dieci volte maggiore della CO2, l’affermazione che l’uso di biomasse

a scopi energetici debba essere incentivata per ridurre le emissioni di gas clima-alteranti, deve essere fatta

con cautela e con le opportune verifiche” (Federico Valerio - WWW.EPIPREV.IT gennaio-febbraio 2012

Impatti ambientali e sanitari prodotti dalla combustione di biomasse legnose per la produzione di calore ed

elettricità)

Oltre al bilancio della CO2, per avere quindi un quadro più esaustivo delle emissioni clima-alteranti della

centrale in questione, sarebbe pertanto auspicabile una periodica verifica della frazione metanica

emessa, per quanto recenti sentenze escludano il suo contributo dalla valutazione del limite imposto al

carbonio organico totale nelle emissioni .

Le emissioni in atmosfera derivanti dalla combustione di materiale organico per produrre energia e calore

con soprattutto in termini di NOX, SOX, CO e CO2 sono generalmente superiori a quelle prodotte da una

centrale turbogas di pari potenzialità alimentata a gas metano.

L’inventario delle emissioni inquinanti elaborato periodicamente dal Programma europeo di valutazione e

monitoraggio(EMEP), pubblicato dall’Agenzia europea per l’ambiente, riporta nella sua edizione del 2009 i

fattori di emissione da impianti di cogenerazione alimentati, rispettivamente, con legna vergine e gas

naturale, riproposti nella tabella seguente.

Si tratta di valori stimati con la procedura Tier 2 che utilizza fattori di emissione sviluppati in base alla

conoscenza del tipo di processo in uso nei Paesi delle cui emissioni cui si vuole elaborare l’inventario.

I fattori emissivi sopra riportati sono riferiti a un Giga Joule (GJ) d’energia complessivamente prodotta da

impianti di cogenerazione, per consentire un corretto confronto tra combustibili con potere calorifico

molto diverso, quali la legna secca (15 MJ/kg) e il metano (47 MJ/kg).

Tali valori fanno riferimento a impianti con potenze superiori a 50MW termici, con combustori a letto

trascinato secco e dotati dei sistemi di trattamento fumi più comuni nei Paesi dell’Unione europea (filtri

elettrostatici, abbattitori a umido, filtri a maniche e multicicloni). Si tratta di dunque di impianti di

dimensioni maggiori di quello in esame, e pertanto i valori numerici assumono un ruolo puramente

indicativo della differenza tra i livelli emissivi dati dai due combustibili utilizzati.

Si noti come mediamente, a parità di energia elettrica e termica prodotta, un impianto alimentato a gas

naturale produca, per tutti gli inquinanti riportati, un inquinamento atmosferico nettamente inferiore a

quello prodotto da un impianto alimentato con biomasse legnose vergini, e in particolare una centrale a

biomasse legnose immette in atmosfera una quantità di polveri ultrafini (PM2,5) tredici volte maggiore di

quanto ne produca una centrale alimentata con gas naturale.

Risulta rilevante anche la differenza nelle emissioni di diossine e furani (PCDD/F) è notevole: una centrale a

biomasse mediamente ne emette cento volte di più di una alimentata a gas naturale.

Alla luce di ciò, e sulla base delle considerazioni fatte al punto precedente, sarebbe pertanto opportuno

approfondire i seguenti aspetti:

o Eseguire un bilancio completo della CO2 immessa in ambiente (t/anno) dal nuovo impianto

di cogenerazione e dal traffico veicolare indotto (trasporti della biomassa)

o Elaborare, sulla base di detto bilancio, una valutazione relativa al numero di piante

necessarie per abbattere completamente l’immissione di nuova CO2, o al numero di veicoli

circolanti da eliminare giornalmente, considerazioni queste propedeutiche a eventuali

proposte mitigative come ad esempio:

� creazione di un nuovo bosco In generale ed in linea teorica una pianta d’altro

fusto autoctona, alle nostre latitudini e condizioni meteo-climatiche è in grado di

organicare circa 46 kg anno di CO2/anno.

� realizzazione di nuove piste ciclabili.

� Implementazione di sistemi di teleriscaldamento (verificando la potenzialità

termica ed il calore residuo) spegnendo ulteriori impianti energetici attualmente

in funzione nelle vicinanze che utilizzino combustibili fossili.

Si noti come alcune di queste proposte mitigative possono produrre effetti benefici anche in termini di

risanamento della qualità dell’aria per NOx e Polveri, come discusso al paragrafo precedente.

4 – Altri impatti

4.1 Impatti odorigeni

L’area di deposito della biomassa vegetale solida è collocata esternamente all’edificio del cogeneratore ed

è provvista di apposita pavimentazione e sotto tettoia e quindi, a detta dei progettisti, protetta dall’azione

degli eventi meteorologici. Per quanto concerne la formazione di emissioni odorigene gli estensori della

relazione ambientale affermano che essendo lo stoccaggio in ambiente coperto viene scongiurata qualsiasi

problematica di fermentazione. A tal proposito si ritiene che la sola presenza di una tettoia non sia

sufficiente per affermare che non vi saranno emissioni odorigene dovute alla degradazione anaerobica in

particolare per l’Herbal Crops , data la sua significativa % di umidità (media 25%, massimo 40%). Piuttosto

sarebbe opportuno capire e conoscere le modalità gestionali dei cumuli della biomassa, come ad

esempio stabilire i tempi di stoccaggio e la necessità di eventuali rivoltamenti , dando precedenza alla

combustione dei materiali vegetali suscettibili di degradazione anaerobica. Anche questo particolare

aspetto verrebbe in gran parte superato dall’abbandono da parte del richiedente dell’utilizzo di prodotti

agricoli dedicati (Herbal Crops o simili) a favore del solo cippato di legno vergine.

4.2 Impatti sull’ambiente antropico

Risultano necessarie le stipule dei contratti di filiera con gli agricoltori locali e le associazioni di categoria

per la produzione ad esempio dell’Herbal Crops per le superficie necessaria (190 a 230 ha) a garantire un

adeguato conferimento della materia prima. La stipula dei contratti di filiera con gli imprenditori agricoli

locali salvaguarda diversi aspetti sia ambientali sia economico-sociali come ad esempio: la produzione

locale, minimizzazione dei trasporti e mantenimento dell’occupazione. Dalla lettura della documentazione

non risulta comunque chiaro come la ditta intenda gestire la stagionalità della produzione dell’Herbal Crops

che sostanzialmente è una varietà di Sorgo (raccolta da luglio a settembre). Tale problema si riflette sia

sulle percentuali di utilizzo in combustione, sia sui problemi di eventuali impatti odorigeni, e valgono

quindi le considerazioni fatte al punto precedente.

4.3 Impatto acustico

E’ stata eseguita da tecnico competente in acustica la valutazione previsionale d’impatto acustico che

sostanzialmente conclude affermando che l’insieme delle fonti di pressione sonora del cogeneratore e del

traffico indotto dall’attività rispetteranno i limiti normativi di emissione sia diurni che notturni. Il modello

mette in luce però alcuni superamenti imputabili alla realtà ambientale esistente che vede la presenza di

una ferrovia e di area produttiva. Sarebbe opportuno che a lavori ultimati e con attività a regime venga

condotta una campagna di monitoraggio acustico per la verifica dei livelli di emissione prodotta

dall’attività nel suo complesso rispetto ai recettori residenziali maggiormente esposti. In caso di

superamento dei valori normativi devono essere adottati accorgimenti per ricondurre i valori entro i

limiti di legge. Copia delle risultanze dovrebbero essere inviate a Provincia, Comune e APPA.

5 - Considerazioni e suggerimenti

5.1 Rimessa in pristino dei luoghi

Non risulta evidente se gli elaborati approvati prevedano anche le misure di rimessa in pristino dei luoghi,

obbligo previsto dal D.lgs 387/2003 comma 4, e se sia sta stipulata una adeguata polizza fideiussoria.

5.2 Trasparenza dei risultati dei monitoraggi ambientali

Nell’ottica della pubblicizzazione delle perfomance ambientali dell’azienda sarebbe importante la

trasmissione online ad APPA dei dati ottenuti con i sistemi di monitoraggio in continuo. Inoltre sarebbe

interessante proporre comunque la pubblicazione periodica sul sito internet della società di una sintesi

dei monitoraggi ambientali effettuati, con libero accesso di consultazione da parte di cittadini,

associazioni, amministrazioni pubbliche.

5.3 Valutazione di incidenza ambientale

Il d.lgs 152/06 prevede che nel procedimento di verifica di VIA la documentazione relativa alla procedura di

Valutazione di incidenza ambientale sui siti Natura 2000 ( VINCA) sia presente con un elaborato ben

distinto nella documentazione facente parte dello Studio di Impatto Ambientale o della relazione di

screening di VIA. Anche i regolamenti della Provincia Autonoma di Trento in materia riprendono tale

concetto. Nella relativa sezione del suo sito internet infatti si legge: “Nel caso in cui un impianto, opera o

intervento interessi, anche parzialmente, o possa determinare effetti su di Sito di importanza comunitaria

(SIC) e/o di una Zona di protezione speciale (ZPS) è necessario attivare la procedura di valutazione

dell'incidenza ambientale (VIncA)” …” La documentazione presentata per la procedura di verifica o di VIA

deve quindi essere accompagnata anche dalla relazione di incidenza ambientale, che costituisce un

documento autonomo rispetto a tutti gli altri La relazione deve essere sottoscritta da un professionista

laureato in discipline ambientali o forestali ed abilitato ai sensi della vigente normativa” . Nella

documentazione esaminata c'è solo un accenno in merito a due siti che distano 1,7 e 2,5 km dall'impianto,

ma manca la richiesta documentazione di valutazione. Poiché la valutazione di incidenza deve essere

presentata da un professionista abilitato rispondente a ben precisi requisiti, sembra logico supporre che

anche un eventuale valutazione di non incidenza, e quindi di attestazione della mancata necessità di

presentare i documenti richiesti, dovrebbe essere svolta da una medesima figura professionale, non

essendo le altre idonee a confermare che l’opera può o meno incidere sui siti sopra richiamati.

Tale interpretazione è supportata da quanto esplicitamente regolamentato in altre regioni. Ad esempio la

regione Veneto con D.G.R. n. 3173 del 10.10.2006 recante “Criteri ed indirizzi per l’individuazione dei piani,

progetti e interventi per i quali non è necessaria la procedura di valutazione d’incidenza” ha stabilito che sia

sempre il tecnico abilitato sopra richiamato ad asseverare la non incidenza ambientale sui siti Natura 2000,

sia nell’ambito della documentazione di VIA sia per gli interventi che non rientrano in tale procedura

valutativa.

Riferimenti:

Gianni Picchi – CNR-IVALSA Valutazione qualitativa biomassa combustibile derivata da rimozione di frutteto

(pesco, Prunus persica L.)

Federico Valerio, 2012 “Impatti ambientali e sanitari prodotti dalla combustione di biomasse legnose per la

produzione di calore ed elettricità”

Maria da Graca Carvalho,F. C. Lockwood,Woodrow A Fiveland,Christos Papadopoulos, 1993 “Clean

Combustion Technologies - Part A”

Paul A. Beauchemin, P.Eng., Martin Tampier, P.Eng. Envirochem Services Inc. 2008 “Emissions from Wood-

Fired Combustion Equipment “

Politecnico Di Torino Dipartimento di Energetica ENEA UTTS Saluggia , 2011 “RENERFOR Attività 2 Rapporto

2.1.D Rassegna tecnologica”

Provincia di Treviso – ARPAV DAP di Treviso “Impianti di combustione a scarti di legno: controllo tecnico-

analitico delle emissioni prodotte e raffronto con il quadro normativo di settore - rapporto conclusivo”

Provincia Autonoma di Trento - Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente, gennaio 2011 “Tutela

della qualità dell’aria: zonizzazione della Provincia di Trento e classificazione delle zone (artt. 3, 4 e 8 del

d.lgs. n. 155 del 13 agosto 2010)”