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Periodico - Organo Ufficiale dell’Istituto Mater Boni Consilii - Loc. Carbignano, 36. 10020 VERRUA SAVOIA (TO) - Telef.: 0161/839335; Fax: 0161/839334 - C/CP 24681108 - Dir. Resp.: don Francesco Ricossa - Spedizione abb. post. Gr. IV (70) - Aut. Trib. di Ivrea n. 116 del 24-2-84 - Stampa: TECA - Torino Anno IX - Semestre II n. 3 - Ottobre - Novembre 1993 N. 35

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Periodico - Organo Ufficiale dell’Istituto Mater Boni Consilii - Loc. Carbignano, 36. 10020 VERRUASAVOIA (TO) - Telef.: 0161/839335; Fax: 0161/839334 - C/CP 24681108 - Dir. Resp.: don FrancescoRicossa - Spedizione abb. post. Gr. IV (70) - Aut. Trib. di Ivrea n. 116 del 24-2-84 - Stampa: TECA - Torino

Anno IX - Semestre II n. 3 - Ottobre - Novembre 1993 N. 35

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EditorialePreparavamo alla Cresima una ragazzina

che aveva fatto da poco la prima comunionein parrocchia (o meglio: credeva di aver fattola prima comunione...). Alla domanda:“Cos’è l’Incarnazione?”, rispose sicura e sen-za esitare: “La dottrina secondo la quale, do-po la morte, l’anima entra in un altro corpoper cominciare una nuova vita...”. La poveret-ta confondeva uno dei principali misteri dellafede cristiana, l’Incarnazione, secondo il qua-le la seconda persona della SS. Trinità si è in-carnata, con la reincarnazione o metempsico-si, assurda dottrina del lontano Oriente.

Si tratta di un caso? No certamente, poi-ché molte altre volte abbiamo constatato latotale oscurità su cosa significhi il termine“Santissima Trinità” per tanti ragazzi, gli a-dulti di domani, che pure sono catalogati co-me cristiani ed hanno fatto il catechismo(pardon: la catechesi).

Sono esempi di vita quotidiana; uno degliinnumerevoli segni dell’apostasia generaleche si diffonde sempre più nei nostri paesiex-cristiani. Una religione, la vera Religione,sembra scomparire; una nuova religione leviene sostituita.

Dal 19 al 22 settembre si è svolto aMilano il settimo incontro “Uomini e Re-ligioni”, che prolunga nel tempo quello volu-to da Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986. IlCorriere della Sera ne spiega lo spirito, ripor-tando un racconto Chassidim. Gli ebrei cispiegano che “prima della costruzione dellaTorre (di Babele) tutti i popoli avevano in

comune la lingua santa (l’ebraico natural-mente, n.d.r.), ma inoltre ciascuno aveva ilproprio dialetto. Ciò che Dio fece, quando lipunì per la loro superbia, fu di togliere lorola lingua santa”. Trecento rappresentantidelle più diverse religioni, ovvero delle piùdiverse empietà verso la Religione rivelata,si sono riuniti a Milano, sotto l’ala di CarloMaria Martini, per ritrovare “la lingua santadella pace”. Fuor di parabola: le religioni sa-rebbero solo dei dialetti di una medesimalingua, diversi modi di esprimere la stessaverità. Qual’è questa “verità”, questo lin-guaggio comune? La pace, la falsa pace de-nunciata dai Profeti? O “il Nulla”, invocatodai buddisti che tanto piacciono al “card.”Martini? “Un monaco buddista tornerà ilmese prossimo a Milano per parlare dellasua preghiera al nulla nell’ambito dellaCattedra dei non credenti” (Repubblica, 18settembre 1993, p. 7). Il Nulla è veramente il“dio” di questa nuova religione, come dice il“cardinal” Martini: “Che da Milano parta unmessaggio internazionale per la promozionedei valori supremi, per la pace che nel suosenso più pieno è definita dal termine ebrai-co shalom. Questi incontri interreligiosi chesono i più importanti del mondo, sono fon-dati sulla preghiera. Unite, tutte le religionidel mondo chiedono la pace pregando, cia-scuna secondo la sua mentalità. Ci sono an-che religioni che non parlano di Dio.Pregano anche persone che non credono inDio” (ibidem). Andate a leggere a pagina16-17 l’articolo che “Sodalitium” dedica allarivista para-massonica Ars Regia per quelche riguarda i tre misticismi (panteista, ateo

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Sommario

In copertina: Papa san Pio V

Editoriale pag. 2“Il Papa del Concilio” pag. 3Antigiudaismo ed antisemitismo: origini e cause pag. 8Massimo Introvigne e la Massoneria pag. 13San Pio V, “il Papa della S. Messa” pag. 18L'umiltà pag. 33Mons. Giovanni Volpi pag. 41“I nuovi barbari. Gli Skinheads parlano” pag. 43La Via Regale pag. 47Vita dell'Istituto pag. 49

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e deista), e vi troverete la stessa dottrina diMartini (che non vediamo proprio comepossa essere un successore di sant’Am-brogio). E visto che il dio della nuova reli-gione è il Nulla, qual miglior braccio secola-re può avere che l’ateo Gorbaciov? Non èstato recentemente elogiato da K. Wojtyladurante il suo viaggio nei paesi Baltici?Proprio lui, l’uomo del K.G.B., che fece spa-rare a Vilnius? E non è stato elogiato daGiovanni Paolo II il marxismo stesso comeavente “un’anima di verità”, come se fossestato una reazione agli eccessi del capitali-smo? Mentre in realtà, come ha ricordato uneconomista non di parte cattolica, Marx con-siderava gli eccessi del capitalismo una tappadoverosa e necessaria per compiere il pas-saggio dal medioevo al comunismo.

Gorbaciov, che elogia ancora la rivolu-zione del ‘17, invitato da Martini come una“star”, coccolato dal peggiore capitalismonostrano di marca massonica o “trilateral”, èdestinato a svolgere nuovamente un ruoloimportante. La “caduta del Muro“ di Ber-lino del 1989 è stata una delle tappe verso ilnuovo ordine mondiale del quale la religionemodernista è cappellana. Il comunismo diStalin produceva martiri; il comunismo allaGorbaciov, che è rimasto al potere o ci statornando ovunque, produce apostati. Il 1989ha permesso anche lo storico accordo, stret-to tra l’Olp ed Israele, sotto il patronatoamericano. Un accordo che, in tempi brevi,sembra portare al riconoscimento di Israeleda parte vaticana. Un riconoscimento che,come tutto ciò che tocca Israele, ha una por-

tata teologica. San Pio X, ricordiamolo, ri-fiutò a suo tempo di sostenere il progettosionista dicendo che la Chiesa non può rico-noscere chi non ha riconosciuto Cristo.

Recentemente, la televisione italiana hatrasmesso un film, uno dei tanti ormai, grave-mente blasfemo nei confronti di NostroSignore Gesù Cristo. Egli è presentato, tra l’al-tro, come figlio illegittimo di un centurione ro-mano. È la versione che il Talmud degli ebreidà di Gesù. È la versione che è entrata senzaprotesta alcuna nelle case degli italiani, graziead uno Stato fondato sulla libertà religiosa.

“Non possiamo non dirci cristiani” affer-mava Benedetto Croce alludendo all’in-fluenza incancellabile del cristianesimo sullaciviltà. Oggi occorre dire che è quasi impos-sibile non dirsi massoni... o talmudisti. Ma,con la grazia di Dio, chi non vuole adorare ilNulla, il dio ecumenico dei raduni di Assisi edi Milano partorito dal Vaticano II, può an-cora farlo. Oggi, sfidando l’isolamento.Domani, forse, patendo il carcere; non sonostati incarcerati il Signore e gli apostoli?

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Tredicesima puntata: quale Concilio?

“IL PAPA DEL CONCILIO”di don Francesco Ricossa

Venticinque gennaio 1959. A soli cinquegiorni dallo storico incontro col suoSegretario di Stato, Card. Tardini, GiovanniXXIII uscì dal Vaticano alle dieci di quelladomenica mattina per recarsi, in autovettu-ra, alla Basilica di San Paolo fuori le mura.Chi gli stava vicino notò come egli mante-nesse, lungo il tragitto, un “silenzio pococonsueto”, mentre le fotografie che gli furo-no scattate al suo arrivo a San Paolo rivela-

no “un volto ansioso e tirato” (1). Pochissimi,in quel momento, potevano immaginare ilvero motivo di questo stato d’animo diRoncalli, perché pochissimi erano al corren-te dell’annuncio che sarebbe stato dato almondo: l’indizione di un Concilio Ecu-menico. Secondo l’Osservatore Romano delgiorno precedente, il Papa intendeva recarsia San Paolo per pregare in favore della“Chiesa del silenzio” oppressa dal comuni-smo. Secondo altri, invece, egli intendeva so-lamente completare la visita delle principaliBasiliche romane, dopo essersi recato solen-nemente a San Pietro, San Giovanni inLaterano e Santa Maria Maggiore. In realtà,niente di tutto questo. Per chi ignorava la

Un'immagine dell'udienza concessa il 21/09/93 aCastelgandolfo, da Giovanni Paolo II al Gran Rabbino

d'Israele Israel Meir Lau, reduce dall'incontro di Milano

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decisione presa da Giovanni XXIII, l’unicoindizio era la data: “La domenica 25 gennaiosegnava la chiusura della settimana di pre-ghiera per l’unità dei cristiani. Roncalli la ce-lebrava ogni anno sin dai tempi del suo sog-giorno in Bulgaria” (2). Il Concilio che a-vrebbe annunciato non sarebbe stato soloEcumenico, ovvero universale e non partico-lare, ma anche ecumenista...

Verso l’una, ebbe termine la funzione, e idiciassette Cardinali presenti furono convo-cati nella sala capitolare dell’abbazia bene-dettina. Molti di essi (che, a quanto pare,contavano meno di un Andreotti, il quale eraal corrente di tutto da tre giorni) erano total-mente all’oscuro delle intenzioni diGiovannni XXIII. Per questo Roncalli “inrealtà è inquieto: come reagiranno” si chiede“i Cardinali?” (1). L’allocuzione di GiovanniXXIII iniziò e si svolse fin quasi verso la finesenza la benché minima allusione al Concilio.Egli deplorò “l’abuso della libertà”, la “ricer-ca dei cosiddetti beni della terra”, l’azione diSatana, “principe delle tenebre, principe diquesto mondo”. Evocò la lotta tra le dueCittà e la necessità della “resistenza dellaChiesa e dei suoi figli agli errori”. ScriveHebblethwaite: “Questo pessimismo sulla si-tuazione del mondo - che è sprofondatonell’errore e si è lasciato agguantare daSatana - è a tal punto in netta contraddizionecon l’atteggiamento abituale di Giovanni, darichiedere spiegazioni. E la spiegazione piùsemplice è data dal fatto che questa allocu-zione aveva uno scopo ben preciso: allinearei Cardinali al suo progetto di Concilio. E perconseguire questo scopo egli riflette la loropropria visione della situazione” (3).

Solo verso la fine del discorso, GiovanniXXIII diede ai cardinali presenti il fatidicoannuncio: “Miei venerabili fratelli del colle-gio cardinalizio! Pronuncio innanzi a voi, cer-to tremando un poco di commozione ma in-sieme con umile risolutezza di proposito, ilnome e la proposta della duplice celebrazionedi un Sinodo diocesano per l’urbe e di unConcilio ecumenico per la Chiesa universale”(4). “La conseguenza ineluttabile di questedue decisioni sarà la revisione del Codice didiritto canonico, ma per quest’ultimo ci vorràtempo. Giovanni ha ragione: il nuovo Codicedi diritto canonico verrà promulgato solo il 25gennnaio 1983, venticinque anni dopo” (5).

A questo punto l’annuncio è dato. IlConcilio, inatteso, si farà. Ma... quale Con-cilio? Una prima indicazione venne dalle pa-

role conclusive dell’allocuzione ai cardinali.Giovanni XXIII chiese loro di pregare per“un buon inizio, continuazione e felice succes-so di questi propositi di forte lavoro, a lume, aedificazione e a letizia di tutto il popolo cri-stiano, ad amabile e rinnovato invito per i no-stri fratelli delle Chiese separate a parteciparecon noi a questo convito di grazia e di frater-nità, a cui tante anime anelano da tutti i puntidella terra”. A buon intenditor, poche parole:il Concilio non sarebbe stato solamente ecu-menico ma, lo ripetiamo, anche ecumenista.La versione ufficiale del discorso presenta, ri-spetto alle parole realmente pronunciate e so-pra riferite, una variante significativa: “...a rin-novato invito ai fedeli delle Comunità separa-te a seguirci in questa ricerca di unità e di gra-zia, a cui tante anime anelano da tutti i puntidella terra”. “Le modifiche non sono dappo-co” commenta Hebblethwaite segnalando i ri-tocchi in senso cattolico al discorso di Gio-vanni XXIII. “I cristiani separati non sono piùchiamati fratelli. Si riconosce loro l’apparte-nenza a comunità (cosa del resto innegabile),ma non a Chiese (termine che ha il suo pesoteologico). E, al posto di partecipare con noi aquesto convito di grazia e fraternità, essi ven-gono esortati a cercare, anzi a seguire i cattoli-ci in questa ricerca, come se non avessero al-tre possibilità” (6). Il testo corretto evidenziale scorrettezze (dottrinali) del testo da correg-gere: un caso, questo, che si ripeterà spesso apartire dal Concilio... I due testi, originale e ri-veduto, mettono altresì in rilievo la trama ditutto il periodo preparatorio al Concilio: daun lato, l’opera prudente ma risoluta diRoncalli per dirigerlo verso l’ecumenismo;dall’altro, i tentativi dei cardinali “romani” dimantenerlo nell’alveo dell’ortodossia.

Le prime reazioni all’annuncio del Concilio

Nello scorso numero di “Sodalitium” ab-biamo parlato a lungo della versione che po-tremmo chiamare mitica del Concilio e cheRoncalli cercava di accreditare: quella cioèdel Concilio come frutto di un'improvvisaquanto celestiale ispirazione dello SpiritoSanto. Conforme a questa leggenda, è la ver-sione che egli diede, nel discorso di aperturadel Concilio pronunciato l’undici ottobre1962, delle reazioni che ebbero i cardinali inoccasione dello storico annuncio del 25 gen-naio 1959: “Fu un tocco inatteso: uno spraz-zo di suprema luce: una grande soavità negliocchi e nel cuore. E insieme un fervore, un

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grande fervore destatosi improvviso in tuttoil mondo, in attesa della celebrazione delConcilio”. La realtà fu ben altra. “L’osserva-zione può essere vera, se riferita alla rispostaal Concilio nel mondo” scrive ancora Heb-blethwaite, “ma nessuno sprazzo di supremaluce era avvertibile o si poté vedere allor-quando comunicò la sua decisione ai cardi-nali il 25 gennaio 1959. Questi ultimi, comenotò lo stesso Roncalli, risposero solo conun “impressionante, devoto silenzio”. Diquesto silenzio, Giovanni XXIII “rimase de-luso amaramente” come fece capire scriven-do: “Umanamente si poteva ritenere che icardinali, dopo aver ascoltato l’allocuzione,si stringessero attorno a noi per esprimereapprovazione e auguri” (7).

Lo sconcerto non era solo dei cardinalipresenti. L’Osservatore Romano del giornoseguente, preso alla sprovvista, relegò l’an-nuncio del Concilio, sotto forma di Comu-nicato stampa della Segreteria di Stato, nellepagine interne del giornale (8). Uno dei por-porati più rappresentativi di quei tempi,Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, vennea conoscenza della convocazione del Conciliotramite la radio (!) mentre si trovava in visitapastorale ad un paesello della diocesi ligure.“L’annunzio, (...) ridusse il presule in preoc-cupato silenzio. Solo al rientro nel palazzo ar-civescovile il cardinale manifestò ai suoi se-gretari sorpresa e preoccupazione. (...) Leperplessità nascevano dal timore che le ten-denze teologiche innovatrici, sorte nell’areafrancese e tedesca dopo la guerra, insiemecon i fermenti in campo biblico, potessero svi-lupparsi sfruttando l’evento conciliare. Leprese di posizione di Pio XII contro studi e ri-cerche per una riformulazione della dottrinadella fede e per un dialogo col pensiero filo-sofico contemporaneo, irrispettoso dell’auto-rità di Roma, avevano avuto come unico ef-

fetto di rendere più caute quelle istanze” (9).Gli stessi cardinali progressisti, quali Lercaroe Montini, furono colti di sorpresa. “Comeosa” scrisse addirittura Lercaro “riunire unconcilio cento anni dopo l’ultimo e solo tremesi dopo la sua elezione? Papa Giovanni simostra imprudente e impulsivo...” (10).

Una decisione imprudente (di Giovanni XXIII)

Il duro giudizio del card. Lercaro (che,una volta tanto, è pienamente condivisibile)mette in rilievo una prima anomalia riscon-trabile nel Vaticano II, alla quale molte altrefaranno seguito. Scrive Romano Amerio:“L’annuncio della convocazione di unConcilio giunse al mondo del tutto inopina-to, dovuto, come disse Giovanni XXIII stes-so, a una repentina ispirazione. Al Vaticano Iinvece era andata avanti, sin dal 1864, un’in-chiesta tra i cardinali e costoro si erano inmaggioranza pronunciati per la convocazio-ne. (...) Non ci furono per il Vaticano II con-sultazioni previe circa la necessità e opportu-nità di convocarlo, la decisione essendo ve-nuta da Giovanni XXIII per esercizio di ca-risma ordinario o forse per un tocco di cari-sma straordinario” (11).

Pur essendo continuamente assistiti dalloSpirito Santo e personalmente dotati del cari-sma dell’infallibilità, i Sommi Pontefici sannoche Dio non si serve di loro come di uno stru-mento inanimato, (al modo di un automa o,biblicamente, dell’asina di Balaam), ma diuno strumento animato e libero, rispettandole caratteristiche inerenti alla natura umana.Per questo il Papa prepara accuratamentenon solo la proclamazione solenne di un dog-ma o l’indizione di un Concilio, ma persinouna semplice enciclica ed il più umile discor-so. Agire altrimenti, significherebbe atteg-giarsi a profeta e tentare Dio. Per questo, ilCard. Lercaro concluse il suo giudizio sul sor-prendente annuncio del Concilio e suGiovanni XXIII dicendo: “Un tale avveni-mento rovinerà la sua salute già minata e faràcrollare tutto l’edificio delle virtù morali eteologiche che gli vengono attribuite” (9).

Se non si vuole accreditare l’ipotesi di unRoncalli membro occulto di una sètta anti-cristiana, deciso a realizzare il Concilio rivo-luzionario che esse sognavano (12) per distrug-gere la Chiesa, o perlomeno quella più prova-ta di un Roncalli coscientemente modernistache indìce il Concilio per avverare i voti degliamici come Dom Beaudoin (13), resta allora la

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Il Cardinal Giuseppe Siri

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spiegazione (che non esclude le altre) di unuomo imprudente che, lungi dall’accettare ilruolo che gli avevano affibbiato di “Papa ditransizione”, vuole, prima di morire, lasciareuna traccia imperitura di sé nella storia dellaChiesa con l’improvvisa ed affrettata convo-cazione di un Concilio. Almeno questo ob-biettivo, Giovannni XXIII lo ha certamenteraggiunto. Ma a quale prezzo?

Delle decisioni prudenti (di Pio XI e Pio XII)

L’imprudenza (a dir poco) dell’improvvi-sa decisione, venuta “come un fulmine a cielsereno” (14), di convocare un Concilio, è resapiù grave dall’opposto parere espresso daidue immediati predecessori di GiovanniXXIII, Pio XI e Pio XII.

Entrambi i Pontefici studiarono a loro vol-ta la possibilità di convocare un ConcilioEcumenico: Pio XI nel 1923 e Pio XII nel1948; entrambi vi rinunciarono. Bisogna ricor-dare, infatti, che l’ultimo Concilio, il primo delVaticano, non si è mai concluso: fu sospesonell’imminenza della guerra franco-prussianail 18 luglio 1870 ed il suo proseguimento fu re-so impossibile dalla sacrilega occupazione diRoma avvenuta il 20 settembre successivo. Iteologi conciliari avevano però lavorato ala-cremente nei sei anni di preparazione alConcilio e durante il Concilio stesso: moltischemi erano già pronti per essere sottomessial giudizio dei Padri. La dottrina contenuta inquesti schemi, ammirevole, è considerata daiteologi come “prossima alla fede”, in quanto,se il Concilio si fosse normalmente concluso,sarebbe stata solennemente definita. Dopo lacrisi delle due guerre mondiali, Pio XI e PioXII pensarono pertanto di concludere ilVaticano I o di aprire un nuovo Concilio, vistele mutate condizioni dei tempi. Ma Pio XI, alcontrario di Giovanni XXIII, consultò iCardinali. Esponendo le ragioni contrarie ad

una decisione già di per sé impegnativa e peri-colosa (15), l’eccellente teologo cardinal Billotconcluse così il suo ragionamento: “Infine, ec-co la ragione più grave, quella che mi sembre-rebbe militare assolutamente per la negativa.La ripresa del Concilio è desiderata dai peg-giori nemici della Chiesa, cioè dai modernisti,che già si apprestano - come ne fanno fede gliindizi più certi - a profittare degli stati generalidella Chiesa per fare la rivoluzione, il nuovo‘89, oggetto dei loro sogni e delle loro speran-ze. Inutile dire che non ci riusciranno, ma noirivedremo i giorni tanto tristi della fine delpontificato di Leone XIII e dell’inizio di quel-lo di Pio X; vedremmo anche peggio, e sareb-be l’annientamento dei felici frutti del-l’Enciclica Pascendi che li aveva ridotti al si-lenzio”. Simile a questo, il parere di numerosialtri Cardinali (16). Pio XI rinunciò al progetto.

L’idea fu ripresa dai cardinali Ruffini edOttaviani, tra il 1945 ed il 1948. Leggendo gliargomenti da loro avanzati in favore della de-cisione di convocare un Concilio, ci si ramma-rica quasi che esso non abbia avuto luogo: con-danna degli errori contemporanei (idealismo,esistenzialismo, poligenismo evoluzionista, co-munismo, minimalismo dommatico, nuovagnosi ecc.), definizione di dogmi mariani (co-me l’assunzione in Cielo della Madonna), so-luzione a questioni da tempo discusse (comel’origine della giurisdizione dei Vescovi) o l’ap-plicazione della dottrina classica ai più graviproblemi dei tempi moderni (guerra, rivolu-zione, giusto salario, verginità e stato di matri-monio, onanismo e continenza periodica...).Nell’intenzione dei due cardinali, di provataortodossia e fedeltà alla cattedra di Pietro,avremmo avuto un bellissimo e certamente, insé e per sé, opportunissimo Concilio; è quelloche nel 1959 proposero a Giovanni XXIII!

Pio XII, a suo tempo, prese sul serio laproposta ed istituì una commissione, iniziandouna consultazione con numerosi vescovi e car-dinali. Ma poi “Pio XII finì per liberarsi diogni cosa e decise che un Concilio non era ne-cessario. Tutto quello che poteva fare unConcilio, lo poteva fare meglio lui stesso, econ notevole risparmio. Così, dunque, definìl’Assunzione nel 1950 e condannnò gli erroricontemporanei nella sua enciclica HumaniGeneris” (17). In effetti, col suo esteso insegna-mento, Pio XII assicurava al fedele cattolicouna vera “summa” della dottrina della Chiesariguardo ai problemi posti dal mondo moder-no, evitando gli scogli di un Concilio, già pre-cedentemente segnalati dal Card. Billot.

Un'immagine di Giovanni XXIII in automobile attraverso le strade di Roma

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Quando Giovanni XXIII annunciò ilConcilio, egli sapeva che in “materia pasto-rale, ecumenica, giuridica, come pure nellerelazioni tra lo Stato e la Chiesa, la Curia ro-mana e le Chiese locali (almeno quelle delnord-Europa, n.d.a.) sono agli antipodi” (18).Era già così nel 1923 quando, consultato daPio XI sul Concilio, il Card. Bonzano si dissegravemente preoccupato per “il pericolo cheun certo numero di vescovi specialmentestranieri tenti di accentuare i propri diritti, inopposizione alle prerogative del primato delSommo Pontefice, col pretesto che Roma ac-centra troppo” (15).

Sì, sia Pio XII che Giovanni XXIII eranoal corrente di questa situazione e dei pericoliche ne derivavano per la fede. Ma la loro de-cisione in proposito fu opposta. Questo per-ché, scrive Hebblethwaite, “ciò che spinsePio XII a rifiutare l’idea di un Concilio, con-fermò Giovanni nel suo giudizio per il qualeesso era invece più che mai necessario” (19).

Quale Concilio?

Il Concilio, quale avrebbe potuto e dovu-to essere…

Malgrado le osservazioni più che perti-nenti del cardinal Billot, e le decisioni piùche sagge di Pio XI e Pio XII contro la con-vocazione di un Concilio, ci si può chiederese l’esito funesto ed eterodosso del VaticanoII fosse, umanamente parlando, evitabile. Inaltri termini: un Concilio, negli anni Sessantadel nostro secolo, doveva essere necessaria-mente influenzato dall’eresia modernista?

Non lo pensavano i cardinali Ottaviani eRuffini, che modernisti non erano e tuttaviainsistettero per il Concilio. Eppure essi, spe-cialmente Ottaviani dal suo posto di respon-sabilità al Sant’Offizio, erano certamente alcorrente dell’insofferenza di molti teologi epersino di interi episcopati nazionali verso lasana dottrina della Chiesa, insofferenza ag-gravata dall’aiuto loro prestato dai poterimondani e dai moderni mezzi di informazio-ne. Se essi pensarono, pertanto, di poter con-durre in porto un Concilio con dei frutti salu-tari per la Chiesa, malgrado le difficoltà finora elencate, è perché speravano di potercontare su appoggi ancora più solidi...Proviamo ad elencarli. Innanzitutto, la DivinaProvvidenza, che guida ed assiste la Chiesa(20). In seguito, più umanamente, la sostanzia-le integrità di molti Vescovi. Infine, il saldocontrollo che la Curia si riprometteva di eser-

citare sul Concilio, fin dalla sua preparazione.Una sola cosa mancava alla realizzazione delloro progetto: l’appoggio di Giovanni XXIII.

Il Papa (21) può tutto. Solo lui può convo-care un Concilio ecumenico. Solo lui può scio-glierlo. Senza la sua approvazione, le decisionidi un Concilio valgono meno che niente. E du-rante il Concilio stesso, le decisioni prese daiVescovi dipendono in gran parte dall’attitudi-ne del Papa. Tra i Padri conciliari alcuni, du-rante il Vaticano II, si schiereranno aperta-mente per la Tradizione: saranno la cosiddetta“minoranza”. Altri, prenderanno chiaramentepartito per l’eresia. A torto questa fazionevenne chiamata “maggioranza conciliare”.Risultarono essere maggioranza, difatti, soloperché molti Padri, loro sì rappresentanti lamaggioranza, si unirono a loro perché si ac-corsero che “il Papa” (Giovanni XXIII prima,Paolo VI poi) era con i progressisti. Ed essivolevano “essere con il Papa” (22).

Benché deceduto durante il Concilio e pri-ma della promulgazione dei suoi documenti,Giovanni XXIII è certamente il principale re-sponsabile della strada che prese il Conciliostesso, ovvero quella della rottura e della di-scontinuità con il precedente magistero infalli-bile della Chiesa. Questa gravissima afferma-zione deve naturalmente essere dimostrata.

È quello che mi propongo di fare nellerestanti puntate, che abbracceranno pratica-mente tutto il pontificato di Giovanni XXIII.È impossibile, difatti, separare adeguatamen-te il pontificato giovannèo dal Concilio.“L’idea di convocare un Concilio risale (...) aiprimi giorni dopo la sua elezione. (...) IlConcilio non è un elemento accidentale nelsuo pontificato, né una sorta di pensiero ve-nuto all’improvviso. È un pensiero che si al-larga al pontificato nella sua totalità, che vie-ne realizzato come scopo, politica, program-ma e contenuto del pontificato” (23). Gli in-terventi di Giovanni XXIII in sede di prepa-razione al Concilio prima e del suo svolgi-mento poi, saranno decisivi per i suoi ulterio-ri sviluppi. Ma tutta la politica del pontificato(relazioni ecumeniche, apertura a sinistranella politica interna italiana, inizio dell’ost-politik vaticana, inquietanti relazioni con ilgiudaismo e la massoneria, insegnamento uf-ficiale, ecc.) che si svolse parallelamente alConcilio o alla sua preparazione, ha il mede-simo ruolo. Pontificato e Concilio si interse-carono e si condizionarono vicendevolmentecon l’intenzione di portare la Chiesa ad unabbraccio mortale con il Mondo.

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Note

1) PETER HEBBLETHWAITE, Giovanni XXIII. IlPapa del Concilio. Edizione italiana a cura di MarcoRoncalli. Rusconi editore. Milano 1989. Pagina 450.

2) HEBBLETHWAITE, op. cit., pag. 449.3) HEBBLETHWAITE, op. cit., pag. 451.4) Discorsi, messaggi, colloqui del Santo Padre

Giovanni XXIII. Tipografia Poliglotta Vaticana 1960-1967. vol. I, pagg. 129-133).

5) HEBBLETHWAITE, op. cit., pag. 452. Sappiamo conquali gravissimi risultati!

6) HEBBLETHWAITE, op. cit., pag. 453. Il testo originaledel discorso è riportato da GIANCARLO ZIZOLA, in L’Utopiadi papa Giovanni. Cittadella editrice. Assisi. 1975, pag. 322;quello ufficiale da GIOVANNI CAPRILE S.J., Il Concilio Vati-cano II, Ed. Civiltà Cattolica, Roma. Vol. I, parte I, pag. 50.

7) HEBBLETHWAITE, op. cit., pagg. 454 e 453. Cf. an-che: CAPRILE, op. cit., pag. 51.

8) Riprendendo il discorso di Giovanni XXIII il co-municato affermava, tra l’altro: “Per quanto riguarda laCelebrazione del Concilio Ecumenico, esso, nel pensie-ro del Santo Padre, mira non solo alla edificazione delpopolo cristiano, ma vuol essere un invito alle comunitàseparate per la ricerca dell’unità, a cui tante anime oggianelano, da tutti i punti della terra” cf. OsservatoreRomano 26-27 gennaio 1959.

9) BENNY LAI. Il Papa non eletto. Giuseppe Siri car-dinale di Santa Romana Chiesa. Laterza ed. Roma-Bari,1993. pag. 179.

10) HEBBLETHWAITE, op. cit., pagg. 455-456.11) ROMANO AMERIO, Iota unum. Studio sulle varia-

zioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Ricciardi edito-re. Milano - Napoli 1985, pagg. 42-43. L’Autore allude alleaffermazioni storicamente false di Giovanni XXIII, PaoloVI e Giovanni Paolo II sul Concilio direttamente ispiratodallo Spirito Santo. Cf. “Sodalitium”, n. 34, pagg. 12-15.

12) “Credo che il culto divino, come lo regolano la li-turgia, il cerimoniale, il rituale ed i precetti della ChiesaRomana, subirà prossimamente in un Concilio ecumenicouna trasformazione che, rendendogli la venerabile sempli-cità dell’età d’oro apostolica, la metterà in armonia colnuovo stato della coscienza e della moderna civiltà”.Citazione dell’ex-canonico Roca, prete apostata, trattadalla rivista Forts dans la Foi, n. 51, novembre 1977.

13) Cf. “Sodalitium”, n. 28, pag. 20: “Se eleggesseroRoncalli tutto sarebbe a posto; sarebbe capace di con-vocare un Concilio e di consacrare l’ecumenismo”.

14) Cf. STJEPAN SCHMIDT S.J., in: Agostino Bea, ilCardinale dell’unità. Città Nuova ed., Roma 1987, pag. 313.

15) Scrive l’Amerio: “È un’antica suspicione quellache si libra sul Concilio di fronte al Seggio petrino. Laformulò immaginosamente il card. Pallavicino, lo storio-grafo del Concilio di Trento: “Nel Cielo mistico dellaChiesa non si può immaginare cogiunzione più difficilee accozzata di più pericolosa influenza che un Conciliogenerale” R. AMERIO, op. cit., pag. 42.

16) CAPRILE, op. cit., vol. V, pag. 688. Cf. vol. I,Parte I, pagg. 3-29. Citato da: MONS. FRANCESCO SPA-DAFORA, La Tradizione contro il Concilio, Edi.Pol. -Volpe Editore. Roma 1989, pag. 5.

17) Cf. HEBBLETHWAITE, op. cit., pagg. 437-440; eanche CAPRILE, op. cit., vol. I, P. I, pagg. 15-17.

18) HEBBLETHWAITE, op. cit., pag. 433.19) HEBBLETHWAITE, op. cit., pag. 440. Ricordo al

lettore che il volume di Hebblethwaite è nato ed è statodiffuso in Italia dagli ambienti più roncalliani: parlo dimons. Capovilla e Marco Roncalli.

20) Evidentemente, Dio assiste ancora e sempre as-sisterà la Sua Chiesa: giammai le porte dell’inferno pre-varranno contro di essa. Questa assistenza però non e-sclude che la Chiesa possa attraversare dei momenti cri-ticissimi, e finanche una vacanza (formale) della Sedeapostolica, che non si oppone alla Sua divina costituzio-ne. Papa Paolo IV ha addirittura ritenuto possibile, nel-la sua bolla “Cum ex apostolatus”, l’elezione di un ereti-co al Soglio pontificio, ovvero di un soggetto incapacedi essere un vero Papa, malgrado tutte le apparenze…

21) Ricordiamo che rinviamo all’ultima puntata ilpunto più critico del nostro lavoro, vale a dire l’esamedella legittimità di Giovanni XXIII.

22) Tra i tanti, un esempio significativo tratto daidiari del Card. Siri e riguardante un teologo, futuro car-dinale, che addirittura era assessore del S. Uffizio: “Unfatto saliente è che l’assessore del S. Ufficio, Mons.Parente, l’anno scorso tra i più focosi avversari dellacollegialità, è passato ora su questo argomento coi tran-salpini. Molti ne sono veramente stupiti, persino sgo-menti. Ho raccolto una voce: sarebbe stato invitato dalPapa stesso (Paolo VI, n.d.a.) a fare questo. In tal casotutto sarebbe spiegato. E se è così, è evidente che ilPapa ha fatto la sua scelta ed ha voluto una massicciavotazione dei Vescovi” Cf. BENNY LAI, op. cit., pag. 385.

23) HEBBLETHWAITE, op. cit., pag. 433.

ANTIGIUDAISMO EDANTISEMITISMO: ORIGINI E CAUSE

di don Curzio Nitoglia

CAUSE GENERALI DELL’ANTIGIU-DAISMO

Si fa un gran parlare oggigiorno diAntisemitismo. Ma quali sono le cause diquesto fenomeno?

Si poneva già il secolo scorso questa stessadomanda lo scrittore e giornalista israelitaBernard Lazare (Nîmes 1865, Parigi 1903).

“Ovunque gli ebrei (...), si sono stabiliti, -rispondeva - si è sviluppato l’Antisemitismo,o meglio ancora, l’Antigiudaismo, poichéAntisemitismo è una parola poco esatta” (B.LAZARE, L’Antisemitisme, Documents et té-moignages, Vienne 1969, pag. 11).

Egli ammette inoltre che “il popoloebreo è stato odiato da tutti i popoli tra iquali si è stabilito” (op. cit., pag. 11) e neconclude che le cause generali dell’Anti-semitismo risiedono in Israele e non nei po-poli che l’hanno combattuto.

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La questione ebraica

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Tale ragionamento non è frutto di odiorazziale o di Antisemitismo, ma è la consta-tazione di un autore di origine israelita, do-tato di mente lucida ed obiettiva. Né ilLazare, né tantomeno noi, vogliamo sostene-re con ciò che i persecutori degli ebrei abbia-no avuto sempre ragione.

La Chiesa per esempio si è opposta al-l’odio razziale e ad una ingiustificata violen-za contro il Giudaismo, pur raccomandandocostantemente la prudenza e pur prendendodelle misure che preservassero i cristianidall’influenza giudaica.

Tuttavia bisogna ammettere, con il Lazare,che “GLI EBREI - in parte almeno - CAU-SARONO I LORO MALI” (op. cit., pag. 11),perché solitamente l’ebreo è un “essere inso-cievole” (“insociable” pag. 12), che rifiuta difarsi assimilare dalla società, in quanto è poli-ticamente e religiosamente esclusivista.

Studiando la storia si constata come i po-poli vinti finivano per sottomettersi ai vinci-tori, pur mantenendo eventualmente la pro-pria fede.

Al contrario “ovunque gli ebrei fondaro-no delle colonie, ovunque furono trasferiti,chiesero non solo di poter praticare la propriareligione ma anche di non essere assoggettatiai costumi dei popoli tra i quali erano chiama-ti a vivere e di potersi governare con le pro-prie leggi” (op. cit., pag. 13). Dappertutto vol-lero restare ebrei, come popolo, come religio-ne e come stato, e poterono fondare grazie aiprivilegi così ottenuti, uno stato nello stato.

LEGGE MOSAICA E LEGGE TALMUDICA

A questo punto bisogna interrompere ilragionamento del Lazare per rammentare ladistinzione importantissima tra la Legge mo-saica e quella talmudica, tra il Giudaismo pri-ma e dopo il Cristo. La LEGGE MOSAICA,tutta relativa al Cristo futuro è stata ripresa eperfezionata dal Cristianesimo, quella TAL-MUDICA al contrario è l’antitesi e la corru-zione di quella mosaica e cristiana (vediSodalitium n. 32 pag. 33). Il Talmud e laCàbala spuria impedirono la conversione delpopolo eletto al Messia; la dominazione deiFarisei impedì ad Israele di entrare nellaNuova ed Eterna Alleanza. Come abbiamogià dimostrato, il Talmudismo è una degene-razione carnale della Religione mosaica.Infatti, laddove il Mosaismo insegnava cheIsraele era stato scelto per accogliere il Cristoe farlo conoscere a tutte le genti, i Farisei ed i

Cabalisti-Talmudisti sostenevano che il mon-do è stato creato “per essere sottomessoall’impero universale... degli ebrei” (op. cit.pag. 14). Ecco la nuova religione giudaica chenon ha nulla a che vedere con la Bibbia e conMosè: il dominio dell’ebraismo sul mondo in-tero! Secondo questa concezione, da una par-te vi sono gli ebrei, i veri uomini, e dall’altra inon-ebrei, i “goim” che sono come delle be-stie e devono essere schiavi degli ebrei.Quando venne il Messia predicando ilVangelo del Regno dei cieli, perfezionamentoe compimento dell’Antico Testamento, iFarisei e i Talmudisti, pur sapendo che Egliera il Messia e Dio stesso, Lo odiaronoprofondamente fino a metterLo a morte, per-ché sconvolgeva il loro sogno imperialista didominio materiale sul mondo intero.

È con la corruzione del Mosaismo inTalmudismo che ebbe inizio una persecuzio-ne SISTEMATICA nei confronti degli ebrei(cfr. B. LAZARE op. cit., pag. 17). Questo fe-nomeno si spiega facilmente; col nasceredell’odio e del disprezzo verso tutti i popolinon giudei nacque anche l’inevitabile reazio-ne di questi ultimi. Se fino ad allora vi eranostate soltanto delle esplosioni di odio locale,a partire da quel momento si verificaronodelle vessazioni sistematiche verso gli ebreistanziati nei vari paesi. Il Lazare sostieneche LA CAUSA DELLE PERSECUZIONICONTRO IL GIUDAISMO È DA RICER-CARSI PROPRIO NEI PRINCÌPI DELTALMUDISMO E NON NEL COMPOR-TAMENTO DEI POPOLI OSPITANTI, iquali per lo più non fecero altro che difen-dersi (“vim vi repellere licet”).

“Perché - si chiede il Lazare - in tutti questipaesi, in tutte queste città gli ebrei furono odia-ti? Poiché - risponde - non entrarono mai nellostato come cittadini ma come privilegiati.Benché avessero abbandonato la Palestina essivolevano innanzitutto restare ebrei, conside-rando ancora Gerusalemme come la loro unicapatria” (...) e rifiutando l’assimilazione da par-te dei popoli circostanti (op. cit., pag. 22) (1).

IL GIUDAISMO AI TEMPI DELLACIVILTÀ CRISTIANA.

Leone XIII ha ricordato autorevolmentecome la società medioevale fosse impregna-ta della filosofia del Vangelo. Era inevitabilepertanto che il Giudaismo, ostile al Vangeloe alla Chiesa si opponesse a tale ordine so-ciale. La Chiesa cattolica dovette quindi con-

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durre e guidare una reazione o difesa dalGiudaismo che possiamo chiamare pertantoAntigiudaismo, termine che deve essere ac-curatamente distinto, come vedremo meglioin seguito, da quello di Antisemitismo.

Il motivo dell’Antigiudaismo è pertantol’opposizione secolare del Giudaismo talmu-dico a Nostro Signore Gesù Cristo ed allasua Chiesa, la quale per non soccombere do-vette difendersi. Scrive ancora Lazare: “Peril solo fatto che negavano la divinità diCristo gli ebrei si ponevano come nemicidell’ordine sociale, poiché tale ordine socialeera fondato sul Cristianesimo” (op. cit., pag.59). Un esempio dei conflitti che potevanonascere tra popolo ebraico ed ordine socialecristiano è quello relativo all’usura. Durantetutto il medioevo e fino al XV secolo laChiesa proibì il prestito ad interesse, ma perl’ebreo questa proibizione non era vincolan-te: “Gli ebrei, che a quell’epoca appartene-vano per la maggior parte alla classe deicommercianti (...), approfittarono di questalicenza e della situazione economica dei po-poli tra i quali vivevano” (op. cit., pag. 62).“Popolo energico, vivace, di un orgoglio infi-nito, che si considerava superiore a tutti glialtri, il popolo ebreo volle diventare una po-tenza. Aveva istintivamente il gusto del do-minio (...). Per esercitare questo tipo di au-torità gli ebrei non ebbero la possibilità discegliere i mezzi. L’òro diede ad essi un po-tere che TUTTE LE LEGGI RELIGIOSEE POLITICHE RIFIUTAVANO LORO.(...) DETENTORI DELL’ORO DIVEN-NERO I PADRONI DEI LORO PADRO-NI (...)” (2) (op. cit., pag. 64).

I Talmudisti naturalmente ebbero unagrande influenza nell’instillare quest’amoredell’oro nell’anima dei propri correligionari.Dando importanza solo agli atti esteriori enon curandosi della purezza dell’intenzione,essi resero gretta l’anima ebraica, presentan-dole come unico fine della vita una felicitànaturale e materiale da raggiungere sulla ter-ra. “Per ottenere questo bene egoista (...) l’e-breo (...) era fatalmente condotto a ricercarel’oro (...) l’ebreo fu diretto verso l’oro; fu pre-parato ad essere (...) l’usuraio. (...) Una voltache l’ebreo diventò tale, l’Antigiudaismo sicomplicò, le cause sociali si mischiarono allereligiose e l’unione di queste spiega l’intensitàe la gravità delle persecuzioni che Israele do-vette subire. (...) Il deicida, già oggetto di or-rore, essendo diventato l’usuraio, l’esattoredelle tasse, lo spietato agente del fisco, ag-

gravò l’orrore verso di sé; (...) (op. cit., p. 66).Attirò così su di sé un duplice disprezzo: quel-lo dei cristiani e quello degli oppressi.

I VARI AGENTI DELL’ANTIGIUDAISMO

Abbiamo visto che la Chiesa, fin dai pri-mi secoli, svolse un ruolo di primo piano nelmoderare le invadenze dottrinali e pratichedel Giudaismo. Nello svolgere questo com-pito essa si servì principalmente di due isti-tuzioni: gli Ordini religiosi e l’Inquisizione.

a) Gli Ordini religiosi. La predicazione deireligiosi riguardante gli ebrei denunciava in-nanzitutto il peccato di deicidio, per dimostra-re in seguito che essi, tramite l’usura, erano di-ventati anche i padroni dell’oro, “i succhiatoridel sangue dei cristiani”. Così si esprimevanoS. Giovanni da Capestrano, S. Bernardino daSiena, il Beato Bernardino da Feltre...

b) L’Inquisizione. Contrariamente a quan-to generalmente si crede l’Inquisizione nonperseguiva gli ebrei a causa della loro razza eneanche a causa della loro religione, ma sola-mente nella misura in cui essi incitavano allagiudaizzazione oppure, dopo un’eventualeconversione al Cristianesimo, fossero tornati agiudaizzare. La Chiesa non voleva l’elimina-zione degli ebrei, posti come erano in uno sta-to di inferiorità legale, considerandoli comeuna testimonianza vivente del proprio trionfo.

“Così (...) il solo appoggio (relativo, nda)che (l’ebreo, nda) trovò (...) fu il Papato e laChiesa (...). Se la Chiesa conservò gli ebreinon fu tuttavia senza redarguirli e punirli.(...) Ma il ruolo principale della Chiesa fu dicombattere dogmaticamente la religioneebraica” (op. cit., pag. 70).

IL PROTESTANTESIMO E GLI EBREI

La Riforma protestante, come rivolu-zionò l’ordine sociale cristiano, mutò anche irapporti tra gli ebrei e la società.

“Quando si levò l’alba del sedicesimo seco-lo, quando il primo soffio di libertà passò sulmondo, gli ebrei erano un popolo di schiavi.Tuttavia (...) il tempo dei grandi dolori era pas-sato per gli ebrei (...) incontrarono più com-prensione (...) furono disprezzati in manierameno violenta (...). Eppure gli ebrei non eranocambiati (...) erano gli altri ad essere cambiati.I cristiani erano diventati meno ferventi equindi erano portati a detestare meno gli ereti-ci. (...) Durante gli anni che precedettero laRiforma l’ebreo era diventato l’educatore, il

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maestro di ebraico dei colti, iniziandoli così aimisteri della Càbala e armandoli - contro ilCattolicesimo - dell’esegesi di cui si servirà ilProtestantesimo. (...) Quando Lutero pubblicòle sue tesi (...) per un istante i teologi dimenti-carono gli ebrei e dimenticarono anche che ilmovimento che si andava propagando affon-dava le sue radici nelle fonti ebraiche (...). ÈLO SPIRITO EBRAICO CHE TRIONFACON IL PROTESTANTESIMO (...). È SIN-GOLARE L’ANALOGIA TRA LUTERO EMAOMETTO. TUTTI E DUE ATTINSEROLE LORO DOTTRINE ALLE FONTI E-BRAICHE (...) (op. cit., pagg. 73 - 84) (3).

Infine quando il 27 settembre del 1791l’Assemblea Costituente dichiarò che gli e-brei avrebbero avuto in Francia gli stessi di-ritti dei cittadini attivi, gli ebrei entrarono afar parte della società.

LA RIVOLUZIONE FRANCESE E GLIEBREI

Con il 27 settembre 1791 gli ebrei furonoammessi al rango di cittadini attivi. Tuttaviatale legge dell’Assemblea Costituente “erasoprattutto impotente a rompere le cateneche gli ebrei stessi si erano fabbricate. Essi e-rano emancipati legalmente ma non moral-mente, mantenevano la loro condotta di vita,i loro costumi ed i loro pregiudizi, (...) ave-vano paura di perdere, a contatto con i nonebrei, la loro personalità e la loro fede. (...) elo sforzo della maggior parte degli ebrei ten-deva a mantenere la propria identità in mez-zo agli stranieri (...). Economicamente gli e-brei restarono quello che erano (...) impro-duttivi (...) usurai” (op. cit., pag. 102).

DALL’ANTIGIUDAISMO ALL’ANTISE-MITISMO.

L’Antigiudaismo è propriamente teologi-co: esso è la reazione della Chiesa all’attaccodel Giudaismo talmudico che nei primi seco-li cercò di soffocarLa nel sangue e nei secolisuccessivi di distruggerLa con le eresie. Perquesto la Chiesa dovette scendere in campocontro il Giudaismo. Con il processo di seco-larizzazione si assistette ad un passaggio gra-duale dall’Antigiudaismo teologico (checondannava l’odio e la violenza gratuita con-tro gli ebrei ad eccezione della legittima di-fesa; ma che raccomandava d’altra parte laprudenza nell’evitare il contagio dal “morbogiudaico”) all’Antisemitismo razziale.

“Ufficialmente la Chiesa ha sempre con-dannato l’Antisemitismo (...) e ha determi-nato la forma ed i limiti (...) che deve adotta-re l’azione contro gli ebrei” (Y. CHEVALIER,L’Antisemitismo, Istituto Propaganda Libra-ria, Milano 1991, pag. 220) (4).

Questa affermazione è verissima a condi-zione di ben definire il termine di Anti-semitismo. Infatti se la Chiesa ha condanna-to l’odio gratuito del sangue ebraico, essanon ha mai condannato la lotta al pensierogiudaico-talmudico: al contrario ne è semprestata la principale maestra.

La tattica attuale degli ebrei è quella diconfondere il significato delle parole, di farcredere che non sia lecito reagire all’azionedissolvitrice del Giudaismo contro la Cri-stianità; per ottenere questo si dà al termineAntisemitismo un significato più ampio diquello che gli ha sempre attribuito la Chiesa.Lo stesso Chevalier cade in questo errorequando afferma che l’Antisemitismo modernofa sua la teoria del complotto e della congiuraebraica, mentre a propriamente parlare, que-sta tesi, lungi dall’essere una proprietàdell’Antisemitismo moderno, si trova di già,divinamente rivelata, nel Vangelo. Leggiamoinfatti in Giovanni (IX, 22): “CONSPIRAVE-RANT Judæi ... I giudei COSPIRAVANO diespellere (scomunicare) dalla Sinagoga chiun-que riconoscesse che Gesù era il Cristo”.Consultando i dizionari etimologici della lin-gua italiana (Devoto-Olii, Zingarelli, Cor-tellazzo-Zolli, Battaglia...) si ricava che il si-gnificato di ‘cospirare’ è: cum (assieme) spira-re (soffiare), CONGIURARE, accordarsi se-gretamente per conseguire un fine. Sinonimodi COMPLOTTARE.

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Bernard Lazare

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Congiurare, a sua volta, viene da: cum,iurare: giurare assieme, unirsi in congiura.Complotto: è sinonimo di congiura, intrigo,macchinazione ai danni di qualcuno.

Gli ebrei perciò cospiravano, congiurava-no e complottavano di scomunicare chiun-que riconoscesse che Gesù era il Cristo. Edoggi il Giudaismo continua a congiurare (nelsegreto, con giuramento) contro la Chiesa egli Stati cristiani per distruggerli, creando atale scopo anche delle Società segrete (cfrSodalitium n. 34 pag. 18) che “macchinano”contro di essi (C.J.C. can.2335).

“L’accordo segreto, diretto al rovescia-mento improvviso e violento dell’organizza-zione politica dominante” (Zingarelli), non èquindi un'invenzione dell’Antisemitismo raz-ziale e biologico, ma si trova già nel cuore delVangelo, il quale ci racconta la vita di Gesù edil complotto del Giudaismo talmudico controdi Lui, che si risolse nella Sua crocifissione.

Il cristiano che vuol restare tale non puòprescindere dal prendere atto dell’esistenzadi un complotto di forze occulte (la giudeo-massoneria), che nel segreto cerca di abbat-tere “il Trono e l’Altare” e non può astenersidal lottare con tutte le sue forze contro talecomplotto, se non vuol vedere Gesù Cristocrocifisso una seconda volta nel Suo CorpoMistico.

ANTISEMITISMO E MORALE CAT-TOLICA

L’Antisemitismo in quanto implica odio -scrive mons. Antonino Romeo - e fomenta(...) la violenza, è contrario alla morale cri-stiana e comporta gravi pericoli per la Fede,(...disprezzo dell’Antico Testamento) (...).La Chiesa condanna perciò l’odio che è chia-mato volgarmente Antisemitismo (Decretodel S. Uffizio, 25 marzo 1928)” (A. ROMEO,Antisemitismo, in ‘Enciclopedia Cattolica’,Città del Vaticano 1949, vol. I, col. 1502).

Tuttavia, come ricorda la “Civiltà Catto-lica” “la giustizia e la carità non escludono laprudente e moderata difesa” (“Civiltà Catto-lica”, 1945, II, P. 274).

“Non è Antisemitismo parlare dei difettio dei pericoli del Giudaismo - scrive ancoramons. Romeo - (...) chi ritiene che gli ebreisono a capo della Massoneria (...) e delBolscevismo (...) non può però - senza graveingiustizia - accusare TUTTI.

(...) Il cattolico non può, per questioni disangue o di razza, schivare gli ebrei rigenera-

ti dal Battesimo, ma li deve trattare fraterna-mente ed abbracciare.

(...) Solo su queste basi, escludendo ogniodio per le persone, è lecito un Antigiu-daismo nel campo delle idee, volto alla vigiletutela del patrimonio religioso-morale e so-ciale della Cristianità” (ibid. col. 1502. 1503).

CHE FARE?

Il mondo ha imboccato, con l’Umanesimoneo-pagano del XV secolo, la strada larga cheporta alla giudaizzazione, la quale è diretta-mente proporzionata alla scristianizzazione.

L’unica via per giungere al porto è LA-SCIARE LA STRADA SBAGLIATA perriprendere quella giusta, come quando, fa-cendo un’escursione in montagna ci accor-giamo che il sentiero che abbiamo percorsocon grande fatica ci porta ad un precipizio,l’unica alternativa al salto nel vuoto è TOR-NARE INDIETRO, PER RIANDAREAVANTI NEL SENSO GIUSTO.

“Se non si rimettono gli ebrei al posto loro- scriveva “La Civiltà Cattolica” - CON LEG-GI umane e cristiane sì, ma DI ECCEZIONE,che tolgan loro l’uguaglianza civile, a cui nonhanno diritto (...) non si farà nulla o si farà benpoco. Data la (...) lor natura di stranieri in ognipaese, di nemici della gente di ogni paese che lisopporta, e di società separata sempre dalle so-cietà colle quali convivono: data la morale delTalmud che seguono, e dato IL DOGMAFONDAMENTALE DELLA LORO RELI-GIONE, CHE LI SPRONA AD IMPADRO-NIRSI, CON QUALSIASI MEZZO, DELBENE DI TUTTI I POPOLI (...): dato che l’e-sperienza (...) dimostra, che la parità dei diritticoi cristiani (...) ha per effetto o l’oppressionedei cristiani (...) o l’eccidio degli ebrei da partedei cristiani, ne scende di conseguenza, che ilsolo modo di accordare il soggiorno degli ebreicol diritto dei cristiani, è quello di regolarlo conleggi tali, che al tempo stesso impediscano agliebrei di offendere il bene dei cristiani, ed ai cri-stiani quello degli ebrei” (“La Civiltà Cat-tolica”, 1890, serie XIV, vol. 8, citata in R.PIPERNO, L’Antisemitismo moderno, Cappelli,Rocca San Casciano 1964, pagg. 139, 140).

Il cattolico deve desiderare con tutto ilcuore che gli ebrei si convertano e vivano;pertanto voler liquidare il problema ebraicomediante l’odio gratuito è un disegno crimi-nale e pazzesco.

Il cattolico inoltre non può restare indif-ferente o ignorare che il Giudaismo attuale si

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trova in uno stato di riprovazione da parte diDio e quindi deve sforzarsi, con carità unitaalla prudenza (“Semplici come colombe, pru-denti come serpenti”) di aiutare gli ebrei aduscire dal loro stato di orgoglioso acceca-mento, che impedisce loro di riconoscere ilMessia già venuto e ne fa sognare uno chedovrà dare loro il dominio sul mondo intero.

“Jerusalem Jerusalem, convertere adDominum Deum tuum”!

NOTE

1) Anche “La Civiltà Cattolica” (contemporanea aLazare) è dello stesso parere, infatti scrive:

«L’antica e la moderna Sinagoga (...) sono tra loronon solo diverse ma opposte (...).

SE (...) GLI EBREI PRESENTI SEGUONO (...)LA LEGGE MOSAICA (...) NON SI PUÒ (...)TRO-VARE RAGIONE SUFFICIENTE (...) DI QUESTA(...) SEMPRE PROFONDA ANTIPATIA TRA L’E-BREO ED IL NON EBREO SPECIALMENTE SECRISTIANO. (...)

Nessuna religione né setta si troverà come la pre-sente ebrea (...) in un (...) sempre rinascente urto contutto il genere umano. Donde si deve ricavare che (...)l’Antigiudaismo sia da attribuire ad una ragione essen-ziale, generale ed universale, operante in tutti i tempi,luoghi ed individui. Ora questa ragione la si troverà inquella (...) contraddizione che (...) corre tra l’antica,santa e divinamente rivelata ed assistita Sinagoga mo-saica e la moderna empia e satanicamente inventata edispirata Sinagoga rabbinica. La quale contraddizioneversa (...) sopra i punti non soltanto della fede ma dellamorale, e non solo della morale (...) cristiana ma anchedella naturale. FACILMENTE S’INTENDE COMEAD UNA TAL CONTRADDIZIONE (...), TRA LAMORALE EBRAICA E QUELLA DEL RESTODEL MONDO, DEBBA NECESSARIAMENTESEMPRE E DAPPERTUTTO SEGUIRE QUEL-L’ALTRA CONTRADDIZIONE (...) CHE SI CHIA-MA ANTIGIUDAISMO (...).

Il Giudaismo presente è contrario alla Legge diMosè e dei Profeti. Perciò L’EBREO PRESENTE (SEOSSERVANTE DELLA SUA LEGGE) È UN NEMI-CO NATURALE, NECESSARIO E CORDIALEDEL GENERE UMANO NON EBREO. (...) NÉPERCIÒ MERAVIGLIA CHE VICENDEVOLMEN-TE IL GENERE UMANO NON EBREO LO STIASEMPRE PAGANDO DI UGUAL MONETA» (“LaCiviltà Cattolica”, Serie XII, vol. VI, fasc. 814, 10 mag-gio 1884, pagg. 479, 480).

2) “La Stampa” del 21 novembre 1992, a pag. 21, ri-portò che nel 1960 l’ex capo della RAI, EttoreBernabei, trovandosi in casa di Fanfani, denunciò que-sto tentativo degli ebrei di occupare tutti i posti chiavedel mondo economico e dei mass media, esclamando:“Ecco la lungimiranza di Pittaluga e dei loro amici dellacomunità israelitica di Torino, che nel 1924 fondaronola prima stazione radiofonica in Italia. Ecco l’intelligen-za, con la quale in molti Paesi del mondo gli israeliti sisono impossessati dei mezzi di comunicazione radiote-levisiva, controllando già l’editoria di molti giornaliquotidiani e periodici (...). Nel corso di questi decenni laleadership del capitalismo statunitense è passata lenta-mente dai protestanti ad un capitalismo misto, prote-

stanti ed ebrei, in particolare a quelli che controllavanole grandi banche della costa atlantica. Infine, dopo l’ul-tima guerra, in questi anni di guerra fredda, si sono im-posti di fatto gli ebrei del Pacifico, che avevano interessinel petrolio, e poi si sono impossessati dell’industriaspaziale e sempre e soprattutto dei mezzi di comunica-zione. ...DIETRO LE GRANDI COMPAGNIE C’ÈLA GRANDE FINANZA EBRAICA”.

3) cfr. STEFANO NITOGLIA, L’Islam, anatomia di unasetta, ed. Fiducia, Roma 1993.

4) cfr. anche:J. BARROMI, L’antisemitismo moderno, Marietti,

Genova 1988.C. MANNUCCI, L’odio antico, Mondadori, Milano 1993.H. KÜNG, Ebraismo, Rizzoli, Milano 1991.J. ISAAC, Genèse de l’Antisémitisme, éditions

Calmann-Lévy, Paris 1956.J. ISAAC, L’Antisemitisme a-t-il des racines chrétien-

nes?, Fasquelle, Paris 1960.

MASSIMO INTROVIGNE E LA MASSONERIA

di Padre Torquemada.

Chi conosce, almeno di fama, MassimoIntrovigne, si chiederà che rapporto ci puòmai essere tra il famoso “settologo” e la “set-ta” per antonomasia, la Massoneria. Nes-sun’altro, si dirà, che quello che intercorre tralo studioso (nella fattispecie Introvigne) el’oggetto del suo studio (la Massoneria).Forse che “Sodalitium” intende recensire unlibro del Nostro sui liberi muratori?

Chi non conosce Massimo Introvigne, in-vece, si chiederà: “Chi era costui?”. Inco-minciamo coll’apprendere agli ignoranti che,semmai, essi devono chiedersi: “Chi è co-stui?”, giacché l’Introvigne è vivo e vegeto.

Prima di abbordare il nostro argomento, edopo aver precisato che non c’è in libreria nes-sun nuovo libro di Introvigne sulla Mas-soneria, mi sembra opportuno presentare allettore un sommario curriculum vitae delNostro. Basterà seguire le note biografiche checi sono fornite dalle sue numerose pubblica-zioni, integrandole con qualche precisazione.

Le copertine dei suoi libri, dunque, ci av-vertono che il Nostro è nato a Roma il 14 giu-gno 1955; però è piemontese e vive a Torino.

Egli si presenta come uno degli “anima-tori di Alleanza Cattolica - uno dei movi-menti cattolici più attenti al problema dellesette - fin dagli anni del liceo”. E qui occorreprecisare. La precoce esperienza in AlleanzaCattolica può far credere che per il Nostro

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essa sia stata il “primo amore”. In realtà c’èchi lo ricorda quale membro del FronteMonarchico Giovanile dell’Unione Monar-chica Italiana (Gruppo Cavour) di Torino.La notizia è verosimile, poiché furono moltii giovani monarchici che passarono armi ebagagli ad Alleanza Cattolica negli anni ‘70(con disperazione del buon Boschiero) gra-zie al non troppo leale lavoro di alcuni diri-genti del Fronte Monarchico, che, in realtà,erano militanti di Alleanza Cattolica.

Di Alleanza Cattolica, fondata se non er-ro nel 1968 dai piacentini G. Cantoni ed A.Sanfratello, Introvigne seguì e segue tuttorale vicissitudini (è dirigente nazionale di que-sto movimento).

Un’altra nota biografica ci informa che ilnostro “ha studiato filosofia all’UniversitàGregoriana di Roma e diritto a Torino”.Alla Gregoriana, Introvigne studiò in quan-to seminarista. Mentre quasi tutte le voca-zioni sacerdotali nate in seno ad AlleanzaCattolica in quegli anni si dirigevano verso ilseminario svizzero di Mons. Lefebvre (tra iquali lo stesso Sanfratello, il fratello diCantoni, don Piero, e gli attuali redattori di“Sodalitium”...) Introvigne rispose generosa-mente all’appello del Signore frequentandola Gregoriana e risiedendo presso l’AlmoCollegio Capranica (detto il “seminario deiVescovi” perché tanto prestigioso da anno-verare tra le fila dei suoi ex-allievi numerosiVescovi e Cardinali, e persino Papa Pio XII).Erano però gli anni di piombo, gli anni ‘70,ed i seminari montiniani erano piuttostosul... rosso (politicamente parlando).Normale che il nostro seminarista non vi sitrovasse a suo agio e preferisse passare aglistudi di diritto a Torino, non senza aver pri-ma scritto un articolo sul Capranica (col no-to pseudonimo de Lo Svizzero) sulla rivista

di Tedeschi e Gianna Preda, il Borghese.Così almeno si diceva in Alleanza Cattolica,ove egli divenne “capocroce”, ovvero re-sponsabile di una “cellula” del movimento.

Le sue indubbie capacità intellettuali edialettiche gli procurarono la stima non solodei suoi superiori, ma anche di quelli del mo-vimento tradizionalista di Mons. Lefebvre,per cui, ad esempio, divenne ascoltato confe-renziere nel seminario di Ecône, su invitodell’attuale Vescovo Mons. Williamson, con-sacrato da Mons. Lefebvre. A onor del vero,la collaborazione di Introvigne con laFraternità San Pio X si interruppe nel 1981;prima, pertanto, della “scomunica” commi-nata al Vescovo francese, ma dopo la “so-spensione a divinis”. Per il futuro “settologo”la collaborazione con la Fraternità di Mons.Lefebvre è stata certamente importante, per-ché gli ha dato la possibilità di studiare unasètta (così ora egli definisce questa societàreligiosa) dal di dentro.

Proseguiamo la nota (auto)biografica. Illettore vi apprende che il Nostro ha pubbli-cato alcuni scritti “in tema di filosofia mora-le”. È una discreta allusione alla prima spe-cializzazione dell’Introvigne: la cosiddetta“rivoluzione sessuale”.

Bisogna sapere che Alleanza Cattolica èun movimento strettamente legato ad un al-tro, fondato in Brasile e denominato T.F.P.(ovvero: Tradizione, Famiglia, Proprietà).Paradossalmente, non solo esso fu a lungosostenuto dal vescovo di Campos, Mons. deCastro Mayer (che fu “scomunicato” conMons. Lefebvre), ma è stato fondato ed ètuttora diretto dal Prof. Plinio Correa deOliveira, accusato da molti di aver creatouna... setta, tutta centrata sul culto della per-sonalità del Professore (cf. C. A. AGNOLI e P.TAUFER: T.F.P.: La Maschera e il volto.Edizioni Adveniat. S. Giustina di Rimini. Inquesto libro si denunciano anche i rapportidella T.F.P. con la massoneria americana, inchiave anticomunista).

Non sta a me avallare o smentire questeaffermazioni, che riporto solo come curiositànella biografia di un grande esperto di sèttee movimenti esoterici. Del Prof. de Oliveirafaccio cenno solo per spiegare l’interesse diIntrovigne, altrimenti mal interpretabile, perla “rivoluzione sessuale”. Essa è, secondo ilpensatore brasiliano, un aspetto della “quar-ta rivoluzione”, che va succedendo alla ter-za, il comunismo (le prime due essendo statel’umanesimo e la riforma protestante).

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Il dott. Massimo Introvigne con Mons. Giuseppe Casale (foto “Cristianità”)

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Su Cristianità, organo ufficiale di Alle-anza Cattolica, apparve quindi tutta una se-rie di scritti inusuali per una rivista di stam-po controriformista, dovuti alla penna diMassimo Introvigne, il quale, per dovered’ufficio, divenne lettore e studioso diGeorges Bataille e Wilhelm Reich. Con-densato di questi scritti, il volumetto “Por-nografia e rivoluzione sessuale” (LibreriaSan Lorenzo, Chiavenna, 1983), prima operadi un autore in seguito divenuto prolifico.

Altro aspetto della “quarta rivoluzione”però, è il diffondersi delle sètte. Un aspettoparticolarmente utile per mettere a frutto lapolitica “dell’entrismo” iniziata da AlleanzaCattolica con l’inatteso sostegno al referen-dum mini-abortista del “Movimento per lavita”, e proseguita con la rottura con Mons.Lefebvre, politica che fino allora non avevadato, però, grandi risultati. (Per “entrismo”si designava, in Alleanza Cattolica, la tatticadi collaborare con le strutture ecclesiasticheufficiali per riportarle a posizioni controrivo-luzionarie).

Gli studi di Massimo Introvigne sulle sèt-te o, come meno crudamente si dice, sullenuove forme di religiosità, hanno dato i ri-sultati sperati.

Mons. Giuseppe Casale, arcivescovo (ma-terialiter) di Foggia-Bovino, ha recentementededicato una lettera pastorale al fenomenodelle sètte e della nuova religiosità, dando ilmeritato rilievo, in questo campo, all’azionesvolta da Alleanza Cattolica. È il primo rico-noscimento “magisteriale”, per quanto ne so,al movimento di Giovanni Cantoni, che neglianni ‘70 era avvezzo a ben altro trattamentoda parte dei Pastori. Il merito è da ascrivereprincipalmente all’opera di Massimo Intro-vigne, il quale, grazie alla sua specializzazionedi “settologo” è diventato stretto collaborato-re di Mons. Casale nell’ambito del CESNUR,il Centro Studi sulle Nuove Religioni, centrodi cui Mons. Casale è presidente ed il dott.Introvigne è direttore. Per completezza diinformazione, segnalo che Introvigne è purecollaboratore ufficiale del GRIS (Gruppo diRicerca e di Informazione sulle Sette) per lasezione “Religioni e Sètte”.

Ad incarichi così importanti il dott.Introvigne è assurto anche grazie alla sua fe-condissima attività letteraria. Un tempoAlleanza Cattolica additava alla pubblica e-secrazione la “sètta comunista”, la “sètta de-mocristiana”, la “sètta modernista” o la “sèt-ta abortista”...

Purtroppo lo studio su queste “sètte” nonprovocava l’interesse di case editrici comeSugarco o Mondadori. Ben altro il risultatoquando si cambiò di sètta: i libri di MassimoIntrovigne sono divenuti dei best-sellers.

Alcuni titoli: Il reverendo Moon e laChiesa dell’Unificazione. 1987

Il destino dell’uomo nella teologia deiMormoni. 1988.

I Testimoni di Geova. 1988. e 1991.Le Nuove religioni. 1989.Le sètte cristiane. 1989 e 1990.Lo Spiritismo. 1989.I Nuovi Culti. Dagli Hare Krishna alla

Scientologia. 1990.Il Cappello del Mago. 1990.I Nuovi movimenti religiosi. Sètte cristia-

ne e nuovi culti. 1990.Le nuove rivelazioni. 1991.La questione della nuova religiosità. 1993.Il ritorno dello gnosticismo. 1993.Temo che questa lista non sia esaustiva

(possibile che non abbia pubblicato nulla nel1992?) ed in ogni caso non comprende gli in-numerevoli articoli, presentazioni, conferen-ze ecc. tenute dal nostro celebre “settologo”;il quale ormai è contattato regolarmente daiquotidiani nazionali, ogniqualvolta la crona-ca presenta la scoperta di una nuova sètta oil ritrovamento di qualche rito satanico inuno sperduto cimitero di campagna...

Ma veniamo al dunque. Il lettore di“Sodalitium” si chiederà perché mi occupodi Massimo Introvigne.

La risposta è semplice: perchè egli si oc-cupa di me o, piuttosto, dei miei amici e con-fratelli dell’Istituto Mater Boni Consilii.

In almeno due pubblicazioni, il dott.Introvigne, tra i Testimoni di Geova ed il Rev.Moon, i Mariaviti e le “piccole chiese”, ha avu-to la bontà di ricordarsi dei vecchi amici e di in-serire anche il nostro Istituto, presto raggiuntodalla Fraternità San Pio X di Mons. Lefebvre,tra le sètte. Da buon studioso serio e coscien-zioso, il dott. Introvigne si aggiorna e non con-tentandosi dell’antica conoscenza con tutti noi,tramite Jean-François Mayer, suo collega di lin-gua francese, Padre Selti, religioso torinese, edil Centro Cammarata di San Cataldo, potrebbechiedere notizie fresche di prima mano per unprossimo libro... (nel qual caso, ci venga a tro-vare, che faremo una rimpatriata).

Ma - direte voi - cosa c’entra la Mas-soneria? C’entra, c’entra...

E non perché ad Alleanza Cattolica sileggesse Eliade o perché la T.F.P. coltivi un

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po’ il mito dei Templari o le amicizie masso-niche americane (anticomuniste).

Si dà il caso che un mio conoscente mi ab-bia inviato un esemplare della rivista ArsRegia. (L’ars regia - arte regale -, per chi nonlo sapesse, è l’alchimia). Essa si definisce: rivi-sta bimestrale di studi e ricerche sulla storiadel pensiero magico, empirico e simbolico esulle tradizioni iniziatiche. L’editore è MauroMugnai (via Arno 46, Osmannoro, Firenze)ed annovera tra i suoi collaboratori fior diprofessori universitari, tra i quali il celebreFranco Cardini. Malgrado il titolo, si potrebbepensare ad una rivista molto accademica distudi. Ma la presentazione che la rivista fa dise stessa lascia poco spazio agli equivoci: “Ilprogramma di studi e ricerche si ispira alla ri-cerca ed alla riscoperta dei valori spirituali, u-niversali e archetipi nella religione, nella filo-sofia, nella scienza, nella letteratura e nell’ar-te; alla ricerca degli elementi essenziali comu-ni alle tradizioni magiche, esoteriche, religiosee simboliche occidentali e orientali; all’investi-gazione delle frontiere inesplorate del mondonaturale e delle facoltà latenti dell’uomo; allostudio di sistemi di razionalità altre rispettoall’attuale modello della razionalità scientifica.E si propone: l’esplorazione delle molteplicimodalità proprie dell’esperienza religiosa edella sapienza mistica; l’analisi delle interazio-ni specifiche tra i diversi complessi culturaliattivi nello stesso ambito storico-geografico el’analisi delle loro rispettive articolazioni; la ri-costruzione dell’originale semantico dei lin-guaggi magici ed esoterici; la presentazione el’indagine critica di discipline di frontiera chestudiano eventi non inquadrati e/o inquadra-bili nell’attuale status teoretico della scienzanormale; l’indagine sui rapporti tra scienza uf-ficiale e pseudoscienze sia nella nostra epocache in determinati ed emblematici momentistorici; lo studio dei meccanismi consci e in-consci attraverso i quali la cultura minoritariasi difende dalla rimozione operata dalla cultu-ra dominante e si rigenera costantemente”.

Mi scuso per la pappardella. Ma era neces-sario dilungarsi per capire che questa rivista nonstudia queste cose dall’esterno, come io potreistudiare il buddismo, ma dall’interno. Dettochiaramente, Ars Regia ha tutte le apparenze, epiù che le apparenze, di una rivista massonica;come dice in poche parole il quotidiano “LaStampa” (3/10/93, cronaca di Torino, pag. 37).Lo conferma il fatto che l’Editore, MauroMugnai, è notoriamente massone. Come purela stretta parentela che un membro del comitato

scientifico di consulenza, il fisiatra GianfrancoSalvini, intratterrebbe con l’ex-Gran Maestrodella Massoneria prof. Lino Salvini.

Ma passiamo al contenuto stesso degliarticoli (mi riferisco al n. 12, Maggio-Giugno1993). Il Prof. Rossi tratta del Graal, depre-cando l’influenza di San Bernardo, uomocon uno “spropositato senso della propriamissione”, “acrimonia nelle polemiche”, “fa-natismo per l’ortodossia”, “tenacia nelle ini-micizie”, il quale “equivocò decisamente” aproposito di Abelardo. Da qui, nel ciclo ca-valleresco, “l’impossibile dialogo fra la ciecaviolenza inquisitoriale e l’intelligente uso diragione”. Con la riforma di San GregorioVII (che dà fastidio proprio a tanta gente!)“le cose non cambiano, anzi peggiorano”:verginità della Madonna, castità del laico,verginità del clero... tutti segni che si passadall’ “antica etica laica” del vecchio ciclo ca-valleresco “alla nuova morale religiosa” ove“l’amore fra uomo e donna è di per sé consi-derato sconveniente se non è nobilitato dalvincolo coniugale ed esercitato nel rispettodei precetti della Santa Chiesa”.

Enrica Tedeschi ci parla del simbolismo edel culto del fuoco. Naturalmente il purgato-rio è “un mito”, ed il suo fuoco un retaggio di“religioni molto più antiche”. Il Cristianesimo,secondo la Tedeschi, opera uno “slittamentosimbolico”: dal fuoco come “rito di passaggio”al fuoco legato “al culto dei morti”, tutto ciò,secondo la tesi (ridicola) di Le Goff per “eser-citare un controllo sociale ed ideologico suidevoti”. Se il Purgatorio ed il suo fuoco sonoquindi un’invenzione medioevale dei preti pertruffare i fedeli, “il fuoco alchemico”, invece,non è un mito, ma una cosa seria! “Fuocoamico, fuoco messaggero, fuoco immaginedella divinità che non è esterna all’uomo mache giace nelle sue più nascoste profondità.Fuoco come posta in gioco, come scacco uma-no e come salvezza. Fuoco come ierofante.Fuoco sciamanico e metallurgico. Fuoco dellacucina e del focolare. Fuoco dell’alchimia. (...)L’immortalità donata dal fuoco è questa im-mutabilità, questa fissazione in uno stato semi-nale, che è tutto in potenza e nulla in atto:solve et coagula”. Esaltante mistica massonica!

Il Prof. Bianca ci parla del misticismo. C’èun “misticismo della natura”, che è un “mi-sticismo panteistico”: Dio è nel mondo, “im-manente nella natura” “e non al di fuori diesso” (sembra di leggere Giovanni Paolo II:“Dio è immanente al mondo e lo vivifica daldi dentro”). C’è un “misticismo dell’anima”,

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che non consiste nella ricerca di Dio, ma di sestessi, del proprio “sé” che è immortale.“Questa forma di misticismo è tipica del pen-siero originale buddista e di quasi tutte le tra-dizioni esoteriche che si sono sviluppate nelmondo antico orientale e occidentale e chesono ancora presenti oggi in molti movimentidi pensiero e in istituzioni, come laMassoneria, che in modi diversi sono legate aqueste tradizioni”. Infine, c’è “il misticismodi Dio” “in cui viene accettata l’esistenza diun essere divino” non meglio identificato, o,meglio, “diversamente inteso, verso cui tendel’anima per il suo ricongiungimento”. Le treforme di misticismo pari son per l’illustre cat-tedratico, ed in fondo è vero poiché, nella suaforma panteista, atea o deista, sempre di“spiritualità” massonica si tratta.

La Professoressa Macioti ci parla delleSirene, affascinanti divinità per i pagani, mo-stri demoniaci per i cristiani, per i quali lafemminilità ed il desiderio di conoscenza (ve-di il caso di Eva) portano alla perdizione. Perfortuna che “come nota Gilbert Durand, lachiesa cattolica non riuscirà ad estirparne deltutto l’immagine: a suo avviso, Lourdes e leinnumerevoli fonti consacrate a Maria Ver-gine testimoniano di questa resistenza fanta-stica alla pressione del dogma e della storia”.

Il Prof. del Re, diletta il lettore col quadra-to magico, mentre Vittorio Vanni, dopo avercondannato la moda dell’occultismo e lo spiri-tismo, come farebbe un fedelissimo del CE-SNUR o del GRIS (ma anche un Guénon!),invita il lettore a seguire “le grandi correntiinziatiche” dando per scontato che chi leggeArs Regia ha scelto “la via esoterica”.

Insomma, nessun dubbio è possibile: ArsRegia è uno strumento, almeno oggettiva-mente, di propaganda massonica agghindatada simbolismo e tradizionalismo medioeva-leggiante, e di conseguente lotta alla ChiesaCattolica (il Purgatorio è un mito, la Ma-donna anche, ecc.).

Stupisce allora leggere su “Ars Regia” unarticolo di Massimo Introvigne (“La città del-le Meraviglie. Spiritualità alternative, nuovereligioni e magia a Torino”, pagg. 24-25) nellasua veste di direttore del CESNUR, anche senon stupisce che vi inserisca, nella lista delle“meraviglie”, con la Fraternità san Pio X e la“Salus Populi Romani”, anche l’“IstitutoMater Boni Consilii”. Tre associazioni facentiparte di “un mondo - piccolo, ma non di radocolorito e qualche volta in contatto con gli am-bienti della magia e dell’occulto -” che “va ad

alimentare la rete nascosta di interscambi e diconnessioni fra gruppi diversi che contribuiscealla complessità della città delle meraviglie”.Ricordando che Introvigne abita nella “Cittàdelle Meraviglie”, cioè Torino, sono veramen-te meravigliato della faccia tosta di chi non e-sclude possibili contatti col mondo della magiae dell’occulto (anche) all’Istituto Mater BoniConsilii, e poi scrive su di una rivista come ArsRegia. Tanto più che il dott. MassimoIntrovigne non è un collaboratore occasionaledi “Ars Regia”, ma fa parte, quale membrodel CESNUR, del Comitato scientifico di con-sulenza della Rivista in questione. Con questonon voglio affermare che i membri delComitato scientifico di Ars regia siano affiliatialla Massoneria. Benché… pare proprio chealmeno uno di essi lo sia, a meno che si trattidi un curioso caso di omonimia. Intendo par-lare del professor Emilio Servadio, psicanali-sta, che si ritrova sia nel Comitato scientificodi Ars regia, sia come collaboratore di Hiramorgano ufficiale del Grande Oriente d’Italia(cf. Hiram 07/09/92, pag. 58).

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La copertina di “Ars Regia”

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Tanto meno voglio accusare MassimoIntrovigne, cattolico tutto di un pezzo, di esse-re Massone (anche se non disdegna di tenereconferenze al Rotary Club, come quella chediede a Salt Lake City, capitale dei Mormoni,il 19 maggio 1992, cf. Cristianità, n. 207-208,pag. 23) almeno fino a prova del contrario.Constato tuttavia che egli fa parte del comita-to scientifico di una rivista chiaramente di i-spirazione massonica ed anticattolica.

Si può attribuire tale fatto all’ignoranza(che, come dice Mons. Oddi è “l’ottavo sa-cramento” che porta in Paradiso più anime,quasi, degli altri sette) e pertanto conside-rarlo scusato?

È difficile crederlo, tanto più in una per-sona che percorre l’Italia tenendo conferen-ze... sulla Massoneria, come fa fede un qual-siasi numero di Cristianità (cf. ad esempio, lostesso numero di Cristianità, alla pag. 22).

Personalmente giudico molto grave, dalpunto di vista della purezza della Fede catto-lica, la collaborazione esistente tra MassimoIntrovigne ed Ars Regia, collaborazione checoinvolge indirettamente anche il CESNURed Alleanza Cattolica. Faccio notare che nelsuo articolo, il dott. Introvigne non avanzaneppure una riserva sulla posizione della ri-vista alla quale collabora. Chi tace, accon-

sente? Dimmi con chi vai, e ti dirò chi sei.Quanto a me, se mai ce ne fosse bisogno,

sono uscito confortato nel prendere cono-scenza dell’ennesimo attacco del “sèttologo”contro i miei amici dell’“Istituto Mater BoniConsilii”: infatti, se la sètta per eccellenza, laMassoneria, afferma che l’Istituto è da cata-logare più o meno tra le sètte, c’è da staretranquilli... Da che pulpito viene la predica!

Nota di “Sodalitium”. Pur non condivi-dendo le posizioni di Alleanza Cattolica e diCristianità, il nostro Istituto ed il nostro bol-lettino sono sempre disposti al confronto in-tellettuale con tutti i cattolici i quali, in buonafede, pensano di dover accettare il VaticanoII. In occasione della propria separazione dal-la Fraternità San Pio X, don Cantoni, purconcludendo erroneamente, avanzò dei pro-blemi reali ai quali la Fraternità non diede enon dà ancor oggi una risposta soddisfacente;di questo, gliene diamo atto. È con esitazione,pertanto, che abbiamo lasciato la penna aPadre Torquemada, ben noto ai nostri lettoriper lo stile polemico. Ci auguriamo che i suoisospetti siano infondati. Ma abbiamo dovutoconstatare che le sue informazioni sono veri-tiere. Ecco perchè, un po’ a malincuore, ritor-na la polemica sulle pagine di “Sodalitium”.

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SAN PIO V, “IL PAPA DELLA S. MESSA”

Prima parte: la santità di un Inquisitore domenicano

di don Ugolino Giugni

San Pio V è certamente un Papa assai ca-ro ai “tradizionalisti” poiché fu lui a promul-gare quella S. Messa che essi difendono dapiù di vent’anni, e che è passata appunto allastoria come “Messa di S. Pio V”.

Questo Papa fu riformatore, come rifor-matore fu quel suo grande predecessore S.Gregorio VII, del quale abbiamo avuto giàoccasione di trattare, sempre su queste pagi-ne (1). Senza timore di sbagliare si può affer-mare che un filo conduttore lega questi duegrandi pontefici del passato. Non sarà infattiinutile rilevare come S. Pio V sia il primo

Papa Santo dopo S. Gregorio VII [se siesclude S. Celestino V], e dopo san Pio V cisia S. Pio X, il Papa che condannò i moderni-sti con l’enciclica “Pascendi”.

Inoltre se S. Gregorio VII scomunicòEnrico IV di Germania, e sciolse dall’obbligodi fedeltà i suoi sudditi; lo stesso fece S. PioV con la regina Elisabetta (I) d’Inghilterra,protestante e persecutrice dei cattolici. Seegli poté far ciò in pieno sec. XVI fu perchéS. Gregorio, prima di lui, aveva mostrato allacristianità che il Papa aveva il potere di de-porre i sovrani. Bisogna però riconoscere cheessendo cambiati (in peggio) i tempi [l’In-ghilterra era ormai un paese del tutto prote-stante…] e la mentalità delle persone, gli ef-fetti delle due scomuniche di fatto (ma nondi diritto…) non furono gli stessi.

S. Gregorio VII fu riformatore dellaChiesa dal suo interno, combattendo la si-

Agiografia

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monia ed il concubinato del clero, e fu so-prattutto strenuo difensore della sua libertà,svincolandola dalle ingerenze degli impera-tori di Germania nella “lotta per le investitu-re”, il cui episodio più importante avvennesotto le mura di Canossa.

S. Pio V da parte sua, cinque secoli dopo,arrestò l’infiltrazione protestante in Italia, gra-zie alla sua opera inquisitoriale prima di di-ventare Papa. “Ma due sono i motivi della suamaggior gloria: l’attuazione della riforma pro-mossa dal Concilio di Trento e la vittoria dellearmi cristiane sulla Mezzaluna a Lepanto.

A poco o nulla sarebbero valse le deci-sioni di Trento se i decreti riformatori nonfossero poi stati energicamente attuati.Questo compito, sia pur iniziale, spettava al(…) domenicano Michele Ghislieri, che pre-se il nome di Pio V” (2).

Canossa come Lepanto?Se a Canossa la vittoria morale fu per S.

Gregorio VII, la vittoria politica fu perl’Imperatore poiché egli riuscì a spezzare ilcerchio dei suoi avversari e riprendersi la co-rona solo grazie alla magnanimità di S.Gregorio nel quale il cuore sacerdotale pre-valse sull’uomo di stato (3). Ma la causa dife-sa da Ildebrando da Soana, non moriva conlui in esilio a Salerno, bensì “spiccava il voloper la vittoria”, trionfando sotto i suoi suc-cessori; e se, diversi secoli dopo, MicheleGhislieri divenuto Pio V, ebbe l’autorità mo-rale di riunire intorno a sè l’orbe cristianoper combattere il pericolo mussulmano fuanche grazie all’opera di S. Gregorio VII.

San Pio V è soprattutto il “Papa diLepanto”, come Gregorio VII fu il “Papa diCanossa”, poiché grazie a lui “il 7 ottobre1571 sulle acque di Lepanto le armi cristiane- contro ogni umana previsione - sbaraglia-rono la flotta della Mezzaluna. Era stato luicon la sua tenacia a concludere un’alleanzadei principi cristiani, era stato lui ad interes-sarne la Madonna… Sappiamo infatti chementre si combatteva a Lepanto, le confra-ternite del Rosario percorrevano processio-nalmente le vie di Roma” (4).

Dopo questa breve introduzione, il letto-re comprenderà così più facilmente qual’è ilmotivo che mi spinge a parlare, dopo S.Gregorio VII, di un altro eroe della Chiesache come lui fu Vicario di Cristo: san Pio V.Egli è conosciuto soprattutto a causa dellacodificazione della S. Messa, ma poco cono-sciuta (oppure è volutamente passata sottosilenzio…) è la sua opera di inquisitore e di

difensore della cristianità dagli eretici e dagliinfedeli mussulmani. È quindi mia intenzio-ne in questo articolo informare i lettori suquesti aspetti meno conosciuti del “Papadella S. Messa”.

Un po’ di storia…

Il cinquecento fu forse, nella storia dellaChiesa, uno dei secoli più dolorosi, ma an-che più gloriosi; si sentiva la necessità di unasua riforma.

In Germania Martin Lutero aveva pensa-to di dar fuoco alle polveri; non era unariforma che nasceva, ma una ribellione con-tro Roma e contro la Chiesa. Si dice che ilpretesto fu la corruzione notata a Roma daLutero, ma in realtà come egli stesso precisò“se il Papa fosse anche pio come san Pietro,nonostante ciò sarebbe egualmente empio”(Discorsi conviviali). Dunque il movente fuun altro: la sua apostasia ed il suo orgoglio,per i quali pretese di riformare le idee dellaChiesa. Dallo scisma all’eresia il passo erabreve, anche se inizialmente egli poteva pen-sare di non andare tanto lontano.

Il movimento di protesta contro Romaebbe poi sede in Svizzera nei cantoni di lin-gua tedesca con Ulrico Zwingli († 1531); inquelli di lingua francese con GiovanniCalvino († 1564). L’Inghilterra si separerà daRoma nel 1534 per una passione del suo reEnrico VIII [che antecedentemente si erameritato l’appellativo di “defensor fidei” gra-zie ad un libro che aveva scritto per confutarel’errore di Lutero. Qui existimat stare videatne cadat… (5)]. Non si trattò di semplici sci-smi, poiché lo scisma contiene sempre in sél’eresia, come diceva Mons. Guérard desLauriers, si andò oltre intaccando e cambian-do nella sua sostanza la Fede cattolica. Questiuomini non furono quindi dei “riformatori”ma piuttosto dei “novatori” e come tali deglieretici. Poiché il principio stesso da essi postoconsisteva nel “protestare” [da cui il nome diprotestanti], ne conseguiva che i protestantifossero spesso in lotta tra di loro secondol’adagio Tot capitæ tot sententiæ (Calvino, aGinevra, fece bruciare come più “eretico” dilui Michele Serveto negatore della SS. Trinità,riuscendo così anche a consolidare il suo po-tere sulla città); l’unico punto di contatto con-sisteva nel comune sforzo di rovesciare ed an-nientare la cattedra di Pietro.

E nella Chiesa Cattolica che avveniva?Erano già sorti qui e là alcuni movimenti di

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riforma genuinamente cattolica, e ancheIstituti ed Ordini religiosi (basti pensare aiGesuiti). Non dimentichiamo che in quellostesso anno 1521 in cui Lutero in Germanialanciava il suo grido di rivolta, in Spagna unex soldato del re di Castiglia, ora soldato diGesù Cristo, si consacrava interamente aDio desideroso di fare qualcosa per Gesùprima di morire; quest’uomo si chiamavaIgnazio di Loyola, colui che fonderà laCompagnia di Gesù. Quasi per compensarela defezione di alcune nazioni europee, Dioconsolava la sua Chiesa con la conversionedi altre nazioni nelle Indie Orientali [graziea S. Francesco Saverio] ed in America, gra-zie all’opera di schiere di missionari che var-carono gli oceani per predicare il Vangelo.

Ma la riscossa cattolica non si fermò qui:dal 1545 al 1563 si tenne il Concilio di Trento,che precisò le verità della Fede negate o mes-se in discussione dagli eretici novatori; nellostesso tempo mise in opera un piano di vera“Riforma” della Chiesa, “in capite et in mem-bris”, che il nostro S. Pio V avrà il merito dimettere tosto in atto. Lungi dall’essere mortocome speravano i pretesi “riformatori” ilPapato mostrava una vitalità sorprendente.

Nel cinquecento nacquero, oltre ai Gesuiticome già accennato, molti istituti religiosi ascopo prettamente sociale come i Teatini,Barnabiti, Padri Somaschi (S. GerolamoEmiliani), Fatebenefratelli (S. Giovanni diDio), Oratoriani (S. Filippo Neri), Camilliani(S. Camillo de Lellis) ecc. Altri ordini si rifor-marono come i Cappuccini, i Carmelitaniscalzi (S. Teresa d’Avila, S. Giovanni dellaCroce). La copiosissima schiera di santi delcinquecento cioè della “controriforma” mo-stra che il cattolicesimo era ancora fecondo disantità e che il vero “riformatore” deve co-minciare a riformare se stesso diventando un“Santo” e non un eretico…

Per avere un quadro completo di questosecolo così travagliato bisogna aggiungereancora la vittoria di Lepanto contro i Turchi,alla quale abbiamo già accennato in aperturadi questo articolo.

È in questo quadro che si svolse l’operadi S. Pio V.

Origini e nascita

Michele [secondo alcuni si chiamava An-tonio] Ghislieri nacque il 17 gennaio 1504,giorno di sant’Antonio, nel piccolo villaggio diBosco in Piemonte presso Alessandria (6), sot-

to il pontificato di Giulio II, quando era impe-ratore Massimiliano I d’Austria. Suo padre eraPaolo Ghislieri, e sua madre DomenicaAugeria, nativa di Bosco, entrambi erano dimodesta condizione e con pochi mezzi mate-riali, ma assai stimati per la loro virtù cristiana.

Si dice che la famiglia di S. Pio V discen-desse dai Ghislieri di Bologna, una delle piùantiche famiglie di quella città, che fu peròcacciata da Bologna, dopo aver perso tutti isuoi beni, in seguito alle guerre civili del XVsec. tra Guelfi e Ghibellini, precisamente nel1445, in quanto appartenente al partitoGuelfo che difendeva gli interessi della Chie-sa. Alcuni Ghislieri si rifugiarono a Romadove presero il nome di Consiglieri, mante-nedo però lo stemma del loro casato, mentrealtri membri di questa famiglia si ritirarononella diocesi di Tortona a Bosco. Da questoprimo esule in Piemonte di nome Bastianonacque Antonio, da cui Paolo Ghislieri geni-tore di Michele, il futuro Pio V (7).

Il piccolo Michele crebbe con un'educa-zione fortemente cristiana datagli dai suoigenitori, e rafforzata dall’esempio delle lorovirtù. Poche sono le informazioni riguardantila sua fanciullezza; di lui si sa che era mode-sto e riservato, parlava poco, a scuola mo-strava capacità al di sopra della sua età, ri-fuggiva i divertimenti propri ai fanciulli suoicoetanei. Manifestava una particolare devo-zione alla SS. Vergine Maria. Già all’età didodici anni era attirato verso la casa delSignore, sospirava alla solitudine e doman-dava a Dio il modo di potersi consacrare in-teramente a Lui. Né a Bosco, né nelle vici-nanze c’era alcun monastero, e i suoi genito-ri lo invitavano a cercarsi un mestiere ma-nuale che gli assicurasse l’avvenire.

Nel 1516 la Provvidenza condusse aBosco due religiosi Domenicani apparente-mente senza altro disegno che permettere aisegreti desideri di Michele Ghislieri di arri-vare a compimento. Ciò mostra come Diosia fedele (I Cor. X, 13): se egli ispira unbuon pensiero, offre anche la buona occasio-ne per portarlo a compimento. “Il fanciulloavvicinò - i due religiosi di S. Domenico -con timidezza, e li sorprese colla maturitàdel suo giudizio, colle sue domande e le suerisposte. La vocazione (…) si andò manife-stando a sua insaputa in questa ingenua con-ferenza, al punto che i religiosi gli domanda-rono se volesse continuare la strada con essi,promettendogli di iniziarlo nei loro studi, edanche di riceverlo nel loro ordine, se più tar-

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di se ne fosse reso meritevole. Il fanciullocommosso nel vedere prevenuto il desideriodel suo cuore, accettò con gioia la loro offer-ta. (…) Corse difilato dal padre e dalla ma-dre, s’inginocchiò, implorò la loro benedizio-ne, e preso un lembo della tonaca di uno deidomenicani, li seguì (…) fino al convento diVoghera, che apparteneva alla provinciaDomenicana di Lombardia” (8), distante cir-ca 35 Km da Bosco.

Giovane religioso Domenicano

Tale e tanta fu la sua diligenza in ogniopera che ben presto si accattivò l’affezionedei religiosi di S. Domenico. Ogni mattinaserviva la prima Messa, il resto della giornatalo consacrava allo studio. In pochi anni diven-ne così dotto e pio che il padre Priore lo con-siderava come un tesoro affidatogli dal cielo.

“Da Voghera Michele passò al convento diVigevano, ove cominciò il suo noviziato. Cor-rispondendo fedelmente all’aspettazione deisuoi superiori, si applicò con un fervore semprecrescente alle paratiche del Chiostro, al racco-glimento, all’orazione alla mortificazione” (8).

Al termine del suo noviziato fu ammessoalla professione religiosa nel 1519. È costu-me che i religiosi che emettono la professio-ne lascino il loro nome di famiglia per pren-dere quello del loro luogo di origine; il no-stro novizio voleva di conseguenza chiamar-si: Michele da Bosco. Il padre provinciale ri-spose: “Nessuno conosce quel luogo, d’orainnanzi conviene che vi chiamate frateMichele Alessandrino, giacché siete natonelle vicinanze di Alessandria”. Questo ap-pellativo lo accompagnerà, come vedremo,anche in seguito quando sarà il “CardinaleAlessandrino”. Ben presto quegli stessi pa-

dri che gli erano stati di guida cominciaronoad ammirarlo come modello. Fra MicheleAlessandrino si dedicò da allora allo studiodella filosofia, ed era solito dire: “L’orazioneè un mezzo efficace per acquistare la scien-za, e quanto più lo spirito si unisce al Signo-re con questo divino commercio della pre-ghiera, tanto più diventa atto ad apprendereed arricchirsi di scienza” (9).

Fu inviato a Bologna per studiare la Teo-logia, e fu precocemente stimato capace diinsegnarla agli altri. “Trattava divinamentela scienza di Dio, univa alle spine della scola-stica le spine del calvario. Gli scolari afflui-vano in folla da tutte le parti e si stimavanofelici di ricevere le lezioni di quel maestro,che aveva appena vent’anni”. Il “suo” librodi testo era senz’altro la “Somma teologica”di san Tommaso d’Aquino se riflettiamo alfatto che nel 1567 sarà proprio S. Pio V aproclamarlo dottore della Chiesa, chiaman-dolo “il più sapiente dei santi”.

Quando ebbe compiuto il ventiquattresi-mo anno d’età fu mandato a Genova per es-servi ordinato sacerdote, e fu necessaria tuttal’autorità del padre Provinciale per vincere inlui il santo timore che faceva sì che egli si giu-dicasse indegno del glorioso ministero. Era il1528, egli fu ordinato dopo un lungo ritiro dipreparazione; per tutto il seguito delle suacarriera mantenne sempre inviolabilmentequelle disposizioni con cui aveva ricevutol’unzione sacra. Fra Michele non aveva più ri-visto la sua famiglia dal giorno della separa-zione; fu per ordine dei superiori che si deter-minò a ritornare a Bosco per consolare i suoi,e non per desiderio proprio, poiché aveva fat-to sacrificio a Dio delle affezioni anche più le-gittime. Il suo paese era stato devastato re-centemente dalle truppe di Francesco I; lastessa chiesa dove aveva pregato bambinonon esisteva più, ridotta ad un cumulo di ro-vine; non poté quindi, come sperava, dirvi laprima Messa, cosicché fu obbligato a celebra-re nel vicino paese di Sezzadio.

Nel 1543 fu ritirato dalla sua cattedra diTeologia ed inviato al capitolo dell’ordineDomenicano a Parma dove sostenne, secon-do costume, una tesi in 30 proposizioni perconfutare l’eresia luterana; già si palesava il“defensor fidei”. In quegli anni si mise a stu-diare controversia, dopo aver già approfondi-to la teologia, desideroso di combattere a duemani per la difesa della Santa Chiesa, meri-tandosi quell’appellativo di “ambidexter ar-matus” che era stato già conferito a S. Basilio.

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La casa natìa di S. Pio V a Bosco

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Quest’altra scienza gli sarebbe servita in se-guito per meglio contrastare gli errori nascen-ti in quegli anni. Lo studio non gli impedivaperò di essere sempre esattissimo in tutte lealtre sue occupazioni: assisteva con puntua-lità agli uffici, praticava rigorose mortificazio-ni, scopava i locali del convento, le ricreazionile passava a consolare gli afflitti, istruire gliignoranti, servire i suoi fratelli, incoraggiare ideboli. Era solito dire: “Il religioso è similead un pesce, non può vivere fuori dal suo ele-mento”, mostrando in questo modo il suo a-more per la ritiratezza del chiostro.

Le sue virtù gli guadagnarono così gran-de stima presso i suoi confratelli che fu chia-mato successivamente alle più alte dignitàdella provincia. Fu dapprima eletto prioredel convento di Vigevano, poi priore diSoncino ed in seguito di Alba. Bisognavasempre forzarlo ad accettare queste caricheper obbedienza poiché naturalmente per laumiltà era incline a rifiutarle.

Il “martello degli eretici”

Verso il 1549, quando era ancora priore delconvento di Alba, i cardinali del Sant’Offiziolo nominarono Inquisitore a Como. Poiché sicercava un delegato fedele, guardiano zelantedella fede e fermo nell’agire, la scelta cadde sufra Michele Alessandrino che già in tante oc-casioni aveva mostrato il suo valore.

Il Ghislieri aveva manifestato in prece-denza al vescovo di Bagnoregio fra UmbertoLocato ex commissario dell’Inquisizione esuo ex confessore, un'inclinazione per l’uffi-cio di Inquisitore in quanto diceva che in es-so: “era conscio di contribuire al bene delleanime, a cui invece dubitava di portare ap-porto nella funzione di superiore”.

Essere Inquisitore significava essere tuto-re e giudice della fede riconosciuto anche dalpotere civile. Si trattava di scoprire e ricerca-re gli eretici, separarli dal gregge dei fedeli af-finché non lo corrompessero, far loro confes-sare gli errori, se possibile correggerli e con-vertirli. Se invece il reo restava pertinace nelsuo errore era giudicato e condannato, anchea morte, secondo la gravità della sua colpa.Non sarà inutile ricordare al lettore come inuno stato cattolico (dove la popolazione è agrandissima maggioranza cattolica) l’unica re-ligione a vedersi riconosciuta la libertà di es-sere insegnata e praticata deve essere laCattolica fondata da Gesù Cristo. Essa avràquindi il diritto ed il dovere di proteggere le

anime dei cristiani da tutte le infiltrazionidell’errore ricorrendo anche, qualora sia ne-cessario, ad un tribunale che giudichi e con-danni i criminali (la Santa Inquisizione).

Il principio della “tolleranza” verso tutte lereligioni non è altro che un principio massoni-co, inculcato, oggi, anche ai cattolici dai “falsipastori” dopo il Vaticano II, ed è uno deglistrumenti (come un cavallo di Troia…) di cuila sètta massonica si serve per cercare di di-struggere la Chiesa. Con la “tolleranza” i mas-soni mettono l’unica verità: Nostro SignoreGesù Cristo, che ha ogni diritto (“Io sono laverità…”, Giov. XIV, 6), sullo stesso pianodell’errore: il “padre della menzogna” Luci-fero, che non deve invece avere alcun diritto.

A quel tempo infatti l’Italia era presa dimira dai protestanti, che l'assediavano allefrontiere con i loro scritti, pieni di calunniecontro i cattolici. L’eresia, che si era diffusaormai in Svizzera, cercava di penetrare inItalia attraverso il Milanese, sotto l’apparen-za delle frequenti relazioni commerciali esi-stenti tra i due stati. Era quindi necessariauna vigilanza e una resistenza altrettanto at-tiva quanto insidiosa era l’aggressione.

Fra Michele sequestrò a Como un libroeretico molto pernicioso che doveva esserediffuso clandestinamente nei territori diModena e Vicenza. Il mercante presso il qualeavvenne il sequestro, essendo vacante la sedeepiscopale, si rivolse al Vicario Generale dellaDiocesi che levò il sequestro. “Irremovibilel’Inquisitore fulminò la scomunica a tutti colo-ro che avevano partecipato a questo atto, e ilSant’Offizio convocò a Roma il VicarioGenerale ed il Capitolo di Como. Invece direcarvisi il Vicario Generale si appellò aFerdinando di Gonzaga, governatore diMilano, accusando il Padre Alessandrino dizelo esagerato e abusivo” (10). Il Governatoreindignato lo citò a comparirgli davanti. Mal-grado sapesse che gli eretici gli tendevano in-sidie e cercavano di ucciderlo in quello stessoluogo dove avevano assassinato S. PietroMartire, sulla strada Barlassina, camminandodurante la notte Fra Michele si presentò almattino all’udienza del Governatore.Quest’ultimo si rifiutò di accordargli quell’u-dienza per il quale lo aveva fatto chiamare(non si aspettava tanto coraggio dall’In-quisitore…); e il Ghislieri fu avvertito che sistava per metterlo in prigione. Contento di es-sere stato trovato degno di soffrire disprezzoper il nome di Gesù, il padre Alessandrino in-traprese, a piedi come sempre, il viaggio verso

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Roma per difendere la sua causa e il bene del-la Chiesa. Ed il « 24 Dicembre 1550, entravanella Città eterna, digiuno ed estenuato dallafatica. Indirizzandosi a Santa Sabina, conven-to del suo ordine, il Priore al suo aspetto mise-rabile, lo prese per qualche vagabondo, chevenisse a cercar fortuna alla Corte Pontificia,e lo ricevette con freddezza. Anzi con tono discherzo gli domandò: “Padre, cos’è che venitea cercare? Venite forse a vedere se il collegiodei Cardinali è disposto a farvi Papa?”“Vengo a Roma, rispose Ghislieri, chiamatovidagli interessi della Chiesa, e me ne andrò ap-pena che la mia opera sia compiuta. Per que-sto non vi domando che una breve ospitalità eun po’ di fieno per questa mula” » (11).

Fra Michele Alessandrino vinse la causa,fu mantenuto nel suo officio di Inquisitore, eritornò in Lombardia. A Como fu nominatoun Vescovo a cui il Capitolo si sottomise.

Nuovi elementi di discordia si manifesta-rono poi nella città di Coira, per una questio-ne di benefici ecclesiastici. “Due canonici, en-trambi nati da famiglie potenti, si contendeva-no il beneficio. Uno dei due era accusato dieresia e di costumi corrotti, ma il credito diamici potenti gli permetteva di ottenere il po-sto [il vescovato]: sfidando il pericolo mortaleche esisteva per l’Inquisitore di attraversare ilpaese dei Grigioni, manifestamente eretico,Fra Alessandrino, giunse a Coira dove istituì ilprocesso, condannò il prete indegno e insediòil suo avversario. Nessuno osò contestare que-st'atto di autorità suprema, poiché l’In-quisitore aveva agito in pieno giorno, mossoda una forza che non aveva nulla di umano:essa era della stessa natura di quella che gettòa terra, per tre volte, gli sbirri del Sinedrio, lanotte nel giardino degli Ulivi” (12).

Il successivo intervento del buon In-quisitore avvenne a Bergamo dove un famo-so avvocato, di nome Giorgio Medolagodiffondeva apertamente il protestantesimo.Le precedenti correzioni impiegate controquest’uomo si erano rivelate inutili. IlGhislieri lo fece subito imprigionare, e cercòdi ricondurlo alla verità tramite un dottore,fedele all’Inquisizione, e parente dell’accusa-to; ma quest'intervento a nulla valse se nonad aumentare le bestemmie del Medolago. Aprocesso già istituito, molti cittadini di Ber-gamo, stretti da legami di famiglia con l’avvo-cato, lo fecero evadere di prigione. Poiché icomplici erano tanti ed era difficile punirlitutti, Fra Alessandrino preferì rimettersi allacoscienza cattolica dei cittadini, rappresen-

tando sulla pubblica piazza la gravità del col-po e fulminando le censure ecclesiastiche.Ebbe subito la consolazione di vedere i col-pevoli bergamaschi chiedere perdono dellaloro rivolta e ricondurre l’accusato ai suoigiudici. Il Medolago fu processato regolar-mente, e fu relegato a Venezia dove finì isuoi giorni nell’oscurità e nell’oblio.

Bergamo però non era ancora liberata dalpericolo poiché il suo vescovo Vittore So-ranzo, nobile veneziano, tramava di dare inpreda all’eresia il gregge a lui affidato, e primadi far ciò meditava come liberarsi dal-l’Inquisitore (era stato il Soranzo a consigliarel’evasione dell’avvocato). Per la seconda voltaFra Michele Alessandrino scampò alla morte:con la sua voce tuonante dicendo, “Chi cerca-te?” (come già N.S.G.C.…), mise in fuga i sica-ri che si erano introdotti nottetempo nel con-vento dei domenicani per assassinarlo. Nellacasa del vescovo si trovarono due cofani pienidi libri eretici, pronti ad essere diffusi; ilSoranzo fu arrestato, convocato a Roma, edeposto, fu relegato pure lui a Venezia.

Primo Commissario Generale delSant’Offizio a Roma

Nel giugno 1551 moriva a Roma il PadreTeofilo da Tropea o.p. primo Commissario delSant’Offizio. Il Cardinal Caraffa (il futuroPaolo IV), che aveva conosciuto il Ghislieriall’epoca del suo primo soggiorno nella cittàeterna, e che da lungo tempo spiava l’occasio-ne per condurlo a Roma, lo fece nominare alposto del defunto. Il Caraffa, fondatore deiTeatini, aveva ricevuto il galero cardinalizioda Paolo III (13); egli era un “vegliardo alto emagro non incurvato dagli anni, né indebolitonelle facoltà mentali. Consacratosi senza posaal ristabilimento del dogma e della disciplinain tutta la loro purezza, la restaurazione reli-giosa era divenuta l’impresa di tutta la sua vi-ta. L’esperto suo discernimento” aveva rico-nosciuto al primo colpo d’occhio la stessa vo-cazione nel Ghislieri, vide in lui un soldato diquella milizia di cui aveva bisogno e lo vollecome nuovo compagno (14).

“Il Cardinale, felice di rinnovare colPadre Michele le sue prime relazioni, diedeordine che si aprisse la porta del suo gabi-netto a qualunque ora si presentasse; e benpresto (…) gli diede alloggio nel suo propriopalazzo. Ogni giorno si vedevano mettere incomune i tesori della loro fede e gli sforzidel loro zelo” (15).

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Qual’è la figura spirituale di questo reli-gioso di S. Domenico di 47 anni d’età quandoentra in Roma circa 15 anni prima di diventa-re Sommo Pontefice? « È un uomo di orazio-ne e di raccoglimento; ma anche un uomo diforza, una forza al servizio della Fede, [uomo]del quale la castità è l’integrità. Religiosi, laici,vescovi: l’Inquisitore non fa alcuna accezionedi persona, li giudica tutti con la stessa calmasovrana, li pesa tutti con lo stesso peso del-l’unica verità. Questo era oramai il suo incari-co: difendere il gregge dai lupi che vi eranopenetrati! Dare i posti alla virtù, ritirandoli alvizio e all’eresia; deporre i cattivi vescovi, fos-sero essi anche influenti e potenti, soprattuttoquando sono fautori di eresia e distribuisconocattivi libri: sono tutti i ranghi della Chiesa chel’Inquisitore intende proteggere dalla cancre-na protestante, anche a prezzo di separazioniecclesiastiche, di condanne e scomuniche.Dovremo ricordarcelo quando lo vedremo, di-venuto custode del deposito della fede, richia-mare i principi, i superiori, i vescovi ad essereforti nella fede, intrattabili coi colpevoli. La vi-ta romana del nuovo Commissario generaledel Sant’Offizio avrebbe d’altronde dimostra-to che questa forza della Fede, attinta alle sor-genti dell’orazione e della penitenza, ha comefiglie “la grandezza d’animo, la fiducia, latranquillità, la pazienza, la perseveranza, lalonganimità, l’umiltà e la dolcezza”, secondole parole di san Bonaventura » (16).

Il suo incarico era di servire il TribunaleSupremo dell’Inquisizione, egli era una spe-cie di assessore alla giustizia; ma suo compitoera anche quello di denunciare gli accusati altribunale e di assisterli una volta condannatie qui entrava in gioco la misericordia.

Ogni mattina Fra Alessandrino scendevanelle carceri per visitare gli accusati, e nonrisparmiava nessuno sforzo per ricondurli a

Gesù Cristo. Disputava liberamente con lo-ro, dissipava i loro dubbi con dolcezza edeloquenza. Una volta che aveva ricondottigli accusati alla verità ed essi avevano abiu-rato i loro errori, impiegando tutta la sua ca-rità non ometteva nulla per rendere più faci-le la loro penitenza, offriva i suoi buoni offi-ci come a dei vecchi amici, e spesso li am-metteva alla sua mensa. La maggior partedella sua rendita, grazie alla sua austerità esobrietà, la consacrava all’aiuto dei bisogno-si e dei poveri, poiché diceva che la povertànon è solo dura occasione di sofferenza maanche una continua tentazione al peccato.

Dio lo ricompensò sensibilmente della suamisericordia facendogli provare l’attaccamen-to e la riconoscenza degli infelici che grazie al-le sue cure erano tornati, dopo traviamentipasseggeri, alla libertà e alla pienezza della fe-de. Quanti errori ed erranti corretti, ostinazio-ni domate che si cambiavano in docilità filiale;passioni disingannate che si tramutavano indevozione, grazie all’opera del Ghislieri!L’esempio più meraviglioso di questi è proba-bilmente il caso di Sisto da Siena.

Sisto da Siena e… Sisto V

Sisto da Siena era nato nel giudaismo, siconvertì e si fece battezzare all’età di vent’an-ni contro la volontà dei genitori. “Entrònell’ordine di S. Francesco, ove imparò le sa-cre lettere sotto il dottore Catarino suo com-patriota. Dai venti ai trent’anni esercitò nelleprincipali città d’Italia il ministero della pre-dicazione con gran fama (…). Gonfiato dallelodi e dagli applausi degli uomini, Sisto daSiena cadde in errori (…) giudaici. Egli ne fe-ce pubblica abiura, e nondimeno ebbe la scia-gura di ricadervi. Questa volta fu, qual recidi-vo, chiuso nelle prigioni del Sant’Offizio aRoma, convinto, giudicato e condannato alfuoco, quando il Commissario generaledell’Inquisizione andò a visitarlo” (17).

Sisto da Siena si trovò ormai senza piùpossibilità di indulgenza nei suoi confronti,poiché la sua doppia ricaduta aveva allonta-nato dal suo carcere sia i giudei che i cristia-ni, due volte ingannati nelle loro aspettative.Il Ghislieri ebbe compassione di lui, egli nonpoteva guardare “con freddezza tante emi-nenti qualità ed una natura così florida, cheprometteva una gloriosa maturità, mietutanel suo vigore. Si gettò in orazione doman-dando a Dio di illuminarlo su ciò che dovevafare. Sembrò che Dio gli rispondesse interna-

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Lo stemma di Michele Ghislieri, Papa S. Pio V

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mente che il cuore del reo non aspettava cheun ultimo atto di clemenza per rigenerarsi aipiù pii e costanti sentimenti. Allora Ghisliericessò di resistere alla sua inclinazione, si av-vicinò a Sisto, l’esortò, lo convinse e riuscì in-fine a fargli desiderare di vivere nella peni-tenza e nell’amore di Gesù Cristo” (18).

Fra Michele Alessandrino, come ebbeappurato il pentimento di Sisto corse a get-tarsi ai piedi del Papa Giulio III, la cui auto-rità era la sola che potesse revocare la sen-tenza di morte; ottenne la grazia, assieme al-la liberazione del prigioniero e con la facoltàdi integrarlo nel suo Ordine.

Pochi mesi dopo la gioia del Ghislieri eraal colmo poiché vide che “non aveva sparso invano le sue lacrime sulla scienza e giovinezzadi Sisto: egli lo riceveva nell’Ordine di S.Domenico. Tutta la vita di lui, miracolosamen-te scampata alla morte, fu consacrata alla mo-destia, alla vigilanza su di sé medesimo, allafermezza nella Fede, all’edificazione dei suoifratelli” (18). La sua conversione fu veramentesincera, poiché i suoi superiori gli ordinaronodi riprendere il ministero della predicazione. Isuoi sermoni furono raccolti in un opera cheegli pubblicò dieci anni più tardi dedicandolaa Pio V con espressioni di profonda gratitudi-ne (19). Sisto da Siena fu anche autore di ri-marcabili scritti sulla questione giudaica.

In seguito, una volta Cardinale, FraMichele Alessandrino impiegò con profittoil domenicano Sisto da Siena alla conversio-ne dei Giudei, e gli affidò anche incarichi in-quisitoriali. Consumato dalle fatiche e dalleausterità della sua penitenza Sisto morì nel1569 a Genova, all’età di circa 49 anni.

Un altro fatto che testimonia la grandezzad’animo di Fra Michele Alessandrino è il se-guente: “Nel 1551 un Francescano, FelicePeretti, predicava nella chiesa dei SS. Apostolia Roma. Ogni discorso era ascoltato con gene-rale ammirazione da uditori, che accorrevanociascun giorno in maggior numero. Egli aveval’abitudine di impiegare il momento di riposo,che divideva il suo discorso, a leggere le letteree le suppliche, che non si mancava mai di pre-sentargli in gran numero, quando fendeva lafolla per salire in pulpito. Fra le carte che glifurono un giorno consegnate, ne rimarcò una,che era suggelleata, e l’aprì. Ma invece di con-tenere il racconto di qualche affanno, ol’esposizione di uno scrupolo, questa lettera alcontrario entrava in discussione coll’oratore, esull’argomento della predestinazione vi si leg-geva in grandi lettere: Tu menti! [queste paro-

le erano come una formula di cui si servivano icattolici per tacciare di eresia i protestanti, ederano state scritte da un male intenzionato, ge-loso del suo successo, con l’intenzione di tar-pare le ali al Peretti. N.d.a.]

Il Francescano si sentì quasi abbattuto daquesta improvvisa menzogna e non potendodissimulare il suo turbamento, terminò la suapredica in disordine. Appena rientrato nellasua cella vi vide comparire un membro delsant’Ufficio. L’Inquisitore lo interroga e lo in-calza, scandagliando nel tempo stesso con unosguardo penetrante l’anima del giovane predi-catore. Il Francescano ne apre egli stesso i se-greti, confessa ingenuamente di essersi lascia-to sconcertare da un attacco improvviso, madispiega nel tempo stesso una sicurezza cosìsincera e così calorosa nei principii della Fede,che la faccia dell’inquisitore si commuove, gliocchi perdono la loro severità, si aprono lebraccia, e se voi avete bisogno di un appoggio,gli dice, nessun altro ve lo darà fuori di me.

Era Pio V che abbracciava Sisto V” (20).Questa due storie ci mostrano come nel

Ghislieri la giustizia (era inflessibile quandosi trattava di difendere i diritti della Chiesa,o condannare un eretico pertinace) andasseunita ad una grandissima misericordia, laforza alla dolcezza, come già nel nostro mo-dello e Redentore: il Signore Gesù Cristo,che ha pietà degli uomini “secondo la suagrande misericordia” (Ps. 50, 1).

Un capitolo fondamentale dell’opera in-quisitoriale del Ghislieri fu indubbiamente ilprocesso del cardinal Morone, fortementesospetto di eresia, arrestato sotto Paolo IV(Caraffa), assolto sotto Pio IV, e definitiva-mente messo da parte sotto S. Pio V. Tantogrande era per la Chiesa il pericolo, che ilMorone diventasse Papa, che il cardinalAlessandrino entrò nel conclave da cui u-scirà Sommo Pontefice, nascondendo sotto ilsaio di domenicano le carte del processo fat-to al Morone per impedirne assolutamenteun'eventuale elezione. Alcuni arrivano an-che a sostenere che Ghislieri accettò di di-ventare Papa per impedire che lo diventasseil cardinal Morone.

Vista l’importanza di questo episodiodella vita di S. Pio V, il processo al CardinalMorone sarà oggetto del prossimo articolo.

Vescovo di Nepi e di Sutri

Il 25 marzo 1555 morì Giulio III; i cardi-nali elessero dapprima Marcello II (Car-

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dinale Marcello Corvino, già legato pontifi-cio al Concilio di Trento), ma questi morìdopo appena 22 giorni di Pontificato. In suavece fu quindi eletto il 3 maggio 1555, l’ami-co e stretto collaboratore di Fra MicheleAlessandrino: l’ottantenne cardinal Caraffache prese il nome di Paolo IV.

Paolo IV pur mantenendolo nella caricadi Commissario generale del Sant’Offizio, no-minò il Ghislieri Vescovo di Nepi e di Sutri. Sitrattava di due Vescovati riuniti, di rendita as-sai modesta, che dipendevano direttamentedalla Santa Sede. Il Papa si riservava però dimantenere il religioso domenicano nel suo in-carico al Sant’Offizio, almeno fino a quandonon avesse trovato qualcuno capace di sosti-tuirlo. “Ghislieri fu estremamente afflitto del-la sua nomina, ed andò a gettarsi ai piedi diPaolo IV supplicandolo di revocarla. Scon-giurò il Pontefice per tutta l’affezione, che gliaveva fin qui dimostrata, di sollevarlo da que-sto peso formidabile e di lasciarlo morire nelsuo abito monastico. Il Papa non si arrese néalle sue ragioni, né alle sue preghiere, e gli in-giunse di considerare i suoi ordini come uncomando espresso della Provvidenza. Soloqueste parole del Vicario di Gesù Cristohanno potuto mettere fine alle istanze diGhislieri, il quale domandò allora al SantoPadre la sua benedizione per andare a servirla Chiesa nel nuovo suo posto” (21).

Fra Michele Alessandrino fu consacratoVescovo nel gennaio del 1557; gli succedevanella carica di Inquisitore il padre TomasoScoto. Poche sono le informazioni circa ilsuo ministero episcopale; ci basti sapere che:“la diocesi confidata alle sue cure cambiòbentosto di aspetto. Visitò con ogni accura-tezza e sollecitudine tutti i paesi soggetti allasua giurisdizione, senza dimenticare le ca-panne più miserabili, dove si ignorava persi-no il nome dei suoi predecessori. Il vizio el’ignoranza non potevano sottrarsi alle suericerche; e coloro che non conoscevano il lo-ro dovere, o coloro che lo trascuravano, fu-rono sottomessi alla medesima regola, e tuttidovettero riguadagnare coll’obbedienza queigradi, che non giustificavano colle loro ope-re passate” (21). Il novello Vescovo non pote-va non sentire il peso della sua responsabi-lità di pastore, e nello stesso tempo lo zeloper le anime lo divorava spingendolo a com-piere al meglio i suoi doveri, ma in lui rima-neva sempre l’inclinazione per la solitudinedel chiostro. Questa inclinazione unita al pe-so della sua dignità, lo portò di nuovo ai pie-

di del Papa per implorarlo del permesso diritornare al suo convento. Ma Paolo IV glitolse ogni speranza residua con queste paro-le: “Io vi attaccherò al piede una catena cosìforte, che anche dopo la mia morte, non po-trete più pensare al chiostro”. Era chiara, inqueste parole, l’intenzione di Paolo IV dicrearlo Cardinale.

Il Cardinale Alessandrino, SupremoInquisitore della Cristianità

Detto fatto! I disegni della Divina provvi-denza si compiono inesorabilmente… Senzanemmeno avvertirlo, il 15 marzo 1557 PaoloIV promosse il Ghislieri alla sacra porporacardinalizia, assieme ad altri dieci cardinali.Se Fra Michele Alessandrino nella sua umiltàfu incapace di esprimere la sua riconoscenzaper una dignità che lo riempiva di santo timo-re, non così gli altri membri del Sacro Col-legio che ringraziorono invece il Pontefice diaver dato loro un così illustre collega.

« Il Ghislieri scelse per suo titolo la chie-sa di santa Maria sopra Minerva [che era an-nessa al convento domenicano, fin dai tempidi Gregorio XI], che il Papa a suo riguardoammise nel numero delle chiese titolari [eglifu quindi il primo cardinale a portarne il ti-tolo]. Ed affinché l’ordine di S. Domenicofosse sempre associato agli onori che riceve-va, e per ritenere anche sotto la porporaqualche traccia dell’antico suo stato, si fecechiamare il “Cardinale Alessandrino” e nongià cardinale Ghislieri, perché questo nomed’Alessandrino, impostogli dal Padre Pro-vinciale al momento solenne della sua pro-fessione nell’Ordine, gli richiamava le piùcare memorie della sua infanzia, del suo pae-se e della sua vocazione » (22).

Elevando il Ghislieri alla porpora, PaoloIV non voleva soltanto onorarlo, ma volevachiamandolo attorno a sé, con gli uomini piùeminenti del cattolicesimo aumentare la suaazione contro le eresie sempre più forti. IlPapa conferì, quindi, al cardinal Alessan-drino l’incarico di Supremo Inquisitore dellaCristianità, dandogli così potere su tuttal’Inquisizione cattolica, nel mondo intero.

“L’Inquisizione dalla sua origine avevasubìto numerose modificazioni. Alla sua na-scita gli Inquisitori, rivestiti d’un’autoritàprecaria, ricorrevano continuamente aiPontefici per l’esecuzione delle loro senten-ze. Nel 1263 Urbano IV investì un cardinaledel diritto di giudicare le cause di coloro, che

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si appellavano a Roma. Questa suprema ma-gistratura, mantenuta in vigore per più dimezzo secolo, rimase vacante fino al Pon-tificato di Clemente VI (1343), il quale ne in-vestì il cardinale Guglielmo di Tolosa; poi ri-cadde in dissuetudine [desuetudine] fino aPaolo III (1534), che la divise fra quattro car-dinali, nominati perciò cardinali del Sant’Of-fizio. Il loro numero era stato portato a seisotto Giulio III; ma Paolo IV, che si era giàaffaticato, essendo cardinale, a rassodarequesta istituzione, nel ristabilirla sull’anticopiede volle ridonar ad essi, l’autorità e l’ener-gia, che egli giudicava indispensabili. Tutti gliInquisitori ed i loro delegati furono sotto-messi al Cardinale Alessandrino, senza eccet-tuarne i Vescovi, che univano talvolta questiuffici all’episcopato” (23).

Per capire la portata di questo incaricoconfidato al Cardinal Alessandrino, bisognasapere che Paolo IV fece sì che questa fun-zione fosse perpetua nella sua persona; nonsarebbe cessata nemmeno durante la vacan-za della Sede Apostolica, come quella dellaSacra Penitenzeria. Si trattava in sostanzadella più alta partecipazione al potere delVicario di Gesù Cristo, cioè di essere il giu-dice supremo dei pastori del gregge. « IlCardinale Alessandrino, nota il suo biografo,“fu insieme il primo e l’ultimo ad occuparequesto posto, tale quale l’aveva istituitoPaolo IV. Perché, elevato al sommoPontificato, restò necessariamente il capodella Congregazione del Sant’Offizio, ed iPapi, suoi successori, si riservarono semprela presidenza di questo tribunale superiore,che è a propriamente parlare, il tribunale delSommo Pontefice” » (24).

La porpora cardinalizia, unita a quell’altoufficio di Supremo Inquisitore della cristia-nità, non mutò in nulla i costumi anteriori delGhislieri. Non depose mai l’abito domenica-no, praticava i digiuni e le penitenze abituali,viveva in tutto con la semplicità del religioso.

In un secolo in cui non era certo raro il ne-potismo il Cardinale Alessandrino si astennesempre con fermezza dal favorire, in qualchemaniera, i suoi parenti; ne è prova lampantequesta (famosa) lettera che egli scrisse a suanipote Paolina Ghislieri: «Mia cara nipote.

Ho appreso con gioia dalla vostra letteradel 26 febbraio la buona unione che mantene-te col vostro marito (…). Guardatevi benedall’invanirvi perché siete la nipote di unCardinale. Il posto che io occupo nella Chiesadeve essere per voi un motivo di rendere gra-

zie a Dio, e un nuovo impegno di avanzarvi invirtù. Dimandate per me la grazia che possasostenere con una vita santa la dignità, a cuimi ha sollevato il Vicario di Gesù Cristo. Voinon dovete desiderare che Iddio mi innalzidippiù in questo mondo. Voi non vedete che illustro della mia nuova dignità, ed ignoratequali siano le cure, le inquietudini, i dispiacerinei quali essa mi impegna, e dai quali felice-mente era libero nel chiostro…

Riguardo poi a ciò che mi scrivete circal’affare di vostro cognato, sappiate, mia caranipote, che i benefici non si conferiscono al-la carne ed al sangue, ma alla virtù ed almerito. Finora Dio mi ha fatto la grazia chenon mi immischiassi in questo infame com-mercio. Non vogliate dunque credere che ne’miei vecchi anni io voglia caricarmi la co-scienza di questi criminosi intrighi.

Da Roma, 26 marzo 1558» (25).Nella sua casa abitavano le persone stret-

tamente necessarie al servizio ed all’eserciziodelle sue funzioni. Il cardinale stesso sipreoccupava di istruirle nei loro doveri; vole-va che entrassero nella sua casa con lo spiritodi chi entra in un convento piuttosto che nel-la casa di un cardinale. Era amorevole e cari-tatevole con tutti, si sobbarcava egli stesso lefatiche dei servitori, e non li chiamava mai,anche se ne avesse avuto bisogno, negli orariidi riposo o di ristoro. La più bella sala delsuo palazzo era diventata l’infermeria per iservi malati. A nessuno mai il CardinaleAlessandrino si rifiutava di dare udienza.

Vescovo di Mondovì in Piemonte

Nel 1559, il 18 agosto era morto Paolo IV,colui che aveva esaltato Ghislieri alle più altecariche della Chiesa, e suo grande amico. Glisuccedeva il cardinale Giannangelo Medici,eletto nel dicembre dello stesso anno, cheprendeva il nome di Pio IV. Sotto il suo pon-tificato vi fu una repressione verso i Caraffa:il cardinal Carlo Caraffa perì in prigione, edue altri membri della famiglia ebbero la te-sta tagliata. In questa caduta dovevano esse-re trascinati anche gli uomini devoti alla me-moria del predecessore di Pio IV cioè del de-funto Paolo IV. Il cardinal Ghislieri fu man-tenuto sì nella sua carica di Inquisitore su-premo, ma nel contempo egli fu nominatoVescovo di Monregale o Mondovì in Pie-monte, paese di origine del Ghislieri. È possi-bile che in questa elevazione vi fosse una pu-nizione (il desiderio di allontanare il

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Cardinale Alessandrino da Roma), ma, inogni caso, Pio IV nominandolo alla diocesi diMondovì, il 27 marzo 1560, gli concedette in-sieme la facoltà di rimanere a Roma e di de-legare il governo diocesano al vescovo ago-stiniano Girolamo Ferragatta (ma conoscen-do il senso del dovere del Ghislieri, Pio IVpoteva facilmente immaginare che egli vi sisarebbe recato di persona).

In questa maniera veniva allontanato daRoma uno dei migliori consiglieri di PaoloIV ed uno dei cardinali più fermi nella fedee fedele alla Chiesa.

« Il cardinale accetta tale soluzione, manon si sente peraltro dispensato dall’interes-sarsi direttamente della diocesi, essendo un ti-po da impegnarsi nelle cose fino in fondo e dipersona. Decide perciò di visitare Mondovìche sa bisognosa del suo intervento: la parten-za è fissata per la notte del 29 giugno 1561 (26).

(…) giunto in Piemonte fa visita al ducaEmanuele Filiberto, il padre della Torino mo-derna, e il 7 agosto compie l’ingresso ufficialea Mondovì. La città è un centro di sapere e dieducazione, per il collegio dei Gesuiti fondatoin quell’anno e lo Studio favorito dal duca diSavoia che sboccerà nell’università torinese.Dall’alto della residenza sul colle di Breo, lapanoramica sulle Alpi con il Tenda e il Mon-viso che punta al cielo con la forma di untriangolo isoscele, sulle colline delle Langhe,su Cuneo, Saluzzo, Fossano, sembra beneau-gurare allo svolgimento di quella “general so-praintendenza” sui problemi religiosi delPiemonte affidata da Roma al cardinaleAlessandrino [Poiché la situazione religiosain Piemonte era piuttosto preoccupante, acausa della presenza dei valdesi nelle valli pi-nerolesi, era stato inviato da Roma, su richie-sta del Duca, prima come nunzio il vescovo diGinevra Bachod con poteri amplissimi nellalotta all’eresia.Un anno dopo poi era arrivatoil cardinal Ghislieri con compiti inquisitoriali(di ricercare, condannare, assolvere, e fareabiurare i sospetti di eresia) non limitati allasola Mondovì bensì estesi a tutto lo stato sa-baudo (27) n.d.a.].

La permanenza in diocesi però non èconfortevole né consolante. Incominciamodalla messa che è costretto a celebrare ra-mingo e scomodo qua e là, perché la chiesadel vescovado in precedenza era stata dalcomune adibita a scuola. Per suggerimentodel duca di Torino aveva pazientato per seimesi, ai quali egli ne aveva aggiunti altri due,prima di reclamare i propri diritti. I cuneesi,

in tempo di guerra e di loro arbitrio, aveva-no fuso in artiglierie il bronzo di due campa-ne dell'abbazia di San Dalmazzo apparte-nente ai beni del vescovado; adesso le arti-glierie si dovevano rifondere in campane.

Ma non erano questi i motivi principali,anche se giusti, che mossero il vescovoGhislieri il 1° settembre a scrivere ad Ema-nuele Filiberto. C'era di mezzo l’onore dellareligione, sul quale non si poteva transigere. Imagistrati di Mondovi si dimostravano pocopropensi ad eseguire con fedeltà le disposizio-ni del Sant'Ufficio (…). Il duca poi non avevaancora mantenuta la promessa fatta a Pio IVdi togliere la proibizione ai sudditi di ricorre aitribunali ecclesiastici. Quest’ultima vertenzainteressava l’intero ducato, ma il cardinaleGhislieri la poteva affrontare per le facoltà ge-nerali avute dal Papa. Del resto la visita inizia-ta gli aveva aperto gli occhi su quello stato dicose che andava denunciando per lettera » (28).

Se il Cardinale Alessandrino invocaval’aiuto del duca di Savoia era perché lo rite-neva indispensabile per il compimento deisuoi disegni di Riforma e restaurazione delladiocesi. “Il duca di Savoia era rispettoso del-la Chiesa, senza però gradire molto il suo in-tervento nella politica religiosa dello stato.(…) La sua mentalità di Sovrano su questopunto non combaciava con la posizione delvescovo [Ghislieri] mai tergiversante nel sal-vaguardare l’integrità del credo e dei dirittiecclesiatici. Perciò l'aiuto ducale non vennesubito o almeno il vescovo non ebbe pazien-za di attenderlo oltre, non piacendogli starecon le mani in mano, dal momento che “l’in-comodo che più di tutti mi pesa - scriveva - èlo stare qui senza frutto alcuno, non potendoeseguire quanto avrei desiderato di fare perservitù di Dio e di Sua Altezza”.

Se ne partì dunque “sforzato” il 14 set-tembre da Mondovì e il 25 novembre rientròa Roma. Nonostante lo scacco subito, pur nonessendo l'uomo facile allo smacco, il vescovonon si disamorò della diocesi piemontese, allaquale aveva preparato il ritorno nel 1564quando Pio IV, per le divergenze reciprochesorte, gli aveva fatto intendere di non gradirela sua presenza in Vaticano. Tuttavia tre moti-vi gli impedirono di eseguire il programma:l’opposizione dei cardinali che lo volevanotrattenere per i lavori dell'inquisizione, la re-crudescenza della malattia, e la rapina pirate-sca all'altezza di Porto Ercole del bagagliospedito innanzi, ricco di parati liturgici e didocumenti. I tentativi intrapresi per la sua

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diocesi dovevano così registrarsi passivi: nem-meno i santi sono onnipotenti. La sua inalte-rata forza d’animo si era vista stroncare daterzi impedimenti gli effetti desiderati. Sonoquesti i tempi di sconfitta in cui solo l'umiltàmantiene grande chi lo è davvero. A suo van-taggio stava la consolazione della buona co-scienza, dal momento che Dio pesa le inten-zioni più che i risultati » (26). Nella lettera cheaveva inviato al duca Emanuele Filiberto ave-va aperto con franchezza e candore i suoi sen-timenti, scrivendo: « d’amore e di fedeltà noncedo, né voglio cedere ad alcuno nel ricordarea Vostra Altezza le cose necessarie al culto diDio, all’esaltazione della santa fede cattolica ealla conservazione della pace, la quale si man-tiene con la religione e con la giustizia, senzale quali due cose tutti i domìni precipitati dallesedizioni e dalle guerre cadono in aperta rovi-na… » (26).

Con queste parole il Cardinale Ales-sandrino si accomiatava dal suo Piemonteche non avrebbe più rivisto né da vivo né damorto: non da vivo perché sarebbe diventatoPapa, non da morto poiché sarebbe stato ve-nerato come un Santo nella Roma immorta-le dei Papi. Lasciava la diocesi monregalesein stato migliore di come l’aveva trovata,poiché aveva compiuto la visita pastorale,ravvivato la fede e i costumi corrottisi a cau-sa della vicinanza degli eretici, aveva ammi-nistrato il sacramento della Cresima, corret-to gli abusi e restaurato dappertutto la disci-plina ecclesiastica (29).

Il ritorno a Roma del Ghislieri era dovutoanche al fatto che il 29 novembre del 1560 PioIV aveva fatto annunciato la ripresa dei lavoridel Concilio di Trento per la Pasqua successi-va, e l’arcivescovo di Milano, il cardinaleCarlo Borromeo aveva domandato l’aiuto delCardinale Alessandrino. Inoltre lo stesso PioIV si era reso conto che le funzioni di Inqui-sitore richiedevano la presenza del titolare;“gli fu dunque spedito l’ordine di venire a ri-prendere il suo posto di Inquisitore [che mai,in realtà, aveva abbandonato], affine di occu-pare quello, che gli si competeva, nei consiglidel Sommo Pontefice” (30).

Infatti « Affari molto complicati richiede-vano allora l'intervento del card. Alessan-drino. Parecchi vescovi francesi non rifuggi-vano dal compromettersi cogli Ugonotti; an-zi nell'adunanza di Poissy avevano sì debol-mente difesa la verità e tradito a tal punto illoro dovere, che l'ambasciatore fiorentinodovette esclamare: “Non si sa, se questi ve-

scovi francesi amino tanto essere sconfitti,quanto desiderano i protestanti vincere”.

Otto di essi attiravano in modo specialel'attenzione degli inquisitori: Giovanni diChaumont, di Aix; Caracciolo, di Troyes;Giovanni di Montluc, di Valence; quelli diChartres, di Dax, d'Oloron, d'Uzès, anch'essifavorevoli alla Riforma, e infine Louisd'Albret, vescovo di Lescar, che il clero e ifedeli denunciavano come transfuga, per ilfatto che osava far predicare in sua presenzaun domenicano spretato, Henri de Barreau,adultero ed eretico. Il Nunzio aggiungeva aisuoi rapporti ufficiali questo particolare pic-cante: era andato egli stesso a Pau, vestito daborghese, allo scopo di ascoltare questo reli-gioso deviato e gli aveva fatto delle obiezio-ni, mettendo in evidenza i suoi errori. ARoma si conoscevano pienamente le cose giàda quattro anni. Pio IV non cedette di certo aun'impressione subitanea, quando sul princi-pio del 1563 “ammonì i cardinali dell'In-quisizione di procedere contro i vescovi fran-cesi accusati d'eresia”. I lamenti assai fortidel nunzio Prospero di S. Croce, che si facevaportavoce del malcontento dei cattolici fran-cesi per la lentezza della S. Sede, e la gravitàdei documenti raccolti dal Grande Inqui-sitore, indussero il Papa a prendere le debitemisure. Un conflitto tra il re di Francia e ilCapo della cristianità era inevitabile.

Appena il Ghislieri (13 aprile 1563) ebbecitati canonicamente gli otto vescovi: “a pre-

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Papa Paolo IV

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sentarsi entro sei mesi presso il S. Ufficio perdiscolparsi del sospetto d'eresia, sotto minac-cia di scomunica, sospensione e privazioned'ogni beneficio”, entrò in gioco Caterina de'Medici. Essa invocò “le franchigie e la libertàdella Chiesa gallicana”, e tendeva a trasfor-mare una questione puramente religiosa, inuna questione politica, che metteva in giocol'onore e i diritti della corona. Invano ilNunzio sosteneva, col diritto del buon senso,che un vescovo non poteva essere calvinista, eche il Concordato riservava alla S. Sede il giu-dizio delle cause più gravi; Caterina replicavache “fuori di Francia non s'era mai fatto alcunprocesso d'un vescovo e suddito francese, equand'anche l'accusato ammettesse una cosasimile, il re non vi avrebbe mai acconsentito”.Del resto, soggiungeva, manderemo a Romaun ambasciatore, per trattare la questione.

Per colmo d'impudenza, fu scelto comeambasciatore Noailles, uno dei vescovi accu-sati. Come a Roma fu saputa la cosa, il card.Alessandrino persuase il Papa a non riceverecome ambasciatore una persona che era ac-cusato dall'Inquisizione, e a non accordargligli onori e le immunità, se non dopo unasentenza d'innocenza.

Questo fatto indusse Filiberto de laBourdaisière, cardinale francese residente aRoma, a scrivere (9 ottobre 1563) al Noaillesche si fermasse a Lione o si rifugiasse nellaSavoia, dicendogli, che se voleva essere suoamico, non si recasse a Roma.

Frattanto Carlo IX, informato delle inten-zioni della S. Sede, con una lettera piuttostoforte incaricò il Bourdaisière di far le sue ri-mostranze. Ma il cardinale e il suo collega deLorraine, più circospetti, si limitarono a pre-sentare delle osservazioni piene di ossequio, ea far abilmente capire che non conveniva alladignità del Papa pronunziare una sentenzache poteva essere revocata “da tutti i parla-menti del regno”. L'Alessandrino aveva perògià premunito il Pontefice contro ogni senti-mento di timore. Noailles non fu riconosciutocome ambasciatore, e gli inquisitori ebberofacoltà di proseguire nelle loro citazioni.

La questione fu dunque proposta nel nuo-vo concistoro. Il 22 ottobre 1563 Pio IV radu-nato il Sacro Collegio, diede subito la parolaal card. Alessandrino. Questi si scusò di nonavere un'eloquenza proporzionata all'impor-tanza degli incidenti che si dovevano deplora-re e, dopo aver tracciato un triste quadro deiprogressi fatti dal calvinismo in Francia, di-scusse giuridicamente il caso specifico dei ve-

scovi accusati. Constatò anzitutto che i vesco-vi citati regolarmente a comparire, non si era-no presentati nel termine prefisso, riassunseper sommi capi l'accusa, e fece presenti legravi deposizioni fatte da numerosi testimonidegni di fede. Come conclusione, propose cheCaracciolo, Montluc, e D'Albret fossero uffi-cialmente dichiarati eretici e privati della di-gnità episcopale, e che Chaumont, Guillard,Saint-Gelais e Régin non potessero più go-vernare le loro diocesi, qualora non avesseroprima scontata la loro contumacia e dimostra-to un vero pentimento.

Gli argomenti del Grande Inquisitore fu-rono così serrati e convincenti che Bour-daisière scrisse al Noailles: “Il Papa nonavrebbe potuto sospendere la sentenza, sen-za suscitare rumore e scandalo”. Il SacroCollegio, tranne, due cardinali, approvòquanto aveva detto l'Alessandrino, e allorchéBourdaisière propose una dilazione, la pro-posta fu respinta. Lo stesso Pontefice vollequindi confutare le obiezioni gallicane. Eglinon intendeva già di violare il Concordato,ma aveva avocato la causa al S. Ufficio, per-ché non vedeva esservi in Francia alcun uo-mo capace di esaminarla con competenza econ la dovuta libertà, e ai diritti degli accusatiopponeva giustamente l’interesse superioredei fedeli, corrotti dalle loro dottrine.

I cardinali consultati risposero a Pio IV che“agisse secondo le prescrizioni del diritto”, masospendesse la promulgazione della sentenza,

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Papa S. Pio V

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finché l’Alessandrino e gli inquisitori avesserodi nuovo esaminato, quali dei vescovi fosseroeretici notori e quali soltanto contumaci.

Allora il S. Padre, dopo aver solennementeratificate le proposizioni del Ghislieri, in tonoscherzevole gli fece notare le contraddizionidel suo protettore Paolo IV, lasciandosi anda-re a queste parole ironiche o almeno inattese:“Il cardinale di Napoli (il futuro Paolo IV)non si oppose alla promozione del Caracciolo,suo parente, a vescovo di Troyes, perché quelcensore tanto severo verso gli altri, era poitutto dolcezza e debolezza verso i suoi”.

Il card. Alessandrino tacque: gli importa-va una cosa sola, l'aver guadagnata la causa.L'avvenire del resto gli riservava una prontarivincita proprio sul terreno su cui Pio IVs’era messo.

Ma la sua parte in questa questione nonera ancora finita. Il 2 novembre il card. deLorraine con una lettera pressante tentò dicompiere presso il Papa uno sforzo supremo.Il S. Padre che in fondo in fondo, secondoquanto disse l’ambasciatore di Venezia, a-mava poco l'Inquisizione, fu impressionatoda questo passo, e convocò il Sacro Collegioper vedere da farsi. Ma l’Alessandrino inter-venne di nuovo energicamente, e il Papa ri-spose al card. de Lorraine, che il Vicario diCristo non poteva in coscienza lasciare inmano ad un eretico il governo di una diocesi.

La Bourdaisière aveva notato nel Papa eanche nel card. Alessandrino qualche segno dicondiscendenza; così il 13 novembre scrisse aNoailles in termini familiari: “Il card. Ales-sandrino non è così indiavolato, come vi è for-se stato dipinto. Questi signori dell’Inqui-sizione suggeriscono al Papa di rimettere alConcilio la vostra questione, e dicono chequesto partito dovrà piacervi, atteso che voigodete l’amicizia di molti prelati francesi”.

Ma Noailles, stimandosi più sicuro lonta-no da Roma, pensò bene di non farsi vedere.Carlo IX non volle accettare per il suo sud-dito le decisioni della Curia romana. Per suoordine fu spedito al Papa un memoriale piut-tosto complicato; il redattore del memorialeelencò con sovrabbondanza di particolari edi considerazioni storico-giuridiche i privile-gi della Chiesa gallicana, terminando conquesta malcelata minaccia: “Il Papa non sel'abbia a male, se il re vieta la promulgazio-ne delle censure nel suo regno, e se permetteche i prelati suoi sudditi si difendano comepossono e devono contro le dette censure inforza del diritto e secondo l'usanza dei loro

predecessori”. La questione si prolungò sinoalla morte di Pio IV » (31).

Il Cardinale Alessandrino aveva dovutoguadagnarsi la fiducia del Pontefice senza ricor-rere a bassezze di sorta, poiché come abbiamovisto egli era solito parlare “con una franchezzacapace di fargli perdere ogni influenza”. Questasua franchezza si manifestò anche quando PioIV volle conferire la porpora « ai giovani princi-pi Ferdinando de’ Medici e Federico Gonzaga,il primo di tredici anni, il secondo di ventuno,mentre il Sacro Collegio o esplicitamente o ta-citamente non rifuggì dall’approvare la propo-sta, solo l’Alessandrino osò contraddire. Pienodi deferenza, ma con quella energia che lo ren-deva inaccessibile ad ogni timore, fece presenteal Papa che una tale nomina era contraria ai re-centi decreti del Concilio, che il governo dellaChiesa non doveva mettersi in mano a dei ra-gazzi (…) Questa franchezza impressionò ilPontefice; ma purtroppo le istanze importunedi Medici resero inutile la resistenza dell’Ales-sandrino. L’avvenire giustificò i suoi timori, per-ché il troppo giovane card. de’ Medici, allamorte del fratello, mutò il cappello cardinaliziocon la corona di Toscana.

Ma l'Alessandrino poté almeno aver ilconforto che le ragioni per le quali aveva po-sto il suo veto a tale elezione erano fondate.E all'ambasciatore fiorentino, il quale in unavisita di protocollo lo ringraziò insieme al S.Collegio di aver aderito ai voleri del Papa,rispose con fierezza: “Signor ambasciatore,dispenso Vostra Eccellenza da qualsiasi attodi gratitudine, perché io sono stato l'avversa-rio di questa promozione” » (32).

In seguito ad altre questioni e scambi divedute con il Papa Pio IV, che per quantoaccettasse le ragioni più che fondate del Car-dinale Alessandrino, finì poi per irritarsi e ilGhislieri cadde in disgrazia. Dovette abban-donare i suoi appartamenti al Quirinale ePio IV ordinò che gli venissero limitati i suoiampi poteri di Inquisitore.

Era in queste circostanze che il CardinaleAlessandrino meditava il suo ritorno in dio-cesi a Mondovì. Ma per lui il tempo di lascia-re Roma era passato definitivamente, e laDivina Provvidenza disponeva ormai le coseaffinché egli non se ne allontanasse mai più,nemmeno da morto…

Nella prossima parte di questo studio suS. Pio V parleremo dei Pontificati precedential suo e del Concilio di Trento, del processoal Cardinal Morone, nonché del conclave cheportò all’elezione del Ghislieri.

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Note

1) Cfr. “Ci rivedremo a Canossa… San Gregorio VIIe la sua epoca” in “Sodalitium” n. 31 pag. 3 e n. 32 pag. 3.

2) L. A. REDIGONDA O. P. 1216 1966 Secoli domeni-cani, Sintesi storica dei frati predicatori, Tamari editoriin Bologna, pagg. 83-84.

3) Cfr. “Ci rivedremo a Canossa… ” seconda partein “Sodalitium” n. 31 pagg. 15 - 17.

4) L. A. REDIGONDA O. P, op. cit., pag. 85-86.5) I Cor. X, 12: “Colui che sta in piedi faccia atten-

zione a non cadere…” Questo fatto della caduta nelloscisma e nell’eresia di un re prima molto cattolico cimostra come il demonio si serva anche di una sola pas-sione non ben mortificata e attacchi l’uomo dal suopunto debole, come fa notare S. Ignazio nei suoiEsercizi Spirituali al n. 327, nella quattordicesima rego-la del discernimento degli spiriti.

6) Oggi questo paese si chiama Bosco Marengo in“onore” della famosa battaglia di Napoleone che avvennenei suoi pressi, quando sarebbe ben più glorioso che sichiamasse Bosco Pio V in onore di questo grande papapiemontese… n.d.a. Chi si reca in questo paese a 10 Kmda Alessandria può ancora oggi visitare la casa natìa di S.Pio V ed il convento di S. Croce che egli, diventato Papa,fece fondare nella sua città per i religiosi del suo ordine.

Alessandria [chiamata così in onore del SommoPontefice Alessandro III, capo del partito guelfo] fufondata nel XII sec. al tempo dei liberi comuni, comebaluardo contro il marchese del Monferrato, alleatodell’Imperatore Federico Barbarossa che malgrado unlungo assedio non riuscì ad espugnarla. Pochi anni dopoquesto assedio il Barbarossa subì la famosa sconfitta diLegnano da parte delle città della Lega Lombarda co-mandate da Alberto Da Giussano.

7) Questa origine dalla famiglia Ghislieri di Bolognaè messa in dubbio dallo SPRETI, in quanto a suo avvisonon documentata, nella sua “Enciclopedia storico-nobi-liare italiana”, A. Forni Editore, Ristampa dell’edizionedi Milano del 1928-36, vol III voce Ghislieri.

Confermano invece questa discendenza i seguentiautori:

PAOLO ALESSANDRO MAFFEI, Vita di S. Pio VSommo Pontefice dell’ordine dei predicatori, GiacomoTommasini Venezia 1712; scritta in occasione della ca-nonizzazione del santo.

CONTE DI FALLOUX, Storia di S. Pio V Papa dell’or-dine dei predicatori, Tip. Arcivescovile Pogliani Milano1873. Il Falloux, pur essendo un autore ben documenta-to e che cita abbondantemente altri autori, era di ten-denza liberale e cerca di presentare, nel suo libro,un’immagine edulcorata di S. Pio V, dalla quale, pur ci-tandolo spesso, credo di esser in dovere di dissentire.

8) CONTE DI FALLOUX, op. cit., pag. 6.9) CONTE DI FALLOUX, op. cit., pag. 7.10) PIERRE TILLOY, Saint Pie V. Un Pape pour notre

temps, Forts dans la Foi, pag. 34.11) CONTE DI FALLOUX, op. cit., pag.14. La cella oc-

cupata dal Ghislieri era vicina a quella di san Domenico:entrambe sono oggi santuari egualmente venerandi.

12) PIERRE TILLOY, op. cit., pag. 35. A chi gli consi-gliava di cambiar abito per attraversare il paese deiGrigioni, Ghislieri aveva risposto: “Io ho accettato lamorte al tempo stesso che ho accettato la mia carica, enon potrei mai perdere la vita in un occasione più glo-riosa” (cfr. FALLOUX, pag. 22).

13) Assieme a lui erano stati creati cardinali ilFisher ed il Pole due prelati inglesi spogliati delle loro

sedi e perseguitati dal re Enrico VIII a causa della lororesitenza al suo scisma. Il primo è un santo martire (S.Giovanni Fisher) il secondo invece faceva parte dellacorrente del cardinal Morone, cioè dei discepoli diValdes misticoide spagnolo in forte sospetto di eresia.

14) CONTE DI FALLOUX, op. cit., pag. 21.15) CONTE DI FALLOUX, op. cit., pag. 24.16) PIERRE TILLOY, op. cit., pagg. 37-38.17) ABATE ROHRBACHER, Storia universale della

Chiesa Cattolica, Marietti Torino 1865, vol XIII, libro86, pag. 27.

18) CONTE DI FALLOUX, op. cit., pagg. 25-26.19) Questa è la dedica della sua opera “Biblioteca

Sacra”: « È a voi, Santo Padre, che un tempo, dopo aver-mi richiamato dagli inferi, e tirato fuori dalle tenebredell’errore, mi avete illuminato della luce sincera dellaVerità, e che avendomi condotto all’osservanza di unaperfezione sublime, donandomi la livrea del vostro SantoOrdine, mi avete voi stesso, con le vostre stesse mani, ve-stito dei vostri abiti e adottato come figlio rigenerato nelSignore… ». Cfr. PIERRE TILLOY, op. cit., pag. 40.

20) CONTE DI FALLOUX, op. cit., pagg. 26-27. Sisto V,che fu elevato nella gerarchia ecclesiastica proprio da S.Pio V, costituisce, in questo secolo, assieme a lui ed aPaolo IV una linea ideale di continuità di Papi riformato-ri, fortemente antiprotestanti e di formazione “inquisito-riale”. Secondo un biografo di Sisto V fu lo stesso Perettidopo la predica a far chiamare il Commissario dell’In-quisizione Ghislieri, poiché temeva un tranello. IlGhislieri ne approfittò per sincerarsi della rettitudine del-la dottrina del francescano e lo scagionò da ogni infonda-to sospetto. Cfr. ITALO DE FEO, Sisto V un grande Papatra Rinascimento e Barocco, Mursia Milano 1987.

21) CONTE DI FALLOUX, op. cit., pag. 32.22) CONTE DI FALLOUX, op. cit., pag. 33.23) CONTE DI FALLOUX, op. cit., pag. 34.24) PIERRE TILLOY, op. cit., pagg. 43-44, che cita, a

sua volta, il Joyau.25) CONTE DI FALLOUX, op. cit., pag. 36. Questa let-

tera si può trovare in quasi tutti i biografi di S. Pio V (cf.TILLOY, pag. 45-46).

26) INNOCENZO GIUSEPPE VENCHI O.P., San Pio V fedee coraggio, edizioni San Sisto vecchio, Roma 1972, pag. 64.

27) Cfr. ROMANO CANOSA, Storia dell’Inquisizionein Italia, Torino e Genova, vol III, Sapere 2000, 1988,pagg. 30 - 31. Inutile dire come al Papa non fosse perniente piaciuto l’accordo con i Valdesi del 5 giugno 1561.

28) I. G. VENCHI O.P., op. cit., pagg. 65- 68.29) Il Falloux accenna al fatto che il Cardinale

Alessandrino, poiché i confini della sua nuova diocesi ar-rivavano fino quasi a Bosco, volle che il suo paese fossesottomesso alla sua autorità. Fu in questo periodo che siinteressò per fare aprire qui il convento di S. Croce per ireligiosi del suo Ordine. Egli visitò dapprima Bosco epoi il convento di Vigevano, testimone dei suoi primifervori, e in seguito si spinse fino a Milano dove era sta-to invitato a recarsi (probabilmente dal Borromeo) e do-ve fu complimentato dai magistrati della città.

30) CONTE DI FALLOUX, op. cit., pag. 42.31) CARD. GIORGIO GRENTE, Il Pontefice delle

grandi battaglie San Pio V, Edizioni Paoline Roma1957, pagg. 24 - 28.

32) CARD. GIORGIO GRENTE, op. cit., pag. 28 - 29

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L'UMILTÀPrima parte

di don Giuseppe Murro

«Fu domandato un giorno a Demostenequale fosse la prima qualità di un oratore. Ilcelebre Ateniese rispose: “Quella di avereuna buona pronuncia”. Gli fu domandato al-lora quale fosse la seconda e poi la terza.Ogni volta egli diede sempre la stessa rispo-sta: “Quella di avere una buona pronuncia”.

S. Agostino, dopo aver riferito questoaneddoto, aggiunge: “Se adesso voi mi do-mandate quale è, secondo me, la virtù piùimportante di tutta la religione cristiana, iorisponderei che è l'umiltà; e ogni volta voimi rivolgeste la stessa domanda, io dareisempre la stessa risposta”» (1).

Nostro Signore Gesù Cristo, la S. Scrit-tura, i Santi, i Papi, i Dottori, insomma Iddiostesso e la Chiesa ci hanno sempre insegnatoquesta verità: l’umiltà è la base e la custodedi tutta la vita cristiana. “Vi ho dato l’esem-pio, affinché tutte le cose che ho fatto, cosìanche voi le facciate” (Gv. XIII, 15). In cosadobbiamo imitare Nostro Signore? “Impa-rate da Me, che sono mite ed umile di cuore etroverete quiete per le anime vostre” (Mt XI,29). «Non disse, commenta S. Agostino:Imparate da Me a fabbricare i cieli e la terra,né ad operare cose meravigliose e prodigi, aguarire infermi, a scacciar demoni e a resu-scitare i morti, ma imparate da Me ad esseremiti e umili di cuore. Poiché l’umiltà è piùpotente e sicura dell’altezza eccelsa espostaai venti, l’umile che serve Dio è migliore dichi opera miracoli. Questa è la strada pianae sicura, mentre l’altra è piena di insidie e ir-ta di pericoli”» (2). L'altezza esposta ai ventispesso genera la superbia.

L'orgoglio.

Ogni desiderio dell'uomo, insegna S.Tommaso (3), deve essere regolato dalla rettaragione: se ci si allontana, il desiderio diven-terà vizioso, come avviene per l'appetito versoil cibo. Ora la volontà dell'uomo, quando è re-golata dalla retta ragione, tende verso ciò cheè proporzionato alle sue capacità (q. 162, 1):

se Pietro, ad esempio, conosce l'inglese, puòdesiderare di tradurre un libro, avere una con-versazione con chi parla tale lingua. In questonon vi è disordine, perché la volontà tendeverso ciò che le è proporzionato. Quando in-vece l'uomo con la sua volontà mira a ciò cheè al di sopra delle sue capacità, allora perde laregola datagli dalla retta ragione ed in questovi è un disordine: è il peccato di superbia.

È stato questo il peccato di Adamo edEva. Dio ordinò loro di non mangiare il frut-to dell'albero della scienza del bene e delmale; ma il serpente li persuase a farlo, sug-gerendo loro, con la menzogna, che sarebbe-ro diventati come Dio. Se Adamo ed Evaavessero seguito la retta ragione, avrebberodesiderato di somigliare a Dio così come èpossibile alla creatura razionale: col cono-scerLo ed amarLo sempre più. Invece segui-rono il consiglio del serpente, ed allora desi-derarono di essere simili a Dio in ciò che èproprio alla natura divina e che l'uomo nonpotrà mai realizzare: vollero cioè determina-re da sé stessi qual è il bene ed il male, cono-scere il futuro che li concerneva, vollerogiungere alla beatitudine con le loro proprieforze. Abbandonarono la retta ragione, “vol-lero rapire la divinità, e persero la felicità”(S. Agostino) (q. 163, 2).

Noi, figli di Adamo ed Eva, abbiamo tut-ti la tendenza ad imitare i nostri progenitorinell'orgoglio: perciò sarà bene che ci mettia-mo in guardia contro questo disordine.

In che modo si cade nell'orgoglio

La superbia comporta uno smoderato de-siderio di grandezza, che proviene da unqualsiasi bene; più è grande questo bene, piùgrande sarà l'eccellenza che se ne riceve: perquesto l'orgoglioso mira più in alto di quantopossano le sue forze. San Gregorio distinguequattro maniere di superbia (q. 162, a. 4).

La prima si riferisce al bene stesso: consi-ste nel fatto che qualcuno si vanta di posse-dere un bene che non ha. Ad esempio, un ta-le crede essere capace di poter fare ciò chenon sa o che non può. Il re Saul sacrificò glianimali arrogandosi il potere sacerdotaleche non aveva, per non aspettare l'arrivo diSamuele (I Re 12-13); ed ancora volle rispar-miare il re degli Amaleciti, contro l'ordine e-splicito ricevuto da Dio stesso “come se l'uo-mo sapesse ciò che conviene fare dell'uomo,meglio di Colui che ha fatto l'uomo” (4). Saulpensò di saper fare meglio di Dio, e Iddio lo

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Spiritualità

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rigettò perché “non ha eseguito i miei ordini,se li è messi sotto i piedi per fare la sua vo-lontà” (I Re XV, 11).

La seconda e terza maniera di cadere nel-l'orgoglio proviene dalla causa e consiste nelfatto che qualcuno crede di avere da se' un be-ne che gli proviene da altri. Ciò in due modi:

- Una persona stima che viene da sé ciòche ha ricevuto da Dio, come la vita, l'intelli-genza, la forza, la bellezza del corpo, la viva-cità: ma è una stoltezza, perché “se voi avestepotuto procacciarvi questi vantaggi, potrestecertamente conservarveli… Anche la stessacenere e polvere, della quale siete composti,non dovete riconoscere d'averla da Colui chel'ha cavata dal niente?” (5). Golia credette dipoter umiliare gli ebrei ed il loro Dio con lesue forze fisiche, ma Davide l'uccise miraco-losamente. Nabucodonosor si vantò in cuorsuo del potere acquisito, come se tutto venis-se da lui: “Non è questa la grande Babiloniache io ho edificata a sede del regno, col vigoredella mia potenza, a gloria della mia maestà?”ed in quell'istante perse l'intelletto fino acomportarsi come un animale: fu scacciatodalla società civile e si nutriva del fieno comei buoi (Dan. 4 e 5).

- Una persona stima che qualcosa gli èstato dato in sovrappiù a causa dei proprimeriti: come chi crede che sono le propriepreghiere, digiuni, la fedeltà alla grazia,l'umiltà del cuore che hanno ottenuto certevirtù e qualità. Sant’Alfonso racconta di uneremita, reputato molto virtuoso, che inpunto di morte fece chiamare il suo abateper ricevere il Viatico: nel frattempo, un la-dro pubblico giunse alla cella del solitario,ma non si stimò degno di entrarvi, e dal difuori diceva: “Oh foss’io qual sei tu!”. L’ere-mita l’intese, e gonfio di sé rispose: “Cer-tamente beato te, se fossi qual son io!” Oraavvenne che il ladro, da quell’eremo corren-do a confessarsi, cadde in un precipizio emorì immediatamente. E poco dopo anche ilromito spirò. Un compagno dell’abate seppeper rivelazione che il ladro s’era salvato perla contrizione avuta dei suoi peccati, mentreil romito s’era perduto per la superbia. Enon si creda, conclude S. Alfonso, che soloprima di morire fosse stato superbo: quelsuo modo di parlare in punto di morte fu ilsegno che la superbia era radicata nel suocuore già da molto tempo (6).

La quarta maniera di cadere nell'orgoglioproviene dal modo di agire e consiste nel fat-to che qualcuno si reputa migliore degli altri

per un bene che possiede più di chiunque al-tro. E perciò si considera altezzosamente, edisprezza il prossimo. I Farisei scacciaronodal Tempio il cieco guarito da NostroSignore poiché aveva osato contraddirli; do-po averlo maltratto gli gridarono: “Sei natopieno di peccati e pretendi insegnare a noi?”,a noi Farisei, che siamo dotti, prudenti, sa-pienti, giusti, ispirati da Dio? (Gv. IX, 34). Imodernisti disprezzano i dogmi, il catechi-smo, il culto, le leggi, gli usi, la struttura, lamorale della Chiesa pre-conciliare, accusan-dola di oscurantismo e immobilismo, e pre-tendono di aver capito solo loro, dopo ventisecoli, che cosa sia la religione.

Parabola del Fariseo e del pubblicano

La parabola raccontata da San Luca (X-VIII, 9-14) ed indirizzata ad alcuni che den-tro di sé confidavano di essere giusti e di-sprezzavano gli altri, mostra bene le quattromaniere di cui sopra.

Il Fariseo ed il pubblicano entrano nelTempio alla stessa ora per pregare. Il Fariseo,sicuro di essere giusto, s'inoltra fino al limitepiù vicino del “santuario”, ove dimora Dio,«e comincia il suo elenco: “O Dio, Ti ringra-zio perché non sono come gli altri uomini, ra-paci, ingiusti, adulteri, o anche come questopubblicano. Digiuno due volte la settimana,pago la decima quando la posseggo”. La pa-rabola non prosegue nell'elenco; ma questopoté benissimo prolungarsi ed enumerare al-tre elette virtù del Fariseo, come le sciacqua-ture di mani e di stoviglie prima di mangiare,l'astenersi dallo spegnere una lampada ingiorno di sabato, la conoscenza a memoriadei 613 precetti della Torah, e tante altre e-

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Il Fariseo ed il pubblicano

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gregie doti dell'inappuntabile Fariseo (…) [ilquale] ha fatto consistere la sua preghieranell'elencare i benefizi elargiti da lui a Dio,ossia nello sciorinare quelle giustizie umanedi cui l'antico profeta aveva sentenziato:“Come panno di mestrui sono tutte le nostregiustizie” (Is. 64, 5 ebr.).

Nel frattempo il pubblicano… si è ferma-to appena all'ingresso dell'atrio, come unmendìco mal tollerato; là lontano, senza nep-pure osare di alzare gli occhi verso il “santua-rio”, sta a battersi il petto implorando “ODio, sii propizio a me peccatore!” Tutta qui èla preghiera di colui che i rabbini definivano“tanghero”, perché ha coscienza di non poterdonare a Dio nulla di quanto sta donandogliil Fariseo… Il risultato del contrasto tra que-sti due uomini fu precisamente la smentitadelle loro rispettive coscienze. Concluse in-fatti Gesù: “Io vi dico che questi (il pubblica-no) tornò a casa sua giustificato, a differenzadell'altro: perché chiunque si esalta sarà umi-liato, e chi si umilia sarà esaltato”» (7).

Notiamo che il fariseo cadde in un colposolo nelle quattro maniere dell'orgoglio: cre-dendosi giusto quando non lo era; attribuen-do a sé stesso le buone azioni (digiuno, pagola decima…) ed ai suoi meriti il bene ricevu-to (ti ringrazio…); ed infine disprezzandonon solo tutti quanti gli uomini in genere(rapaci, ingiusti, adulteri), ma anche il pove-ro pubblicano che per caso incontrò alTempio. Per tipi come lui vale l'invettiva diNostro Signore: “Guai a voi, o Farisei, chepagate la decima della menta, della ruta ed'ogni specie di legumi, e non fate caso delgiudizio e dell'amor di Dio” (Lc XI, 42).

Purtroppo non sono rari quelli che sicomportano come il fariseo: “Gli anziani co-me i giovani, i poveri come i ricchi; ognunosi loda e si vanta di quel che non è e di quelche non ha fatto. Ognuno si applaude edama essere applaudito; ognuno corre a ele-mosinare le lodi degli uomini, ed ognuno la-vora ad attirarsele. Così trascorre la vita lamaggior parte delle persone” (8).

Gravità dell'orgoglio

Poiché con l'orgoglio l'uomo rifiuta disottomettersi a Dio ed alla sua regola, tal pec-cato è di per sé grave (q. 162, a. 5). In ognipeccato si osservano due cose: l'aversio aDeo (che è l'aspetto formale), cioè l'abban-dono, l'avversione a Dio, e la conversio adcreaturam (che è l'aspetto materiale), cioè la

conversione o adesione alla creatura. Pro-prio nell'aversio a Deo, la superbia comportala massima gravità: difatti se negli altri pec-cati l'uomo si allontana da Dio per una certaignoranza, o per debolezza, o per il desideriodi un altro bene, con la superbia l'uomo si al-lontana da Dio perché non vuol saperne diLui e dei suoi ordini: “Mentre tutti i vizi fug-gono da Dio, solo la superbia si oppone aDio” (Boezio) (q. 162, a. 6). «So bene, dice ilSanto Curato d'Ars, che tutti i peccati oltrag-giano Dio, che tutti i peccati mortali merita-no una punizione eterna: un avaro che nonpensa ad altro che ad accumulare e che sacri-ficherà la sua salute, la sua reputazione, edanche la sua vita per ammassare qualche sol-do, con la speranza di provvedere per il futu-ro, senz'altro fa ingiuria alla provvidenza diDio, che ci ha promesso che - se abbiamo cu-ra di servirlo ed amarlo - avrà cura di noi.Un ubriacone che si abbandona agli eccessidel bere perdendo la ragione, rendendosi in-feriore alla bestia, fa ugualmente un oltrag-gio a Dio, il quale gli dà il bene affinché nefaccia buon uso, consacrando le sue forze, lasua vita a servirlo. Un vendicativo che si ven-dica delle ingiurie fattegli, reca un disprezzocrudele a Gesù Cristo, che da tanti mesi eforse da tanti anni lo sopporta sulla terra, edancor più gli dà tutto ciò che gli è necessario,quando invece non meriterebbe che di esseresprofondato nelle fiamme. Un impudico,sommergendosi nel fango delle passioni, sirende inferiore ai porci, perde la sua anima edà la morte al suo Dio; del tempio delloSpirito Santo fa un tempio di demoni, “deimembri di Gesù Cristo ne fa le membra diun'infame prostituta” (I Cor. VI, 15), da fra-tello del Figlio di Dio diviene non solo il fra-tello dei demoni, ma lo schiavo di Satana.Questi sono crimini di cui nessuno potrà e-sprimere né gli orrori né la grandezza deitormenti che meritano.… Questi peccati, perl'oltraggio che fanno a Dio, son così lontanidall'orgoglio come il cielo è lontano dallaterra… Quando commettiamo gli altri pecca-ti, talvolta violiamo i comandamenti di Dio,talvolta disprezziamo i suoi benefici; oppure,se volete, rendiamo inutili tutti i travagli, lesofferenze e la morte di Gesù Cristo. Maquesto qui, l'orgoglioso, fa come un sudditoche non contento d'aver disprezzato e messosotto i piedi le leggi e gli ordini del suo so-vrano, porta il suo furore al punto di tentardi piantargli un pugnale nello stomaco, lostrappa dal suo trono, lo mette sotto i piedi e

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ne prende il posto. Si può concepire un'atro-cità più grande?» (9). Perciò il Signore dete-sta gli orgogliosi (Eccles. X, 7).

La superbia è detta completa quando unapersona si eleva fino a rifiutare di sottomet-tersi a Dio: è insomma una ribellione controDio, ed è peccato mortale. È invece incom-pleta quando - fatta salva la sottomissione aDio - qualcuno cerca di essere stimato più diquel che è: ed allora è solo peccato veniale, ameno che non si rechi grave ingiuria al prossi-mo, o che da essa nascano altri peccati gravi.

I mali della superbia

Il superbo dice Sant'Alfonso, è ladro, bu-giardo e cieco. Ladro, perché si appropria diciò che appartiene a Dio, attribuendolo a séstesso o ai suoi meriti, e San Paolo lo rimpro-vera: “Cosa hai, che non hai ricevuto? E sel’hai ricevuto, perché te ne vanti, come se nonl’avessi ricevuto?” (I Cor. IV, 7). È bugiardo,perché se nega che tutti i pregi che l'uomopossiede sono doni del Signore, nega la ve-rità. Infine l'orgoglioso è cieco, perché nonvede quel che è chiaro come il sole: tutte lequalità, virtù, buoni pensieri, azioni che ab-biamo sono come un abito che il Signore ciha dato e ad ogni istante può riprendersi in-dietro. Ma l'orgoglioso ragiona come il prela-to di Laodicea, che fu rimproverato così dal-l'angelo: “Tu dici: son ricco, e dovizioso, enon ho bisogno di nulla; e non sai che tu seimeschino, e misero, e povero, e cieco, e nudo”(Apoc. III, 17). Da noi stessi non siam capacidi far bianco un capello, non siam capaci didire una buona parola: non è un'esagerazio-ne, ma Dio stesso ce l'ha rivelato affinché, sel'orgoglio ci acceca e ci fa dimenticare la ve-rità, le Sue parole possano farci rientrare innoi stessi: “Non siamo capaci di pensarequalcosa da noi stessi, come da noi; ma la no-stra capacità viene da Dio” (II Cor. III, 5).

San Paolo, chiamato ad essere Apostoloda Gesù, predicatore dei gentili, a causa delsuo ministero era stato incarcerato più volte,flagellato, lapidato, tradito; aveva sopportatonaufragi, fatiche, miserie, vigilie, fame, sete,digiuni, freddo, nudità, preoccupazioni perla responsabilità delle chiese affidategli; erastato elevato da Dio fino in Paradiso a vede-re ed udire cose che nessun uomo ha mai po-tuto vedere o udire. Ebbene dopo tutto ciò,San Paolo poteva credersi di essere una per-sona importante, migliore degli altri uomini?Ascoltiamolo: “Se occorre vantarsi: mi glo-

rierò delle mie debolezze… Infatti, se vorròvantarmi, non sarò sciocco, perché dirò la ve-rità”. Qual è la verità? “Per la grazia di Diosono quel che sono” (II Cor. XI, 30; XII, 6; ICor. XV, 10). Tal verità finì per capirla ancheNabucodonosor.

Nabucodonosor

Questo re potentissimo che aveva soggio-gato il mondo intero, che aveva fortificato edabbellito la capitale, Babilonia, arrivato al-l'apice del suo potere ebbe un sogno che loturbò molto. Vide piantato al centro dellaterra un albero robusto, di altezza smisurata,il quale toccava il cielo, che era visto da tuttala terra, era ricco di foglie molto belle ed eraabbondante di frutti, dava ricovero e cibo adiverse specie di animali, bestie feroci, uccel-li. Improvvisamente scese dal cielo un angelovigilante e gridò: “Abbattete l'albero, tagliate-ne i rami, sfrondatelo e disperdetene i frutti,fuggano le bestie dal di sotto e gli uccelli daisuoi rami. Tuttavia lasciate il ceppo delle sueradici, sia legato con una catena di ferro e dibronzo… che con le fiere mangi l'erba. Che ilsuo cuore di uomo cambi e gli si dia un cuoredi fiera… affinché i viventi riconoscano chel'Altissimo impera sopra il regno degli uomi-ni e lo dà a chiunque vuole e su di esso puòcostituire il più umile degli uomini” (Dan. IV,11-14). Solo Daniele riuscì ad interpretare ilsogno di Nabucodonosor, e gli spiegò che lui,il re, era l'albero: da grande e potente qualera sarebbe stato scacciato dalla società degliuomini, avrebbe abitato tra le fiere, finchénon avesse riconosciuto che il potere vieneda Dio, ed Egli lo dà a chi vuole. Il re rimaseatterrito dalla spiegazione e perciò Danielegli consigliò di far penitenza per i suoi pecca-ti; ma poco tempo dopo Nabucodonosor, inmezzo allo splendore della sua potenza, siscordò di quanto era successo. Erano trascor-si dodici mesi quando, passeggiando perBabilonia, in un eccesso di presunzione, il resi vantò di essere lui l'artefice di tutte le bel-lezze di Babilonia: «Mentre il re aveva ancorasulle labbra queste parole, piombò dal cielouna voce: “A te, o re Nabucodonosor, io dico:Il tuo regno passerà da te ad altri, ti scacce-ranno di fra gli uomini e la tua abitazionesarà con le bestie e con le fiere, mangerai erbaa guisa del bue… fin tanto che riconosca chel'Altissimo impera sul regno degli uomini e achiunque lo vuole lo dà!”». All'istante la pu-nizione divina si abbatté su di lui e tutto quel

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che Daniele gli aveva profetizzato si avverò.Impazzito, andò ramingo nei campi compor-tandosi come un animale, mangiando il fienoe vivendo all'aria aperta bagnato dalla rugia-da. E ciò durò fino a quando, come raccontòin seguito lo stesso Nabucodonosor, “alzaigli occhi miei al cielo e la mia mente mi fu re-stituita e benedissi l'Altissimo e lodai e glorifi-cai Colui che in eterno è vivente, perché la suapotestà è per sempre… e tutti gli abitanti dellaterra rispetto a Lui non contano nulla” (Dan.IV, 28-30 e 31-32). Nabucodonosor recuperòil suo regno, governò ancora con splendore efece conoscere dappertutto quanto gli era ac-caduto per glorificare il vero Dio.

«Gli uomini - commenta dom de Mon-léon - quando la fortuna sorride loro, somi-gliano facilmente a Nabucodonosor. Si cre-dono allora anch'essi piantati al centro dellaterra e visibili dappertutto, perché credonoche il mondo intero ha gli occhi fissi su di lo-ro; le loro foglie sono molto belle, perché ec-cellono nel fare dei bei discorsi; ed i lorofrutti abbondanti, perché i loro affari sonoprosperi. Grazie alla loro ricchezza possononutrire una numerosa clientela, cioè dei ser-vitori, degli impiegati, degli operai; ma anchedelle bestie selvagge - si direbbe forse oggi:degli avvoltoi - degli individui senza scrupoliche cercano solo di approfittare della situa-zione; e degli uccelli, cioè degli adulatori…

Che tuttavia tendano l'orecchio, in mezzoal concerto di lodi, per ascoltare la voce delVigilante, cioè del Cristo, o del loro AngeloCustode. Questa voce gli grida, per mezzodella bocca dei predicatori, dei confessori, oper mezzo del mormorio della loro coscienza:“Abbattete l'albero…”. Tale è, infatti, la sorteche attende ogni magnate di questo mondo,se non fa penitenza. Verrà un giorno in cui,come l'albero, sarà abbattuto, dalla morte.Allora i suoi rami saranno tagliati e le fogliecadranno: tutta la bella apparenza esteriore dicui si vantava, svanirà: i suoi frutti saranno di-spersi, le ricchezze accumulate da lui andran-no ad altri; tutti quelli che vivevano sotto lasua ombra, e tutti quelli che cantavano le suelodi l'abbandoneranno. Tuttavia, non perquesto sparirà nel niente; la radice del suo es-sere sussisterà nel suo libero arbitrio, ma que-sto sarà legato con una catena di ferro e dibronzo: sarà come messo con le spalle al mu-ro, immobilizzato nel male, sia per il giudiziodi Dio - catena di ferro - sia per la propria o-stinazione - catena di bronzo. Il nostro uomonon avrà per cibo che l'erba della terra; non

gusterà le gioie eterne, i dodici frutti della vitapromessi agli abitanti del cielo (Apoc. XXII,2). Non avrà per alimentare i suoi pensieriche il ricordo dei piaceri di quaggiù, che sonopassati come l'erba (Salmo 89, 5), e che sonoal di fuori, perché non hanno niente di comu-ne con l'allegria di cui godono gli eletti, al didentro della città di Dio. Solo la rugiada delcielo penetrerà in lui, ma per sua più gran di-sgrazia: perché sarà ossessionato dal pensierodi questo soggiorno beato, di cui ha fatto sìpoco caso quaggiù, e da cui è escluso per sem-pre, condannato com'è a vivere con le bestieferoci, cioè con i diavoli» (10).

Il segno di contraddizione

S. Gregorio dice che l'essere superbo ècontrassegno dei reprobi, ed invece l'essereumile è contrassegno degli eletti (Morale suGiobbe, l. 34, c. 23). Sant'Antonio Abate vi-de il mondo pieno di lacci tesi dal demonio esospirando disse: “Chi potrà mai scampareda questi lacci? Ma sentì una voce: “An-tonio, la sola umiltà è quella che passa sicu-ra: chi va con la testa bassa, non ha timore direstarvi preso” (11).

«L'umiltà è il solo elemento la cui presen-za o assenza permette di riconoscere infalli-bilmente le opere di Dio dalla loro contraffa-zione. Quando essa manca le nostre virtù ap-parenti non sono che dei vizi mascherati.

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Samuele incorona Saul re d'Israele

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Ecco per esempio una persona molto de-dita all'orazione al punto da sembrare vera-mente e costantemente assorta in Dio, mache d'altra parte perde la sua calma davantiagli imprevisti e ai contrattempi. Ecconeun'altra che gusta nella Santa Comunione lepiù grandi dolcezze, ma che intanto rifiuta diriconoscere i propri difetti. Eccone una terzache è sempre pronta a sacrificarsi e a trascu-rare se stessa per il prossimo, ma che fa lemeraviglie se all'occasione le si mostra pocariconoscenza. Queste reazioni denotano unadeficienza di umiltà alla base e permettonodi concludere, senza temerità, che nonostan-te le apparenze, la virtù di queste persone èfondata più sull'amor-proprio che sull'amordi Dio… Nostro Signore, dicendo cheavremmo riconosciuto gli alberi dai lorofrutti, ci ha dato il segno per scoprire tutte leopere del nemico. E questo segno è l'orgo-glio. Segno che non inganna mai: infatti l'or-goglio, di sua natura, cerca fatalmente dimostrarsi. Se egli prende qualche volta le ap-parenze dell'umiltà, non può certo prenderlesempre, e presto o tardi si manifesterà inevi-tabilmente in qualche occasione.

La caratteristica dei santi invece consisteproprio in questo che essi sono continua-mente in guardia contro la vanità. In mezzoai colpi che ricevono, in mezzo alle tentazio-ni del demonio e del mondo, la loro preoccu-pazione costante è sempre quella di evitareogni movimento di orgoglio e di custodire ilsentimento del proprio nulla come la pupilladei loro occhi.

«Il cancelliere Gersone riprende il medesi-mo pensiero… “ogni parola interiore - diceegli - ogni rivelazione, tutti i miracoli, tutte leestasi, le contemplazioni, i rapimenti e infinetutte le operazioni sia interne sia esterne, sel'umiltà le precede, le accompagna e le segue,se non vi si mischia niente che distrugga que-sta virtù, credi a me, esse portano il segno chevengono da Dio, o dal suo buon Angelo e tunon hai a temere nessuna illusione…”» (12).

Nostro Signore stesso ci ha detto: “Senon vi rendete piccoli come fanciulli, non en-trerete nel regno dei cieli” (Mt XVIII, 3).

Chi si esalta sarà umiliato

Il Signore non vuole che siamo superbi efa di tutto affinché possiamo guarire da que-sto peccato. Permetterà «alle volte che i servisuoi siano afflitti da tentazioni vergognose,quali sono le tentazioni d'impurità; ed anche

pregato e ripregato, li lascia a combattere co-me avvenne a S. Paolo, il quale scrisse: “Mi fudato uno stimolo nella carne, un angelo diSatana, che mi schiaffeggi, affinché io nonm'insuperbisca. Per questo, tre volte ho prega-to il Signore perché lo allontanasse da me. EdEgli mi disse: Ti basta la mia grazia” (I Cor.XII, 7-8)… Di più Iddio talvolta giunge a per-mettere che alcuno cada in qualche peccato,acciocché impari ad esser umile, come accad-de a Davide, il quale confessa d'essere cadutoper non essere stato umile: “Priusquam hu-miliarer, ego deliqui”, prima di umiliarmi,peccai (Salmo 118, 67). Scrive S. Agostino:“Alto è il Signore: umiliati, e scenderà versodi te; elevati, e fuggirà da te”» (13).

Iddio non può sopportare un superbo, evedendo che egli oppone il suo amor proprioa Lui, si allontana e lo lascia a se stesso. Gliangeli ribelli appena peccarono furono imme-diatamente scacciati dal Cielo e precipitatiall'Inferno. Coré, Dathan ed Abiron, si ribel-larono a Mosé per non essergli più sottomessie per assumerne i poteri, anche quelli sacerdo-tali: appena mostrarono l'indurimento del lo-ro cuore furono inghiottiti dalla terra, bruciatidal fuoco “e scesero vivi in inferno” (Num.XVI, 32). “Coré, Dathan ed Abiron, sono lafigura degli eresiarchi, degli uomini che, spintidall'orgoglio, l'ambizione, la cupidigia, il desi-derio di comandare, si sono sollevati contro lagerarchia della Chiesa, ed hanno preteso diassumerne essi stessi le funzioni.

La punizione terribile con cui sono staticolpiti mostra quanto siano gravi i crimini discisma o d'eresia, quanto è violenta l'irrita-zione di Dio contro quelli che osano erigersidi propria iniziativa in riformatori, quale ri-spetto dobbiamo avere per il sacerdozio, cosìcome è stabilito.

E tuttavia, basta gettar un colpo d'occhiosulla storia della religione cristiana per ren-dersi conto che non vi è secolo, non vi è ge-nerazione forse, che non abbia visto nasceredegli emuli o dei discepoli di questi tre rivol-tosi, tanto l'ambizione dell'uomo è cieca edinsaziabile!” (14).

Che sia l'orgoglio la sorgente delle ere-sie, lo afferma anche il Rodriguez: «È dottri-na comune dei Santi e dei Dottori, che la su-perbia è principio di tutte le eresie. Il super-bo stima tanto il proprio giudizio, da ante-porlo al senso comune dei Santi e dellaChiesa e quindi incappa nell'eresia. Perciò S.Paolo scrisse al discepolo Timoteo: “Ti an-nunzio che negli ultimi giorni incontreremo

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tempi molto pericolosi, perché le genti saran-no egoiste, cupide, altere e superbe” (II Tim.III, 1). All'orgoglio e alla superbia l'Apo-stolo attribuisce gli errori e le eresie, comeafferma S. Agostino» (15).

Come non vedere oggi la realizzazione diquanto predetto da S. Paolo! Come non os-servare che anche in questo secolo vi sono iriformatori che, con grande umiltà, han dettoche fino a ieri nella Chiesa tutto era sbaglia-to, e che quindi molte cose o tutto sono dacambiare, per non restare indietro, ma essereaggiornati e mantenersi al passo dei tempi!Naturalmente quello che dicono e fanno è -in tutta modestia - meglio di quanto Papi,Padri, Santi, Dottori, hanno detto e fatto; ese Gesù stesso gli dà torto, diranno che biso-gna interpretarlo diversamente da come s'èfatto finora, per fargli dire il contrario di quelche ha detto. Vedono di buon occhio i mo-dernisti “perseguitati” dalla Chiesa: con lorohanno in comune certe idee e soprattutto lasuperbia, che - come diceva S. Pio X - non so-lo è una causa, ma sta di casa nel moderni-smo, il quale si alimenta di essa e ne rivestetutte le forme. «Per la superbia infatti costo-ro presumono con audacia di sé stessi, e si ri-tengono e si spacciano come norma per tutti.Per la superbia si gloriano con gran vanità,come se solo loro possiedano la sapienza, edicono gonfi e impettiti: “Noi non siamo co-me gli altri uomini”; e per non essere di fattoposti allo stesso livello degli altri, abbraccia-no e sognano ogni specie delle più assurdenovità. Per la superbia rifiutano ogni sogge-zione, e pretendono che l'autorità debba ve-nire a compromessi con la libertà. Per la su-perbia, dimentichi di se stessi, pensano solo ariformare gli altri, né rispettano in questonessun grado, neanche l'autorità suprema.No, per giungere al modernismo, non vi èsentiero più breve e spedito della superbia.Se un laico cattolico, se un sacerdote dimen-tica il precetto della vita cristiana che c'impo-ne di rinnegare noi stessi se vogliamo seguireGesù Cristo, né sradica dal suo cuore la malapianta della superbia: sì, costui è dispostissi-mo più che mai a professar gli errori del mo-dernismo!» (16). Tali riformatori - che cambia-no la religione, che impediscono alle animedi conoscere la verità in modo da potersi sal-vare - sono già stati condannati da NostroSignore: “Guai a voi, o Scribi e Farisei ipocri-ti, perché chiudete il regno dei cieli in faccia a-gli uomini; così né vi entrate voi, né permette-te che vi entrino quelli che vengono… Guai a

voi, Scribi e Farisei ipocriti, andate per mare eper terra pur di fare un solo proselita, e fattoche sia, lo rendete degno della Geenna il dop-pio di voi”. “Guai a voi, dottori della legge,che avete usurpato la chiave della scienza;non siete entrati voi e avete messo impedi-mento a quelli che vi entrano” (Mt. XXIII, 13e 15; Lc. XI, 52).

Dio resiste ai superbi, ma dà la grazia agliumili (Gc IV, 6)

Finché il cuore dell'uomo è pieno di sé,non può essere riempito di beni divini: soloquando avrà conosciuto il proprio niente, lapropria vacuità, solo allora il Signore potràfarlo abbondare di grazie. La Madonna loconfessò nel Magnificat: “Quia respexit hu-militatem ancillæ suæ… fecit mihi magna quipotens est”, poiché vide l'umiltà della sua an-cella… fece di me cose grandi Colui che épotente (Lc I, 48 sq). E l'Ecclesiastico (XIII,9) ci raccomanda: “Umiliati davanti a Dio,ed aspetta la sua mano”, che ci darà i suoibenefici. “A chi volgerò il mio sguardo, diceancora il Signore, se non al poverello e al-l'uomo dall'animo contrito?” (Is. LXVI 2).

«Principio della nostra rovina, l'orgoglioè anche l'ostacolo che ci impedisce di rialzar-ci. Riempiendoci di noi stessi, chiude la portadella nostra anima alla grazia di Dio. Arrivaanche a farci credere che possiamo salvarci eraggiungere la perfezione da noi stessi, men-tre non possiamo assolutamente niente senzal'aiuto divino. Senza di me - dice NostroSignore - non potete far niente. Perciò ilSalmista dice ancora: Vacate et videte. E cioè:se volete “vedere”, se volete raggiungerequella “visione” beatifica che è la supremafelicità alla quale l'uomo possa aspirare; sevolete vedere sin da questa terra il camminoche vi ci conduce, vacate, cominciate a svuo-tarvi di voi stessi, dell'alta opinione in cui te-nete la vostra grande persona. Si raccontache Alessandro Magno, il quale era assai pie-no di sé, desse motivo un giorno a questa ri-flessione: “Dio è pronto a darti la sapienza,ma tu non hai posto per riceverla”. Nell'or-dine soprannaturale si può dire, a somiglian-za dell'ordine fisico, che la natura ha orroredel vuoto; cavate l'aria che riempie un tubodi piombo, e l'acqua vi salirà immediatamen-te; cavate l'amor proprio, che ingombra l'ani-ma, e la grazia se ne impossesserà all'istante»(17). S. Agostino ci dice: “Se vi umiliateprofondamente, e se vi riconoscete che non

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siete niente, che non meritate niente, il buonDio vi darà grazie in abbondanza; ma se vo-lete elevarvi e credervi di essere qualcosa, siritirerà da voi, e vi abbandonerà nella vostrapovertà” (18). È quel che accadde a Saul: scel-to da Dio per svolgere una missione speciale,per essere anche una prefigurazione diNostro Signore, non perseverò, si lasciò cor-rompere dall'orgoglio e finì miseramente.

Lo stesso vale per la preghiera: il Signoreè sordo all'orazione dei superbi perché costo-ro, essendo pieni di sé, in realtà non sentonoveramente bisogno dell'aiuto di Dio. “Lapreghiera di chi si umilia penetra i cieli… e siplaca solo quando il Signore volge il suosguardo” (Eccles. XXXV, 21). Giuditta sisparse il capo di cenere, si prostrò per terra,ed invocò: “Signore… sin da principio i su-perbi non ti piacquero, e sempre invece tipiacque la preghiera degli umili e dei mansue-ti” (Gdt IX, 16). E poiché la sua preghieraera umile fu esaudita: da sola poté penetrarenell'accampamento degli assiri senza farsiammazzare, e lì riuscì ad uccidere e tagliare ilcapo ad Oloferne, generale delle truppe.Anche Santa Teresa d'Avila afferma di averricevuto le grazie più grandi quando si eraprofondamente umiliata (19). Così pure ilpubblicano fu esaudito perché si era umiliato.

La vera pace

“Imparate da me che sono mansueto eumile di cuore, e troverete riposo alle animevostre” (Mt XI, 29): Nostro Signore ci inse-gna che se vogliamo essere felici, se voglia-mo conseguire la pace, per quanto è possibi-le trovarla su questa terra, non dobbiamo faraltro che essere umili. “Il superbo non trovamai pace, perché non arriva mai a vedersitrattato secondo il vano concetto ch'egli hadi se stesso: anche quando è onorato, neppurè contento, mirando altri più onorati di lui:sempre almeno gli mancherà qualche onoreche desidera, e la mancanza di quell'onore lotormenterà più che non lo consolano tutti glionori che possiede” (20). Così Aman, consi-gliere del re Assuero, aveva ottenuto tutti glionori fino ad essere ammesso alla mensa delsovrano; ma poiché Mardocheo non volevasalutarlo si stimava infelice: “Pur avendotutto, stimo di non aver nulla, finché vedròMardocheo…” (Esther V, 13).

L'umile invece è sempre contento: se rice-ve onori, sa di non meritarli; se riceve affronti,sa che meriterebbe ben peggio a causa dei

suoi peccati. Per questo Nostro Signore, ri-guardo all'umiltà «ha manifestato una predile-zione particolare. San Marco racconta che ungiorno, mentre gli Apostoli discutevano tra lo-ro dei primi posti, Gesù prese un fanciullino elo pose in mezzo ad essi: Et accipiens puerum,statuit eum in medio eorum (IX, 34).

Lo pose in mezzo, e cioè al posto d'onore,al posto del maestro che insegna; lo pose pro-prio in mezzo ad essi, in mezzo alle dodici co-lonne della Chiesa, dei dodici uomini che ave-vano ricevuto tutt'intero il deposito della ri-velazione, dei dodici Dottori incaricatid'istruire tutti i popoli della terra. Così eglifaceva di questa virtù il centro dal quale tuttele altre virtù dovevano irradiarsi; il polo versocui tutte dovevano convergere. Non solo, mapromise a quelli che somiglieranno a questofanciullo i primi posti nel suo regno e, permostrare loro la sua tenerezza, “abbracciò ilfanciullo” cosa che il vangelo non riferisce dinessun'altra persona» (21). Difatti i fanciullinormalmente non hanno invidia, non hannoambizione dei primi posti, sono semplici, in-nocenti, candidi, umili. E questa virtù il Si-gnore ha voluto inculcare bene ai suoi Apo-stoli, che di lì a pochi anni avrebbero dovutosostituirlo nella predicazione. E senza di essa,non avrebbero potuto far nulla.

Solo l'umiltà può farci trovare la paceprofonda, vera, che viene da Nostro Signore,che il mondo non può dare, che il mondonon può neanche togliere se sapremo con-servare in fondo al nostro cuore questa virtùche Gesù ha praticato prima di ogni altra.

Note1) DOM JEAN DE MONLÉON OSB, I dodici gradi del-

l'umiltà, Edizioni Abbazia di Viboldone, 1958, pag. 7.La citazione di S. Agostino è tratta dall’Epist. aDioscoro, cap. III, 22.

2) PADRE ALFONSO RODRIGUEZ S.I., Esercizio di per-fezione, Cantagalli Siena, 1967, vol. III, pagg. 183-184.

3) II, II, q. 162, a. 1 ad 2um. Le citazioni dellaSomma Teologica si riferiscono tutte alla II, II.

4) DOM DE MONLÉON, Histoire Sainte - Le RoiDavid NEL, 1971 Paris, pag. 109.

5) R. P. CLAUDIO DELLA COLOMBIERE, SermoniSacri, Baglioni, Venezia 1761, Tomo II pag. 180, Del-l'umiltà cristiana. Tutte le citazioni del Beato sono trat-te da quest’opera.

6) S. ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI, La vera sposadi Gesù Cristo ovvero la monaca santa, Pisani Roma,1935, T I, p. 373, nota 3.

7) G. RICCIOTTI, Vita di Gesù Cristo, Mondadori1974, parag. 478.

8) SAINT JEAN BAPTISTE MARIE VIANNEY, Sermons,Villegenon 1982, Tome II, pag. 380.

9) SAINT JEAN BAPTISTE MARIE VIANNEY, op. cit.,pag. 375.

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10) DOM DE MONLÉON, Histoire Sainte - Le prophè-te Daniel Ed. de la Source, Paris, pag. 111-112.

11) S. ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI, op. cit., pag. 380.12) DOM DE MONLÉON, I dodici gradi dell'umiltà,

op. cit. pag. 21-22.13) S. ALFONSO, op. cit., pag. 376. La citazione di S.

Agostino è tratta da Serm. de Ascens., 177, 2, n. 2.14) DOM DE MONLÉON, Histoire Sainte - Moïse,

Paris 1956, pag. 340.15) P. ALFONSO RODRIGUEZ, op. cit., pag. 188.16) S. PIO X, Pascendi, 8/12/1907. In Encicliche

proibite, Roma 1972, pag. 60.17) DOM DE MONLÉON, I dodici gradi dell'umiltà,

op. cit. pag. 19. Salmo 45, 11.18) Serm. 53, in Mt: Beati pauperes spiritu.19) S. Teresa d'Avila, Vita, c. 22, n. 11. Roma 1977,

pag. 217.20) S. ALFONSO, op. cit., pag. 381.21) DOM DE MONLÉON, I dodici gradi dell'umiltà,

op. cit. pag. 14.

MONS. GIOVANNI VOLPI

“Uno solo è e sarà sempre il programmadella mia vita: amare e patire fino all’ultimomio respiro per esalare l’anima mia in un at-to di perfetto amore per Gesù”. Queste pa-role ci rivelano il cuore di un Vescovo santoche merita di essere conosciuto ed imitatodai cristiani, Mons. Giovanni Volpi. LaDivina Provvidenza ha voluto che l’ultimodei suoi discepoli ancora viventi, Mons.Ottavio Tinti, già rettore del seminario e vi-cario generale della diocesi di Arezzo, abbiaconvinto il suo confratello, Mons. AngeloTafi, a dedicare anni di fatiche alla figura diMons. Volpi. Un piccolo miracolo, coi tempiche corrono. Il libro è del 1981, ed io ne hoavuto conoscenza e l’ho letto solo adesso: hopotuto così accertare, in una conversazionetelefonica con l’Autore, come il libro sia sta-to poco apprezzato nelle curie diocesane diLucca e di Arezzo, le due città ove, conRoma, si svolse la vita del Servo di Dio. Lacosa non deve stupire; stupisce semmai che,ancora nel 1981, vi sia un sacerdote diocesa-no che lavori, con passione ed obbiettività,per la glorificazione di Mons. Volpi.

Di Mons. Volpi avevo poche e frammen-tarie notizie. Gli esperti di spiritualità lo ri-cordano di sfuggita come colui che diffuse inItalia l’aureo libretto di dom Chautard,“L’anima di ogni apostolato”. I devoti sanno

ch’egli fu il confessore ordinario di santaGemma Galgani, la giovane stimmatizzata diLucca, e di suor Elena Guerra. Gli appas-sionati di storia della Chiesa, specialmentedel pontificato di san Pio X, sanno che egli fuin Italia, con Mons. Archi, Vescovo di Como,e pochi altri, un valido e fedelissimo collabo-ratore del Papa santo nella lotta al moderni-smo e nella difesa dell’integrità della fede, di-fesa che prese il nome di “integrismo”...Infine, si sa che è aperta, e dorme da temposenza dar segni di vita, la causa di beatifica-zione del Volpi.

Sconosciuto ai più è invece, il vero marti-rio che Mons.Volpi subì nel suo animo per lafede, martirio che esaudì il suo intenso desi-derio di patire e di morire per amore di Gesù.

Nato nel 1860 da una delle più distinte fa-miglie di Lucca, fu chiamato giovanissimoall’episcopato da Leone XIII che lo chiamava“il Santo di Lucca”. Nella sua città svolse, co-me ausiliario del Vescovo, un’intensa e varie-gata attività. Uomo di preghiera, maestro dispirito, confessore di Sante, seppe anche ope-rare incisivamente nel campo sociale (conob-be don Bosco e ne seguì le orme fondando lascuola serale gratuita “Matteo Civitali”) enella difesa della fede, divenendo acerrimonemico della massoneria della quale, con suogrande dolore, faceva parte il suo stesso fra-tello che, con la preghiera ed il sacrificio, ri-portò a Gesù. San Pio X lo volle Vescovo diArezzo nel 1905. Salutò con gioia, nella suaprima lettera pastorale, la diocesi che nel1799 manifestò la sua Fede cacciando i giaco-bini al grido di “Viva Maria”. Col suo esem-pio fu modello al clero, che spinse a maggiorsantità, disciplina e apostolato, sempre aman-do, anche i più traviati, con una immensa ca-rità. Purtroppo, i suoi sforzi per riformare icostumi del clero o per combattere l’infezio-ne modernista, gli suscitarono l’odio di quantidavano scandalo o per la vita cattiva o per lacattiva dottrina (e spesso i due vizi si somma-vano). Costoro non si vergognarono di unirsiai massoni ed ai socialisti nell’attaccare ilVescovo con ogni genere di calunnie.

La morte di San Pio X e la prima guerramondiale furono gli avvenimenti che prepara-rono il suo Calvario. Con la scomparsa dell’ul-timo Papa santo e l’elezione di Benedetto XV,mutò sensibilmente la politica vaticana. Comeha sottolineato il Poulat, ed anche la nostra ri-vista (n. 24 , pagg. 10, 13), i più fedeli sostenito-ri della lotta antimodernista voluta da San PioX caddero in disgrazia, mentre vennero riabili-

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Recensioni

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tati molti eccesiastici ritenuti sospetti. OraMons. Volpi, che non era secondo a nessunonella fedeltà a San Pio X, non poteva certorientrare nelle simpatie del nuovo Pontefice.La grande guerra, poi, diede l’occasione al cle-ro nemico del proprio Vescovo, di calunniarloquale austriacante e nemico della Patria, soloperché Mons. Volpi (che certo non era incline,come fedelissimo alla Santa Sede, alle esalta-zioni risorgimentali) applicò le direttive diBenedetto XV, restando fedele non ad unPapa, ma al Papa. Crebbe pertanto a dismisural’odio verso “il battezzatore dell’ImperatriceZita” (accusa tanto falsa quanto ridicola!) fo-mentato, duole dirlo, da una parte del clero...Persino le autorità laiche intervennero in suadifesa, tanto le accuse erano faziose.

L’amicizia personale di Benedetto XVcon Mons. Moretti, suo ex-condiscepolo ori-ginario di Arezzo, e l’amicizia o la compli-cità di questi con la fazione di preti ostili alproprio Vescovo tra i quali persino uno, “ga-loppino elettorale di un deputato ebreo” e,mi vergogno a dirlo, processato per violenzacarnale (!), provocarono la rovina del Volpi.

Fu decisa una visita apostolica guidatadall’Abate Arcangelo Lolli, il quale aveva lasentenza in tasca prima ancora di ascoltare itestimoni; gli furono rivolte tredici false ac-cuse, tra le quali la sua “lotta cieca al moder-nismo ed al liberalismo”!

Premuto da ogni parte perché si dimettes-se, Mons. Volpi ritenne in coscienza di nonpoterlo fare, al punto di obbligarsi con voto anon lasciare Arezzo spontaneamente, ma so-lo su domanda esplicita del Santo Padre (8dicembre 1917). Atto eroico di fortezza e diamore alla giustizia, questo del Vescovo diArezzo, il quale ben sapeva distinguere l’ub-bidienza dal servilismo... atto che ci ricordaquello di due altri prelati i quali, pur in diver-se circostanze, si comportarono similmente:Mons. Franzoni, arcivescovo di Torino (cheperò non fu rimosso) ed il card. Mindszenty,primate di Ungheria. Di fronte all’esplicitodesiderio di Benedetto XV però, conferma-togli il primo maggio 1919, Mons.Volpi ob-bedì immediatamente, lasciando Arezzo l’11giugno. Mons. Tafi fa notare come a lui, fede-lissimo al Papa, non fu usata da BenedettoXV quella clemenza che ebbe Leone XIIIcon Mons. Bonomelli, Vescovo liberale e di-sobbediente alla S. Sede.

Iniziò così l’ultima parte della sua vita(1919-1931) passata a Roma come un eremi-ta nella lontana chiesa di Monte Mario, ri-dotto a canonico di Santa Maria Maggiore,schivato dai più come persona “caduta in di-sgrazia”, della quale si sapeva che il Papaneppur voleva sentir parlare. Eppure lui scri-veva: “Certo ho sofferto e soffro, ma miconforta il pensiero che nulla è stato cagionedi un passo che solo è stato voluto dal SantoPadre, e così ho potuto confermare col fattociò che tante volte ho insegnato con la paro-la e con gli scritti, cioè che si deve far sem-pre la volontà del Papa”. Quanto gli costòfarne la volontà? I primi tempi, allontanatodal Vescovo del luogo dalla sua Lucca, senzaun alloggio, scrisse: “Stamani sono stato apregare sulla tomba di Pio X e vi ho piantoassai... Fiat!”. Ed ancora: “Bevo nella solitu-dine e nell’inerzia, a stilla, a stilla, il caliceche Gesù mi porge. Viva la Croce!”.

Incoraggiato dai cardinali Merry del Val,De Lai, Giorgi, Bisleti e Verde, rispondeva achi gli augurava rivincite: “Lasci, lasci che al-tri vagheggi per me delle risurrezioni. Lei in-vece continui a chiedere che si compiano inme i divini voleri e se l’Amore mi vuole im-molato fino al Consummatum est, faccia pu-re: Dominus est, ed io non gli dirò altro cheTuus sum ego. Viva Gesù!”.

Finì i suoi giorni nell’umiliazione, dopoaver dedicato tutti gli ultimi anni alla confes-sione ed alla direzione delle anime: a Roma,il 19 giugno 1931.

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Il Servo di Dio Mons Giovanni Volpi

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Anche la sua richiesta di essere sepoltoaccanto alla sua figlia spirituale, santaGemma Galgani, non fu esaudita. Riposa aLucca, nella cappella della chiesetta degliAngeli Custodi.

Il 16 novembre 1954 il suo successore sullacattedra vescovile di Arezzo, Mons. Mignone,scrisse a papa Pio XII la lettera postulatoriaper il processo di beatificazione di Mons.Volpi. Sono numerosissime le guarigioni attri-buite alla sua intercessione. Ma dal 1961 lasua causa, promossa dai domenicani, tace.

Io penso che il Signore lo abbia fatto san-to. Come disse don Orione: “Mons.Volpi avràdalla bontà del Signore non solo la corona deiconfessori, ma anche quella dei martiri”.

Alla generosa fatica di mons.Tafi si puòmuovere qualche rimprovero riguardante lesue opinioni sul Sodalitium pianum dimons.Benigni, sul “Viva Maria” o sul Vati-cano II... Ma segnalate queste riserve,Sodalitium non può che invitare i suoi lettoria richiedere la biografia di Mons.Volpi pres-so il nostro Istituto Mater Boni Consilii, op-pure presso l’Autore.

don Francesco Ricossa

ANGELO TAFI “Il Servo di Dio Mons.Giovanni Volpi” (1860-1931).

Presso l’autore, Via Mazzini 44, Arezzo.Arezzo, 1981. 585 p.

“I NUOVI BARBARI. GLISKINHEADS PARLANO”

I GIOVANI E LA TRADIZIONE

È uscito recentemente, edito dalla“Effedieffe” (via Santa Maria Segreta 6,Milano) un interessante libro di MaurizioBlondet, (“I nuovi barbari. Gli Skinheadsparlano”) sul fenomeno, così poco conosciu-to, degli Skin, con una post-fazione del pro-fessor Sergio Luppi, docente di Filosofia delDiritto all’Università Cattolica di Milano.Cercherò in questo articolo di riassumere leidee principali del libro e di presentare allettore il nucleo essenziale della “confessio-ne” degli Skin, affinché si renda conto di co-sa sia realmente questo movimento di cuitanto si parla, ma di cui si sa ben poco.

Secondo il Blondet, che cita Ortega yGasset, l’adolescente entra nella società verti-

calmente, nel senso che non la invade dal-l’esterno, ma dall’interno e da sotto: il giova-ne viene definito così un “barbaro verticale”.

La società civilizza il “barbaro verticale” egli consegna la saggezza che le generazioni pre-cedenti hanno conquistato affinché il giovanenon debba scoprire ciò che già è stato scoperto,ma anzi possa essere come “un bimbo sullespalle di un gigante”: gli consegna la Tradizione.

Una SOCIETÀ RETTA è capace di edu-care il giovane barbaro, mentre unaSOCIETÀ CORROTTA, che ha dimentica-to la Tradizione, non è capace di educare isuoi giovani (“nemo dat quod non habet”).Se poi il giovane barbaro non si lascia “edu-care”, cioè corrompere, integrare, degradare,la società corrotta cerca di reprimerlo. Vi so-no quindi due categorie di giovani:

a) quelli che si lasciano corrompere pre-cocemente (accettando la discoteca, la dro-ga, l’amore libero...), che possiamo definireLA MASSA.

b) quelli che invece sono o cercano di re-stare sani rifiutando i cosiddetti “valori” del-la società corrotta. Fra questi vi sarebbero igiovani Skin che rivendicano per sé una edu-cazione opposta a quella della società per-missiva e che si richiami ai valori tradizionali.

GLI SKIN NASCONO A LONDRA

Gli Skin nascono a Londra nel 1968 comereazione alle mode barocche e femminee pro-prie dei Beatles e movimenti simili. Sono figlidi operai e sono ostili agli immigrati che rap-presentano in quel momento una minaccia peril posto di lavoro dei loro genitori. Hannoun’antipatia istintiva per il radical-chic, voglio-no difendere il loro territorio e dimostranoquest’amor “patrio” con l’attaccamento allapropria squadra di football. Hanno il sostegnodelle loro famiglie e non conoscono il fenome-no della contestazione dell’autorità dei genitori.

Dal 1969 al 1976 il movimento degli Skindeclina fin quasi a scomparire. Dopo il ‘76,di fronte al fenomeno “Punk”, gli Skin tro-vano un nuovo nemico da combattere, che liricompatta come difensori della Patria e del-la Regina. Si nota però un’involuzione, il lo-ro stile è esasperato: i nuovi Skin sono moltopiù violenti e spinti all’odio.

LA LOTTA CONTRO LA DROGA

È nel 1980 che nasce anche in Italia ilmovimento Skin e precisamente alla Fiera di

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Senigallia, che è il cosiddetto “mercato dellepulci” a Milano. Gli Skin italiani imitanoquelli inglesi e tendono vagamente al nazio-nalismo, ma, almeno fino al 1988, la cosa piùimportante per loro è divertirsi e bere birra.

È in quell’anno 1988 che molti di essi fi-niscono nel giro della droga ed è proprio allaVOLONTÀ DI REAGIRE CONTRO LADROGA che gli Skin milanesi fanno risalirela loro prima presa di coscienza politica.

“La cultura dei Centri Sociali - dichiara-no unanimi al dr. Blondet - aveva rovinatotroppi di noi e ad un certo punto ci siam det-ti basta, qui bisogna far qualcosa”. Gli Skinsi accorgono... che per non fare la brutta finedel drogato è necessario parlare con glialtri... ma soprattutto essi capiscono che “ladroga viene imposta ai giovani. C’è una clas-se politica che la impone e la diffonde” equesta scoperta creerà un principio basilaredell’ideologia Skin.

Per reazione alla società edonistica essi siavvicinano ai valori tradizionali della Patria,della vita sana, del sacrificio, dell’amore allapovertà, della pace con la propria coscienza.Si creano anche una divisa (scarponi parami-litari) indelebile (la testa rapata, come la co-rona monastica), che li aiuti a testimoniaretale concezione tradizionale della vita ed arimanervi fedeli (se la divisa si può gettarefacilmente alle ortiche, i capelli rapati nonricrescono tanto in fretta).

IL DECRETO “MANCINO”

“L’Unità” del 25 novembre 1992 titola:“Chiuderemo i covi dei neonazisti - Mancino:Freda e Delle Chiaie tentano di organizzar-li”. A sua volta il ministro, nel corso di un’in-tervista, spiega che si vuol colpire l’incita-mento alla discriminazione etnico-religiosa;l’intervistatore obbietta che in tal modo si fi-nisce col perseguitare le idee oltre che gli at-ti. Il ministro risponde che il rischio c’è, per-seguire reati d’opinione può essere pericolo-so, e conclude l’intervista dicendo: “Se fossi-mo in Germania farei un decreto-legge (conprocedura d’urgenza, ndr), ma siamo inItalia, la situazione non è esplosiva, quindipreferirei un disegno legge. SONO PERÒSOLLECITATO A SCEGLIERE IL DE-CRETO-LEGGE”. Il giornalista de “L’Uni-tà” sobbalza: “Sollecitato? E da chi?” “SO-NO SOLLECITATO” replica Mancino.

Intanto scatta l’operazione “Puma”. Allesei del mattino i poliziotti di Milano armati

fanno irruzione nelle abitazioni di quarantaSkin, fermando praticamente tutti. Sono col-pite dal provvedimento anche due persona-lità di Milano, il dottor Piero Sella e il dottorSergio Gozzoli, fondatori della rivista anti-mondialista “L’Uomo Libero”.

Il dottor Gozzoli in un’intervista a “IlGiornale” di Montanelli afferma: “È graveche una simile iniziativa venga presa (...) do-po le pressioni di Tullia Zevi e del rabbinoToaff, che per settimane hanno salito le scaledei ministeri”.

TUTTI A MESSA

Il 21 dicembre 1992 una quarantina diSkin vanno in Sant’Ambrogio, alla “Messain latino”. Vogliono invocare una “protezio-ne superiore”, come afferma uno di loro; ri-tengono che la Chiesa difenda alcuni valoriquali la famiglia, la nobiltà del lavoro, la de-cenza morale. “Magari non la Chiesa attuale,progressista e pacifista, ma la Chiesa tradi-zionale, quella del Medioevo”.

SIETE RAZZISTI?

Blondet, registratore alla mano, interro-ga gli Skin: “Cosa ne pensate della nostra ci-viltà?” Precisa uno di loro: “Non quella at-tuale, della depenalizzazione della droga”.Un altro spiega: “Roma. Il Medioevo. La ci-viltà occidentale tradizionale era superiore,poi è cominciato l’imbastardimento cultura-le... con la Rivoluzione francese” (si noti chesi tratta di una trascrizione di risposte oralidate da più persone che parlano contempo-raneamente).

“Vi definite fascisti?” Chiede ancoraBlondet. “Guardiamo con interesse, e senzapregiudizi, - rispondono - a quel periodo sto-rico che si chiama Fascismo... NON DICIA-MO CHE SIA LA SOLUZIONE POLITI-CA MIGLIORE IN ASSOLUTO... L’UO-MO EUROPEO HA DATO VITA ACIVILTÀ SUPERIORI AL FASCISMO: ILFEUDALESIMO... Ma il Fascismo è la solu-zione più vicina a noi. La dittatura... in certimomenti storici... può essere necessaria...Non in eterno però”.

“In cosa consiste la Tradizione?”“Credere in Dio, amare la propria terra,

coraggio, lealtà, fedeltà, onore, sacrificio”.“Quali sono i vostri nemici?”“I massoni, i comunisti, i giudei mondia-

listi, i cristiani progressisti”.

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CONCLUSIONE

Nella post-fazione del libro, il professorLuppi conclude esprimendo un giudizio teo-rico sul saggio-intervista di Blondet e met-tendo in luce i valori, i limiti ed anche glieventuali pericoli del fenomeno Skin.

Eccone le linee essenziali.Non conoscendo ancora bene il pensiero

degli Skin - scrive il professore - ero portatoad inquadrarli come un fenomeno folkloristi-co della Modernità negativamente intesa, fat-ta di rock, sesso e violenza. Ma dopo averanalizzato il caso senza passioni, si può affer-mare che gli Skin SONO LA PUNTAEMERGENTE DI UN ICEBERG CHEPREANNUNCIA UNA REAZIONECONTRARIA ALLA MODERNITÀ e for-se anche L’INCIPIT DELL’ETÀ POST-MO-DERNA, INTESA COME NUOVO ME-DIOEVO. Non potevo approvare tutto quelche dicevano, non potevo non notare nei loroatteggiamenti una certa ingenuità e rozzezza,però non era lecito identificarli con quei fe-nomeni di decadimento e di corruzione checaratterizzano la fine di una civiltà.

Gli Skin rifiutano tutta o quasi tuttal’esperienza culturale politica sociale e spiri-tuale della Modernità secolarizzata.

Vogliono “ricostruire un mondo, una so-cietà tradizionale e virile che fa dell’eroismoe del sacrificio, della dedizione assoluta allapropria comunità ed alla propria stirpe i va-lori supremi”.

Il loro punto di partenza è il rifiuto delcostume “borghese”, gli pseudo valori delcarrierismo e la prospettiva di una vita tran-quilla senza nessun rischio minaccia o peri-colo. Allo stile “borghese” gli Skin oppongo-no lo stile “eroico”.

Ecco perché lo Skin è identificato e per-seguitato come il nemico da abbattere, che“minaccia il futuro radioso di un mondo uni-to” (il Nuovo Ordine Mondiale).

Lo Skin inoltre è un realista, crede in unDio personale e trascendente, sa che il crea-to è limitato ed imperfetto e che il male saràsempre presente nell’uomo, anche se lo sideve combattere senza posa. La Modernitàinvece (come diceva Augusto Del Noce) èutopista e gnostica; per lei il creato è infini-to, è perfetto, è ottimo: è Dio!

Il professor Luppi mette anche in eviden-za l’eventuale LIMITE DEL MOVIMEN-TO qualora il motivo estetico sovrastassequello metafisico-teologico; per esempio

crociato o pagano va bene lo stesso, pur diessere un “eroe”!

Il movimento può correre inoltre il PERI-COLO di diventare “mono-maniacale”, valea dire vittima di una sola idea assolutizzata,che esclude ogni altra che le faccia da con-trappeso. Per esempio: la giustizia senza lapietà, la forza senza la carità; sono quelle cheChesterton chiamava “idee cristiane impazzi-te”, che hanno dato luogo alle varie sette ere-tiche. “L’assolutizzazione di un principio...con esclusione di altri, ...rompe... l’armonia...generando crisi e facendo esplodere contrad-dizioni. (...) L’Idea assolutizzata è portata tra-gicamente fino al suo compimento con unacoerenza logica ferrea ma disumana”.

Gli Skin, conclude il professore, “rappre-sentano - in virtù dell’assunzione del Mitopremoderno - il riemergere tumultuoso delleFORZE ISTINTIVE E NATURALI, DEL-LE FORZE VITALI DELLA NATURAUMANA, che l’artificialità razionalistica delmoderno... riteneva di aver eliminato (...).

Il barbaro non è soltanto il rozzo distrutto-re di una civiltà superiore... è anche, in virtùdella sua spontaneità e della sua ingenuità,COLUI CHE APPORTA ENERGIE FRE-SCHE E VITALI ALLA COSTRUZIONEDI UNA NUOVA CIVILTÀ. (...) Il Me-dioevo fu... barbarico e civile, pagano e cristia-no, pregnante di esuberanza fisica e volto al ri-tiro ed alla contemplazione. (...) L’ETÀ PO-ST-MODERNA DOVRÀ ESSERE UNNUOVO MEDIOEVO, OPPURE NONSARÀ. (...) SE IL NUOVO MEDIOEVO

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Cerimonia di vestizione di un Cavaliere nel Medioevo

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MOSTRERÀ LA SUA VITALITÀ ETRIONFERÀ, ALLORA I NUOVI BAR-BARI SVOLGERANNO UNA FUNZIONEMOLTO SIMILE A QUELLA GIÀ SVOL-TA DAI LORO PREDECESSORI SUL FI-NIRE DELLA CIVILTÀ ANTICA”.

VERA E FALSA RESTAURAZIONE

Mi pare che il pericolo da evitare siaquello di una conversione incompleta. “LaRivoluzione essendo satanica, la Contro-rivoluzione dovrà essere angelica o nonsarà” diceva De Maistre. Bisogna che l’uo-mo - dopo secoli di filantropismo melenso emelassoso - si disgusti dell’uomo (ferito dalPeccato Originale) e torni a Dio. Il nuovoMedioevo non sarà nient’altro che il Regnosociale di Gesù Cristo, Re divino di un popo-lo sottomesso al suo Vicario (il Papa) ed alluogotenente del Papa (il Re). Se gli uominiaccetteranno e vivranno la filosofia delVangelo (amore della povertà, della soffe-renza e disprezzo di se stessi) allora laRestaurazione sarà completa e vittoriosa!“Ogni soluzione umana è ormai impossibile(scriveva il cardinal Pie); alla nostra societànon rimane che un’alternativa: O SOTTO-METTERSI A DIO, O PERIRE. Non sifarà nulla finché Dio non verrà ricollocato aldi sopra di tutte le istituzioni. (...) UN SOLOPARTITO POTRÀ SALVARE IL MON-DO: IL PARTITO DI DIO” (che non è laDemocrazia Cristiana, ndr).

Se la Rivoluzione, madre dell’attuale so-cietà corrotta e decadente, è un fenomenoantireligioso, il rimedio ad essa sarà esclusi-vamente religioso. Solo il Cattolicesimo pos-siede la piena luce, è la verità immutabile, èl’ovile in cui sono chiamati gli uomini di tuttii paesi fino alla fine del mondo.

Mi sembra che i giovani Skin abbiano(con molta semplicità ma con grande esattez-za) messo a fuoco il problema, quando hannoaffermato che l’Ideale è la Cristianità Medio-evale; il Fascismo - per - loro - non è l’idealema è il fenomeno storico (così come si rea-lizzò “de facto” nella vita vissuta) a noi più vi-cino, che meno si allontana da tale ideale.

Voglio terminare con una citazione di ungrande teologo domenicano, Padre CeslaoPera, che scrivendo nel 1945, aveva espressolo stesso concetto: “Assistiamo colle lagrimeagli occhi e lo strazio nel cuore, alla vittoriadell’oro contro il sangue. Abbiamo toccatocon mano la grande debolezza e miseria

dell’uomo, poiché abbiamo troppo confidatonell’uomo e nelle sue capacità, abbiamo pen-sato che l’uomo bastasse a se stesso e Iddio,avendo abbandonato l’uomo, ce ne ha mo-strata tutta la fragilità”. Ebbene, tale errorenon deve ripetersi, non dobbiamo più speraresoltanto nell’uomo ma soprattutto nell’Onni-potenza del Signore che dette (ha continuatoa dare e darà sempre) al piccolo David arma-to di una fionda, la forza di abbattere Golia.

Il Naturalismo neopagano (la natura sen-za la grazia) è il virus che può guastare la rea-zione alla società moderna. La legittima dife-sa d'altra parte, è un istinto ed un diritto na-turale (“Vim vi repellitur”) senza il quale nes-sun vivente potrebbe sussistere e progredire.La forza (regolata dall’intelletto e sottomessaad esso) dà all’uomo la capacità di lottarecontro i pericoli, di sormontarli e di risolvere iproblemi che ogni giorno gli si presentano.Senza l’istinto combattivo, che il Cri-stianesimo non condanna ma nobilita, l’uomonon risolverebbe mai i vari problemi che gli sipongono, resterebbe un essere passivo desti-nato alla perenne sconfitta, come vorrebbe ilGiudaismo. Ebbene Dante ci ammonisce:“Uomini siate e non pecore matte, affinché ilgiudeo che è in mezzo a voi, di voi non rida”.

Che il giovane si faccia cooperatore diDio nell’opera della sua santificazione e del-la Restaurazione della società cristiana el’aiuto del Signore non mancherà.

“L’unione fa la forza - scriveva S. Luigi diMontfort - per formare sotto lo stendardo del-la Croce un’armata ben schierata a battaglia eben ordinata per attaccare tutti insieme i ne-mici di Dio... Signore sorgete! perché sembra-te dormire? Sorgete nella vostra onnipotenza,misericordia e giustizia, per formarvi unostuolo scelto di guardie del corpo, per proteg-gere la vostra casa, per difendere la vostragloria e salvare le anime”. Amen, così sia!

di don Curzio Nitoglia

MAURIZIO BLONDET, “I nuovi barbari.Gli Skinheads parlano”,

“Effedieffe” (via Santa Maria Segreta 6,Milano).

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di Mons. Guérard des Lauriers

Settima stazioneGESÙ CADE PER LA SECONDA VOLTA

Stretta è la via (1) che conduce al Regno,e austero il cambio che per il Regno esigetutto (2). Eccoti, Signore, una seconda volta,a terra. Tuttavia... Simone è con Te, e fa cer-tamente del suo meglio per aiutarti.Veronica ti ha dato or ora la testimonianzadi tutti i Tuoi fedeli. Maria Tua madre, haappena scambiato con Te uno sguardo reci-procamente transpenentrante: Spada che se-para lo spirito dall’anima (3), che crocifiggel’anima, che fortifica lo spirito: eco della sag-gezza e dell’Amore. E Tu, o Signore, cadi.Quando Dio ci vuole deboli, chi mai ci po-trebbe rendere forti? Quando Dio vuolel’offuscamento chi ci potrebbe dare la Luce?Quando Dio vuole l’abbandono chi ci po-trebbe offrire tenerezza? I soldati Ti vedonocadere; abituati a scortare i giustiziati, ri-mangono indifferenti; Ti percuotono, come èloro abitudine. Simone Veronica e Maria so-no presenti, ma Simone, convertito a Te, ve-de che non può nulla per Te; Veronica com-prende che il suo gesto non può essere rin-novato; Maria sa che non ritroverà il Tuosguardo che presso la Croce.

Quale lezione, o Signore, per coloro che tuami e che Ti amano, e che desiderano aiutarti.Ecco tutto lo sforzo umano ridotto alle suegiuste dimensioni: opera prodigi quando Diolo accoglie; non può più nulla quando Diosembra trascurarlo. I tuoi fedeli devono dun-que allora staccarsi da Te? No Signore, io so,che non lo vuoi, so che Tu non spegni il luci-gnolo che ancora fuma (4), so che accogli ognifedeltà, dalla più modesta alla più profonda.

Simone ti aiuterà, ma senza illudersi di po-ter da solo, evitarti cadute e ricadute, ti se-guirà umilmente. Veronica sarà per Te spec-chio fedele di Luce e di Amore, ma ti accom-pagnerà senza la speranza di poter ancora av-vicinarsi a Te, ti seguirà nel distacco. E Maria,tua Madre, la Vergine fedelissima, rimane conTe in ciascuno dei Tuoi passi, in ognuna delleTua cadute, in tutti i tuoi sforzi, ben sapendodi non poter più infondere, in tutto questo in-furiare di odio, il segreto conforto di una tene-rezza divina, Ti segue nella fede.

Tuttavia, Signore, non fu umile il docileSimone quando si prestò all’infamante richie-sta? Veronica non fu distaccata quando af-frontò gli scherni e gli insulti per non restarefedele che a Te? E Maria non era piena di fedequando scambiò con te quello sguardo che Lefaceva comunicare con la Saggezza stessa?Umiltà, distacco, fede, mistero di cui Tu avvol-gi la vita di coloro che ami. Mistero che rivelail Tuo stesso mistero, o Signore, quello dellatua seconda caduta. Si conosce l’albero daifrutti (5). Lo stato della Tua caduta è come laradice dalla quale i Tuoi fedeli attingono in Te,tutta la linfa di cui hanno bisogno. Più ti avvici-ni al termine e più sei debole, o Gesù! Vai alPadre e le forze umane Ti mancano; è nell’in-fermità che si manifesta la forza di Dio (6) ed èproprio di questo tipo di prova persuasiva, pe-netrante, di cui tutti abbiamo bisogno, di cui iostesso ho bisogno. Umiltà, rinuncia, fede, lo soche non vi è altra via. Però come mi sembrastretta e difficile questa via, o Signore; quantevolte mi trovo davanti ad una soglia apparen-temente invalicabile! Dispiega allora nella miainfermità la prova della tua forza.

Ti ho seguito finora, Signore, sorrettodalla gioia che provavo nel vederTi, nelsentirTi presente. Ma senza questa gioia, date gratuitamente concessami ed a Te solo le-gata, saprei ancora seguirTi? E tuttavia, ri-nunziare a questa gioia non significa perderela propria anima? (7) Ma sarei capace di a-marti solo per Te e nulla affatto per me,Signore? Io non oso privarmi di questa gioia,perché mi viene da Te e perché conosco lamia debolezza, ma forse sarebbe bene che ionon vi facessi affidamento, che contassi suTe piuttosto che sui Tuoi doni.

Signore io mi riposo nella tua caduta co-me Simone Veronica Maria: il tuo veniremeno è la loro forza, la loro consolazione, laloro luce. SottraendoTi a loro, tu li soccorrimisteriosamente nella misura dei loro biso-gni; Tu li privi di tutto ciò su cui si affidava-no ancora troppo umanamente, e li fai vive-re divinamente. Prendi su di Te tutte le inde-licatezze di coloro che ami, tutte le loro timi-dezze nell’Amore, tutte le loro esitazioni aandare avanti fino in fondo nella via genero-sa in cui erano incamminati.

Per tutti coloro che si sarebbero poi vol-tati indietro e si sarebbero resi indegni dellaTua scelta (8). Tu non guardi più che alPadre, Tu non conti più che su di Lui.

La Tua forza, il Tuo desiderio, cessano diabitare il Tuo corpo; e Tu l’abbandoni al suo

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LA VIA REGALE

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peso, che l’amore rende così greve. È questoil momento centrale della Tua via dolorosache così bene corrisponde al momento cen-trale della mia vita; e attraverso la tentazionedella mediocrità di questo momento dellamia vita, io comprendo, o Signore, la tua ca-duta: Ti amo e Ti lodo in questo tuo stato. Tuhai superato la cima, eccoTi ora completa-mente sul versante del Padre, e non lasci allaTerra che il Tuo corpo; ecco che Tu guidi piùavanti verso il Padre tutti coloro che Ti se-guono, conservando nei loro cuori la realtà diquesta seconda caduta come sorgente viva diogni forza, di ogni dolcezza, di ogni luce.

Note

Ottava stazioneGESÙ CONSOLA LE DONNE DI GERU-SALEMME

Signore, Tu non sei venuto per i giusti maper i peccatori (1). EccoTi per un’ultima voltain mezzo a questa folla che ami: essa viene adirti ancora, pur senza esserne cosciente, chedevi morire per lei. Per i soldati che Ti scor-tano, Tu non sei che il condannato; un con-dannato è recluso, non deve parlare a nessu-no. Ma i Tuoi amici e i Tuoi nemici mescolati,si affollano attorno a Te; vorrebbero tutti av-vicinarsi a Te per meglio consolarTi o permeglio deriderTi, o forse per soddisfare unacuriosità che i Tuoi miracoli mantenevano vi-va. È difficile contenere la folla; essa riesce araggiungerTi, il buon senso la domina nono-stante gli artifici di Satana. Essa esprime sim-patia per Te, simpatia più sensibile che effica-ce, più calda che profonda, simpatia che vor-rebbe essere generosa, ma che è paralizzatadal timore che nasce da un segreto egoismo,simpatia pusillanime, in fondo; e tuttavia,Signore, mi guardo bene dal disprezzarla,poiché io, è certo, non avrei agito meglio.Spero soltanto che, per effetto della Tua gra-zia, sarei stato con coloro che hanno pianto enon con quelli che hanno maledetto.

Signore, è per questa folla (2) che sei ve-nuto; va’ in mezzo ad essa un’ultima volta eascolta, al di là dei suoi ondeggiamenti, leparole degli spiriti e dei cuori; compi fino altermine la Tua missione di testimonianza al-

la Verità (3). Non sei più il Maestro del qualesi rispetta l’autorità (4); rimani il Figliodell’Uomo che sa ciò che vi è nell’uomo (5).Orbene le lacrime sono, per se stesse, unaconfessione, e Tu sai ciò che vi è nelle lacri-me. Vi sono lacrime sincere che possono ot-tenere consolazione, ma questa non è l’oradella consolazione perché non è l’ora dellaVerità e non è l’ora di queste lacrime. È l’oradelle lacrime turbate: non sedurrebbe forsela menzogna persino i Tuoi eletti (6) se Tunon vegliassi su di loro?

Signore, Tu consoli, e io adoro il TuoAmore; ma Tu consoli insegnando, e io ado-ro la Tua Verità. Perché dunque, Signore,non accogli per Te stesso queste lacrime?Non hai Tu accolto e benedetto quelle diMaddalena? (7). Perché giustifichi le une,biasimi le altre? Maddalena piange le suecolpe e giace ai Tuoi piedi umilmente comeil pubblicano; mentre le donne di Gerusa-lemme si avvicinano a Te apparentementedimentiche di se stesse, ma con una sicurez-za di sé che potrebbe ben essere fruttodell’orgoglio. Oh! È un orgoglio quasi inno-cente tanto è inconscio; ma quanto umili bi-sogna essere, o Signore, per essere accettiquando ci si avvicina a Te che sei l’Umile (8)per eccellenza. Quanto più umili, poi, si deveessere quando si pretende di consolarTi,quando si desidera offrirTi ciò che l’umanatenerezza ha di più delicato e di più miste-rioso, ciò che può essere tanto puro e tantoimpuro come le lacrime.

Signore, si può piangere su di Te per amorTuo e queste lacrime sono pure. Esse sonopreziose ai Tuoi occhi, quanto la morte deiTuoi santi, ma esse sono Tue e soltanto Tue;sono per Te e per Te solo, esse non si spargo-no che nel segreto della Tua sola presenza; so-no le lacrime di Maria, Tua Madre, che conti-nua a seguirti nascosta fra la folla che Ti pre-me, sola tutta fedele, sola tutta presente, solovergine persino nelle lacrime. Ma quelli chenon ricevono il dono di queste lacrime, conso-lante per essi quanto per Te, rischiano di pian-gere su se stessi per amore di te, a meno chenon piangano su te per amore di se stessi.Lacrime pure, lacrime impure; lacrime diMaddalena, lacrime delle donne di Gerusa-lemme. Ed ecco, o Signore, l’ultima conversio-ne che hai operato prima di quella del buonladrone: la sublime conversione delle lacrime.

Prima di esser vergini, bisogna esser veri,veri in tutto, anche nelle lacrime. prima dispargere le lacrime della tenerezza vergina-

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1) Mt VII, 14.2) Mt XIII 44-46.3) Ebr. IV, 12.4) Mt. XII, 20.

5) Mt. VII, 20.6) II Cor. XII, 9.7) Mt. X, 39.8) Lc. IX, 62.

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le, bisogna spargere quelle della umiltà vera.Ed è il valore di queste prime lacrime che Tisei degnato insegnarci: Non piangete sopradi Me (9), perché, in verità, è sopra di voiche, senza saperlo, piangete, e, in verità, èproprio su voi che dovreste piangere, ma di-versamente da come fate. Voi piangete lamorte di un uomo, vi lamentate per la perdi-ta della mia presenza, ma solo perché io gua-rivo i vostri malati e risuscitavo i vostri mor-ti, non perché ricevevate la testimonianzadel Padre; piangete soltanto sulle cose terre-ne che passano, e queste lacrime non sonoMie, non sono degne di me, non sono degnedi essere versate sopra di me.

Abbiate almeno la sincerità di riconosce-re che non sapete rattristarvi se vi rattristatesolo di voi stessi. Io convertirò le vostre la-crime, vi mostrerò come dovete piangere suvoi stessi. In quanto a Me, venni dal Padre eritorno al Padre, (10) ho reso testimonianzaalla verità (11): in tutto ciò non vi è che gioia.Ma voi che non siete per nulla veri, aveteben ragione di essere tristi; voi nei quali ave-vo posto l’amore per la Verità e che da essovi siete allontanati, avete ragione di piangeresu voi stessi e su tutti coloro che per la vo-stra colpa trascinate nella vostra menzogna.

Guai a voi, perché spesso ho tentato diriportarvi alla luce ma non m’avete seguito;ho voluto ricostruire in voi la fondamentalesincerità senza la quale non vi è salvezza e

avete continuato a lamentarvi di Me come seIo vi abbandonassi. Convertitevi a Me (12),convertitevi fin nel profondo del cuore, cam-biate l’oggetto delle vostre lacrime, piangetesopra di voi per l’amore di Me e non sopradi Me per l’amore di voi stessi: solo cosìpiangerete lacrime di salvezza.

Signore, io ricevo e adoro le Tue parole,poiché non valgo certo di più di queste don-ne alle quali hai dato i Tuoi insegnamenti. ITuoi Apostoli, coscienti della loro incapa-cità, Ti avevano chiesto di insegnare loro apregare (13); esse, inconsapevoli della loroimpurità, Ti chiedono con le loro lacrime diinsegnar loro a piangere. O Gesù che rendipuro ciò che è impuro, mutami, ispirami, fasì che io non pianga che per Te e per l’amoredi Te soltanto.

Note

1) Mc. II, 17; Mt. IX, 13; Lc. V, 32.2) Mt. XV, 32.3) Gv. XVIII, 37; VII, 38.4) Mt. VII, 29.5) Gv. II, 25.6) Mt. XXIV, 24.7) Lc. VIII, 38.8) Mt. XI, 299) Lc. XXIII, 28.10) Gv. XVI, 28.11) Gv. XVIII, 37.12) Is. 45, 22; Joele II, 12, 13.13) Lc. XI, 1.

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Vita dell’IstitutoNell’approssimarsi del X anniversario di

“Sodalitium”, il nostro periodico ha ricevutodue regali dall’Istituto Mater Boni Consilii.Il primo è la fondazione della SocietàCooperativa Sodalitium per poter svolgereun'attività editoriale, costituitasi a Torinocon atto notarile del 22 giugno. Si tratta pernoi di un notevole impegno che viene ad ag-giungersi ai molti altri, ma che permette diampliare il ruolo svolto da “Sodalitium” nel-la diffusione della buona stampa in difesa epropagazione della fede. Speriamo di poterpresto stampare i primi libri od opuscoli giàda tempo in preparazione. Il secondo, è unannuncio propagandistico del nostro bollet-tino pubblicato (a pagamento) dal quotidia-no L’Indipendente del 19 settembre e che ri-produciamo qui a fianco. Si dice che la pro-

paganda è l’anima del commercio... “Soda-litium” non è un’impresa commerciale, maun’opera di apostolato (finanziariamente inpura perdita), e tuttavia speriamo, facendociconoscere, di far del bene a qualcuno. La ti-ratura aumenta continuamente, sia per l’edi-zione in lingua italiana che per quella infrancese, ed il bollettino si trova in liberavendita in varie librerie, a Roma, Torino eMilano. Ringraziamo fin d’ora le riviste che,apprezzando il nostro lavoro, vorranno ri-prendere l’annuncio pubblicitario per farloconoscere ai propri lettori..

La Colonia estiva della Crociata Euca-ristica diretta da don Giugni si è svolta confrutto anche quest’anno presso il Castello diRaveau, in Francia, dal 15 al 30 luglio.Durante il campo, i carissimi amici Gene-viève e Jean-Claude Pons hanno festeggiatopresso di noi il loro 25° anniversario di ma-

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trimonio il 16 luglio, dopo aver assistito allaS. Messa della Madonna del Carmelo cele-brata a Crézan da don Ricossa. Tra le gior-nate speciali, un pellegrinaggio a Paray-le-Monial, ove apparve il Sacro Cuore a SantaMargherita Maria, ed una visita alle minieredi La Machine ove abbiamo visto quanto eradura la vita dei minatori, ma anche quantafede vi era tra di essi (erano persino scrupo-losamente rispettati i digiuni del venerdìsanto). Al termine della visita, siamo statigentilmente ospitati dalla famiglia Aynaud.Il teatro, in francese ed in italiano, i giochi,la distribuzione dei premi, la cerimonia d’en-trata nella crociata hanno felicemente con-cluso (per quest’anno) il campo. Sempre aCrézan, in Francia, don Murro ha dato laprima comunione ai fratelli Jean-Pascal eSabine Ugarte il 12 agosto ed il 15 a MichelLanglet. Don Murro ha amministrato ilSacramento del Battesimo a Raveau al pic-colo Joseph-Marie Favret e, vicino Digione,alle gemelline Claire e Alette Sinniger.

Come ogni estate, quattro turni diEsercizi Spirituali di Sant’Ignazio, annuncia-ti anche dalla rivista L’Italia settimanale,hanno avuto luogo a Raveau, predicati infrancese, ed a Verrua, in italiano, durante ilmese di agosto.

Il 15 settembre ha riaperto i battenti il se-minario San Pietro Martire. Al rientro, tutta-via, due seminaristi in meno, uno dei quali per-

ché chiamato a svolgere il servizio militare inFrancia, mentre l’altro, pur restando membrodel nostro Istituto, studia ora alla Sorbona, aParigi. A Dio piacendo il prossimo annoavremo però una ordinazione sacerdotale.

I consueti esercizi per seminaristi e sacer-doti saranno predicati a Verrua da PadreBarbara a partire dal 19 ottobre, precedutida una riunione sacerdotale che dovrebberiunire una dozzina di confratelli per i giorni18 e 19 di ottobre.

Si è recato nuovamente in Spagna donNitoglia durante il mese di giugno.

Don Ricossa ha invece visitato l’Argen-tina dal 21 al 29 settembre. Ospite della caraamica dell’Istituto, dott.ssa Virginia Bonelli,ha potuto conoscere da vicino i fedelissimicattolici di Cordoba, che formano storica-mente uno dei primissimi gruppi “sedevacan-tisti”. A Cordoba svolge il suo ministeroPadre Julian Espina, che ha invitato donRicossa a celebrare la Messa e predicare aifedeli il 26 settembre. Questi ultimi hanno an-che organizzato una conferenza pubblica cheha avuto luogo la sera del 28. La perfetta in-tesa raggiunta con Padre Espina lascia spera-re in una futura e proficua collaborazione chefin da ora ha dato i suoi frutti. Attendiamo in-fatti per il mese di novembre 4 seminaristi su-damericani: uno inviato da padre Espina, unoda un sacerdote di Rosario (Argentina) e dueda Mons. Martinez (Messico). Se Dio vuole,

pertanto il seminario san PietroMartire non conterà, come abbia-mo scritto sopra, due membri inmeno ma due in più.

Raccomandiamo alle vostre pre-ghiere le anime del dott. AlfonsoCorradini e del pittore GuidoBertello, che sono stati assistiti du-rante l’ultima malattia da dei nostrisacerdoti, mentre ringraziamo gliimpiegati della ditta Cinzano diTorino ed i condomini del dott.Mamini, che hanno fatto una offertaall’Istituto in suffragio dell’animadel compianto notaio.

A tutti i nostri lettori, amici e be-nefattori vada la nostra benedizione:che la benedizione di Dio si spandasulle loro anime, le loro famiglie, leloro case, ad vitam aeternam.

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• Una voce della tradizione cattolica nell'Italiascristianizzata…• Pagine di teologia e spiritualità…• Vaticano II e Riforma Liturgica: continuità orottura?• Chiesa e Israele: la questione ebraica…• Massoneria e mondialismo…… e molte altre cose.Arriva in casa vostra quattro volte l'anno, con li-bera offerta.Scrivere a:

“Sodalitium”Loc. Carbignano 36 10020 Verrua Savoia TOTel.: 0161/83.93.35; Fax: 0161/83.93.34

Periodico

L'annuncio propagandistico di “Sodalitium” pubblicato su “L'Indipendente”

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Preghiera di Sant'AlfonsoPer avere a noi dato il dono della santa fede e preghiera

per l’aumento di questa santa fede.

O Salvator del mondo, io vi ringrazio per me e per tutti i fedeli miei fra-telli, di averci chiamati ed ammessi a vivere nella vera fede, che insegna lasanta Chiesa cattolica Romana: Buon Dio (vi dirò con S. Francesco diSales), molti e grandi sono i benefici, coi quali mi avete infinitamente ob-bligato, e per i quali vi rendo cordialmente grazie; ma come potrò ringra-ziarvi abbastanza per avermi illuminato voi con la santa fede? Tremo, oSignore, nel mettere a confronto la mia ingratitudine con sì gran beneficio.Vi ringrazio pertanto, Signor mio, quanto posso io miserabile, e vi prego afar conoscere a tutti gli uomini la bellezza della vostra santa fede. Oh Dio,esclamava lo stesso santo, la bellezza della vostra santa fede comparisce sìbella ch’io ne muoio d’amore; e parmi che debbo chiudere il dono prezioso,che Dio me ne ha fatto, dentro un cuore tutto profumato di divozione. Maohimè, Gesù mio redentore, quanti pochi son quelli che vivono in questa ve-ra fede! Oh Dio, la massima parte degli uomini giacciono sepolti nelle tene-bre dell’infedeltà, o dell’eresia! Voi vi siete umiliato fino alla morte, e mortedi Croce, per la salute degli uomini; e quest’ingrati non Vi vogliono né pureconoscere! Deh vi prego, o Dio onnipotente, o sommo ed infinito Bene, fate-vi conoscere da tutti; e fatevi amare.

O gran Madre di Dio Maria, voi siete la protettrice universale di tutti;mirate la strage d’anime che fa, e vie più va facendo l’inferno a’ tempi no-stri, coll’andare spargendo molti errori contra la fede per mezzo di tanti li-bri avvelenati, che girano per nostra disgrazia anche ne’ regni cattolici;deh, per pietà, pregate il vostro Dio, che tanto v’ama, pregate e date riparoa questa gran ruina: pregate, pregate; le vostre preghiere sono onnipotentiappresso Gesù vostro figlio, che gode in esaudirvi in tutto ciò che gli do-mandate.

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SS. MESSE

Verrua Savoia (TO): Istituto Mater Boni Consilii - Località Carbignano, 36 Tel.: (0161) 83.93.35. Nei giorni feriali, S. Messa alle ore 7,30. Tutte le domeniche S. Messa ore 17,30.Benedizione Eucaristica tutti i venerdì alle ore 21.Il primo venerdì del mese, ora santa alle ore 21.

Torino: Via Saluzzo, 9 D. Il primo venerdì del mese e tutti i giovedì, S. Messa alle ore 18,15 e confessioni dalle ore 17,30.Tutte le domeniche, confessioni dalle ore 8,30, SS. Messa cantata alle ore9,00; S. Messa letta alle ore 11,15. Catechismo il sabato, seguìto dalle confessioni e dal S. Rosario.

Valmadrera (CO): Via Concordia, 21- Tel. (0341) 58.04.86. SS. Messe la lª e la 3ª domenica del mese alle ore 10, e confessioni dalle ore 9,30.

Marano Vicentino (Thiene - VI): Via Canè, 1, presso la fam. Parolin. SS. Messe la 2ª e la 4ª domenica del mese alle ore 18,30.Per informazioni rivolgersi a Verrua Savoia.

Maranello (MO): Villa Senni - Strada per Fogliano - Tel. (0536) 94.12.52.S. Messa tutte le domeniche alle ore 11.

Firenze: Via Ciuto Brandini, 30, presso la Prof.ssa Liliana Balotta.Tel: (055) 68. 59. 5l . SS. Messe la lª e la 3ª domenica del mese alle ore 18,15 e confessioni dalle ore 17,30.

Roma: S. Messa il primo sabato del mese alle ore 17,30 e la domenica che segue il primo sabato del mese, alle ore 11. Viale Sirtori 50, presso fam. Pristerà, Tel (06) 55.280.224.

Annecy (Francia): 11, avenue de la Mavéria.SS. Messe la 2ª e la 4ª domenica del mese alle ore 10 e confessioni dalle ore 9,00.Tel. dall'Italia: (0033) 50.57.88.25.

Madrid (Spagna): Calle Serrano, 31 - 3° D, presso le Signore Maria e Pilar Alejos.Tel. dall'Italia (0034) 1 577.14.31. Per informazioni sulle celebrazioni telefo-nare al suddetto numero.

COME AIUTARCI- Non si fanno abbonamenti a “Sodalitium”. Il nostro periodico viene inviato

gratuitamente a tutti coloro che desiderano riceverlo.- Preghiamo tutti coloro che, per qualsiasi motivo, non desiderano ricevere

“Sodalitium” di volercelo gentilmente comunicare.- Il nostro Istituto Mater Boni Consilii ed il suo periodico “Sodalitium”

non hanno altri introiti che le vostre offerte senza le quali non possono vivere.

Offerte:• sul Conto della Banca CRT Ag. di Brusasco Cavagnolo, conto 1802189/26

intestato all'Associazione Mater Boni Consilii.• sul Conto Corrente Postale numero 24681108 intestato a “Sodalitium”,

periodico dell'Associazione Mater Boni Consilii.