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PERIODICO DI INFORMAZIONE E CULTURA DELLA PRO LOCO - TIGGIANO Anno VIII, Numero 1 - Tiggiano, Febbraio 2008 - Distribuzione Gratuita di Bianca Paris È inutile girarci intorno: il negativo - allo stato puro - esiste, eccome. Serpeggia nella grande Storia come nelle piccole; ed è abilissimo ad intrecciare coincidenze per il massimo dello sconquasso. Dopo di che si acquatta, pronto però a rialza- re la cresta e a ricominciare. Fino a quando? Fino a che la specie umana calcherà il Pianeta. Perché il negativo il limite è dentro di lei. È acquattato in ciascuno di noi. Ma se il furfante pensa di averla vinta, si sba- glia e di grosso, perché è sempre lì nel pro- fondo della natura umana che incontra l’anti- doto al suo veleno. Ne sparga dunque quanto ne vuole. Mai riuscirà a distruggere il con- travveleno, la forza positiva. Einstein, che un po’ se ne intendeva, indivi- duava quella forza nella “aspirazione umana a sollevarsi dalla sfera della pura esistenza fisica verso la libertà”. E indicava nella Religione nell’Arte e nella Scienza, i campi magnetici di quella tensio- ne, i trampolini dai quali l’uomo ispirato si lancia verso l’Assoluto. E poco importa se l’obbiettivo rimane sem- plice aspirazione. È il volo quello che conta; il volo e quei tali spiragli, quelle finestrelle sull’infinito che il fervore della fede, l’ossigeno dell’Arte, la sete di conoscenza e l’esultanza della scoper- ta, di tanto in tanto concedono all’umanità afflitta da cento insufficienze. Ma ora stop ai massimi sistemi e via libera ai piccolissimi. Dei tre campi dai quali l’umanità tenta la sca- lata al Cielo, proviamo a riflettere un attimo sul tracciato che la religione cristiana ha segnato da duemila anni ad oggi. Luci ed ombre ovviamente, come tutto ciò che è sto- rico. Ma fra quelle luci, quanta grandezza e quale varietà di valori caritativi sapienzali missionari educativi. Un fiume carsico, spesso costretto a scompa- rire sotto la durezza dei tempi, per poi riap- parire a valle, più vitale di prima. Non è qui il caso di fare, nemmeno a gran- dissime linee, la Storia della Chiesa ma qual- che riflessione sì, possiamo e la facciamo su una di quelle luci che si accese il 18 marzo del 1935 in quel di Alessano e che ora pare in dirittura di arrivo per la Beatificazione. E ci mancava che una luce così non lo fosse, posto che ad ogni essere umano, spedito senza sapere né come né perché sul ring del- l’esistenza a battagliare con il limite e il negativo, alla fine di tutto un qualche premio dovrebbe pur toccare. Parliamo dunque di don Tonino Bello, l’ani- ma grande e bellissima che illuminò di sé queste contrade e le nobilitò con quel tale fascino che nemmeno il più disincantato dei materialisti può disconoscere. Fascino è la parola adatta per descrivere quella certa aura che promana da rare perso- ne, dal loro modo di essere, di relazionare, e che non dipende dalla somma delle doti. Per la ragione che quelle stesse, pur presenti in tanti, troppo spesso in fascino non riesco- no proprio a tradursi. Cosa manca, c’è da chiedersi. Meglio, cosa hanno in più le rarità? Forse il collante, la capacità di far circolare fra quelle doti la linfa giusta che le arricchirà reciprocamente. L’esatto contrario della gret- tezza di chi si ostina a coltivare orticelli fra di loro separati da spinosissime siepi nell’illu- sione di valorizzarne il prodotto. Figurarsi. Il collante dunque. È quella la cifra che distingue alcune persone dalle legioni di tante altre pur ricche di positività. Nel caso di don Tonino in che consiste quel legame? Una parola, rispondere. Chiunque provi a chiederlo alla schiera dei suoi ammaliati che lo videro toccarono ascol- tarono, riceverà - a valanga - ricordi di episo- di e citazioni. In quella occasione disse questo, fece que- st’altro, si comportò così, andò, venne, e visi- tò , benedisse cercò il dialogo con tutti, invi- tò i primi a discutere problemi a scovare soluzioni, chiamò gli ultimi a condividere con lui lacrime e pane. Don Tonino di qua don Tonino di là. Una girandola di ricordi e un solo denominatore: ciascuno dov’è leggere nel suo sguardo la proiezione delle proprie speranze se, ancora oggi, al solo ricordo gli brillano gli occhi. D’accordo, ma il cuore profondo di quella consonanza qual era? Nessuno dei tanti saprebbe rispondere. Ancor meno potrebbero farlo tutti coloro che don Tonino non incontrarono mai. Eppure questi ultimi un vantaggio ce l’hanno. La privazione potrebbe indurli a leggere i libri suoi e quelli di altri su di lui. E lo scritto, si sa, coinvolge più della fugaci- tà di un incontro fisico. Così, basta qualche pagina e il lettore tocca con mano il palpito di uno spirito che rapito dalla grandezza del messaggio cristiano, visse per testimoniarlo in ogni gesto della sua quotidianità. E fin qui don Tonino è in folta compagnia. Quella stessa però si dirada su un punto: don Tonino leggeva nel messaggio cristiano la Bellezza come preludio, promessa di beatitu- dine. Ne era tanto sicuro da intravederla nel profondo delle cose, di tutte le cose. Ora un po’ tutti conosciamo Religiosi di alto e anche altissimo profilo etico e confessiona- le ma lontani dalla letizia come le tenebre dalla luce. Camminano guardano parlano, come suggestionati dall’eco di quel cristiane- simo cupo penitenziale che fu tipico del pro- fondo Medioevo. Ma la gente, proprio perché stufa delle male- fatte del Negativo, di pene e castighi non vuol sentir parlare. Ciò che vuole è gioia leti- zia e… sorrisi. La gente chiede speranza che non sia però fil- trata dagli arzigogoli concettuali e tanto meno avvolta dall’umore arcigno e severissi- mo di certi censori. La gente vuole intravedere, qui ed ora, alme- no il riflesso di quella luce promessa. E don Tonino che quel riflesso aveva colto prima e meglio di tanti altri, l’offrì a tutti coloro che lo avvicinarono. E spiegò: Bellezza come armonia come gioia come Sorriso come Bene. E il Mito platonico uscì dalla penombra. Ed ora per concludere in …..bellezza e per dare un tocco di nobiltà a questo scritto stralciamo dall’ultimo lavoro di Agostino Picicco la seguente annotazione: “don Tonino sapeva far sue queste espressio- ni di Dostoevskij”: <<Sappiate che senza l’inglese l’umanità potrebbe ancora vivere, senza la Germania pure, senza l’uomo russo lo potrebbe anche troppo bene, senza la scienza potrebbe, potrebbe anche senza il pane; solo senza Bellezza non potrebbe perché non ci sarebbe nulla da dare al mondo. Tutto il segreto è qui. Tutta la storia è qui. La stessa scienza non resisterebbe un minuto senza la Bellezza, si convertirebbe in volgarità; non inventereste nemmeno un chiodo>>. N.B. A. Picicco è coordinatore delle Presidenze di Facoltà dell’Università Cattolica. È avvocato, giornalista, scrittore. Coordina le attività culturali dell’Associazione Regionale Pugliese di Milano. Per Ed Insieme ha pub- blicato recentemente “I roghi accesi dal Maestro”, La cultura nell’azione pastorale del vescovo don Tonino Bello, dal quale è stata tratta questa annotazione. Parliamo di don Tonino Alessano, 18 marzo 1935 - Molfetta, 20 aprile 1993 da sx: Francesco Petrarca assessore alla cultura del Comune di Castrignano del C. – Antonio Ferraro Sindaco del Comune di Castrignano del C. – Giancarlo Piccinni v. presidente della fondazione don Tonino – Padre Antonio Corrado psicologo – S. Ecc. Vito De Crisantis vescovo della diocesi di Ugento S. M. di Leuca – Agostino Picicco docente Università Cattolica di Milano (autore) Francesco Lenoci v. presidente Associazione Regionale Pugliesi Milano – Ronato Brucoli direttore editoriale Insieme. PERIODICO DELLA PRO LOCO - TIGGIANO Sede: Piazza Castello, 38 - 73030 Tiggiano (Le) Reg. Tribunale di Lecce n. 775/2001 reg. stampa Direttore editoriale: Bianca Paris Coordinatore redazionale: Ippazio Martella Redazione: Carmelina Nuccio, Concettina Chiarello, Maria Antonietta Martella, Stefano Marzo, Daniela Marra, Giuseppina Mura, Daniele Varratta, Maria Cristina Russo, Alba Palma, Emanuela Ciardo Direttore responsabile: Antonio Silvestri Collaboratori: Emanuele Martella, Francesco Villanova, Giacomo Cazzato, Marianna Massa, Giovanni Giangreco, Carlos Simao, Giorgio Serafino, Simona Biasco, Luigi Maria Guicciardi. Foto Archivio Pro Loco (salvo diverse indicazioni) La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita Gli articoli ricevuti e pubblicati possono non seguire la linea editoriale del giornale Per informazioni: tel. 0833.531651 Grafica e Stampa: Imago Pubblicità Lucugnano 0833.784262 Chiuso in tipografia 6 febbraio 2008

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PERIODICO DI INFORMAZIONE E CULTURA DELLA PRO LOCO - TIGGIANO Anno VIII, Numero 1 - Tiggiano, Febbraio 2008 - Distribuzione Gratuita

di Bianca ParisÈinutile girarci intorno: il negativo - allostato puro - esiste, eccome. Serpeggia

nella grande Storia come nelle piccole; ed èabilissimo ad intrecciare coincidenze per ilmassimo dello sconquasso. Dopo di che si acquatta, pronto però a rialza-re la cresta e a ricominciare. Fino a quando?Fino a che la specie umana calcherà ilPianeta. Perché il negativo il limite è dentrodi lei.È acquattato in ciascuno di noi.Ma se il furfante pensa di averla vinta, si sba-glia e di grosso, perché è sempre lì nel pro-fondo della natura umana che incontra l’anti-doto al suo veleno. Ne sparga dunque quantone vuole. Mai riuscirà a distruggere il con-travveleno, la forza positiva.Einstein, che un po’ se ne intendeva, indivi-duava quella forza nella “aspirazione umanaa sollevarsi dalla sfera della pura esistenzafisica verso la libertà”.E indicava nella Religione nell’Arte e nellaScienza, i campi magnetici di quella tensio-ne, i trampolini dai quali l’uomo ispirato silancia verso l’Assoluto.E poco importa se l’obbiettivo rimane sem-plice aspirazione.È il volo quello che conta; il volo e quei talispiragli, quelle finestrelle sull’infinito che ilfervore della fede, l’ossigeno dell’Arte, lasete di conoscenza e l’esultanza della scoper-ta, di tanto in tanto concedono all’umanitàafflitta da cento insufficienze.Ma ora stop ai massimi sistemi e via libera aipiccolissimi.Dei tre campi dai quali l’umanità tenta la sca-lata al Cielo, proviamo a riflettere un attimosul tracciato che la religione cristiana hasegnato da duemila anni ad oggi. Luci edombre ovviamente, come tutto ciò che è sto-rico. Ma fra quelle luci, quanta grandezza equale varietà di valori caritativi sapienzalimissionari educativi.

Un fiume carsico, spesso costretto a scompa-rire sotto la durezza dei tempi, per poi riap-parire a valle, più vitale di prima.Non è qui il caso di fare, nemmeno a gran-dissime linee, la Storia della Chiesa ma qual-che riflessione sì, possiamo e la facciamo suuna di quelle luci che si accese il 18 marzodel 1935 in quel di Alessano e che ora pare indirittura di arrivo per la Beatificazione.E ci mancava che una luce così non lo fosse,posto che ad ogni essere umano, speditosenza sapere né come né perché sul ring del-l’esistenza a battagliare con il limite e ilnegativo, alla fine di tutto un qualche premiodovrebbe pur toccare.Parliamo dunque di don Tonino Bello, l’ani-ma grande e bellissima che illuminò di séqueste contrade e le nobilitò con quel talefascino che nemmeno il più disincantato deimaterialisti può disconoscere. Fascino è la parola adatta per descriverequella certa aura che promana da rare perso-ne, dal loro modo di essere, di relazionare, eche non dipende dalla somma delle doti. Per la ragione che quelle stesse, pur presentiin tanti, troppo spesso in fascino non riesco-no proprio a tradursi.Cosa manca, c’è da chiedersi. Meglio, cosahanno in più le rarità? Forse il collante, la capacità di far circolarefra quelle doti la linfa giusta che le arricchiràreciprocamente. L’esatto contrario della gret-tezza di chi si ostina a coltivare orticelli fra diloro separati da spinosissime siepi nell’illu-sione di valorizzarne il prodotto. Figurarsi.Il collante dunque. È quella la cifra chedistingue alcune persone dalle legioni ditante altre pur ricche di positività.Nel caso di don Tonino in che consiste quellegame?Una parola, rispondere.

Chiunque provi a chiederlo alla schiera deisuoi ammaliati che lo videro toccarono ascol-tarono, riceverà - a valanga - ricordi di episo-di e citazioni.In quella occasione disse questo, fece que-st’altro, si comportò così, andò, venne, e visi-tò , benedisse cercò il dialogo con tutti, invi-tò i primi a discutere problemi a scovaresoluzioni, chiamò gli ultimi a condividerecon lui lacrime e pane.Don Tonino di qua don Tonino di là. Unagirandola di ricordi e un solo denominatore:ciascuno dov’è leggere nel suo sguardo laproiezione delle proprie speranze se, ancoraoggi, al solo ricordo gli brillano gli occhi.D’accordo, ma il cuore profondo di quellaconsonanza qual era? Nessuno dei tanti saprebbe rispondere.Ancor meno potrebbero farlo tutti coloro chedon Tonino non incontrarono mai. Eppurequesti ultimi un vantaggio ce l’hanno.La privazione potrebbe indurli a leggere ilibri suoi e quelli di altri su di lui.E lo scritto, si sa, coinvolge più della fugaci-tà di un incontro fisico. Così, basta qualchepagina e il lettore tocca con mano il palpito diuno spirito che rapito dalla grandezza delmessaggio cristiano, visse per testimoniarloin ogni gesto della sua quotidianità. E fin qui don Tonino è in folta compagnia.Quella stessa però si dirada su un punto: donTonino leggeva nel messaggio cristiano laBellezza come preludio, promessa di beatitu-dine. Ne era tanto sicuro da intravederla nelprofondo delle cose, di tutte le cose.Ora un po’ tutti conosciamo Religiosi di altoe anche altissimo profilo etico e confessiona-le ma lontani dalla letizia come le tenebredalla luce. Camminano guardano parlano,come suggestionati dall’eco di quel cristiane-simo cupo penitenziale che fu tipico del pro-fondo Medioevo.Ma la gente, proprio perché stufa delle male-fatte del Negativo, di pene e castighi non

vuol sentir parlare. Ciò che vuole è gioia leti-zia e… sorrisi.La gente chiede speranza che non sia però fil-trata dagli arzigogoli concettuali e tantomeno avvolta dall’umore arcigno e severissi-mo di certi censori.La gente vuole intravedere, qui ed ora, alme-no il riflesso di quella luce promessa.E don Tonino che quel riflesso aveva coltoprima e meglio di tanti altri, l’offrì a tutticoloro che lo avvicinarono.E spiegò:Bellezza come armonia come gioia comeSorriso come Bene.E il Mito platonico uscì dalla penombra.Ed ora per concludere in …..bellezza e perdare un tocco di nobiltà a questo scrittostralciamo dall’ultimo lavoro di AgostinoPicicco la seguente annotazione:“don Tonino sapeva far sue queste espressio-ni di Dostoevskij”:<<Sappiate che senza l’inglese l’umanitàpotrebbe ancora vivere, senza la Germaniapure, senza l’uomo russo lo potrebbe anchetroppo bene, senza la scienza potrebbe,potrebbe anche senza il pane; solo senzaBellezza non potrebbe perché non ci sarebbenulla da dare al mondo. Tutto il segreto è qui.Tutta la storia è qui. La stessa scienza nonresisterebbe un minuto senza la Bellezza, siconvertirebbe in volgarità; non inventerestenemmeno un chiodo>>.N.B. A. Picicco è coordinatore dellePresidenze di Facoltà dell’UniversitàCattolica.È avvocato, giornalista, scrittore. Coordina leattività culturali dell’Associazione RegionalePugliese di Milano. Per Ed Insieme ha pub-blicato recentemente “I roghi accesi dalMaestro”, La cultura nell’azione pastoraledel vescovo don Tonino Bello, dal quale èstata tratta questa annotazione.

Parliamo di don ToninoAlessano, 18 marzo 1935 - Molfetta, 20 aprile 1993

da sx: Francesco Petrarca assessore alla cultura del Comune di Castrignano del C. – Antonio FerraroSindaco del Comune di Castrignano del C. – Giancarlo Piccinni v. presidente della fondazione donTonino – Padre Antonio Corrado psicologo – S. Ecc. Vito De Crisantis vescovo della diocesi di UgentoS. M. di Leuca – Agostino Picicco docente Università Cattolica di Milano (autore) Francesco Lenoci v.presidente Associazione Regionale Pugliesi Milano – Ronato Brucoli direttore editoriale Insieme.

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39° Parallelo • febbraio 2008 pag. 2

A Tiggiano gli Ippazio (Paziu per gli amici)si sprecano; non c’è famiglia che non neconti almeno uno.Chi scrive conobbe una casa in cui il richia-mo “Paaziu” risonava di continuo da matti-na a sera e …senza risposta.Quel grido inseguiva un frugolo alto unaspanna innamorato pazzo della strada dellospazio aperto della libertà.Caseggiati campi vie piazze e piazzole nonfacevano differenza.Il suo chiodo fisso era uscire di casa e per-dersi gironzolando con compagnucci d’av-ventura, ma anche senza di loro.Fu la scuola primaria, l’unica da lui fre-quentata, a frenare quella smania, e fu illavoro a indirizzarla verso i sostanziosiobiettivi di cui diremo in breve la storia.È il 1967. Ippazio Magno, l’ex nostro picco-lo esploratore ha 17 anni, troppi per le mara-chelle e scarsi per il lavoro.E tuttavia il lavoro si impone. E lui comemolti suoi compagni lo insegue. È sul trenoper Zurigo che sperimenta il dolceamarodell’immigrazione. Viva la libertà, certo ma,per favore un po’ troppo distante dal focola-re. È un sentimentale sotto sotto il baldoavventuriero; e il caldo nido dove ha lascia-to mamma papà e sorelline gli fa nostalgiaben prima di toccare l’eldorado europeo, lanitida precisa cioccolatiera Svizzera. E allo-ra dalli a cercar lavoro, senza andar per ilsottile. Un lavoro qualunque purché onesto eben retribuito fa al caso suo. L’essenziale èche avvicini il momento del rientro al tettopaterno.Come sempre, occorre rischiare di perderlele cose per apprezzarle davvero. E il nostroPazio non vede l’ora di tornare al suolonatio.

È il 1975 e quell’ora arriva. In valigia l’emi-grante ha tre tesori: un’esperienza di lavorivari che lo ha formato a dovere, un progettoimprenditoriale sbocciato, prima che nellasua testa in quella della moglie, da ragazzi-na apprendista in un laboratorio di maglie-ria; il gruzzolo guadagnato con il sudore erisparmiato con le rinunce; come solo safare chi è davvero intenzionato a farlo frut-tare.Ma Pazio cosa ha in mente? Vuole realizza-re un maglificio. Un impresa difficilissimaper l’insufficienza del capitale di avvio.I macchinari necessari costano un’iradidio eil gruzzolo guadagnato basta tra il sì e il noa coprire l’Iva. Che fare? Rinunciare? Mai.La frenesia del rischio rispunta. Pazio non

esita a ipotecare la casa dei genitori. Sarebbebastato? Bastò, ma grazie al confluire di trealtri fattori cui l’onestà mentale di Pazioattribuisce l’impulso risolutore: l’aiutocostante della moglie Rosetta e di mamma epapà, la buona salute e la volontà tenacissi-ma a farcela stringendo i denti nei ricorrentimomenti difficili.Nel laboratorio lavoravano tutti, giorno enotte con turni massacranti. La posta ingioco lo richiedeva. L’alternativa era il trenoper Zurigo con la valigia dell’emigrante.Per carità, il bis no; allora giù a lavoraresodo, anche per fronteggiare le crisi ricor-renti nel settore maglieria, come quella,grave, del 1990.Ma anche quella viene superata e nel 1990

nasce la MADAS S.r.l settore abbigliamen-to intimo e mare.Sotto la guida della moglie e poi dal 2002della figlia Lisa responsabile della produzio-ne, l’azienda va ora alla grande. Conta 15dipendenti e produce capi per grosse Firmee Aziende, esigentissime sulle rifiniture, cheoperano sul mercato nazionale ed estero conil marchio MADE IN ITALY.Un elemento di distinzione, questo, in tuttal’imprenditoria del Basso Salento che perscontate ragioni di opportunità, è operativaquasi esclusivamente nei Paesi dell’Est.E così il piccolo gironzolone di nostra cono-scenza, insofferente degli spazi chiusi l’hamessa eccome la testa a partito.Una metamorfosi?Macchè. Quello che si è stati da piccoli,sotto sotto lo si è da adulti. È il tempera-mento natio che impronta di sé il carattereche a sua volta si modella con le occasioni eda queste condizionato, fa scelte e….la gio-stra continua. Ma l’impronta primitiva rima-ne.E nell’ex esploratore diventato titolare dellaMadas dov’è quell’impronta?È nell’insofferenza a fare una cosa sola.Per il suo carattere badare solo adun’Azienda non basta. E allora eccolo lì ainvestire in suoli costruzioni acquisti affitti.Fermo? Mai, nemmeno un momento. Le viedel paese erano affascinanti. Quelle degliaffari lo sono di più.Che dire? Se questa è la riuscita dei piccoliirrequieti vale la pena che le mamme si sgo-lino un po’ più del normale per richiamarliall’ordine.Penserà il loro successo da adulti a pareg-giare i conti.

È il turno della MADAS - S.r.l. abbigliamento intimo - MARE

Viviamo tempi dif-ficili, come dimo-strano i fatti confu-si e convulsi diquesti giorni. Sipuò dire, in gene-rale, che questadimensione storicae temporale è per-cepita come il

medioevo del terzo millennio, un’epocadensa di paure e di incertezze esistenziali,a causa anche della crisi che il nostroPaese sta attraversando. Il nuovo medioe-vo si presenta come una difficile fase ditransizione, “un angusto passaggio” versoun futuro che sembra avere al momentouna sola certezza: il concetto di progressolegato all’uso delle moderne tecnologie ealle scelte dei guru dell’alta finanza. La cosa non è di poco conto, ma nonbasta, visto che il mondo non si regge,fortunatamente, solo sulle leggi dellameccanica e della tecnica. Se così non fosse, l’uomo del nuovo mil-lennio sarebbe come un automa, una meramacchina programmata per eseguire uncerto numero di azioni, spesso subordina-te alla volontà e alle esigenze di pochi.Certo, le competenze dei tecnici sono

MEDIOEVO DEL TERZO MILLENNIO

di Francesco Bellanova

indispensabili per il progresso e per ilbenessere economico e sociale di ogninazione, ma esse non possono assorbire osostituire le conoscenze, i sogni, le aspira-zioni di chi ha deciso consapevolmente dioperare in altro modo e in altri settori. Intendo dire che se vogliamo davverocostruire un futuro migliore, in particolareper le nuove generazioni, occorre investireanche sull’impegno di coloro che, nellepiccole e nelle grandi realtà, hanno decisodi seguire le proprie aspirazioni e chevogliono solo vivere in modo dignitoso,senza pretese o, per meglio dire, senza inu-tili eccessi, svolgendo al meglio il propriolavoro. Nell’attesa, quindi, che prevalga ilbuonsenso tra le forze politiche, le qualidevono offrire soluzioni reali per usciredalla crisi, anche noi come cittadini dob-biamo fare la nostra parte, ciascuno secon-do le proprie capacità e le proprie forzeculturali, morali, economiche, organizzati-ve. E’ possibile, infatti, impegnarsi concreta-mente dentro e fuori le Istituzioni, le asso-ciazioni, i partiti politici, ripristinando iprincipi di solidarietà sociale, e uscendodall’isolamento e dall’individualismo.Alla base di tutto ci sono, in primis, la cen-tralità e la dignità della persona.

“Come si è potuto leggere la sera Goethe oascoltare Schubert e torturare il mattinosuccessivo?Perché la musica non ha detto di no?Dov’erano i pittori gli scrittori quando simoriva a Dachau?”Chiede George Steiner - saggista e teoricoinglese - di famiglia ebraica.La domanda è chiara. E la risposta diffici-lissima.Certi – con Goya – che è il SONNO dellaragione a generare mostri – come facciamoa spiegarci l’esplodere del Male assolutoin presenza di una ragione desta vigile ecorredata di Arti e Scienze! Come più omeno era quella circolante nella Germaniadell’epoca? La Shoah è diventata l’emblema degli olo-causti di tutti i tempi anche per questa con-traddizione e per la prospettiva infernaleche essa apre: se è accaduto in pieno splen-dore culturale, può riaccadere in qualun-que altro momento.Di questo sono convinti gli stessi Ebrei,

assuefatti da millenni ad essere oggetto diodio, ora esplicito ora sottointeso, in unmondo che pure è in continua evoluzione.Civiltà e cultura dunque non garantisconola tenuta dell’argine contro le barbarie.Occorre, insieme a loro, un vaccino piùefficace.E l’unico disponibile sembra essere laMemoria.Tenere viva la Memoria dell’orrore acca-duto, non mollare mai la presa per evitareche quella Memoria si appanni. Questobisogna fare e poiché si ha bisogno di sim-boli fisici concreti, insieme alla Memoria,bisogna salvaguardare con cura i luoghinei quali quell’orrore si consumò.

Il giorno della MEMORIA

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39° Parallelo • febbraio 2008 pag. 10

Protagoniste della storia

A cura di Emanuele Martella

MARIA STUARDA

Mai prima d’ora l’angolo era stato occupato daun testo così fresco e gioioso e da un commen-to così tenero e amorevole.Bianca per questo si fa da parte, ma non rinun-cia a immaginare ciò che sta dietro quei versi:uno studio foderato di scaffali stracolmi di dot-trina giuridica, tavolo poltroncina e macchinada scrivere. Una stanza austera. Poi a un tratto,in quella stanza irrompe la primavera: a pigia-re su quei tasti è una bimbetta di cinque anni

(frequenta la primina) con la testa gonfia di ric-cioli, ma anche di sole profumo d’erba novellae fantasia.Quella bambina – ora magistrato in carriera –forse tra quegli scaffali si aggira ancora, ma itasti della vecchia Olivetti certo non li pigiapiù. Per una volta, Lucia, sfiorali ancora.Ciò che accarezzerai non è un ferro vecchio, èil testimone della precocità del tuo sentire.

Mary Stuart, futura Regina di Scozia e, alme-no per i Giacobitisti inglesi, d’Inghilterra,nacque nel 1542 da Giacomo V e dalla fran-cese Maria di Guisa.Erede legittima al trono di Scozia, fu incoro-nata a soli sei mesi di vita, in seguito all’im-provvisa scomparsa del padre.Destinata in matrimonio al delfino di Francia,futuro Re Francesco II, a soli cinque anni fuinviata alla corte dei Valois e così sottratta al“corteggiamento” di Enrico VIIId’Inghilterra, intenzionato a darla in sposa asuo figlio per unificare finalmente i dueRegni. Dotata di uno spirito vivace, amabile ed intel-ligente, fu presto in grado di esprimersi, oltreche in Inglese Scozzese e Francese, sue lin-gue madri, anche in Latino Greco Spagnoloed Italiano, di suonare svariati strumentimusicali, di far sfoggio insomma di una cul-tura assai vasta. Ricevette un’educazionerigidamente cattolica, alla quale restò fedelefino alla morte, spesso con accenti e slanci disincera ed altissima devozione. Nel 1559 divenne Regina consorte diFrancia. Il testamento di Enrico VIII, intanto, avevaescluso gli Stuart, cattolici, dalla linea di suc-cessione al trono d’Inghilterra, ereditato nelfrattempo da Elisabetta I, della dinastiaTudor, di confessione protestante e cugina diMaria Stuarda.Col trattato di Edimburgo del 1560, laFrancia aveva riconosciuto a Elisabetta I ildiritto di regnare sull’Inghilterra, ma MariaStuarda non vi si assoggettò e continuò arivendicare per sé la corona.Subito dopo la morte del marito, avvenuta neldicembre del 1560, Maria tornò in Scozia.

Regina cattoli-ca di un paeseormai in granparte prote-stante e politi-camente sem-pre più con-trollato da Londra, nel 1565 Maria Stuardasposò Lord Darnley, capo della fazione catto-lica, uomo inetto ed ottuso e perciò stessogradito agli inglesi, dal quale ebbe un figlio,il futuro Giacomo VI.L’intimo legame tra la Regina e il suo consi-gliere e segretario particolare, l’italiano e cat-tolico romano Davide Rizzio, provocò ilrisentimento dello stesso Lord Darnley, difatto esautorato di ogni carica, che, spalleg-giato dai capi della potente fazione protestan-te, ne ordì l’assassinio. A questo punto fu James Bothwell, un conteprotestante ma fedele alla Corona, che corsein aiuto della Regina: nel 1567 Lord Darnleyfu ucciso.Maria Stuarda commise allora l’errore che lesarebbe stato fatale: sposò James Bothwell,scontentando ad un tempo e il popolo e inobili, sia di parte cattolica che protestante e,soprattutto, lasciando campo libero agliinglesi.Costretta ad abdicare in favore di GiacomoVI, che allora aveva poco più di un anno, furinchiusa per diciannove anni nel castello diLoch Leven.Nel 1586, accusata di aver avuto parte nellacongiura di Babington, ordita per assassinareElisabetta I, fu condannata a morte.Con regale dignità, l’8 febbraio 1587, porsela testa al boia nel castello di Fotheringay.

Maggio, dolce mese sei il più bello e il più cortese

porti uccelli, frutti e sole.Un grazioso venticello

accarezza piante e fiori.Sfiora il mare e s’addormenta

nel gran cielo luminoso.

l. e.

Questa ingenua poesiola, composta da una bambina che frequentava la I° elementare, per oltrequarant’anni è rimasta, gelosamente custodita in un angolo segreto della memoria di suo padre.Ora viene qui proposta a dimostrazione che i moti spontanei dell’animo umano si sottraggono allerigide leggi che regolano l’età degli uomini e lo scorrere del tempo. r. e.

I love astrologia

Maggio

Non avevo posato ancora le labbra sullacoppa di spumante rigorosamente secco edecisamente a temperatura per festeggiareil nuovo anno, che le mie celluline grigie(Poirot dicit) si erano messe vorticosamen-te a girare rifilandomi il quesito del giorno:“Ma questo 2008 non è per casobisestile?”. Se fossi stata un po’più superstiziosa, avrei fattocaso al proverbio che nedisegna la sua negatività;ma, dato che il vecchioanno non è poi statocosì prodigo d’eventipositivi, almeno per me,mi sono rappacificata eho dato sfogo alla miacuriosità con una rivistadi astrologia.Dal sette di febbraio, infatti,inizia per l’astrologia cinese,l’anno del Topo e ci si aspettanodelle belle novità. Il segno è il primo deidodici animali che caratterizzano lo zodia-co cinese e rappresenta la parsimonia e ilsenso pratico con particolare attenzioneall’aspetto materiale della vita. Questovuol dire che potremo aspettarci deimiglioramenti nell’ambito economico…tss, proprio oggi che al telegiornale parla-vano delle famiglie che non arrivano allaseconda settimana!Tra le righe leggevo anche dell’importanzadi porsi degli obiettivi e non avere fretta diraggiungerli ma programmare i passi conattenzione e oculatezza, per avere maggio-ri garanzie di successo; che, detto così èanche un giusto e sacrosanto consiglio mase devo contare quelli che ho fatto io eancora non sono arrivata alla meta…Per andare sul personale, non me nevogliano i lettori, ho letto che il mio segnocinese, il drago, avrà un anno vivace, esarà occupato a realizzarsi nel lavoro e neisentimenti facendo però attenzione allepersone con cui stringerà relazioni di natu-

ra economica o di collaborazione…la pru-denza si sa, non è mai troppa data la scar-sità di pecunia.Non contenta di tutta questa positività edessendo una Bilancia con l’ascendente inGemelli, ho letto le notizie sul mio segno e

gli astri mi sono benevoli, specienei sentimenti, dove un titolo

scritto in neretto dice:“Ubriachi d’amore!”. Sì,

proprio a me che anchesolo con mezzo bic-chiere di vino, ho losguardo da pesce lessoe le gote rosse diBiancaneve! Questodarà una speranza a

mia madre più che a me,che prega che mi trovi un

fidanzato al più presto,perché, dice, gli eventi acca-

dono, quando meno te lo aspetti.Non vorrei disilluderla, ma, con l’aria

che tira in questo momento, sarà difficiletrovare la metà della mela o, almeno, credoche la mia metà sia troppo lontana o siamarcita prima del tempo (con quello checosta ora la frutta e la verdura, capirai!).Per finire, il mio oroscopo mi consiglia diindossare il verde petrolio per circondarmidi speranza e ottimismo; cavolo! sapevanogià del mio maglione comprato coi saldi oconoscono il mio carattere cinico? Se nonè coincidenza questa! E poi dicono che leprevisioni astrologiche sono tutte una fur-fanteria! I love Astrologia!Vi lascio con la frase del mese, da BaciPerugina.“L’amore può dar forma e dignità a cosebasse e vili e senza pregio; chè non per gliocchi amore guarda il mondo, ma per suapropria rappresentazione, ed è per ciò chel’alato cupido viene dipinto col volto ben-dato.” (W. Shakespeare)

Simona Biasco

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pag. 539° Parallelo • febbraio 2008

Toma AntonioOrologeriaOreficeria

P.zza Don Tonino Bello, 28 Alessano (Le)

Iprimi giorni del 2008 in una mattina dimezzo sole il sindaco Donato Martella

telefonicamente mi informava del rinveni-mento del Pozzo di Sant’Ippazio (u puzzude Santi Pati). Notizia sorprendente pertutti dalla mia generazione in giù. Lacuriosità ha radunato una piccola folla,anche le persone più anziane partecipava-no con curiosità. Chi ricordava il pozzo infunzione raccontava episodi e accadimentiinediti. Occasione ghiotta per tutti gli inte-ressati a saperne di più. Allora abbiamo

Il Pozzo di Sant’IppazioU puzzu de Santu Pati

fatto visita agli anziani per avere notizie. Ivolontari del Servizio Civile hanno inter-rogato i propri nonni e i loro amici anzia-ni. Intorno al pozzo del tempo andato fio-rirono leggende. Una delle più antiche è laseguente: mentre scavavano il pozzo tantaera la meraviglia della sua profondità chegli stessi picconatori forse suggestionatisentirono voci provenire dalla profonditàche imploravano di fermarsi perché sottoquello strato c’erano loro, non si capì segnomi morti o chi sà cos’altro.Il pozzo pare sia stato aperto nei primi anniTrenta, non si è a conoscenza di apertureprecedenti nè quando fu scavato. Intorno aquella data pare che furono piantati i trealberi da poco scomparsi, due per malattiae l’ultimo nel dicembre del 2007 è statosradicato ancora verde. E’ possibile che ilpozzo sia emerso durante un intervento disistemazione dello spiazzo negli anniTrenta. Per volontà dell’allora medicocondotto si mantenne aperto, protetto daun puteale di circa un metro. Il pozzorimase aperto fino agli inizi degli anni ’50.Di questo periodo sono gli accadimentiche si raccontano. Il primo e l’ultimo che èsceso per pulirlo dopo l’apertura del ’30 èstato Salvatore Cazzato, che coraggioso siavventurò legato ad una fune utilizzandogli incavi ricavati appositamente lungo lepareti del pozzo. Il dottore Luigi Cazzatososteneva che l’acqua che scolava dallepareti e che si depositava sul fondo avessedelle proprietà diuretiche, lui stesso nefaceva abbondante uso. Il parroco dell’e-poca, Andrea Caloro, sinceratosi dellabontà di quest’acqua, aveva proposto diimbottigliarla, non si sa se a scopo com-

merciale o per farne dono ai devoti delSanto quale acqua miracolosa, ma non sene fece nulla forse perché l’acqua non erapoi tanto abbondante. E’ certo che moltiparenti di malati si procuravano l’acquadel pozzo perché gli attribuivano proprietàcurative (o miracolose).L’acqua du puzzu de santu Pati rimanevacomunque appannaggio di pochi: il giàcitato medico condotto, il CommendatoreDe Francesco, Michele Cazzato e pochialtri. Una delle condizioni per accedereall’acqua era quella di avere la disponibili-tà di una fune di trenta metri necessaria perraggiungere il fondo del pozzo. AndreaMartella per un periodo da ragazzo, è statoil custode del pozzo in quanto detenevachiave, secchio e corda, prelevava all’oc-correnza l’acqua per i signori innanzi men-zionati. Un detto molto popolare recita epe quattro sordi nnu visciu u puzzu deSantu Pati. Quattro soldi erano il costo diun quaderno, unica carta in circolazione,che Ippazio Aretano comprava e gettava abrandelli acceso nel pozzo nella speranzadi vedere il fondo.Si racconta che si scommetteva sul tempoche il secchio impiegava a scendere e/osalire.Molta gente ricorda quando si attingeval’acqua dalla cisterna a pochi metri dalpozzo, chiamata a sterna nova, ma anchedella cisterna non è dato sapere la data dicostruzione. A proposito del rifacimentodel parapetto della cisterna ho raccoltolamentele delle fattezze del manufatto.Secondo molti, me compreso, la colloca-zione in vicinanza alla chiesa richiedeva

l’uso di materiali meno levigati. Ottimosarebbe stato un monolitico di pietranostrana lavorato e reso parapetto. Il vec-chio pastale anche se di cemento, aveva“conquistato” generazioni di tiggianesi eoramai si imponeva come pezzo di antichi-tà. Penso e spero che ci siano ancora spaziper intervenire e dare un ulteriore tocco diabbellimento a quello scorcio storico diTiggiano. Si è accertato che il pozzo è profondo m.26,50 ma si prevede una profondità mag-giore in quanto essendo stato usato comedeflusso delle acque piovane, non si sa perquanto tempo, sul fondo si siano deposita-ti detriti per qualche metro. Il Sindaco ha manifestato l’intenzione difare installare un impianto di illuminazio-ne permanente che consenta di vedere lepareti e il fondo del pozzo attraverso unabotola di vetro posata a pavimento.Chi dovesse avere informazioni diverse daquelle qui esposte e/o altre è invitato acomunicarcele per apportare le dovute ret-tifiche e per poter arricchire le nostre e lealtrui conoscenze.

Ippazio Martella

Forse sarà stato un istinto profondo eocculto, forse una mania eco-incom-

patibile e recidiva, forse sarà stata la scar-sa simpatia per le foglie che abbondanticadevano in autunno e che in estate adom-bravano gli antichi edifici prospicienti,forse lo scarso interesse per la storia inver-samente proporzionale a quello per lavuota estetica facilmente ritrovabile in unapiazzetta illuminata. Mistero. Certo, aquanto pare, è che in questo comune non èpossibile salvare capre e cavoli. Si agiscecon una faciloneria catastrofica che puòcompetere solo a personaggi napoleoniciquanto mai attuali (lodati anche talvolta dacomplici tonache), che additano con orgo-glio e successo le proprie opere nascon-dendone i tragici retroscena, che in unbilancio serio ed effettivo superano il dis-creto risultato ottenuto. Abbiamo perso

così con una operazione silente e frettolo-sa l’ennesimo albero parte del patrimoniocomune dei tiggianesi. Un alianto, alberodi origini orientali, entrato nell’arredo sto-rico del nostro comune e che da tempoimmemore cresceva rigoglioso sotto alnostro caro campanile senza nuocere a

persone o cose. Il suo taglio ha creato veroe profondo dispiacere tra tanti anziani delnostro paese, e ve lo conferma una perso-na che pur nei suoi limiti di tempo parla esi intrattiene volentieri con essi racco-gliendone le gioie e talvolta i dispiaceri. A chi insiste poi nel dire che la scomparsadell’albero ha favorito il rinvenimento diun altro importante pezzo di storia quale ilpozzo di Sant’Ippazio rispondo che eranota, almeno per chi si interessa della sto-ria di Tiggiano, la presenza di tale struttu-ra. Lo spiazzo pavimentato e illuminatopoteva essere quindi tranquillamente rea-lizzato senza disastri visto che nessunaradice dell’alianto era in superficie e delpozzo lì presente se ne sapeva la presenza.Non c’è ragion che tenga dunque. E’ unodei tanti casi in cui la vuota nullità preva-le sulla auspicata piena cultura; e di cui

nessuno può andar fiero: nonl’Amministrazione e tanto meno chi aintermittenza si fa portavoce della difesadel nostro patrimonio storico culturale. ATiggiano viene stravolta l’affermazionetaoista di Lao Tzu, autore della regolaceleste (noi col cavolo che vedremo ilcielo): nel nostro comune fa più rumorel’erbetta che cresce rispetto a tanti alberiche aihmè sono caduti, cadono e che spe-riamo non cadranno.Nota a termine, un avviso “pro loco”:Visto i “lavori di distruzione” dell’areaattorno alla torre Nasparo e l’alta recidivi-tà della diffusa mania eco-incompatibile,sarebbe bene anche vigilare… potrebbesuccedere di tutto, di sicuro non perderetematerialmente il vostro simbolo (ce loauguriamo vivamente)!

Giacomo Cazzato

REQUIEM PER UN ALBERO

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39° Parallelo • febbraio 2008 pag. 8

Via V. Veneto, 201TIGGIANOTel./Fax 0833.532743

E’ appena trascorso un biennio importan-te: i due centenari per Giosuè Carducci.Premio Nobel nel 1906, la morte nel 1907.Nella bufera infernal che mai non resta dinotizie, malizie, disgrazie, primizie, quel-le ricorrenze sono sfuggite o svanite o col-pevolmente rimosse.Eppure i giornali del 18 febbraio 1907 neannunciarono il decesso, avvenuto nellanotte a Bologna, come una sciagura nazio-nale, com’era stato nel 1873 perAlessandro Manzoni, e come fu nel 1938,per Gabriele D’Annunzio anche per moti-vi politici. Carduccci, no, perché lasopraggiunta pacatezza negli anni del tra-monto non bastò a sedare i rancori di partecattolica. Non gli perdonavano, per esem-pio, l’Inno a Satana, traboccante soprat-tutto giovanile vitalismo e “la forza vindi-ce della ragione”, da quelle quartine disenari in forme di ballata. E nemmeno fuperdonato dal ceto dei “manzoniani sten-terelli”, fondamentalisti a loro volta proDon Lissander, benché il Nostro avesseritirato le unghie in entrambi i casi: “citta-dino Mastai bevi un bicchier” quasi consimpatia e voglia di pace col vecchio PioIX e “io applaudo all’interezza dell’arte diAlessandro Manzoni. Viva L’Italia”(1891, discorso di Lecco). Nelle famiglietradizionali come quella mia avita, gli die-dero del voltagabbana; per questo, e per ilsuo incantamento verso la ReginaMargherita, repubblicano com’era stato;non parliamo, poi, degli amori carduccia-ni, platonici e non, benché, alla fin fine,mio nonno mandasse una figlia a studiareCarducci in una scuola che si chiamavaManzoni (Milano, Palazzo Dugnani).Problema risolto. In liceo anche a noi fuinsinuata questa dubbia ambiguità per nondire ubiguità, forse perché il leone repub-blicano non oscurasse il prediletto Vateabruzzese recentemente defunto alVittoriale degli Italiani. Del Carducci, leantologie preferirono l’ode barbara (omeglio, alcaica) Nell’annuale della fonda-zione di Roma, più intonata al clima delnovello impero mussoliniano. Così passòin sordina il cupo ma stupendo crucciodell’altra ode, Dinanzi alle Terme diCaracalla, con l’invocazione alla febbre el’immagine della britanna pittrice tra lerovine: il religioso orrore delle rovine cheispirò anche Pompeo Bettini con l’ag-ghiaccianti terzine “qui fin che si muoia /vedrem le capre sulle tue rovine / perchéforse di noi stanca è la Storia / e il nostrovino non dà più la gioia / il nostro sangue

CENTO E POI CENTO ANNI DOPO PARLIAMO DI GIOSUE’ CARDUCCInon dà più la gloria.” Anche noi, per moltianni, alla rutilante dovizia, alle rime e airitmi del Carducci, insegnato in quelmodo (troppi professori erano eccelsi nelrendere odiosi i loro idoli) guardavamoscettici. Né la gioventù istruita com’èadesso possiede la sensibilità e la maturitàper poterlo quanto meno ammirare. E noiinvece, rovesciando il discorso carduccia-no di Lecco ci sentiamo di dire: io applau-do a Giosuè Carducci. Leggendo le sueprose ci rendiamo conto di quanto fatico-sa e impegnata sia stata la sua parabolapoetica, politica e umana. Comprendiamoperché a partire dal 1870 le sue lezioniall’Università di Bologna divennero fre-quentatissime, e non solo dagli studenti,dove predicava: ordine, chiarezza, sempli-cità; e prendeva lo spunto, spesso improv-visando, dalle idee degli alunni, leggendoi loro quaderni. Bisogna leggere il discor-so “Per Il Tricolore” (Reggio Emilia 7gennaio 1897) e “Agli Scolari”, nel suoprimo giubileo di magistero (25 gennaio1896), entrambi ai giovani dedicati, checomincia con un informale: “grazie, ilpensiero è gentilissimo…” Bisogna legge-re il commento al libro di Ugo Pesci, inoccasione del 20 settembre 1895, con l’a-cutissima sintesi sull’età eroica del Papatodal 1000 al 1300.O ancora il discorso del 16 luglio 1892 aFucecchio ai superstiti di Curtatone: “fedee costanza di cose sperate…nelle cospira-zioni scolastiche era l’Italia”. Bisogna leg-gere l’articolo su “l’Eterno femmininoregale” in cui ricorda la folgorazione e lasperanza accese all’apparire in una giorna-ta piovosa e fangosa “d’un non so che dibianco e di biondo… in quel castello dipreti”. La Regina Margherita e il suo stile,

la dolcezza imperiosa di sua madre sasso-ne. Così la saluta: “Signora” e non“Maestà” prima di regalarle un’altra odealcaica, Alla Regina D’Italia, che inizia:“Onde venisti… sì mite e bella?”. Comequalificare il sentimento che legò in ami-cizia un poeta dall’aspetto burbero e leo-nino, massiccio e combattivo con unaRegina che sapeva (e componeva) in lati-

no, tradita fin dall’inizio dal marito – unacosa tipo principe Carlo D’Inghilterra –però a sua volta combattiva per non direintrigante? Il fascino che questa donnaesercitava sui suoi sudditi, mia nonnacompresa fu straordinario. Carducci fusempre attratto dall’eterno femminino(povera Elvira, sua moglie!): Lina, poiLidia cioè Carolina Cristofori Piva; eAdele Bergamini; e Dafne Gargiolli ossiaLàlage; per finire con Annie Vivanti, musamolto giovane e platonica, britannica,brava scrittrice: “batto alla chiusa impostacon un ramicello di fiori / glauchi edazzurri come i tuoi occhi o Annie…” unodei numerosi, spesso incantevoli idilli sca-turiti in Carducci dalla passione per lamontagna. Dove, in realtà il poeta appro-dò - se si può dire – seguendo proprio levie della Regina. Infatti Margherita anda-va in vacanza a Gressoney, ospite delbarone Luigi Beck Peccoz con il qualeintrecciò dal 1888 forse più che un flirt. Ilbarone poi morì sul ghiacciaio del MonteRosa nel 1894. Margherita era una veraalpinista, con l’aiuto di guide, corde,scale, sul Monte Rosa andò davvero e ilgrande rifugio che vi costruirono porta ilsuo nome. Il poeta, cui essa mandava let-tere col motto sabaudo “J’attend monastre” preceduto dal suo fiore, andò a tro-varla a Gressoney fino al 1902. Lo si vedein foto sulla piazza, tutto in bianco colcappello in mano, e la Regina, più alta,sorride arguta sotto un ombrellino. Tantolegato a quella figura si sentì il Carducciche fu vittima di una beffa ordita dagliamici di Madesimo (1500 metri, provinciadi Sondrio) dove andava a fare i bagni ter-mali tipo calidarium e – purtroppo – anchefrigidarium. In breve, gli dissero che laRegina Margherita sarebbe giunta in trenoa Chiavenna per salutarlo. Era il 14 agosto1891 e, come fu scritto su L’Alpe Retica“sull’ali di due veloci corsieri, in altatenuta di presentazione”, presente anche labanda, Carducci arrivò alla stazione, rima-se un po’ male, credette al racconto di undisguido e tutto finì al ristorante Crimea(sic). Dove certamente si bevve un buonSassella, il vino più noto di Valtellina.Tanto che i micidiali Madesimini glienecombinarono un’altra, scambiando le duecifre finali di un Sassella del 1884, checosì divenne 1848, sicché il poeta si sentìispirato da quella bottiglia a rievocare, inuna poesia assai felice, l’ultima resistenzacontro gli Austriaci in quell’anno “prima-vera della Patria”. E fu proprio vicino aChiavenna che Francesco Dolzino tennein iscacco per sette giorni l’armata diHaynau con solo sessanta uomini. “OhRezia forte!... Irato Haynau gli aspri animicontenne / e i cavalli de l’Istro ispidi / invista dei tre colori”.Lasciamo ad altri l’esegesi critica. IlCarducci a noi piace ricordarlo perché lasua poesia è lo specchio del suo carattere,diciamo pure della sua anima perché sespesso, in poesia e in prosa, e in tempi nonsospetti egli si appella a Dio, è segno che

una fede l’aveva, diversa forse, ma l’ave-va. Leggendo questa poesia a voce alta siha quasi sempre la sensazione di cantareuna ballata. Un po’ come Walt Whitmanun pò come Henry Longfellow, e - perchéno? - oggi Bob Dylan, con i suoi ritmi econ le rime, che chissà perché da noi o percalcolo o per (pardon) stitichezza, nons’usano più. E poi amiamo Carducci nelsuo carattere, amante della vita, iracondoo commosso fino alle lacrime, satiro esempliciotto, instabile ma, ovunque si col-lochi, idealista.Amiamo anche il suo attaccamento schiet-to all’ambrosia vinicola, da lui citataovunque. Non solo in offerta a Pio IX, manel giacobino Ça ira, o in casadell’Ostessa di Gaby, o nel ribollir dei tiniin San Martino, o nei tre Brindisi compre-so quello “funebre”, o alla corte – piutto-sto villereccia – del deprecato Satana.Naturalmente tutto questo non piacerà agliastemi. Ma la Storia ci insegna che dagliastemi ci guardi Iddio.

Luigi Maria Guicciardi

Sp@zio ai lettori

Informiamo i nostri lettori che il gior-nale offre uno spazio dedicato a“liberi pensieri”.Gli indirizzi a cui far pervenire sug-gerimenti, proposte, contributi equant’altro sono:

• Pro Loco - Piazza Roma, n° 1 73030 Tiggiano (Le)

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39° Parallelo • febbraio 2008 pag. 3

Mi piace stare alla Serra quando imperver-sano le intemperie. Quando senti il mareagitarsi, lentamente, in un crescendo dionde che sbattono sempre più forte controgli scogli. Quando se ascolti bene senti lecime degli alberi di pino scricchiolare perla forza del vento.E la Serra cambia i colori e gli odori: ilmare azzurro diventa blu scuro, il cielodiventa grigio. L’aria si appesantisce, lenuvole avanzano sulle nostre teste, traspor-tate dal vento con l’odore di terra bagnata.Sulle mattonelle davanti alla verandacominciavano a comparire piccole macchiescure, tonde, tutte uguali. Una, duetre..dieci, tante. Sempre di più, sempre piùlarghe. Potevi sentirle cadere a una a una,poi diventavano un coro di vocine indistin-guibili, uno strano fruscio. Correvamo amettere al riparo le robe stese in giardino, lesedie di stoffa, il gatto, il cane e noi.Dalla terra si sollevava un odore forte dipioggia.Il temporale poteva durare ore e minuti,poteva non essere un temporale. Noi face-vamo sempre in tempo a metterci al riparoperchè abitavamo sul mare. A volte davamoriparo ai forestieri.A volte indugiavamo all’Acqua Viva pervedere se spioveva presto. Ricordo cascate d’acqua lavare con violen-za il passetto che portava alla Grotta del

Sarà un paradosso, ma il fatto è che piùla società si proietta verso il futuro, piùsi scopre affascinata dal passato.

Il nuovo in arrivo al galoppo alletta, ma puntualmente sem-pre al galoppo delude, eccome.Ed è in quel momento che il vecchio ci appare più bello dicome era. Vorremmo tenercelo stretto il vecchio abbellito,ma per carità senza perdere nemmeno una briciola delnuovo e del nuovissimo. La curiosità ci punge. Chi fra tuttinon vorrebbe dare una sbirciatina a come sarà questanostra madre Terra e la vita e la società fra due, tre quattrosecoli?Progetto troppo ambizioso, irrealizzabile. È già tanto seriusciamo a spiare cosa c’è dietro la prima svolta e lo sce-nario certo non ci rallegra.Troppo fluido e ballerino per la nostra fame di certezze.Ma dove trovare quel pane? Forse nella stabilità di ciò cheè stato. E dalli a scavare nel passato remoto e in quellorecente, privato e collettivo. E dalli a sfornare servizi edi-toriali ricerche diari racconti romanzi sceneggiati sul pas-sato di tutto: pietre piante animali uomini società culturesentimenti usi costumi tradizioni. Il successo è assicurato,come certo non lo è quello dei lavori volti al futuro. E cosapuò accadere a quel successo quando l’analisi punta su unterritorio familiare, su un passato prossimo e per soprag-giunta è fatta da un personaggio noto nel circondario?Accade che l’interesse va a mille e il prodotto editoriale aruba.Esemplare la riuscita della recente fatica letteraria diAlfredo De Giuseppe con il suo “Tutino come un autun-

no”. Alfredo, per i pochi locali che non lo conoscessero, dimestiere fa l’imprenditore ed è una miniera di idee proget-ti acume a scrutare l’andamento sotterraneo della società,ciò che ancora non si vede ma che presto o meno prestoverrà alla luce, a valutare l’opportunità di fare questo oquello, ora o più tardi. Insomma di tutto e di più con l’e-sclusione di una cosa sola: dormire sugli allori delle tapperaggiunte.Lo richiede la ragion d’essere dell’impresa certo, ma loimpone il temperamento dell’uomo che, maturo per ana-grafe e discernimento, è rimasto adolescente per entusia-smo voglia di dare il meglio di sé non solo alla famigliapropria ma anche a quella allargata che è il paese, ilComune. Un uomo dalla scorza indurita dalla logica ferreadell’impresa ma anche un uomo dalla polpa tenera di unarara sensibilità per gli affetti i ricordi l’attaccamento alsuolo natio alle radici, per la capacità di entusiasmarsi chemolta gente, troppa, perde con il tramonto dell’adolescenza.È in questo doppio profilo dell’autore la ragione dellavoglia matta di promuovere beni materiali, ma anche beni,balsamo contro l’aridume di questo nostro oggi che, como-do caldo sazio, come mai fino a ieri, sembra aver perso lacapacità di vivere le cose della vita, le rare cose gioiose,come le molte tristi, con l’antica visceralità.Ed eccolo lì il nostro Alfredo intento a scattare flash su abi-tazioni circostanze abitudini vissute da uomini di tutte leetà. Esseri che paiono intagliati nella pena di vivere. Penaantica, subita rassegnata e solo qua e là alleggerita da bat-tute arguzie umorismo. Indimenticabile. Alfredo scrive conla sua aria scanzonata ed ironica.

Eppure a chi legge, il messaggio che giunge è quello di unautore che ride piange soffre in simultanea con i suoi per-sonaggi. Questa capacità immerge il lettore nel cuore diTutino, ma non è com’è oggi. Com’era ieri, 50 anni fa. E illettore coglie finanche le sfumature dell’odore di quei vichidelle piazzole delle case a corte, accorda il suo tempo conquello lentissimo dell’antico borgo. Si gode le lunghepause di giornate dai bisogni elementari e impegni ridottiall’osso.Una suggestione che solo i fatti “raccontati” dall’arte,scrittura pittura musica danza, sanno esprimere.Non già la cronaca che, secca e precisa, della realtàdistrugge la vita.La realtà, quella vera, non è mai definibile con rigore geo-metrico. Essa resta sempre a mezz’aria, sospesa tra la lucee l’ombra, tra la concretezza e il sogno.Ed è solo il “racconto” a donarle il chiaroscuro necessarioa farla viva e credibile Nello specifico questo riesce a tutta la scrittura di Alfredo.Ma riesce soprattutto a questa sua recente fatica. Perchéessa ha una marcia in più.Il valore aggiunto è nel corredo delle commoventi foto d’e-poca color seppia.Foto di uomini che sussurrano parlano urlano il loro esse-re stati, il loro vissuto. E tu non sai dire se è la pagina scrit-ta densa di ricordi emozioni fisicità odori sapori atmosferaa spiegare meglio il senso di quella foto, o se sono loro, lefoto, a far palpitare la parole.

Dal 22 al 31 Maggio 2008 la Regione Puglia ospiterà la XIII Biennale dei GiovaniArtisti dell’Europa e del Mediterraneo, un’iniziativa culturale mondiale che coinvolge-rà 900 giovani artisti tra i 18 e i 30 anni provenienti da 45 Paesi. Dal teatro alla musica,dalle arti figurative alla scrittura, la nostra Regione organizzerà circa 500 esposizioniartistiche, 50 letture di testi poetici e narrativi, 50 cortometraggi, 100 spettacoli di musi-ca, danza, teatro e performance, sfilate di moda e degustazioni di menu preparati da gio-

vani cuochi. Le opere, sul tema “La nostra diversità creativa: kairos” (dal greco:momento giusto, opportunità, tempo in cui il cambiamento è possibile), sono state sele-zionate nel corso del 2007 da varie istituzioni nei 45 Paesi.Per la Regione Puglia le selezioni sono state svolte dalle due sedi dell’A.R.C.I. a Lecce(per le province di Lecce, Brindisi e Taranto) e a Bari (per le province di Bari e Foggia).

Pozzanghere di cielo(Racconto vincitore delle selezioni per la sezione narrativa delle

province di Lecce, Brindisi e Taranto in occasione della XIIIBiennale dei Giovani Artisti d’Europa e del Mediterraneo)

Diavolo, per rovesciarsi nell’Acqua Vivacogliendo di sorpresa i bagnanti sedutisotto. Ci azzardavamo a restare in acqua, a fare ilbagno sotto la pioggia, con l’acqua e l’ariache si scambiavano la temperatura. Se ave-vamo un canotto lo capovolgevamo perripararci la testa dalla pioggia. Restavamo agalleggiare. Stare con le teste nel canotto cidava l’impressione di essere al riparo, inmezzo a mare. Quando i fulmini si faceva-no più numerosi, i grandi si allarmavano eci ordinavano di uscire. A malincuore usci-vamo e ci asciugavamo con gli asciugama-ni bagnati.Io e Bico salivamo a giocare sulla terrazzadi casa di Zia Maria col canotto, sotto lapioggia.Scappavano tutti con la pioggia, proprio inquella che era l’occasione migliore per gio-care.I tuoni spaccavano l’aria, facevano tremare

i vetri, per alcuni secondi sovrastavano glialtri rumori e assordavano tutte le orecchie.Qualcuno dei grandi diceva che erano gliangeli che giocavano a calcio e facevanogoal.Coi temporali si stava tutti chiusi in casa afare la stessa cosa, aspettare che spiovesse,sperare che non si sarebbe rotto niente,guardare dalla finestra la strada che si svuo-tava, le persone che scappavano, il modo incui cercavano di non bagnarsi.La pioggia portava calore dentro casa.Il sereno arrivava sempre dopo la pioggia.Si faceva attendere anche un giorno intero,ma ritornava e spesso si portava dietroenormi scie di arcobaleno. Arcobaleno dop-pio a volte, a indicare la strada per il tesorodegli gnomi, in fondo al mare o tra le colli-ne. Ma nessuno andava mai a prenderlo.L’acqua restava sporca e l’odore di terrabagnata si faceva sentire a lungo.Bisognava aspettare un bel po’ prima che la

terra si asciugasse e potessimo riprendere agiocare.Tra gli scogli all’altezza del porticciolo siraccoglieva l’acqua nelle buche a formaredelle pozzanghere, tutta la scogliera inquella parte ne era costellata. E in quellepozzanghere si rifletteva il cielo, con le sfu-mature azzurre che assumeva dopo la tem-pesta, e frammenti di nuvole.Sgambettavo da una pozzanghera all’altrastando attenta a non cadere nelle pozzan-ghere di cielo. Vedevo il mio riflesso nel-l’acqua disturbare l’infinito azzurro, i colo-ri dei miei vestiti spezzarne la continuità.Dovevo stare attenta a non cadere, o sareiprecipitata nel vuoto, verso l’alto e magarinon sarei più tornata. Sarei finita in un altromondo, all’estremo opposto del globo,come in un sogno che facevo spesso dabambina...

di Marianna Massa

““TTuuttiinnoo ccoommee uunn aauuttuunnnnoo”” ddii AAllffrreeddoo DDee GGiiuusseeppppeeUUnnaa rreettrroossppeettttiivvaa ssuull rriioonnee ppiiùù ssuuggggeessttiivvoo ddii TTrriiccaassee

di Bianca Paris

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39° Parallelo • febbraio 2008 pag. 9

E sono 17 i numeri di Annu Novu SalveVecchiu.Forse neppure Antonio Vantaggio avevaprevisto una vita così lunga per la testata diquesto periodico; ma proprio la vitalità del-l’iniziativa editoriale impone qualcheriflessione.Può un periodico con questo titolo conti-nuare a vivere per molti anni ancora dopoaver scandagliato tutti, o quasi tutti, gliargomenti della storia della città?Forse l’esistenza di periodici come questorappresenta la metafora di molta editoriasalentina. Senz’altro offre contributi diconoscenza, curiosità varie, storie, ma colrischio sempre in agguato – tipico dell’edi-toria minore – di scivolare nel campanili-smo, di un interesse limitato nella sostanza. Ora, proprio questa dovrebbe essere lariflessione verso cui dovrebbero spingere iresponsabili e - perché no - anche i colla-boratori che redigono gli articoli ed i saggi,in vista del 18° numero, quello della “mag-giore età”, come dice Aldo De Bernart.Intendiamoci.Non voglio con questo affermare o, peggio,tacciare di scarsa rilevanza scientifica icontributi fin qui pubblicati. Ve ne sono dipregevoli; alcuni autentiche chicche dalpunto di vista storico e culturale. Il prodot-to dello studio e della ricerca disinteressatae appassionata è sempre degno di rispetto;questo va sottolineato, a scanso di equivocie fraintendimenti di sorta.Forse questo tipo di editoria riflette – pro-babilmente nella forma più diffusa e specu-lare – la vita culturale e l’idea stessa di cul-tura che circola nel nostro territorio oggi.Appaiono spesso troppo stretti i legami conl’esperienza culturale tradizionale salenti-na; quella di matrice ottocentesca e primonovecentesca dei De Giorgi, deiCastromediano, dei Maggiulli e tanti altri.Tale idea di cultura appare talvolta diretta-mente tributaria di questi autori, anche se,ai suoi tempi, essa ha avuto una funzioneed un ruolo insostituibili per sprovincializ-zare un’area culturale come la nostra, suc-cube degli studi e dei resoconti deiViaggiatori forestieri e priva di istituzioniaccademiche.In questo senso la nostra idea di cultura delterritorio deve guardare di più alla nostrastessa storia, rivisitandola con occhio piùmoderno e con strumenti più raffinati, consguardo meno legato alle realtà locali vistecome punto di partenza e di arrivo di ogniindagine. Soprattutto, occorrerà conosceresempre più approfonditamente le testimo-nianze della nostra cultura materiale (comesi diceva qualche anno fa e, oggi, non sidice più), comune per comune, località perlocalità; e ciò non per riempire una lacunadella cultura positivista (che da noi non halasciato grandi tracce, almeno per quantoriguarda i repertori e le conoscenze analiti-che e “oggettive”), ma per guardare conocchi nuovi alle testimonianze del nostropassato, per riuscire a vedere (saper vederesi diceva un tempo e lo ripete PierpaoloPanico nel suo articolo) tutti quegli ele-menti e quegli aspetti delle realtà storichelocali che finora ci sono sfuggiti.

Il seguente è il testo dell’intervento tenuto la sera del 23 dicembre 2007 nel Cine Galleria Sannicola di Salve (Lecce) in occasione della presentazione del volume Annu Novu Salve Vecchiu, 17a edizione. Lo riteniamo ricco di stimoli critici e culturali.

Editoria e Territoriodi Giovanni Giangreco

Si tratta, in definitiva, di rendere operativoil concetto di Bene Culturale visto nella suaaccezione Locale, alla luce, anche, dei tantistudi e delle ricerche che stanno interessan-do il Salento come mai prima d’ora eraaccaduto.Sarebbe curioso conoscere, sotto questoaspetto, il numero di quanti sono informatidell’attività di ricerca espletata fuori dalSalento da parte di giovani studiosi, salen-tini e non; oppure quante tesi di laurea suargomenti di ambito o di cultura salentinivengono discussi nelle Università italiane estraniere (quelle sulle volte leccesi, per fareun esempio banale, sono ormai all’ordinedel giorno in tutte le Facoltà di Architetturae non solo).Va anche detto, ad onor del vero, che le

biblioteche di casa nostra, quelle ancoraattive, non brillano – nella maggioranza deicasi – quanto a disponibilità e completezzadi informazione e documentazione biblio-grafica.L’aggiornamento bibliografico sembra unproblema personale del singolo studioso enon della struttura pubblica deputata istitu-zionalmente a questo compito.Ma queste dolenti note ci porterebbero lon-tano, molto lontano.Con uno sforzo più costante e con una rin-novata visione della nostra storia, vistaall’interno della storia europea – perché èdi questo che si tratta –, si potrà riuscire acogliere nella loro realtà effettuale fenome-ni, oggetti ed eventi che spesso hannoavuto una valenza molto più rilevante diquanto, in loco, si fosse immaginato. Peresempio: i lunghi secoli della rifeudalizza-zione del Mezzogiorno dopo la conquistaspagnola, la presenza austriaca e quellaborbonica non hanno interessato eminente-mente la vendita o l’acquisto dei feudi mal’organizzazione del territorio, la nascita dinuove forme e tipologie costruttive, nuoveconsuetudini sociali, nuove forme di culto

religioso, ed altro ancora.In alcuni casi si tratta di superare l’Hortusconclusus, il ridotto orizzonte nel quale cisi è serrati, avendo il coraggio (e, aggiun-gerei, l’umiltà!) di guardare con maggioridubbi ad acquisizioni e posizioni critiche –anche quelle formulate da illustri personag-gi – consolidate, diffuse e universalmenteaccettate (la facciata della Chiesa di S.Domenico di Nardò, appartenuta ai FratiPredicatori, da recentissime osservazioni inloco fatte da parte dell’amico PaoloVetrugno e del sottoscritto, è certo che nonappartiene tutta alla mano del Tarantino).Si deve avere il coraggio scientifico di“rifare l’analisi grammaticale” di ogni sin-gola acquisizione critica perché il progres-so degli studi sia veramente tale. La qualitàculturale delle conoscenze scientifiche diun territorio non è data dalla maggiore ominore ricchezza della letteratura biblio-grafica, ma dalla condivisione larga –anche fuori e lontano dal territorio – delleacquisizioni scientifiche raggiunte da partedegli studiosi.Dalla qualità della ricerca discende, inmaniera diretta, la qualità dell’informazio-ne, quella che viene diffusa dalle guide edai depliants pubblicitari e turistici e che, inqualche caso, fa sorridere gli ospiti chevengono a trovarci per visitare il nostro ter-ritorio. Probabilmente a molti di noi sarà capitatodi assistere a qualche scena imbarazzantein cui il turista che ha letto la guida delTouring Club corregge le informazioni for-nitegli da qualche – non sempre improvvi-sato – operatore turistico sui monumenti,sulla storia o sull’arte e le tradizioni popo-lari salentine. A parte la cattiva impressione offerta alvisitatore, che in questa maniera si sentemeno motivato a prolungare – eventual-mente – la sua presenza da noi perchéavverte deluse le proprie aspettative diconoscenza che lo hanno spinto a scegliereil nostro territorio come meta del suo viag-gio, si accentua, in questo modo, quellaimmagine stereotipata di superficialitàdelle conoscenze dei residenti che alimentaun certo spirito di superiorità intellettualedegli ospiti, in particolar modo di coloro iquali decidono di acquistare qualche edifi-

cio, magari di rilevanza architettonica estorica, con l’idea di recuperarlo ma secon-do una loro idea del recupero, poco rispet-tosa delle peculiarità e delle vicende stori-co-culturali dell’edificio stesso. In sostanza con atteggiamento neocolonia-le. E i numeri di strutture acquistate condisinvoltura rispetto ai parametri locali daforestieri stanno diventando preoccupantisul piano generale. Urge, in tal senso, una riflessione ed unareazione culturale di fronte al dilagare diquesto fenomeno nuovo, spesso agevolatodagli stessi Amministratori pubblici, i qualirappresentano l’anello debole dello svilup-po turistico del territorio. Essi hanno ideevecchie sui luoghi dove abitano e, spesso,poco attinenti con la loro complessa realtà.Costoro, per mancanza di cultura e di pro-getti credibili, preferiscono lavarsi le manidi fronte a richieste pressanti fatte daimprenditori e da personaggi da copertinadi rotocalco – con la sciocca giustificazio-ne che sono portatori di sviluppo (ma, perchi? ci dobbiamo chiedere!). E’ terribile constatare come, nel Salento,l’idea di sviluppo continui ad essere legataa flussi di risorse, energie e idee che sipensa debbano venire sempre e soltanto dafuori!Ma le prime disillusioni stanno venendo giàa galla. La preoccupazione, però, deveindurci a non guardare al fenomeno condistacco e indifferenza, perché di fronte allesirene delle risorse fresche venute da fuori(soldi liquidi, intendo) che, comunque, giàoggi hanno stravolto il mercato con gravedanno per i Salentini che hanno voglia diintraprendere attività o, semplicemente,acquistare una casa, i nostri conterraneiproprietari non sanno resistere.In nome poi di quali valori? Di quelli come l’orgoglio dell’identità odell’appartenenza, della cultura o dell’arteche, a sentir loro, da che mondo è mondo,non hanno mai prodotto ricchezza?Ecco, allora, come la funzione di un perio-dico come Annu Novu Salve Vecchiu puòessere utile in un rinnovato impegno distudi che, facendo conoscere meglio un ter-ritorio vasto come quello del Capo diLeuca, ne evidenzi la vocazione in rappor-to al resto della regione salentina e a quellemediterranee più vicine, anche se ubicate aldi là del mare. Un impegno studioso che superi quella vec-chia (questa si!) idea di considerare la cul-tura estranea e ininfluente sulla vita e suisuoi problemi quotidiani.

Droga e alcol tra i giovani stanno diventando un fenomeno assai preoccupante.Oggi molti giovani, soprattutto adolescenti, si rifugiano in un tunnel buio, diffi-cile e quasi impossibile da trovare una via d’uscita. Io non riesco a capire il perché! Perché distruggere se stessi, la propria vita?Nonostante conoscano gli effetti che possono causare queste sostanze, continua-no a farne uso. Non capiscono che potrebbero anche portare la morte?Evidentemente ciò non li spaventa se non riescono a cambiare idea! Tutto questo mi fa rabbia e mi spaventa. Dicono che ne puoi uscire come e quan-do vuoi, ti dicono che è una cosa meravigliosa che ti fa stare bene per tutta la gior-nata. Ma non è così facile purtroppo. Chi ne fa uso non sempre riesce a smettereed è spinto ad assumere dosi sempre più forti e più pesanti, si diventa dipenden-ti, ci si trova la vita trasformata in un calvario! Ragazzi, la droga, come l’alcol, ci fa sentire al massimo per pochi attimi, in real-tà ci spegne, ci fa sentire inutili, emarginati dalla società e da noi stessi, senzafuturo, per essere nessuno. Peccato ragazzi! La vita è tanto bella e viverla con serenità, con purezza e amar-la con tutti i suoi problemi ci fa essere migliori.

Una sedicenne

QUALCUNO MI SPIEGHI PERCHE’...

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economici relativi alla sola sagra esclusoil convegno, si sono chiusi alla pari e que-sto è un buon risultato. L’esperimento dicollaborazione con la Parrocchia peraltrogià collaudato, ha dato ottimi risultatid’intesa e di coordinazione. Per questaragione sento il dovere di ringraziare tutti,nessuno escluso,che hanno a variotitolo contribuitoalla buona riusci-ta della manife-stazione.

Ippazio Martella

39° Parallelo • febbraio 2008 pag. 4

Venerdì 18 gennaio 2008 si è tenuto pres-so l’Aula Consiliare del Comune diTiggiano il primo convegno sulla“Pestanaca di Sant’Ippazio”, organizzatodalla Pro Loco di Tiggiano in collabora-zione con l’Orto Botanico dell’Universitàdel Salento e con il Patrocinio di diverseistituzioni tra cui il Comune di Tiggiano,la Regione Puglia, l’Unpli Puglia, laProvincia di Lecce, la Camera diCommercio di Lecce e l’APTdi Lecce. Hanno partecipato alconvegno il Sindaco diTiggiano, il Presidenteregionale UNPLI Puglia,l’Assessore ProvincialeGestione e Valorizzazione delPatrimonio, il Presidente della ProLoco Tiggiano, il Prof. S. Marchiori, laProf.ssa R. Accogli dell’Orto Botanicodell’Università del Salento, il Prof. C.Negro del Laboratorio di Fisiologia vege-tale dell’Università del Salento, laDott.ssa Alessandra Mattioni esperta inAlimentazione e Benessere, la Prof.ssaBianca Paris, il tutto moderato dalResponsabile del Centro CulturaleMultimediale del Comune di Tiggiano.Il convegno dal tema “Lo sviluppo localeattraverso la valorizzazione di prodotti dinicchia” è stato un momento importanteper prendere consapevolezza che la salva-guardia dei prodotti tipici passa ancheattraverso la difesa e la valorizzazionedella biodiversità. E’ essa uno dei puntifermi emersi dalla conferenza di Rio deJaneiro del 1992, il momento, forse, in cui

l’umanità ha preso vera coscienza dell’im-portanza dell’ambiente e della sua salva-guardia.L’incontro, inoltre, ha dato la possibilità aipartecipanti di prendere atto delle grandipotenzialità nutrizionali e organolettichedella carota giallo-viola di Tiggiano, danoi più conosciuta col termine di “pesta-naca”.

La pestanaca fa parte dell’ElencoNazionale dei prodotti agroali-

mentari tradizionali, che èstato pubblicato nellaGazzetta Ufficiale n. 193del 18 agosto 2004.

Parlare della pestanacacome prodotto di nicchia

può sembrare fuori luogo, ma,se teniamo conto che l’individuazione di

prodotti di nicchia è fondamentale per ladiversificazione produttiva di un territo-rio, soprattutto quando condotta nel rispet-to delle tradizioni - quella contadina inparticolare, tramandata oralmente di gene-razione in generazione possiamo conside-rare, allora, i prodotti di nicchia comegioielli preziosi e fragili, tenendo contoche l’impegno è quello di salvaguardarnel’esistenza e la genuinità della loro produ-zione. Pertanto, va promossa la tutela alfine di valorizzare questo patrimonio intermini di attrattiva turistica; in questosenso, parlare di valorizzazione dellapestanaca e sviluppo locale, non è perniente azzardato.Interessanti sono stati gli interventi di tuttii docenti e ricercatori dell’Università delSalento, i quali hanno illustrato le grandi

qualità nutrizionali ed organolettiche dellapestanaca. Singolare e stimolante è statol’intervento della Dott.ssa Mattioni, laquale ha documentato l’importanza deglialimenti che mangiamo e come questiintervengano sulla regolazione dei mecca-nismi che controllano l’umore, l’attenzio-ne, la memoria, l’aggressività, la trasmis-sione di impulsi nervosi e, più in generale,sulla gestione dello stress.La pestanaca si è dimostrata come unodegli alimenti più validi e necessari peruna buona e salutare alimentazione. Ciò,perché il maggiore contenuto di Beta-carotene (precursore della vitamina A) e divitamina E, oltre che di potassio, calcio,ferro, fosforo, ne fanno un ortaggio da pri-vilegiare per la sua proprietà antiossidan-te, benefica per l’elasticità della pelle, perla salute di ossa, denti e capelli; in sostan-za, troviamo nella pestanaca, ma esaltatee potenziate, tutte le già salubri proprietàdella carota comune.Ecco, allora, l’importanza del convegnoorganizzato dalla Pro Loco di Tiggiano,che ha permesso la promozione e la divul-gazione della pestanaca, stimolando lasua coltivazione, intesa come prodotto dasalvaguardare e da sostenere, ma, agendosempre in modo che questa non perda lecaratteristiche che la contraddistinguono,rimanendo, comunque, consapevoli chel’unico denominatore affinché ciò avven-ga è l’utilizzo di particolari tecniche diproduzioni e salvaguardia delle sementi,quasi segrete, e che spesso si tramandanodi generazione in generazione. E’ questo,infatti, quello che rende il prodotto diffe-

rente, quindi originale rispetto a tanti altrinazionali e regionali. Per questo si puòparlare di mercati di “nicchia”. A tal fine, diventa, dunque, determinanteil coinvolgimento di tutti i nostri contadi-ni che, con passione e quasi per devozio-ne, coltivano ancora oggi la pestanaca. Urge, pertanto, promuovere corsi di for-mazione, coinvolgendo attivamente l’OrtoBotanico dell’Università del Salento e leistituzione predisposte (Camera diCommercio e gli enti Comune Provincia e

Regione) e attingere a quei finanziamentiregionali, nazionali ed europei che sov-venzionano la coltivazione di prodottitipici e di nicchia.E’ per questo che il convegno organizzatodalla nostra Pro Loco non deve essereconsiderato la meta finale di un percorsogià concluso, bensì il punto di partenzaper la crescita e lo sviluppo del nostro ter-ritorio.

“Lo sviluppo locale attraverso la valorizzazione di prodotti di nicchia”(La Pro Loco attenta alla crescita e allo sviluppo del nostro territorio)

di Carlos Simao

Il 18 gennaio a Tiggiano si promuove lasagra della pestanaca, un ortaggio chenella credenza popolare ha un significatopropiziatorio, ma che in realtà è un gusto-sissimo tubero conosciuto da millenni,approdato sulle nostre tavole con l’impe-gno di rimanerci non solo per deliziare ilpalato di chi ne apprezza le eccellenti pro-prietà organolettiche ma anche per mante-

nere il pri-mato diprima donnasulle banca-relle dellafiera di

Sant’Ippazio.La Pro Loco insieme alla Parrocchia e ilComune si impegnano a ridare visibilitàalla pestanaca, cercando insieme ad altreistituzioni come l’Università di Lecce,Camera di Commercio e Regione Pugliadi munirla di passaporto per andare oltre ein più periodi dell’anno. Un particolare merito è doveroso ricono-scere ai nuovi e ai vecchi produttori dellepestanache, che da generazioni si traman-dano l’arte della coltivazione. A differenzadegli altri anni i partecipanti al concorsoLa Pestanaca sono stati poco numerosi,

chiaro indice discarsa produzio-ne. Si spera chein futuro oltrealla quantità sipossa migliorarela qualità inmodo da potercalmierare i pre-zzi e aumentarela vendita.

Intanto, giusto per rimanere in tema diprodotti tipici, è forse opportuno occupar-ci brevemente di un’altra antichissima lec-cornia che, puntuale faceva la sua compar-sa per la festa di Sant’Ippazio e che que-st’anno nessuno sembra l’abbia vista: lesciscele ossia le giuggiole. La Pro Loco hain serbo di occuparsi di questo prodottoche al pari della pestanaca ha bisogno diessere valorizzato sia per le sue proprietàsia come tassello di una tradizione da sal-vare.Contrariamente agli anni scorsi i conti

Sagra della pestanaca Sant’Ippazio - 9a edizione

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39° Parallelo • febbraio 2008 pag. 6

RISTORANTEMarina Serra

tel. 0833.775080

Capita, soprattutto in alcuni momentidella propria vita, di fermarsi per fare ilpunto della situazione economica, familiare,matrimoniale, esistenziale….in senso lato.Questo esercizio, o meglio, questa buonapratica ci consente di prendere coscienzadei nostri difetti e di correggerli o, al con-trario, delle nostre virtù e di constatarecome le stesse abbiano prodotto gli effetti“sperati” negli ambiti nei quali sono stateesperite.Non si può nascondere, non fosse altroperché gli esseri umani, pur diversi edunici, sono accomunati dalla limitatezza,che l’esercizio della METACOGNIZIO-NE lascia, spesso, l’amaro in bocca. Ci sirende conto, infatti, di tutto ciò che si èrimandato all’indomani e che, puntual-mente, non è stato realizzato…di ciò chepoteva essere fatto e che, per tutta unaserie di motivi, è stato collocato in unasorta di nicchia da dove non è mai venutofuori. E così i progetti di vita, i buoni pro-positi, i programmi seppure “annunciati”non si sono mai tradotti in pratica. Loscorrere impietoso del tempo o ritmi divita, la “fluidità sociale” (Z. Bauman) nondepongono certamente a favore dell’auto-critica poiché ciascuno di noi, suo malgra-do, viene coinvolto e trascinato dal flussoinarrestabile degli aventi.Se, però, succede di “fermarsi” a conver-sare con l’amico, il confidente, i figli(quando sono disponibili all’ascolto), ipropri progetti di vita affiorano alla mentee da essa passano alla bocca e vengonoraccontati…in modo non proprio oggetti-vo. Chi è consapevole di non aver portatoa termine un progetto, con dovizia e sensodi responsabilità, arricchisce la narrazio-ne di particolari che contribuiscono a farpendere il piatto della bilancia dalla pro-pria parte. Il discorso, pertanto, è costella-to da innumerevoli “ma” e “però” che pre-ludono all’alibi ai meccanismi di difesa dichi cerca di giustificare il proprio compor-tamento.Come il lupo che, volendo sbranare l’a-gnello, e non potendo esclama “Ma tu mistai sporcando l’acqua”! Salvo, poi, ad

STORIA DI UNA LAUREA MANCATAdi Concettina Chiarello

accorgersi che la sua posizione non giusti-ficava l’accusa….proprio come i protago-nisti della favola dell’autore latino, anchenoi uomini siamo inclini a scaricare suglialtri le nostre colpe. E così riflettendo,anch’io annoto, perché non vadano perdu-ti, gli eventi più significativi della mia vitaumana e professionale. Non provo vergo-gna ad ammettere che a scuola non sonostata “ proprio una cima” soprat-tutto in matematica. Nonnascondo a nessuno l’e-spulsione dalla scuola,in prima elementare,per aver accusato lamaestra di usaremetodi coercitivi.Provo tanto disagio,però, quando sonocostretta ad ammetteredi non essere riuscita aconseguire la laurea, puravendo intrapreso una carrierauniversitaria con profitto mediocre.Tuttora sento montare la rabbia dentro dime quando ricordo le mie amiche di corsoche, dopo una conversazione con i docen-ti, uscivano soddisfatte dall’aula d’esamecon una lode accanto al fatidico 30 o conun voto, comunque, accettabile. Nonnascondo l’invidia quando sentivo lororipetere che l’esame era stato preparato in15-20 giorni, al massimo, tempo durante ilquale io non avevo finito di leggere nean-che il corso monografico. Così le sessionipassavano e l’esame non riuscivo a supe-rarlo: mi ero studiato le virgole e mi veni-vano richiesti i punti e viceversa. In que-sto clima di insoddisfazione personale e diestrema provvisorietà sono riuscita asostenere, comunque, la metà degli esamirichiesti dal corso di laurea…poi mi sonoarresa. Ho ripreso lo studio universitarionegli anni ‘80 fresca di concorso magi-strale superato presentando un problema

geografico in dimensione multidisciplina-re e pervenendo, finalmente, ad una sinte-si personale. Il voto? Un trenta, obiettivoper me lusinghiero. In seguito gli impegniscolastici e quelli familiari mi hanno dis-tratta, ancora una volta, dall’obiettivo lau-rea…Peccato! Quando avevo trovato ilmetodo di studio, mi sono trincerata dietromille alibi. In tutta sincerità non ho mai

finalizzato la laurea alla ricerca diun posto di lavoro, né l’ho

considerata un banale“pezzo di carta”, eppu-

re non sono riuscita aconseguirla.…Sono nella sededella Pro Loco, miimbatto in un grup-

po di giovani, alcunidei quali miei ex alun-

ni, la domanda di rito ètesa a verificare, non solo,

lo stato di benessere che, alme-no nel fisico, si rivela in tutta la sua

pienezza, ma anche la conoscenza dell’i-tinerario di studio intrapreso. Quasi colcuore in gola mi aspetto di sentire chesono a buon punto e che sono prossimi alconseguimento della laurea, invece devoascoltare un deludente elenco di motiva-zioni addotte per avvalorare la tesi secon-do la quale non vale la pena impegnarsi inun itinerario di studi. Il motivo principalesembra essere la scarsa volontà, seguel’assenza di una motivazione profondaallo studio poi la mancanza di tempo. Manmano che il discorso va avanti si evince,però, la scarsa fiducia che i ragazzi hannonei confronti delle istituzioni educative eformative a più livelli. Gli ordini di scuo-la che hanno soddisfatto le attese degliinterlocutori sono, senza presunzione, lascuola elementare e media, mentre lascuola superiore, lungi dall’averli appas-sionati allo studio, sembra averli delusi sul

piano delle aspettative formative e cultu-rali. E, così, non avendo maturato quellecompetenze, definite dagli esperti, “spen-dibili in altri contesti” i miei giovani inter-locutori preferiscono accontentarsi diesperienze lavorative sporadiche o di dis-continue presenze nelle Associazioni divolontariato. Lodevolissime, si intende, ma pur sempreepisodiche se non inserite in un curricolodi studio e di ricerca personale. Mentre laconversazione va avanti noto con quantacompetenza i nostri giovani padroneggia-no le teconologie multimediali. Rivoltaalla carissima Bianca Paris, che nel frat-tempo si è unita al gruppo, la interrogocon lo sguardo e lei, di rimando, esordiscecon una frase illuminante: “Peccato chequeste bellissime intelligenze non venga-no impiegate in modo proficuo e, semmai,inserite in un corso di studi”! Adessosiamo in due nel gruppo di ragazzi a soste-nere la stessa tesi, e lungi da noi l’idea difare una lezione o un sermone da pulpito(la sottoscritta non avrebbe le carte inregola per farlo a motivo delle sue ina-dempienze), consapevoli della scarsa rile-vanza educativa delle “teorie del senno dipoi” cerchiamo di coinvolgere i ragazzi inuna sorta di conversazione – stimolo dallaquale emergono delle competenze difondo non “ben orientate” al prosegui-mento dell’itinerario di studio. Raccontola storia della mia laurea mancata….lorola ascoltano con attenzione e promettonodi “ripensarci”. Pur consapevoli del fattoche il racconto delle esperienze personalipuò essere considerato un semplice, quan-to improduttivo, passatempo, confidiamonella maturità dei ragazzi. Saremmo feli-cissime se qualcuno di loro o tutti deci-dessero di dare una sterzata improvvisa alcorso della propria vita ritornando sui libriper non incorrere, come me, nell’esclama-zione: “Peccato”! Concludo con una frasedi Sant’Agostino che dovrebbe farci medi-tare tutti: “SI ISTI ET ISTAE, CUR NONEGO”? che tradotta suona così: “Se glialtri ci sono riusciti perché non posso far-cela anch’ io”?

Per chi ha voglia di ascoltare tutto parla.

Anche le facciate di edifici pubblici e pri-

vati.

Da sempre destinate ai sospiri adolescen-

Riflettendo sulle scritte sui muriziali per l’amato bene,

ora fanno sempre più

spazio ad impulsi meno

teneri e nobili. Notizie

certe danno i primi, i

sospiri, in fuga verso i

cellulari; ma inceppano

ad interpretare le cause

delle seconde, le scritte

d’offesa e di minaccia.

Eppure quella lettura non è misteriosa. Gli

autori, siamone certi, sono gli stessi

romantici amatori in erba, adolescenti

pieni di ormoni brufoli e pulsioni.

Ricchissimi di contraddizioni e scarsi di

guide sicure. Il rimedio? Non ne esiste

nemmeno uno accreditato come infallibi-

le. Si può solo andare avanti per tentativi.

Ma si deve, incominciando dall’ovvio:

primo lanciare agli ignoti autori della bra-

vata l’invito a non offendere anzitutto se

stessi, certe scritte squalificano in antepri-

ma l’autore, lo dipingono come un

poveraccio incapace di esprimere la

propria critica in modo civile. E’ vero

che c’è sempre tempo per imparare, ma

certe abitudini una volta radicate fatica-

no a scomparire. Secondo, porci una

domanda. Siamo pro-

prio certi noi adulti di

sapere e volere pro-

porre modelli positi-

vi? Perché, se anche

nel ruolo di guidatori

ufficiali, pre-

posti e

retribuiti per la bisogna,

prestiamo il fianco agli

sberleffi, come possiamo

meravigliarci che quegli

stessi, gli sberleffi, fiori-

scono qua e là?

TRICASE via Leone XIII (nei pressi dell’ospedale) - MAGLIE via V. Emanuele

ABBIGLIAMENTO UOMO DONNAELEGANTE E SPORTIVO

T R U S S A R D I

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39° Parallelo • febbraio 2008 pag. 7

La Costituzione della Repubblica Italianaha compiuto sessanta anni e la ricorrenzacoincide con una fase particolarmente dif-ficile ed agitata della nostra storia politicae civile. Le oggettive gravi difficoltà dellaattuale situazione economica e sociale ren-dono più che mai necessario un decisorilancio della consapevole valorizzazionedei principi elaborati ed approvati con con-senso quasi unanime dai legislatori costi-tuenti tra il giugno 1946 e il dicembre1947, trasfusi in una legge fondamentalespesso considerata tra le più aperte edavanzate del mondo occidentale.Soprattutto in questo ultimo decennio laCostituzione è stata spesso oggetto diattacchi sconsiderati ed ipocriti da parte disoggetti e forze politiche interessati a pro-muovere modelli di società non basati suivalori di uguaglianza, giustizia, democra-zia e pace, che invece i Padri Costituentiseppero esprimere e affermare con efficaceautorevolezza e prestigio etico-morale. Ma proprio il profondo valore intrinsecodei principi affermati nella Carta del 1948ha consentito finora alla nostra democraziadi affrontare con equilibrio e arginaresenza degenerazioni autoritarie e senzasignificativi deterioramenti del tessutosociale le emergenze che hanno via viareso spesso travagliata la vita dellaRepubblica (terrorismo, criminalità orga-nizzata, corruzione e malcostume politici,immigrazione clandestina, ricorrenti gravicrisi economiche, coinvolgimento in ope-razioni militari all’estero). L’impiantocomplessivo della nostra legge fondamen-

SESSANTA E NON LI DIMOSTRAdi Giorgio Serafino

tale rimane, infatti, tutt’ora pienamentevalido e idoneo a fungere da pilastroimprescindibile per orientare secondo cor-rette linee di sviluppo civile e materiale

l’evoluzione futura della nostra società.Nella prima parte, dedicata ai principi fon-damentali e alla disciplina generale deirapporti civili, dei rapporti etico-sociali,dei rapporti economici e dei rapporti poli-tici, i Costituenti hanno indicato un model-lo di società in cui la democrazia, la liber-tà, la giustizia e l’uguaglianza assurgono aconnotati basilari preposti a permeare di sétutti gli ambiti e le strutture della comunitànazionale. In questo contesto di generaleaffermazione della priorità riconosciutaalla dignità della persona come singolo ecome membro del corpo sociale, accanto alriconoscimento delle libertà derivanti dallatradizione cristiano-illuministica si pongo-no, con rilevante valenza politica, i precet-ti destinati ad orientare l’attività degliorgani legislativi e amministrativi in mate-ria economica, ispirati ad una concezione

particolarmente avanzata del ruolo propul-sivo dello Stato e dei pubblici poteri nellapromozione del progresso collettivo. Con prese di posizione indubbiamentecoraggiose, sia pure frutto di non facilicompromessi tra ideologie opposte e con-correnti nell’agone politico, i Costituentihanno tra l’altro elevato al rango di princi-pi fondamentali della Repubblica la tuteladel lavoro e dei diritti dei lavoratori (artt.35, 36, 38), la parità tra i sessi nel mondodel lavoro (art. 37), la libertà e l’importan-za del ruolo delle organizzazioni sindacali(art. 39), la programmazione economicaquale strumento imprescindibile per l’o-rientamento dell’iniziativa privata versofini sociali per il bene comune (art. 41), lariserva a favore dello Stato o di enti pub-blici o di organismi collettivi non specula-tivi dell’esercizio di determinate impresein settori strategici di interesse generale(art. 43), il diritto dei lavoratori a collabo-rare alla gestione delle aziende (art. 46).Tali principi, purtroppo rimasti in parte lar-gamente inattuati, mantengono comunqueancora intatto il loro intrinseco valoreetico-morale, anche se l’involuzione dellaeconomia nazionale ed internazionale degliultimi venti anni ha prodotto politichespesso contrastanti con essi, con dolorosied inaccettabili costi sociali (privatizzazio-ni selvagge, liberismo incontrollato e spre-giudicato, pirateria finanziaria, precarizza-zione dei rapporti di lavoro, riduzione delleprestazioni previdenziali e assistenziali).Di fronte a questi fenomeni indubbiamente

negativi, i precetti costituzionali sonorimasti l’ultimo autorevole baluardo giuri-dico e morale in difesa della giustiziasociale e dell’equo sviluppo globale dellacollettività e continuano ad ammonire ilegislatori e i governanti sul dovere di ante-porre sempre le esigenze della comunitàagli interessi di singoli gruppi e potentati diqualsiasi specie.La seconda parte della Costituzione, dedi-cata all’ordinamento della Repubblica,appare invece oggettivamente bisognosa diun aggiornamento che renda l’attività degliorganismi istituzionali più adeguata allecaratteristiche della società contempora-nea. La scelta dei Costituenti di dare vitaad una repubblica parlamentare, quindi conprevalenza delle Camere quale organo rap-presentativo dei cittadini elettori in un con-testo di rigorosa separazione tra i poteridello Stato, non può certo essere messa indiscussione, mentre altri aspetti del vigen-te ordinamento potrebbero essere corretticon calibrate riforme che snelliscano l’ap-parato istituzionale e assicurino una piùstabile e coerente governabilità (elimina-zione del bicameralismo, modifica delmeccanismo di designazione del capo delgoverno).In ogni caso, oggi più che mai, laCostituzione del 1948 rappresenta un patri-monio prezioso da difendere e valorizzare,ricordando sempre che essa è una conqui-sta di civiltà ottenuta al termine di unalunga e sanguinosa lotta contro il totalitari-smo e la cieca violenza.

Il nostro Paese vive nell’immaginario deglistranieri come la terra dell’arte e della cultu-ra per eccellenza, riconoscendo all’estrocreativo italiano un primato invidiabile enon limitato ad alcune epoche storiche. Se ilRinascimento, infatti, desta l’ammirazione

dei più colti, la moda, il mangiare e il bere“bene” e quel cavallino rampante sulla car-rozzeria di certe automobili sportive fannosognare anche chi soldi da spendere non neha. Ed ecco allora chi nel mondo, pur di arri-vare a quei mercati così ambiti, ‘copia’,imita o, al più, cerca di far propri i vari mar-chi del Made in Italy, prodotti tipici com-presi. Ma oggi, nel turbinio di immagini enotizie che viaggiano in tempo reale anchesu internet è ancora così? “L’Italia ha persola bussola” titolava giorni fa qualche giorna-le straniero a tiratura mondiale, commentan-do la libertà di parola che si respira nelnostro Paese tanto da impedire al Prof.

Ratzinger di intervenire all’inaugurazionedell’anno accademico di quella che qualcu-no definisce, chissà se è vero, tra le più pre-stigiose università italiane. La bussola l’hapersa, e non solo per sé evidentemente... Eforse non a torto. Si è scoperto, infatti, che ilBel Paese, la terra degli Uffizi e dei borghimedioevali, della dieta mediterranea e dellecittà-cartolina, in realtà è il Paese delleemergenze. In Italia, infatti, basta unacquazzone per dichiarare l’emergenza idro-geologica di un’intera regione, eppure è ilBel Paese dove il clima è mite e i paesaggivari e splendidi. Già, era così! Il passato èd’obbligo perché il clima non è più mite e leestati spesso torride danno una mano a quel-la dei piromani per distruggere il patrimonioboschivo e giungere a dichiarare l’emergen-za incendi. Per non parlare dell’abusivismo edilizio chedeturpa il paesaggio e ne impoverisce lerisorse. Anche l’indole gentile e sorridentedegli italiani sembra ormai diventata rara,come la loro maestria nell’arte dell’amare edell’accogliere. Non si vuole essere pessi-misti a tutti i costi, ma sempre più spessopecchiamo di superficialità nell’accoglien-za, se si pensa che commuove più un cor-morano con l’ala spezzata e non un anzianonon autosufficiente che nella corsia di unospedale è diventato ormai un vero ‘peso’!Per forza, direte, siamo in piena emergenza

sanità, quella ‘mordi e fuggi’, se si puòmorire in sala operatoria per un blackoutelettrico e, per il bene dei contribuenti, sitagliano i posti letto mentre le malattie cro-niche aumentano a dismisura. E l’emergen-za educativa dove la mettiamo? Se i nostriragazzi, quelli bravi, figli di famiglie perbene, fanno i bulli e gli strozzini con i coeta-nei più deboli sarà perché gli adulti che lihanno generati passano poco tempo con loroe li fanno crescere a suon di “GrandeFratello” e di Playstation? Eppure gli stu-diosi dicono che i ragazzi sono lo specchiodegli adulti... Che sia vero? E poi che nesanno gli stranieri della giustizia, un’emer-genza tutta italiana dove i giudici che accu-sano i politici corrotti sono accusati di fare ipolitici, mentre i processi diventano degliinterminabili gironi infernali dove parados-salmente i criminali alla fine la fanno fran-ca, e i cittadini onesti mai. E a proposito dipolitica, anche questa è una continua emer-genza in Italia. Da qualche decennio a que-sta parte, infatti, si chiama così non il met-tersi al servizio del Paese per risolverne iproblemi che lo assillano cercando il bene ditutti, nel rispetto delle norme che di quei“tutti” sono al di sopra, ma un circo di note-voli dimensioni dove i clown, sgomitandogli uni gli altri per raggiungere la poltronapiù comoda e naturalmente quella più remu-nerativa, di tanto in tanto cambiano i colori

dei lorovestiti, mala facciaresta sempreq u e l l a !A l l o r a ,q u a l c u n odice: d’al-tronde sesono lì qual-cuno li avràvotati! Già, dicono anche che la classe poli-tica di un Paese sia lo specchio della societàche rappresenta... Ma nel 2008 tutto cam-bierà, “Anno nuovo, vita nuova”, si dice.Non per Napoli e la Campania. Niente pano-rama del Golfo col Vesuvio o profumo dipastiera. La pizza e O’ sole mio? Scomparsi.Giacciono al fondo dell’emergenza spazza-tura, tanto che il vescovo della città ècostretto a tirar fuori le reliquie di SanGennaro come ai tempi della peste! Capiscoche l’ingerenza della Chiesa è di troppo neiproblemi delle amministrazioni locali, mavisto che i ‘santi’ della politica non riesconoa risolvere il problema pur con ingenti risor-se e l’antimafia, sarà il caso di rivolgersiagli unici santi che son rimasti, quelli delParadiso!

Maria Antonietta Martella

L’ITALIA? IL BEL PAESE DELL’ARTE... DELLE EMERGENZE!

Il Capo provvisorio dello Stato promulga la Costituzione