Periodico di idee, informazione e cultura del Collegio ... · di Ercole Vellone, Giovanni Piras 20...

68
Periodico di idee, informazione e cultura del Collegio IPASVI di Roma Anno XIX - N. 2 - aprile/giugno 2009 - Tariffa Associazioni Senza Fini di Lucro. Poste italiane SpA - Spedizione in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in. L. 27/02/2004 n°46) art.1. comma2. DCB Roma EDITORIALE I pilastri siamo noi FOCUS Osservazioni al Piano sanitario regionale STUDI Il “caregiving” a persone anziane L’AVVOCATO DICE Il valore del nuovo Codice Deontologico N°2

Transcript of Periodico di idee, informazione e cultura del Collegio ... · di Ercole Vellone, Giovanni Piras 20...

Periodico di idee, informazione e cultura del Collegio IPASVI di Roma

Anno XIX - N. 2 - aprile/giugno 2009 - Tariffa Associazioni Senza Fini di Lucro. Poste italiane SpA - Spedizione in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in. L. 27/02/2004 n°46) art.1. comma2. DCB Roma

EDITORIALEI pilastri siamo noi

FOCUSOsservazioni al Pianosanitario regionale

STUDIIl “caregiving”a persone anziane

L’AVVOCATO DICEIl valore del nuovoCodice Deontologico

N°2

Organo Ufficiale di Stampa del Collegio IPASVI di Roma

Direzione - Redazione - AmministrazioneViale Giulio Cesare, 78 - 00192 ROMATel. 06.37511597 - Fax 06.45437034

Direttore responsabileGennaro Rocco

Segreteria di redazioneNicola Barbato, Stefano Casciato, Mario Esposito, Matilde Napolano, Carlo Turci

Comitato di redazioneAngela Basile, Bertilla Cipolloni, Rodolfo Cotichini, Stefano Di Carlo,Gianfranco Del Ferraro, Maurizio Fiorda, Natascia Mazzitelli,Francesca Premoselli, Maria Grazia Proietti, Angelina Palumbo,Ausilia M.L. Pulimeno, Alessandro Stievano, Marco Tosini.

Rivista trimestraleTariffa Associazioni Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.p.A.Spedizione in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in. L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB RomaAutorizzazione del Tribunale di Roma n. 90 del 09/02/1990Anno XIX - N. 2 - APRILE-GIUGNO 2009

FOTO: Mario Esposito

STAMPA: GEMMAGRAF EDITORE00171 Roma - Via Tor de’ Schiavi, 227Tel. 06 24416888 - Fax 06 24408006e-mail: [email protected]

Finito di stampare: giugno 2009

Tiratura: 28.000 copie

“Infermiere Oggi” pubblica articoli inediti di interesse infermieristico, previa ap-provazione del Comitato di Redazione. L’articolo è sotto la responsabilità dell’Autoreo degli Autori, che devono dichiarare: nome, cognome, qualifica professionale,ente di appartenenza, recapito postale e telefonico. Il contenuto non riflette ne-cessariamente le opinioni del Comitato di Redazione e dei Consigli Direttivi.Quando il contenuto esprime o può coinvolgere la responsabilità di un Ente, oquando gli Autori parlano a suo nome, dovrà essere fornita anche l’autorizzazio-ne dei rispettivi responsabili.Il testo deve essere il più conciso possibile, compatibilmente con la chiarezza diesposizione. Le bozze verranno corrette in redazione. I lavori non richiesti e nonpubblicati non verranno restituiti.Le citazioni bibliografiche devono essere strettamente pertinenti e riferirsi a tut-ti gli Autori citati nel testo.Le citazioni da periodici devono comprendere: il cognome e l’iniziale del nomedell’Autore o dei primi due Autori, nel caso di più di due Autori, verrà indicato ilnome del primo, seguito da “et al”; il titolo originale dell’articolo, il titolo del pe-riodico; l’anno di pubblicazione, il numero del volume, il numero della pagina ini-ziale.Le citazioni di libri comprendono: il cognome e l’iniziale del nome degli Autori, iltitolo del libro (eventualmente il numero del volume e della pagina, se la citazio-ne si riferisce ad un passo particolare), l’editore, il luogo e l’anno di pubblicazio-ne. Gli Autori che desiderano la riserva di un certo numero di copie del numerocontenente il loro articolo, devono farne richiesta esplicita al momento dell’inviodel testo.Tutto il materiale deve essere spedito o recapitato al Collegio IPASVI di Roma,Viale Giulio Cesare, 78 - 00192 Roma.

S O M M A R I OEDITORIALE

1 I pilastri siamo noidi Gennaro Rocco

CONTRIBUTI3 Il “caregiving” a persone anziane in Sardegna

di Ercole Vellone, Giovanni Piras

20 Il burn-out degli infermieri. Analisi critica e ricercabibliografica della letteraturadi Emilia Marsala

30 La gestione del dolore in ambito pediatrico. Da un’indagineconoscitiva all’attuazione del progetto “Ospedale senza dolore”di Rosario Alvaro, Mariagrazia Greco, Mariaclara Montanaro,Loredana Sasso

34 Lo studente infermiere e la funzione tutorialedi Marta Nucchi, Anne Destrebecq, Vincenza De Santis

FOCUS OSSERVAZIONI AL PIANO SANITARIO REGIONALE, PROGETTI DI

FORMAZIONE E SANIT 2009

40 Osservazioni al nuovo Piano sanitario regionale45 Un anno all’insegna della formazione48 Al Palazzo dei Congressi di Roma torna il SANIT

Forum Internazionale della Salute

NOTIZIE DAL COLLEGIO50 Commissione Ecm, conferma per il presidente del Collegio

L’ANGOLO DEI MEDIA52 Dicono di noi...

SEGUITO PER VOI 53 All’Umberto I, per parlare di trans-culturalità

nella professione infermieristica54 La vice presidente Ipasvi premiata a

“Protagonisti dell’innovazione”

LETTI PER VOI 56 Vivere è una “colpa”?

NON SOLO INFERMIERI57 L’amore ha lati positivi e negativi. Attento a quelli sieropositivi!59 Infermieri al teatro per aiutare l’Anlaids

L’AVVOCATO DICE60 Il nuovo Codice Deontologico:

l’infermiere nella comunità internazionale

INFERMIERI IN RETE63 Le riviste infermieristiche straniere disponibili on line

L

1

a questione è titanica. Lo è per peso e per effetti. Rappresentaun bivio per un Paese come il nostro, sempre sospeso tra vogliadi futuro e resistenza al cambiamento. Di titanico ha assuntoormai anche la terminologia, cosicché nel linguaggio comune èdivenuta una questione di “pilastri”. E dalla disputa politica chesi accende sul numero e la funzione dei pilastri, deriverannoscelte determinanti per il sistema di protezione sociale, per ilsuo presente e il suo futuro. Di più: dipenderà la sussistenzastessa del servizio sanitario e di una rete assistenziale adegua-ta che faticosamente l’Italia insegue tra problemi e ritardi.Il momento è davvero cruciale. Dopo gli eccessi polemici del-l’ultima lunga campagna elettorale, gli schieramenti politicidevono affrontare la riforma del welfare con spirito costruttivoe collaborare. Ciò che non possiamo permetterci è restarefermi, non agire, non riformare un sistema che scricchiola ognigiorno di più. Le posizioni espresse dal Governo e dalla maggioranza parla-mentare possono e devono trovare una sintesi virtuosa con l’im-pianto proposto dall’opposizione. Gli elementi dell’uno e dell’al-tro progetto, ancorché alternativi su alcuni punti, possono esse-re integrati utilmente per rinforzare la stabilità delle fondamen-ta e rispondere alle nuove esigenze di una comunità in rapidatrasformazione.L’impianto su cui costruire il nuovo welfare indicato dal Governomuove dal presupposto che processi sociali come il progressivoinvecchiamento della popolazione, la bassa crescita e la “rivo-luzione epidemiologica” legata all’immigrazione e alla circola-zione planetaria dei cittadini mettano ad alto rischio la tenutadel sistema. Una preoccupazione concentrata soprattutto sullaspesa crescente che lo Stato è chiamato a sostenere attraver-so il criterio del finanziamento per “ripartizione”, in pratica dre-nando le risorse necessarie a finanziare i servizi socio-assisten-ziali dal capitolo delle tasse.Il sistema “multipilastro” elaborato dal Governo presuppone lacrescita di una seconda fonte di finanziamento, da affiancare aquella fiscale che grava direttamente sui cittadini. Sviluppando

la voce di finanziamento per “capitalizzazione”, il ministro chie-de al Parlamento di poter implementare l’accesso di capitali pri-vati, specialmente nel settore pensionistico e per le prestazionisanitarie integrative. Il criterio dichiarato è quello dell’universalismo selettivo, unsistema bilanciato di prestazione pubblica a carico della collet-tività e contributo personale di ciascun assistito. Quanto aicosti, il ministro indica un sistema misto concepito in base atariffe calcolate su standard di riferimento e la compartecipa-zione dei cittadini al costo delle prestazioni.Accanto a ciò, il Governo si impegna a procedere con unasostanziale riforma dell’attuale organizzazione della rete deiservizi sanitari, accelerando su deospedalizzazione, innovazionetecnologica, governo clinico, assistenza integrativa, perseguen-do la realizzazione di reti ospedaliere ad alta specializzazione elo sviluppo della filiera dell’assistenza territoriale.Con la recente presa di posizione del Partito Democratico, l’op-posizione ha espresso un giudizio fortemente critico sugli orien-tamenti del Governo in tema di riforma del welfare. Per il Pd lamaggioranza sta procedendo sulla strada della privatizzazionedei servizi concedendo troppo spazio all’iniziativa e ai capitaliprivati. In particolare, si contesta al Governo di concedereeccessivo spazio al pilastro della “capitalizzazione”, scarican-done i costi sulle famiglie attraverso forme assicurative privateo mutualistiche. Da qui l’accusa al Governo di aver avviato azio-ni conseguenti a tale scelta con il congelamento del FondoSanitario 2010-2011, l’azzeramento del “fondo ex articolo 20”per gli investimenti, il tentativo di diminuire i Livelli Essenzialidi Assistenza e di introdurre tutele socio-sanitarie diverse aseconda dell’attività e del ruolo sociale del singolo cittadino.Al di là delle posizioni politiche, gli infermieri vivono “in trin-cea” i problemi del sistema sanitario e fanno i conti quotidiana-mente con la necessità oggettiva e urgente di una riforma pro-fonda. Soprattutto chiedono che alle questioni di principioseguano finalmente provvedimenti concreti. Senza sconti peròsul pilastro autentico del sistema di protezione sociale naziona-

I pilastrisiamo noi

di Gennaro Rocco

E D I T O R I A L E

le, quello che deve restare centrale: l’universalità delle presta-zioni e la solidarietà mutualistica.In questa chiave, le proposte del Governo e quelle dell’opposi-zione presentano entrambe aspetti interessanti su cui varrebbela pena di lavorare per integrarli in un disegno complessivoequilibrato e più efficiente.Il sistema “multipilastro” indicato dal ministro Sacconi appareinteressante per le tutele assicurate ai cittadini dal criterio diuniversalismo selettivo, che può rivelarsi utile nel contenereeccessi di spesa e sprechi, specie nei campi della diagnostica edella farmaceutica. Tuttavia, l’esperienza maturata in altri Paesisuggerisce che tale sistema non può prescindere da alcunipaletti: la parità di accesso alle prestazioni, la sostenibilitàfinanziaria, il controllo della qualità dei servizi resi. Valutiamo con favore anche gli indirizzi contenuti del progettodi riforma che riguardano la revisione dei LEA con l’introduzio-ne anche di criteri quantitativi delle prestazioni correlati allemigliori pratiche diagnostiche e terapeutiche, lo sviluppo del-l’assistenza territoriale. Su questo piano la sfida con la compo-nente privata che opera in ambito sanitario non può che essereproduttiva per tutti, cominciando dai cittadini e dagli operatori.Tra le osservazioni avanzate dall’opposizione parlamentare,quella riferita al mancato compimento del processo di autono-mia professionale ci trova particolarmente d’accordo. C’è l’as-

soluta necessità di procedere rapidamente alla riforma dellerappresentanze professionali, trasformando il nostro Collegio inOrdine ed istituendo i nuovi Ordini delle professioni che ancorane sono sprovviste. Così pure condividiamo la richiesta di unadiversa integrazione con la componente medica, su basi final-mente nuove e rispettose della straordinaria evoluzione che leprofessioni sanitarie, e quella infermieristica in particolare,hanno messo a segno in questi anni. Piena sintonia, inoltre,sulla spinta da conferire alla valorizzazione dell’infermiere esull’attribuzione alla professione di un’autonomia vera, con l’at-tivazione della Dirigenza in tutte le Aziende Sanitarie eOspedaliere. Su queste basi siamo convinti che possa essere scritta unapagina importante per la sanità italiana, all’insegna di presta-zioni di qualità garantite da chi ha le competenze e l’esperien-za per farlo. Guardare alla crescita dell’integrazione dei servizisocio-sanitari, approfittando anche di quanto sperimentato consuccesso in altri Paesi a sanità avanza, significa valorizzare almeglio le professioni sanitarie che si occupano della personaassistita nella sua globalità, a stretto contatto con la moltepli-cità delle sue esigenze cliniche, umane e relazionali. E allora, attenzione: non c’è welfare senza infermieri; una rifor-ma che prescinde dalla centralità della nostra professione nonpuò funzionare. I veri pilastri del sistema siamo noi.

E D I T O R I A L E

2

Il “caregiving”a persone anzianein Sardegnadi Ercole Vellone, Giovanni Piras

LIl presente articolo ha vinto l’ultimaedizione del Premio per la ricerca indettodal Collegio Ipasvi di Roma.

ABSTRACTLo scopo di questo contributo è statoquello di valutare diversi aspetti delcaregiving a persone anziane residentiin Sardegna. Con uno studio descrittivo, correlaziona-le e comparativo, sono stati analizzati80 caregiver di soggetti anziani, resi-denti in aree metropolitane, urbane erurali, che fornivano l’assistenza peralmeno quattro ore settimanali.I dati sono stati raccolti con il questio-nario dello studio Eurofamcare che inda-gava vari aspetti del caregiving, la salu-te e il benessere del caregiver, i serviziutilizzati e i problemi comportamentali,di memoria e fisico/funzionali dell’an-ziano.I caregiver studiati erano, nella maggiorparte dei casi, figlie di pazienti, conun’età media di quasi 60 anni e un livel-lo scolastico medio-basso. Gli anzianiassistiti avevano un’età media di 85anni, nel 72% dei casi erano donne etutti moderatamente o gravementedipendenti. Il 51% di loro aveva problemi di memo-ria, il 27% era affetto da demenza e il41% presentava disturbi comportamen-tali. Il 17% dei caregiver studiati eradepresso e, nella maggior parte dei casi,ha lamentato la scarsità di servizi disupporto, fermo restante che, quasi il100%, aveva una concezione “positiva”del caregiving.I punteggi alle scale del benessere,stress e qualità di vita erano medi.L’analisi statistica ha mostrato che i

caregiver residenti in zone metropolita-ne avevano una qualità di vita più eleva-ta e livelli di stress più bassi rispetto aicaregiver residenti in zone urbane erurali. I caregiver che assistevanopazienti con problemi di memo -ria/demenza e comportamentali aveva-no livelli di qualità di vita, stress edepressione più elevati e benessere piùbasso rispetto ai loro pari che assisteva-no anziani senza questi problemi. Vengono discussi i risultati in relazionealla loro utilità per la programmazionedelle politiche sanitarie e delle cure pri-marie nella regione Sardegna.

INTRODUZIONEA causa del rapido invecchiamento dellapopolazione, l’Italia, oggi, è conside-rata uno dei Paesi con la più altapercentuale di anziani (Golini, 2000;Kinsella and Velkoff 2001; UnitedNations 2003). Questo dato, seppur accompagnato daun miglioramento dello stato di salutedegli anziani, ha comportato un aumen-to delle malattie cronico-degenerative edelle disabilità: si stima, infatti, che,attualmente, il 5% degli anziani è disa-bile e che nel 2010 questa percentualeraddoppierà (Ranci, 2001). Attualmente, la famiglia rappresentala fonte di assistenza principale pergli anziani con disabilità (Censis,1999) per cui, parallelamente allo studiodelle problematiche sanitarie specifichedi questa fascia della popolazione, cre-sce sempre di più l’interesse per i lorocaregiver (Vellone et al., 2002a; Velloneet al., 2002b). Non a caso, come riportato in letteratu-ra, lo stress dovuto all’assistenza di un

anziano disabile ne può comportarel’istituzionalizzazione, con conseguentediminuzione della sua qualità di vita eaumento della spesa sanitaria(Argimon, Limon, Vila & Cabezas, 2005;Challis, 1992). Alla luce di questa considerazione, lostudio del “mondo” del caregiver èdiventato una priorità per l’Italia e pertutti i paesi occidentali. Secondo i dati demografici del2003, la popolazione italiana resi-dente era di 57.321.070 persone, dicui 10.901.149, pari al 19%, anziani. In Sardegna la popolazione anziana resi-dente, riferita allo stesso periodo, era di268.692 su un totale di 1.637.639 abi-tanti, pari al 16,40% (Istat, 2004). Così,anche se l’isola ha una percentuale piùbassa di anziani rispetto al restodell’Italia, sta comunque vivendo il pro-blema dell’invecchiamento della popo-lazione, con tutti i problemi ad esso con-nessi. In altre regioni italiane, il caregiving apersone anziane disabili ha suscitato undiscreto interesse (Balla et al., 2007;Neri et al., 2007; Uderzo, Caputo, &Laquintana, 2000; Tibaldi et al., 2004),invece, per quanto riguarda i caregiverdi persone anziane residenti inSardegna, non risultano studi di ricerca.Considerate le possibili differenze cultu-rali esistenti tra il popolo sardo ed ilresto dell’Italia, possiamo ipotizzare cheil caregiving a persone anziane, in que-sta regione, abbia delle caratteristichepeculiari che necessitano di studi speci-ficatamente condotti.Avere delle conoscenze certe, prove-nienti da un’indagine condotta conmetodo scientifico sulla situazione dei

3

4

caregiver di persone anziane residenti inSardegna, rappresenta un primo passoper poter indirizzare le cure primarie.

LETTERATURALa parola “caregiving” deriva da dueverbi della lingua inglese: “to care”(assistere, prendersi cura) e “to give”(dare, fornire).Il caregiver è un fornitore di assi-stenza informale, in genere unmembro della famiglia, che si pren-de cura di una persona in stato dinecessità, malata o anziana. Questisi occupa del proprio assistito perla maggior parte della giornata,svolgendo a volte un vero e proprioruolo terapeutico. Nella letteratura sono presenti numero-si studi riguardanti il caregiving all’an-ziano, tutti tendenti ad analizzare ledinamiche positive e negative conse-guenti a quell’insieme di processi assi-stenziali che vengono forniti a soggettiche hanno bisogno di cure.L’80-90% dei pazienti anziani bisognosi diassistenza sono assistiti in famiglia: il70% dei fornitori di assistenza sonodonne ed 1/3 di loro eroga servizi equiva-lenti ad un lavoro a tempo pieno (Golini,2000). I familiari che assistono un pazien-te anziano non autosufficiente devonosostenere un pesante carico assistenzia-le (Zarit et al., 1982): è dimostrato, infatti,che essi (come nel caso della demenza)sono particolarmente a rischio di accusa-re sintomi di stress, nervosismo, astenia,inappetenza ed insonnia (Sansoni, etal.,1999; Sansoni et al., 2004).Frequentemente, viene rilevata unadepressione dell’umore nei caregiver equesto si correla positivamente ad unconsumo di psicofarmaci significativa-mente superiore rispetto alla popolazio-ne generale (Zanetti, et al.,1989;Vaccaro, 2000; Vellone, et al., 2002a). Spesso, stress, ansia e depressioneconseguente al caregiving si sono dimo-strati correlati tra loro ed associati convariabili simili: sono i fattori sociali, psi-cologici e dipendenti dalle manifesta-zioni delle malattie dell’anziano checontribuiscono all’instaurarsi di condi-zioni di stress, depressione ed ansia(Wright, 1994). Miller (1989) notò che lo stress era

determinato dai comportamenti delpaziente, ma non sempre era associatocon un’esperienza distruttiva per il care-giver. Alcuni autori hanno osservato chelo stress si produce nel caregiver quan-do l’anziano manifesta sintomi qualiallucinazioni, depressione, insonnia,incontinenza, agitazione, declino cogni-tivo, vagabondaggio e riduzione nelleattività del vivere quotidiano (Gallagher-Thompson et al., 1992; Heok et al. ,1997; Donaldson et al., 1998; Gonzalez-Salvador et al., 1999). Altre variabili, trovate in associazionecon lo stress, sono state l’età avanzatadel paziente (Jones e Peters, 1992) el’eccessiva durata dell’assistenza (Heok,et al. , 1997; Gonzalez-Salvador et al.,1999), anche se, in merito a quest’ulti-ma, ci sono dati contrastanti (Uderzo, etal., 2000). I servizi di supporto al caregiver nonsempre si sono dimostrati capaci diridurne lo stress. Infatti, alcuni autorihanno riscontrato una notevole riduzio-ne dello stress successiva ad interventiche migliorano il coping (Larkin, 1993),mentre altri non ne hanno evidenziatoalcuna utilità (Winslow, 1997).Secondo Hooker, et al., (1998), è, soprat-tutto, la personalità del caregiver adavere la meglio nello sviluppo dellostress. Tuttavia, è stato dimostrato chegli interventi educativi e di supportosociale e psicologico, soprattutto alungo termine, hanno effetti benefici(Goode et al. 1998; Hosaka et al., 1999).Aneshensel et al., (1993) hanno dimo-strato che lo stress da caregiving non si

riduce, malgrado il caregiver usufruiscadi servizi di respite e che questa condi-zione è inversamente proporzionale algrado di speranza e di benessere prova-to (Irvin, et al., 1997).Un altro disturbo frequentementeriscontrato nei caregiver di personeanziane è l’ansia che ha dimostrato rela-zioni con variabili molto simili allostress: Stephens et al., (1991) hannoevidenziato che l’ansia da caregivingera condizionata dai comportamenti delpaziente e dalla relazione antecedentel’insorgenza di malattie e che, anchesuccessivamente all’istituzionalizzazio-ne dell’anziano, questa non diminuiva diintensità.Neundorfer (1991) notò che l’ansia eracorrelata con i problemi cognitivi e com-portamentali del paziente e con lo stressda caregiving, mentre altri autori hannoosservato che sono maggiormente pre-disposte all’ansia le donne e che i sup-porti sociali risultano maggiormenteutili proprio a quest’ultime (Parks et al.,1991). Anche Jones, et al., (1992) hannoosservato che l’ansia è preponderan-te nel sesso femminile.Inoltre, gli stessi autori hanno constata-to che essa era maggiormente presentetra i caregiver che vivevano soli o cheavevano problemi fisici (Schulz, et al.,1995) e che è correlata positivamentecon la disabilità dell’anziano (Jones etal., 1992).In altri studi, è emerso che l’ansia e ladepressione da caregiving si riscontrapiù facilmente nei caregiver che hannoavuto precedenti disturbi di tipo psichia-

trico (Russo et al., 1995) e che talidisturbi si correlano con il livello didipendenza fisico/funzionale dell’anzia-no, l’eccessivo carico assistenziale e larichiesta continua di supporto sociale(Winslow, 1997). Anche la depressione è stata ampia-mente ritrovata tra i caregiver di perso-ne anziane.Beeson et al., (2000) e Bergman-Evans(1994), hanno notato che la depressioneè significativamente correlata con lasolitudine e la qualità della relazionecon l’anziano.Tra le caratteristiche dell’anziano predit-tive di depressione nei caregiver è stataritrovata la sua più giovane età e la gra-vità delle condizioni (ad esempio, condisturbi comportamentali); le caratteri-stiche del caregiver predittive di depres-sione comprendevano il basso reddito,la relazione con il paziente (le mogli e lefiglie erano più depresse di altri caregi-ver) e lo stato di salute (Fuh et al., 1999).Sono stati studiati, più in generale,anche i bisogni dei caregiver in terminidi supporto necessario e Wackerbarth &Johnson (2002) hanno evidenziato chele informazioni su come assistere l’an-ziano ed un supporto “materiale” sonogli aspetti che più venivano presi in con-siderazione tra i caregiver da loro stu-diati. Questi autori hanno anche eviden-ziato che le donne caregiver residenti inaree rurali avevano più bisogno di soste-gno e di poter interagire con gli altririspetto a quelle che vivevano in centriurbani (Wackerbarth & Johnson, 2002). In sintesi, la letteratura riporta che for-nire assistenza ad una persona anzianadisabile e affetta da disturbi cognitivi ecomportamentali è fonte di alti livelli distress, ansia, depressione e diminuzio-ne della qualità di vita per i caregiver,soprattutto se figlie e mogli dell’anzianoe con bassi reddito. Il supporto psico-logico, assistenziale ed educativofornito ai caregiver è in grado diridurre gli effetti negativi dell’assi-stenza.

METODODomande di ricercaPer questo studio, sono state formulatele seguenti domande di ricerca:1. Qual è lo stato di salute psicofisica

(depressione, effetti del caregiving,

qualità di vita, benessere e stress)dei caregiver che forniscono assi-stenza ad un anziano ultra 65enneresidente in Sardegna per più diquattro ore settimanali?

2. Qual è lo stato di salute psicofisicadegli anziani residenti in Sardegnaassistiti dai caregiver (dipendenza,memoria, disturbi comportamentali,bisogni, stato cognitivo)?

3. Quali sono le problematiche princi-pali causate dal caregiving?

4. Quali sono i servizi e i supporti giàesistenti per l’anziano e il caregi-ver?

5. Quali servizi e supporti vengono uti-lizzati?

6. Qual è l’esperienza dei caregivernell’utilizzo di questi servizi e sup-porti?

7. Quali problematiche esistono tracaregiver e mondo del lavoro?

8. Quali sono gli orientamenti delcaregiver riguardo all’assistenzafutura?

9. Esistono differenze significative tracaregiver e pazienti residenti in areemetropolitane, urbane e rurali inrelazione alle variabili indagate?

10. Esistono differenze significative trale variabili studiate in relazione aidati socio-demografici dei caregivere degli anziani?

11. Quali variabili si relazionano inmodo significativo con la depressio-ne, effetti del caregiving, qualità di

vita, benessere e stress dei caregi-ver sardi che forniscono assistenzaad un anziano?

Disegno dello studioE’ stato utilizzato un disegno descrittivo,correlazionale e comparativo.

CampionePer le procedure di campionamentosono state seguite quelle utilizzate nellostudio “Eurofamcare (2006), Services forsupporting family carers of elderly peo-ple in Europe: caracteristics, coverageand usage: un ampio studio europeo,condotto per indagare sui servizi di sup-porto ai caregiver di pazienti anziani”. Sono stati arruolati 80 caregiver di sog-getti anziani (persone con età superiorea 65 anni) residenti in Sardegna. Il cam-pione arruolato è stato di tipo stratifica-to, a seconda del luogo di residenza del-l’anziano e del caregiver. Considerate le domande di ricerca, poi-ché il luogo di residenza poteva costitui-re un bias per permettere una successi-va generalizzazione dei risultati su tuttala regione Sardegna, in proporzione alladensità della popolazione ultra 65enneresidente in aree rurali, urbane e metro-politane (rispettivamente il 50%; 38% e12%), sono stati arruolati rispettiva-mente: 40, 30 e dieci caregiver. Il proto-collo dello studio prevedeva che, peressere arruolato, questi dovesse presta-re almeno quattro ore di assistenza set-

5

6

timanale ad un anziano ultra 65enne.

Strumenti E’ stato utilizzato il questionario dellostudio Eurofamcare, composto da 211domande.Tale questionario è stato sviluppatodurante la prima fase dello studio euro-peo da un gruppo di esperti internazio-nali, allo scopo d’indagare diversedimensioni legate all’assistenza familia-re ad un anziano (Eurofamcare 2006).Il questionario Eurofamcare indaga leseguenti dimensioni, anche utilizzandoapposite scale: 1. dati socio-demografici riguardanti il

caregiver e l’anziano (27 item);2. bisogni dell’anziano (7 item);3. problemi comportamentali dell’an-

ziano e relativo stress percepito dalcaregiver. Gli item di questa dimen-sione sono stati tratti dalla scalaBisid (Behavioural and InstrumentalStressors in Dementia) (Keady et al;1996). Questa scala, tipo Likert, ècomposta da 22 item e divisa in tresottoscale che misurano: la frequen-za dei disturbi comportamentali delpaziente (Bisid paziente); il livello diautonomia nelle Adl e la frequenzadei problemi di incontinenza. Perogni item l’intervistato deve ancheriportare il grado di stress percepito(Bisid caregiver). Il punteggio dellaBisid paziente può andare da 12 a60, mentre quello della Bisid caregi-ver da 12 a 48. Alti punteggi alledue scale significano, rispettiva-mente: maggiore frequenza di pro-blemi comportamentali e alti livellidi stress percepito dal caregiver. Lascala è stata testata per la validità el’affidabilità (Keady et al; 1996). Perlo studio Eurofamcare è stata utiliz-zata solo la sottoscala riguardantela frequenza dei disturbi comporta-mentali e il relativo stress percepitodal caregiver. La consistenza internaper questo studio, valutata con l’al-fa di Cronbach, ha dato un coeffi-ciente di 0,92 per la Bisid paziente e0,87 per la Bisid caregiver;

4. grado di dipendenza dell’anziano (unitem);

5. Adl/Iadl (18 item). Otto item sonostati estratti dalla scala di Lawton

(Lawton et al;1969) che ha un pun-teggio che varia da 0 a 16; dieciitem sono stati estratti dall’Indice diBarthel (Mahoney et al; 1965) cheha un punteggio da 0 a 100. Tuttequeste scale valutano il grado diautonomia nello svolgimento delleattività di base e strumentali dellavita quotidiana. Per entrambe lescale, alti punteggi indicano mag-giori livelli di autonomia.L’affidabilità in questo studio dellaIadl e dell’Indice di Barthel, valutatacon l’alfa di Cronbach, ha dato uncoefficiente rispettivamente di 0,65e 0,86;

6. fattori che influenzano la decisionedi assistere (11 item);

7. impatto negativo, valore positivo equalità del supporto del caregiving(15 item). Questi item sono statiestratti dal Cope Index (McKee et al;2003). Questa scala (tipo Likert) èstata sviluppata attraverso uno stu-dio transeuropeo a cui ha partecipa-to anche l’Italia. Lo strumento èstato testato per la validità di conte-nuto, per la validità relativa a crite-rio e per il costrutto. E’ suddivisa intre sottoscale (impatto negativo,valore positivo e qualità del suppor-to del caregiving). La consistenzainterna di questo strumento per ilpresente studio, valutata con l’alfadi Chronbach è stata di 0,84 per lasottoscala dell’impatto negativo, di0,76 per il valore positivo e 0,03 peril supporto del caregiving (totaleconsistenza della scala 0,83). Unpunteggio basso alla sottoscala del-l’impatto negativo (punteggio teori-co: da 6 a 24) indica un livello diimpatto negativo più accentuato. Unpunteggio alto alla sottoscala delvalore positivo (punteggio teorico:da 5 a 20) indica alti livelli di impat-to positivo. La sottoscala del sup-porto del caregiving non ha un pun-teggio come suggerito dagli autori(McKee et al; 2003), poiché ogniitem riguarda aspetti diversi delsupporto. Ad ogni modo, un punteg-gio elevato ad ogni singolo itemesprime un maggior grado di sup-porto ricevuto;

8. salute in generale (un item). Questo

item è stato estratto dalla scala SF-36 (Ware et al; 1992) che è ampia-mente utilizzata per misurare laqualità di vita e le sue dimensionitra cui la salute. Interroga l’intervi-stato su come giudica la sua salutenelle ultime due settimane e le pos-sibili risposte vanno da “eccellente”(a cui viene dato un punteggio 1) a“cattiva” (a cui viene dato punteg-gio 5). Bassi punteggi a questo itemindicano uno stato di salute miglio-re;

9. benessere (5 item). Questi itemsono stati estratti dal Who Well-Being Index (Whowbi), (Bech, 1990),che misura il livello benessere per-cepito dalla persona. La consistenzainterna nel presente studio ha avutoun coefficiente di 0,80. Ogni itempuò avere una possibile risposta da“sempre” (a cui viene dato punteg-gio 5) a “mai” (a cui viene dato pun-teggio 0). Alti punteggi a questascala indicano un benessere miglio-re;

10. qualità di vita globale (un item).Questo item è stato estratto dalla

scala Whoqol brief (Whoqolb),(Angermeyer et al; 2000) ed interro-ga l’intervistato sulla qualità dellasua vita nelle ultime due settimane.Le possibili risposte possono andareda: “molto cattiva” (a cui viene datopunteggio 5) a “molto buona” (a cuiviene dato punteggio 1). Alti pun-teggi indicano una peggiore qualitàdi vita;

11. Mini mental state examination(Mmse), (Folstein et al., 1975). Sitratta di uno strumento che valuta lostato cognitivo del paziente. La suaconsistenza interna ha dato valorimolto elevati in vari studi, dimo-strando così una notevole affidabili-tà (da 0.68 a 0.95), (Tombaugh et al.,1992). I valori di questa scala posso-no variare da 0 a 30. Un punteggio0-17 equivale ad un severo impove-rimento cognitivo, uno tra 18-23 adun medio impoverimento cognitivoed infine un punteggio da 24-30 anessuno deficit cognitivo (Tombaughet al., 1992). L’alfa di Crombach diquesta scala nel presente studio èstato pari a 0.83;

12. Neuropsychiatric Inventory (Npi),

(Cummings et al., 1994). Si tratta diuna scala di valutazione dei disturbicomportamentali, in grado di valuta-re, sulla base delle informazioniottenute dal caregiver, la frequenzae la gravità dei disturbi comporta-mentali quali deliri, allucinazioni,agitazione-aggressività, disforia-depressione, ansia, euforia, apatia,disinibizione, irritabilità, comporta-mento motorio aberrante, disturbidel sonno e dell’alimentazione. Idisturbi comportamentali sono gra-duati con un punteggio differenziatoper frequenza (1-4) e gravità (1-3)che devono essere moltiplicati perogni item. Il punteggio finale variada un minimo di 1 a un massimo di12. Ad ogni disturbo comportamen-tale è associato il relativo stress delcaregiver che è graduato con unpunteggio da 1 a 5. Punteggi altiindicano una condizione di stresspiù elevato da parte del caregiver. E’stato dimostrato che questa scalasia uno strumento valido e affidabi-le per la valutazione dei disturbicomportamentali nei pazienti affettida vari tipi di demenza. L’alfa di

Crombach di questa scala nel pre-sente studio è stato di 0.57;

13. utilizzo di servizi e di organizzazionidi sostegno, con relativi costi e fre-quenza, e grado di soddisfazione delservizio fruito (14 item);

14. tipologia di servizi non più utilizzatima ancora necessari (un item);

15. tipologia di servizi mai utilizzati manecessari (un item);

16. motivazioni del non utilizzo dei ser-vizi (un item);

17. tipologia di aiuto per accedere aiservizi o per l’ottenimento di sup-porto (un item);

18. ostacoli per accedere ai servizi o perl’ottenimento di supporto (un item);

19. spese dovute all’assistenza (unitem);

20. importanza dei servizi di supporto(16 item);

21. importanza delle caratteristiche deiservizi (14 item);

22. disponibilità ad occuparsi dell’assi-stenza all’anziano nel futuro (unitem);

23. disponibilità a considerare l’istitu-zionalizzazione dell’anziano (unitem);

24. ruolo, responsabilità ed effetti delcaregiving sulla vita (9 item);

25. composizione del nucleo familiare (2item);

26. titolo di studio (un item);27. attività di studio-istruzione (2 item);28. attività lavorativa ed eventuale

cambiamento (7 item);29. reddito (4 item);30. sussidi economici pensioni o asse-

gni ricevuti dal caregiver e/o dal-l’anziano (8 item);

31. giudizio sul livello delle spese lega-te all’assistenza dell’anziano (2item);

32. difficoltà incontrate nell’assistenza,interventi utili e agevolazioni (6item);

33. livello di memoria del paziente (unitem);

34. opinioni sulla possibilità di ricoveroe assistenza all’anziano (7 item);

35. esistenza, sul territorio di residenzadel caregiver, di attività di volonta-riato a favore di anziani disabili (unitem);

36. depressione del caregiver. E’ statamisurata con la sottoscala della

7

8

depressione dell’ Hospital anxietyand depression scale (Hads-d),(Zigmond et al., 1983). Si tratta diuna scala, tipo Likert, ampiamenteutilizzata negli studi scientifici. Laconsistenza interna di questo stru-mento, nel presente studio, ha datoun coefficiente alfa di 0,83. Il pun-teggio della scala può andare 0 a21. Alti punteggi stanno a significa-re livelli più elevati di depressione.Gli autori di questo strumento(Zigmond et al., 1983) sostengonoche i soggetti che ottengono un pun-teggio inferiore a 7 non sianodepressi; coloro che hanno un pun-teggio da 8 a 10 siano casi dubbi;per un punteggio superiore a 11, visia depressione;

37. due domande aperte sulle proble-matiche dei familiari che assistonopersone anziane e sul tipo di soste-gno più utile.

ProcedurePer arruolare il campione sono statecontattate associazioni di volontariato,comunità parrocchiali e medici di medi-cina generale dei comuni di Cagliari(area metropolitana), Arbus e Guspini(area urbana), Ghilarza e Abbasanta(area rurale).Venti pazienti sono stati reclutati con-tattando operatori del settore sociale emedico, 38 tramite organizzazioni reli-giose (parrocchie), 11 con la modalitàporta a porta, altri 11 con la tecnicadello snow-ball (ossia, chiedendo agliintervistati di fornire nominativi di per-sone che vivessero gli stessi problemi).Quando venivano contattati i potenzialipartecipanti aventi le caratteristiche diinclusione nello studio, veniva illustratoloro l’obiettivo dello studio e ne venivachiesto la partecipazione. Se il caregi-ver forniva il suo consenso, si procedevaad intervistarlo. Tutti i caregiver contattati hanno accet-tato di partecipare allo studio.

RISULTATII dati raccolti sono stati sottoposti a pro-cedure di statistica descrittiva per il cal-colo di frequenze, misure di tendenzacentrale (media) e di dispersione (devia-zione standard).

L’analisi statistica è stata effettuata conil programma Spss versione 10. Per lescale sono stati ottenuti i relativi pun-teggi. Al fine di ritrovare relazioni tra variabilistatisticamente significative sono staiutilizzati test di statistica inferenzialequale il t test di Student, il test Anova el’r di Pearson. Data la copiosità dei dati raccolti, si ècercato di aggregarli in modo logico, alfine di permetterne una trattazione piùorganica.

Gli anziani assistitiIl 50% degli anziani assistiti viveva inzone rurali; il 72,5% era donna e avevaun’età media di quasi 85 anni (tabella1). Più del 40% di loro erano vedovi eoltre l’80% viveva a casa propria. Solo il

25% degli anziani viveva da solo; irestanti vivevano con i figli, il coniuge ocon assistenti retribuiti. Il reddito mediomensile era di 716 Euro. Tutti titolari dipensione. Con l’utilizzo delle scale descritte prece-dentemente, sono state misurate alcunevariabili riguardanti l’autonomia, i pro-blemi comportamentali ed il livellocognitivo degli anziani; con i punteggidelle scale è stato calcolato un numeromedio per tutto il campione. Inoltre,ponendo un cut-off sui punteggi medipossibili per ogni singola scala, sonostate fatte due categorizzazioni e calco-late le relative frequenze.Come si può osservare nella tabella 2, il100% ed il 77,50% degli anziani avevapunteggi bassi rispettivamente alla Iadled alla Barthel (bassa autonomia); sul

Tabella 1. Dati socio-demografici degli anziani (n = 80)

Variabile Media(SD) Ranger N %

Zona residenzaMetropolitana 10 12,5Urbana 30 37,5Rurale 40 50

Sesso Maschi 22 27,5Femmine 58 72,5

Età 84,03 (8,35) 65-99

Stato civileConiugati 23 28,8Vedovi/e 44 55,0Celibe/Nubile 13 16,3

ResidenzaA casa 65 81,3Casa di riposo 15 18,7

Con chi vive Da solo 20 25Con figli 27 33,8Coniuge/Comp. 22 27,5Persona pagata 11 13,8

Reddito* 716,67(194,08) 450-950

*a questa domanda hanno risposto solo 26 caregiver

livello cognitivo, più di un quarto deglianziani aveva un punteggio basso alMmse (livello cognitivo basso). La tabella 3 riporta il numero e la percen-tuale degli anziani in relazione a diversigradi di dipendenza. Come già rilevato

con la scala Iadl e Barthel, i soggetti assi-stiti dai caregiver, nei tre quarti dei casi,erano gravemente dipendenti. Sono ripor-tati nella stessa tabella anche il numero ele percentuali dei soggetti aventi proble-mi di memoria: più della metà dei caregi-

ver intervistati ha dichiarato che i loroassistiti avevano problemi di memoria,riconducibili a demenza (quasi la metà deisoggetti con problemi di memoria) o adaltre patologie. Poco più del 40% degli

Tabella 2. Punteggi ottenuti alle scale dagli anziani (n = 80)

Scala M(SD) Ranger N %

Iadl 1,75 (1,83) 0-8(0-16)*Iadl 0 – 8 80 100Iadl 9 – 16 0 0Barthel 40,43 (23,67) 0-95(0-100)Barthel 0-50 62 77,50Barthel 51-100Bisid Paziente 22,71 (9,13) 12-4512-60Bisid Paziente12-36 69 86,3Bisid Paziente37-60 11 13,7Npi Paziente 36,71 (16,48) 0-79(0-144)Npi 0-72 79 98,8Npi 73-144 1 988Mmse 17,04 /7,53) 4-30(0-30)Mmse 21 26,220-15Mmse 59 73,7816-30

* in parentesi i potenziali punteggi delle scale

Tabella 3. Dipendenza e problemi di memoria e comportamentali dell’an-ziano (n=80)

Variabile Media(SD) Ranger N %

Grado dipendenza(riferito dal caregiver)

Grave 61 76,3Moderato 19 23,8Lieve 0 0Indipendente 0 0

Problemi di memoria 41 51,3

Problemi di memoria dovuti a demenza 22 27,5*

Problemi di memoria dovutia malattie diverse 19 13,5*

Problemi comportamentali 33 41,3

* percentuali riferite ai 22 anziani con problemi di memoria

Tabella 4. Bisogni degli anziani(n=80)

Bisogno N %

Assistenzasanitaria/infermieristica 53 66,3

CompletamenteParzialmente 27 33,8Non ha bisogno 0 0

Assistenza per attività quotidianeCompletamente 52 65Parzialmente 26 32,5Non ha bisogno 2 2,5

MobilitàCompletamente 58 72,5Parzialmente 20 25Non ha bisogno 2 2,5

Affettivo/psicol./socCompletamente 73 91,3Parzialmente 7 8,8Non ha bisogno 0 0

Domestico/alberghieroCompletamente 77 96,3Parzialmente 3 3,8Non ha bisogno 0 0

FinanziarioCompletamente 77 96,3Parzialmente 3 3,8Non ha bisogno 0 0

Sostegno economicoCompletamente 3 3,8Parzialmente 15 18,8Non ha bisogno 62 77,5

Organizzazione/GestioneCompletamente 72 90Parzialmente 7 8,8Non ha bisogno 1 1,3

9

10

anziani presentavano anche problemicomportamentali. Alcune domande del questionarioEurofamcare indagavano i bisogni del-l’anziano e il grado di aiuto necessario alloro soddisfacimento. Come è possibilerilevare dalla tabella 4, quasi il 100% deisoggetti aveva necessitava di un aiuto“completamente” o “parzialmente” perquasi tutti i bisogni elencati, con la solaeccezione del sostegno economico.

I caregiverLa maggior parte dei caregiver eranofigli dei pazienti, di sesso femminile econ un’età media di quasi 60 anni(tabella 5). Oltre il 70% di loro era com-posto da soggetti coniugati-conviventiche aveva figli (in media 2-3 figli). Quasiil 30% aveva anche nipoti. Il nucleofamiliare dei caregiver era composto inmedia da due-tre persone, caregiverincluso.Il livello scolastico dei caregiver erapiuttosto basso (quasi l’80% aveva unascolarità compresa tra la scuola ele-mentare e media inferiore); il 65% delcampione non è occupato, mentre oltreil 40% pensionato. Il reddito mediomensile dichiarato dai caregiver supera-va di poco i 1000 euro. La quasi totalitàdi loro ha affermato di essere: “moltoreligioso” o “abbastanza religioso”.

Aspetti del caregivingCon il questionario Eurofamcare sonostati prese in esame molti aspetti con-nessi al caregiving riportati, poi, nellesuccessive tabelle. Nella tabella 6, viene riportata la distan-za di residenza tra caregiver e anziano: idati ottenuti evidenziano che il 90%degli anziani sardi assistiti viveva con ilproprio caregiver, oppure ad una distan-za raggiungibile a piedi. Anche se lamaggior parte dei caregiver assistevaun solo anziano, una piccola parte (10%)si occupava anche di due anziani. Mediamente un caregiver si occupavadell’assistenza all’anziano per più di 100ore a settimana che, divise per settegiorni, fanno più di 14 ore al giorno. I caregiver intervistati si prendevanocura del loro anziano in media da quasiquattro anni. I dati mettono anche in rilievo come il

Tabella 5. Dati socio-demografici dei caregiver (n = 80)

Variabile Media(SD) Ranger N %

Parentela con anzianoConiuge 12 15Figlio/a 30 37,5Fratello/Sorella 8 10Genero/Nuora 12 15Nipote 8 10Altro 10 12,5

Età 59,79 (12,87) 24-83Sesso

Maschi 10 12,5Femmine 70 87,5

Stato civileConiugato/Convivente 57 71,3Vedovo/a 4 5Divorziato/Separato 1 1,3Celibe/Nubile 18 22,5

FigliSì 58 72,5No 21 26,3

Numero di figli 2,51 (1,33) 1-7Nipoti

Sì 23 28,8No 57 71,3

Numero di persone viventi 2,65 (1,27) 1-6con il caragiver (lui escluso) 11 13,8

ScolaritàElementare 39 48,8Media Inferiore 23 28,8Media Superiore 13 16,3Laurea 5 6,3

Occupati 12 15Occupati privato 8 10Occupati pubblico 3 3,8Lavori autonomi 1 1,3

Ore di lavoro/settimanali# 27,33 (9,41) 15-45

Non occupati 68 65Pensionati 34 42,5Disoccupati 8 10Casalinghe 24 30Studente 1 1,3

Reddito familiare* 1068,38 (275,22) 200-1,540

ReligioneNon religioso 2 2,5Abbastanza religioso 44 55Molto religioso 34 42,5

# Questo dato si riferisce solo ai caregiver che lavorano * a questa domanda hanno risposto solo 26 caregivers; 50 caregivers dichiarano dinon conoscere il reddito; quattro caregiver si sono rifiutati di rispondere

forte legame affettivo sia l’elementopiù importante (100% del campione) cheaveva portato il caregiver a prendersicura dell’anziano. Di particolare interesse, appaiono lealtre motivazioni espresse. Infatti, il90% di essi ha dichiarato che prendersicura dell’anziano: “fa sentire bene”;l’80% ha interpretato questo compito

come un dovere; mentre oltre il 70%considerava l’assistenza all’anziano unobbligo.A fronte di queste “nobili” motivazioni,ne sono emerse delle altre che conside-ravano il caregiving all’anziano unafonte di guadagno (70%), oppure neces-sario in quanto non esistevano alterna-tive al problema. E’ emerso dai dati che

anche le convinzioni religiose (70%) el’alto costo dell’assistenza privata(50%) motivavano il caregiver. Nelle tabelle 7 e 8 sono riportati nume-ro e percentuali di caregiver in relazioneall’aiuto e al non aiuto che potevanoricevere in situazioni di necessità o perprendersi una pausa dall’assistenza. Irisultano ottenuti indicano che il 50%dei caregiver riteneva di andare incontroalmeno a qualche difficoltà nell’avereun aiuto nell’assistenza, in caso di pro-blemi di salute.La percentuale dei caregiver che espri-meva difficoltà raggiungeva il 75% nelcaso di bisogno di una pausa dall’assi-stenza.I caregiver venivano anche intervistatiriguardo alla frequenza di alcune proble-matiche vissute. I risultati della tabella 9 mostrano che:“la paura che possa succedere qualco-sa” e il “vedere la persona cara ridottacosì” coinvolgevano più dell’80% deicaregiver.L’affaticamento fisico e la tensione ner-vosa interessavano circa la metà delcampione. Di notevole rilievo appare il datoriguardante la riduzione del tempolibero, l’impossibilità di poter andarein vacanza e di uscire di casa e la per-dita o riduzione delle amicizie conse-guenti al carico assistenziale. Più di unterzo del campione ha riportato, inol-tre, di non riuscire a riposare la notte,mentre solo una piccola percentualedei caregiver ha lamentato delle diffi-coltà legate all’aspetto economicoconseguente al caregiving. Dai risultati riportati, emerge, inoltre, cheil principale fornitore di assistenza esostegno all’anziano sia il caregiver inter-vistato: infatti, l’aiuto fornito all’anzianoda altri caregiver risultava del tutto mar-ginale. Questo forte coinvolgimento delcaregiver principale nel soddisfacimentodei bisogni dell’anziano, riguardanti lediverse aree prese in esame, non trovavariscontro nell’area economico-finanziariain cui l’anziano, pur essendo “bisognoso”di risorse economiche per far fronte alleesigenze assistenziali, non usufruiva dialcun supporto da parte del caregiver,giacché titolare di pensione e/o altri sus-sidi economici.

Tabella 6. Dati riguardanti la tipologia della sede e la distanza di residen-za del caregiver dall’anziano (n = 80)

Distanza tra caregiver e anziano N %

Nella stessa casa 47 58,8In diversi appartamenti ma nello stesso palazzo 9 11,3 Ad una distanza raggiungibile a piedi 23 28,8 A 10 min. di viaggio in auto, bus o treno 1 1,3 A 30 min. di viaggio in auto, bus o treno 0 0 A non più di 1 ora di viaggio in auto, bus o treno 0 0 A oltre 1 ora di viaggio in auto, bus o treno 0 0

Tabella 7. Se lei fosse malato, cisarebbe qualcuno che potrebbeaiutarla nell’assistenza all’an-ziano? ( n= 80)

N %

Sì, potrei trovarequalcuno abbastanzafacilmente 32 40

Sì, potrei trovarequalcuno conqualche difficoltà 36 45

No, nessuno 12 15

Tabella 8. Se lei avesse bisogno diuna pausa dall’assistenza, ci sareb-be qualcuno che potrebbe badareall’anziano al suo posto? (n=80)

N %

Sì, potrei trovarequalcuno abbastanzafacilmente 15 18,8

Sì, potrei trovarequalcuno conqualche difficoltà 34 42,5

No, nessuno 31 38,8

Tabella 9. Problematiche legate al caregiving (n=80)

Problemi N %

Paura che possa succedere sempre qualcosa 70 87,5 Vedere la persona cara ridotta così 65 81,3 Affaticamento fisico 45 56,3 Tensione emotiva e psicologica 40 50Non poter andare più in vacanza 37 46,3 Riduzione del tempo libero 37 46,3Non poter più uscire di casa 29 35Non riuscire a riposare la notte 28 46,3Perdita o riduzione delle amicizie 28 35Peso per le spesa da affrontare 6 7,5

n.b. Ogni caregiver poteva rispondere a più opzioni.

11

12

Servizi utilizzati dall’anzianoSono stati indagati diversi aspetti e ledifferenti tipologie dei serviziutilizzati/non utilizzati dall’anziano e gliinterventi ritenuti utili dai caregiver.Nella tabella 10, sono stati riportati idati riguardanti le percentuali di utilizzodi diversi servizi.I risultati evidenziano che il serviziosanitario maggiormente utilizzato eraquello rappresentato dal medico difamiglia (utilizzato, negli ultimi sei mesi,dal 100% del campione).In misura minore, il servizio di dayhospital e di riabilitazione.Le tabelle 11 e 12 forniscono, rispettiva-mente, l’elenco dei servizi non più utiliz-zati e mai utilizzati dagli anziani, maancora necessari.Alle domande riportate hanno risposto41 caregiver (oltre il 50% del campione)e dalle risposte si evince che i servizi,indicati dai caregiver come maggior-mente necessari agli anziani, fossero:riabilitazione, assistenza infermieristi-ca, assistenza per la cura e l’igiene dellapersona e i prelievi per gli esami di labo-ratorio. Sono state analizzate, per ogni singoloservizio, anche le ragioni del loro man-cato utilizzo, che erano rappresentate

da: mancata disponibilità del servizio,costi elevati, qualità scadente, distanzanotevole dalla sede del servizio, perditadei requisiti richiesti.Le fonti di aiuto e le barriere individuatedai caregivers nell’accesso ai servizi pergli anziani sono riportate nella tabella13. Il medico specialista e il medico difamiglia rappresentavano, per oltre il50% dei caregivers, la principale fontedi informazione. Altre importanti fonti diinformazione erano i membri della fami-glia, il vicinato ed i familiari di personeanziane con problemi simili, a confermadel prezioso ruolo rappresentato dallarete sociale informale. Ulteriore ele-mento da sottolineare riguardava il fattoche, quasi un quarto del campione esa-minato, ha dichiarato di non aver usu-fruito di nessun aiuto.

Servizi utilizzati dal caregiverOltre a valutare i servizi offerti all’anzia-no, i caregivers arruolati in questo stu-dio venivano intervistati anche sullatipologia dei servizi da loro utilizzati eveniva chiesto di esprimere un giudiziodi importanza sugli stessi.Dall’analisi si evince che i supporti ricevu-ti risultavano quasi o del tutto inesistenti.A questo dato fa eccezione “l’informa-

zione sulle malattie di cui soffre l’anzia-no”, ricevuto da quasi il 40% dei caregi-vers; il “poter parlare dei problemi rela-tivi all’assistenza all’anziano” (73,8%) e“aiuto per poter passare più tempo infamiglia (23,8%).Questi dati fanno emergere come, icaregiver, pur conducendo un’esistenzain cui i supporti “materiali” a favore del-l’assistenza risultano assenti, riceveva-no delle informazioni sulle malattie dicui soffrivano i loro assistiti (38,8%) eun discreto supporto sulla possibilità dipoter esprimere ad altri soggetti i pro-blemi relativi all’assistenza all’anziano(73,8%).

Nella tabella 14 viene riportata una gra-duatoria relativa alle caratteristiche deiservizi ritenute più importanti dai care-givers.I risultati ottenuti mostrano che un ser-vizio, per essere efficace, deve esseredisponibile nel momento del bisogno,migliorare la qualità della vita dell’an-ziano e rispettare la sua dignità. Caregiving e mondo del lavoroLa letteratura internazionale riporta cheil caregiving ha un effetto negativoanche sul mondo del lavoro, poichéinduce il caregiver a limitare l’attivitàlavorativa o, addirittura, a sospenderlaper dedicarsi interamente all’assistenzadel proprio familiare. Questi aspettisono stati indagati con tre domande lecui risposte sono state riportate nelletabelle 15, 16 e 17.Dai risultati ottenuti è possibile rilevare

Tabella 10. Servizi sanitari, infermieristici e riabilitativi utilizzati negli ulti-mi 6 mesi dagli anziani (n=80)

Servizi N %

Medico di base 80 100Day hospital 22 27,5Riabilitazione a domicilio 10 12,5Uvg (Unità Valutativa Geriatrica) 7 8,8Ricovero in casa di riposo 6 7,5Ospedale 6 7,5Psicologo 5 6,3Rsa 5 6,3Parrucchiere 4 5,0Assistenza domiciliare ai malati terminali 3 3,8Assistenza infermieristica domiciliare 3 3,8Esami di laboratorio a domicilio 3 3,8Abbattimento barriere architettoniche 2 2,5Medico specialista 1 1,3Trasporto dedicato 1 1,3Altro 1 1,3

n.b. A questa domanda i caregiver potevano rispondere con più opzioni.

Tabella 11. Servizi non più utiliz-zati dall’anziano ma ancoranecessari (n=21)

Servizi N %

Riabilitazione 17 81

Servizi domiciliaripubblici di Assistenzaper igiene e cura dellapersona 3 14,3

Assistenza domiciliarediurna per igiene ecura della persona 1 4,8

n.b. A questa domanda i caregiverpotevano rispondere con più opzioni.

che il caregiving nel nostro campione nonaveva avuto un impatto negativo sull’at-tività lavorativa; questo risultato, però, èda interpretare alla luce del fatto chesolo il 12% degli intervistati lavorava.

Futuro del caregivingAl fine di indagare gli orientamenti deicaregiver riguardo all’assistenza futura,sono state poste due domande sulladisponibilità a proseguire l’assistenzaall’anziano e la prospettiva di ricorrereall’istituzionalizzazione. Nelle tabelle18 e 19 è possibile notare la scarsissimadisponibilità degli intervistati a rinun-ciare all’assistenza all’anziano. Infatti,oltre l’80% dei caregiver ha espresso ladisponibilità a prendersi questo impe-gno anche nel futuro, mentre circa il 9%di loro ha espresso la disponibilità aproseguire l’intervento solo se avessericevuto un maggior sostegno e il 5%per un periodo limitato nel tempo.

ANALISI STATISTICAINFERENZIALE Al fine di ritrovare significatività stati-stiche tra le variabili, i dati sono statisottoposti ad analisi statistica inferen-ziale. Sono state confrontate medie, uti-lizzando il t test di Student e l’Anova esono state eseguite correlazioni con iltest di Pearson. Il livello minimo di significatività è statofissato a p < 0.05. Il test Anova è stato utilizzato ancheper tracciare un “profilo” del paziente e

del caregiver in relazione alle aree terri-toriali di residenza prese in esame dalpresente studio. Dall’analisi dei risultati è emersa unamigliore condizione degli anziani resi-denti in area metropolitana rispetto ailoro pari residenti in aree urbane e rura-li. Nello specifico, infatti, si è visto chegli anziani residenti nell’area metropoli-tana presentavano punteggi medi piùalti alle scale Mmse, Iadl e Barthel einferiori alla scala Bisid paziente; aveva-

no un discreto livello di autonomia fun-zionale associato ad un parziale mante-nimento dei rapporti sociali; necessita-vano di minor assistenza personale edomestica e risultavano meno dipen-denti dal punto di vista della gestione edel sostegno economico. Anche riguardo ai caregiver, i risultatihanno evidenziato una condizionemigliore di coloro che risiedevano inarea metropolitana rispetto a quantirisiedevano in aree urbane e rurali. I

Tabella 12. Servizi mai utilizzatidall’anziano ma necessari (n=20)

Servizi N %

Riabilitazione 7 35

Assistenzainfermieristicadomicialiare 3 14,3

Assistenza domiciliarepubblica per igiene ecura della persona 1 4,8

Assistenza domiciliarediurna per igiene ecura della persona 2 10

n.b. A questa domanda i caregiverpotevano rispondere con più opzioni.

Tabella 13. Chi o cosa è stato di maggior aiuto al caregiver per consentireall’anziano l’accesso ai servizi? (n=80)

Servizio N %

Medico specialista 29 36,5Nessuno 18 22,5Medico di Famiglia 16 20Altri membri della famiglia 16 20Vicini di casa 13 16,25Familiari di anziani con problemi simili 12 15Amici 8 10,75Parroco 3 3,75Infermieri 2 2,50

n.b. A questa domanda i caregiver potevano rispondere con più opzioni.

Tabella 14. Graduatoria delle caratteristiche dei servizi ritenute più impor-tanti dai caregiver (n=80)

Caratteristiche N %

Disponibilità dell’aiuto nel momento del bisogno 34 42,5

Capacità che l’aiuto fornito migliori la qualitàdella vita dell’anziano 27 33,8

Trattamento dell’anziano con dignità e rispetto da partedegli addetti all’assistenza 25 31,3

Arrivo dell’aiuto quando è stato promesso 17 21,3

Capacità e preparazione degli addetti all’assistenza 9 11,3

Capacità che l’aiuto fornito migliori la qualitàdi vita dell’anziano 6 7,5

Possibilità che l’aiuto sia sempre fornito dallo stesso addetto 5 6,3

Adattabilità dell’aiuto agli orari e alle abitudini del caregiver 3 3,8

Trattamento del caregiver con dignità e rispetto da partedegli addetti all’assistenza 2 2,5

Ascolto delle opinioni del caregiver da parte degliaddetti all’assistenza 1 1,3

n.b. A questa domanda i caregiver potevano rispondere con più opzioni.

13

14

primi, infatti, mostravano punteggi medipiù alti alle scale Cope impatto positivoe Cope supporto, e inferiori alla scalaBisid caregiver.Alla luce di quanto esposto, possiamoaffermare che i pazienti e i caregiversche vivevano in aree urbane e ruraleavevano caratteristiche abbastanzasimili. Riguardo ai pazienti, questi pre-sentavano un grado di deterioramentocognitivo più accentuato rispetto aipazienti delle aree metropolitane, evi-denziavano livelli più alti di disabilitàfisico-funzionale con conseguenterichiesta di maggior aiuto per il soddi-sfacimento di bisogni appartenentiall’area fisica/personale, affettiva/psi-cologica/sociale, domestica ed econo-mica/finanziaria. La riduzione dell’auto-nomia, inoltre, si andava ad associarealla diminuzione dei rapporti sociali, edella vita in società, traducendosi in unvero e proprio “ripiego sullo spaziodomestico”. Per quanto concerne i caregivers, i risul-

tati ottenuti hanno evidenziato, comesegnalato in precedenza, una condizio-ne di maggior disagio in coloro che risie-devano in aree urbane e rurali, rispettoagli altri residenti in area metropolitana.

DISCUSSIONEQuesto studio è stato uno dei primi cheè andato a rilevare i bisogni e le proble-matiche di caregiver di persone anzianeresidenti in Sardegna. I risultati confermano, anche per laSardegna, che l’assistenza familiareall’anziano non autosufficiente èuna attività svolta prevalentemente

da figure femminili. Queste, di etàgeneralmente tra i 40 e 60 anni,erano figlie o nuore della personaassistita (pur non mancando anchequalche moglie), spesso a loro volta conprole, in un terzo dei casi casalinghe.Considerato l’elevato numero di ore diassistenza prestate, la natura del sup-porto erogato, il carico assistenziale -oggettivo e soggettivo - che raggiunge-va i suoi valori massimi nel caso deiconiugi caregiver, appaiono prioritariinterventi di sostegno a questo gruppodi persone. L’eccessivo carico assisten-ziale rimaneva su valori piuttosto eleva-ti anche nel caso di figlie e nuore, percui, tenendo presenti gli aspetti piùpesanti dell’impegno di cura – principal-mente di contenuto emotivo-psicologicoed i risvolti di carattere pratico – occor-re pensare, con urgenza, alla realizzazio-ne di cure primarie finalizzate anche aquesto particolare gruppo di utenti.Le soluzioni che gli stessi caregiver sug-

Tabella 15. Il fatto di assisterel’anziano l’ha spinta a ridurre ilsuo orario di lavoro? (n=12)

N %

Sì 4 33,3

No 8 66,7

Tabella 16. L’attività di assisten-za ha determinato alcune restri-zioni alla vita lavorativa o allacarriera? (n=68)

N %

Non mi consentedi lavorareSì 2 2,5No 66 97,5

Ho dovuto smetteredi lavorareSì 4 5,9No 64 94,1

Tabella 19. Sarebbe disposto aprendere in considerazione ilricovero dell’anziano in casa diriposo? (n=80)

Risposte N %

Non in nessun caso 72 90

Si, ma solo se lecondizioni dell’anzianopeggiorassero 8 10

No, indipendentementedal maggior aiuto cheavessi 0 0

Tabella 17. L’attività di assistenza ha determinato alcune restrizioni allavita lavorativa o alla carriera? (n=80)

N %

Non posso (o non ho potuto) sviluppare la mia carrieraprofessionale o i miei studiSì 2 2,5No 66 97,5

Posso (o ho potuto) lavorare solo saltuariamenteSì 4 5,9No 64 94,1

AltroSì 8 10No 72 90

Tabella 18. Nel prossimo anno sarebbe disposto a continuare ad assisterel’anziano? (n=80)

Risposte N %

Sì, se la situazione rimanesse stabile 43 53,8

Sì, e sarei anche disposto a incrementare la qualità delle cure 26 32,5

Sì, ma solo se avessi più sostegno 7 8,8

Sì, e sarei anche disposto a incrementare la qualità delle cureche presto, per un periodo limitato di tempo 4 5

No, indipendentemente dal maggiore aiuto che avessi 0 0

geriscono per migliorare la loro situazio-ne potrebbero risultare di difficile attua-zione, poiché vanno a toccare le risorsefinanziarie del Paese e della regioneSardegna. Ma è necessario approfondi-re meglio questi aspetto da un punto divista scientifico, al fine di valutare se unintervento che potrebbe sembrarecostoso in una fase iniziale (come, adesempio, il fornire un supporto assisten-ziale ai caregiver) non rappresenti, inve-ce, uno strumento per prevenire proble-matiche forse più costose (come l’istitu-zionalizzazione dell’anziano o la malat-tia del caregiver). Rispettivamente, il 93,8% ed il 77,5%degli intervistati individuava nella con-cessione di un “sostegno economico” enell’ “aiuto da personale esterno” lesoluzioni ottimali per le problematicheconnesse all’assistenza.Altre soluzioni proposte erano ancheuna maggiore conciliabilità tra attivi-tà professionale e cura dell’anziano,che in una percentuale intorno al50%, ritenevano superabile attraver-so il ricorso al part-time o a periodi diaspettativa (che avrebbe comportatoanche una decurtazione delle entratedel nucleo familiare). E’ sorprendentecome, più del 97% del campione, nonaveva alcuna agevolazione per conci-liare il lavoro con l’assistenza. Concessione di contributi economici epotenziamento dei servizi di assistenzadomiciliare sono, quindi, le forme disostegno che potrebbero rientrareanche nelle cure primarie, che le autori-tà competenti in ambito socio-sanitariopotrebbero attuare in Sardegna, consa-pevoli di contribuire in questo modo adalleviare in maniera rilevante l’onerequotidiano dei caregiver.L’assistenza sanitaria di base era consi-derata di primaria importanza dagliintervistati: il medico di famiglia rap-presentava per la totalità del campioneil “servizio” maggiormente utilizzatodagli anziani. La totalità dei caregiverintervistati però lamentava di non rice-vere alcuna informazione sugli aiuti ed isupporti disponibili, mentre il 61% dinon aver ricevuto indicazioni per farfronte ai vari problemi connessi al pro-gredire della malattia. Alcuni risultati delle tabelle 25 e 26 aiu-

tano ad intravedere un certo pattern dicomportamento tra i caregiver sardi,anche se: “poter parlare dei problemirelativi all’assistenza all’anziano” eraritenuto importante o abbastanza impor-tante nell’82,5% dei casi, un terzo delcampione non riteneva importante la:“possibilità di partecipare a gruppi disupporto”. Questo lascia intendere che icaregiver sardi sono più propensi a man-tenere una certa riservatezza sulla lorosituazione. Potrebbe essere interpretatoin tal senso anche il fatto che il 61,2%del campione non considerava impor-tante avere: “aiuto per gestire incom-prensioni e conflitti familiari” che sonoquasi sempre presenti nelle famiglieche vivono elevati livelli di stress.

Questi risultati richiamano l’impor-tanza di una figura professionaleche fornisca informazione e forma-zione accurate sulle risorse socio-sanitarie disponibili e aiuti le fami-glie a vivere meglio i momenti dicrisi.Le “informazioni su aiuto e supportodisponibili e su come accedervi” è statala tipologia di supporto considerata piùimportante dai caregiver.E chi meglio potrebbe soddisfare questobisogno se non gli infermieri coinvoltinelle cure primarie? Ben chiari appaiono i suggerimenti cheemergono dalle risposte fornite daicaregiver rispetto al tema ricovero tem-poraneo. Il 65% del campione era, infat-

15

16

ti, contrario a questa forma di assisten-za; una percentuale saliva al 90% quan-do si prendeva in considerazione il rico-vero in casa di riposo. Questi dati inaccordo anche con la letteratura inter-nazionale, dimostrano come era forte illegame tra i caregiver e gli anzianidi cui si prendevano cura. Come riportato, anche nel nostro cam-pione l’assistenza era fornita principal-mente dalle mogli o figli. Si deve ritene-re, in termini prospettici, che la situazio-ne tenderà ad aggravarsi, allorché, nelprossimo futuro, a causa delle modifica-zioni demografiche, una figlia dovràoccuparsi di più anziani (ad es. due figliunici che si sposano avranno a caricoquattro anziani).Il presente studio conferma il ruolopredominante della famiglia nelloscegliere se istituzionalizzare omeno l’anziano. L’assenza di supportiesterni addossa alla famiglia, in partico-lare al coniuge ed ai figli, un ruolo soli-tario nella gestione della propria “ crisiinvisibile”. Per questo, è necessariofornire aiuto alle famiglie tramiteascolto, dialogo ed informazionicontinue, e attraverso supportidomiciliari adeguati e struttureintermedie nel territorio, tra ospe-dali e domicilio, che sappiano rispon-dere a bisogni specifici. I risultati di questo studio hanno mostra-to che i caregiver che assistevano anzia-ni dementi avevano effetti negativi piùmarcati rispetto a quelli che assistevanoanziani non dementi.In particolare, l’analisi statistica ha evi-denziato che i primi erano più coinvoltinell’assistenza, in termini di numero diore e di prestazioni fornite settimanal-mente, rispetto ai loro pari che assiste-vano i secondi. Questo maggior impe-gno si associava a maggiori problemi disalute fisica, psicologica, sociale efinanziaria, soprattutto tra i caregiverresidenti nelle aree urbane e rurali. Riguardo all’impatto positivo del caregi-ving (misurato con la scala Cope), i risul-tati emersi mostrano che i familiari chesi occupavano di anziani colpiti da formedi demenza sperimentavano maggioridifficoltà in tutti gli aspetti del caregi-ving rispetto ai caregiver di soggetti nondementi. I livelli di stress e depressione

presenti in coloro che prestavano le curead un anziano demente si sono dimo-strati più elevati rispetto al gruppo deinon dementi e correlati frequentementea disturbi cognitivi e comportamentali.La costante vigilanza e le difficoltà digestione dei comportamenti dell’assisti-to, che risultano spesso estremamentedifficili da prevedere (scatti improvvisid’ira, smarrimenti, vagabondaggio), siassociavano frequentemente, anchequi, ad alti livelli di stress nei caregiverdi anziani dementi che risiedevano inaree urbane e rurali. A questi problemi,vanno aggiunti i molti oneri finanziariche i caregiver dichiaravano di sostene-re. L’analisi statistica ha messo in luceanche altri aspetti significativi e di rile-vante importanza che è possibile consi-derare per importare le cure primariesulla base di evidenze scientifiche. Icaregiver che vivevano gli effetti piùnegativi dell’assistenza erano soprattut-to i figli, quelli che avevano una scolari-tà più alta, convivevano con l’anziano,erano più giovani, non lavoravano, forni-vano più ore di assistenza e si occupa-vano di anziani meno autosufficienti. Alla luce dei risultati del presente stu-dio, appare evidentel’importanza di un ade-guato supporto per icaregiver di personeanziane residenti inSardegna.L’intervento degli opera-tori coinvolti nelle cureprimarie e in ambitodomiciliare dovrebbeessere finalizzato almenoad educare i familiari sucome gestire l’assistenzaordinaria, i problemi spe-cifici e come “salvaguar-dare” la propria salutepsico-fisica. Numerosi studi concor-dano nel sottolineare chei caregiver più informatisperimentano livellisignificativamente piùbassi di ansia e depres-sione, hanno aspettativepiù appropriate nei con-fronti del paziente edenfatizzano di più gli

aspetti positivi del caregiving (Grahamet al. , 1997). Un adeguato interventopsico-educativo può, pertanto, migliora-re l’adattamento del sistema familiarealla malattia, la qualità della vita siadell’anziano che dei suoi familiari eridurre la sofferenza psicologica di colo-ro che prestano assistenza.Gli interventi di assistenza domiciliare,soprattutto se applicati a seguito di unavalutazione multidimensionale dell’an-ziano (Ferrucci, 2004), consentono gua-dagni in termini di mortalità (Fabacher,1994) e qualità della vita, quest’ultimaespressa come maggiore probabilità dirimanere nella propria casa e comemiglioramento degli indici di autonomiae/o capacità cognitiva e/o tono del-l’umore (Stuck, et al., 1995).Pertanto, in ambito domiciliare, appaio-no indispensabili interventi mirati che,attraverso un approccio globale alnucleo familiare dell’anziano, consenta-no di prevenire l’insorgenza di situazionidi difficoltà insormontabili a carico delcaregiver. Un approccio assistenzialeche tenga in considerazione anche ibisogni del caregiver consentirebbeanche la migliore riuscita degli interven-

ti “ufficiali” rivolti all’anziano: al riguar-do l’Oms ed il Consiglio d’Europa hannorecentemente raccomandato che gliStati membri si adoperino per creare lecondizioni necessarie a implementare ilfunzionamento dei servizi socio-sanitariper gli anziani in ambito domiciliare,condizione indispensabile per migliorarela programmazione dei servizi, per ele-varne la qualità e per consentire con-fronti non solo all’interno delle singolenazioni ma anche tra nazioni diverse. Inquesto senso, è utile la creazione disistemi informatici articolati chepermettano sia il managementfinanziario che la raccolta di datinei servizi di assistenza domiciliare(Pacala, 2000; Carpenter, 1999).I risultati emersi in questo studio confer-mano quanto riportato ampiamente inletteratura riguardante il caregiving: ifamiliari sono di gran lunga chi si occu-pa maggiormente dell’assistenza aglianziani ed hanno bisogno dell’aiuto diprofessionisti del settore sanitario peressere in grado di svolgere questo com-pito nella maniera più adeguata. Nella maggior parte dei Paesi, il costodell’assistenza presso le strutture sani-tarie residenziali è in continuo aumento,ed i responsabili delle politiche socialisono sempre più propensi a ricorrerealla possibilità che gli anziani rimanga-no presso il loro domicilio. Per realizzarepienamente questo obiettivo è necessa-rio istituire un apposito sistema di assi-stenza rivolto alla popolazione anzianain difficoltà e alle rispettive famiglie,potenziando le cure primarie, ancorapoco sviluppate in Sardegna. I familiari,soprattutto quelli conviventi con anzianiaffetti da patologie cronico-degenerati-ve, necessitano anche di pause dall’as-sistenza.E’ necessario che i caregiver riconosca-no e soddisfino i loro bisogni e faccianoutilizzo anche dei servizi che a volte cisono, ma non sono conosciuti. Sempre di più, oggi, stiamo assistendoad una crescita della domanda di assi-stenza integrata a domicilio e questo èrisultato anche dal presente studio. Di fronte a questo scenario, agli infer-mieri compete, quale forza professio-nale e sociale, una responsabilitàparticolare nel fornire e promuove-

re soluzioni ottimali per l’assisten-za a questa categoria di cittadini.Questo significa che l’assistenza infer-mieristica deve concentrarsi non solosullo sviluppo di conoscenze specifichee capacità adeguate, ma anche su unesame della problematica nel suo com-plesso, dalla salute alle forme gravi didipendenza, con interventi determinatiin funzione dell’individuo, della fami-glia, della comunità. Molte delle misure più efficaci per inco-raggiare l’indipendenza e l’autonomiadegli anziani sono il risultato di cambia-menti ambientali e dell’organizzazionedella comunità. Per esempio, l’adatta-mento dei trasporti pubblici e delleinfrastrutture per le persone la cui mobi-lità è limitata. La questione della disabi-lità (sia essa fisica, psicologica o socia-le) è uno dei problemi principali per losviluppo di forme di assistenza aglianziani. In alcuni Paesi europei, gli infermierihanno contribuito già da tempo a pro-grammare e realizzare iniziative innova-tive per rispondere ai crescenti e nuovibisogni di salute dei cittadini. In Italia, la professione infermieristi-ca, per divenire una vera “forzasociale”, deve far sì che il suoimpatto sia efficace e possa incide-re in maniera concreta nel ridisegnodei servizi in funzione dei bisognidella società che sta cambiando.Per realizzare ciò sono necessarie nuove“visioni disciplinari” che ci consentanodi vedere al di là dell’orizzonte attuale,per scoprire nuove soluzioni capaci direalizzare percorsi assistenziali in gradodi rispondere sia ai bisogni degli anzianisia ai bisogni di chi si prende cura diloro. Il primo passo verso il benessere deglianziani nel nostro paese consiste nel-l’essere consapevoli di questa realtà; ilsecondo nel mettere a frutto i risultatidella ricerca per orientare le cure prima-rie (Conferenza di Atene sul tema:Assistenza infermieristica, anziani esolidarietà fra generazioni, 1993). Tuttavia, uno dei limiti principali del pre-sente studio potrebbe essere la numero-sità campionaria ed il fatto che, volendorispettare le proporzioni tra area rurale,urbana e metropolitana, quest’ultima è

stata più penalizzata (solo dieci i sog-getti coinvolti).Va sottolineato, però, che la Sardegna èuna regione dove sono principalmentepresenti piccoli centri, molti dei qualisono prettamente a carattere rurale. Intal senso, il campionamento stratificatoha permesso una maggiore rappresen-tatività proprio delle aree più popolate. Un altro limite dello studio potrebbeessere collegato al fatto che gli item delquestionario Eurofamcare erano piutto-sto numerosi e questo potrebbe averaffaticato i caregiver durante la compi-lazione. C’è da osservare, però, chedurante tutta la sua somministrazioneera presente uno degli autori e, qualoravenivano osservati segni di stanchezza,si invitava il caregiver a fare una pausa.Gli intervistati manifestavano, comun-que, molta disponibilità nel risponderealle domande poiché, come ha dettoqualcuno, finalmente c’era chi si inte-ressava a loro.

CONCLUSIONI I risultati del presente studio potrebberorappresentare un punto di partenza perindirizzare e organizzare gli interventi asostegno dei caregiver di anziani resi-denti in Sardegna. Questi interventi dovrebbero essereindirizzati soprattutto verso coloro chemanifestano effetti negativi causati dalcaregiving quali:• i caregiver residenti in aree rurali e

urbane;• i caregiver che assistono anziani con

livelli più bassi di autonomia e chepresentano più frequentementedisturbi cognitivi e comportamentali;

• i caregiver più giovani e figli deipazienti, anche se bisogna tenerpresente che i più anziani possonoavere livelli di depressione più alta;

• i fornitori di assistenza con livelloscolastico più alto e che convivonocon l’anziano;

• i caregiver che forniscono più ore diassistenza.

AUTORI:Giovanni Piras, dirigente servizio infermieri-stico, Azienda Sanitaria Locale-Sassari;Ercole Vellone, ricercatore di Scienze Infer mie -ristiche, università degli Studi di Roma “TorVergata”.

17

18

Aneshensel, C.S., Pearlin, L. I., Schuler, R. H. (1993). Stress, role captivity and the cessation of caregiving. Journal Health Soc Behav 34 (1), 54-70.Angermeyer, M.C., Kilian, R., & Matschinger, H. (2000). Handbouch fur die deutschsprachige version der WHO. Instrumente zur interrnationa-len Erfassung von Lebensqualitat. Gottingen. Argimon, J. M., Limon, E., Vila, J., & Cabezas, C. (2005). Health-related quality-of-life of care-givers as a predictor of nursing-home placementof patients with dementia. Alzheimer Disease and Associated Disorders 19(1), 41-44.Balla, S., Simoncini, M., Giacometti, I., Magnano, A., Leotta, D., & Pernigotti, L. M. (2007). The daily center care on impact of family burden.Archives in Gerontology and Geriatrics, Suppl. 1, 55-59.Bech, P. Measurement of psychological distress and well-being. Psychotherapy and Psychosomatics 54, 77-89.Beeson, R., Horton-Deutsch, S., Farran, C., Neundorfer, M. (2000). Loneliness and depression in caregivers of person with Alzheimer’s Diseaseor related disorders. Issues in Mental Health Nursing 21(8) , 779-806.Bergman-Evans BF. (1994). Alzheimer’s and Related disorders: loneliness, depression, and social support of spousal caregivers. Journal ofGerontological Nursing 20(3), 6-16.Carpenter, G.I., Hirdes, J.P. , Ribbe, M.W., Ikegami, N. , Challis, D. , Steel,K. (1999). Targeting and qualità of nursing home care. A five-nationstudy. Aging Clin. Exp.Res; 11:83-9.Censis. (1999). La mente rubata. Alzheimer: i costi e i bisogni assistenziali di una malattia familiare. Milano: Franco Angeli.Challis, D. (1992). Providing alternatives to long stay hospital care for frail elderly patients: is it cost effective? International Journal of GeriatricPsychiatry, 7, 733-781.Cummings, J.L., Mega, M., Gray, K., Rosemberg-Thompson, S., Carusi, D.A., Gornbei,J. (1994). The Neuropsychiatric Inventory: comprehensiveassessement of psychopatology in dementia. Neurology 44, 2308-2314.Donaldson, C., Terrier, N.,Burns, A. (1998). Determinants of carer stress in Alzheimer’s Disease. International Journal of Geriatric Psychiatry 13(4), 248-256.EUROFAMCARE. (2006). Eurofamcare, “Services for supporting family carers of elderly people in Europe: caracteristics, coverage and usage”.http://www.uke.uni-hamburg.de/extern/eurofamcare/ [ultimo accesso febbraio 2006].Ferrucci, L. , Marchionni, N., Corgatelli, G. (2004). Lo sviluppo di linee guida per la valutazione multidimensionale dell’anziano fragile nella retedei servizi di assistenza continuativa. Società Italiana di Gerontologia e Geriatria. http://www.sigg.it/vmd/Fhu, J.L., Wang, S.J., Liu, H.C., Liu, C.Y., Wang, H.C. (1999). Predictors of depression among Chinese family caregivers of Alzheimer patients.Alzheimer’s Disease and Associated Disorders; 13 (3) 171-175.Flores, L., Miller, M., Rainerman, A., Eisdorfer, C. (1992). Daughters caregiving for Hispanic and non Hispanic Alzheimer patients:does ethnic-ity make a difference? Community Mental Health Journal 28(8) 779-806.Folstein, M.F., Folstein, S.E., McHugh, P.R. (1975) Mini Mental State. A practical method for grading the cognitive state of the patients for theclinicians. J Psichiatr Res 12: 189-198. Gallagher-Thomson, D., Brooks, J.o.Bliwisa, D., Leader,J., Yeavage, J.A.(1992). The relations among caregiver stress, “sundowning” symtom-sand cognitive decline in Alzheimer’s disease. Journal of American Geriatric Society 40(8), 807-810.Golini, A. (2000). Possible policy responses to population ageing and population decline. The case of Italy. Paper presented at the Expert groupMeeting on policy responses to population ageing and population decline. United Nations Secretariat, Population Division, Department ofEconomic and SocialAffairs(website:http://www.un.org/esa/po pulation/publications/popdecline/ Golini.pdf.Gonzalez-Salvador, M.T., Arango, C., Lyketsos, C.G. Barba, A.C. (1999). The stress and psychological morbidity of the Alzheimer patient care-giver. International Journal of Geriatric Psychiatry 14 (9), 701-710.Goode, K.T., Haley, W.E., Roth, D.L., Ford,G.R.(1998). Predicting longitudinal changes in caregiver physical and mental health: a stress processmodel. Health Psychol 17 (2), 190-198.Graham, C., Ballard, C., Sham, P. (1997). Carer’s Knowledge of dementia, their coping strategies and morbidity. International Journal of GeriatricPsychiatry 12, 931-936.Heok, K.E., Li, T.S. (1997). Stress of caregivers of dementia patients in the Singapore Chinese Family. International Journal of GeriatricPsychiatry 12 (4), 466-469. Hooker, K., Monahan, D. J., Bowman, S.R., Frazier, L.D. Shifren, K. (1998). Personality counts for a lot: predictors of mental and physical Healthof spouse caregivers in two disease groups. Journal Gerontol B Psycholo Soc Sci 53 (2), 73-85.Hosaka, T., Sugiyama,Y (1999). A structured intervention for family caregivers of dementia patients : a pilot study. Tokaj Exp Clin Med 24 (1),35-39.Irvin, B.L., Acton G.L. (1997). Stress and well-being of Women caring for family members with Alzheimer’s Disease. Holistic Nursing Practice11(2), 69-79.Jones, D.A., Peters, T.J. (1992). Caring for elderly dependents: effects on the carers quality of life. Age & Ageing 21 (6), 421-428.Keady, J., Nolan, M. (1996). Behavioural and instrumental stressor in Dementia (BISID): refocusing the assessment of caregiver need in demen-tia. Journal of Psychiatric and Mental Health Nursing 3, 163-172.Kinsella K., Velkoff V.A. (2001) An Ageing World: 2001. Series P95 / 01-1.

BIBLIOGRAFIA

Larkin, J.P., Hopcroft, B.M. (1993) In-hospital respite as a moderator of caregiver stress. Health Soc Work 18, 132-138.Lawton, M.P., Brody, E.M. (1969). Assessment of older people: Self-maintaining and instrumental activities of daily living. The Gerontologist9, 179-186.Mahoney, F.I., & Barthel D.W. (1965). Functional evaluation: The Barthel Index. Md State Med J 14 (2), 61-65. McKee, K.J., Philp I, Lamura, G., Prouskas, C., Oberg, B., Krevers, B., Spazzafumo, L., Bien, B., Parker, C. , Nolan, M.R. & Szczerbinska, K.(2003). The COPE index – a first stage assessment of negative impact, positive value and quality of support of caregiving in informal carersof older people. Aging and Mental Health 7,(1) S39-52. Miller, B.(1989). Adult children’s perceptions of caregivers stress and satisfaction. Journal of Applied Gerontology 8, :275-293. Neri, M., Bonati, P. A., Pinelli, M., Borella, P., Tolve, I., & Nigro, N. (2007). Biological, psychological and clinical markers of caregiver’s stressin impaired elderly with dementia and age-related disease. Arch Gerontol Geriatr 44 Suppl, 289-94.Neundorfer, M.M. (1991). Coping and Health outcomes in spouse caregivers of persons with dementia. Nursing Research 40 (5), 260-265.Pacala, J.T., Kane, R.L. , Aterly, A.J. , Smith, M.A. (2000). Using structured implicit review to asses quality of care in the Program of All-Inclusive Care for the Elderly (PACE). J. Am.Geriatr.Soc 48, 903-10.Parks, S.H., Pilisuk,M. (1991). Caregiver burden: gender and the psychological costs of caregiving. American Journal of Orthopsychiatry 61(4),501-509.Ranci C. (2001). L’assistenza agli anziani in Italia e in Europa. Franco Angeli, Milano, 23-55.Russo, J., Vitaliano, P.P., Brewer, D.D., Katon, W., Becker,J. (1995). Psychiatryc disorders in spouse caregivers of care recipients withAlzheimer’s Disease and matched controls: a diathesis-stress model of psychopathology. Journal of Abnormal Psychology; 104 (1), 197-204.Sansoni, J., Riccio, P.A., Vellone, E., Piras, G. ( 1999). Dinamiche Familiari: la qualità del sonno delle caregivers che convivono con pazientiaffetti da Malattia d’Alzheimer. Professioni Infermieristiche 2, 73-79.Sansoni, J., Vellone, E., Piras, G. ( 2004). Anxiety and depression in community-dwelling, Italian Alzheimer’s disease caregivers. InternationalJournal of Nursing Practice 10, 93-100.Schulz, R., O’Brien, A.T. BooKwala, J., Fleissner, K. (1995). Psychiatric and Physical morbidity effects of dementia caregiving: prevalence cor-relates and causes. Gerontologist 35(6), 771-791.Stephens,M.A. Ogrocki, P.K., Kinney, J.M. (1991). Sources of stress for family caregivers of istitutionalized dementia patients. Journal ofApplied Gerontology 10 (3), 328-342. Stuck, A.E., Aronow, H.U., Steiner, A. , Alessi, C.A. , Bula, C.J. , Gold, M.N. (1995). A trial of annual in home comprehensive assessments forelderly people living in the community. N Engl J Med 333, 1184-9.Thombaugh TN, McIntyre NJ. (1992). The Mini Mental State Examination: A comprehensive review. JAGS 40: 922-935.Tibaldi, V., Aimonino, N., Ponzetto, M., Stasi, M. F., Amati, D., Raspo, S., Roglia, D., Molaschi, M., & Fabris, F. (2004). A randomized controlledtrial of a home hospital intervention for frail elderly demented patients: behavioral disturbances and caregiver’s stress. Arch Gerontol GeriatrSuppl, (9), 431-6.Uderzo, E., Caputo, L . , La quintana, D. (2000). Lo stress nei caregiver che assistono anziani affetti da demenza. Assistenza Infermieristica eRicerca 19(4) 229-236.Uderzo, E., Caputo, L., & Laquintana, D. (2000). Lo stress nei caregiver che assistono anziani affetti da demenza. Assistenza Infermieristica eRicerca, 19(4), 229-236.United Nations. (2003). Population Ageing 2002. Wallchart. New York, United Nations, Population division, Department of Economic andSocial Affairs. www.un.org/esa/population/ageing/graph.pdf. Vaccaro, C.M., (2000). La mente rubata. Bisogni e costi sociali della malattia di Alzheimer. Tendenze nuove, 2, from http://www.fondazione-smithkline.it/t20002art6.htm Vellone, E., Piras, G., Sansoni, J. (2002). Stress, ansia e depressione delle caregivers di pazienti affetti da malattia d’Alzheimer. Annali diIgiene, Medicina Preventiva e di Comunità 14, 223-232.Vellone, E., Sansoni, J., Cohen, MZ. (2002). The experience of Italians caring for family members with Alzheimer’s Disease. Journal of NursingScholarship 34(4), 323-329.Wackerbath, S.B., Johnson, M.M.S. (2002). Essential information and support needs of family caregivers Electronic Version. Patient Educationand Counseling, 47 (2), 95-100. Ware, J.E., Sherbourne C.D. (1992). The MOS 36-Item Short-Form Healt Survey (SF-36): Conceptual Framework and item selection. MedicalCare 30, 473-483.Winslow,B.W. (1997). Effects of formal supports on stress outcomes in family caregivers of Alzheimer’s patients. Research in Nursing andHealth; 20 (1), 27-37.Wright, L.K. (1994). Alzheimer’s Disease and caregiver stress. The Journal of the South Carolina Medical Association 9, 52-56.Zanetti, O., Binetti, G., Rozzini, R., Bianchetti, A., Trabucchi, M. (1989). Fattori clinico-sociali di rischio di istituzionalizzazione in un gruppo dipazienti dementi: ruolo determinante della famiglia. Giornale di Gerontologia 37, 1107-1116.Zarit, S.H., Reever, K.E., Bach-Peterson, J. (1982) Relatives of the impaired elderly: correlates of feelings of burden. Gerontology. 20: 649-655.Zigmond, A.S., Snaith, R.P. (1983). The Hospital Anxiety and Depression Scale. Acta Psychiatrica Scandinavica 67, 361-370.

19

20

Il burn-out degli infermieriAnalisi critica e ricercabibliografica della letteraturadi Emilia Marsala

IABSTRACTIl burn-out è una sindrome psicologicache rappresenta la risposta allo stresscronico da lavoro. Le ricerche hanno dimostrato che cisono tre dimensioni del fenomeno: la fatica: una risposta individuale allostress lavorativo, ed è, in generale, ilsenso di mancanza di energia fisica epsicologica, di mancanza di risorse, ilsentire di non farcela; il cinismo: una reazione negativa allavoro e al posto di lavoro, definibilecome un “allontanarsi” dal lavoro, un“distanziarsene”, comportato dal sensodi fatica. Una persona affetta da burn-out passa dal “fare il proprio meglio” a“fare il minimo indispensabile”; l’inefficacia: la valutazione negativa dise stessi. Questo succede quando l’ope-ratore non si sente efficace sul lavoro,non si sente realizzato, sente di non rea-lizzare nulla di positivo; subentra, per-tanto, una mancanza di orgoglio e soddi-sfazione.Sono molti i professionisti del sociale arischio di burn-out, ma quelli più “espo-sti” sembrano essere gli operatori dicomunità; gli educatori e gli insegnanti;i riabilitatori psichiatrici; gli assistentisociali e gli infermieri.In genere, si tratta di professioni basatesulla “relazione d’aiuto” tra operatore eutenti “disagiati”; professioni nellequali le responsabilità morali dell’ope-ratore, lo stress a cui è sottoposto e ilsuo coinvolgimento emotivo sono eleva-tissimi. Per questo, se non sussistonoadeguate misure di prevenzione, il risul-tato è, inevitabilmente, la “fusione”, ilbreak-down dell’operatore.

INTRODUZIONEIl fenomeno del burn-out viene spessoidentificato con lo stress lavorativo spe-cifico delle helping professions, in altreinterpretazione, invece, viene vistocome lo stress che dà luogo alla de-per-sonalizzazione, caratterizzata da unatteggiamento di indifferenza, malevo-lenza e cinismo verso i destinatari dellapropria attività lavorativa. Sembra che il termine burn-out derividal gergo sportivo, poiché veniva utiliz-zato, negli anni ’30, per indicare la con-dizione di quegli atleti che, dopo unperiodo di successi, improvvisamenteandavano in crisi e non riuscivano adare più nulla dal punto di vista agoni-stico; analogamente, gli operatori socia-li in burn-out non riescono a dare piùnulla.Esso può essere inteso anche come unastrategia particolare adottata dagli ope-ratori per contrastare la condizione distress lavorativo determinata da unosquilibrio tra richieste/esigenze e risor-se disponibili, ma va inteso anche comeun processo multifattoriale che riguardasia i soggetti che la sfera organizzativae sociale in cui operano.Il concetto di burn-out (letteralmen-te, “essere bruciati, esauriti, scop-piati”) è stato utilizzato, la prima volta,per indicare una serie di fenomeni diaffaticamento, logoramento e improdut-tività lavorativa registrati nei lavoratoriinseriti in attività professionali a carat-tere sociale.La prima osservazione di questa sindro-me è stata fatta, negli Stati Uniti, supersone che svolgevano diverse profes-sioni d’aiuto: infermieri, medici, inse-

gnanti, assistenti sociali, poliziotti, ope-ratori di ospedali psichiatrici, operatoriper l’infanzia.Oggi, non esiste una definizione univer-salmente condivisa del termine, ma, percomprendere meglio di che cosa si trat-ta, possiamo esaminare le diverse teo-rie dei vari autori. Il primo studioso a usare burn-out perindicare un complesso di sintomi, qualilogoramento, esaurimento e depressio-ne riscontrati in operatori sociali ameri-cani è stato Freudenberger; successiva-mente, Cherniss, che definiva conl’espressione: “burn-out syndrome”, larisposta individuale ad una situazionelavorativa percepita come stressante enella quale l’individuo non dispone dirisorse e di strategie comportamentali ocognitive adeguate a fronteggiarla.I sintomi psichici sono quelli principali.Investono sia la sfera cognitiva, siaquella emotiva.Nel suo lavoro del 1982 ChristinaMaslach parla di burn-out come l’insie-me di manifestazioni psicologiche ecomportamentali che può insorgere inoperatori che lavorano a contatto con lagente e che si possono suddividere intre componenti: esaurimento emotivo(sentirsi emotivamente svuotati edannullati dal proprio lavoro, per effettodi un inaridimento emotivo del rapportocon gli altri); de-personalizzazione (chesi presenta come un atteggiamento diallontanamento e di rifiuto (rispostecomportamentali negative e sgarbate)nei confronti di coloro che richiedono oricevono la prestazione professionale, ilservizio o la cura e ridotta realizzazionepersonale che riguarda la percezione

21

della propria inadeguatezza al lavoro; lacaduta dell’’autostima ed il sentimentodi insuccesso nel proprio lavoro. LaMaslach è l’ideatrice del questionarioMbi (Maslach Burn-out Inventory) fina-lizzato alla valutazione del burn-out nelpersonale che opera nei servizi sociosa-nitari e nelle istituzioni educative, cherisulta essenziale per programmi diintervento specifici. Ai sintomi inclusi in queste tre catego-rie, F. Folgheraiter aggiunge quellidescrivibili globalmente come “perditadi controllo”. Qui verrà seguita la maggioranza degliautori che utilizza le categorie dellaMaslach (pur con qualche modifica), maverrà aggiunta la categoria messa inevidenza da Folgheraiter.In base a questo criterio, i sintomi pos-sono essere raggruppati in collassodelle energie psichiche in cui rientranomolti sintomi tipici degli stati ansioso-depressivi. I principali sintomi sono: altaresistenza ad andare al lavoro ogni gior-no; apatia; demoralizzazione; difficoltàdi concentrazione; disagio; disperazio-ne; incubi notturni; irritabilità; preoccu-pazioni o paure eccessive o immotivate;sensazione di inadeguatezza; sensi dicolpa; senso di frustrazione o di falli-mento; collasso della motivazione in cuisono comprese tutte le disfunzioni psi-chiche che portano alla de-personalizza-zione dell’utente e quindi ad un progres-sivo scadimento della qualità professio-nale; e, ancora, i sintomi sono: distaccoemotivo (perdita della capacità empati-ca); rigidità nell’imporre o applicarenorme e regole; cinismo, disinteresseoppure ostilità o rifiuto (anche fisico)verso gli utenti o, meno frequentemen-te, verso i colleghi; pessimismo; cadutadell’autostima in quanto l’operatore nonsi sente realizzato sul lavoro e cominciaa svalutarsi sia sul piano professionale,sia - successivamente - su quello perso-nale. Nonostante si sforzi, non riesce afrenare questo crollo della fiducia nelleproprie capacità e risorse; i nuovi impe-gni gli sembrano insostenibili; ha la sen-sazione di non essere “all’altezza” deiproblemi nel lavoro e nel privato e laperdita di controllo, poiché non si è piùin grado di controllare lo spazio o l’im-portanza del lavoro nella propria vita.

Sensazione che il lavoro lo “invada”;non riesce a “staccare” mentalmente; ilpensiero degli utenti o i problemi con icolleghi gli creano sempre più malesse-re, anche oltre l’orario di lavoro. I sintomi osservati nel soggetto colpitoda burn-out sono a-specifici come: irre-quietezza, senso di stanchezza edesaurimento, apatia, nervosismo,insonnia, sono sintomi somatici deltipo tachicardia, cefalee, nausea, esintomi psicologici come depres-sione, bassa stima di sé, senso dicolpa, sensazione di fallimento,rabbia e risentimento, alta resisten-za ad andare al lavoro ogni giorno,indifferenza, negativismo, isola-mento, sensazione di immobilismo,sospetto e paranoia, rigidità di pen-siero e resistenza al cambiamento,difficoltà nelle relazioni con gliutenti, cinismo, atteggiamento col-pevolizzante nei confronti degliutenti. La situazione di disagio che si viene acreare, spesso, induce il soggetto adabuso di alcool o di farmaci. Va notatoche gli effetti negativi del burn-out noncoinvolgono solo il lavoratore, ma anchel’utenza a cui viene offerto un servizioinadeguato ed un trattamento meno

umano.Il burn-out è una possibile conseguenzadello stress, ma si deve definire lostress, per capire bene. Secondo la defi-nizione più classica, dovuta a HansSelye, lo stress è: “la risposta a-specifi-ca dell’organismo a una richiesta di pre-stazioni”, quindi, poiché nella reazionedell’organismo vi è una componenteoggettiva (lo stimolo) e una soggettiva(l’interpretazione dello stimolo), si puòdire che lo stress è una reazione indivi-duale ad un insieme di stimoli oggettiviche viene soggettivamente riconosciutocome “richiesta di prestazioni”. Il burn-out è, quindi, un fenomeno piùcomplesso dello stress, perché determi-nato non solo dalle componenti sogget-tiva e oggettiva dello stress individuale,ma anche da variabili storico-sociali eculturali che possono “accelerare” ilpassaggio dallo stress al burn-out:insomma, mentre lo stress è un feno-meno individuale, il burn-out è unfenomeno fondamentalmente psi -co-so ciale.Nel mettere in evidenza le cause delburn-out, dunque, occorre distinguerefattori individuali (componente soggetti-va e componente oggettiva dello stress)e fattori socio-culturali.

22

Il lavoro è diventato un obbligo più cheuna risorsa. I valori che definiscono laqualità della vita organizzativa non sonoquelli di un gruppo di lavoro coesivo chesi impegna per fornire prodotti o servizieccellenti, ma sono quelli di una gestio-ne esclusivamente orientata al risultatoeconomico finale in una realtà che ha undisperato bisogno di flusso di cassa. La gestione delle risorse umane, omicrogestione, è all’ordine del giorno,con politiche che focalizzano sempre dipiù i dipendenti sul rendimento econo-mico. Ma i dipendenti, in particolarequelli che hanno un’alta professionalità,antepongono altri valori. I fornitori diassistenza sanitaria delle aziende ospe-daliere pubbliche si sentono frustratidalle politiche di aziendalizzazione dellecure, come gli insegnanti si sentonocostretti dagli standard di curriculumstabilito dalla legislazione, e i dirigentidi medio livello si sentono costretti dalledirettive imposte dalla direzione centra-le. La componente soggettiva dellostress è quella che determina quali sti-moli verranno percepiti come stressantie l’intensità della reazione individuale atali stimoli. Fanno parte di questa com-ponente: le caratteristiche della perso-nalità, le aspettative professionali, lostress non professionale, mentre per lacomponente oggettiva dello stress pro-fessionale vengono individuate varieclassi in cui possono essere suddivise lefonti di stress (stressors) intrinseche allavoro: scarsa retribuzione contrattuale,straordinari e ore lavorative extra pocoretribuiti o addirittura non pagati o con-dizioni ambientali sfavorevoli: rumore,scarsa ventilazione, spazi angusti, illu-minazione scarsa o abbagliante, umidi-tà, troppo caldo o troppo freddo; relati-ve al ruolo nell’organizzazione comesovraccarico di ruolo cioè responsabilitàsuperiori al potere decisionale; mansio-nario o compiti specifici nonchiari; incongruenza o conflitto di ruolo;relative alla carriera cioè competizionetra colleghi per ottenere promozioni,delusione per le retrocessioni subite,“ansia da prestazione” per le promozio-ni ricevute e relazionali tra colleghi, coni superiori, con gli operatori di altri ser-vizi e relative all’équipe quando si rileva“spirito d’équipe” scarso o assente,

o insufficiente disponibilità alla nego-ziazione. La velocità e la facilità con cui lostress professionale porta alla sin-drome di burn-out dipendono danumerosi fattori sociali e culturali. Si deve, anzitutto, prendere in considera-zione la disgregazione del tessuto socia-le che porta ad un grave aumento dellevarie forme di disagio psicosociale equindi un aumento della domanda ai ser-vizi. In questo contesto, gli operatori sitrovano a fronteggiare un maggior nume-ro di utenti con maggiori problemi, spes-so senza un proporzionale aumento dellerisorse a loro disposizione.Questa situazione aumenta lo stressdegli operatori e può portare al burn-out.Si deve, poi, considerare la svalutazionesociale del lavoro in se stesso che haportato a dare enfasi al successo perso-nale e, del guadagno economico, conconseguente svalutazione di tutte leprofessioni socio-sanitarie - professioninotoriamente poco pagate, nell’ambitodelle quali il successo personale è moltorelativo.Tra gli specialisti più a rischioburn-out sono quelli che operanonell’ambito della medicina genera-le, della medicina del lavoro, dellapsichiatria, della medicina internae dell’oncologia.La comparsa della sindrome di burn-outnegli operatori sanitari segue, general-mente, quattro fasi:1) la prima, detta di “entusiasmo ideali-

stico”, è caratterizzata dalle motiva-zioni che hanno indotto gli operatoria scegliere un lavoro di tipo assisten-ziale, che sono motivazioni consape-voli come: migliorare il mondo e sestessi, sicurezza di impiego, svolgereun lavoro meno manuale e di mag-giore prestigio e motivazioni incon-sce che sono il desiderio di approfon-dire la conoscenza di sé e di eserci-tare una forma di potere o di control-lo sugli altri. Queste motivazionispesso sono associate ad aspettati-ve di “onnipotenza”, di soluzionisemplici, di successo generalizzato eimmediato, di apprezzamento, dimiglioramento del proprio status ealtre ancora2;

2) la seconda, detta di “stagnazione”,

l’operatore sanitario prosegue nelsuo lavoro, ma si accorge che essonon soddisfa del tutto i suoi bisogni,passando così da un super-investi-mento iniziale ad un graduale disim-pegno;

3) la terza, detta di “frustrazione” è lapiù critica, poiché il pensiero domi-nante dell’operatore è di non esserepiù in grado di aiutare alcuno. Ciòcausa una profonda sensazione diinutilità e di non rispondenza del ser-vizio ai reali bisogni dell’utenza.Inoltre, intervengono fattori di fru-strazione aggiuntivi come: lo scarsoapprezzamento sia da parte dei supe-riori che da parte degli utenti, non-ché la convinzione di una inadeguataformazione per il tipo di lavoro svol-to. In questo periodo, il soggetto fru-strato può assumere atteggiamentiaggressivi verso se stesso o verso glialtri, mettendo in atto spesso com-portamenti di fuga come allontana-menti ingiustificati dal reparto,pause prolungate, frequenti assenzeper malattia;

4) la quarta, durante cui si assiste a unavera e propria “morte professionale”,è la conseguenza del graduale disim-pegno emozionale conseguente allafrustrazione, con passaggio dall’empatia all’apatia.

A questo punto, si devono prendere inconsiderazione quali siano gli interventioperativi proposti per la terapia delburn-out. Alcuni autori concordano sulfatto che la sindrome di burn-out puòessere curata solo mediante mutamentiradicali nella vita professionale del-l’operatore affetto, ma, in genere, sitratta di interventi piuttosto drastici, e,quindi, appare più realistico e accessibi-le mettere in atto un programma di pre-venzione, poiché il problema risiedeprincipalmente nella mancanza di infor-mazione e nell’inadeguata formazionedegli operatori. A questo proposito, la Maslach ritieneche la gestione del fenomeno sia possi-bile a livello individuale e a livello socio-istituzionale: individualmente, è essen-ziale stabilire obiettivi realistici, modifi-care la metodologia di lavoro senzamodificare l’attività professionale, crea-re dei momenti di pausa, privilegiando

l’autoanalisi allo scopo d’individuarecapacità e debolezze personali.

STRATEGIE DI RICERCA,METODI E MEZZILa ricerca è stata effettuata attraversole seguenti Bd: Embase; Meline eCinhal. I testi reperiti sono di notevole quantità,per cui l’attenzione si è rivolta a quellicon una valenza specifica per il persona-le infermieristico che opera nelle diver-se cliniche, sulla presenza dell’abstractper la consultazione, sulla possibilità diavere il testo completo. Il limite di datazione è degli ultimi treanni; i tipi di documento: studi rando-mizzati, revisioni sistematiche, metana-lisi, etc; la pertinenza dell’argomento ela lingua del testo in inglese/italiano. Le citazioni bibliografiche sono stateinserite in ordine alfabetico, adottandoil Vancouver Style.Sono state utilizzate varie parole-chiavecombinate in modi diversi: job satisfac-tion, burn-out, health care staff, psycho-social health, nursing staff, occupatio-nal stress, combinate tra loro mediantegli operatori booleani: “and” e “or”.

RISULTATIIl rischio di burn-out è, ormai, considera-to una problematica professionale atutti gli effetti.La letteratura inerente, oggi estrema-mente ricca, ha consistentementeaumentato la sua vastità negli ultimi

anni, a fronte di un fenomeno il cui fre-quente manifestarsi ha determinatonuovi contesti conoscitivi e operazionalidi interesse multidisciplinare. All’interno di tali contesti, si è rivelatoessenziale focalizzarne gli elementi diinnovazione, determinando e classifi-cando la natura e gli aspetti fondamen-tali della sindrome, in modo da rendernericonoscibili cause, sintomi, conseguen-ze e da mettere in atto tempestivamen-te opportune misure preventive. Alcunecategorie di lavoratori, a causa di parti-colari fattori di stress legati all’attivitàprofessionale, sono soggetti a rischio disindrome del burn-out: una condi-zione caratterizzata da affaticamen-to fisico ed emotivo e da un atteg-giamento distaccato ed apatico neirapporti interpersonali, nonché daun sentimento di frustrazione. Uno studio effettuato dai collegi medicidella Asl di Milano, partendo dall’anali-si degli accertamenti sanitari per l’inabi-lità al lavoro, ha operato un confrontotra quattro categorie professionali didipendenti dell’amministrazione pubbli-ca: insegnanti, impiegati, personalesanitario, operatori manuali. In contro-tendenza con gli stereotipi diffusi nel-l’opinione pubblica, i risultati dimostra-no che la categoria degli insegnanti èsoggetta ad una frequenza di patologiepsichiatriche pari a 2,5-3 volte superiorea quella delle altre categorie in esame.Pur non essendo ancora contemplatanell’elenco internazionale delle patolo-

gie psichiatriche, è verosimile ritenereche la sindrome del burn-out, quandotrascurata, possa costituire la fase ini-ziale di una più riconoscibile patologiapsichiatrica.Lo studio, che prende il nome di“Golgota”, approfondisce cause, fattoripredisponenti, reazioni di adattamentoindividuale, aspetti sociali, ipotesi d’in-tervento nella classe docente, rilevan-do, al contempo, la necessità di ulterio-ri approfondimenti affiancati da inter-venti volti a contrastare tempestiva-mente tale sindrome negli insegnanti.E’ necessaria, per gli studiosi, l’aperturadi un dibattito che coinvolga istituzioni,parti sociali, amministrazioni scolasti-che, associazioni di categoria, studenti,famiglie e comunità medico-scientifica,a causa della portata e della multidi-mensionalità del problema che interes-sa gli ambiti sanitario, sociale, cultura-le, economico e istituzionale.Lo stress lavorativo, comunque, nongenera imprescindibilmente il burn-out,poiché esso è il risultato di particolarimodalità di coping, che includono: ritiro,distacco e così via; le cause vanno, piut-tosto, ricercate in tutti quei fattori chefavoriscono questo tipo di reazione. Per comprendere meglio la sindrome delburn-out, ci si può riferire agli studi diCherniss che fa notare come, in lettera-tura, vi sia la tendenza a focalizzare l’at-tenzione su singoli elementi d’indagine,quando sarebbe più opportuno analizza-re il problema secondo la prospettivamultidisciplinare che gli appartiene.Inoltre, l’autore rimarca il fatto che ilburn-out non si configura come situazio-ne necessariamente permanente, inbase alla reversibilità degli effetti che ildistress genera ed, inoltre, pone l’ac-cento sull’analisi del contesto organiz-zativo in cui si svolge la professione,ricordando come un intervento a livellostrutturale sia più semplice ed economi-co di uno volto a risolvere - volta pervolta - casi individuali. Le caratteristiche della situazione lavora-tiva chiamate in causa sono gli elementinormativi, la struttura di ruolo(conflitto/potenziale motivazionale), lastruttura di potere (autonomia/controllo),lo stile di leadership e supervisione e l’in-terazione sociale all’interno dello staff.

23

Quest’ultimo elemento ben si riallacciaal problema del mobbing e acquisisceun’importanza fondamentale in ambitomedico legale, in quanto evidenzia unarelazione per cui mobbing e burn-outpotrebbero configurarsi come eventiparalleli, che si generano all’interno disituazioni lavorative stressanti. Quantosembra emergere è l’importanza delsuccesso psicologico che deriva dallapercezione personale, piuttosto che dairiconoscimenti esterni: nel momento incui viene a mancare un grado sufficien-te di discrezionalità (basato sul parzialecontrollo del proprio ambiente di lavo-ro), è possibile che si sviluppi una formadi “impotenza appresa” (termine intro-dotto per la prima volta da Seligman),ovvero l’incapacità di controllare perfinogli eventi che riguardano l’operatorestesso.Nell’analizzare il fenomeno del burn-outnella professione infermieristica, potreb-be risultare utile approfondire alcune frale tecniche utilizzate per l’approccio e larelazione con i pazienti, in particolare neireparti ritenuti più complessi, come quel-lo di psichiatria.La “relazione affettiva” è inevitabilmentepresente e rilevante all’interno di queirapporti che, pur non potendo definirsitout-court “psicoterapeutici” in sensostretto, sono, però, senz’altro “terapeuti-ci” in senso lato: il rapporto infermiere-paziente è certamente uno di questi.

Lo studio del burn-out ha subito neltempo, da parte degli studiosi, un’evolu-zione enorme, in quanto essi lo hannoapprofondito in relazione ai diversiaspetti in cui esso suole presentarsi, masoprattutto, in relazione all’approcciocon il settore nel quale gli studiosi stes-si operavano.Così, il burn-out è stato, di volta in volta,oggetto di studio da parte dei medici,dei sociologi, degli psicologi e degli eco-nomisti, ovviamente con impostazioni erisultati diversi.Il burn-out si distingue dallo stress (che,eventualmente, può costituirne una con-causa) e, si differenzia dalle diverseforme di nevrosi, perché non può essereconsiderato un disturbo della personali-tà, bensì del ruolo lavorativo. Il burn-out non si presenta tra gli staff delservizio sanitario come un proble-ma personale, ma costituisce una“malattia contagiosa” che si propa-ga dall’utenza all’équipe, da uncomponente dell’équipe ad un altroe dall’équipe agli utenti: perciòriguarda, oltre il singolo individuo,l’intera organizzazione del serviziosanitario, l’utenza e la comunità.Le gravi conseguenze che ne derivanopossono essere schematizzate in trelivelli di impatto:1) il livello degli operatori sanitari che

pagano gli effetti del burn-out sulpiano personale, anche attraverso

gravi somatizzazioni, ma soprattuttoattraverso dispersione di risorse, fru-strazioni e sottoutilizzazioni delpotenziale;

2) il livello dell’utenza, per cui i contat-ti degli utilizzatori del servizio sanita-rio con gli operatori affetti da burn-out risulta frustrante, inefficace edannoso;

3) il livello della comunità servita ingenerale che vede svanire forti inve-stimenti nei servizi del welfare.

Lo studio di Zanni mira a capire comericonoscere e prevenire il fenomenooggetto di questo lavoro. Egli rileva che,nel processo assistenziale tipico dellaprofessione infermieristica: “è la quali-tà del nursing ad essere terapeutica-mente decisiva”. È fondamentale, daparte del paziente, poiché i suoi bisognisono compresi ed accolti come signifi-cati spunti per il processo terapeutico, ehanno una notevole rilevanza sull’effi-cacia del progetto stesso, e da partedell’infermiere, poiché comporta un“ritorno” positivo in termini di riconosci-mento e gratificazione personale. La relazione con il paziente, inalcuni casi può divenire terapeuti-ca, ma il setting, i ruoli e il tempo chegli infermieri devono - e possono - dedi-care ai pazienti rischiano di mettere inluce solo il lato negativo che si portadietro: un alto coinvolgimento, con unconseguente aumento del rischio burn-out tipico di tutte le professioni d’aiutoe un alto turn-over degli infermieri, chespesso non porta a sviluppare relazionisignificative con i pazienti.Gli infermieri, dall’indagine, appaionofrustrati, non valorizzati adeguatamentedalla direzione ospedaliera (percepitacome un nemico contro cui allearsi),esauriti da un lavoro stressante, soprat-tutto, quando si ha a che fare con imalati terminali e bambini. Inoltre, emerge che i valori di stresssono maggiori per le donne; alti ancheper i medici più giovani che diminuisco-no al crescere dell’anzianità; mentre pergli infermieri è il contrario.Per questi, le aree più a rischio di burn-out sono quella pediatrica e dei malatiterminali, mentre si registra un minimodi stress nei medici dell’area di medici-na generale.

Nell’indagine emergono tre modalitàattraverso cui si manifesta il burn-out: – un esaurimento emozionale, caratte-

rizzato da perdita di energia;– de-personalizzazione, che è una tipi-

ca tendenza difensiva che consistenel trattare i pazienti come oggettispersonalizzandoli;

– una ridotta realizzazione personale.Lo studio di Quattrin e collaboratori si èposto l’obiettivo di valutare il livello diburn-out tra gli infermieri di oncologia diun ospedale dell’Italia settentrionale,per cercare di identificare i fattori dirischio e le strategie per prevenire ilfenomeno.Per ricavare i dati dall’indagine è statoutilizzato un campione di 100 infermieriai quali è stato sottoposto un questiona-rio elaborato sulla base dell’Mbi e modi-ficato in base alle esigenze conoscitivee sulla base delle caratteristiche delpersonale italiano. Il questionario si componeva di 58 item,finalizzati ad indagare tre aspetti legatial rischio di burn-out: – sociodemografico;– caratteristiche del lavoro;– questionario Mbi modificato.L’analisi dei risultati evidenzia come,nelle realtà indagate, il 71% degli infer-mieri presenta un alto livello di stressemotivo, il 17% un alto livello di de-per-sonalizzazione e l’11% un alto livello direalizzazione personale.Significativamente alti i livelli di esauri-mento emotivo sono stati riscontrati tragli operatori ultra- quarantenni conun’anzianità di servizio superiore ai 15anni; alcuni che hanno scelto di lavorarein oncologia e alcuni che vorrebberoavere un’altra assegnazione. La consa-pevolezza dell’esistenza del fenomenodel burn-out porta verso la programma-zione della prevenzione del fenomeno.Per la prevenzione del burn-out, infatti,servono interventi specifici rivolti a: – sostegno psicologico degli operatori

sanitari; – miglioramento del contesto lavora-

tivo; – rafforzamento della formazione e

delle competenze professionali (tec-niche relazionali-educative);

– miglioramento dell’organizzazionedella struttura;

– riconoscimento sociale ed economi-co del ruolo dell’infermiere.

Un altro interessante lavoro di EdwardKL, Hercelinskyj G. ci conduce alla ricer-ca della correlazione tra lo stress psico-logico e la comparsa della sindrome diburn-out tra gli infermieri. In questo studio si evidenzia che ilnucleo è uno schema di sovraccaricoemozionale, a cui segue l’esaurimentoemozionale da parte di chi eccessiva-mente coinvolto sotto il profilo emozio-nale; si tende sempre di più verso glialtri e alla fine si sente sopraffatto dallerichieste emozionali imposte dagli altrie incapace di farvi fronte. Può essere considerato una forma distress occupazionale, il cui fattorecaratteristico è che la sua causa è l’inte-razione sociale fra l’operatore e il desti-natario dell’aiuto: la persona colpita sisente sfinita, svuotata, le manca l’ener-gia per affrontare un altro giorno, le suerisorse emozionali sono consumate enon c’è una sorgente a cui attingerlenuovamente.Inoltre, si evince che il burn-out non siinstaura improvvisamente, ma è un pro-cesso, che si instaura in modo talmentegraduale che il lavoratore ne è inconsa-pevole; avverte che c’è qualcosa chenon va, ma spesso non è in grado diqualificare e quantificare il suo disagio,e continua a lavorare facendo finta diniente e rifiutandosi di pensare chequalcosa non vada, ma ne è comunquecondizionato e compromesso. Un interessante studio di Argentero ecollaboratori dell’università di Pavia,pone in relazione il fenomeno del burn-

out con la soddisfazione dei pazienti inun reparto di dialisi, che, come è noto, èuno dei più difficili da vivere. Lo studioriguarda un’indagine incrociata tra ilburn-out negli operatori di nefrologia ela soddisfazione dei pazienti ricoveratiin reparto; vi hanno partecipato 334infermieri e 695 pazienti dializzati didieci centri di dialisi del nord Italia. Il livello di burn-out è stato rilevatoattraverso la somministrazione del Mbie sono stati analizzati i tre aspetti delburn-out: esaurimento emozionale, de-personalizzazione e soddisfazione per-sonale, mentre la soddisfazione deipazienti è stata misurata attraverso unquestionario a scelta multipla, riguar-dante la completezza delle informazioni,relazione emotiva con lo staff, presta-zioni del centro dialisi ed aspetti orga-nizzativi del servizio di assistenza.Per risolvere il problema della quantità,si deve intervenire su quello della quali-tà, ricordandoci che questa professionerichiede un alto impiego di risorse esoprattutto una grande forza emotiva damettere a disposizione dei pazienti. Il compito dell’infermiere è “pren-dersi cura” dei pazienti, svolgendoanche la funzione di mediatori diinformazioni: spesso, infatti, sono isoli operatori a comprendere ildolore, la sofferenza e la morte. Gli infermieri, possono essere definitianche “care manager”, professionisti,quindi, con capacità tali da poter adem-piere ad un lavoro di alta qualità svoltocon elementi umani come: comprensio-ne ed amore. Attualmente, il problemaprincipale nella professione infermieri-

25

26

stica, riscontrabile in tutte le “helpingprofession” è la carenza di personaleovvero, il problema quantitativo. Questa carenza è dovuta a vari fattori,ma quello più rilevante è la notevolepressione psicologica a cui vengono sot-toposti i professionisti. Dai risultati èemerso che il livello di burn-out è infe-riore a quello del resto d’Italia e che nonci sono significanti differenze tra medicie infermieri, ma considerando separata-mente i centri dialisi, in due di essi èemerso che gli infermieri presentavanoun elevato livello di burn-out.Analizzando, poi, le risposte dei degen-

ti, si è visto che il livello di soddisfazio-ne è abbastanza elevato in particolareriguardo gentilezza e cortesia dellostaff, ma evidenziano, un aspetto nega-tivo nell’organizzazione del lavoro. La dimensione più critica, però,resta quella comunicativa rispettoalle informazioni ricevute e si osser-va, inoltre, una correlazione positiva trala soddisfazione lavorativa degli opera-tori e quella dei degenti, ma nessuna,significativa correlazione tra la de-per-sonalizzazione dello staff e il livello disoddisfazione dei pazienti.Da quanto rilevato, si evince, quindi, cheun alto livello di burn-out può essereassociato ad una poca soddisfazione deipazienti e che, quindi, identificando eprevenendo il fenomeno in questione, sipuò aumentare la soddisfazione deipazienti.Proprio alla relazione tra soddisfazionelavorativa e livello di burn-out è dedica-to lo studio di Kalliath e Morris che ipo-tizzano che un alto livello di soddisfazio-ne lavorativa porti a bassi livelli di burn-out. A questo proposito, di deve pensa-re che il lavoro non esiste indipendente-mente dai lavoratori e, per questo moti-vo, va studiato come un complessosistema di pratiche sociali e non sempli-cemente come sistema tecnico, tecnolo-gico ed organizzativo che contiene atti-vità di lavoro. Esso, infatti, permette allepersone di mettere in pratica le proprieconoscenze, di sviluppare capacità edabilità; rappresenta una fonte di varietàdato che le porta fuori dalla propriacasa, e svolge un ruolo importante nel-l’organizzazione del tempo. L’individuo è, quindi, motivato al lavoro

poiché vi trova la possibilità di soddi-sfare una serie di bisogni fondamentali,come sviluppare le proprie capacità,svolgere attività significative ed utili,accrescere le proprie conoscenze. Nonsempre il lavoro, però, soddisfa tuttequeste funzioni, anzi, al contrario, essopuò essere vissuto in maniera negativa,con conseguenze quali alienazione estress che possono insorgere nelmomento in cui il lavoro viene vissutocome un’attività obbligata, che compor-ta limitazioni nella gestione del propriotempo e nello svolgimento di attivitàdesiderate, che vincola al rispetto dinorme e orari e che conduce a relazionisociali non sempre positive.Tra gli infermieri viene rilevataun’alta incidenza di ansia e depres-sione, associati alla particolareattività lavorativa. Lo stress speri-mentato sul lavoro, e al di fuori di que-sto, contribuisce allo sviluppo di taliforme di disagio.La soddisfazione lavorativa è stata valu-tata con la scala di Katzell: dall’indaginecondotta, si evince che la soddisfazionelavorativa, globalmente considerata,risulta essere un fattore protettivo perl’ansia e la depressione, così come perl’esaurimento emotivo che caratterizzail burn-out. Si può, dunque, affermare che l’esseresoddisfatto in merito alla gestione della

propria Unità Operativa ed il giudiziopositivo sulle proprie opportunità di cre-scita, sembrano esercitare un ruolo par-ticolarmente rilevante proprio sul livelloglobale di soddisfazione degli infermie-ri, indipendentemente da caratteristichequali età, sesso e durata d’impiego, e daaltri fattori, quali la chiarezza di ruoli ecompetenze ed il giudizio sugli spazi e leattrezzature.Sempre riguardo alla soddisfazionelavorativa e al suo rapporto con il burn-out si pone lo studio di Tabolli e collabo-ratori che affermano che la soddisfazio-ne lavorativa ed il benessere psico-fisi-co degli operatori sanitari svolgono unruolo importante nella qualità delle curefornite.L’obiettivo del loro studio è quello divalutare i livelli di burn-out, ansia edepressione, ed il grado di soddisfazio-ne lavorativa degli infermieri dell’Idi-Sanità. A tale scopo, è stato utilizzatoun questionario anonimo, auto-sommi-nistrato, distribuito a 545 componentidel personale infermieristico. Il questio-nario era composto dal MaslachBurnout Inventory (Mbi), dal GeneralHealth Questionnaire (Ghq-12), e da unquestionario sulle principali dimensionidella soddisfazione lavorativa, già vali-dato. L’analisi eseguita sui dati ottenutiè stata condotta come analisi di regres-sione logistica multipla, per l’identifica-

zione delle variabili predittive di sindro-me di burn-out e di stato ansioso-depressivo ed, in particolare, per lasezione del questionario relativa allasoddisfazione lavorativa è stata effet-tuata una analisi fattoriale.Il 44% degli infermieri ha risposto alquestionario e si è potuto rilevare burn-out nella sottoscala Mbi dell’esauri-mento emotivo nel 38% dei rispondenti;i valori medi e le deviazioni standardriscontrati in ciascuna delle tre sotto-scale dell’Mbi non differiscono in modosignificativo dai valori della popolazioneitaliana di riferimento. In 1/3 circa delcampione, il punteggio al Ghq-12 portaall’identificazione di disturbi (ansia edepressione) e si è rilevato che sia perquesto tipo di disturbi che per l’esauri-mento emotivo la soddisfazione lavora-tiva è risultata fattore protettivo.Dall’analisi fattoriale delle domanderelative ai singoli aspetti della soddi-sfazione sono stati individuati quattrofattori, complessivamente responsabi-li del 61% circa della varianza totale,possibili obiettivi di intervento permigliorare il giudizio e la motivazione,degli infermieri.Del legame tra stress e burn-out trattal’articolo di Shirey che cerca di spiegareche questi due concetti, benché tempo-ralmente e qualitativamente differenti,potrebbero rappresentare un percorsoipotetico cui molti operatori socio-sani-tari vanno incontro nella propria espe-rienza lavorativa quotidiana: la presenzadi una situazione difficile che induce aduna reazione adattiva nel soggetto coin-volto, conducendolo alla sua cristallizza-zione in una sindrome specifica. Le condizioni fisiche dell’ambientelavorativo o la fatica fisica, il ruoloe le relazioni lavorative, la gestionedel lavoro, la burocratizzazionesono tutte variabili capaci di espli-citare negli operatori i sintomi chesostanziano la sindrome del burn-out: apatia, perdita di entusiasmo esenso di frustrazione. Si può affermare che i comportamentilavorativi messi in atto dagli operatori infase di burn-out sono rivolti, in partico-lare, al rapporto interpersonale conl’utenza nel momento in cui tale rappor-to perde la proprietà di relazione d’aiuto

e diviene essenzialmente una relazionetecnica di “servizio”: perdita dei senti-menti positivi verso l’utenza e la profes-sione, perdita della motivazione, del-l’entusiasmo e del senso di responsabi-lità; vengono evitate le relazioni, le visi-te e le telefonate, oltre alle discussionie difficoltà atte ad attivare processi dicambiamento; utilizzo di un modellolavorativo stereotipato con procedurestandardizzate e rigide; cinismo verso lasofferenza. Nello studio, vengono anche presi inconsiderazione gli strumenti individua-bili finalizzati allo sviluppo di modelli diprevenzione e gestione del burn-out: laformazione permanente ed i gruppi disupporto per gli operatori in cui gliincontri, a cadenza settimanale, sonofocalizzati su spazi di discussione relati-vi a casi difficili, scelte terapeutiche,problemi interpersonali con altri colle-ghi dello staff o di staff diversi. Un altro interessante lavoro riguarda ilsuperamento dello stato di burn-out checonsidera anche un mezzo per rivitaliz-zare la propria carriera. Espeland spiegache aiutare gli altri è lo scopo principaledelle cosiddette “professioni di aiuto”,in cui il rapporto tra curante e assistitoha implicazioni emotive spesso moltoforti. Ma quando l’operatore si fa troppocoinvolgere dai problemi di chi è statoaffidato alle sue cure, può andare inburn-out. Con questa espressione siintende una particolare condizione dilogorio psicologico (talvolta, anche fisi-co) provocato da una progressiva perdi-ta di idealismo e di energia nel lavoro,accompagnata da una sensazione diimpotenza e fallimento. E’ lo stress dichi avverte un forte squilibrio tra richie-ste e risorse, tra ideale e realtà, tra ciòche gli assistiti richiedono e le reali pos-sibilità di rispondere ai loro bisogni.Come altra possibilità rispetto alla dife-sa burn-out, esiste quella che potremmodefinire “difesa attiva”, cioè il modifica-re la situazione reale di lavoro, che risul-ta essere un sistema certamente piùproficuo che non il ripiegamento sogget-tivo e il disinteresse, ma che presentaugualmente una serie di contro-indica-zioni: prima fra le quali il fatto chedetermina lo spostare il problema alivelli sempre più alti (e progressiva-

mente immodificabili), dando luogo adattese utopistiche e a speranze senzafondamento. Questo tipo di azione èrazionale se il singolo, o il piccolo grup-po, hanno, nell’organizzazione, uno spa-zio di manovra per le opportune modifi-cazioni, ma rivela la sua infondatezza sesi pensa che le organizzazioni sonostressanti proprio nel momento in cuinon esiste questo spazio di manovra. Cisono, invece, alcuni soggetti che, quan-do le condizioni di un lavoro hannomesso in discussione le motivazioniideali, tentano di superare il burn-outattuando una fuga dal lavoro senza rie-saminare queste motivazioni, ma il lavo-ro stesso. Questa fuga è quasi sempreindividuale, e cela un certo senso disuperiorità di chi va via che si sentemigliore o più energico rispetto a quelliche restano “a far niente”.C’è anche un’altra soluzione: mettere apunto una tecnica migliore di relazione odi lavoro che permette di far fronte allacaduta dell’entusiasmo. Se per uno staffl’unica possibilità per non estinguersi èuna soluzione attiva e di cambiamentoambientale, per il singolo operatore lasoluzione può passare attraverso unatto inizialmente cognitivo. Se l’opera-tore si rende conto che è lo sforzo per-sonale o l’entusiasmo a permettergli diincontrare il bisogno dell’altro, puògiungere anche ad un cambiamentocomportamentale.

DISCUSSIONEPer quanto riguarda la comparsa dellasindrome di burn-out, particolare impor-tanza possono avere fattori socio-orga-nizzativi (aspettative connesse al ruolo,le relazioni interpersonali, le caratteri-stiche dell’ambiente di lavoro, l’organiz-zazione stessa del lavoro), nonché lerelazioni tra variabili anagrafiche(sesso, età, stato civile): tra queste, l’etàè quella che ha dato luogo a maggioridiscussioni tra i diversi autori che sisono occupati dell’argomento. Alcunisostengono che quella avanzata costi-tuisca uno dei principali fattori di rischiodi burn-out, mentre altri ritengono che isintomi di burn-out sono più frequentinei giovani, le cui aspettative sono delu-se e stroncate dalla rigidezza delle orga-nizzazioni lavorative.

27

28

I risultati sembrano, quindi, indicare unapolarizzazione tra “specialità a più altoburn-out”, dove spesso ci si occupa dipazienti cronici, incurabili o morenti, e“specialità a più basso burn-out”, ove imalati hanno prognosi più favorevole.Le ricerche condotte in quest’ambitohanno testimoniato l’utilità di condurreinterventi rivolti al miglioramento dellaqualità di vita lavorativa.A seguito, infatti, delle attività propo-ste, il personale infermieristico ed ausi-liario si è sempre dimostrato più effi-ciente e, soprattutto, maggiormentecapace di lavorare in gruppo. Inoltre, in letteratura viene sottoli-neato come, a seguito di un inter-vento mirato al miglioramento dellaqualità di vita lavorativa, il perso-nale infermieristico si sia dimostra-to più accorto e propositivo nel sod-disfare le richieste dell’utenza.Una correlazione tra stress occupazio-nale e insorgenza di burn-out viene stu-diata da Grunfeld e collaboratori chehanno evidenziato la relazione tra stressoccupazionale e sindrome di burn-out,considerato una delle principali fonti didisagio psicologico connesso all’attivitàlavorativa nei settori del comparto sani-tario, soprattutto l’area oncologica. Il personale che opera nei reparti dioncologia è considerato a rischio inquanto si occupa di pazienti in condizio-ni critiche o in fase terminale, effettuatrattamenti terapeutici complessi espesso deve affrontare carichi di lavoroeccessivi e turni inadeguati. Tuttavia, il rischio di sviluppare la sin-drome del burn-out dipende anche dallecaratteristiche di personalità degli ope-ratori, dalle aspettative che essi hannoriguardo all’attività lavorativa e rilevan-te è la condizione in cui ci trova costret-ti a lavorare. I risultati del protocollopsicodiagnostico evidenziano che i sog-getti studiati, pur possedendo dellecapacità soggettive adeguate a fronteg-giare il carico lavorativo, percepisconochiaramente la presenza di diverse fontidi stress nell’ambito lavorativo; questi,inoltre, presentano un buon equilibriotra la percezione di un controllo internoed esterno sull’andamento lavorativo. Infine, sono state rilevate elevate abili-tà di “coping” che depongono per una

buona capacità di attuare strategiementali e comportamentali per affronta-re le situazioni problematiche. Tuttavia, in molti casi, i risultati dei sub-test, hanno evidenziato una buona salu-te fisica a fronte della sensazione diridotto benessere emozionale; infatti,tutti i lavoratori hanno riferito sintomicaratteristici della sindrome di burn-out,quali fatica mentale, irritabilità ed apa-tia, dovuti alla specifica condizionelavorativa. I risultati del test Mbi, hannoevidenziato la presenza di sintomi delburn-out, anche in presenza di una con-dizione di realizzazione professionale.

CONCLUSIONIUno degli obiettivi del personale infer-mieristico e di tutti gli altri operatoriall’interno delle aziende sanitarie èquello di contribuire al miglioramentodella qualità dei servizi. Tale contributo può risultare inadeguatoa causa di conflittualità organizzative,relazionali ed individuali, demotivazionipersonali e di gruppo: tutti sintomi dellasindrome da burn-out.Il burn-out è un processo che iniziacon un eccessivo e prolungatolivello di stress lavorativo che pro-duce esaurimento nell’operatore;un processo che è completo quandoquesti, per far fronte allo stress, sidistacca psicologicamente dal pro-prio lavoro, diventando apatico ecinico.Tutte le professioni d’aiuto spendono unintenso coinvolgimento emotivo: l’inte-razione tra operatore ed utente è centra-ta sui problemi contingenti di quest’ulti-mo (psicologici, sociali o fisici) ed è, per-ciò, spesso gravata da sensazioni d’an-sia, imbarazzo, paura o disperazione,soprattutto in un contesto lavorativo cheinficia tale interazione. Poiché non sem-pre la soluzione dei problemi dell’utenteè semplice o facilmente ottenibile, lasituazione diventa ancora più ambigua efrustrante e lo stress cronico può logora-re emotivamente l’operatore e condurloal burn-out, normalmente definito comeuna sindrome di esaurimento emotivo,di de-personalizzazione e di ridotta rea-lizzazione personale che può insorgerein chi svolge una qualche attività lavora-tiva “di aiuto”: dunque, uno stato di

malessere, di disagio, che consegue aduna situazione lavorativa percepitacome stressante e che conduce gli ope-ratori a diventare apatici, cinici, indiffe-renti e distaccati dall’ambiente di lavo-ro. In casi estremi, tale sindrome puòcomportare gravi danni psicopatologici(insonnia, problemi familiari, incremen-to nell’uso di alcol o farmaci) e deterio-ra la qualità delle cure o del servizio pre-stato dagli operatori, provocando assen-teismo e alto turn-over.In conclusione, è possibile notare dueaspetti critici inerenti alla professioneinfermieristica: il primo riguarda l’organizzazione sani-taria che sembra abbia difficoltà adappropriarsi della cultura del migliora-mento, che presuppone l’accettazionedei limiti, di errori e quindi l’idea delcambiamento. L’obiettivo principaledelle organizzazione è la soddisfazionedel cliente, ma dimentica spesso che,poiché “cliente” è chiunque usufruiscadi un servizio, anche l’operatore è uncliente (oltre ad essere la maggiorerisorsa, in qualità di “capitale umano”)e, quindi, l’organizzazione dovrebbeporsi come obiettivo anche quello disoddisfare gli operatori sanitari, monito-rando bisogni e aspettative, al fine digarantire la qualità; il secondo riguarda il delicato ruolo rico-perto dal personale infermieristico, conle sue specificità, come interfaccia fon-damentale nel percorso di diagnosi ecura fra paziente e medico curante, talefondamentale ruolo troppo spesso nonviene considerato in modo adeguato etutelato dal rischio di burn-out. In generale, è possibile evidenziare che,quando gli ambienti dove agiscono i“care manager” sono pervasi da burn-out, è evidente che la loro efficacia sulpiano professionale cade verticalmente,e quanto più tale fenomeno viene accet-tato come inevitabile, tanto più la mag-gior parte degli operatori tenterà diadattarvisi. Risultato? Un crescentenumero di operatori sanitari con proble-matiche di tipo psicologico e psicoso-matico.Per quanto detto si può affermare chenon esiste, allo stato attuale, alcunaterapia specifica e, quindi, realmenteefficace per un quadro manifesto di

burn-out, anche se le organizzazionihanno grandi responsabilità nella fasedella prevenzione. Fino ad ora, si sonosvolte sperimentazioni che hanno porta-to ad ipotizzare strategie o collaudarepercorsi terapeutici multidisciplinari,per cui si va dai gruppi di aiuto ai tratta-menti antidepressivi classici e tradizio-nali (in Spagna è stato anche istituito unnumero telefonico di soccorso per i sog-getti in crisi).L’unico, reale rimedio è costituitodalla prevenzione, giacché si presen-ta molto difficile recuperare una situa-zione degenerata sia per il singolo ope-ratore sanitario, sia per il contesto lavo-rativo nel suo complesso. La prevenzio-ne del burn-out presuppone molteplicilivelli di intervento, che attengono siaalla organizzazione del lavoro che aprovvedimenti specifici.È necessario continuare sulla strada delmiglioramento della qualità dei servizi e

d’integrazione delle diverse équipe mul-tiprofessionali, senza dimenticare, però,che la complessità delle situazioni chesi verificano nei vari contesti e, più spe-cificamente, in pronto soccorso o inoncologia, richiedano, preventivamente,una maggiore sensibilità da parte deidirigenti infermieristici e provvedimentidi supervisione e di supporto da parte dispecialisti psicoterapeuti e di medici dellavoro in grado di gestire gruppi d’incon-tro e, al bisogno, interventi individualinei casi più a rischio. Gli interventi diprevenzione del burn-out devono essererivolti ad insegnare all’operatore avedere il gruppo di lavoro come unarisorsa e non come un limite: ciò èimportante anche se risulta facilmentecomprensibile come possa risultarespesso difficoltoso, proprio perché ilsovraccarico emozionale elevato, checonsegue all’assistenza, comporta,come risposta conseguente, un distacco

dalle persone: dovrebbe intervenire ilcoordinatore nel ruolo di facilitatore eall’infermiere dovrebbe essere data lapossibilità di porre in essere attività cheappartengono al proprio specifico pro-fessionale, affinché non si senta declas-sato, demansionato e, quindi, frustrato. Possibili piani di intervento si possonoconcretizzare in tecniche di conduzionedei gruppi mirate a migliorare le relazio-ni interpersonali dei membri di un’equi-pe assistenziale, cercando di rafforzareed aumentare il senso di solidarietà, diidentificazione e di appartenenza ad ungruppo professionale, capacità di con-forto, comprensione della situazione,confronto e gratificazione.

AUTORE:Emilia Marsala, infermiera presso l’Ifo –Polo oncologico “Regina Elena” di Roma.

Ambrosini G, Barni S, Frontini L, Oncostress l’operatore-il paziente. Trento: Ed. Seiser; 2005. Argentero P, Dell’Olivo B, Ferretti M S, Staff burn-out and patient satisfaction with the quality of dialysis care. Am J Kidney Dis. 2008 Jan;51(1): 80-92. Cherniss C, Staff burn-out: job stress in the human service. Beverly Hills, CA: Sage Publications Inc.; 1980 (La sindrome del burn-out. Torino:Centro Scientifico Editore; 1983.Cherniss C, La sindrome del burn-out. Lo stress lavorativo degli operatori dei servizi socio-sanitari. Torino: CST Centro Scientifico; 2000.Di Iorio B, Cillo N, Cucciniello E, Bellizzi V, Burn-out in the dialysis unit, J Nephrol. Mar-Apr 2008; 21 Suppl. 13, 158-162.Edward K. L, Hercelinskyj G., Burn-out in the caring nurse: learning resilient behaviours. Br J Nurs. 2007 Feb 22-Mar 7; 16(4): 240-2. Espeland K. E, Overcoming burn-out: how to revitalize your career. J Contin Educ Nurs., 2006 Jul-Aug; 37(4): 178-84. Fenga C, Faranda M, Aragona M, Micali E, Di Nola C, Trimarchi G, Crimi B, Cacciola A, Burn-out and occupational stress in nurses. Med Lav.2007 Jan-Feb; 98(1): 55-63. Grunfeld E, Zitzelsberger L, Coristine M, Whelan T. J, Aspelund F, Evans W. K, Job stress and job satisfaction of cancer care workers. Psychooncology. 2006 Jan; 14(1): 61-9. Ilhan M. N, Durukan E, Taner E, Maral I, Bumin M. A., Burn-out and its correlates among nursing staff: questionnaire survey, J Adv Nurs. 2008Jan; 61(1): 100-6. Epub 2007 Nov 22. Kalliath T, Morris R, Job satisfaction among nurses: a predictor of burn-out levels. J Nurs Adm. 2006 Dec; 32(12): 648-54. Kamrowska A, Job burn-out, Pol Merkur Lekarski. 2007 Oct; 23 (136): 317-9.Lodolo D’Oria V, Pecori Girali F, Della Torre M, Iossa Fasano A, Vizzi F, Fontani S, Vitello A, Quale rischio di patologia psichiatrica per la cate-goria professionale degli insegnanti (Studio Golgota). La Medicina del Lavoro 2005; 5.Maslach C, La sindrome del burnout. Il prezzo dell’aiuto agli altri. Assisi: Cittadella Editrice; 2002. Maslach C, Burn-out, the cost of caring. New York: Prentice Hall Press Inc.; 1982 (La sindrome del burn-out, il prezzo dell’aiuto agli altri.Aaaisi: Cittadella Editrice; 1997).Palmer-Morales Y, Prince-Vélez R, Searcy-Bernal R, Compean-Saucedo B, Prevalence of burn-out syndrome in nurses in two mexican hospi-tals, Enferm Clin. 2007 Sep-Oct; 17(5): 256-60. Piko B. F., Burn-out, role conflict, job satisfaction and psychosocial health among Hungarian health care staff: a questionnaire survey, Int JNurs Stud. 2006 Mar; 43(3): 311-8. Epub 2005 Jun 16.Quattrin R, Zanini A, Nascig E, Annunziata M, Calligaris L, Brusaferro S, Level of burn-out among nurses working in oncology in an Italianregion. Oncol Nurs Forum. 2006 Jul 1; 33(4): 815-20. Shirey M. R, Stress and burn-out in nursing faculty. Nurse Educ. 2006 May-Jun; 31(3): 95-7. Tabolli S., Ianni A., Renzo C., Di Pietro C., Puddu P, Soddisfazione lavorativa, burn-out e stress del personale infermieristico: indagine in dueospedali di Roma, G Ital Med Lav Erg 2006; 28:1, suppl. Psicologia 1, 49-52 © PI-ME, Pavia 2006.Zanni G. R., Recognizing and preventing job burnout, Consult Pharm. 2008 Jan; 23(1): 76-8.

BIBLIOGRAFIA

29

30

La gestione del dolore in ambitopediatrico. Da un’indagineconoscitiva all’attuazione del progetto“Ospedale senza dolore”di Rosario Alvaro, Mariagrazia Greco, Mariaclara Montanaro, Loredana Sasso

IPREMESSAIn un vecchio studio sul dolore nei bam-bini (McCaffey e Beebe, 1989), un allie-vo di scuola elementare completò lafrase: “il dolore è” con: “quando tu urlichiedendo aiuto e nessuno arriva”.Riteniamo che questo pensiero rappre-senti al meglio lo stato di disagio e disolitudine, prima ancora che di dolore, acui potrebbe andare incontro un essereumano - ed ancora di più, un bambino -che si trova ad affrontare una malattiacon sintomatologia dolorosa.Nonostante i progressi realizzati negliultimi decenni nel campo della gestionedel dolore in ambito pediatrico, questo,in molte realtà sanitarie, viene ancorasottostimato e trascurato.In generale, sembra prevalere unasorta di atteggiamento fatalistico,quasi come se il dolore, nel bambi-no ammalato, fosse parte integrantedelle cure.In tale contesto, gli operatori sanitaritendono, talvolta, a considerare “abi-tuale” le sofferenze che infliggono alpaziente durante le manovre terapeuti-che: eppure, recenti evidenze scientifi-che dimostrano che il dolore può esse-re controllato efficacemente nel 90%dei casi e che una percentuale rilevantedi pazienti soffre di un dolore decisa-mente evitabile.

“UN OSPEDALE SENZADOLORE”Sono trascorsi diversi anni da quando,nel 1992, presso l’ospedale St-Luc di

Montreal in Canada, fu avviato un pro-getto innovativo, finalizzato a modifica-re le attitudini e il comportamento deiprofessionisti sanitari e, al contempo,dei malati ricoverati (Besner, 1993).Questo progetto, denominato “verso unospedale senza dolore”, ha ricevutol’appoggio ufficiale della divisionepanamericana dell’Oms e, dopo esserstato condotto all’ospedale di Montreal,è stato esportato in altri Paesi.La Regione Campania, nell’applicazio-ne progettuale per la gestione deldolore, non vanta nessun tipo di prima-to e vede, ad oggi, solo pochi esempi diprogetti realizzati in ospedali generalied una quasi assoluta assenza in quel-li pediatrici.Da questa evidente carenza organizzati-va è scaturita la necessità di mettere inpratica, presso l’Ao Pediatrica Santo -bono-Pausilipon di Napoli, un progettospecifico sulle tematiche del doloreche ci collocasse in linea con altrerealtà pediatriche nazionali. Il proget-to, iniziato a marzo del 2005, entra aregime a marzo 2008 e si riterrà con-cluso solo al raggiungimento degliobiettivi prefissati.Lo studio è iniziato con la somministra-zione di due questionari: il primo, rivoltoesclusivamente agli operatori sanitari; ilsecondo costituito da due parti e rivolto,in momenti successivi, al paziente eall’operatore.

I materiali La fase I dello studio si è svolta in duemesi. Il primo questionario: “Atteggia -

menti e conoscenze riguardanti il dolo-re” è composto da 21 affermazioni trat-te da questionari validati (Lebovits,1992).L’indagine condotta ha avuto comeobiettivo la rilevazione dei valori, con-vinzioni e conoscenze degli operatorisanitari nei confronti del dolore.

Scelta del CampioneSi è utilizzato un campionamento casua-le semplice, grazie all’intera lista dellapopolazione composta da 300 medici e500 infermieri, per un totale di 800 unità(N), a cui si è associato un numero edestratto casualmente n numeri fra gli Ntotali.Secondo lo studio pilota del Lebovits,condotta sulla comunità medica interna-zionale, che dà come valore il 56%quale variabilità del fenomeno, ottenia-mo un’ampiezza campionaria (n) di 257unità corretta per popolazioni finite.

MetodologiaIl questionario è stato consegnato alpersonale medico e infermieristico,estratto dalla lista, a cura dei caposaladelle varie Unità Operative con la richie-sta di compilarlo.

Analisi statistica e risultatiI dati raccolti sono stati elaborati dalservizio statistico dell’Azienda.Il totale degli operatori che ha compila-to il questionario è stato di 257 di cui 96medici e 161 infermieri impegnati nel-l’assistenza diretta di malati.La percentuale complessiva di risposte

corrette (cioè, conformi alla teoria edalla prassi del trattamento del dolorericonosciute dagli esperti e dagli organi-smi internazionali) è stata del 49,56%.La percentuale di risposte corrette percondizione professionale è stata:56,20% per i medici e 45,61% per gliinfermieri.La percentuale complessiva di concor-danze, con i criteri riconosciuti dallacomunità medica internazionale, dellerisposte alle domande formulate nelquestionario somministrato è stata, nelnostro studio, del 49,56%.Lo studio pilota del Lebovits, condottasulla comunità medica internazionale ha

dato come valore il 56% (Lebovits,1977). (Fig. 1).Un dato piuttosto sconfortante. Nellospecifico, è indice di ben definita caren-za riguardo agli argomenti specifici, diparticolare importanza clinica, quellorelativo all’impiego di analgesici.Inoltre, se l’attenzione al dolore in gene-rale si può considerare appena soddi-sfacente, l’attenzione al dolore neona-tale è da considerare del tutto scarsa.La seconda fase dello studio è stata rea-lizzata attraverso la somministrazione diun questionario su: “Prevalenza e perce-zione del dolore” ed è costituito da dueparti separate.La prima è stata compilata dall’infer-miere di reparto in base alla cartella cli-nica e osservando il paziente (inoltre,sono state raccolte informazioni sul-l’eventuale utilizzo e modalità di sommi-nistrazione di analgesici durante il rico-vero e, mediante una scala analo -

gico/numerica – Nas, graduata da 0 a10, massimo dolore immaginabile - l’in-fermiere ha quantificato l’intensità deldolore a suo parere percepito dalpaziente al momento della rilevazione.La seconda parte compilata dal pazien-te; costituita da due scale analogico-

numeriche (identiche a quella contenutanella prima parte) riguardanti il dolore.(Questa parte è stata proposta alpaziente entro pochi minuti dalla compi-lazione della prima).Il campione, in questo caso, è statocostituito da settanta pazienti ricoveratinelle varie UuOo, di età compresa fra isei ed i 16 anni, e per i quali i genitoriavessero dato il consenso per la compi-lazione del questionario proposto. Ilcampione è rappresentato da 63% di

maschi e dal 37% di femmine.I dati raccolti sono stati elaborati dalservizio statistico dell’Azienda. La per-centuale di risposte dei questionari Ëstata del 100%. L’età media del cam-pione era di circa 8 anni, con una per-centuale lievemente superiore per ilsesso femminile. Al momento della rile-vazione, la percentuale dei pazienti chepresentava dolore era del 61% (Fig. 2).La Tabella 1 riporta la concordanza nellavalutazione dell’intensità del dolore trapaziente e operatore sanitario almomento della rilevazione. Il grado di concordanza espresso trami-te la statistica K di Cohen Ë piuttostoscarso, pari allo 0,371, che denota unanotevole differenza nella valutazionedel dolore da parte del paziente e del-l’operatore sanitario. Non a caso, ildolore del paziente viene sottostimato.Altro dato rilevato è che il 70 % dei sog-getti aveva assunto antalgici nelle ulti-me 24 ore, rappresentati, per il 23% daFans e per il 6% da oppioidi ed il 71%da analgesici.Di qui le nostre conclusioni:– il 61% dei pazienti ospedalizzati

lamenta dolore;– il 28% accusa dolore da più di 24 ore

e di questi il 29% presenta un doloretra moderato ed intenso;

– dei pazienti doloranti il 30% nonriceve alcun tipo di trattamento,mentre il restante 70% è trattatoprincipalmente con farmaci analgesi-ci somministrati prevalentemente albisogno;

– la capacità degli operatori sanitari diriconoscere il dolore percepito dalpaziente si è rilevata insufficiente.

Pertanto, si può affermare che, nelnostro ospedale, pur essendo moltii pazienti con sintomatologia dolo-rosa, il problema “dolore” è sotto-stimato e, in certi casi, ignorato.

31

Figura 1

Figura 2

Tabella 1

32

FASE DI AVANZAMENTOLa realizzazione del progetto “Ospedalesenza dolore” ha richiesto uno sforzoeducativo del personale sanitario con unforte impegno formativo dell’azienda. L’iniziativa basilare, come previsto dallelinee guida internazionali, è stata lacreazione di un Comitato OspedaleSenza Dolore (Cosd). Il Cosd ha previsto, nel suo organismo,la presenza del personale infermieristi-co per almeno un terzo dei membri, oltreal farmacista, medici, anestesisti e adorganizzazioni no-profit, in particolare leorganizzazioni del volontariato, operantinel settore.Al Cosd è stato attribuito il compito di: – promuovere l’educazione continua

del personale sui principi di tratta-mento, sull’uso dei farmaci e sullemodalità di valutazione del dolore;

– promuovere l’elaborazione e la distri-buzione di materiale informativo aicittadini relativo alla cura del dolore;

– creare un osservatorio specifico deldolore nella struttura sanitaria;

– monitorare i livelli di applicazione dellelinee guida e la valutazione di efficacia.

Azioni per il raggiungimento diobiettivi intermediL’iter operativo del Cosd aziendale haprevisto:– la formazione: l’attività di formazione

del personale è stata rivolta agli ope-ratori a seconda del bisogno formati-vo presente nelle varie aree ospeda-liere (medica, chirurgica, oncologica,neonatale). La formazione ha avutocarattere multidisciplinare e interdi-sciplinare, coinvolgendo contestual-mente tutto il personale coinvolto neiprocessi assistenziali;

– il monitoraggio: è stato previsto chenella cartella clinica del paziente fos-sero riportate le caratteristiche deldolore e la sua evoluzione durante ilricovero. La rilevazione costante deldolore sarà considerata, dal pazien-

te e dagli operatori, il V parametrovitale.Ciò permetterebbe misurazioni piùaccurate rendendo il dolore un pro-blema visibile (Asp, Quality of CareCommittee 1995);

– la disponibilità degli strumenti ido-nei: il Cosd ha valutato quali stru-menti fossero più idonei per le diver-se realtà (es. malato oncologico,neonatale, chirurgico) e ne ha pro-mosso la messa a disposizione delpersonale di cura;

– l’informazione mediante la prepara-zione di materiale informativo cheverrà costantemente distribuito aipazienti, quando l’età del piccolo loconsente, o ai loro genitori;

– i processi applicativi, ossia protocol-li di trattamento con riferimento allascala analgesica dell’Oms, per ana-lizzare tutti i livelli di sofferenza.

CONCLUSIONINel prossimo triennio (2005/2008), ilprogetto “Ospedale Senza Dolore” pre-vedrà l’utilizzo, in tutti i dipartimentidell’Azienda, di un sistema di misurazio-ne del dolore specifico per area. Periodicamente, verrà valutata la preva-lenza del dolore in ospedale, il grado disoddisfazione dei pazienti/famiglia, illivello di preparazione del personale, lavalutazione del consumo di analgesici.Altre misure di outcome potranno esse-re stabilite secondo le caratteristichedei malati afferenti alle diverse unitàoperativeAnche presso l’Ao Pediatrica

Santobono-Pausilipon, così come avvie-ne in altre realtà sanitarie, la lotta aldolore sarà tanto più efficace quanto piùpresente nel processo di promozionedella salute, tanto da costituire unobiettivo strategico della DirezioneAziendale, in grado di qualificare lastruttura sanitaria stessa.La Sanità, non solo quella campana,pressata tra la domanda di migliora-mento della qualità delle cure e neces-sità economica di ottimizzazione erisparmio, richiede una razionalizzazionedegli interventi con dimostrazione diefficacia degli stessi, e una garanzia dicontinuità assistenziale tra ospedale eterritorio.Il progetto “Ospedale Senza Dolore”potrà rispondere a questi requisiti siadal punto di vista etico, per una medici-na più umana, sia assistenziale, favo-rendo competenze specifiche, garantedi nuove e moderne offerte di cure che,intraprese in ospedale, saranno assicu-rate anche presso il domicilio. In conclusione, consentiteci di farenostre le parole della dottoressa Eland,per dire a quel bambino, e a tutti i nostribambini colpiti dall’esperienza del dolo-re, che: “…stiamo arrivando, troppolentamente, forse, ma stiamo sulla giu-sta strada”.

AUTORI:Rosaria Alvaro, professore associatoScienze Infermieristiche, università TorVergata, Roma; Mariagrazia Greco, coordinatrice degli inse-gnamenti tecnico-pratici e di tirocinio Corsodi Laurea per Infermiere Pediatrico-PoloDidattico Santobono/Pausilipon, università“Federico II” di Napoli;Mariaclara Montanaro, collaboratore pro-fessionale Infermiere PediatricoCoordinatore - Asl 40 di Napoli, Presidioospedaliero Santobono-UfficioInfermieristico;Loredana Sasso, professore associatoScienze Infermieristiche, università diGenova.

TempiPercentuali

pazientiDipartimenti

2005/2006 30% Chirurgia

2006/2007 70%Oncologia

Neonatologia

2007/2008 100% Pediatria

33

Aa.Vv, Linee Guida di Pratica Clinica. U. S. Departement of Healt and Human Services; Public Healt Service; Acency for Healt Care Policyand Research; 1998.Anand, Neonatal stress response to anestesia and surgery. Clin Perinatal; 1990.Angeli, The quality of mercy. N Engi J Med; 1982.Bertelli et al., Storia dell’arte italiana. Milano: Bruno Mondadori Editore; 1990.De Benedittis, Introduzione allo studio e alla terapia del dolore. Milano: Libreria Scientifica Già Ghedini; 1978.De Lucchi, Vecchi, Concetti di statistica e di informatica. Milano: Casa Editrice Ambrosiana; 1991.Ferri, Il controllo del dolore. Il Pensiero Scientifico Editore.Lantieri et al., Statistica medica ed elementi d’informatica. Milano: McGraw-Hill Editore; 1994.

BIBLIOGRAFIA

IN PILLOLE

Dna, nuova luce sulla “materia oscura”Cade un’altra barriera per la genetica: la cosiddetta “materia oscura” del genoma umano. E’ stata infatti individuata quell'am-pia porzione di Dna a cui finora non era stato attribuito alcun ruolo specifico, considerandolo Dna non più funzionale. Si trattadel cosiddetto “Dna ripetuto”, ovvero milioni di sequenze gemelle sparse per il genoma. Si è scoperto ora che queste sono inve-ce funzionanti e che hanno un importante ruolo di regolazione dell'attività dei geni e possono essere implicate in alcune malat-tie genetiche e nel cancro in cui il programma cellulare è alterato.Annunciata dalla rivista Nature Genetics, la scoperta è frutto di una collaborazione internazionale tra il gruppo del Laboratoriodi Epigenetica del Dulbecco Telethon Institute guidato da Valerio Orlando e ospitato dall'Irccs Fondazione Santa Lucia e Ebri diRoma, il team di Piero Carninci dell'Omics Centre del Riken di Yokohama in Giappone, l'Università di Queensland in Australia. InItalia lo studio è stato finanziato da Telethon, Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro e Fondazione Compagnia San Paolo. Il genoma è costituito da una porzione minoritaria di geni, che costituisce il codice di lettura per produrre proteine, e da unalunga serie di sequenze ripetute, fino a qualche tempo fa chiamate erroneamente “Dna spazzatura”, in quanto ritenute inutilivestigia dell'evoluzione. Lo studio internazionale in questione dimostra che non è così. Le sequenze ripetute, che in totale rap-presentano il 45% dell'intero genoma, hanno un ruolo importantissimo al pari dei geni nel programma genetico della cellula. Laricerca si è servita di una nuova tecnologia di analisi del genoma: la “deep sequencing” (sequenziamento profondo). Si è cosìrilevato che gli elementi ripetuti sono espressi (quindi funzionanti) al pari dei geni. Inoltre i ricercatori sono riusciti a localizzarecon precisione dove tali elementi vanno a collocarsi e quindi dove agiscono i prodotti (Rna) dell'espressione delle sequenze ripe-tute di geni. Gli autori dello studio ipotizzano che le sequenze ripetute sono impegnate nella regolazione dell'espressione genica mediantediversi meccanismi. Infatti molti elementi funzionanti (espressi) si trovano negli interruttori dei geni e quindi sono implicati nellaloro attivazione o spegnimento. Altri potrebbero invece funzionare come regolatori genici producendo piccoli Rna a interferen-za che spengono geni “appiccicandosi” fisicamente su di loro. La ricerca ha prodotto anche un ultimo risultato: la scoperta diuna nuova famiglia di Rna, i più piccoli in assoluto, denominati “tiny-Rna” e presenti negli interruttori dei geni.

34

IINTRODUZIONEIl contributo che si intende dare con ilpresente lavoro è approfondire alcuniaspetti della formazione infermieristicae, in particolare, il ruolo del tutor. Chi scrive è consapevole che molti infer-mieri hanno lavorato e studiato perindagare in merito alla figura tutoriale,esplicitamente presente in ambito uni-versitario dal 1990 con la legge n. 341“Riforma degli ordinamenti didattici uni-versitari”, ma, forse, è lecita un’ulterio-re riflessione per cercare di capire se,oggi, il tutor è rilevante ai fini del per-corso di apprendimento. In letteratura è ricorrente una constata-zione: c’ è divergenza tra quanto vieneappreso in ambito teorico e ciò che sisperimenta nella clinica. Al tutor, laresponsabilità di garantire l’integrazio-ne degli apprendimenti derivanti daquesti due contesti, comprendendo sequesto dislivello rappresenti una critici-tà per lo studente e, soprattutto, qualevalenza educativa è attribuibile allafigura tutoriale. In qualità di facilitatore dell’apprendi-mento il tutor guida gli studenti fino arenderli soggetti autonomi nel gestire ipropri bisogni di formazione, attivandole risorse necessarie, utilizzando capaci-tà di pensiero critico e abilità nella solu-zione di problemi relativi alla futura vitaprofessionale. Il percorso implica l’ap-propriarsi di un adeguato bagaglio diconoscenze teoriche che devono essereconiugate con i saperi derivanti dal-l’esperienza, al fine di ottenere unapprendimento significativo perché per-dura nel tempo. Ciò è possibile attraver-so adeguati interventi tesi all’attivazio-ne di processi di riflessione critica cherichiedono abilità sia su piano metodo-

logico che didattico, per sostenere lostudente nella rielaborazione delle pro-prie esperienze formative e aiutarlo asuperare la (vera o presunta) distanzatra la scienza studiata e l’attività clinico-assistenziale. In ogni situazione “dialogica” gli attoridella relazione sono almeno due: perquanto riguarda il tema trattato, vannomenzionati: gli studenti insieme al tutore, a corollario, i docenti di ScienzeUmanistiche e cliniche che dovrebberoessere tra di loro coordinati.Cosa deve fare il tutor in qualità diagente del processo formativo? Qual èla visione dello studente, in qualità diagente del proprio apprendimento, per ilservizio tutoriale che è a lui dedicato? Il presente lavoro desidera brevementefocalizzarsi su una revisione della lette-ratura, in cui si è ricorso alla consulta-zione di banche dati come PubMed eCinhal per reperire alcuni studi autore-voli allo scopo di:delineare un profilo del tutor;comprendere quali metodologie caratte-rizzano il processo di tutoring;effettuare un’analisi storica dell’evolu-zione delle insegnanti infermiere checonfluiscono nel ruolo di tutor;evidenziare le problematiche più ricor-renti connesse alla funzione tutoriale.In questa fase, le difficoltà maggiorisono state relative ad un utilizzo di fontibibliografiche di lingua inglese, e l’esi-genza di non alterare il significato dialcuni contenuti nella traduzione.

IL PROFILO DEL TUTOR,REVISIONE DELLALETTERATURA“Il tutor facilitatore dall’apprendimen-to”: è difficile definire in modo univoco,

chiaro e condiviso il profilo del tutor,perché, con questo stesso termine, si fariferimento a più ruoli in diversi contesti,pur riconoscendo caratteristiche comu-ni.In Italia il servizio di tutorato viene intro-dotto ufficialmente dalla legge del 19novembre 1990, n. 341 “Riforma degliordinamenti didattici universitari”. Essaparla di un servizio di tutorato: “finaliz-zato a orientare e assistere gli studentilungo tutto il corso di studi, a renderliattivamente partecipi del processo for-mativo, a rimuovere gli ostacoli a unaproficua frequenza dei corsi, ancheattraverso iniziative rapportate allenecessità, alle attitudini e alle esigenzedei singoli”. Scandella, definendo i significati dellatutorship, sottolinea che il ruolo deltutor e la necessità di inserirlo nei con-testi educativi è il risultato di imminentiesigenze di innovazione pedagogica edidattica per fronteggiare fenomeniconnessi a una nuova domanda di for-mazione e per conseguire risultati quali-tativi migliori. Il significato più profondo che defi-nisce il tutor è nel nucleo semanti-co di “facilitatore dell’apprendi-mento” (in realtà, ciò dovrebbe essereuna prerogativa comune a tutti i ruoliche si occupano di formazione a varilivelli). Carl Rogers approfondisce e sottolineal’importanza del ruolo del facilitatoredell’apprendimento. Parla, infatti, di uneducatore che si pone a garanzia per ilconseguimento di apprendimenti signifi-cativi e percepiti dagli studenti comerilevanti per i propri fini. Ogni individuotende a realizzare la sua possibilità dicompiere esperienza e l’apprendimento

Lo studente infermieree la funzione tutorialedi Marta Nucchi, Anne Destrebecq, Vincenza De Santis

35

è il mezzo di cui si serve. Esso implicaun coinvolgimento personale che partedall’interno e che tira in causa unadimensione affettiva oltre che cognitiva.Perciò, il tutor non è solo una particola-re categoria di insegnante, ma in quan-to facilitatore:– predispone l’atmosfera e il clima

favorenti l’esperienza; – seleziona le risorse adatte per con-

seguire gli obiettivi dell’apprendi-mento;

– rende disponibili il più gran numeropossibile di mezzi e situazioni perapprendere.

Carl Rogers evidenzia l’importanza di unapprendimento significativo se questo èacquisito tramite l’agire. La formazionesquisitamente formale e passiva è pocostimolante e percepita come obbligo,mentre lo sperimentare i medesimi con-tenuti in contesti reali e operativi, oltread essere particolarmente attraente,permette di raggiungere gli obiettivi diapprendimento in tempi veloci. La valenza di quanto sostenuto dallostudioso, ripreso e approfondito neglianni successivi, è particolarmente rile-vante nel caso della formazione infer-mieristica la quale trova nell’esperienzadi tirocinio un fondamentale aspetto del

percorso di apprendimento clinicoautenticamente professionalizzante.Infatti, in un contesto operativo, lo stu-dente può sviluppare competenze e abi-lità necessarie per il suo futuro essereprofessionista. In tal senso, gli studentisperimentano la “socializzazione antici-patoria” al lavoro: vengono coinvolti insituazioni di progressiva assunzione delruolo professionale incontrando antici-patamente le convinzioni, i valori, lenorme di status di un gruppo senza difatto ancora appartenervi. Lo studente viene invitato a “raccontar-si non perché lo si voglia conosceremeglio (il che costituirebbe comunque diper sé un risultato), ma per aiutarlo – eaiutarci - a riflettere, a ricostruire, quin-di riconoscere come apprende mentreapprende”.È necessario che l’apprendimentoavvenga in situazioni protette perché èun processo di formazione in atto di cuilo studente è protagonista non comepassivo metabolizzatore, ma come atti-vo elaboratore del proprio bagaglioconoscitivo e, pertanto, vuole valutare,selezionare, modellare ciò che teorica-mente è definito sapere. Di conseguenza, i discenti necessitanodi chi li possa accompagnare nell’espe-

rienza e li guidi a riflettere sul proprioagire, affinché l’apprendimento siasignificativo e con pochi fallimenti futu-ri. La figura in questione è il tutor che, inquanto facilitatore del percorso formati-vo, orienta lo studente verso modi dioperatività all’interno della professionee trasmette modelli di elevata qualità,attraverso un’attività di supporto tesaalla crescita e all’autonomia dello stu-dente stesso. Ciò è possibile se si considera quelloche è il ruolo dell’esperienza, e cioèessere risorsa per l’apprendimento e,allo stesso tempo, base sempre piùampia a cui rapportare nuovi apprendi-menti. Diventano sostanziali l’utilizzodi metodologie che colgono l’esperien-za dello studente e lo coinvolgono nel-l’analisi delle stesse. L’uso delle lezio-ni frontali, di presentazioni audiovisivepreconfezionate svaniscono a favoredella discussione, del “laboratorio”,delle simulazioni, delle riflessioni gui-date, dei progetti di gruppo e di altretecniche di apprendimento attivo o diaction learning, situazioni in cui emer-ge la centralità del soggetto cheapprende e che sono presidiate da unpunto di vista metodologico dalla figu-ra tutoriale.

36

Lo studente è un adulto coinvolto inun processo di formazione e identi-fica se stesso attraverso le proprieesperienze. Se per l’adulto l’espe-rienza è “chi egli è”, per lo studen-te rappresenta il fondamento su cuibasa il suo futuro essere professio-nista.La mancanza di una rielaborazione puòportare, come conseguenza, una perditadi valore con il rischio del persistere diconflitti a livello cognitivo e affettivo:aspetti che un adeguato supporto tuto-riale è, invece, in grado di far superareincoraggiando lo studente ad attivare lerisorse idonee a creare le condizioni perun lifelong learning.Nella descrizione del ruolo tutorialeemerge in modo evidente il passaggioda una concezione di formazione comeprodotto a formazione come processo.Nel primo caso, è autocentrata: si costi-tuisce e autoperpreta come istituzione,si interpreta come “data” ed è essen-zialmente immodificabile, perchè foca-lizzata su chi la fa. La formazione come processo sipropone in un divenire finalizzato alcambiamento. Il ruolo del tutor come agente facilitato-re del contesto educativo è messo ingioco ed è tale da consentire in prospet-tiva un passaggio allo studente, in quan-to soggetto in formazione. L’efficaciadell’intervento tutoriale è in funzione dicome il processo formativo e l’apprendi-mento si dissolvono uno nell’altro, haluogo quando il destinatario della for-mazione si appropria del ruolo di agentedi apprendimento, in grado di gestire inprima persona il proprio cambiamentodiventando perciò autonomo.L’attenzione è centrata sul soggetto informazione, ma ciò non deve essereerroneamente interpretato come attiva-zione di un “processo di satellizzazio-ne”, per cui il tutor deve ruotare intornoai bisogni dello studente, soddisfacen-doli con meccanismi di programmazionedidattica. Significa mettere lo studentenelle condizioni di appropriarsi deglistrumenti e delle risorse necessarie percontrollare situazioni relative ai propricambiamenti intellettuali, relazionali,gestuali perché possa sorvegliarli conresponsabilità personale.

In tal senso, la formazione come proces-so verte sull’insieme relazionale specifi-co in cui ha luogo l’evento formativo conil coinvolgimento del tutor, agente delprocesso educativo, e dello studente,agente del suo apprendimento. La complessità risiede nella particolaresituazione di sfida del ruolo del tutor cheva a minare i tradizionali rapporti docen-te-discente; la sua natura è essere facili-tatore e ciò comporta una perdita di pote-re e di controllo perché, come affermaJavis : “il facilitatore assiste l’apprendi-mento degli allievi fino a provvedere acreare l’ambiente in cui avviene questoapprendimento ma non detta mai i risul-tati dell’esperienza”. Questi, infatti, sonopatrimonio e prerogativa dello studentenel momento in cui si realizzano dei pre-supposti fondamentali:il manifestarsi del bisogno di conoscere,inteso come esigenza di sapere il perchéoccorre apprendere qualcosa prima diintraprendere l’apprendimento;la disponibilità ad apprendere;il riconoscimento del ruolo dell’espe-rienza che assicura una vasta gamma didifferenze individuali e che deve esserecontinuamente valorizzata e rielaborata.Ciò riconferma la posizione specifica deisoggetti coinvolti nella formazione e ilrilievo che concetti come responsabilitàe negoziazione assumono in qualità distrategie per promuovere le effettivecondizioni di un apprendimento signifi-

cativo e duraturo.La negoziazione e il contesto formativorichiedono una flessibilità nelle scelteeducative e il riconoscimento che l’indi-viduo possa essere sostenuto nell’utiliz-zare le differenziate vie d’apprendimen-to come risorsa nelle differenti situazio-ni. In tal senso, l’intervento educativo deltutor non si fonda sulla teoria dell’inse-gnamento di percorsi predefiniti mapunta la sua attenzione all’individuo ealle sue specifiche esigenze, attraversoun’azione di sostegno finalizzata agarantire un percorso che ha comeobiettivo arrivare alla capacità del sog-getto in formazione di autogestirsi. Il tutor, secondo numerosi autori, è faci-litatore dell’apprendimento e l’efficaciadei suoi interventi si realizza, quando ese, lo studente è inserito nei percorsi“dell’imparare ad imparare” che glisaranno necessari per fabbricare, conti-nuamente, i modi di comunicare e glistili comportamentali per realizzare unaidentità relazionale.

CONCLUSIONI Nel definire il ruolo di un tutor e nel ten-tativo di circoscrivere la figura è neces-sario investigare ed analizzare le prati-che educative nelle quali è coinvolto siaqualità di conduttore di gruppi di stu-denti, sia in rapporto di reciprocità for-mativa con il singolo studente.

37

L’attività di tutoring è finalizzata:a far transitare conoscenze e abilità dal-l’aula al mondo reale;a favorire la costruzione di sapere a par-tire dall’esperienza, trasferendo leconoscenze dal mondo reale all’aula,come avviene tipicamente nei tirocini.È il tutor ad avere la responsabilità dellacongiunzione tra teoria e pratica, e unruolo basilare in tal senso è esercitatodall’attivazione della riflessione cherappresenta la funzione cruciale di que-sto formatore nei processi di apprendi-mento dall’esperienza13. Il tutor, guidando lo studente attra-

verso la riflessione, lo aiuta a svi-luppare capacità di ragionamento eabilità di pensiero critico da utiliz-zare nel futuro esercizio professio-nale che, come afferma Schon, è carat-terizzato da: “complessità, instabilità,incertezza, unicità e dalla presenza diconflitti di valore”. La figura infermieristica conferma, dun-que, la sua professionalità svolgendofunzioni tecniche, relazionali ed educati-ve, “declinando” i tre vocaboli non sipuò far altro che sostenere, con vigore esenso di responsabilità, l’opportunità disvolgere le attività solidamente struttu-

rate al tutorato.Il “buon tutor” si mette in luce per saperfacilitare/saper accompagnare il discen-te verso l’indipendenza, rinunciando allatentazione di “fare un altro a partire dasé”, come specchio che gli restituisca lapropria immagine, per meglio dire,secondo il mito antico di Pigmalione.

AUTORI :Marta Nucchi, professore associato diMed/45 presso l’università di Milano;Anne Destrebecq, ricercatore di Med/5,presso l’niversità di MilanoVincenza De Santis, infermiera pressol’azienda ospedaliera di Busto Arsizio (Va)

Scandella O, Tutorship e apprendimento. Nuove competenze dei docenti nella scuola che cambia. Firenze: La Nuova Italia; 1995.Rogers Carl R, Libertà nell’apprendimento. Firenze: Giunti-Barbera; 1981.Formenti L., Gamelli I, Quella volta che ho imparato. La conoscenza di sé nei luoghi dell’educazione. Milano: Cortina;1998.Sarchielli G, Il tirocinio professionale nei processi di socializzazione al lavoro. Il tirocinio. Milano: Franco Angeli; 1990.Nucchi M, Il “Tutor”: chi è, cosa fa? Prof Inferm, 1997; 50 (1): 21-4.Nucchi M., Una figura nuova e antica: il tutor. Infermiere a Pavia 2005; 1: 3-6.Knowles M, Dalla pedagogia all’andragogia. Professione formazione. Milano: Franco Angeli; 2003.Ferrario M, Modelli di formazione nel rapporto formatore-utente. Professione formazione. Milano: Franco Angeli; 2003.Binetti P, De Marinis MG, Matarese M, Tartaglini D, La formazione del tutore clinico: l’esperienza del III corso di perfezionamento presso l’uni-versità Campus Biomedico. Professioni Infermieristiche 1999, 52(2): 84-90.Glen S, Wilkie K, Apprendimento basato sui problemi. Milano: Cea; 2003.Colombo A, Gandini T, Garrino L, Gioia A, Malinverno E, Rodriguez D, Dalla prassi alla teoria per l’infermiere. Torino: Cse; 2003. Schon D.A, Il professionista riflessivo. Bari: Dedalo; 1993.Zannini L, La tutorship nella formazione degli adulti. Uno sguardo pedagogico. Milano: Guerrini Scientifica; 2005.

BIBLIOGRAFIA

IN PILLOLE

Cellule staminali, ecco le operaieUna scoperta tutta italiana: nel pancreas ci sono cellule staminali “operaie” che provvedono alla manutenzione dell'organo eproducono enzimi digestivi come le cellule adulte. La nuova famiglia di cellule staminali si nasconde in mezzo a normali celluleadulte (tra le cosiddette cellule acinari) e sono apparentemente indistinguibili da queste. La scoperta è stata annunciata dal pre-mio Nobel per la Medicina 2007 Mario Capecchi dell'Università dello Utah di Salt Lake City e del ricercatore Eugenio Sangiorgidell'Università Cattolica di Roma.

LA REGIONE LAZIO ACCOGLIE LA PROPOSTA DI VERONESI E MARCHESI

Orari di pasti e visite destinati a cambiare

38

Una piccola grande rivoluzione si appresta ad entrare in molti ospe-dali romani. Cambieranno gli orari dei pasti erogati ai degenti e gliorari delle visite. Tutto nasce da un appello firmato da UmbertoVeronesi sul Corriere della Sera del 23 maggio scorso, in cui il cele-bre oncologo, ex ministro della Salute, scriveva a chiare lettere:“Bisogna abbandonare la rigidità degli orari: perché mai in ospeda-le si dovrebbe avere la prima colazione alle sei del mattino, il pran-zo alle undici e la cena alle sei, quando in nessuna regione italianasi mangia con questi orari?”. Veronesi sposava così una recenteproposta del famoso chef Gualtiero Marchesi sull'introduzione dimenù “più colorati”, nel senso di più appetibili anche alla sola vista.Passano pochi giorni, e la Regione Lazio, per bocca del vice presi-dente, Esterino Montino, annuncia di voler seguire la strada deli-neata dall’improbabile duo Veronesi-Marchesi. A partire da giugno, e in fase sperimentale solo presso il polo onco-logico “Regina Elena” di Roma, cambiano dunque le disposizioniriguardanti sia gli orari dei pasti serviti ai degenti, sia gli orari di visi-ta da parte di amici e parenti. “Entro pochi mesi – ha precisatoMontino - contiamo di attuare analoghi cambiamenti anche al SanCamillo, al San Giovanni, al San Filippo Neri e allo Spallanzani”. Ilcriterio guida di questa riforma sarà la maggiore flessibilità e unamaggiore attenzione alle esigenze dei pazienti, alle loro abitudinialimentari, alle loro tradizioni e religione, compatibilmente con leloro condizioni di salute e con la necessità di rispettare le diete pre-

scritte dai medici curanti. Chiaramente, queste ipotesti di cambiamento sono al vaglio dellaconcertazione con i sindacati e con le aziende che gestiscono gliappalti delle mense. È infatti innegabile che una variazione degliorari di pasti e viste determinerà “a catena” effetti sui turni del per-sonale sanitario, sulle modalità di somministrazione dei farmaci, ecosì via. Intanto, la Regione Lazio guarda oltre, nonostante il commissaria-mento imposto dal Governo per risanare il deficit sanitario: si pensaagli ospedali come a delle strutture sempre più aperte alla città e aicittadini. “Vorremmo che diventassero non solo luoghi di cura maanche punti di ritrovo e di socializzazione - ha dichiarato Montino -un ospedale non deve essere un carcere, il malato deve vivere beneil momento del ricovero, deve potersi distrarre e deve poter conta-re su un adeguato sostegno psicologico, mai secondario nel percor-so terapeutico”. A Roma, il policlinico Gemelli da anni ospita con-certi nell’ambito del progetto “Giovani artisti per l’ospedale”, idea-to dal maestro Sinopoli.Quanto a Veronesi, il suo appello si è spinto anche più in là. Perl'oncologo non si può accettare che: "una persona con un certostatus e una certa dignità, quando è in salute, la perda da ricove-rato. Oggi al paziente si da del tu anche se è una persona anzia-na o peggio, ci si rivolge a lui con il nome del letto o della stan-za che occupa”.

Attività formative ECM del Collegio IPASVI di Roma

Collegio Provinciale IPASVI di Roma

focusfocusOsservazioni al Piano sanitario regionale,

progetti di formazione e Sanit 2009

Collegio Provinciale IPASVI di Roma

focus

40

La prima delle audizioni programmatedalla XIII Commissione sanità delConsiglio regionale del Lazio in vista delnuovo Piano Sanitario Regionale 2009-2011 è stata significativamente dedicataalla delegazione del Collegio Ipasvi diRoma. In questa occasione abbiamoavuto modo di esprimere il nostro apprez-zamento per alcuni aspetti innovativi checaratterizzano il nuovo Piano sanitario, inquanto sembrano ispirarsi ai valori chepiù stanno a cuore agli infermieri, comel’apertura verso il territorio, l’attenzionealla persona e la diversificazione dell’of-ferta delle prestazioni sanitarie.In particolare riteniamo significativol’esplicito investimento del documentonei confronti della figura dell’infermieredi comunità, alla quale sarebbe auspica-bile affiancare anche un’altra figura diriferimento sul territorio, quella dell’in-fermiere di famiglia che, in alternativa ein aiuto del medico di medicina generale,potrebbe soddisfare molte delle richiestedi prestazioni da parte dei singoli cittadi-ni, soprattutto anziani con difficoltà dispostamento.Nella prospettiva di una maggiore valo-rizzazione della dimensione dell’assi-stenza sul territorio e dell’integrazionedei servizi socio-assistenziali, il CollegioIpasvi di Roma rinnova la propria dispo-nibilità a collaborare con la Regione perla formulazione di progetti di degenza agestione infermieristica (compresi Rsa ehospice), centro diurno a gestione infer-mieristica, ambulatorio infermieristico,

infermieristica di comunità e di famiglia.A tali progetti possiamo oggi garantireun ulteriore supporto scientifico di altolivello riguardante l’efficacia dell’assi-stenza di base, domiciliare, intermedia,nonché dei servizi di prevenzione e pro-mozione della salute, attraverso l’attivi-tà dell’istituendo Centro di eccellenzaper la cultura e la ricerca infermieristi-ca. Ma alla nostra volontà di collabora-re ci auguriamo che corrisponda final-mente un concreto impegno da parte deinostri interlocutori: permangono lacarenza di infermieri, i carichi di lavoroeccessivi, la precarietà, il mancato rico-noscimento di chi opera nella clinica elo scarso numero dei docenti nel -l’Università. Su questo sollecitiamo unarapida inversione di tendenza.Di seguito riportiamo integralmente ildocumento presentato dal CollegioIpasvi di Roma lo scorso 5 maggio duran-te un’audizione con la commissioneSanità del Consiglio regionale de Laziocirca le osservazioni al Piano sanitarioregionale 2009-2011 (Psr).Si rinnova l’apprezzamento per il Psr2009-2011 per gli elementi di innovazio-ne riguardanti le esigenze di evoluzionedei servizi sanitari, l’impegno per l’elimi-nazione dei livelli inadeguati di qualitàdei servizi e il superamento del disavan-zo economico attraverso modifiche vir-tuose della spesa sanitaria e più modernied efficienti modelli organizzativi. Al fine di arricchire il dibattito, si propon-gono alcuni spunti di riflessione rivolti

principalmente a rendere effettivamenteoperativi i principi e le strategie enuncia-ti nel Piano. Ci si riferisce, in particolare,ad aspetti di pertinenza infermieristica inquanto attinenti alla sfera di competenzadel Collegio Ipasvi, che il Piano già valo-rizza attraverso il riconoscimento di spazioperativi a varia complessità, oltre al tra-dizionale ruolo previsto in ambito ospe-daliero, ma dei quali si intende eviden-ziare la particolare valenza al fine delraggiungimento degli obiettivi strategici:il potenziamento della prevenzione, dellecure primarie e dell’assistenza domicilia-re, lo sviluppo delle cure intermedie el’integrazione dei livelli assistenziali.

L’infermiere di comunitàSi condivide, in particolare, la valorizza-zione nel Piano del ruolo dell’infermieredi comunità, che rappresenta una rispo-sta efficace ai bisogni dei cittadini edelle famiglie “fragili”, nella situazioneattuale o a rischio di non autonomia,oppresse dalla malattia cronica, dallamalattia terminale, dalla malattia menta-le. L’infermiere esce dalla struttura sani-taria per proporsi come solutore dei pro-blemi di salute e di cura nei confronti diquesti cittadini e di queste famiglie ecome promotore di stili di vita sani.L’elemento a garanzia dell’efficacia degliinterventi è che l’infermiere non agisce inmodo isolato, ma in stretta collaborazio-ne con il Mmg e il Pls e secondo strate-gie integrate con i servizi del Distrettosanitario.

focus

IL COLLEGIO IPASVI RICEVUTO ALLA PISANA PER UN CONFRONTO SULDOCUMENTO ALL’ESAME DEL COMMISSARIO STRAORDINARIO

Osservazioni al nuovoPiano sanitario regionale

focusfocusfocus

41

Respirare normalmenteGestione del microclima, educazione sanitaria per la gestione dell’in-sufficienza respiratoria, dell’asma, gestione della ventilazione mecca-nica, gestione delle stomie respiratorie.

Alimentarsi e bere in modo adeguato Controllo della dieta in relazione alla cultura, alle abitudini e alle risor-se, autonomia nell’acquisizione, nella preparazione e nell’assunzionedegli alimenti, nutrizione enterale e parenterale domiciliare.

Eliminare da ogni via escretoriaControllo dell’eliminazione fecale e urinaria, gestione dell’incontinen-za fecale e urinaria, educazione sanitaria per la gestione del cateteri-smo vescicale, delle stomie urinarie e intestinali.

Muoversi e mantenere la posizione corretta Mobilizzazione passiva e attiva.

Dormire e riposare

Promozione di soluzioni non farmacologiche per favorire il sonno e ilriposo e soprattutto la loro qualità, come il rilassamento, l’adeguamen-to dell’ambiente, il piano giornaliero delle attività, “ospedale senzadolore”, cure palliative.

Scegliere il vestito adatto, vestirsi e spogliarsi Stimolo alla cura di sé, del comfort e del proprio aspetto.

Mantenere la temperatura corporea nei limiti normali Valutazione delle risorse e della capacità di rispondere alle variazionidel clima, attraverso la modificazione del microclima e dell’abbiglia-mento.

Provvedere all’igiene personale e alla protezione deitegumenti

Valutazione delle risorse e della capacità di rispondere alle esigenze diigiene e di protezione della cute e delle mucose, prevenzione e tratta-mento delle lesioni cutanee.

Evitare i pericoli dell’ambiente e di danneggiare gli altri

Rilevazione di condizioni di rischio per la persona, la famiglia e i visi-tatori, supporto alla realizzazione delle modifiche strutturali, educazio-ne alla prevenzione dei rischi in ambiente domestico, in particolaredelle cadute, degli incidenti stradali e sul lavoro.

Comunicare con gli altri per esprimere emozioni, biso-gni, timori, domande ed idee

Promozione dei rapporti sociali attraverso lo stimolo dei rapportiparentali, l’adesione a circoli, associazioni, centri sociali, il contattocon associazioni di volontariato.

Seguire le pratiche religiose secondo la propria fede Promozione dei contatti con il ministro del culto e la comunità reli-giosa.

Dedicarsi a qualche occupazione o lavoro che procurisoddisfazione

Promozione di attività che concretizzino la capacità creativa, positiva,produttiva della persona, in relazione alle risorse disponibili.

Giocare o partecipare ad attività ricreativePromozione delle attività di gioco e ricreative, come il cinema, lalettura, internet, la tv, la musica e il ballo, in relazione alle risorsedisponibili.

Apprendere, scoprire, soddisfare la curiosità checonduce al normale sviluppo dell’intelligenza ed allasalute

Promozione della fruizione e dell’attività artistica e culturale, in relazio-ne alle risorse disponibili, educazione all’adozione di stili di vita sani.

Bisogno Prestazioni infermieristiche

42

focusL’avvio di un progetto sull’infermieristicadi comunità riguarda:– l’area delle cure primarie: conti-

nuità assistenziale, riduzione deiricoveri ospedalieri inappropriati,integrazione delle risorse ospedalie-re con quelle territoriali, in collabora-zione con i Mmg, i Pls e la Medicinadi Base;

– l’area dell’integrazione dei servi-zi sanitari e sociali per la nonautosufficienza, in collaborazionecon i Mmg, i Pls, le strutture delDistretto: Medicina di Base eAssistenza domiciliare, Serviziosociale, Consultorio, Dipartimento diPrevenzione, Tutela Salute mentale eRiabilitazione in Età evolutiva,Riabilitazione e Protesica, Salutementale, e dell’Ospedale.

La funzione di “Infermiere di comunità” sirealizza attraverso le seguenti lineedi attività:

– orientamento dei cittadini all’utilizzodei servizi socio-sanitari;

– erogazione delle prestazioni infer-mieristiche presso l’ambulatorioinfermieristico e presso il domicilio,ad esclusione delle prestazioni giàerogate dal Cad: terapia iniettiva,vaccinazioni, prelievi, cateterismovescicale, rilevazione dei parametrivitali;

– attivazione di progetti specifici dipresa in carico del cittadino “fragile”,a rischio di perdita dell’autonomia,quindi dell’anziano, del disabile e delmalato cronico, in collaborazione coni Mmg, i Pls, le strutture del Distrettoe i Servizi sociali dei Municipi;

– gestione dei problemi relativi amalattia coronarica cronica, stroke oTia, ipertensione, Bpco, epilessia,ipotiroidismo, neoplasie, salute men-tale, asma;

– gestione di stomie digestive, urina-rie, tracheali;

– riabilitazione dell’incontinenza urinaria;– nutrizione enterale e parenterale a

domicilio;– vaccinazioni, screening a domicilio

per i cittadini non autosufficienti; – prevenzione delle cadute in casa

degli anziani;

– prevenzione e trattamento delle ulce-re cutanee;

– continuità delle cure a domicilio dopola dimissione ospedaliera;

– orientamento all’uso dei farmaci efarmacovigilanza.

L’infermiere di famigliaL’infermiere di famiglia fornisce unarisposta ancora più avanzata ai bisogni disalute, tuttavia comporta un notevoleaumento del rapporto numericoInfermieri/Cittadini, fino ad approssimar-si a quello Mmg-Pls/Cittadini, inoltreimplica un rapporto personalizzato con lefamiglie, e quindi una scelta. Questo pre-suppone un contratto diverso con il Ssn eun’assunzione in proprio di responsabili-tà da parte dell’Infermiere nei confrontidel cittadino, piuttosto che nei confrontidell’Asl. I vantaggi di una siffatta riorga-nizzazione sono evidenti, sia in termini diaccessibilità al servizio da parte del citta-dino, sia in termini di riduzione dei costiper altri servizi (ospedaliero, farmaceuti-co, riabilitazione, emergenza, ecc). D’altra parte un importante capitolo nellestrategie di risposta ai bisogni dei citta-dini è rappresentato proprio dallo svilup-po dei servizi infermieristici, il cui campodi competenza è rappresentato dal com-plesso delle attività rivolte:– a valutare il livello di soddisfazione

dei bisogni fondamentali, nonché lerisorse della persona, della famiglia

e dell’ambiente, che possano con-sentire loro di rispondere autonoma-mente a tali bisogni;

– a realizzare gli interventi, pianificatie valutati, al fine di sostituire o disupportare la persona, la famiglia ela comunità nella soddisfazione deibisogni nel caso in cui la risposta siacarente, o eccessiva, o inadeguata,per la mancanza delle necessarieenergie fisiche o psicologiche, odelle conoscenze, o della volontà,fino al ripristino della capacità auto-noma della cura di sé.

E’ dunque possibile individuare precisecategorie di bisogni, ai quali l’infermiererisponde direttamente, ovvero attivandorisorse già disponibili, del Distretto, delComune, delle Associazioni di volontariato.I modelli organizzativi dell’infermiere dicomunità e dell’infermiere di famigliarispondono all’esigenza di recupero diasimmetria informativa rispetto aglierogatori di prestazioni sanitarie, favo-rendo la competenza del cittadino e dellacomunità, in particolare rispondonoall’obiettivo di attuare interventi in gradodi promuovere l’empowerment dei cit-tadini, come previsto nel Piano.I due modelli rappresentano inoltre unarisposta efficace ai nuovi scenari per laprevenzione e promozione dellasalute, determinati dal mutare dei fatto-ri economici, demografici ed epidemiolo-gici, secondo metodiche validate e inte-

43

focus

43

focusgrate. Infine, rappresentano un importan-te strumento sia per il governo delladomanda, sia per il governo dell’offerta.

Avvio dei Presidi Territorialidi ProssimitàNel Piano si enfatizza la funzione resi-denziale, ove la responsabilità clinico-assistenziale è affidata al Mmg e all’in-fermiere case-manager, mentre sembrapoco valorizzata la funzione di integrazio-ne fra servizi.Si condividono finalità e funzioni, tuttaviasi ritiene che la Direzione debba essereesercitata da un Infermiere Dirigente(ai sensi della legge 43/2006), in quantola funzione di direzione sanitaria, di natu-ra igienico-organizzativa, in alcun modoriconduce all’esclusiva competenzamedica, mentre l’assistenza infermieristi-ca nel Ptp diviene il ruolo sul quale s’im-pernia l’integrazione dei servizi socio-sanitari al cittadino fragile:– degenza a gestione infermieristica,

destinata a soggetti appartenentialle fasce più deboli della popolazio-ne assistiti dal proprio Mmg, nellafase post acuta di dimissione dal-l’ospedale, oppure affetti da riacutiz-zazioni di malattie croniche che nonnecessitano di terapie intensive o didiagnostica a elevata tecnologia eche non possono, per motivi di natu-ra sia clinica che sociale, essere ade-guatamente trattati a domicilio; sitratta pertanto di cure intermedie cherealizzano, per questi soggetti, lacontinuità delle cure dopo la dimis-sione ospedaliera e prima del rientroal proprio domicilio, in raccordo conl’Adi;

– centro diurno a gestione infermieri-stica (per anziani fragili);

– ambulatorio infermieristico e infer-mieristica di comunità;

– assistenza domiciliare integrata;– Punto Unico di Accesso integrato con

il Servizio sociale del Municipio o delComune.

La funzione di integrazione si realizzarispetto alla specialistica ambulatoriale,alle prestazioni diagnostiche (radiologiae laboratorio analisi), all’assistenza inday hospital, day surgery e day service

all’interno dei percorsi assistenziali pergli stati clinici cronici complessi, al servi-zio farmaceutico, alla postazione 118 ealla continuità assistenziale (guardiamedica), presenti all’interno del Ptp, oltreche rispetto ai collegamenti funzionalicon l’ospedale, con la riabilitazione e conl’assistenza protesica.Anche l’indicazione ad attivare, presso lasede del Ptp, in funzione del fabbisognoespresso dalla popolazione di riferimen-to, nuclei di Rsa ed Hospice, vede l’in-fermiere protagonista della gestione.Per quanto riguarda il “Fabbisogno di Ptpnel Lazio, da realizzarsi nel triennio 2009-2011”, nella tabella a pag. 111-112 sisegnala l’omissione del fabbisognoriguardante l’Asl Roma D, inoltre nell’AslRoma G non è già operativo il Ptp diPalombara?

Altre strutture residenzialiIn riferimento ai requisiti autorizzativiregionali, di cui alla DGR n. 424/06, ilnumero dei posti nelle strutture resi-denziali è di 20-80, eccezionalmentefino a 120, per le Rsa, massimo 30 per glihospice; 10-40 per gli ospedali di comu-nità all’interno dei Ptp.Considerato che l’attuale standard pro-grammatorio prevede 2,5 posti in RSA,residenziali o semiresidenziali, x 100 abi-tanti ultra75enni (Dgr 1988/2001), nelLazio si richiedono 12.186 posti in Rsa.Considerato che i posti nelle Rsa in corsodi accreditamento sono 1.061, risulta una

carenza di 5.985 posti, distribuita inmodo disomogeneo nel territorio regio-nale, mentre si ritiene di particolareimportanza che sia garantita un’omoge-nea distribuzione dell’offerta sul territo-rio, in modo tale da massimizzare l’ac-cessibilità dei cittadini ai servizi e la vici-nanza dei pazienti al proprio ambiente divita. Si propone, a parziale copertura dellacarenza di servizi evidenziata, l’attivazio-ne di case-famiglia sanitarie agestione infermieristica, con 6-10posti, eccezionalmente fino a 20, per per-sone non completamente autosufficientima clinicamente stabili, seguite dalpunto di vista diagnostico-terapeuticodal Mmg, che per vari motivi non posso-no essere assistite a domicilio. Tali strut-ture, rispetto alla Rsa potrebbero propor-re un contesto molto vicino a quellodomestico, compreso il trasferimentodegli arredi e una gestione domiciliare enon medicalizzata.Per quanto riguarda gli hospice, lo stan-dard riportato nel Dm n. 43 del 22 febbra-io 2007 prevede almeno un posto lettoogni 56 deceduti a causa di tumore, per-tanto per la Regione Lazio si evidenzia unfabbisogno di 274 posti letto, 58 in piùrispetto all’offerta attuale, e una disomo-genea distribuzione del territorio regio-nale.Il Collegio Ipasvi di Roma si rende dispo-nibile a collaborare per la formulazioneprogetti di degenza a gestione infermieri-

stica (compresi Rsa e hospice), centrodiurno a gestione infermieristica, ambu-latorio infermieristico, infermieristica dicomunità e di famiglia.

Dipartimenti e Servizi diassistenza alla personaCondizione essenziale per la realizzazio-ne del Psr 2009-2011 e per il persegui-mento degli obiettivi di revisione e otti-mizzazione dell’organizzazione dei servi-zi è la costituzione dei Dipartimenti edei Servizi di assistenza alla persona intutte le Asl, così come previsto negli attidi autonomia aziendale, che invece,anche a causa dell’applicazione delpiano di rientro, stentano a decollare,soprattutto nella loro articolazionedistrettuale.

La formazioneL’efficace interpretazione dei ruoli previ-sti nel Piano e proposti in queste osser-vazioni richiede l’acquisizione di compe-tenze specializzate nei diversi campidella clinica infermieristica di comunità,di famiglia, di sanità pubblica. In effetti

tali competenze non possono essereimprovvisate, né basta l’esperienza,occorre prevedere percorsi di formazio-ne accademica post base nei quali èessenziale la sinergia fra Ssr, Universitàe Ordine professionale. Potrebbe essereprevisto un numero di professionisti daformare, ai quali è attribuita una borsadi studio. Una volta che le competenzespecialistiche sono acquisite, è neces-sario che l’assunzione di responsabilitànelle situazioni assistenziali concretesia riconosciuta anche dal punto di vistadell’inquadramento giuridico e del trat-tamento economico, coerentemente conquanto previsto dall’art. 6, comma 1,punto c), della legge 43/2006. Qui entrain gioco il ruolo che potrebbero svolgerele Organizzazioni Sindacali nell’ambitodella contrattazione integrativa regiona-le: corresponsione di un’indennità diesperto (potrebbero essere mediamente1.500 euro annui lordi, corrispondentialla parte fissa dell’indennità di coordi-namento, modulati sui livelli di respon-sabilità) a carico dell’Azienda. Oltre allaformazione post-base è necessaria una

formazione permanente gestita attra-verso il sistema Ecm.

Ricerca ed EbnIl Collegio Ipasvi di Roma è in grado dicontribuire in modo significativo allosviluppo delle conoscenze scientificheriguardanti l’efficacia dell’assistenza dibase, domiciliare, intermedia, nonchédei servizi di prevenzione e promozionedella salute, attraverso i progetti diricerca promossi dal Centro di eccel-lenza per la cultura e la ricercainfermieristica.Oltre a promuovere la ricerca, anche uti-lizzando fondi stanziati da altre istituzio-ni, sarebbe utile promuovere il sistemaEvidence-Based Nursing (Ebn), diricognizione delle migliori evidenze, divalutazione critica e di diffusione deirisultati validi della ricerca in campoinfermieristico.In tal modo sarebbero garantiti ritornieconomici e di appropriatezza delle pre-stazioni con implementazione dei per-corsi di miglioramento e qualità.

44

focus

Il gruppo RPM (Rete Persone Motivate)che da circa due anni sta lavorando ecollaborando con la commissioneRapporti con gli iscritti per creare unpercorso di formazione esperenzialenella sede del Collegio Ipasvi di Roma,realizzerà nel prossimo autunno unaserie di corsi nella sede di viale GiulioCesare.I corsi (accreditati Ecm) hanno l’obiet-tivo di far acquisire la consapevolezzae gli strumenti utili al miglioramentodella comunicazione e delle relazionipersonali e professionali. I gruppisaranno composti da massimo 20 par-tecipanti e sarà necessario prenotarsiin tempo.I corsi avranno una introduzione teoricapoi verranno formati dei gruppi di lavoroper l’esplorazione guidata di strumentimetodologie e tecniche in grado di far

acquisire consapevolezza e competenzepersonali e di relazione nel gruppo dilavoro.I corsi sono basati su percorsi esperen-ziali, permettono al piccolo gruppo didiscenti di esprimere efficacemente leemozioni, controllando le più inadatteper un professionista che si relazionacon un gruppo di lavoro, comprendendocorrettamente i messaggi e le richiestedei pazienti e dei familiari e comportan-dosi in modo adeguato alla situazione ealla relazione.Riconoscere le emozioni degli altririchiede di saper riconoscere anche leproprie, capirne l’influenza sulla nostracapacità di prendere decisioni e sulnostro comportamento, gestirle e nonsoffocarle. L’ascolto è un’abilità neces-saria per la professione e per le relazio-ni; ascoltare attivamente significa met-

tersi a disposizione dell’altro, dimo-strando autentico interesse per ciò cheviene detto.Di seguito, il racconto fotografico degliultimi corsi svolti.

Emozion.ArtiCorso Collegio Ipasvi di RomaTitolo: La critica costruttiva: saper criti-care per crescere e far crescere.Caratteristiche del corso: Labora to -rio teorico ed esperenziale.Obiettivi: Acquisire l’abilità di criticarecostruttivamente per il miglioramentodella comunicazione, delle relazioni per-sonali e professionali, per far crescerenoi e l’altro.Descrizione: Dopo una introduzioneteorica, verranno formati uno o più grup-pi di lavoro per l’esplorazione.

45

focusLE INIZIATIVE DEL COLLEGIO IPASVI DI ROMA

Un anno all’insegnadella formazione

Una fase del progetto Emozion.Arti

46

focus

Il Team... nutrimento antistressCaratteristiche del corso : Laboratorioteorico ed esperenziale.Obiettivi: Apprendere strumenti edattuare strategie per saper gestire iltempo nella propria vita professionale.

La gestione del team infermie-ristico: strumenti e metodolo-gieAnche quest’anno il corso itinerante cheil Collegio Ipasvi di Roma ha portato inquasi tutte le realtà sanitarie di Roma e

provincia continua ad essere richiesto.Siamo ormai alla settantesima edizionein due anni e ce ne sono ancora molte inprogrammazione. Ecco alcune informa-zioni e immagini delle ultime edizionisvolte

Una fase del corso sul Time Management

Un momento del corso presso il Cto

4747

focusCto (sedi di via dell’Arte, via Monza, viaMarotta)Tre giornate di studio (13-20-31 marzo2009) per un totale di 120 partecipanti

ValmontoneEvento formativo svoltosi l’8 maggio2009.

Collegio Ipasvi di RomaEvento formativo svoltosi il 28 marzo2009.

Azienda ospedaliera San GiovanniEvento formativo svoltosi il 15 maggio2009

Il corso tenuto al San Giovanni di Roma

48

Sanit, Forum Internazionale dellaSalute, giunto alla VI edizione, si svolgeannualmente a Roma, nella prestigiosasede del Palazzo dei Congressi dell’Eur.La finalità principale del Sanit è di tipoinformativo-divulgativa e ha lo scopo diinnalzare il livello di informazione, con-sapevolezza, ottimizzazione delle risorsee qualità del nostro Sistema Sanitario. Circa 20mila persone hanno partecipatogratuitamente all’edizione del 2008,visitando l’area espositiva e prendendoparte alle iniziative organizzate dallenumerose realtà pubbliche e privatepresenti. In quest’occasione, 15mila operatori disettore hanno partecipato al fitto - einteressante - programma scientificocoordinato dal ministero del Lavoro,Salute e Politiche Sociali e sviluppato incollaborazione con i principali enti edassociazioni nazionali e regionali.Trentacinque i convegni che hanno rila-sciato gratuitamente crediti formativiEcm, rappresentando un importante edunico percorso di formazione ed aggior-namento per gli operatori sanitari che,nei quattro giorni di manifestazione,hanno potuto apprendere novità, perfe-zionare le proprie conoscenze e capaci-tà, condividere strategie e venire in con-tatto con gli esperti delle materie rap-presentati ai massimi livelli. Più di 200 gli enti pubblici che, a variotitolo, hanno contribuito alla riuscitadella manifestazione, partecipando alcomitato organizzatore, predisponendouna propria area espositiva dove acco-gliere l’utenza, fornendo propri docentiod organizzando direttamente sessioni

di lavoro: dal Ministero, all’AgenziaItaliana del Farmaco; dall’IstitutoSuperiore di Sanità all’Ipasvi.Per la sesta edizione della manife-

stazione, in programma dal 23 al 26giugno 2009, sono attese 40milapresenze, grazie ad un fitto ed interes-sante programma scientifico e numero-

focus

Al Palazzo dei Congressi di Romatorna SANIT

Forum Internazionale della Salute

focus

49

se iniziative culturali dedicate alla pre-venzione e alla promozione dei correttistili di vita, condotte in collaborazioneanche con l’Osservatorio nazionale sullaSalute della donna, il comune di Roma,le università di Roma La Sapienza, TorVergata, Roma Tre e Foro Italico, laCroce Rossa Italiana e altre realtà delsettore socio-sanitario.L’edizione 2009 prevede il convegno car-dine organizzato dal ministero delLavoro, Salute e Politiche Sociali - setto-re Salute, dedicato ai grandi temi dellaprevenzione primaria, secondaria e ter-ziaria, degli stili di vita, della nutrizionee oltre 50 eventi “satellite” organizzatidagli enti che, a vario titolo, si occupanodella tutela della salute pubblica: Aifa,Ispels, Ipasvi, Cnr, Sic, Mimpaaf,Regione Lazio e molti altri.Convegni, simposi e mostra espositivasu: “Prevenzione, innovazione e benes-sere”; quattro giorni di check-up gratuiticompletano il panorama del sestoForum internazionale della salute. Gli incontri hanno trattato, in manieraapprofondita, molte tematiche di estre-ma attualità: dall’immigrazione all’am-biente, dalla sicurezza alimentare allaprevenzione cardiovascolare; dall’ali-mentazione alla ricerca scientifica e tec-nologica. Il contesto del Sanit rappresenta illuogo ideale per aziende pubbliche

e private per relazionarsi conl’utenza e la propria clientela,scambiare progettualità, organizza-re conferenze e dimostrazioni prati-che, dare visibilità alla propria atti-vità e accrescere i propri contatti.Inserire un proprio spazio espositivoconsente, con un impegno di spesamolto contenuto, di relazionarsi con ungran numero di operatori della sanità,amministratori, politici e organi di stam-pa. Presentare le proprie iniziative nel-l’ambito della manifestazione garanti-sce un ottimo livello di divulgazione e

costituisce l’occasione giusta permostrare il proprio lavoro ed il propriocontributo nel settore socio-sanitario. Molte aziende ed enti, infatti, parteci-pando al Sanit, hanno potuto mostrare ipropri prodotti e servizi utilizzando lamanifestazione ed i propri canali comevetrina, riuscendo così a raggiungere, inpochi giorni, un gran numero di contattispecializzati, contribuendo in manierasignificativa allo sviluppo del marketingistituzionale, creando partnership, alle-anze e occasioni di collaborazione conrealtà nazionali ed internazionali.Quest’anno, poi, Sanit ospiterà numero-se iniziative culturali di interesse socio-sanitario dedicate alla prevenzione ealla promozione dei corretti stili di vita,quali la mostra “Donne in Salute” a curadell’Osservatorio nazionale sulla Salutedella Donna; la mostra di quadridell’Ospedale psichiatrico giudiziario diCastiglione delle Stiviere; gli sportelli diorientamento al Lavoro del progettointeruniversitario Soul delle quattro uni-versità di Roma; l’area dedicata ai con-trolli di prevenzione con venti camperdella salute; una parte espositiva dedi-cata al volontariato sociale e le iniziati-ve in corso di organizzazione della CroceRossa Italiana.Info: 06.4817254, oppurewww.sanit.org

Con il Decreto TO239 del 6 aprile 2009, il presidentedella Giunta Regionale del Lazio ha proceduto al rin-novo della “Commissione Regionale per la Formazione

Continua del Personale del Ssr”.La Commissione Ecm è l’organismo che ha il compito di rile-vare i fabbisogni formativi, individuarne gli obiettivi, accre-ditare i progetti di formazione, predisporre il piano formati-vo triennale. A comporre la Commissione Ecm della RegioneLazio sono stati chiamati i rappresentanti di nove professio-ni sanitarie unitamente al delegato della DirezioneIstruzione e Programmazione dell’Offerta Formativa dellaRegione.Le professioni sono rappresentate da propri delegati nomi-nati dai rispettivi organismi professionali ammessi a com-porre la Commissione: Ordine Provinciale del MediciChirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Roma; Ordinedegli Psicologi del Lazio; Collegio Provinciale InfermieriProfessionali, Assistenti Sanitari e Vigilatrici d’Infanzia diRoma; Collegio Provinciale delle Ostetriche di Roma;Collegio Professionale Tecnici Sanitari di Radiologia Medicadella Provincia di Roma; Ordine Nazionale dei Biologi;Ordine dei Chimici di Roma; Ordine dei Farmacisti dellaProvincia di Roma, Ordine dei Veterinari della Provincia diRoma.L’intenso lavoro svolto dal Collegio Ipasvi di Roma nella pre-cedente Commissione Ecm e il suo contributo critico e pro-positivo alla soluzione dei tanti problemi ancora irrisolti intema di aggiornamento professionale continuo, hannodeterminato la scelta unanime del Consiglio direttivo diconfermare il presidente, Gennaro Rocco, nella veste dicommissario. In lui, che ha già ottenuto il riconoscimentoformale delle altre Professioni sanitarie con l’affidamentoagli infermieri della presidenza vicaria della CommissioneEcm, sono state ravvisate la competenza e l’esperienza spe-cifica per rivendicare un cambiamento profondo dell’offerta,per renderla più vicina alle esigenze dei professionisti,meglio conciliabile con il lavoro quotidiano e per non dover-ne più sostenere i costi.In questi anni agli infermieri non è mancato lo spirito giustoper affrontare il problema. Hanno raccolto per primi la sfidaculturale posta a ciascuno dall’Ecm e si sono battuti condeterminazione per migliorare l’offerta formativa utilizzandoal meglio anche le occasioni fornite dalla moderna tecnolo-gia. Ma per incidere concretamente sulla realtà operativac’è bisogno dell’impegno univoco di tutte le professionisanitarie.

Sull’obiettivo di far decollare in modo definitivo e senzaaggravi sugli operatori il processo di formazione continuadei professionisti devono convergere gli sforzi di tutti.Occorre dare un ulteriore stimolo alla crescita professiona-le di chi, da operatore sanitario, ha già dato molto allacausa dell’aggiornamento continuo e che tanto ancora puòdare per assicurare ai cittadini servizi e prestazioni di cre-scente qualità, all’insegna della massima qualificazionetecnica, scientifica e professionale. Abbiamo chiesto al pre-sidente Rocco di riassumere i fronti caldi ancora aperti nelcampo dell’aggiornamento continuo. “L’offerta formativa èinsufficiente e disomogenea sul territorio - ci ha spiegato -.Molti problemi devono essere risolti al più presto: quello deicongedi e dei permessi necessari all’attività di aggiorna-mento, le difficoltà per l’accreditamento dei provider, ilcosto dei corsi che grava sui singoli professionisti in modoinsopportabile. Sono problemi veri e impellenti, ma esisto-no anche le soluzioni. La Federazione e i Collegi premono perché siano destinaterisorse specifiche al programma Ecm e perché siano attiva-ti i Piani formativi aziendali in tutte le strutture di cura. LeAziende stesse devono farsi promotrici di corsi mirati alleesigenze specifiche di ognuna, tenendo conto delle profes-sionalità coinvolte e della reale domanda formativa azien-dale. I costi si ridurrebbero sfruttando strutture e risorseumane già presenti, con insegnanti interni, senza costringe-re il personale a pesanti e onerosi trasferimenti. Inoltre icorsi vanno svolti in orario di lavoro. Tutto più funzionale estimolante per il professionista. C’è poi l’opportunità, ancora tutta da sfruttare, della forma-zione a distanza. Se ben disciplinata e monitorata, la Fadpuò fornire un programma di largo accesso attraverso video-conferenze e supporti informatici per ampliare l’offerta for-mativa a un numero ben più elevato di professionisti, abbat-tendone i costi. L’Ecm - ha concluso Rocco - può davvero elevare il livellodelle prestazioni e migliorare il servizio reso ai cittadini. Epuò anche essere percepita più correttamente dal professio-nista: non una semplice rincorsa ai crediti formativi, ma untraguardo personale e professionale da cogliere costante-mente, per crescere. Alla Commissione, il compito di crearele condizioni affinché tale percezione si concretizzi”.

Commissione Ecm, confermaper il presidente del Collegio

50

NOTIZIE COLLEGIOdal

Firmato il Contratto per il biennio 2008-2009

Il 14 maggio Fp Cgil, Cisl Fps, Uil Fpl, Fials e Fsi hanno fir-mato l’ipotesi di contratto di lavoro del Comparto Sanità

pubblica per il biennio economico 2008-2009. Riguardacirca 600.000 dipendenti del Ssn e comporta un aumentoretributivo di circa 72 euro pro-capite, ai quali si aggiungo-no 20 euro medi di ulteriori risorse erogate dalle Regioni,correlate a progetti di produttività e al “Patto per laSalute”. L'Aran dichiara di apprezzare il “particolare rilievodella conferma dei principi in materia di premialità e selet-tività dei compensi legati all’effettiva attività svolta eall’apporto partecipativo dei lavoratori coinvolti nei proget-ti e programmi di produttività”. I Sindacati confederali, aloro volta, si dichiarano soddisfatti perché l'accordo contie-ne “importati elementidi novità”, quali “la scelta fatta sul tema del lavoro preca-rio in rapporto all’esigenza di assicurare i Lea; la valorizza-zione dell’attuale sistema di contrattazione integrativa, chevede già i lavoratori della sanità pubblica misurarsi su pro-getti ed obiettivi di innalzamento della qualità del servizio;l’intangibilità delle retribuzioni in caso di assenza perdonazione di midollo osseo, per assistenza all’handicap,per la prevenzione e screening oncologico, per le attività divolontariato; la possibilità di aumentare, in sede locale, ilvalore del buono pasto”.Il presidente della Conferenza Stato Regioni Vasco Erranisottolinea che, essendo “potenziato il livello di coordina-mento regionale in materia contrattuale”, sarà possibiletrattare a livello regionale “le problematiche relative allavoro precario in collegamento con l'erogazione dei Lea,alle prestazioni aggiuntive del personale sanitario e allamobilità degli operatori ...”.A noi risulta difficile, invece, aderire senza riserve a questocoro di consensi perché ci chiediamo, per esempio, che fineabbiano fatto gli impegni già assunti sul riconoscimentodell'intramoenia per gli infermieri (si prorogano ancora le“prestazioni aggiuntive”) e sull'applicazione della 43/2006in materia di incarichi di coordinamento e specialistici. Sela materia è di così grande “rilevanza “ e “complessità”,perché rinviarla alla “prossima tornata contrattuale”? Nonpossiamo inoltre dimenticare che oltre 100.000 lavoratoridella Sanità privata aspettano ancora il rinnovo del contrat-to non solo degli anni 2008-2009, ma addirittura del 2006 e2007.

Viaggio di studio in Argentina

Quest’anno, l’appuntamento con i viaggi scientifici a cura delcollegio Ipasvi di Roma si sposta nel continente sudameri-

cano: dal 10 al 22 ottobre, infatti, si partirà alla voltadell’Argentina per esplorare assieme, oltre alla capitale ed allegrandi città, le terre dell’interno.Con un volo di linea Roma/Buenos Aires delle ore 19.40 (arrivoprevisto nella capitale argentina alle 5 del mattino successivo),ai partecipanti sarà garantita tutta l’assistenza possibile inloco, sostenuti da guide in italiano.Prevista una conferenza internazionale sul Nursing transcultu-rale a Foz do Iguacu e la visita a due ospedali di Buenos Airese all’università della capitale argentina, con incontri con i diri-genti e i docenti dei corsi di laurea in Infermieristica. Un’utileoccasione per scambiarsi consigli e confrontare esperienze pro-fessionali.Questo, senza dimenticare la visita a luoghi paradisiaci come la“Garganta del Diablo” o la “steppa patagonica” o, ancora, lafamosa “Peninsula Valdès”, area dichiarata patrimonio mondia-le dell’Umanità, Il rientro, a Roma, è previsto per il 22 ottobre, alle ore 15.55.Naturalmente, tutti gli spostamenti avverranno in aereo. Quelliinterni, con compagnie locali; quelli di arrivo e partenza con lecompagnie di bandiera: Aerolineas Argentinas e Austral LineasAerea. Il Collegio Ipasvi di Roma organizza esclusivamente la partescientifica del viaggio di studio; tutti gli altri aspetti propriamen-te turistici sono curati da una nota agenzia di viaggi romana.Per informazioni su costi e per prenotazioni: I Viaggi del Perigeo(06.85.30.13.01)

51

NOTIZIE COLLEGIOdal

E’una storia lunga, un vizio tutto italiano, persistente eimpertinente.

Fino a divenire irrispettoso e denigratorio di un’intera categoriaprofessionale: troppe volte per i media nazionali gli infermierisono un bersaglio facile, ormai perfino scontato. Imprecisione,informazioni distorte, profonda ignoranza sul ruolo e le compe-tenze degli infermieri la fanno spesso da padrone su giornali e tv. Da ultimo, ci si è messo anche il varietà, con un modo di faresatira che a noi proprio non fa ridere. Per contro, ci indigna.La macchietta dell’infermiera Mimma, il grottesco perso-naggio tra i protagonisti dell’ultima stagione della popolare tra-smissione di Rai2 “Quelli che il calcio e…”, ha valicato i limiticivili della satira, oltre che quelli del normale buon gusto.Se la collega immaginata da Simona Ventura e dai suoi autoripuò aver fatto sorridere qualcuno al suo esordio, malgradol’abuso di scontatissimi luoghi comuni sugli infermieri, a lungoandare, riproponendo ad ogni occasione comportamenti trucidie commenti sciatti sulla professione, ha suscitato la reazionerisentita di molti colleghi e del Collegio di Roma, in particolare.Interventi molto apprezzati da tutti gli infermieri e da tanti altriprofessionisti della salute, laziali e non. Adesso la trasmissione è finita, non resta che aspettare set-tembre e restare vigili!

Passiamo ad altro, a questioni più delicate. Sul quotidianoLiberazione del 3 giugno scorso, il giornalista Giusto Cataniaha firmato un interessante e articolato dossier sugli ospedalipsichiatrici giudiziari di Aversa e di Napoli. La Sanità peniten-ziaria oramai è passata in carico al Ssn, e non viene più gestitaa livello centrale dal ministero della Giustizia. Sono quindi lesingole Asl a prendersi carico delle varie strutture dislocate sul

territorio nazionale. Un passaggio non privo di difficoltà e di cri-ticità, che deve fare i conti anche con i deficit in ambito sanita-rio di molte Regioni italiane. L’inchiesta, oltre a rappresentare iproblemi dei detenuti, si sofferma anche sulle “sofferenze”degli infermieri: dagli spogliatoi “a cielo aperto” al senso diabbandono patito dagli “internati”.Cambiamo ancora una volta argomento. Il Consiglio di indirizzogenerale dell'Ente nazionale di previdenza e assistenza della pro-fessione infermieristica (Enpapi), il 29 maggio scorso, ha appro-vato, per acclamazione, il bilancio consuntivo 2008, che presentaun avanzo complessivo di 4.183.491 euro, costituito da un avan-zo di gestione di 1.617.598 euro e da un avanzo finanziario di2.565.893 euro. Lo rende noto un comunicato dell'Enpapi.

"L'avanzo - si legge - consentirà, per la prima volta dall'istituzio-ne dell'Ente, avvenuta nel 1998, di attivare il Fondo di riserva,previsto dal Regolamento di previdenza dell'Ente. L'esercizio2008 ha rappresentato un anno nel quale le potenzialitàdell'Ente si sono manifestate ancora più compiutamente che inpassato, con un forte incremento delle attività istituzionali. Lasola attività di gestione del portafoglio investito ha prodotto unrisultato netto vicino ai 9 milioni di euro, corrispondente ad unincremento del patrimonio del 7%". Si è concretizzato inoltre il processo riformatore delle normeche regolano i rapporti con gli Assicurati, intrapreso fin dal2007. Accanto a ciò, non si possono non citare, da un lato, l'at-tuazione della convenzione stipulata con l'Inps per il trasferi-mento delle posizioni contributive dalla Gestione separata, cheha prodotto l'ingresso di flussi contributivi per circa 11.500posizioni, dall'altro l'avvio dell'azione di recupero dei crediticontributivi.

Dicono di noi...

52

L’ANGOLO MEDIAdei

La newsletter del Collegio fa passi da gigante!Con l’uscita dello scorso 3 giugno, la newsletter istituzionale del Collegio Ipasvi di Roma ha “festeggiato” i primi dieci numeridalla sua nascita. Uno strumento agile, innovativo, tempestivo, per essere costantemente aggiornati sulle attività in program-ma, sui corsi di formazione e sulle note di attualità della sanità romana e laziale. La newsletter ha cadenza settimanale e perriceverla basta registrarsi gratuitamente sul sito del Collegio, nell’apposita sezione. Essa rappresenta anche un ottimo modoper comunicare in maniera diretta con il Collegio, segnalando notizie, criticità, iniziative dalle varie realtà della sanità regiona-le. Per scrivere alla redazione, basta inviare una email al seguente indirizzo: [email protected]

IN PILLOLE

Quanti sono gli infermieri stranieri che lavorano in Italia?Da dove provengono?I loro curricula sono adeguati, conformi alle leggi e in linea conquelli dei professionisti nostrani?Queste sono solo alcune delle domande a cui si è tentato dirispondere sabato 30 maggio scorso, nell’ambito del convegnopromosso dall’Ait (Associazione infermieristica trans-frontalie-ra) e dal collegio Ipasvi di Roma.“Riflessioni etiche per la trans-culturalità”, questo il titolo del-l’evento svoltosi al policlinico Umberto I della capitale, ha vistoalternarsi al microfono diversi studiosi che, oltre che sull’eticadella professione infermieristica, si sono interrogati su quantisono e qual è il modo migliore per integrare la nuova “forza-lavoro” del settore sanitario in Italia: una “forza-lavoro” che,stando a dati recenti (proiettati durante la sessione del mattinodedicata a: “L’infermiere nella società dinamica”), sarebbe increscita.Così, in una società, via via, sempre più multietnica, scopriamoche ben il 10% dell’intera compagine infermieristica inItalia viene da altri Paesi, senza alcuna esclusione del plani-sfero: 34mila i generici e 528 i pediatrici.Naturalmente, il sesso femminile resta quello in numero mag-giore, tra gli stranieri, come in Italia, anche se va ricordato cheproprio il Belpaese detiene il primato della più alta percentualedi infermieri di sesso maschile operanti (circa il 20%).Tuttavia, mentre l’età media degli infermieri nostrani oscilla trai 31 ed i 40 anni, gli infermieri stranieri sono, relativamente, piùgiovani: di almeno quattro/cinque anni.Da dove provengono gli infermieri stranieri? da:– 42 Paesi africani;– 27 Paesi asiatici;– 25 Paesi della Ue;– 17 Paesi extracomunitari;– 15 Paesi America centrale e del nord;– 11 Paesi America del sud;– due Paesi dell’Oceania.Insomma, si tratta di: “Una vera e propria globalizzazione dellaprofessione”, come ha tenuto a precisare il presidente del col-legio Ipasvi di Roma, Gennaro Rocco, in apertura dei lavori.Di fronte ad un fenomeno di così vaste dimensioni, dunque, ènecessario essere pronti, per poter accogliere ed integrare,nella maniera più opportuna, questi professionisti, tenendoconto sì del loro percorso di studi (fondamentale per garantirela sicurezza dei pazienti a loro affidati), ma pure della storia –del vissuto – personale, nonché del bagaglio esperenziale cheli accompagna e con cui si verrà, inevitabilmente, a contatto.Il paradosso è che, benché, in Europa non ci sia ancora una

direttiva comune sulla formazione infermieristica (cosìcome il concetto di “etica” e di “deontologia professionale” sicarica di differenti significati, a seconda del Paese a cui si fariferimento), l’Italia necessita del supporto dei professionististranieri, visto che il gap tra quanti sono “in servizio” e quantidovrebbero esserci – secondo l’Ocse – è di 60mila infermieri.Una lacuna che, aumentata da quanti, dall’Italia, si recanoall’estero in risposta ad altre, giustificabili, esigenze (maggioreconsiderazione sociale e più guadagni), neppure l’integrazionedegli infermieri stranieri è riuscito a colmare. Per di più che, nell’ultimo periodo, si è assistito ad un altrofenomeno: molti infermieri stranieri, dopo qualche anno di per-manenza in Italia, decidono di tornare al Paese natio. Cosa che,se da un lato risponde all’ingiusta depauperizzazione dellerisorse in Paesi, solitamente, già svantaggiati, lascia il nostro adover fronteggiare, da solo, l’atavica questione.L’Ait, attraverso manifestazioni come quella del 30 maggiovuole occuparsi proprio di sensibilizzare tutti – operatori delsettore e non – alle problematiche legate all’e/immigrazionedegli infermieri, nella convinzione che, come suggeriva la fon-datrice della Scienza infermieristica, Florence Nightingale:“Il successo sta nell’integrazione”.

Tiziana Mercurio

All’Umberto I, per parlare di trans-culturalità nella professione infermieristica

53

SEGUITO VOIper

Quattro giorni intensi, alla Fiera di Roma, per parlare diPubblica Amministrazione.

Soprattutto, quattro giorni per parlare di trasparenza, innovazio-ne e promozione della qualità dei servizi e della gestione terri-toriale in Italia.Al Forum PA, dall’11 al 14 maggio scorso, la ventesima edizio-ne di un evento che ha coinvolto ministri, diversi esponenti delGoverno, delle Regioni e degli Enti locali, ma, soprattutto, tantiaddetti ai lavori. Quelli che, ciascuno nel proprio settore, sisono fatti garante di un nuovo imperativo: “snellire le procedu-re; evitare gli sprechi e valorizza le efficienze”. Insomma, gli oltre 200 espositori negli stand hanno mostrato illato migliore del pubblico impiego; mentre i 93 convegni hannosintetizzato - e reso accessibili a tutti - le maggiori problemati-che all’esame del Governo e, naturalmente, di Renato Brunetta.Nessuna caccia alle streghe, ma ai fannulloni sì: se la PubblicaAmministrazione vuole dare una sterzata all’attuale modusoperandi deve ripartire proprio da se stessa, o meglio, cercaredi far tesoro proprio di quei campioni di efficienza che già anno-vera tra le sue fila.A questo scopo, infatti, è stato pensato il premio: “Protagonistidell’innovazione”, dedicato proprio alle persone che lavorano,quotidianamente, per cambiare, promuovere l’innovazione emotivare gli altri sulla strada dello “svecchiamento”.Ognuno con la propria storia (e curriculum), i candidati sonostati scelti “dal basso”, ovvero proprio dai dipendenti iscrittialle comunità Forum PA e Innovatori PA (in tutto, circa 95mila).A loro, il compito di segnalare gli “inno-vatori”, compilando una scheda sul sitowww.innovatori.forumpa.it e fornendodettagli sui progetti (senza dimenticareche c’era spazio anche per le auto-candi-dature).Arrivare in finale significava riceverecentinaia di voti, in alcuni casi migliaia.Le migliaia che hanno portato ad unaprima fase di scrematura di 25 “volti” (ipiù votati dei 150 candidati della primafase), anche Ausilia Lucia Pulimeno,vicepresidente del collegio Ipasvi diRoma e dirigente infermieristico al poli-clinico Umberto I della capitale. Al termi-ne della consultazione on line, laPulimeno si è classificata terza per lacategoria “Sanità”. Ed è il secondo anno

consecutivo che un infermiere sale sul podio (lo scorso anno eratoccato ad Andrea Maccari, dell’Asl Rm/B”).Cinque, in tutto, i vincitori finali. Uno per ciascuna delle catego-rie del premio: “Tecnologie di frontiera” (l’introduzione di tecno-logie di punta per il miglioramento dei servizi erogati è uno degliaspetti più qualificanti della “nuova” PA); “Caccia agli sprechi”(qui, rientrano le iniziative che consentono l’ottenimento di ridu-zione delle spese attraverso innovazioni organizzative e gestiona-li); “Semplificazione” (qui, rientrano le iniziative per promuoverel’innovazione nei rapporti con cittadini e imprese e nei servizi ero-gati, anche utilizzando internet); “Sanità” (le innovazioni di pro-dotto o di processo nel sistema sanitario che, da sempre, rappre-senta la voce principale di “spesa” per il Bilancio) e “Inclusione”(questa rappresenta la capacità di realizzare dei processi e deiservizi innovativi che favoriscano le “fasce più deboli”: bambini,anziani, immigrati e diversamente abili).Il convegno di chiusura del Forum PA, “Entriamo nel merito”, èstato dedicato a fare il punto sulle azioni necessarie per introdur-re nelle amministrazioni l’asse portante del riconoscimento edella promozione della qualità. La riflessione ha coinvolto tutti gliattori in gioco: dai cittadini alle imprese, dalle PA centrali alleautonomie locali e territoriali, alle istituzioni legislative.Al termine del convegno, proprio dalle mani del ministro RenatoBrunetta, Lia Pulimeno ha ricevuto il suo attestato di merito peraver contribuito, grazie alla sua: “comunicazione efficace edaperta”, a migliorare la gestione dei servizi infermieristici nel-l’ospedale in cui lavora, nonché di quella dei corsi di laurea e

La vice presidente Ipasvi premiataa “Protagonisti dell’innovazione”

54

SEGUITO VOIper

Il momento della premiazione della Pulimeno alla presenza dei ministri Brunetta e Carfagna

master in infermieristica che coordina, da tempo, alla Sapienzadi Roma.Di seguito, riportiamo le motivazioni ufficiali che hanno portatoalla candidatura della Pulimeno: Motivazione della candidatu-ra Dirigente capace di creare un’atmosfera aziendale di aperturae comunicazione efficace, di agire nella maniera più obiettiva pos-

sibile, di incoraggiare lo sviluppo di prospettive alternative.Quali risultati ha conseguito?Cinque mandati consecutivi come consigliere al collegio Ipasvidella Provincia di Roma; dirigente dell’Area Infermieristica eostetrica del Policlinico Umberto I di Roma; docente presso ilcorso di laurea in Infermieristica dell’università “La Sapienza”di Roma.Su quali progetti sta lavorando? Il Centro di Eccellenza per la Cultura e la Ricerca Infermieristica,vero patrimonio di idee, di esperienze e di progettualità infer-mieristica, che dovrà essere valorizzato e messo a disposizionedella professione, e dell’intera collettività, per diventare unpunto di riferimento per tutti coloro che si occupano di salute esanità.Note aggiuntive sulla candidaturaGrandi capacità comunicative che riescono a far sentire il per-sonale partecipe e coinvolto nel cambiamento, creatività neltrovare soluzioni sempre innovative, saper stimolare e motivarecontinuamente. Le stesse qualità le permettono di essere undocente eccellente.

Tiziana Mercurio

55

SEGUITO VOIper

La “cinquina” delle premiate per il settore Sanità

56

IN PILLOLE

Alzheimer: verso un test precoceUn gruppo di ricercatori dell'Università di Oxford ha scoperto la corrispondenza tra la presenza del gene Apoe4, legatoall'Alzheimer, e l' iperattività dell'ippocampo, la parte del cervello localizzata nel lobo temporale. I ricercatori hanno inda-gato un gruppo di trentasei giovani tra i 20 e i 35 anni, comparandone le attività cerebrali. La metà di coloro possedevanoil gene ed erano gli stessi che manifestavano una iperattività cerebrale. Attraverso uno scanner si è potuto rilevarla e diconseguenza porre i primi passi per lo studio di un test che consenta di individuare e fronteggiare la malattia prima che sene manifestino i sintomi.

Vivere è una “colpa”?

LETTI VOIper

Un libro che è soprattutto il racconto di un dolore familia-re e della disperata ricerca della dignità tra la tempestadel dolore, della burocrazia e dell’indifferenza del mondo

sanitario e sociale.Questa è una storia vera: è la storia di Mirko che, oggi, ha cin-que anni e dei suoi genitori, Valtere e Monica, della sorellina,Michela, di undici anni e del cagnolino Spillo.Questa storia racconta la “colpa” di essere vivi, ma malati,malati di una patologia rara ed incurabile, la miopatia miotubo-lare (una malattia genetica ereditaria che interessa l’apparatomuscolare, respiratorio, neurologico, metabolico; a esito infau-sto) che, tra l’altro, costa tanto.Difficile definire il genere di questo libro, perché, più di un’ope-ra letteraria vera e propria, si tratta del tragico racconto auto-biografico di una famiglia; di un testo scientifico poiché trattadi medicina; di un racconto moderno che narra dei giorni nostri,didattico nel suo insegnare al lettore modalità di assistenza apazienti così gravi. Nonché di un’opera religiosa, giacché l’amo-re e la fede che la pervade spiegano come sia possibile soppor-tare l’insopportabile.L’autore, Valter Mazza, è un infermiere professionale e lavorapresso l’Asl Rm/D, occupandosi, principalmente, dell’assisten-za di casi pediatrici gravi.Valter, però, è soprattutto il papà di Mirko e, da padre, raccon-ta la sua travagliata “Odissea” fra dolore, crudeltà, incompe-tenza e qualche flebile speranza, proveniente dalla condivisio-ne della stessa tragedia con altri genitori infelici, certi che illoro dramma, seppur in parte compreso da qualcuno, resteràsempre strettamente personale.

La casa di Mirko. Dalla stanza delle mosche alla casadella dignitàdi Valter MazzaKimerik edizioni, 171 pp.15 euro

57

L’amore ha lati positivi e negativiAttento a quelli sieropositivi!

soloNON INFERMIERI

Anche quest’anno, l’unità operativa II Aids della AslRoma C ha promosso, nell’ambito del progetto annua-le di attività di prevenzione rivolta agli studenti degli

istituti superiori del Distretto 11, l’iniziativa, in accordo colDistretto, con l’assessore alle Politiche Giovanili delMunicipio XI e grazie alla collaborazione ed il sostegno dellaUisp e del Consorzio “Farmacia 360”, di realizzare la secondaedizione di: “Corriamo insieme per vincere l’Aids”.Per l’occasione, è stata organizzata una corsa campestre astaffetta al Parco Schuster (zona San Paolo).Contestualmente alla manifestazione sportiva, resa possibilegrazie alla collaborazione della polizia municipale e del sup-porto sanitario dell’ospedale Cto -“Andrea Alesini”, sono statiallestiti quattro gazebo allo scopo di illustrare, ai ragazzi edalle scuole, le possibili risposte alle problematiche giovanilida parte di tutte le istituzioni e realtà presenti. Agli studentidei 13 istituti che hanno partecipato è stato chiesto, inoltre, dicreare uno slogan che esprimesse il loro impegno sulla pre-venzione dell’Aids e, tra le numerosissime frasi ad effetto chesono state ideate dalle 63 classi coinvolte, una giuria di ragaz-zi ha scelto quelle che riteneva più significative. Gli slogan più belli e i vincitori della staffetta sono stati pre-miati durante il Convegno che si è svolto presso l’istituto“Armellini”, a cui hanno partecipato, per la Asl Roma C,Ruggero Di Biagi, direttore del Distretto 11; Rosella DiBacco, responsabile della Uo Aids/D11; Mauro Benvenuti,medico della Uo Aids. Per il Municipio Roma XI, hanno parte-cipato il presidente, Andrea Catarci;l’assessore alle Politiche Giovanili,Carla di Veroli; l’assessore allePolitiche Scolastiche, Nicola Cefali eil delegato alla Sanità e ai Rapporticon la Asl Rmc, Antonio Bertolini;senza dimenticare, per il consorzio“Farmacia 360”, il presidente,Eugenio Mealli.Durante il convegno annuale, sonostati resi pubblici i risultati conseguitidagli operatori della Uo Aids durantele attività svolte nelle classi di tutte lescuole inserite nel programma di unprogetto che si articola in varie fasioperative. Sostanzialmente, una com-missione composta dai docenti refe-renti e dagli operatori sanitari organiz-za gli incontri con gli studenti del

penultimo anno delle medie superiori. Il primo incontro hal’obiettivo di fornire tutte le informazioni, i chiarimenti e gliapprofondimenti sugli aspetti epidemiologici, biologici edinfettivologici dell’infezione da Hiv, con una metodologia chepromuove il dialogo e l’interazione con i ragazzi. In questafase, viene distribuito un questionario su cui, poi, si svolgeràuna discussione durante il secondo incontro.Anche quest’anno, si conferma che la linea di tendenza deigiovani, negli ultimi tempi, è caratterizzata dalla continuadiminuzione dell’attenzione in merito alla possibilità d’infet-tarsi: questo, anche a causa di un minore interessamento alfenomeno da parte dei mass-media.Alla luce dei dati statistici riportati, infatti, è emerso che inmolti ritenevano l’Aids ormai un fenomeno epidemiologico infase di regressione; un’infezione curabile e quindi guaribile,diffusa soprattutto, nel Terzo Mondo e, comunque, ad appan-naggio quasi esclusivo del mondo della prostituzione (o,comunque, di un comportamento sessuale immorale) e diquello della tossicodipendenza. Inoltre, si è potuto osservareche poco meno della metà degli adolescenti (50% delle ragaz-ze, 43,5% dei ragazzi) è in grado di definire correttamente lostato di sieropositività, considerata come una condizione incui non si rischia di infettare e che non, necessariamente,debba degenerare nella malattia vera e propria.In merito alla prognosi poi, gli studenti privilegiano l’ipotesiche l’infezione da Hiv, alla luce dei risultati della terapie anti-retrovirali, possa collocarsi tra gli stati di malattia: “curabili e

58

soloNON INFERMIERI

non guaribili” (nel 68% dei casi per le ragazze e del 60% peri ragazzi).C’è anche una percentuale di risposte che, evidenziando unavalutazione assolutamente ottimistica rispetto alla prognosi,denota ulteriormente la poca consapevolezza della severitàdell’infezione, inconsapevolezza che porta, come conseguen-za, una scarsa attenzione nel considerare il rischio. Riguardoalla prevenzione, poi, dalle continue domande poste dagli stu-denti agli operatori, risulta ancora poco chiara la differenzatra metodi contraccettivi e di prevenzione Aids, e ancorainsufficiente l’informazione sulla contraccezione in generalecome sulle conoscenze anatomo-fisiologiche degli apparatisessuali.Occorre, tuttavia, indagare il complesso mondo degli adole-scenti, anche e soprattutto, dal punto di vista emotivo e rela-zionale per capire meglio i loro comportamenti in ambito ses-suale.Ai ragazzi è stato chiesto, ad esempio, di analizzare le moti-vazioni che rendono difficile l’utilizzo del profilattico.Significative le risposte che indicano: “l’imbarazzo dell’acqui-sto” (femmine 26,6%, maschi 30,5%) e poi il: “timore e l’im-barazzo nel proporlo”, e ancora il “timore di mettere in discus-sione la fiducia nella coppia o di essere rifiutati”.Desta, dunque, perplessità e preoccupazione rilevare che lanecessità di adottare rapporti protetti non sia ancora cosìriconosciuta dai ragazzi, mentre è proprio questo atteggia-mento che rappresenta, in molti casi, il veicolo comportamen-

tale dell’infezione. La percentuale del rischio dunque, nellamaggior parte dei ragazzi intervistati, si riduce drasticamenteallorché intervengano condizioni particolari, come l’emozione,l’essere innamorati o ancora, l’abuso di alcool e droghe. L’ultima domanda del questionario annuale ha riguardato ladifficoltà che un adolescente potrebbe avere se dovesse deci-dere di sottoporsi al test diagnostico per l’Hiv, una decisionedifficile da prendere (hanno detto in tanti), per paura dellarisposta, per una sottovalutazione del rischio o, peggio, permancanza del ricordo. Senza dimenticare che molti hannopaura del giudizio di un adulto e che ne vengano informati igenitori.La diffidenza nei confronti degli adulti e il conflitto che spes-so si configura tra genitori e figli dinamiche, peraltro, fisiolo-giche almeno in una certa misura), possono risultare in alcunicontesti, come quello appunto della prevenzione di gravimalattie e dell’adozione di stili di vita corretti, assolutamentecontroproducenti e drammaticamente lesive ad un sano svi-luppo delle nuove generazioni. In un periodo così difficile,dove la realizzazione personale, dallo studio al lavoro, è forte-mente ostacolata dalla crisi economica e dal crollo dei valori,la società degli adulti ha il dovere preciso di stringersi intor-no ai giovani e aiutarli concretamente a costruirsi un futuro,prestando loro attenzione, cura e comprensione.

Laura Gilardi

IN PILLOLE

Obesità a rischio contagioSecondo una ricerca internazionale coordinata dall’Università di Warwick, in Inghilterra, le frequentazioni quotidiane influisco-no sul peso corporeo di ciascuno. In particolare, lo studio pone in evidenza come se ci si circonda di persone che combattonocontro i chili di troppo il rischio personale di ingrassare aumenta. In pratica gli “over size” produrrebbero una sorta di effettodomino che accresce la tendenza ad accumulare peso negli individui del proprio entourage. Questo almeno secondo i ricercato-ri britannici che hanno analizzato i dati di 27 mila europei residenti in 29 Paesi diversi. Lo studio ha evidenziato che esistonolivelli diversi di rischio, più contenuti per chi possiede un livello scolastico superiore e per i laureati.

Infermieri al teatroper aiutare l’Anlaids

59

soloNON INFERMIERI

In concomitanza con la giornata internazionale dell’infermiere, un’occasione per stare insieme, e soprattutto, per raccogliere fondia favore dell’Anlaids-sezione del Lazio, quella che ha portato a teatro gli infermieri e le loro famiglie.

Lunedì 4 maggio, al teatro Italia, è andata in scena la divertente piece di Gaetano di Maio: “Mpriesteme a mugliereta”, con la regiae l’adattamento di Antonello Setzu.L’iniziativa ha consentito di devolvere fondi di euro per il progetto “Club Mingha” operativo in una zona rurale del Camerunoccidentale, dove si stima che circa 230.Mil. bambini siano orfani a causa della sindrome da Hiv.L’Anlaids-sezione del Lazio ha elaborato un programma mirato al sostegno e all’assistenza dei bambini sieropositivi e delle loro fami-glie nel continente africano. Qui, il 40% della popolazione non ha accesso all’acqua potabile; meno del 60% dei bambini viene vac-cinato, il 9% muore prima di aver compiuto un anno ed il 15,4% non arriva ai cinque. È proprio di fronte a questi numeri impressionanti che l’associazione ha deciso di intervenire, anzitutto, elaborando un programmamirato al sostegno delle esigenze individuali dei bambini sieropositivi e delle loro famiglie, assicurando loro assistenza a visite medi-che generali mensili, visite di controllo settimanali presso il domicilio del bambino, la consegna di una spesa alimentare che integrala nutrizione, così da arricchirla di cibi proteici che permettano di rafforzare l’organismo e affrontare la terapia antiretrovirale.Quindi, con una serie di iniziative sul piano etico-sociale; come, appunto, quest’appuntamento a teatro che ha coinvolto, fra attori etecnici, una ventina di persone.Questo, il cast: Antonello Setzu (Camillo Coppolecchia); Marinella Setzu (Lucia Coppolecchia); Alessia Cocco (Caterina); GiuliaGiombini (Esterina); Raffaele Giorgio (Alberto); Domina Cozzolino (Ida); Luca Salsedo (Alfredo); Bernardino De Bernardis(Luigi); Gaetano Romigi (Vittorio); Ciro Valente (Marcello); Michael Moscarella (Pat); Matteo Cirillo (Jak) e Teresa Marra(Amalia).“Mpriesteme a mugliereta” (“Prestami tua moglie”) è una raffinata macchina teatrale per divertire il pubblico. Il luogo dell’ambien-tazione è uno chalet di montagna notoriamente usato come casa di villeggiatura per il riposo della mente e del corpo. La commediariguarda la vicenda di Camillo Coppolecchia un uomo che salito sui monti per curare i suoi nervi ne è ridisceso distrutto.La visita di un ospite indesiderato, lo scambio di moglie, l’irruzione in casa di una banda di gangster americani sono solo alcuni ele-menti del testo per descrivere una tranquilla vacanza di follia in chiave tragicomica. Intrecci, equivoci, scambi di persona, conditi inclima surreale, sono gli ingredienti di questa “gustosa” commedia.Il prestito di moglie del protagonista fatto al suo ospite, necessario per sanare la tresca di quest’ultimo, innesca un’interminabile seriedi situazioni grottesche ed esilaranti con un ritmo sempre più frenetico di battute e colpi di scena.La regia ricerca non solo la cura rigorosa del carattere dei personaggi, ma anche, e soprattutto, la ricostruzione di quei sapori incon-fondibili della Napoli degli anni ’60.Il Collegio IPASVI di Roma ha contribuito alla causa di ANLAIDS-Lazio con un contributo di 2,500 euro.

Con questo articolo, offro una nuova visione della profes-sione infermieristica, una visione internazionale chenasce dall’approvazione del nuovo Codice Deontologico e

affronto questo argomento, estremamente complesso, utiliz-zando una sentenza della Corte di Cassazione sicuramente giànota (Cass., 23 febbraio 2007, n. 4211) che riassumo molto bre-vemente.Il fattoIl sig. S.T. rimaneva vittima di un incidente stradale e venivaricoverato presso il pronto soccorso di un ospedale. Oltre a frat-ture multiple, veniva fatta la diagnosi di lesione dell’arteria edella vena succlavia con emorragia in atto e, quindi, veniva tra-sferito in rianimazione.Il sig. S.T. sin dall’inizio negava il consensoa qualsiasi trasfusione eterologa mentreprestava il consenso per una trasfusioneautologa, qualora fosse stato necessario.Nel corso del successivo intervento chirur-gico, veniva sottoposto a trasfusione san-guigna eterologa nonostante avessedichiarato che, in ossequio alle proprieconvinzioni religiose (è Testimone diGeova) non voleva gli venisse praticatotale trattamento.Il sig. S.T. perdeva in primo grado e pro-poneva appello avverso la sentenza delTribunale di Trento che aveva rigettato lasua domanda di risarcimento dei dannimorali patiti, in primo luogo, per esserestato costretto, contro la sua volontà asubire l’intervento, espressamente rifiu-tato, di una trasfusione sanguigna; insecondo luogo, si doleva del fatto che ilTribunale aveva ritenuto legittimo che isanitari si fossero trovati di fronte allanecessità di salvargli la vita e che, conse-guentemente, ciò avrebbe reso comun-que lecito, ai sensi dell’art. 54 c.p. (ossialo stato di necessità), il loro comporta-mento. Chiedeva pertanto, in riforma del-l’impugnata decisione, il risarcimento ditutti i danni morali, patrimoniali e biologi-ci subiti.

La decisione della Corte di CassazioneLa Corte di Cassazione rigetta ancora il ricorso del paziente con-dividendo le seguenti argomentazioni del giudice d’appello,ovvero che:al momento del ricovero: “appariva possibile una terapia alter-nativa alla trasfusione, che fu correttamente attuata dai sanita-ri della rianimazione”; le emotrasfusioni si erano rese necessarie nel corso dell’inter-vento chirurgico: “quando l’ulteriore peggioramento dell’emato-crito, l’ipertensione arteriosa ed il sanguinamento copioso del-l’arteria lacerata ha fatto temere per la vita del paziente”; l’aggravamento del paziente, rivelatosi in sede operatoria,

Il nuovo Codice Deontologico:l’infermiere nella comunità internazionale

60

L’AVVOCATOdice

61

costituiva una situazione clinica oggettivamente e pesantemen-te diversa da quella diagnosticata all’atto del ricovero, nonaltrimenti evitabile e, soprattutto, non causata da imperizia e/onegligenza dei sanitari.Secondo la Corte di cassazione, il nodo fondamentale per ladecisione della presente controversia è il seguente: accertarese il rifiuto al trattamento trasfusionale, esternato dal pazienteal momento del ricovero, potesse ritenersi operante anche almomento in cui le trasfusioni si resero necessarie.Il giudice del gravame, conformemente a quello di primo grado,ha ritenuto che: “la risposta ... è, se non sicuramente negativa,quanto meno fortemente dubitativa” in quanto: “è più cheragionevole chiedersi se il S., qualora avesse saputo dell’effet-tiva gravità della lesione e dell’attuale pericolo di vita, avrebbesenz’altro ribadito il proprio dissenso”. Ciò, in virtù delle seguenti considerazioni:che anche il dissenso, come il consenso, deve essere inequivo-co, attuale, effettivo e consapevole;che l’originario dissenso era stato espresso dal paziente in unmomento in cui le sue condizioni di salute non facevano teme-re un imminente pericolo di vita, tanto che il paziente era statotrattato con terapie alternative;che lo stesso paziente aveva chiesto, qualora fosse stato rite-nuto indispensabile ricorrere ad una trasfusione, di essereimmediatamente trasferito presso un ospedale attrezzato perl’autotrasfusione, così manifestando, implicitamente ma chia-ramente, il desiderio di essere curato e non certo di morire purdi evitare d’essere trasfuso;che alla luce di questi elementi e di un dissenso espresso primadello stato d’incoscienza conseguente all’anestesia, era lecitodomandarsi se sicuramente il S. non volesse essere trasfuso, ose, invece, fosse altamente perplesso e dubitabile, se noncerto, che tale volontà fosse riferibile solo al precedente conte-sto temporale, meno grave, in cui l’uomo non versava ancora inpericolo di vita.Ha aggiunto il suddetto giudice che, anche nell’ipotesi in cui ildissenso originariamente manifestato dal paziente fosse rite-nuto perdurante, comunque il comportamento adottato daisanitari sarebbe stato scriminato (ex art. 54 c.p.) e che, quindi,esclusa l’illiceità di tale comportamento, doveva escludersi lasussistenza di un qualsiasi danno risarcibile.Ora, questo è il problema da risolvere: non circa il valoreassoluto e definitivo di un dissenso pronunciato in virtù di undeterminato credo ideologico e religioso (il rifiuto delle trasfu-sioni di sangue è fondato dalla comunità dei Testimoni di Geovasu una particolare lettura di alcuni brani delle scritture: Gen.9,3-6; Lev. 17,11; Atti 15, 28, 29), ma la correttezza della moti-vazione con cui il giudice ha ritenuto che il dissenso originario,con una valutazione altamente probabilistica, non dovesse più

considerarsi operante in un momento successivo, davanti ad unquadro clinico fortemente mutato e con imminente pericolo divita e senza la possibilità di un ulteriore interpello del pazienteormai anestetizzato. Secondo la Corte di cassazione, la sentenza di appello è corret-ta anche perché rispettosa della legge 28 marzo 2001 n. 145(Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consigliod’Europa per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignitàdell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia edella medicina), che all’art. 9 stabilisce che: “i desideri prece-dentemente espressi a proposito di un intervento medico daparte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è ingrado di esprimere la sua volontà, saranno tenuti in considera-zione“; e che i sanitari trentini li abbiano tenuti in considerazio-ne, risulta non foss’altro dall’avere interpellato telefonicamen-te, in costanza di intervento operatorio, il Procuratore dellaRepubblica ricevendone implicitamente un invito ad agire. Insomma, delle varie situazioni configurabili, il tema in esameriguarda appunto il rifiuto delle cure nel senso di accertare lalegittimità del comportamento dei sanitari che hanno praticatola trasfusione nel ragionevole convincimento che il primitivorifiuto del paziente non fosse più valido ed operante. A questo specifico riguardo, la statuizione della Corte trentinadeve ritenersi corretta ed il ricorso del S. non può trovare acco-glimento.

* * *

E’ la prima volta che mi cimento con il nuovo CodiceDeontologico dell’infermiere e mi appresto a questo compitooffrendo un punto di vista generale, ma muovendo da un datoparticolare.La sentenza, che ho riportato solo per estratto e in parte rima-neggiata per facilitarne la comprensione, affronta la questionedel consenso e del dissenso informato e lo fa anche alla lucedella Convenzione di Oviedo recepita con la legge del 2001 n.145 (Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e delladignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazione dellabiologia e della medicina: Convenzione sui Diritti dell’Uomo e laBiomedicina del 4 Aprile 1997).Ed è proprio questo il punto che volevo affrontare.Il Codice Deontologico, con gli artt. 3 e 5, proietta la pro-fessione infermieristica nella comunità internazionale eadegua i principi ispiratori della professione alle normepiù avanzate del diritto.L’art. 3 recita: “La responsabilità dell’infermiere consiste nelcurare e prendersi cura della persona, nel rispetto della vita,della salute, della libertà e della dignità dell’individuo”; la vita,la salute, la libertà e la dignità sono diritti fondamentali (seppu-

L’AVVOCATOdice

62

re, a parte la salute, non siano espressamente così definiti dalnostro legislatore).E’ poi scritto nell’art. 5: “Il rispetto dei principi etici e dei dirit-ti fondamentali dell’uomo è condizione essenziale per l’eserci-zio della professione infermieristica”.La Convezione di Oviedo ha come finalità quella di imporreagli stati firmatari (tra cui l’Italia che l’ha poi recepita conlegge) di proteggere: “l’essere umano nella sua dignità e nellasua identità” e di garantire “ad ogni persona, senza discrimina-zione, il rispetto della sua integrità e dei suoi altri diritti e liber-tà fondamentali riguardo alle applicazioni della biologia e dellamedicina”.Per quanto riguarda il consenso informato, che è al centro dellavicenda giudiziaria esaminata, la Convenzione afferma che unintervento nel campo della salute non può essere effettuato senon dopo che la persona interessata abbia dato consenso libe-ro e informato. La persona riceve, innanzitutto, un’informazioneadeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sueconseguenze e i suoi rischi, con la possibilità, in qualsiasimomento, di ritirare liberamente il proprio consenso e ciò –ricordiamolo - senza discriminazione in particolare, per quantoriguarda il tema della sentenza. Tale impostazione è conferma-ta anche dal Comitato nazionale di bioetica che, nel documen-to sul consenso informato, ha sottolineato, a proposito del rifiu-to dell’emotrasfusione per motivi religiosi: “nonostante la sof-ferenza del sanitario che vede morire il proprio assistito senzapoter espletare l’atto terapeutico probabilmente risolutivo, eglideve ispirare il proprio comportamento” al principio secondo ilquale “il medico è tenuto alla desistenza da qualsiasi atto dia-gnostico e terapeutico non essendo consentito alcun tratta-mento sanitario contro la volontà del paziente“ (ComitatoNazionale per la Bioetica-CNB, Informazione e consenso all’at-to medico, del 20 giugno 1992, 24).In conformità a questo orientamento, l’art. 7 del CodiceDeontologico sancisce che l’operato dell’infermiere deve tenerconto: “dei valori etici, religiosi e culturali, nonché dell’etnia,del genere e delle condizioni sociali della persona” e “ascolta,informa, coinvolge l’assistito e valuta con lui i bisogni assisten-ziali, anche al fine di ... facilitarlo nell’esprimere le proprie scel-te” (art. 20 Cod. Deon.) e per questo, anche per questo, egli: “...conosce il progetto diagnostico per le influenze che esso ha sulpiano di assistenza e sulla relazione con l’assistito” (art. 22Cod. Deon.).Sempre sul piano del consenso, l’infermiere: “aiuta e sostiene

l’assistito nelle scelte, fornendo informazioni di natura assi-stenziale” (art. 24 Cod. Deon.) fino anche a rispettare: “la con-sapevole ed esplicita volontà della persona di non essere infor-mata purché la mancata informazione non sia di pericola per séo per gli altri”. La Convenzione inoltre (art. 4) impone che: “ogni intervento nelcampo della salute deve essere effettuato nel rispetto dellenorme e degli obblighi professionali”. Questo “passaggio” della Convenzione è particolarmenteimportante per comprendere quanto affermo sul nuovo CodiceDeontologico degli infermieri, e cioè che esso, con il riferimen-to al rispetto della vita, della salute, della libertà e della digni-tà umana (dell’uomo, quindi, e non solo del cittadino) si adeguaa principi internazionali per la tutela della vita di ognuno.Il Codice Deontologico è, come ormai sappiamo, fonte di obbli-ghi per l’infermiere, e con l’art. 3 ha colto questa opportunità diadeguamento alla Convenzione.Il riferimento ai “diritti fondamentali”, contenuto nell’art. 5 delNuovo Codice Deontologico, rappresenta un ulteriore, impor-tante adeguamento alla normativa comunitaria.Mi riferisco alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’UnioneEuropea (G.U. C 303 del 14.12.2007), frutto di una leggera revi-sione della Carta proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000.La Carta elenca i diritti fondamentali che sono, tra quelli che ciriguardano più da vicino: la dignità umana (art. 1); il diritto allavita (art. 2) e il diritto all’integrità della persona (art. 3). In par-ticolare, all’art. 3 della Carta: “Ogni individuo ha diritto alla pro-pria integrità fisica e psichica. Nell’ambito della medicina edella biologia devono essere in particolare rispettati: il consen-so libero e informato della persona interessata, secondo lemodalità definite dalla legge; il divieto delle pratiche eugeneti-che, in particolare di quelle aventi come scopo la selezionedelle persone; il divieto di fare del corpo umano e delle sueparti in quanto tali una fonte di lucro; il divieto della clonazioneriproduttiva degli esseri umani”. Così, per restare alla sentenzain commento, il tema del consenso libero e informato rappre-senta un momento centrale della persona.Come si vede, quindi, il riferimento ai diritti fondamentali,alla vita, alla salute alla libertà e alla dignità umanacontenuti nel Codice Deontologico rappresentano, a mioavviso, la proiezione dell’infermiere nell’ordinamentocomunitario e internazionale.

Avv. Alessandro Cuggiani

L’AVVOCATOdice

63

INFERMIERI RETEinLe riviste infermieristiche straniere

disponibili on line

Nello scorso numero abbiamo terminato una mini-guidadi quattro numeri, aggiornata, sulla ricerca bibliografi-ca di contenuti a carattere infermieristico.

Questa volta vi proporrei due riviste infermieristiche on linestraniere:

NursingTimes.net http://www.nursingtimes.net/

Si tratta di una rivista anglosassone che assomiglia più ad un“magazine” (e, del resto, lo dichiarano anche loro) che fainformazione professionale.Dal 1906, NursingTimes è il perfetto esempio di adattamentoai tempi. Il magazine cartaceo potete trovarlo presso la biblioteca delCollegio Ipasvi di Roma, mentre il sito web offre approfondi-menti tematici sugli argomenti del numero “cartaceo” uscito(ovviamente, le notizie sono svincolate, e possono esser letteanche solamente on line).C’è anche un forum, non troppo popolato, ma interessantissi-ma è la newsletter tematica, a scelta tra filoni di clinica spe-cialistica e di management. L’iscrizione, gratuita sul sito, consente di commentare gli arti-coli scritti dalla redazione.La cosa davvero innovativa è che la redazione si impone diessere presente praticamente ovunque sui social networkmaggiormente conosciuti ora:Facebook, Twitter, se non il proprioblog interno.Davvero bella ed innovativa la sezio-ne video, con filmati di educazionesanitaria (in lingua inglese) moltoben fatti.

[email protected] http://nur-sing.about.com/

Potremmo considerarlo l’equivalentedel precedente, se non fosse che,per questo, non esiste un corrispet-tivo cartaceo. Nato come progetto indipendente alargo spettro, nell’ultimo anno, èstato notevolmente ridimensionatoed il Forum va pressoché deserto(come per il precedente citato).Anche qui newsletter interessante,ma con una curatrice esperta di pro-

cessi legati alla salute ed al reclutamento del personale sani-tario.Degna di particolare nota, la sezione dedicata al “trova lavo-ro” (“Find a job”) ma, soprattutto per noi, la sezione “CVWriting tips” ovvero, “Consigli per scrivere un curriculumvitae”.La sezione, come tutto il progetto about.com è a cura delNew York Time.

Anche che il Collegio Ipasvi di Roma ha attivato, ormai damesi, un servizio di newsletter quindicinale direttamente dalsito web istituzionale, da cui è possibile ricevere news acarattere infermieristico e sanitario prioritariamente daldistretto di Roma, provincia di Roma, e regione Lazio. On line anche i numeri pregressi. Iscrizione gratuita ma neces-saria, all’indirizzo:

http://www.ipasvi.roma.it/ita/lists

a cura di Fabrizio TallaritaWebmaster del Collegio Ipasvi di [email protected]

64

diLA VIGNETTA BITETTI

NORME EDITORIALIQuali regole seguire per pubblicare un articolo su “Infermiere Oggi”

“Infermiere Oggi” pubblica articoli inediti di interesse infermieristico, previa approvazione del Comitato di Redazione. L’articolo è sottola responsabilità dell’autore o degli autori, che devono dichiarare: nome, cognome, qualifica professionale, ente di appartenenza, reca-pito postale e telefonico. Il contenuto non riflette necessariamente le opinioni del Comitato di Redazione e dei Consigli direttivi.Gli articoli devono essere strutturati secondo il seguente schema: 1) riassunto/abstract; 2) introduzione; 3) materiali e metodi; 4) risul-tati; 5) eventuali discussioni; 6) conclusioni; 7) bibliografia.

CITAZIONI BIBLIOGRAFICHELa bibliografia dovrà essere redatta secondo le norme riportate nel Vancouver Style (consultabili al sito internethttp://www.icmje.org).Il vantaggio dell’uso del Vancouver Style è nel fatto che la lettura di un testo non interrotto dalla citazione risulta più facile e scorre-vole. Solitamente, i rimandi alla bibliografia sono affidati a numeri posti ad esponente (es. parola2 ) che rimandano alla bibliografiariportata alla fine dell’elaborato. Il Vancouver Style prevede:– iniziali dei nomi degli autori senza punto, inserite dopo il cognome;– iniziale maiuscola solo per la prima parola del titolo del lavoro citati;– in caso di un numero di autori superiori a sei, può essere inserita la dicitura et al.

CITAZIONI DA INTERNETPer citare un articolo su una rivista on line, è bene riportare: cognome, nome. “Titolo Articolo.” Titolo Rivista. Volume: fascicolo (anno).Indirizzo internet completo (con ultima data di accesso). Per un documento unico disponibile in rete: Titolo Principale del Documento. Eventuale versione. Data pubblicazione/copyright o dataultima revisione. Indirizzo internet completo (data di accesso).

FIGURE E TABELLELe figure e le tabelle devono essere scelte secondo criteri di chiarezza e semplicità; saranno numerate progressivamente in cifre arabee saranno accompagnante da brevi ma esaurienti didascalie. Nel testo deve essere chiaramente indicata la posizione d’inserimento.Diagrammi e illustrazioni dovranno essere sottoposti alla redazione in veste grafica accurata, tale da permetterne la riproduzionesenza modificazioni.

ABBREVIAZIONI, ACRONIMI E MAIUSCOLELimitarsi alle abbreviazioni più note:ad es. per “ad esempio”n. per “numero”p./pp. per “pagina/pagine”vol./voll. per “volume/volumi”et al. per indicare altri autori dopo il sesto nelle bibliografie.

L’acronimo è un genere particolare di abbreviazione. La prima volta che si incontra un acronimo in un testo è sempre necessario citareper esteso tutti i termini della locuzione, facendoli seguire dall’acronimo tra parentesi - ad es. Associazione Raffredati d’Italia (Ari).Evidentemente, ciò non vale per sigle oramai entrate nell’uso comune, come tv, Usa, Aids, Fiat, Cgil, Ecm. Gli acronimi non conter-ranno mai punti – ad es. Usa e non U.S.A.

DATE E NUMERILe date vanno sempre scritte per esteso, per evitare incomprensioni nella lettura. Ad es. lunedì 28 luglio 2006 e 1° gennaio (non Igennaio o 1 gennaio). I giorni e i mesi hanno sempre la prima lettera minuscola. I numeri da uno a dieci vanno scritti in lettere (tranne che nelle date!). Per tutti gli altri, l’importante è separare sempre con un puntoi gruppi di tre cifre. Per le grosse cifre “tonde”, usare “mila”, “milioni” e “miliardi” invece di “000”, “000.000”, “000.000.000”.

PAROLE STRANIERELe parole straniere vanno sempre indicate in corsivo, soprattutto se non sono ancora entrate nell’uso comune italiano. Se si decidedi usare un termine straniero, è bene ricordare che non si declina mai (ad es. i computer e non i computers).

MODALITA’ E TERMINI PER L’INVIO DEI LAVORIGli autori che desiderano la riserva di un certo numero di copie del numero contenente il loro articolo, devono farne richiesta esplici-ta al momento dell’invio del testo.Tutto il materiale (una copia in formato elettronico, una copia in formato cartaceo) deve essere spedito o recapitato al Collegio Ipasvidi Roma, viale Giulio Cesare, 78 - 00192 Roma.

integrazione multiculturalità

confrontoidentità

aggiornamenti