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Periodico di espressività sociale ANNO I N. 4 marzo 2009 E URO 2

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Periodico di espressività

sociale

ANNO I N. 4 marzo 2009

EURO 2

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Il traguardo: una competizione contro se stessi Personalmente credo che parlare di traguardo sia una co-sa talmente individuale da esu-lare da qualsiasi tipo di conte-sto logico. Se per traguardo intendiamo un punto “fisico”, come per esem-pio può essere il segmento di arrivo di una competizione spor-tiva, allora non ci sono dubbi: lo raggiungiamo nel momento in cui si varca quella fatidica soglia. Spostando il discorso in una visione più ampia dell’immagine, ecco allora che troviamo vari modi di interpretar-ne il significato. Ognuno di noi, in base a quelle che sono le sue aspirazioni e possibilità, ha ten-tato di raggiungere dei traguardi, talvolta riuscendoci, talvolta no. Sicuramente, però, tutti quanti ci siamo impegnati affinché i nostri obiettivi divenissero realtà. Nello sport, specie in quello a carattere individuale, la legge della competizione impone che ci sia un solo vincitore, a fronte di tanti partecipanti. Verrebbe da domandarsi: è solo quella persona ad aver raggiun-to il traguardo? Non esattamen-te. La parola traguardo non è sinonimo di vittoria, o almeno non sempre. Il ciclismo, forse uno degli sport più duri a livello fisico e mentale, ci insegna molto in questo senso. Possiamo infatti scalare una montagna dopo mille tentativi e sentirci appagati, perché siamo riusciti a superare quello che prima era un nostro limite. L’impegno, in sostanza, è l’elemento che meglio rappre-senta questo concetto. Se cre-diamo in quello che facciamo il raggiungimento del traguardo è implicito, indipendentemente dal risultato finale.

Il Direttore Edoardo Ebolito

La tipologia della scelta che ciascuno individuo attua nella realizzazione di una data conquista racconta la sua storia, gli elementi ed i valori che sono alla base della sua esistenza. Allo stesso tempo la caratterizzazione della con-quista è impregnata delle basi culturali e sociali del tempo in cui l’individuo vive o ha vissuto, che influenzano le sue scelte di vita in modo sia positivo che negativo. Così a volte una conquista finisce per rappresentare non tanto i valori profondi della nostra vita interiore, della nostra personalità, ma agisce solo come specchio riflesso dell’ambiente in cui viviamo, delle comunicazioni sociali di una data epoca. Conquistare per essere apprezzati, per dimostrare qualcosa, per corrispondere ad un certo target, al quale la nostra società at-tribuisce importanza, e non conquistare per migliore il nostro livello di auto-realizzazione. Questo processo sociale può diventare a volte molto pericoloso, in quanto l’individuo, in certe circostanze di disagio psicologico, può tendere a voler realizzare delle conquiste anche connotate da azioni negative, solo perché quella determinata azione può attribuirgli importanza e successo. E’ questo il caso di tanti fatti gravi, che portano la persona a compiere anche reati, misfatti di ogni tipo, o la ricerca di conquiste vanesie e superficiali lega-te solo all’ottenimento di beni prettamente materiali. Anche se difficile, la per-sona, dovrebbe chiedersi, ogni volta che intraprende una strada di conquista, se quell’obiettivo che si vuole raggiungere, corrisponde realmente ai suoi so-gni, alla sua essenza più vera. Scegliere una conquista che corrisponde al no-stro essere più profondo è, credo, alla base della nostra vita ed è determinante per lo sviluppo della coscienza sia individuale che sociale, per la nostra auto-realizzazione interiore. Inoltre questo modo di conquistare può determinare grandi eventi sociali e segnare cambiamenti evolutivi positivi per tutta l’umanità. La storia dell’uomo ha sovente dimostrato come tali eventi siano possibili operando attraverso la realizzazione di grandi opere, dietro le quali spesso si cela un “sognatore”, un “idealista”, capace di servire come solo un grande uomo riesce a fare, e quindi capace di essere seguito. In tal senso è fondamentale che le conquiste che ci prefiggiamo siano regolate da sentimenti universali positivi, che hanno un valore assoluto come l’amore, l’altruismo, la condivisione e la giustizia. A livello più strettamente individuale, la conquista deve rispettare profondamente ciò che siamo, il nostro talento, la nostra crea-tività, aiutandoci a sviluppare le parti più positive e capaci della personalità, che sono diverse per ciascuna persona. Così facendo, anche la più piccola conquista, che sembrerebbe riguardare solo noi, assume una importante va-lenza sociale, in quanto, producendo il nostro miglioramento evolutivo, influ-enza positivamente anche le persone che ci sono vicine, il nostro ambiente vitale, assumendo una risonanza ed una vibrazione che si propagano bene-volmente. Questo credo sia il concetto più importante da comprendere e svi-luppare: ciascuno è uno , ma è un elemento essenziale del tutto.

Marco (R.Rosaurora)

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∗ Pronto... Ci presentiamo? 2 Tempi comuni. Esperienze diverse.

∗ Qualcosa di personale 4

Tappe e traguardi; mete e conquiste Quelli che...io ci provo 7

Il ciclismo: metafora di vita ∗ Pronto… Collaboriamo? 9

Il lavoro come meta. Scarabocchi di gente 12

Quando un confetto parla di me

∗ Terra mia 14

La conquista della montagna

Anno I n. 4 Marzo 2009

Periodico trimestrale di espressività sociale iscritto al Registro della Stampa e dei Periodici del Tribunale Ordinario di Tivoli con n° 5 del 18/04/08 realizzato dal gruppo operatori-utenti della Residenza Socio-Riabilitativa Rosaurora

Collaboratori: Centro Diurno Riabilitativo La Fabbrica dei sogni ASL RMB Cooperativa Sociale Alter

Residenza Socio-Riabilitativa

Villa Palma

Editore Liberi S.a.s. Ideatore del progetto Dott.ssa M. Teresa Frattini Direttore Edoardo Ebolito Capo-redattore Francesco Cagnoni Coordinatore didattico Francesca Latini Responsabile area collaboratori Linda Quintini Impaginazione e grafica Francesca Latini Responsabili area stampa e distribuzione Linda Quintini Arnaldo Prudenzi Scrittura digitale Arnaldo Prudenzi

Prontooo… Ci sei???

In questo numero

In rilievo

Intervista alla sig.ra

Maria, Edelweiss

San Cesareo RM

A pagina 13

In rilievo

Intervista al pizzaiolo Franco via Giglioli Roma a pagina 11

In rilievo Intervista alla Dott.ssa Rosaria Olevano Museo Civico dei Monti Prenestini Capranica Prenestina RM

A pagina 15

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Tempi comuni.

Passato Presente

Il tempo con le sue tappe poste nel passato e con le sue aspettative poste nel futuro caratterizza l’esistenza di ciascun individuo.

Collocare gli eventi sulla linea del tempo non è solo operazione cognitiva rilevante, ma è soprattutto attività di retrospezione e di metacognizione:

amici patente malattia ricoveri Vita in comunità

I nostri argomenti e curiosità

I confetti e le tappe della vita:

Intervista alla sig.ra Maria, proprietaria del negozio Edlweiss di San Cesareo

pag. 13

Stelle e desideri: qual è il loro magico rapporto? Il segreto è nell’etimologia!!!

pag. 6

Quali sono i miei obiettivi? Quali sono stati i miei

traguardi? E quelli futuri?

pag. 4-5

Alla scoperta del ciclismo: intervista al Sig. Carlo

pag. 7

Arrivare in vetta: intervista alla Dott.ssa Olevano

pag. 15

Come si fa una pizza?

Procedere per tappe: impasto, lievitazione e cottura. La parola al pizzaiolo Franco

pag. 11

Invito alla lettura:

Hermann Hesse

pag. 17

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Esperienze diverse.

Ti auguro tempo Elli Michler

Non ti auguro un dono qualsiasi,

ti auguro soltanto quello che i più non hanno.

Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;

se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa.

Ti auguro tempo per il tuo fare e il tuo pensare, non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.

Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre, ma tempo per essere contento.

Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo, ti auguro tempo perché te ne resti:

tempo per stupirti e tempo per fidarti e non soltanto per guardarlo sull’orologio.

Ti auguro tempo per toccare le stelle e tempo per crescere, per maturare.

Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.

Non ha più senso rimandare. Ti auguro tempo per trovare te stesso,

per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.

Futuro

rileggere le proprie esperienze nella loro linearità cronologica e attribuire una colo-

razione semantica, che le rende particolari e funzionali al raggiungimento di mete e tra-guardi futuri, permette di scoprire qualcosa in più di sé e di quello che si vorrebbe con-

quistare.

casa lavoro guarigione

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Il mio primo obiettivo non appena mi sveglio è stare bene con me e con tutti. Anche se sem-

bra strano, questo è il mio obiettivo, perché è per me l’inizio di una giornata che potrebbe cam-biare in negativo. E’ mio scopo capire le persone che mi stanno vicino e anche quelle che di solito vedo di meno o incontro casualmente; è mio sco-po risolvere i miei problemi, adempiere ai miei

appuntamenti, cambiare volto ad alcune mie azioni che sono solo negative. Voglio essere all’altezza di badare a me, perché è importante prendersi cura di sé...

Vivendo da molto tempo in comunità, credo di non aver realiz-zato molti sogni che prima credevo raggiungibili. Col trascor-rere degli anni le mete per me sono diven-tate qualcosa di cui avere paura: paura di sbagliare, paura di imparare cose nuove. Oggi credo di aver raggiunto un piccolo traguardo: la mattina mi alzo, mi lavo e mi vesto; lavo la stanza e svolgo le attività della mattina e poi spesso vado al Centro Diurno. Sono un ragazzo malato e purtrop-po non ho mai fatto molte cose. Certo è che con il tempo, con gli anni passati nelle case di cura e nelle comunità, con qualche “tirata d'orecchio” sono arrivato anch'io ad essere un punto di riferimento per me stesso e per gli altri pazienti della comu-nità. Ho realizzato qualcosa anche fuori da questo cancello. Oggi la mia Dottoressa mi ha proposto di fare un piccolo lavoro: traguardo davvero molto importante per me che non ho praticamente mai lavorato.

“Il risultato non dipende dalle doti tecniche. Quello che conta

è il tuo modo di pensare; il segreto sta nella tua capacità

di porti un traguardo, un obiettivo sul quale investire

tutto te stesso”. B. Borg

e

Le storie di vita dei ragazzi percorrono le pagine di questa rubrica, concepita come spazio confi-denziale, ma non privato, di verità.

Si siedono nell’atrio e hanno voglia di racconta-re: alcuni comin-ciano a parlare, altri preferiscono scrivere. Si guardano, si confrontano, si narrano: si lascia-no finalmente es-sere protagonisti indiscussi.

È la loro storia a parlare: i loro toni sono pacati, la lu-cidità del discorso pregnante, lo sguardo si fa serio.

La penna registra e la carta assorbe le emozioni dei lo-ro vissuti, raccon-tati ai lettori con sconcertante sincerità.

Qualcosa di personale Tappe della vita come piccole ma importanti conquiste;

desideri che si trasformano in obiettivi; mete come importanti vittorie individuali;

limiti che si presentano come valichi raggiungibili: passato e futuro che si intrecciano nella magica maglia della narrazione...

Penso che in tutti i campi della vita quotidiana dell’uomo ci siano conquiste, obiettivi da raggiungere. L‘uomo è portato per natura a raggiungere un risultato e a trarne profonda soddisfa-zione: mirare e conseguire traguardi nel suo lavoro ed anche nella sua vita privata è fonte di piacere. Da giova-ne come d’altronde oggi, ve-devo un lavoro fisso come una mèta che mi avrebbe risolto tutti i problemi, un lavoro che mi avrebbe dato soddisfazione ed alla fine della giornata tornare in una casa e rivedere dentro di me il lavoro svolto, il lavoro che ho saputo fare ed anche la fiducia ed al contempo scoprire il giudizio positivo delle persone. Anche una piccola mansione, anche un brevissimo incarico possono dare contentezza e svilup-pare fiducia in se stessi, perché pensiamo di valere qualcosa. Quando ho lavora-to, l’ho fatto sempre con volontà.

Dalla Residenza Villa Palma Daniele:

Traguardo è… essere diventato

un punto di riferimento

Dalla Residenza Rosaurora Arnaldo: Traguardi dell’uomo

Dal Centro Diurno La fabbrica dei sogni Simona: Piccole conquiste quotidiane

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L’obiettivo per me è un punto di riferimento che ognuno di noi ha nel tenta-tivo di raggiungere lo scopo della sua vita. Ci sono o-biettivi a breve e a lunga scadenza. Il mio obiettivo più importante è quello di vivere il più a lungo possibile ed ave-re una buona salute. Altri obiettivi invece sono: avere molti amici e fare molte gite e avere buoni rapporti con la mia fami-glia e con i miei parenti.

Alfredo: l’entrata in comunità La tappa più importante è stata

l’entrata in comunità, avvenuta dieci anni fa. Infatti fino ad allora vivevo in uno stato negativo da cui non riuscivo

ad uscire, perchè ero assalito da psicosi e turbe psichiche che dilaniavano

e impedivano la mia mente. Dopo alcuni anni cominciai a migliorare il mio stato, che ebbe un’evoluzione sempre più posi-

tiva. Durante questi ultimi anni ho conquistato tappe ed obiettivi importan-ti come la scuola e l’università. Spero di

superare un numero elevato di tappe, per raggiungere uno scopo nella vita che

mi rafforzi e che mi migliori.

A cura della Residenza Rosaurora Una tappa importante è stata

Sandro: la pensione d’invalidità Una tappa importante per me è stato il

riconoscimento dell’invalidità e la ri-scossione della pensione. Sono rimasto

invalido a 27 anni dopo uno spaventoso incidente stradale: mi investirono a via-

le Trastevere. Subito dopo l’incidente avevo riportato un trauma cranico con

distacco di retina di origine traumatica. Nel 1979 fui operato al San Giovanni,

ora Addolorata. Per la pensione ho aspettato circa 8 anni, pensione che

però oggi ancora percepisco.

Marco: la patente di guida Ho raggiunto una tappa importante quando ho conseguito la patente B. Avevo 24 anni. Mi ricordo che quel

giorno avevo paura degli esami, mi sen-tivo il cuore in gola e tanta ansia.

Terminato l’esame di teoria e di guida sono tornato a casa felice di essere stato promosso. Sono stato molto emozionato

e soddisfatto anche quando guidavo l’automobile, andando in giro sia

sull’autostrada sia per le vie statali e provinciali, che mi portavano in tanti

luoghi. Provavo un senso di libertà che adesso non ho più.

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Conquista te stesso, non il mondo Cartesio

Dalla Residenza Rosaurora Antonella: LA VITTORIA Il mio disegno rappresenta una vittoria. Secondo me è importante essere vincitori nella vita, perché è un grande merito arrivare alla fine e raggiungere un traguardo, qualunque esso sia, perché per la persona è importante. Tante volte mi sento opportunista, quando cer-

co di affrontare tutte le situazioni in cui la mente si imbatte e in un certo senso è come se volessi ammettere che il mondo mi vuole bene e che mi preferisce più combattente. Ma nella vita c’è da combattere anche per essere fortunati.

Dalla R.Rosaurora

Marco:PRIMI? Il mio disegno rap-presenta una gara di formula uno. Io mi rappresento con l’ultima auto che sta per arrivare al tra-guardo finale, perché per me è difficile arrivare per primo, come del resto è stata la mia vita , passata e futura. Oggi giorno dovrebbe essere una conquista ma a mio avviso il tra-guardo più importante è raggiungere l’autonomia. Per ottenere questa grande conquista occorre mettersi prima di tutto in competizione con se stessi ed “allenarsi” tutti i giorni in modo graduale: leggere, scrivere, disegnare, fare le faccende dome-stiche, gestire autonomamente i propri spazi, insomma met-tersi in moto per favorire un futuro attivo e prospero.

Non è la vittoria che conta, bensì la tenacia e il coraggio con i quali abbiamo lottato. Madre Teresa di Calcutta

Dal C.Diurno La Fabbrica dei sogni Adolfo: Obiettivi importanti

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La mia stella ha tante punte, perché tanti sono i miei desideri. Tuttavia mi conduce lontano, in America. Sogno di fare questo viaggio, che considero irrealizza-bile, in questo grande paese, in questa nazione con le sue metropoli, con i suoi commerci e con le sue strade moderne e piene di gente. Vorrei ri-trovarmi in una strada di Chicago, di Los Angeles a guar-dare negozi, a tentare di farmi capire con la lingua ameri-cana, che appartiene a questo grande popolo democrati-co. Vorrei conoscere la storia americana e stu-diarne i problemi. Per non parlare del viaggio aereo: sarebbe una grande trasvolata oceanica.

Obiettivi e desideri non sono la stessa cosa, per-ché il desiderio è una forte passione per un qualcosa che vorrei che fosse mio in un determi-

nato momento ma che so di non avere materialmente né ades-so né forse in futuro. L’obiettivo invece va individuato sulla base dei mezzi. Io desidero una casa, un giorno mi piacereb-be avere una famiglia mia, io sogno di avere molti amici. Il desiderio più importante però è quello di riuscire a guarire da questa malattia che non mi lascia libera.

Dal C.Diurno La fabbrica dei sogni

Simona: desideri o obiettivi?

Desideri, da de sideris, letteralmente significa sulle stelle

Qual è la tua stella e dove ti conduce?

Dalla Residenza Rosaurora Antonella: A galoppo sulla stella La mia stella mi porta a fare un lungo

viaggio, ad espatriare, ad andare lontano. Ti aggrappi anche ad una stella malconcia

ma tanto cercata e la galoppi fino a che non attraversi una via stretta stretta.

Quando poi ti avvicina al desiderio, cerchi di afferrarlo. Quando la stella ti fa rag-

giungere un posticino, è un pensiero positi-vo che ti porta al cuore per ogni sogno mai

avverato, dove si trova l’universo che è in te.

Il desiderio è meta della vita; l ’indifferenza è meta della morte. Kahlil Gibran

L’anima è piena di stelle cadenti Victor Hugo

Dalla Residenza Rosaurora Carlo: L’uomo che danza tra le stelle Il quadro mi fa pensare ad

una danza nella notte, un ballo tra mille luci

notturne; ad un’ ombra che possiede un cuore, che è la vita di qualsiasi paziente

che cammina verso una me-ta; alle stelle che gli cadono intorno e si rompono in mil-

le pezzettini; all’ombra che è dietro di noi!

Quante punte ha la tua stella?

VIAGGIO

CASA

AUTOMOBILE

LAVORO

DIVERTIMENTO

Dalla R. Rosaurora Arnaldo:

Tante punte quanti desideri

Sandro

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Lo sport estremo può essere inteso come sfida sia alle forze della natura come nel rafting (la discesa sulle rapide con il canotto) sia alla for-za di gravità come nel salto con l’elastico e come nel parapendio (cioè volare giù da una roccia per

sorvolare strapiombi infiniti). Tra gli sport estremi che vorrei prati-care, perché mi piacciono le sfide e mi piace andare oltre i miei limiti, amo il paracadutismo, il parapendio e il moto-cross. Ho paura però del salto con l’elastico, perché sof-fro di vertigini.

Uno sport che ha sempre ap-passionato e che ha riempi-to le cronache

dei giornali è stato e sarà sempre il ciclismo con le sue fatiche ed ap-prensioni per le vittorie dei singoli corridori, che nei decenni sono stati la gloria e la soddisfazione per tan-ti tifosi. La figura del corridore primeggia nelle salite e nelle volate di una gara ciclistica, quando con il fiato sospeso, chi segue, fa sua lo spettacolo della corsa e spera di essere al posto del corridore stes-so. Chi corre in bicicletta deve affrontare fatiche a volte impossi-

Quelli che… ...Io ci provo!

Imparare a farsi un’idea propria e divulgarla; imparare a fare, creare, inventare; a provare anche senza averlo mai fatto; imparare a ricono-scere nel prodotto la propria espressione; imparare a misu-rarsi e a mettersi in gioco; sempre e co-munque avere la vo-glia di imparare.

“Quelli che...io ci provo” è lo spazio del confronto, della prova, dell’esercizio e soprattutto della relazione tra l’Io e il Mondo, quel mondo che sempre di più appa-re distante e poco vivibile. Questa rubrica vuo-le offrire un pretesto per essere attivi in esso, un modo per essere “dentro” indipendentemente dallo strumento di espressione

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“Tra i vari sport soprattutto il ciclismo offre la possibilità non solo di riflettere sull’importanza dell’allenamento per

raggiungere il traguardo, ma anche di confrontarsi con coloro che vivono tale esperienza in prima persona. ”

Il ciclismo: uno sport, metafora di vita a cura della Residenza Rosaurora

Arnaldo: Un omaggio al ciclismo

La soddisfazione sta nello sforzo, non nel conseguimento.

Lo sforzo totale è vittoria totale. Gandhi

Mario: Lo sport estremo come sfida

bili: nelle salite occorre resi-stenza e noi italiani ricordiamo ancora molto bene le imprese di Coppi e Bartali. Le volate, a cui si avvicinavano li rendevano sempre di più campioni. E’ uno sport che dà soddisfazione e successo ma a volte si può im-battere nella situazione tragica delle sostanze stupefacenti, che improvvisamente non fanno più toccare l’alloro: i tifosi non corrono più ad acclamare e la delusione per un atleta è gran-de, è immensa! Speriamo in un futuro che sia diverso, con un ciclismo fatto solo di puro anta-gonismo.

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Intervista al Sig. Claudio Gruppo Sportivo italiano Picar Romana Edipar

ARNALDO: Salve! In questo numero abbiamo approfondi-to il discorso sulle tappe e sui traguardi nella vita. Ab-biamo pensato quindi di intervistare un ciclista, che più di tutti vive in prima persona l’esperienza del traguar-do. Che cosa prova il ciclista, quando raggiunge il traguardo?

CLAUDIO: Per il vincitore è davvero una bella soddisfa-zione raggiungere il traguardo e soprattutto se sono professionisti che, a differenza di noi che siamo ama-tori e che lavoriamo in altri settori, sono pagati. Per noi è diverso: esiste la soddisfazione di arrivare primi, ri-ceviamo un premio che è per tutti ma non siamo pagati. Anche se si arriva cinquantesimi c’è comunque la soddi-sfazione di partecipare, appunto di arrivare al traguar-do. Ad esempio nel campionato europeo sono arrivato ottocentesimo ma c’è stata la soddisfazione di parteci-pare.

MARCO: Per poter raggiungere il traguardo, il cicli-sta necessita di una preparazione che gli costa fati-ca e sacrificio. In che cosa consiste l’allenamento quotidiano e quali sacrifici comporta?

CLAUDIO: L’allenamento quotidiano è fatto di sacrificio: allenarti durante la settimana, conciliando i tempi dell’allenamento con quelli del lavoro; mangiare in ma-niera accurata; sacrificare la famiglia per il ciclismo. Bisogna correre per almeno cento chilometri a settima-na e ci vuole una certa preparazione soprattutto capa-cità di resistenza alla stanchezza.

CARLO: A quanti anni sarebbe più opportuno iniziare questo sport per poter raggiungere una preparazione fisica adeguata? Il ciclismo è una passione che na-sce sin da bambini?

CLAUDIO: Si comincia sempre da bambini, almeno da i dieci e i tredici anni. Ci sono gli esordienti, i pulcini e gli allievi e poi ci sono le categorie superiori. Io ho co-minciato a diciassette anni ma ero cicloamatore. I pro-fessionisti iniziano a dodici, quattordici anni. Il ciclo amatore può cominciare anche dopo, ma è importante non attardarsi per abituare il corpo.

ARNALDO: Lei invece da quanti anni allena la sua squadra? Da chi è costituita? Ha vinto qualche tro-feo?

CLAUDIO: Alleno la mia squadra dal duemila. Abbiamo vinto vari trofei sempre per le società. Abbiamo parte-cipato al Campionato Italiano, alla Coppa Italia. la so-cietà sportiva a Torre Spaccata, la società si chiama GS PICAR EDIPAR è un nome vecchio che viene dal quartiere Eur. Il padrone ora è EDIPAR di Frascati. Come società abbiamo la sede, abbiamo il presidente, il vice presidente, i consiglieri. Dirigiamo la squadra con mio padre dal duemila, siamo sessanta fra corridori,

I corridori sono quarantacinque ma non stanno sempre tut-ti insieme, sono divisi in varie gare: chi va a Milano e chi va a Roma. Abbiamo tre macchine che assistono alle gare a seconda del corridore che c’è da seguire e della tattica: c’è chi infatti deve affrontare la salita, chi si sente più preparato e chi quel giorno magari non ce la fa, chi riesce a fare una volata, chi invece tiene il gruppo degli inseguitori facendo l’andatura, chi è gregario perché il gioco di squa-dra lo richiede, chi è capitano della squadra ed il gioco si muove tutto intorno a lui. Poi la squadra è organizzata in fasce che vanno dai diciannove anni fino ai ventitre, dai venticinque ai trentadue, dai trentacinque ai quarantatre, dai cinquanta ai cinquantacinque. Dopo questa età si corre solo per divertimento.

MARCO: Raggiungere il traguardo è una vittoria per il solo ciclista o per l’intera squadra? Il ciclismo è uno sport più di squadra o più individuale?

CLAUDIO: Il ciclismo è anche uno sport di squadra anche se non può essere paragonato al calcio: infatti la vittoria del-la corsa non è solo per il primo arrivato, è per tutta la squadra e il premio viene diviso fra tutti, il primo arrivato prende di più e il resto in parti uguali.

CARLO: Praticare il ciclismo può nascondere dei rischi?

Claudio: Tutto è pericoloso anche salire le scale di casa. Tuttavia le volate sono molto pericolose.

MARIO: Per concludere, vorremmo che Lei lasciasse qualche testimonianza circa questo bellissimo sport che alle volte nella cronaca di oggi viene ingiustamente screditato da episodi di doping.

CLAUDIO: Il doping colpisce il mondo dei professionisti che alle volte sono coperti dagli stessi dottori. Sono pagati per correre e quindi devono necessariamente rendere. Per il cicloamatore è diverso: deve andare a lavorare e non se la prende se non dà spettacolo di sé.

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Da bambina non avevo un sogno che riguar-dasse il lavoro, cioè

non sapevo rispondere alla do-manda “Cosa vuoi fare da gran-de?”. Ricordo però che, quando la televisione era accesa ed era sin-tonizzata su un canale di musica, io saltellavo sul divano di casa, tenendo la mano a pugno a segno di microfono e cantavo seguendo la cantante o il cantante che era in televisione. Oggi vorrei fare la parrucchiera, perché ho iniziato a seguire il corso ma non l’ho porta-to a termine, perché sono comin-ciati i disturbi della mia malattia che hanno sconvolto i miei anni.

Pronto… Collaboriamo?

e

La voglia di vivere, di essere attivi, di sentirsi socialmente utili trova espressione in questa rubrica dedicata al lavoro, concepito non solo come professione, come occupazione e come fonte di sostentamento ma soprattutto come valore, insito non in quello che il lavoro dà ma in quello che esso trasmette, e presente in una dimensione nella quale i ricordi del passato si integrano con le aspettative per il futuro. Lavorare infatti non è solo “fare” ma è soprattutto progettare: è nella progettualità che trova infatti espressione la vitalità della persona.

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“Il curriculum vitae non è un semplice documento, perché rac-chiude anche la storia lavorativa della persona. La sua lettura, se ben fatta, lascia emergere capacità pregresse, oggi latenti, e

permette di intravedere aspirazioni professionali ”

Dal C. Diurno La fabbrica dei sogni Cristina: “Il lavoro che sognavo”

Sarei con-tento di tornare a lavorare nel comune di Marino, per-

ché ho saputo fare bene l’aiuto giardi-niere e lo stradino. Un lavoro che mi ha dato altrettanta soddisfazione è stato il magazziniere, quando dirigevo le o-perazioni di carico e scarico nella ditta e tenevo sempre aggiornato il registro della merce. Sono stato ben apprezza-to anche quando ho fatto il benzinaio: quei distributori sono diventati ogget-to di affezione. I mestieri comunque che ho fatto sono stati tanti: ho pulito le fogne della città; ho fatto il barista, un lavoro che mi ha giovato per la vici-nanza con la gente; ho fatto il barbie-re quando avevo già quaranta anni; per poco tempo sono stato al lavaggio delle automobili; infine sono stato scarica-tore e consegnavo la merce in tutto il Lazio per due anni. A quei tempi ero giovane, la forza era abbastanza e mi sentivo felice. Vorrei tanto andare a lavorare al comune di Marino, come ho scritto all’inizio, perché mi ricorda un periodo felice, quando vivevano i miei genitori.

Dalla Residenza Rosaurora Arnaldo: “Autobiografia di un lavoratore”

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Dalla Residenza Rosaurora Marco: Il lavoro del fumettista

Uno dei miei obiettivi riguar-da il lavoro: vorrei diventare un modesto disegnatore, o comunque lavorare all’interno

del mondo dell’arte, per esempio nella fotografia e nell’artigianato. Svolgere una di queste attività mi ren-derebbe soddisfatto e arriverei a un qualcosa di utile da fare nella mia vita. Fin da piccolo ho scoperto que-sta passione per il disegno che però non ho mai curato con studi professionali. Solo due anni fa ho frequenta-to il corso di disegno e di pittura all’Università della terza età e sono andato abbastanza bene.

Sono capace di fare qualche cosa, che vuole... ho la terza media ed ho scarse competenze in inglese ma vorrei lavorare come falegname, perchè ho lavorato in falegnameria fino a quarantenni: lavoravo tutti i giorni dalle 8:30 alle 18:30, spaz-

zavo la segatura e riponevo tutti gli scalpelli, i martelli e i cac-ciavite. Poi ho lasciato il lavoro, licenziandomi da solo. E se Lei ha un posto libero mi inserisco. Ritengo di avere ottime qualità di collaborazione, buona memoria per mandare avanti il lavoro. Le attività che ho svolto sono: il muratore, il giardiniere, il meccanico, mi caricavo sacchi di farina e sacchi di grano gros-so ed anche sacchi di cemento. Ho fatto anche il barista e ho guadagnato qualche euro per andare avanti con la mancia, ed ero contento. Ho la qualificazione personale come falegname e sin da piccolo avevo la passione per il canto, per la poesia e soprattutto per la cucina, che apprezzo molto. Che vuole fa-re… sono un buongustaio... A scuola mi piaceva la matematica e prendevo dieci e lode. Oggi continuo a darmi da fare nel gior-nale della comunità e nel laboratorio di decoupage.

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Dalla Residenza Rosaurora Carlo: “Un curriculum speciale”

Dalla Residenza Rosaurora Alfredo: Un’ AUTOCANDIDATURA SUI GENERIS

Egregio Signore,

vorrei un lavoro nel suo giornale, che trovo molto interessante. Ho una conoscenza della lingua ingle-se e sono diplomato sia all’istituto magistrale, sia all’istituto socio-pedagogico. Sono attualmente i-scritto alla facoltà di Lettere. Come può vedere ho una predisposizione per le matterie umanistiche e mi interesso soprattutto di cultura, di sport, di cronaca e di politica. Per me sarebbe interessante provare a scrivere in un giornale e Lei mi po-trebbe dare un’ottima opportunità. Io ho seguito, durante l’insegnamento delle scuole madie, un corso di giornalismo dove ho ottenuto un punteggio notevole, di-mostrando anche in altre occasio-ni, interesse, capacità e attitudine che avvalorano questa mia richie-sta.

Anche durante la scuola media riportavo buoni risul-tati in applicazioni tecniche e in disegno. Tuttavia questo non basta, per diventare un disegnatore a tutti gli effetti e per poter lavorare nell’editoria fumettistica. Nel mio grafico infatti ho diviso la tor-ta, che rappresenta il mio obiettivo, in cinque porzio-ni che indicano, in misure diverse, ciò che mi serve per realizzare il mio sogno: la prima fetta è l’aiuto delle istituzioni (come il DSM) che potrebbero finan-ziarmi il corso; la seconda indica la buona salute, in-dispensabile per qualunque progetto; la terza rappre-senta il mio impegno; la quarta indica la scuola di di-segno, importante perché mi dà una formazione ade-guata e mirata; infine l’ultima fetta rappresenta il mercato del lavoro, che ha un peso importante nel reclutare il personale.

Da bambino sognavo di fare l’autista di autobus da turismo. Il motivo è molto semplice: mi piace molto viaggiare, scoprire nuove città e vedere posti nuovi. Inoltre la guida mi rilassa: mi piace guida-

re. Nella vita però ho svolto lavori diversi: il benzinaio, il mec-canico, il carrozziere e il garagista e molti altri. Oggi mi pia-cerebbe fare il rappresentante, perché va in giro nelle case.

Dal C. Diurno La fabbrica dei sogni Adolfo: “Un curriculum speciale”

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Intervista al pizzaiolo Franco a cura dei ragazzi del C. Diurno La fabbrica dei sogni

Salve! Noi siamo gli utenti del Centro Diurno la Fabbrica dei sogni. Vorremmo farle alcune doman-de inerenti la sua attività. Da quanto tempo fa il pizzaiolo?

Quindici anni.

Chi le ha insegnato a fare il pizzaiolo?

Ho imparato da solo con tanta buona volontà. Certa-mente la passione c’è, anche perché ho esperienza come fornaio e come pasticciere e quindi ho fatto una bella gavetta. Ma fare il pizzaiolo mi piace e mi piacerà sempre.

E’ un lavoro che ha iniziato da bambino oppure è venuto più tardi? Qual è il sogno da piccolo?

Da piccolo volevo fare il commerciante, poi ha svilup-pato l’arte bianca, ossia lavorare con la farina.

Napoli, patria della pizza, è la sua città natale: ha influito sulla sua scelta?

Certamente anche se io ho fatto tutto da solo, ho guardato sempre avanti, non ho mai guardato indie-tro

Da quanto tempo ha aperto la sua attività?

Sono nove anni ad agosto.

Quali sono i suoi ritmi di vita?

Sto sempre in pizzeria, dalla mattina alla sera. Lavo-ro dalle otto alle undici, in continuazione e tutti i giorni, chiudo solo il lunedì pomeriggio.

Il lavoro le permette del tempo libero da dedicare alla sua famiglia?

La mia famiglia è con me in pizzeria, il tempo libero è solo mezza giornata a settimana.

Per svolgere il suo lavoro ha fatto un corso oppure le è stato tramandato?

Non ho fatto nessun corso, non mi è stato tramanda-to, ho fatto tutto da solo perché è un lavoro che mi piace e l’ho fatto sempre molto volentieri con molta buona volontà..

Per aprire un locale che cosa bisogna fare?

Bisogna trovare un locale che sia adatto per il com-mercio e che sia predisposto per mettere una canna fumaria. Si chiama il geometra per fare la piantina che si presenta alla ASL, che controlla se tutto sia idoneo. In seguito si fa una domanda al Comune per il rilascio della licenza. Solo dopo queste tappe, si può aprire un esercizio commerciale.

Che caratteristiche deve avere un buon pizzaiolo?

Deve fare bene l’impasto, la lievitazione e la cottura. Gli ingredienti sono secondari, ma, ripeto, fondamen-tali sono la lievitazione, l’impasto e la cottura.

Le ricette delle sue pizze sono di sua creazione oppure prende spunto da qualcuno o da qualcosa?

Ci sono parecchie pizzerie, ad esempio quelle napole-tane, che fanno l’impasto e fanno subito la pizza e tu non la digerisci, perché non ha lievitazione naturale, capitano pizze con tutte bolle che ti fa male, non è digeribile. Bisogna lavorare seriamente ed avere molta pazienza con i clienti, se la pizza piace si lavora.

Se un ragazzo di oggi volesse aprire un’attività co-me questa lo consiglieresti o non lo consiglieresti?

Se ha passione sì ma se fosse solo per i soldi no. Il guadagno viene sempre dopo rispetto alla passione.

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“Scarabocchi di gente” è lo spazio della creatività. Vari i soggetti, molteplici i mezzi ma unico il fine: l’espressione. Protagonista indiscussa è l’ esperienza estetica, fatta non di canoni e di criteri accade-mici ma di libera e incondizionata espressività. L’Io non si improvvisa artista, perché in verità è sempre stato tale. La ru-brica offre però l’occasione per manifestarlo.

l’arte di esprimersi

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“I confetti non fanno solo parte della tradizione e della cultura culinaria italiana ma sono l’occasione per ricordare le tappe del

passato e immaginare quelle del futuro”

Il confetto che parla di me a cura della Residenza Rosaurora

Mario: Il confetto di cui vorrei parlare mi porta indietro nel tempo, quando ho ricevuto la Prima Comunione. Era di colore bianco, il colore della purezza e del Papa. Mia madre aveva scelto i confetti al posto mio. Abbiamo anche acquistato le bomboniere presso un ne-gozio specializzato nel settore. Mi ricordo anche le partecipazione alla cerimonia. Il mio abito era grigio con i calzoni corti ed i calzini lunghi. Questa è stata una tappa della mia vita.

Qual è il tuo confetto? Arnaldo: Il confetto che vorrei regalare è di colore verde

come augurio di speranza per le persone

Marco: Vorrei regalare un confetto verde a mia sorella e a mio cognato, perché ho tanti bei ricordi di loro due as-

sieme, verde come la speranza

Mario: Vorrei regalare dei confetti in occasione della ven-dita della mia casa, che rappresenterebbe una tappa fon-

damentale per me. Lo vorrei verde come il semaforo quan-do lascia passare, perché vorrei andare avanti nel futuro

senza i problemi del presente. Alfredo: Vorrei regalare confetti rossi in occasione della mia laurea, un obiettivo che spero di raggiungere al più

presto

Paola: Vorrei piuttosto ricevere un confetto, magari da mia figlia in occasione del battesimo del mio nipotino.

Carlo: Vorrei regalare un confetto rosso, perché rosso è il colore dell’amore, e vorrei regalarlo a mia moglie al posto

di un fiore.

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ARNALDO: Salve! Noi siamo gli ospiti della Residenza Socio-Riabilitativa Rosaurora. In questo numero abbiamo appro-fondito il discorso sulle tappe e sui traguardi nella vita. Ab-biamo pensato quindi di intervistare gli specialisti del set-tore-cerimonia per conoscere quelle ricorrenze, che posso-no essere tappe e traguardi di ognuno di noi. In quali oc-casioni le persone si rivolgono al negozio di bomboniere per acquistare confetti?

SIG.RA MARIA: Le occasioni per l’acquisto dei confetti iniziano dalla nascita, e continuano con le comunioni, le cresime, i matri-moni, i diplomi, le lauree ed infine i vari anniversari.

ANTONELLA: Tra queste cerimonie qual è quella più co-mune? Quale quella più dispendiosa per una famiglia?

SIG.RA MARIA: La più comune è senz’altro il battesimo che è il primo Sacramento, ed è quello che ancora ringraziando Iddio regge bene. Crescendo, si perdono alcuni valori. La più dispendiosa dei vari anniversari ad esempio è quella della maggiore età, il venticinquesimo, il cinquantesimo e così via, oggi ogni occasione si festeggia.

ARNALDO: Ogni colore del confetto ha un significato le-gato all’occasione che si festeggia. Le persone rispetta-no la tradizione dei colori oppure hanno gusti particola-ri? Accade ad esempio che i confetti di un matrimonio siano rossi?

SIG.RA MARIA: La tradizione del colore del confetto viene rispetta, anzi addirittura un tempo nei vari corsi di laurea si abbinava il colore alla facoltà: per esempio per lettere era rosa antico e il colore nero era per matematica. Poi con il tempo si è modificato ed è diventato per tutte le facoltà rosso. Oggi c’è la tendenza ad abbinare il colore del confet-to alla bomboniera ed è anche molto in voga il colore viola per il confetto. Tuttavia è una moda che cambia di anno in anno in base alle tendenze del momento.

PAOLA: Qual è il confetto più venduto?

SIG.RA MARIA: Il confetto più venduto fino a qualche anno fa era quello con la mandorla, cioè quello bianco con all’interno della mandorla tostata, che proveniva dalla Sici-lia. Oggi invece viene utilizzata la mandorla proveniente dalla Spagna. Per quanto riguarda il gusto anche la mandorla è sostituita da tante golosità: ci sono confetti alla ciliegia, alla nocciola, alla nutella, al limoncello, al tartufo, al cocco.

ANTONELLA: L’abbinamento confetto/bomboniera è sem-pre scontato? Ogni confetto ha un proprio oggetto oppu-re la tradizione lascia libertà di accostamenti?

SIG.RA MARIA: L’abbinamento confetto-bomboniera non è scontato: si possono benissimo regalare solo i confetti in confezione dalle molteplici forme, in saccotti, scatoline, in confezione dalle svariate grammature. Una volta invece si usava la bomboniera come contenitore per i confetti.

SANDRO: Ci può parlare della storia del confetto?

SIG.RA MARIA: Il confetto ci è tramandato dai questa Romani. Allora il confetto era unito ad altri ingredienti: si usava lo zucchero al posto del miele, come sappiamo dagli scritti della famiglia dei Fabi nel 447 avanti Cri-sto, da Apicio grande amico dell’imperatore Tiberio nel 37 dopo Cristo. Il confetto invece, come noi lo cono-sciamo, viene prodotto per la prima volta a Sulmona nel XV secolo. La ditta Di Carlo, meglio chiamata ditta Pe-rino (che è la più rinomata ed ha fatto i confetti a Ma-radona, nata nel 1883), è tuttora considerata una delle migliori aziende del settore per i metodi di lavorazione che seguono le antiche ricette.

ARNALDO: Le persone acquistano confetti per tradizio-ne o per gusto? Agli italiani oggi piacciono i confetti?

SIG.RA MARIA: Agli italiani piacciono molto i confetti, che acquistano non solo per tradizione ma anche per gusto, come caramelle, per golosità. Con gli italiani la tradizione continua alla grande, perché acquistano con-fetti da riportare a casa anche se non tutti gli Stati li lasciano portare.

PAOLA: Lei è da tanti anni che lavora nel settore. Da cosa nasce l’idea di chiamare il suo negozio Edelweiss?

SIG.RA MARIA: Ho chiamato il mio negozio Edelweiss per-ché sono innamorata dei posti del nord, delle Dolomiti e di Bolzano. Le mie cognate abitano lì, perché molti miei fami-liari erano arruolati.Sono profondamente attaccata a quei luoghi ed Edelweiss è il nome di un bellissimo fiore, una stella alpina che si trova sulle Dolomiti. Appena ho aperto il primo negozio a San Cesareo, l’ho arredato come i nego-zi di Bolzano, tutto in legno caratteristico. La parola Edelweiss in inglese vuol dire “bianco nobile” un termine associato al bianco della sposa.

Intervista alla Sig.ra Maria, proprietaria del negozio di bomboniere Edelweiss realizzata dagli ospiti della Residenza Rosaurora

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Ancor prima di esprimere l’amore e il rispetto per ciò che ci circonda e per ciò che quotidianamente viviamo, dovremmo essere in grado di osservare nel cuore delle cose per scoprire l’aspetto insolito, poco noto o dato per scontato.

Questa rubrica è non solo spazio dedicato alla natura e alle sue creature ma è invito ad osservare, ad ap-prezzare e a ri-flettere sul valo-re della sua esistenza

Mario: Le due facce della montagna

L’uomo in un insostenibile impeto di conquista si staglia indefinito sul cucuzzolo della montagna, con ai

piedi un paio di sci, sfidando i rischi della neve fresca con probabili slavi-ne e valanghe. L’immensità dei quei

luoghi portano ad un mistico silenzio e ad una rara spiritualità.

La montagna non si compra: sta lì ineffabile e mansueta, ma anche tempestosa e temibile a

dimostrare l’immensità del creato.

I misteri dell’alpinismo sono imperscrutabili, sia per chi lo pratica sia per chi in montagna non metterà mai piede. L’unica spiegazione che posso azzardare è che trovarmi lassù dopo aver dato tutto mi permette di sognare, di sognare più intensamente Jean-Christophe Lafaille

Marco, La montagna

Arnaldo, Vette

Arnaldo: La sfida della montagna

La montagna è una grande signora da sempre. Sono centinaia di anni che scalatori si susseguono alla sua conqui-sta per il fascino che emana e al con-tempo per mettere alla prova le capaci-tà umane, forse per raggiungere dei records di resistenza e cammino.

La montagna ti sfida con la sua vetta che, vista dal basso, è una mèta so-gnata dall’uomo ma che, una volta raggiunta, provoca nell’uomo una grande soddisfazione: si gode del panorama ed anche dell’altitudine, ci si sente appagati dell’aria e del sole ed ogni sentiero, ogni scalata è una nuova avventura.

Carlo: Lassù in montagna

La montagna è una conquista, una mèta dove arrivare. La mon-tagna non si compra, neanche è un abbonamento, una carta di credito. La montagna è spirituale, bisogna viverla secondo su secondo, pure quando fa freddo parecchio. La montagna pone degli ostacoli da superare, se si vuole arrivare fin lassù, dove si assapora la vita. L’uomo è il principale fattore distruttivo della monta-gna ma da essa in verità dovrebbe imparare.

La montagna: una conquista, un traguardo, una sfida? a cura della Residenza Rosaurora

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Intervista alla Dott.ssa Rosaria Olevano, direttrice del Museo Civico Naturalistico dei Monti Prenestini

ARNALDO: Salve! In questo numero abbiamo approfondito il discorso sulle conquiste e sulle mete nella vita. Abbiamo pensato quindi di intervistare gli specialisti della montagna. L’uomo può conquistare la montagna? La vetta può rap-presentare una meta?

ROSARIA: Si, sicuramente l’uomo ha conquistato le montagne più dure, le più impervie, come quelle dell’Yimalaia e del K2. L’uomo, sicuramente aiutato dalla tecnologia e con il grande allenamento può riu-scire a raggiungere anche dei traguardi molto impor-tanti. La vetta quindi rappresenta una meta ed un traguardo, perché l’individuo la raggiunge provando una soddisfazione immensa non solo perché è l’obiettivo, ma anche perché il suo raggiungimento è costato fatica, è costato resistenza: è questo che dà grande gioia, perchè è un trasporto di tutto, un trasporto fisico, mentale, un trasporto spirituale, è un trasporto emotivo.

MARIO: Per raggiungere una vetta, è indispensabile l’allenamento. Ci può spiegare la preparazione fisi-ca necessaria per affrontare la montagna? Anche il trekking necessita di allenamento e di preparazione?

ROSARIA: La preparazione fisica è importante e ce ne vuole tanta e variegata. E’ importante l’allenamento muscolare che ci aiuta ad affrontare gradualmente percorsi prima un po’ semplici e poi un po’ articolati; è poi necessaria una buona capacità respiratoria, capacità di “tenere il fiato”; infine an-che il giusto apporto calorico accompagna i nostri percorsi. Inoltre le persone, che devono affrontare le montagne più impegnative, dovrebbero sottoporsi a dei controlli come le visite cardiologiche e l’elettrocardiogramma. Il supporto medico accompa-gnato dalla preparazione fisica è la base per poter affrontare

le nostre vette più ambite.

MARCO: Quale è l’attrezzatura indispensabile per praticare il trekking?

ROSARIA: Le scarpe costitui-scono l’attrezzatura di base anche per semplici ma lunghe camminate. I più adatti sono

gli scarponcini, perché devono tenere la caviglia ed accompagnare il piede soprattutto nei percorsi più difficili, più impervi. Per l’orientamento sono invece indispensabili la bussola e le carte. In ultimo per la sicurezza, specie per passaggi è fondamentale l’ausilio delle corde.

PAOLA: Anche nel praticare il trekking, bisogna sempre tener presente i propri limiti. Quando la conquista della montagna diventa una sfida? Quali sono i pericoli che nasconde?

ROSARIA: La montagna come il mare è molto insidiosa, anche quando il sentiero appare semplice. Una cammi-nata richiede molta attenzione: bisogna tenere gli oc-chi dappertutto. Certo, bisogna sempre tener presen-te i propri limiti, si deve avere una conoscenza di se stessi e del luogo che vogliamo raggiungere. Dobbiamo trovare nuovi stimoli, nuova acquisizione di capacità, allenamento, continuo allenamento, che ci faccia tro-vare sempre nuove cose.

CARLO: La montagna sin dai tempi antichi ha sem-pre suscitato un grande fascino. Cosa ne pensa Lei sia da specialista sia da amatore? Cosa si prova quando si raggiunge la vetta? Ci può raccontare una sua esperienza personale?

ROSARIA: La montagna, sin dai tempi antichi, è stata sempre un qualcosa d’irraggiungibile per l’uomo, anche perché a disposizione si avevano ben poche cose. L’uomo ha sempre cercato di crearsi un qualcosa di diver-so, di più ambìto. Sicuramente io sono un amatore,

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appassionato di questi argomenti, e tutte le volte che mi è capitato di fare una camminata, mi sono sofferma-ta ad osservare le cose, perché la montagna offre tan-tissime cose, regala piccoli scorci piuttosto che grandi panorami: un fiorellino, un prato, anche un granello di terra possono essere interessanti. La montagna poi cambia il suo aspetto con la neve, con il tramonto e con l’alba, perché illuminata in modo diverso e le rocce cambiano colore. Sem-bra quasi di essere su un’altra montagna. Tutto questo favorisce sempre una nuova soddisfazione: c’è stupore nel vedere gli animali e le loro impronte. Questo è sempre ciò che mi ha appassionato della montagna, l’amore che ho sempre avuto per la montagna perché è sempre diversa, perché è affasci-nante ed è sempre nuova. Per an-dare in montagna non bisogna an-dare sulle Alpi: anche qui, sui Monti Prenestini, anche se non sono vette delle più inaccessibili, nascondono mete affascinanti. Anche qui, ogni volta che cammino, mi capita di vedere cose che non mi aspettavo di vedere. Nonostante l’uomo interferisca costruendo industrie, case, fabbriche, la natura riemerge padrona sempre con nuovi stimoli, sem-pre con una nuova perfezione.

SANDRO: Cosa insegna la montagna all’amatore?

ROSARIA: Insegna il rispetto per noi stessi, per gli altri e per la natura in genere. Rispetto per noi stessi per-ché ci fa vedere come essa contrasti le nostre abitudi-ni negative, questa montagna imperterrita e sempre maestosa, sempre più grande di noi, che comunque ci deve insegnare che dobbiamo rispettare questo patri-monio naturale.

MARCO: Il Museo Civico Naturalistico dei monti Prenestini fa della montagna un “museo”. Quali sono i suoi Beni naturali ed archeologici, che spesso non si conoscono e si ignorano?

ROSARIA: I Beni naturalistici s’ignorano, perché si pensa sempre che in queste montagne non ci sia niente da vedere: per esempio le orchidee che si tro-vano dai fioristi o nelle isole dove fa un gran caldo, si trova-no anche da noi, non sono come quelle grandi, sono più piccole, hanno dimensioni ridotte ma sono comunque molto belle. Nasconde anche tantissimi te-sori, come vi ho fatto vedere su al museo degli animali, come il gatto selvatico, animali che sono anche espressioni degli ambienti, paesaggi ricchi d’acqua e tante volte si passeg-gia e si incontra un boccaglio d’acqua, ci sono tantissime sor-genti, sorgenti che sono bellis-sime, anche queste sono un

tesoro da tenere ma anche da conservare, perché anche l’acqua è un bene prezioso. Poi ci sono i Beni Archeologici come il Cupolino ma, anche nel bosco ci sono dei ruderi antichi di una città che chiamano Ca-pranica Vecchia, sono ancora in fase di studio.

ARNALDO: Per coloro che in passato non hanno po-tuto e nel presente non possono andare in monta-gna, cosa consiglia per scoprire la sua bellezza? Dove possiamo incontrare la montagna?

ROSARIA: Nel museo avete trovato un pezzo di mon-tagna. Il museo è un rappresentante della montagna e noi aiutiamo tantissime persone che vengono da noi ad incontrarla, ma la montagna non va solo incontrata va anche cercata.

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C. Friedrich, Viandante sul mare di nebbia

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Hermann Hesse, La prima scalata Le montagne, il lago, le tempeste e il sole erano i miei educatori ed amici, che per molto tempo mi furono più cari e più noti degli uomini e del loro destino. Ma le cose preferite e a me ancor più di-lette del lago splendente, degli abeti malinconici e delle rocce solatie erano le nubi. Mostratemi nel vasto mondo l’uomo che conosca e ami le nuvole più di me. O mostratemi una cosa al mondo che sia più bella delle nuvole! Sono gioco e conforto agli occhi, sono benedizione e dono di Dio, sono collera e potenza mortale. Sono tenere, delicate e pacifiche come le anime dei neonati, belle, ricche e generose come angeli buoni, scure, inesorabili e spietate come gli araldi della morte. Si librano argentee a strati sottili, veleggiano ridendo bianche e orlate d’oro, si soffermano a ripo-sare tinte di giallo, di rosso e d’azzurro. Strisciano sinistre e lente come assassini, passano sibi-lando a rompicollo come folli cavalieri, pendono tristi e sognanti in pallide altezze come malinco-nici anacoreti. Assumono la forma d’isole beate e di angeli benedicenti, somigliano a mani minac-ciose, a vele schioccanti, a gru trasmigranti. Oh, le nuvole belle, sospese, instancabili! Ero fan-ciullo, ignorante, e le amavo, le guardavo e non sapevo che anch’io sarei passato come una nuvo-la attraverso la vita, migrando forestiero dappertutto e sospeso fra il tempo e l’eternità. Presto venne il tempo in cui potei avvicinarmi alle nuvole, entrarvi in mezzo e contemplarne qualcuna dall’alto. Avevo dieci anni quando scalai la prima vetta, il Sennalpstock, ai cui piedi giace Nimi-kon, il nostro villaggio. E allora vidi per la prima volta gli orrori e le bellezze della montagna: go-le profonde, piene di ghiaccio e di acqua di nevaio, ghiacciai di vetro verde, morene antipatiche e sopra ogni cosa il cielo come una campana alta e rotonda. Chi sia vissuto dieci anni stretto fra il monte e il lago e circondato dalla folla delle vicine alture, non può dimenticare il giorno in cui per la prima volta si trovò un cielo vasto sopra il capo, e davanti agli occhi un orizzonte illimitato. Già durante la salita mi ero meravigliato di vedere così enormi le rocce e le pareti che vedevo tanto bene dal basso. Ora, soggiogato dal momento, vedevo ad un tratto con gioia e timore l’immensità che mi piombava addosso. Così fantasticamente grande era dunque il mondo. Il nostro villaggio sperduto laggiù non era che una macchiolina chiara. Vette che dal fondovalle parevano vicinissi-me erano invece distanti fra loro molte ore di cammino. Allora cominciai a intuire che avevo visto il mondo solo ad occhi chiusi, senza spalancarli, e che là fuori i monti potevano rizzarsi e cadere, e grandi cose succedere delle quali nel nostro isolato nido montano non arrivava nemmeno il più lieve sentore. E soltanto ora capivo la bellezza e la malinconia delle nuvole, poiché vedevo verso quali smisurate lontananze esse viaggiavano. I miei due compagni adulti lodarono la mia bravura nella salita, sostarono un pò sulla vetta gelida e risero della mia gioia sfrenata. Io invece, supera-to il primo grande stupore, mi misi a gridare come un toro nell’aria limpida. E fu quello il mio pri-mo scomposto inno alla bellezza. Mi aspettavo un’eco fragorosa, mentre invece in quelle altezze le mie grida si dispersero senza traccia, come un debole cinguettio di uccelli. Ne fui umi-liato e stetti zitto. Quella giornata aveva rotto non so che ghiaccio nella mia vita.

Alcuni dicono che quando è detta la parola muore.

Io dico invece che proprio quel giorno comincia a vivere Emily Dickinson

Omaggio al racconto

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“Pronto, ci sei?” è una iniziativa non tanto di informazione quanto di comunicazione . Si rivolge pertanto non a

destinatari passivi ma soprattutto ad interlocutori attivi che possano supportarla attraverso articoli, lettere,

disegni, fotografie e testimonianze. Ringraziamo quanti con la loro partecipazione condividono

con noi l’esperienza di questo progetto e… NON SOLO...

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