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SOMMARIO NON SI PUO’ ANCORA MORIRE A dieci anni dalla morte di Giorgio Gaber “ ACCORDO SEPARATO SULLA PRODUTTIVITA’ ” IL NO DELLA CGIL “Guida ragionata” La crisi in Italia e in Europa L’attacco a lavoro e diritti: le tappe principali Il testo integrale dell’accordo Le ragioni del NO della CGIL La situazione del settore: le possibili ricadute per i lavoratori La posizione della FISAC CGIL _____________________________________ Febbraio 2013 NUMERO SPECIALE PERIODICO DELLA FEDERAZIONE LAVORATORI ASSICURAZIONE E CREDITO BANCONOTE A CURA DELLA COMMISSIONE STAMPA FISAC –CGIL DI MODENA * PARMA * PIACENZA

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SOMMARIO

NON SI PUO’ ANCORA MORIRE

A dieci anni dalla morte di Giorgio Gaber

“ ACCORDO SEPARATO SULLA PRODUTTIVITA’ ”

IL NO DELLA CGIL

“Guida ragionata”

La crisi in Italia e in Europa

L’attacco a lavoro e diritti: le tappe principali

Il testo integrale dell’accordo

Le ragioni del NO della CGIL

La situazione del settore:

le possibili ricadute per i lavoratori

La posizione della FISAC CGIL

_____________________________________

Febbraio 2013

NUMERO SPECIALE

PERIODICO DELLA FEDERAZIONE LAVORATORI ASSICURAZIONE E CREDITO

BANCONOTE

A CURA DELLA COMMISSIONE STAMPA

FISAC –CGIL DI MODENA * PARMA * PIACENZA

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LA FISAC LAVORA PER GLI ISCRITTI

ALLA FISAC\CGIL NAZIONALE RIVOLGITI A:

SEGANTINI ENRICO BANCA MONTE PARMA Via Vicenza, 5\a—Roma - 06/44884331

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ALLA FISAC\CGIL REGIONALE RIVOLGITI A:

FORNARI STEFANO BANCA MONTE PARMA Via Marconi, 67/2 - Bologna 051/6087478—fax 251013

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A MODENA RIVOLGITI A:

CATTABRIGA ROBERTO ISEPPI MAGDA BERNAROLI ALESSANDRA RIGHI SILVANO SCOLASTRA SIMONA MAZZONI GIOVANNI

BANCO POPOLARE UNICREDIT BPER EQUITALIA CENTRO ASSICOOP BANCO POPOLARE

P.zza Cittadella, 36—tel 059/326261—237160– fax 241 671

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A PARMA RIVOLGITI A:

GAIANI FRANCESCO GABBI ENRICA ANDREOLETTI NADIA FORNARI STEFANO CIRONI MAURIZIO SOLIMEI DANIELA BOTTARELLI BARBARA

ISGS CARIPARMA UNICREDIT BANCA MONTE PARMA BANCO DI SARDEGNA APPALTO ASSICURATIVO CEDACRI

B.Go A.Mazza, 2 tel. 0521/221085—233633 Fax 221085

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A PIACENZA RIVOLGITI A:

ALLEGRI GIORDANO OMBRI CARLO GUIDOTTI FAUSTA SPAVIERI MARCO

EQUITALIA CENTRO CARISBO CARIPARMA BRE

Via XXIV Maggio, 18 Tel. 0523/459744—Fax 0523/45974 9

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BANCONOTE www.cgil.it e www.fisac-cgil.it FEBBRAIO 2013 A cura della COMMISSIONE STAMPA FISAC CGIL di Modena, Parma e Piacenza Supplemento n°14 al n° 47 de “il Lavoro Oggi” Periodico della CGIL di Parma e Provincia Dir. Resp. Roberto Meli.

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“NON SI PUO’ ANCORA MORIRE” (Giorgio Gaber, 1976)

È dieci anni che siamo rimasti senza Giorgio Gaber.

Dieci anni che siamo orfani, e si sente. Si sente dall’aria: c’è un’aria… che manca l’aria. Manca l’aria perché, da quando sono morte le ideologie, regna una ortodossia ideologica totale – quella del mercato – rispetto alla quale basta una parola di troppo per essere bollati come eretici, estremisti, terroristi. Non si può parlare. E non poter parlare è co-me non poter respirare. Manca l’aria.

Quando penso a Gaber, penso a un tempo in cui certi fatti materiali – la tutela contro i licenziamenti, la solidarietà tra i lavoratori, la scala mobile – erano talmente scontati da non doverne nemmeno parlare. Era scontato, era evidente che si trattava di conquiste della società nel suo complesso, che progrediva verso il benessere collettivo attraverso il soddisfacimento dei bisogni individuali: la casa, il lavoro, la scuola, la salute.

E il consolidamento di queste certezze – che era poi un dar corpo e voce alle aspirazioni della Costituzione – lasciava il tempo e apriva il campo a prospettive ancora più audaci, alla rivoluzione, all’utopia, all’indagine sull’uomo; o forse, al contrario, è proprio lo slan-cio dell’utopia, il travaglio fecondo del discorso sull’uomo a portare il progetto sociale su un piano così avanzato. In quegli anni, per molti è scontato che un giorno saranno gli operai a governare le fabbriche.

È questo slancio che oggi manca: la capacità di concepire una prospettiva sociale che al suo centro abbia la persona. La singola donna, il singolo uomo, il bambino, l’anziano, il matto, il mendicante, la prostituta, l’esemplare uomo in tutte le sue possibili declinazio-ni. Tante soggettività cancellate dal dibattito pubblico, e sostituite dall’unico protagoni-sta incontrastato dei nostri giorni, il mercato, che impone a tutti le sue priorità: costi, tempi, tasse, flessibilità. A tal punto che oggi appare scontato, evidente, che se un’azien-da ritiene di doversi liberare di uno, dieci, mille lavoratori, deve esserle concessa libertà di farlo senza impedimenti. Così ci troviamo di fronte al paradosso che la distruzione dei valori e delle prassi collettive conduce all’annientamento dell’individuo. E torniamo ancora a Gaber, all’ismo come forma degenerativa: l’individualismo sovrasta e nasconde l’annichilimento dell’individuo.

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Abbiamo ritenuto utile pubblicare questo numero “speciale” di Banconote per ricondurre a sintesi il percorso, che ha portato, in questi anni, ad un progressi-vo peggioramento delle normative e delle situazioni concrete riguardanti i dirit-ti del lavoro sul piano collettivo – anche in termini di rappresentanza e demo-crazia sindacale – e sul piano individuale – con un incremento della precariz-zazione, la caduta del potere d’acquisto delle retribuzioni e la perdita di diritti e di dignità del lavoro e rappresentare l’attuale contesto, generale e di settore, e il nostro punto di vista, come FISAC CGIL; una sorta di “guida ragionata”. Per sviluppare la nostra analisi e fornire un’informazione completa ai nostri let-tori, a tutte le colleghe e colleghi del settore, partiamo dalla crisi finanziaria, economica e produttiva in Italia e in Europa, con il suo carico di effetti negativi che rischiano di prodursi anche per gli anni a venire, e ripercorriamo le diverse tappe di attacco al lavoro e ai diritti, che partendo dalla crisi, utilizzata anche strumentalmente proprio a questo fine, hanno caratterizzato questo percorso, con provvedimenti legislativi - e vere e proprie controriforme come quella delle Pensioni e, pochi mesi dopo, del Mercato del Lavoro – ispirati dai Governi (Berlusconi e Monti) che si sono succeduti in questi ultimi anni. Ci soffermeremo infine, sull’Accordo di Produttività denominato “Linee pro-grammatiche per la crescita della produttività e della competitività in Ita-lia” (sottoscritto nel mese di novembre scorso da Parti datoriali e, tra gli altri, da Cisl e Uil), che commenteremo in modo dettagliato; è l’ultima tappa di que-

sto percorso, che, come CGIL, non abbiamo sottoscritto per i suoi contenuti fortemente peggiorativi per le condizioni di lavoro e di vita delle persone, che rappresenta un pesante attacco alla contrattazione e potrebbe determinare, se non adeguata-mente contrastato, ricadute for-temente negative - oltrechè sul-le relazioni industriali - sui diritti economici e normativi di lavora-trici e lavoratori e sulle condizio-ni materiali di vita e di lavoro, anche e soprattutto nel nostro settore.

ACCORDO SEPARATO SULLA PRODUTTIVITA’ IL “NO” DELLA CGIL

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LA CRISI IN ITALIA ED IN EUROPA

La crisi che stiamo attraversando, la più grave dal 1929, trae origine dall’affermarsi nel tempo del liberismo - come modello economico e sociale - che nel corso degli anni ha progressivamente trasferito la ricchezza dal fattore lavoro al capitale, con uno spostamento imponente e sistemico delle risorse, dagli investimenti produttivi alla speculazione finanziaria.

Ciò ha provocato una crisi, non congiunturale ma di sistema, con forti conseguenze sul tessuto economico e sociale e sul piano occupazionale; nell’assenza di norma-tive efficaci per regolamentare i mercati, nell’indebolimento delle istituzioni di con-trollo e vigilanza, in un crescente depauperamento della democrazia, si è arrivati ad un progressivo indebolimento della classe lavoratrice, con un conseguente crol-lo della domanda e dei consumi e con l’esplosione del debito.

A partire dall’estate del 2011, la crisi, soprattutto in Europa, ha assunto carattere di eccezionale gravità; in un sistema regolato in modo assoluto dal “potere” dei mer-cati finanziari, si sono verificati attacchi speculativi portati direttamente sul debito sovrano dei Paesi UE – con relativo peggioramento dei conti pubblici e difficoltà dei sistemi bancari, che hanno determinato il rischio di default per i paesi più deboli e più esposti dell’Unione Europea, in un contesto complessivo di crisi politica e mo-netaria.

In questa situazione, in Europa, si sono fatte strada, sotto la leadership della Ger-mania, politiche di forte rigore fondate sul controllo del debito e sul pareggio di bi-lancio; politiche recessive che portano con sé anche un attacco indiscriminato al lavoro, allo stato sociale ed ai diritti, con un tentativo di influenzare dall’esterno la sovranità nazionale e con scelte politiche, economiche e sociali ispirate da un’“agenda” dettata da BCE e Commissione Europea, in modo sempre meno de-mocratico e trasparente.

In Italia la crisi é stata complicata da ulteriori fattori, quali politiche industriali miopi, senza investimenti su qualità e innovazione, una forte iniquità fiscale senza redistri-buzione della ricchezza a favore dei redditi medio-bassi, la corruzione pubblica e privata e l’evasione fiscale.

Il governo del centro destra di Berlusconi, in questi anni, non solo non ha minima-mente intaccato queste problematiche, ma, anzi, le ha in molti casi aggravate.

Successivamente, le misure del governo Monti, pur avendo dato maggior credibilità all’immagine dell’Italia, hanno agito esclusivamente sui tagli indiscriminati, colpen-do le classi più deboli, i pensionati, i lavoratori dipendenti, senza alcuna azione in-cisiva verso capitale e rendita; le sue politiche sono caratterizzate da un forte con-tenimento della spesa pubblica, dalla conseguente riduzione degli investimenti da parte dello Stato, da politiche di rigore feroce, prive di equità sociale, che stanno progressivamente smantellando le fondamentali tutele sociali, il diritto del lavoro e le condizioni di vita e di lavoro e che contemporaneamente stanno, invece, salva-guardando privilegi e condizioni di vita delle classi più agiate.

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Se si volevano cercare risor-se per risanare i conti dello Stato, compromessi dal ven-tennio berlusconiano, si po-teva e si doveva fare ben al-tro, ma, invece, l’azione del premier Monti, alimentata dagli appetiti quotidiani dei mercati finanziari, si è con-centrata in una direzione ben precisa e cioè:

• nessuna redistribuzione del reddito nel senso di una maggiore equità, anche intervenendo sui grandi patrimoni;

• deboli politiche di con-trasto all’evasione fiscale ed alla corruzione e nessun intervento legislativo concreto per colpire il “falso in bilancio”, da cui trae origine lo spreco di risorse pubbliche e private e che genera la corruzione.

E invece:

• sì all’allungamento dell’età pensionabile, la più elevata nell’Unione Europea, un attacco per le giovani generazioni, che vedono sfumare la possibilità di ave-re una pensione pubblica, e per i meno giovani che la vedono allontanarsi e ridursi sotto un livello di sostentamento dignitoso;

• sì alle modifiche dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che rendono più facili i licenziamenti attraverso la cancellazione del diritto alla “reintegra” in tutti i casi di licenziamento illegittimo, fondamentale elemento di deterrenza contro gli abusi dei datori di lavoro.

Monti e Fornero, il cosidetto “governo dei tecnici”, non solo non sono intervenuti per ridurre e cancellare la precarietà, una condizione che ormai permea la vita del-le persone e si può considerare – a ragione - la madre di tutti i mali, ma, anzi, l’ha estesa a tutti, implementando, inoltre, la strumentazione in mano alle imprese per licenziare.

E’ evidente l’inaccettabilità di tale impostazione e la gravità di tali decisioni. Oltre a questo, le diverse manovre finanziarie intraprese, compresa la “spending review”, sono state tutte concepite seguendo lo stesso schema, quello dei “tagli li-neari” che colpiscono la sanità pubblica e il diritto alla salute, penalizzando ulterior-mente le categorie più deboli e i disabili per i quali vengono messe in discussione persino le risorse per i loro necessari percorsi di cura.

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E, analogamente, nel mondo della scuola, stanno tentando di rendere effettivo il processo di dismissione della pubblica istruzione, riducendo i trasferimenti alla scuola pubblica – aprendo in questo modo le porte ai privati - e finanziando, nello stesso tempo, le scuole paritarie. In sostanza, si cerca di privatizzare sanità e scuola pubblica, per trasformarle in aree di business per i capitali privati, anche con l’intenzione di orientare e selezio-nare i beneficiari del diritto alla salute e del diritto allo studio e con l’obiettivo, a volte esplicitamente dichiarato, di attaccare il lavoro e di indebolire il Sindacato; l’azione del governo Monti è, da questo punto di vista, in piena continuità con il governo Berlusconi .

L’ATTACCO A LAVORO E DIRITTI: LE TAPPE PRINCIPALI

L’attacco al lavoro e ai diritti parte da lontano e vive diverse tappe. Elenchiamo le principali: L’ ACCORDO SEPARATO SUL MODELLO CONTRATTUALE DEL 2009 UN PRIMO ATTACCO AL CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO E AL RECUPERO DEL POTERE D’ACQUISTO DELLE RETRIBUZIONI La prima tappa importante, per certi versi decisiva, dell’attacco ai diritti dei lavora-tori è rappresentata dall’Accordo separato sul Modello Contrattuale, firmato nel gennaio del 2009 da Cisl e Uil, che, come CGIL, abbiamo respinto. In quell’occasione, già in presenza di una situazione di crisi internazionale, di fronte alla richiesta espressa - dalla CGIL al Governo - di provvedimenti straordinari (tra i quali, meno tasse sul lavoro e aumento delle pensioni, più ammortizzatori sociali anche per i precari, più interventi a tutela delle protezioni sociali e investimenti per sostenere l’industria, anche in termini di innovazione e sviluppo) per affrontare tempestivamente la difficile situazione già in atto, il premier Berlusconi e il mini-stro del lavoro Sacconi, negando seccamente la crisi e la necessità di misure urgenti per affrontarla, hanno “convinto” Cisl e Uil a sottoscrivere un accordo, separato - dividendo in questo modo il fronte sindacale sulle modalità e i contenuti dei rinnovi contrattuali - che ha comportato un peggioramento sostanziale delle condizioni, in quanto prevedeva, nello specifico: • la diminuzione della tutela salariale e del recupero di potere d’acquisto delle

retribuzioni, anche attraverso l’utilizzo di un parametro l’ “IPCA depura-ta” (cioè l’Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato per i paesi dell’Unione, depurato dai prezzi dei prodotti energetici importati) non sufficiente per recu-perare l’intera inflazione, riducendo così ruolo e forza del Contratto Nazionale di Lavoro;

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• nessuna estensione della contrattazione aziendale e, semmai, la possibilità di intervenire attraverso deroghe peggiorative delle previsioni del Contratto Na-zionale;

• la limitazione del diritto di sciopero, diritto individuale previsto dalla Costituzio-ne.

La democrazia e la contrattazione sono fondamentali per il presente e per il futuro, la crisi si combatte difendendo il lavoro e investendo nella produzione, non attra-verso politiche di breve periodo finalizzate esclusivamente alla riduzione dei costi; come CGIL, ritenemmo tale accordo sbagliato e rispondemmo con un NO, non sot-toscrivendolo. Ma al di là dei contenuti, oggettivamente penalizzanti per i lavoratori, che sono il motivo del NO della CGIL, quell’accordo ha anche reso evidente la sostanziale “mutazione genetica” delle altre organizzazioni sindacali confederali, Cisl e Uil, che hanno manifestato in quell’occasione la modifica del loro ruolo di rappresentanza sociale di tutela dei lavoratori, compromettendo, in tal modo, anche l’unità sindaca-le. L’Accordo Separato del 2009 rappresenta una tappa importante di questo processo di trasformazione di Cisl e Uil, che sancisce, di fatto, la loro decisione di optare per un “modello sindacale” diverso - quello del Libro Bianco di Sacconi che propone un nuovo modello sociale di riferimento – nel quale il Sindacato si sostituisce progres-sivamente allo Stato nella gestione del Welfare (fino a gestire il “collocamento”) e su tali attività incardina il rapporto con i lavoratori e trae le risorse per il proprio so-stentamento, ridimensionando così, di fatto, il proprio ruolo e la propria funzione di agente della contrattazione e della rivendicazione – difesa e conquista - dei diritti, in rappresentanza dei lavoratori. Ciò è ancor più rilevante (e grave) in un momento in cui le controparti (e i governi) stanno utilizzando, anche in modo strumentale, la crisi per ridurre i diritti dei lavora-tori, anche attraverso l’arma del ricatto, a partire da quello di natura occupazionale “lavoro contro diritti”, più volte usato negli ultimi tempi, anche nel nostro settore (la minaccia dell’azienda di cancellare il posto di lavoro se il lavoratore non accetta di rinunciare ai propri diritti). L’ART. 8 DELLA FINANZIARIA 2011 DEL GOVERNO BERLUSC ONI (d.Lgs. 138/2011) PER PEGGIORARE E DESTRUTTURARE CON ACCORDI AZIENDALI E TERRI-TORIALI IL CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE E IL DIRITTO DEL LAVORO Nell’agosto 2011, il governo Berlusconi, attraverso l’art. 8 della Manovra Economi-ca (intitolato “sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità”), ha introdotto la possibilità di derogare, in senso peggiorativo, con accordi aziendali o territoriali, al-le previsioni del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro.

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Inoltre, è stato esplicitamente previsto – ed è la prima volta in termini così gene-rali nel nostro ordinamento – che la con-trattazione aziendale possa derogare anche alla Legge.

Questo significa esporre il Diritto del la-voro (che ha come sua naturale voca-zione quella all’inderogabilità ed all’e-guaglianza del trattamento su tutto il ter-ritorio nazionale, ed è garantito, nella sua effettività, dall’uniforme applicazio-ne in sede giurisdizionale) ed il Contrat-to Collettivo Nazionale di Lavoro con la sua universalità, di tipo solidaristico, al rischio della destrutturazione cioè della frammentazione, per azienda, per terri-torio, se non addirittura per singoli re-parti o unità produttive.

Ciò può avvenire anche su diritti fonda-mentali dei lavoratori, quali la classificazione e l’inquadramento del personale, gli orari di lavoro, i contratti a termine, i contratti a orario ridotto, il regime di solidarietà degli appalti, il ricorso alla somministrazione di lavoro e le modalità di assunzione. Se l’art. 8 (che la CGIL, oltre a battersi per la sua cancellazione, si è impegnata a rigettare in ogni sede di contrattazione) dovesse trovare applicazione effettiva, il peggioramento del trattamento contrattuale (e della Legge), in questo modo, non potrà che estendersi ed allargarsi a macchia di olio creando una situazione di cor-sa, da parte delle aziende, al ribasso dei diritti, in quanto ogni azienda chiederà di adeguarsi subito alla concorrenza e di poter applicare analoghe limitazioni ai diritti dei lavoratori, con un livellamento in senso peggiorativo delle regole, ed inoltre un progressivo impoverimento di tutto il sistema produttivo del Paese nel suo com-plesso.

Con questo provvedimento, è anche possibile che una sola Organizzazione Sinda-cale, oppure una rappresentanza sindacale minoritaria o, addirittura, appositamen-te “costituita” dalla controparte aziendale (la storia, non solo passata, è ricca di esempi in proposito) possa manomettere diritti basilari e di fondamentale importan-za determinando ricadute gravissime per lavoratrici e lavoratori. L’INTERVENTO SULLA PENSIONI DEL GOVERNO MONTI (D.L gs. 214/2011) L’INNALZAMENTO DELL’ETA’ PENSIONABILE CHE PENALIZZA CHI LAVORA E CHE DANNEGGIA, NELL’ACCESSO AL LAVORO, LE GIOVANI GENERAZIONI Con la legge 214 del 2011, ispirata dal ministro del lavoro Fornero, vengono appor-tate consistenti modifiche, in senso peggiorativo, alle norme sulla previdenza pub-blica.

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Con la legge 214 del 2011, ispirata dal ministro del la-voro Fornero, vengono ap-portate consistenti modifi-che, in senso peggiorativo, alle norme sulla previdenza pubblica. Con le misure adottate, il governo Monti, utilizza la previdenza pubblica per “fare cassa” e senza alcun principio di equità, in evi-dente contraddizione con i principi annunciati. Si tratta infatti di una serie di misure strutturali - che incidono pesantemente sui redditi e sui diritti dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, delle donne e dei giova-ni - che rischiano di portare ad una destrutturazione del nostro sistema previden-ziale pubblico. In particolare, tra i principali punti di criticità di questi provvedimenti, si segnalano: • la cancellazione delle pensioni di anzianità (che permettevano l’accesso al

trattamento pensionistico con la combinazione di determinati requisiti anagrafi-ci e di contribuzione) che vengono sostituite dalle cosidette pensioni “anticipate”, legate esclusivamente al requisito di contribuzione (che viene in-nalzato) indipendentemente dall’età anagrafica (con la previsione di una pena-lizzazione per coloro che accedono alla pensione prima del compimento del 62° anno di età)

• l’innalzamento dei requisiti per l’accesso alle pensioni di vecchiaia (che per-mettono di accedere alla pensione avendo raggiunto una determinata soglia di età, indipendentemente dagli anni di contributi)

• l’ulteriore progressivo innalzamento dei requisiti per il pensionamento, in base all’indice di aspettativa di vita della popolazione periodicamente rilevato e ag-giornato dall’Istat

In questo modo si allontana l’accesso alle pensioni per i lavoratori, anche con pe-nalizzazioni alle prestazioni, mantenendo più a lungo le persone al lavoro, ad evi-dente discapito dei giovani che, ancor più in una situazione come quella attuale di crisi economica e produttiva, vedono ridursi drasticamente la possibilità di trovare opportunità occupazionali e di poter entrare nel mondo del lavoro. A ciò si aggiunge la situazione dei cosidetti “esodati” cioè di quei lavoratori che hanno lasciato il lavoro a seguito ad una ristrutturazione aziendale, con un accordo sindacale o economico con il proprio datore di lavoro, e che si sono ritrovati, in con-seguenza dell’innalzamento dei requisiti di accesso per il pensionamento, senza lavoro e senza alcun trattamento economico; un problema che ancor’oggi non ha trovato una soluzione adeguata e che, a causa di scelte sbagliate e inaccettabili del Governo, vede decine di migliaia di lavoratori privati dei loro diritti, senza “salvaguardia” e in una drammatica situazione di incertezza.

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CONTRO RIFORMA DEL “MERCATO DEL LAVORO” E MODIFICA DELL’ART. 18 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI

NESSUNA RIDUZIONE DELLA PRECARIETA’ E LICENZIAMENTI PIU’ FACILI Attraverso un Decreto legislativo sulla “Riforma del mercato del lavoro” il governo Monti ha aggravato quanto già previsto in termini di lavoro precario, indebolendo ulteriormente gli ammortizzatori sociali e rendendo, con l’introduzione di nuovi stru-menti a favore delle aziende, più facile licenziare. In particolare: • non è stata ridotta la precarietà, mantenendo tutte le tipologie contrattuali pre-

carie già esistenti (e per alcune tipologie, peggiorando addirittura le condizioni e i trattamenti) e riducendo i vincoli per le aziende, in caso di assunzioni con “Contratto a termine”;

• sono state introdotte nuove forme di indennità di disoccupazione (Aspi e mini Aspi) in sostituzione delle precedenti tipologie di ammortizzatori sociali, ridu-cendo l’universalità della copertura, con il rischio di lasciare tante persone senza tutele.

Il governo Monti ha inoltre modificato l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori can-cellando la norma che dava diritto al lavoratore, in tutti i casi di licenziamento ille-gittimo (senza giusta causa o giustificato motivo), di ottenere la “reintegra” nel pro-prio posto di lavoro. Con questa modifica, in molti casi di licenziamento illegittimo, non c’è più la “reintegra”, che ha sempre rappresentato un elemento di deterrenza contro gli abusi dei datori di lavoro nei confronti dei lavoratori, ma solamente un risarcimento di natura economica. In questo modo, l’articolo 18 è stato svuotato - nei suoi contenuti, nella sua essen-za e nella sua funzione – e sono stati forniti, alle aziende, ulteriori strumenti per rendere più facili i licenziamenti. Il governo Monti ha agito con forte iniquità sul tema del “mercato del lavoro” ag-gredendo i diritti, conquistati con sacrificio attraverso le lotte delle lavoratrici e dei lavoratori, riscrivendo un tratto saliente delle giurisprudenza del lavoro, che garan-tiva un maggior equilibrio nei rapporti sociali e sindacali, intaccando un diritto e tu-tele fondamentali e indebolendo, nel contempo, il sistema di protezione sociale e pubblica. E’ importante segnalare che, nei mesi scorsi, diversi giuristi, associazioni, movi-menti ed esponenti di aree sindacali (tra le quali anche l’Area Programmatica “La CGIL Che Vogliamo”) e partitiche hanno costituito un Comitato promotore referen-dario, per raccogliere le firme necessarie all’attivazione dei referendum sul lavoro per l’abrogazione dell’art. 8 del D. Lgs. 138/2011 (di cui abbiamo parlato in prece-denza) e per l’abrogazione delle modifiche dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, al fine di riportarlo alla versione originaria, con l’obiettivo di mettere al centro della discussione il tema del lavoro e dei diritti.

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Le firme raccolte sono state con-segnate nei primi giorni di gen-naio alla Cassazione e si è in at-tesa che la stessa si pronunci sulla possibilità di effettuare, nel 2014 (non essendo possibile ef-fettuare il referendum nell’anno in cui si svolgono le elezioni poli-tiche), la votazione referendaria sui temi sopracitati. NOVEMBRE 2012 - L’ACCORDO SEPARATO SULLA PRODUTTIVI TA’ : CISL E UIL FIRMANO, LA CGIL DICE NO PER DEMOLIRE DEFINITIVAMENTE IL CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONA-LE DI LAVORO, RIDURRE PROGRESSIVAMENTE IL VALORE DELLE RETRI-BUZIONI, LIBERALIZZARE GLI ORARI DI LAVORO E DEMANSIONARE I LA-VORATORI CON CORRISPETTIVA RIDUZIONE DELLO STIPENDIO L’ultima tappa, in ordine di tempo, dell’attacco al lavoro ed ai diritti dei lavoratori trova compimento nel mese di novembre 2012, con l’Accordo, anche questo se-parato, sulla produttività, firmato dalle parti datoriali, a partire da quelle di settore - ABI (Credito) e ANIA (Assicurazioni) – Confindustria, insieme a Cisl e Uil (e altre Organizzazioni sindacali) e NON SOTTOSCRITTO DALLA CGIL. Pubblichiamo di seguito, integralmente, il testo di questo Accordo separato deno-minato “Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitivi-tà in Italia” in modo da renderne trasparenti le previsioni, nettamente peggiorative dello “status” attuale. Faremo seguire, al testo, i nostri commenti (sia all’Accordo sia al relativo Decreto - applicativo – DPCM - emanato in data 22 gennaio scorso) e le ragioni del NO della CGIL, mettendo in evidenza le possibili conseguenze negative determinate da questo Accordo e le possibili ricadute per le lavoratrici e per i lavoratori del no-stro settore, terminando infine il nostro elaborato con le nostre posizioni, come CGIL e come FISAC.

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Nel mese di novembre 2012, dopo una serie di diktat e di ultimatum del governo Monti alle Parti sociali (Parti datoriali e Organizzazioni Sindacali), dopo un confron-to che non è mai stato un vero confronto, con l’evidente intenzione preordinata di voler escludere la CGIL, contraria a smantellare i diritti dei Lavoratori, si è arrivati alla firma dell’Accordo separato sulla produttività (che abbiamo pubblicato nel suo testo integrale).

Si tratta di un Accordo forte-mente negativo che deter-mina l’abbassamento delle retribuzioni di fatto, prevede la redistribuzione estrema e l’incremento sostanziale de-gli orari di lavoro, sancisce la possibilità del demansio-namento con relativa ridu-zione salariale, rende pos-sibile il controllo a distanza (e la videosorveglianza) sul lavoratore, oggi vietato dal-lo Statuto dei Lavoratori. La CGIL ha dato un giudizio negativo dei contenuti dell’Accordo e non l’ha fir-mato; vediamo, in dettaglio, le principali ragioni del NO della CGIL :

UN ACCORDO CHE NON INCIDE SULL’AUMENTO DELLA PRODUTTIVITA’ Contrariamente a quanto enunciato nella sua “Premessa”, questo Accordo non contiene politiche di sviluppo che possano incidere realmente sull’aumento della produttività generale. Il governo e le imprese, con l’avallo di Cisl e Uil, si sono concentrati solo sulla pro-duttività del lavoro, senza considerare minimamente gli altri fattori della produzione; ma è risaputo che non ci può essere produttività del solo lavoro, senza il contributo degli altri “fattori”. Infatti, da anni non vi sono aumenti di produttività del lavoro e l’Italia vanta il prima-to negativo di crescita della produttività, tra i cosidetti “Paesi sviluppati”.

Le ragioni del NO della CGIL

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Negli anni di fase positiva del ciclo economico, a livello internazionale e per i paesi dell’Unione Europea, tra il 2001 e il 2007, in Italia la produttività è calata dello 0,6%; in quegli anni, corrispondentemente, si è registrata una fortissima riduzione degli investimenti di capitale nella produzione, solo il 10% del reddito di impresa è stato reinvestito nell’attività produttiva, mentre il restante 90% è stato utilizzato per attività speculative di tipo finanziario e immobiliare (la cosidetta “finanziarizzazione” dell’economia), finalizzate ad accumulare, attraverso la rendi-ta, enormi ricchezze individuali e patrimoni privati. Nel quadriennio di crisi, 2008-2011, il quadro si aggrava ulteriormente e la produtti-vità diminuisce di un ulteriore 2,8%, portando il totale ad un – 3,4%. Per agire concretamente e in senso positivo sull’incremento della produttività è proprio dagli altri fattori della produzione, materiali ed immateriali, che il governo avrebbe dovuto partire. Avrebbe dovuto esigere da questi (cioè dalle controparti datoriali, dal “capitale”, in primis) un maggior contributo; più investimenti in evoluzione organizzativa e tecno-logica, in ricerca e sviluppo e per l’innovazione di prodotto e di processo, sulla for-mazione ed istruzione, mettendo, allo stesso tempo, in campo, come Governo, fondi “strutturali” per la riduzione della tassazione sul lavoro (e anche sull’impresa) e risorse pubbliche (da recuperare attraverso una vera lotta all’evasione fiscale e agendo sulle grande ricchezze patrimoniali), per snellire le procedure amministrati-ve, per migliorare le infrastrutture e per la valorizzazione ambientale del territorio, oltre a misure di lotta alla criminalità e alla corruzione. Invece, ha deciso di agire su altri elementi, legando risorse “non strutturali” (che con questi presupposti rischiano di rivelarsi anche del tutto virtuali) a meccanismi di defiscalizzazione legati ad aree di intervento che sono finalizzate, principalmen-te, alla destrutturazione dei presi-di contrattuali e normativi a tutela dei lavoratori.

L’obiettivo evidente è quello di ri-durre (se non addirittura cancella-re) i vincoli per le imprese, quelli rappresentati dai diritti e dalle ga-ranzie a tutela dei lavoratori, ogni impegno di natura sociale che sia considerato incompatibile con le logiche di mercato; altro scopo, quello di incrementare la presta-zione lavorativa, in una logica di estremo sfruttamento del lavoro e secondo il principio del “lavorare di più e guadagnare di meno”, scaricando sul lavoro (e sui lavo-ratori) tutte le contraddizioni di un sistema produttivo che non fa nul-la per riuscire a crescere.

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UN ACCORDO CHE RIDUCE IL REDDITO DI LAVORATRICI E LAVORATORI L’Accordo stabilisce che “il contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) … supe-rato definitivamente … il sistema di indicizzazione (il recupero del potere d’acqui-sto, ndr) dei salari … deve rendere la dinamica degli effetti economici, definita en-tro i limiti fissati dai principi vigenti, coerente con le tendenze generali dell’econo-mia, del mercato del lavoro, del raffronto competitivo internazionale e gli andamenti specifici del settore…” e inoltre che (i CCNL) “…possono definire che una quota degli aumenti economici derivanti dai rinnovi contrattuali sia destinata alla pattuizio-ne di elementi retributivi da collegarsi ad incrementi di produttività e di redditività definiti dalla contrattazione di secondo livello, così da beneficiare anche di …misure di detassazione e decontribuzione per il salario di produttività…”. Ciò significa che: • viene meno la garanzia di recupero integrale del potere d’acquisto delle retri-

buzioni (per la perdita di valore dovuta all’inflazione) che dovrebbe realizzarsi nella contrattazione nazionale per tutte le lavoratrici e per tutti i lavoratori di ogni settore, attraverso l’aggancio degli aumenti all’inflazione e il relativo incre-mento dei minimi tabellari; si stabilisce, invece, che gli incrementi retributivi vengono legati alla produttività, definita nel secondo livello di contrattazione e, inoltre, che la dinamica salariale deve essere compatibile con l’andamento dell’economia e del mercato del lavoro (quindi, in una fase di crisi come que-sta, tendenzialmente al ribasso);

• l’indicatore IPCA (introdotto con l’accordo separato del 2009), già non esausti-vo del recupero del potere d’acquisto, diventa comprensivo sia del primo che del secondo livello di contrattazione; si determina così la differenziazione dei minimi salariali e la riduzione del valore reale delle retribuzioni;

• la parte variabile di retribuzione, incentivata attraverso politiche di vantaggio fiscale (collegata ad incrementi di produttività e redditività difficili da prevedere – e da ottenere - in uno stato di crisi come quello attuale), da definirsi nel se-condo livello di contrattazione (con benefici fiscali che nella migliore delle ipo-tesi sarebbero, comunque, minimi per i lavoratori) non sarebbe aggiuntiva, bensì sostitutiva di una parte del salario del lavoratore, trasformando, così, quote certe della retribuzione in quote incerte;

• si determinano il sostanziale svuotamento e la destrutturazione del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, senza alcun reale rafforzamento né estensione dei beneficiari della contrattazione di secondo livello (che attualmente riguarda meno del 30% dei lavoratori dipendenti), con l’effetto di creare enormi disugua-glianze tra settori e tra aziende ed un chiaro indebolimento delle attuali tutele collettive universali.

Oltre a determinare un danno palese ai lavoratori queste scelte hanno un ulteriore effetto depressivo e recessivo (l’impoverimento delle retribuzioni determina una contrazione dei consumi e della domanda interna di beni e di servizi) sull’economia del nostro Paese.

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RIDEFINIZIONE DEGLI ORARI DI LAVORO IN UNA LOGICA DI MAGGIOR SFRUTTAMENTO E DI INCREMENTO DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA L’Accordo prevede la possibilità di ridefinire i sistemi di orari e la loro distribuzione, anche nel secondo livello di contrattazione (cioè anche superando i limiti fissati dal CCNL) e “…su materie oggi regolate in maniera prevalente o esclusiva dalla Leg-ge…” (cioè anche derogando le normative di Legge vigenti, in senso peggiorativo, si tratta di un esempio lampante di applicazione sostanziale dell’art. 8 introdotto da Berlusconi e Sacconi - e soste-nuto da Monti - di cui abbiamo parlato in precedenza). Questo al fine di “…raggiungere gli obiettivi di pro-duttività convenuti…” dalla pro-grammazione mensile della quantità e della collocazione oraria della prestazione. Quindi, un collegamento diret-to tra orari di lavoro (e loro arti-colazione) e obiettivi da rag-giungere, con il chiaro intento di intensificare i ritmi della pre-stazione lavorativa individuale in correlazione ai risultati da ottenere, che sono program-mati dall’azienda, anche incre-mentando, in determinate si-tuazioni e sulla base di specifi-che intese, la stessa prestazio-ne lavorativa (utilizzo estremo degli orari multiperiodali) oltre gli attuali limiti previsti dalla Legge (che prevedono attual-mente 40 ore di lavoro settima-nali e 8 ore giornaliere, con un massimo di 48 ore settimanali, compresi gli straordi-nari). Uno sfruttamento estremo del lavoro (e del lavoratore) in una logica di pieno e tota-le adattamento alle esigenze del mercato e dell’impresa, a scapito delle condizioni di lavoro e di vita delle persone.

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VIENE INTRODOTTO IL DEMANSIONAMENTO CON RIDUZIONE DEL SALARIO L’Accordo stabilisce “…l’affidamento alla contrattazione collettiva di una piena auto-nomia negoziale rispette alle tematiche relative all’equivalenza delle mansioni…”. Oggi, la materia relativa alle “mansioni” del lavoratore è normata dall’articolo 2103 del Codice Civile che stabilisce che “il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria supe-riore che abbia successivamente acquisito, ovvero a mansioni equivalenti alle ulti-me effettivamente svolte, senza alcuna riduzione della retribuzione”. Finora, negli accordi di ristrutturazione che hanno interessato anche il nostro setto-re, qualsiasi intervento che abbia riguardato le mansioni è stato effettuato, a norma di legge, garantendo il mantenimento della retribuzione. Ora, invece, questo Accordo, peggiorando in modo consistente condizioni e pro-spettive dei lavoratori, prevede che si possa intervenire attraverso la contrattazio-ne, in deroga alle norme di Legge, per una riduzione della qualifica professionale, con relativa riduzione della retribuzione, determinando al lavoratore un danno sia economico sia riguardante il riconoscimento della sua professionalità. Questa norma sul demansionamento, tenacemente richiesta e voluta dai vertici dell’ABI, rappresenta un pericolo gravissimo, in particolare per i lavoratori del setto-re, e configura una scelta fortemente regressiva, finalizzata ad utilizzare in modo esclusivo lo strumento della riduzione del costo del lavoro, anziché far leva sulla qualità del lavoro, sulla formazione e sulla valorizzazione delle competenze acqui-site. MESSE IN DISCUSSIONE ANCHE LE NORME DI TUTELA SUI CONTROLLI A DISTANZA Con analoghe modalità rispetto a quanto previsto per orari di lavoro e mansioni, l’Accordo interviene anche sulla delicata materia dei controlli a distanza sul lavora-tore, oggi vietati e sottoposti alla tutela dello Statuto dei Lavoratori. Per la precisione, l’Accordo affida alla contrattazione “…le modalità attraverso cui rendere compatibile l’impiego di nuove tecnologie con la tutela dei diritti fondamen-tali dei lavoratori, per facilitare l’attivazione di strumenti informatici…”, facendo im-plicito riferimento alla possibilità di modificare, in ragione dell’innovazione tecnolo-gica, l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, che vieta il controllo a distanza della pre-stazione lavorativa. Indubbiamente un altro attacco pesante allo Statuto dei Lavoratori, dopo lo stravol-gimento dell’art. 18 in materia di licenziamenti.

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NESSUN PASSO IN AVANTI SULLE REGOLE DI DEMOCRAZIA E DI RAPPRESENTANZA SINDACALE: SERVE UNA LEGGE SULLA RAPPRESENTANZA

Nell’ambito di questo Accordo, non si registra alcun passo avanti sui temi della democrazia e del-la rappresentanza (e rappresentatività) del Sindacato, elementi che per la CGIL non sono solo formali ma sostanziali e che sono fondamentali per dare alle Lavoratrici ed ai Lavoratori la reale possibilità di decidere su aspetti, accordi e contratti, che li riguardano e che possono modificare concretamente le loro condizioni di lavoro e di vita.

Non si può prescindere, anche al fine dell’esigibilità di accordi e contratti collettivi, dalla “democrazia sindacale”, cioè dalla definizione di procedure per la loro validazione democratica, attraverso il coinvolgimento e il pronunciamento certificato delle lavoratrici e dei lavoratori interes-sati.

La libertà sindacale si sostanzia:

• in primis, con la libertà di associarsi e di poter decidere liberamente l’organizzazione sinda-cale a cui iscriversi, costituendo una rappresentanza sindacale (presupposto basilare che è stato messo in discussione, nei confronti degli associati alla Fiom Cgil, da parte dell’AD Fiat, Marchionne);

• poi con la certificazione della misurazione del numero di iscritte e iscritti ad ogni Sindacato - al fine di poter verificare la reale rappresentatività di ogni Organizzazione Sindacale (anche allo scopo di determinare, in base a ciò, la titolarità o meno di ogni Organizzazione Sindaca-le a partecipare ai tavoli di trattativa, ai quali si può – e si deve - essere ammessi, superan-do una determinata soglia di rappresentatività);

• infine, definendo le modalità del coinvolgimento di tutte le lavoratrici e lavoratori e della loro espressione di voto vincolante sulle “piattaforme” sindacali, sulle verifiche di mandato nelle fasi intermedie dei negoziati e sull’approvazione delle ipotesi di accordo relativi alla contrat-

tazione collettivi, a tutti i livelli della contrattazione (aziendale, territoriale, nazio-nale, interconfederale ecc…) ed in tutti i settori; questo

aspetto, che deve valere in ogni situazione, è ancor più importante quando, come nel caso di Accordi separati (quali ad esempio quello del 2009 e questo, sulla Produttività), esistono posizioni divergenti tra le diverse Organizzazioni Sindacali.

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La regola è che devono essere sempre i Lavoratori a decidere sulle questioni che li riguarda-no, a maggior ragione in que-ste circostanze; la CGIL preve-de già nel proprio Statuto l’im-pegno alla consultazione di tut-ti i lavoratori, cosi non è per le altre sigle sindacali. Per rendere operative regole che valgano per tutti i Sindaca-ti, è necessaria la concreta ap-plicazione delle intese già rag-

giunte in materia, nel 2011, da tutte le Organizzazioni Sindacali, unitariamente, e dalle Parti Datoriali al fine di dare attuazione alle disposizioni contenute nell’art. 39 della Costituzione, che devono essere sostenute da apposita Legge sulla rappre-sentanza; ma nell’Accordo non c’è traccia di alcuna garanzia in tal senso. A maggior prova di ciò, del grave “vulnus democratico” tuttora esistente, questo Accordo Separato, che può provocare conseguenze molto pesanti sulle condizioni materiali di lavoro e di vita dei lavoratori e che non è condiviso da tutte le Organiz-zazioni Sindacali, non è stato sottoposto ad alcuna procedura di validazione de-mocratica da parte di coloro che lo hanno sottoscritto (Cisl, Uil ecc…), i quali non hanno nessuna intenzione di discuterlo e valutarlo con i lavoratori ma, anzi, riten-gono di poterlo applicare, indipendentemente dal parere di coloro che ne sono in-teressati e coinvolti direttamente.

NON MANCA NEPPURE L’ATTACCO AL DIRITTO DI SCIOPERO Infatti, l’Accordo prevede “…disposizioni efficaci per garantire…il rispetto delle clausole di tregua sindacale…le regole per prevenire i conflitti, non escludendo meccanismi sanzionatori in capo alle organizzazioni inadempienti…” . Si tratta di un evidente attacco al diritto di sciopero, costituzionalmente garantito, con l’obiettivo di subordinare il diritto di sciopero alle libertà economiche previste dal mercato unico. Non a caso, l’ultimo incarico di cui si è occupato il professor Monti, nel suo ruolo in Commissione Europea prima di diventare premier, è stato l’elaborazione di una controversa proposta legislativa sul diritto di sciopero (denominata “Monti 2”), nel senso sopra descritto (cioè per renderlo compatibile con la libertà di impresa e su-bordinarlo ad essa), poi ritirata nel 2012 dalla stessa Commissione Europea in quanto contestata da diversi sindacati europei – tra i quali la CGIL - e già bocciata da 12 parlamenti nazionali. Evidentemente, il “professore”, bocciato in sede euro-pea ci sta riprovando a livello nazionale.

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E, PER FINIRE, IL DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) AT-TUATIVO INTRODUCE ULTERIORI PEGGIORAMENTI ALL’ACCORDO In data 22 gennaio u.s., il Governo ha emanato il decreto attuativo sulla detassa-zione del salario di produttività, in applicazione dell’Accordo separato sulla Pro-duttività. Il decreto, nel confermare la detassazione sui premi della produttività già utilizzata nella contrattazione svolta in questi ultimi anni, è intervenuto - nella forma – per riprendere e addirittura peggiorare i contenuti dell’Accordo separato e - nella so-stanza – per confermare l’assenza di criteri che possano effettivamente incidere su un’autentica crescita della produttività. Il decreto cancella, infatti, dalle voci previste per poter beneficiare della detassa-zione del salario di produttività, qualsiasi riferimento a voci previste dai CCNL (quali turni, lavoro notturno, lavoro straordinario, lavoro festivo e domenicale) mentre introduce criteri quali la fungibilità delle mansioni (leggi demansionamen-to), l’impiego delle nuove tecnologie in rapporto alla tutela dei diriti fondamentali dei lavoratori (leggi controllo a distanza) e la ridefinizione degli orari da legare agli obiettivi di produttività, che possono al contrario deprimere la produttività perché peggiorano le condizioni di lavoro e i diritti delle persone. Da segnalare, per la sua gravità, l’intervento sull’au-tonomia della contrattazio-ne e quindi sull’attuale previsione dei CCNL, lad-dove il decreto prevede il criterio del “non supera-mento” delle due settima-ne di ferie consecutive e della programmazione non continuativa delle giornate residue per poter fruire della detassazione. Tutto ciò non fa altro che riconfermare il giudizio ne-gativo espresso dalla CGIL sull’Accordo.

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Situazione del settore: le possibili ricadute per i lavoratori

L’Accordo separato sulla Produttività, con il suo carico di pesanti conseguenze, si cala in un contesto generale e di settore delicato e complesso.

LA SITUAZIONE GENERALE A livello generale, nel nostro Paese, si è registrato – dall’inizio della crisi - un calo del 9,5% del PIL con un incremento del tasso di povertà dei cittadini (circa 8 milio-ni di persone sono in questa condizione). Dal punto di vista dell’occupazione i dati sono drammatici, da record negativo: secondo gli ultimi dati Istat, il tasso di disoccupazione ha raggiunto il tetto dell’11,2% e balza al 36,6% (solo i dati di Spagna e Portogallo sono peggiori dei nostri) se si prende in considerazione solo la fascia di età compresa fra i 15 e i 24 anni, quella dei giovani che non studiano più e che sono alla ricerca disperata di un posto di lavoro; i “senza lavoro” si avvicinano ormai ai 3 milioni di persone con una perdita di occupati, dall’inizio della crisi, pari a 1,4 milioni di persone, una con-dizione che penalizza in particolare le donne. Se poi si guardano i dati relativi alle retribuzioni, nel 2012 gli stipendi medi sono cresciuti dell’1,5% a fronte di una crescita dell’inflazione (e conseguente perdita del potere d’acquisto) pari al 3%; in sostanza la crescita dei prezzi ha “doppiato” quella degli stipendi; si tratta della crescita media delle retribuzioni più bassa dal 1983 e del maggior divario a sfavore delle retribuzioni dal 2000, con una perdita accumulata di salario, sempre a partire dal 2000, pari a - 8.154 Euro annui.

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Tutto ciò è certamente causato dalla crisi, ma, nello stesso tempo, è anche conse-guenza di politiche inadeguate e scelte sbagliate, da parte del Governo, con forti responsabilità anche da parte di chi le ha accettate, approvate e avallate, anche sul fronte sindacale. E’ possibile credere che riducendo sistematicamente le retribuzioni, facendo lavo-rare più a lungo le persone (anche aumentandone le prestazioni lavorative e pa-gandoli di meno), senza ridurre la precarietà e facilitando i licenziamenti, si possa favorire l’occupazione, la crescita, lo sviluppo e i consumi? E’ chiaro che si tratta di idee e ricette del tutto errate, alle quali - come CGIL - ci siamo fortemente opposti in questi anni (anche decidendo di non firmare accordi non condivisibili e mettendo in campo iniziative di mobilitazione generale) e conti-nuiamo a contrastarle, unica forza sociale organizzata a combattere questa batta-glia, insieme a milioni di lavoratori e cittadini ! Il governo Monti ha aggravato questa condizione e le sue politiche (in primis, rigore e sacrifici senza equità sociale, taglio dei diritti e dei salari), sempre improntate al liberismo, hanno portato ad una riduzione dello “spread” ma, in compenso, hanno determinato un peggioramento dei principali “fondamentali economici”, a partire dall’indebitamento pubblico, ed un’ulteriore spinta recessiva che ha aumentato il disagio sociale e le disuguaglianze.

LA SITUAZIONE DEL NOSTRO SETTORE Anche il nostro settore risente di questa situazione, in particolar modo il Credito (ABI). Se sul fronte della patrimonializzazione le banche si sono rafforzate, attraverso il ricorso al mercato e ad altri strumenti, e su quello della liquidità hanno fruito e be-neficiato del finanziamento della BCE all’1% (che non ha peraltro impedito una stretta creditizia, essendo stato utilizzato in parte cospicua per operazioni finanzia-rie di “buy back” su azioni e bond emessi), l’aggravarsi della crisi economica ha prodotto un peggioramento della qualità del credito con un incremento delle partite incagliate ed un aumento significativo e generalizzato delle sofferenze (oltre 100 miliardi di euro per il sistema nel suo complesso), che incidono sulla redditività, pur sempre esistente ma a livello inferiore rispetto agli anni passati, in un settore che ha perso la metà della propria capitalizzazione di borsa. Le difficoltà attuali delle banche non sono, comunque, determinate esclusivamente da elementi esterni ma anche da colpe e inefficenze di chi le ha amministrate in questi anni, ed è anche la conseguenza, il prodotto storico, del loro agire. In questi anni, le banche hanno continuato a perseguire obiettivi di breve periodo, cercando di massimizzare il profitto attraverso la finanza, la rendita parassitaria e la commercializzazione di prodotti opachi, invischiate e subordinate (anche rispetto all’attività di erogazione del credito) alle esigenze della politica e dei potentati eco-nomici e industriali.

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Banche e imprese finanziarie hanno utilizzato, in modo crescente ed abnorme, strumenti di debito e prodotti finanziari discutibili, che sono nello stesso tempo l’ori-gine e lo strumento della grande speculazione; anche alla luce di questa situazione (confermata anche dalle gravissime vicende di questi ultimi giorni, che hanno coin-volto MPS) sarebbe necessario intensificare le politiche di controllo da parte degli organismi istituzionali a tal fine preposti. Proprio in questo senso si rivolge la forte critica ed il conseguente ricorso che, nel dicembre 2012, come CGIL e FISAC CGIL, abbiamo fatto contro la decisione della CONSOB e del suo Presidente di una riorganizzazione che prefigura una riduzione della trasparenza, dell’efficacia e della professionalità.

QUALI SONO LE POSSIBILI RICADUTE PER I LAVORATORI ? Le aziende, in questi anni, hanno perseguito scelte strategiche improntate esclusi-vamente alla logica dell’efficientamento (cioè della riduzione dell’occupazione, del-le retribuzioni e dei diritti dei lavoratori), senza investimenti e con un top manage-ment del tutto incapace di realizzare politiche di innovazione organizzativa e sui prodotti, con Piani Industriali legati solo a interventi sulla rete commerciale - con revisione (o chiusura) della struttura delle filiali -, a esternalizzazioni ed appalti di attività considerate a basso valore aggiunto fino ad arrivare al trasferimento di al-cune attività commerciali e di sviluppo a professionisti esterni. L’obiettivo è quello di scaricare sul costo del lavoro tutti i problemi delle imprese, attraverso l’espulsione di forza lavoro e la disdetta dei contratti integrativi e/o degli accordi di secondo livello, facendo pagare ai lavoratori anche i costi (di competen-za delle banche) relativi all’utilizzo del Fondo di solidarietà di settore; tutto ciò per incrementare la remunerazione degli azionisti, a scapito dei lavoratori, spostando risorse dal reddito di chi lavora ai dividendi per i soci proprietari. Nello stesso tempo, mentre si richiede un sacrificio ai lavoratori, i top manager, spesso responsabili della situazione in cui versa il settore, si aumentano le retribu-zioni con remunerazioni che arrivano addirittura a superare i 3 milioni di euro all’anno. Se nel 2011, nell’ambito dei principali Gruppi bancari, è stato possibile gestire i pro-cessi di riorganizzazione, nel 2012 si è assistito ad un’aggressione ai salari ed ai livelli occupazionali senza precedenti, politiche che hanno trovato, in alcuni casi, complicità in alcune componenti sindacali, anche mediante “scambi impropri” tra sacrifici dei lavoratori e partecipazione sindacale agli organi sociali aziendali. In questo clima, ha preso corpo l’idea di una “conventio ad escludendum” nei con-fronti della FISAC CGIL, di cui gli Accordi separati nel Gruppo UBI e in MPS, della fine del 2012, sono l’esplicita dimostrazione.

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Certamente, l’Accordo separato sulla Produttività, da questo punto di vista, ha giocato (nel caso di UBI e MPS) e potrà giocare per il futuro (in tutte le Aziende, nei Gruppi e a livello nazionale) un ruolo molto rilevante sia nella defi-nizione del quadro complessivo delle relazioni sindacali sia nei rap-porti unitari con le altre Organizza-zioni Sindacali (in particolare Fiba Cisl e Uilca, le cui confederazioni quell’accordo l’hanno sottoscritto, ma non solo loro) sia, soprattutto, sullo sviluppo della contrattazione nel settore e, conseguentemente, sull’attività di tutela e sulle condi-zioni materiali dei lavoratori. ABI (e anche ANIA) ha giocato un ruolo politico preminente, all’inter-no della delegazione delle contro-parti aziendali (il dr. Micheli di Inte-sa SanPaolo era anche il portavo-ce dell’intera delegazione) che ha condotto la trattativa dell’Accordo separato sulla Produttività, e si è distinta per la sua posizione ( i cosidetti “falchi” della delegazione) di pervicace sostegno agli ele-menti di merito più negativi e di attacco ai diritti dei lavoratori, che sono oggi conte-nuti nell’accordo stesso (a partire dal demansionamento). ABI, nelle scorse settimane, ha preannunciato, per il periodo che va da oggi e fino al 2015, una serie di riorganizzazioni nel settore che dovrebbero coinvolgere oltre 35.000 addetti e punta ad estendere il suo disegno di destrutturazione a tutta la ca-tegoria. Il loro interesse è specifico e attuale, le loro intenzioni evidenti e facilmente perce-pibili (oltre che desumibili, anche in esplicito, leggendo gli articoli usciti i primi giorni di dicembre su alcune testate giornalistiche, “Il Giornale” e “Milano Finanza”, che pubblichiamo in calce nelle pagine seguenti). Quale sarà l’atteggiamento delle altre Organizzazioni Sindacali di categoria, strette tra la richiesta, che potrebbe presto giungere dalle controparti aziendali, di aprire un “tavolo di produttività di settore” per portare avanti le politiche di stampo regres-sivo e penalizzante sottoscritte nell’Accordo sulla produttività (anche dalle loro Confederazioni, Cisl e Uil) e la necessità, che si pone in evidente contrapposizione con questo percorso, di muoversi in direzione del tutto opposta, per garantire la tu-tela, i diritti e le prospettive delle lavoratrici e dei lavoratori del settore?

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Per di più, se nel 2009, in occasione dell’Accordo separato sul modello contrattua-le, anch’esso non sottoscritto dalla CGIL, la stessa ABI (che ora ha una posizione completamente diversa, anzi è l’ispiratrice prima dell’Accordo sulla Produttività) era perlomento tiepida sull’applicazione di quell’accordo in categoria, anche perchè preoccupata del conseguente rischio di deflagrazione del quadro delle relazioni in-dustriali, e le Organizzazioni di categoria Fiba e Uilca (nonostante Cisl e Uil quell’accordo lo avessero firmato) erano anch’esse critiche rispetto ad un’ipotesi di applicazione dei contenuti di quell’intesa nel settore (e questo aveva permesso di mantenere una stagione contrattuale unitaria, e garantito la sostanziale tutela del potere d’acquisto e dei livelli contrattuali), oggi la situazione è completamente diffe-rente, così come il loro atteggiamento, anche rispetto ai rapporti sindacali unitari. Tutto ciò, può costituire un grave rischio di ricadute negative per i lavoratori del set-tore. In analogia con quanto succede nelle banche, anche nel settore assicurativo, ANIA sta operando per una modifica unilaterale delle relazioni industriali, come dimostra-no le richieste di modifica preventiva del CCNL e la recente disdetta dell’Accordo quadro sulle tutele occupazionali operata da Unipol, in previsione dell’avvio delle trattativa riguardante l’operazione di fusione tra Unipol e Fondiaria-Sai (per la quale sono stati dichiarati 2.240 esuberi di personale).

In questo contesto è fondamentale definire come Sindacato, come Fisac CGIL, gli obiettivi e le strategie adeguate per affrontare la situazione e contrastare con la giuste idee, e con forza analoga e corrispondente, l’attacco in corso da parte delle controparti, che potrà accentuarsi ulteriormente nei prossimi mesi. A questo propo-sito, come Fisac CGIL: • condividiamo appieno la scelta della CGIL di non sottoscrivere l’Accordo sulla

Produttività e siamo contrari alle logiche in esso contenute e schierati nella battaglia per contrastarle, in ogni fase della nostra attività sindacale;

• ribadiamo l’assoluta centralità del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), come architrave delle relazioni industriali della categoria, per la difesa del potere d’acquisto delle retribuzioni, per la difesa dei livelli occupazionali e dell’Area Contrattuale, elemento strategico per impedire la frantumazione del settore;

• respingiamo la destrutturazione del CCNL, anche attraverso la sua derogabili-tà, e l’aggressione ai salari e all’occupazione, che si manifesta anche attraver-so modificazioni strutturali (esternalizzazioni ecc…), finalizzati alla mera remu-nerazione del Capitale, e vogliamo che i processi di riorganizzazione si muo-vano nel pieno rispetto delle norme del CCNL, a partire dall’integrità dell’Area Contrattuale;

• riteniamo che i problemi legati alla crisi debbano essere affrontati con un chia-ro e verificato ripensamento delle strategie imprenditoriali, con politiche idonee a sostenere l’occupazione (difesa dell’occupazione e interventi a favore dell’occupazione giovanile, obiettivo primario della Fisac CGIL) ed a valorizza-

La posizione della FISAC CGIL

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-re la forza lavoro e le pro-fessionalità esistenti, supe-rando le intollerabili pressio-ni commerciali, ripristinando un equo rapporto tra Capita-le e Lavoro e ricercando la riduzione dei costi attraverso un drastico ridimensiona-mento del management (e delle loro remunerazioni), delle consulenze, e di organi sociali ridondanti e pletorici;

• vogliamo che il Fondo di so-stegno al reddito (il nostro ammortizzatore sociale di set-tore) funzioni appieno, dotato di tutti gli strumenti a suo tempo convenuti e condivisi (solidarietà difensiva ed espansiva), per governa-re la fase di ristrutturazione in essere;

• intendiamo combattere qualsiasi tentativo delle parti datoriali di determinare, anche attraverso l’arma del ricatto occupazionale, uno stato di subalternità fi-nalizzato all’accettazione delle esigenze aziendali e siamo impegnati a contra-stare il tentativo di destrutturazione, in atto in alcuni Gruppi bancari, anche at-traverso il tentativo di marginalizzare la Fisac CGIL, e che rischia di estendersi a tutta la categoria;

• se ABI intendesse mettere in discussione il CCNL o qualora chiedesse l’aper-tura di un “tavolo di produttività di settore”, basato sui presupposti dell’Accordo separato, la risposta della Fisac CGIL sarà forte e in sintonia con la posizione negativa espressa della CGIL, e occorrerebbero immediate iniziative di mobili-tazione, a partire dallo sciopero generale della categoria.

Tutto ciò richiede, fin da subito, il massimo coinvolgimento di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori del settore, a partire da capillari iniziative di informazione in tutte le aziende. Vogliamo che le lavoratrici ed i lavoratori siano i protagonisti della fase che ci ap-prestiamo a vivere e che la democrazia ispiri l’agire sindacale; la democrazia di mandato e di rappresentanza deve costituire il pilastro a cui ancorare il rapporto con i lavoratori, le fasi negoziali ed il giudizio sugli accordi; il voto certificato dei la-voratori deve essere universalmente esigibile e determinante nell’assunzione delle decisioni; ogni accordo sottoscritto, in assenza del pieno coinvolgimento dei lavo-ratori e della loro chiara e verificata volontà, non può essere considerato valido.

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E sto abbracciato a te senza chiederti nulla, per timore

che non sia vero che tu vivi e mi ami.

E sto abbracciato a te senza guardare e senza toccarti.

Non debba mai scoprire con domande, con carezze, quella solitudine immensa

d'amarti solo io.

Pedro Salinas