Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer

16

description

per la gestione delle risorse umane

Transcript of Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer

Page 1: Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer
Page 2: Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer

2

INDICE

Prefazione di Gabriele Gabrielli

Cap. I - Io ti vedo

Cap. II - Premesse per L’ Humanistic Management

Cap. III - Alla sorgente del Valore

Cap. IV - La Selezione nel Change Management

Cap. V - Professionalità emergenti

Cap. VI - La Sel-Formazione

Cap. VII - LMS - Learning Management System

Cap. VIII - PDR –Performance & Development Review

Cap. IX - Dall’indifferenza alla differenza

Cap. X - La cassetta degli attrezzi o lo zaino?

Cap. XI - EOS –Employee Opinion Survey guida alla

People strategy

Cap. XII - MBV- Management By Values

Cap XIII - OMDR –Organization, Management Development

Review

Cap. XIV - PDP –Piani di Sviluppo Personale

Cap. XV - IPT – Integrated Project Team

Cap. XVI - BEM –Business Excellence Model

Cap. XVII - P-CMM- People Capability Maturity Model

APPROFONDIMENTI:

◊ La Social Network Analysis per l’organizzazione

di Maria Patrizia Vittoria

◊ Guadagnare la grandezza di Cristina Felice Civitillo

◊ L’impresa fondata sulla creatività di Renata Carla De Rosa

◊ e-HR Management di Annunziata Pintauro

Page 3: Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer

3

Ci sono settori in cui il bastardo prospera con livelli di concentrazione fuori della

norma, e l’azienda è certamente

uno dei luoghi privilegiati, un habitat quasi naturale, dove l’esercizio della

prevaricazione gratuita trova condizioni ideali per esprimersi.

Pier Luigi Celli

Mi chiedono spesso: ma come fai a parlare di lavoro come approssimazione alla

felicità, sapendo che la moneta che circola oggi è soprattutto, se non solo, arroganza,

disprezzo, offesa, disinteresse. Rispondo che lo so, le cose stanno così ... Eppure credo

che, proprio di fronte a questa evidente realtà, ognuno di noi possa e debba cercare

risposta nell’amare il proprio lavoro. C’è in ogni lavoro, uno spazio di autonomia che

nessun capo protervo, nessuna organizzazione assurda può violare. Occupando con

dignità, con dedizione, con onestà, con decoro questo spazio, manteniamo viva

l’autostima.

Francesco Varanini

Questa domanda se l’era posta Parmenide nel VI secolo avanti Cristo. Egli vedeva l’intero

universo diviso in coppie di opposizioni…

Questa suddivisione in un polo positivo e in uno negativo può apparirci di una semplicità puerile.

Salvo in un caso: che cos’è positivo, la pesantezza o la leggerezza?

…Una sola cosa è certa: l’opposizione pesante-leggero è la più misteriosa e la più ambigua tra

tutte le opposizioni.

Milan Kundera

Page 4: Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer

4

PREFAZIONE

Questo che annotiamo con qualche riflessione introduttiva alla

lettura è un libro particolare, per diverse ragioni. Certamente lo

è perché “fuori genere”, nel senso che propone i suoi contenuti

seguendo logiche e servendosi di forme espressive che non si

lasciano racchiudere dentro le rassicuranti certezze fornite da

un “genere”. No, quello di Francesco Perillo non è un libro

strettamente scientifico, ma non è nemmeno un volume che

raccoglie, propone e discute –seguendo un approccio ordinato e

manualistico- strumenti e tecniche operative di gestione delle

risorse umane, di organizzazione e di change management. Né,

d’altro canto, può essere segnalato come un libro sul

management in senso classico.

C’è invece un po’ di tutto questo nelle pagine del volume e

anche dell’altro. C’è, per esempio, un racconto autobiografico

che talvolta prende il sopravvento e sembra divenire la

prospettiva prevalente del libro; una prospettiva dunque

narrativa che si trasforma in una sorta di passeggiata durante la

quale si argomenta e si discute sulle ragioni per cui, nel nostro

Paese e nelle nostre aziende ed organizzazioni, è così difficile

gestire bene le persone e la loro performance, rispettandone il

valore. Nelle pagine dell’Insostenibile leggerezza del

management ci troviamo, proprio per questo, anche molta

umanità, quella di un uomo che ha dedicato l’intera vita

lavorativa alle imprese gestendo molteplici ruoli nella

Direzione del Personale con diverse responsabilità, anche

apicali; quella di un manager che ha sofferto e soffre le

Page 5: Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer

5

contraddizioni di un mestiere con forti contenuti valoriali, ma

spesso costretto dentro la prigione delle esigenze del tornaconto

e dell’indifferenza verso la dimensione della persona. Quando

l’Autore ritaglia, proponendoci aneddoti e storie vissute, questo

spazio più personale per denunciare la sua insofferenza verso la

pochezza di tante cose gestite, il tono e lo stile cambiano:

ironia, tristezza, frustrazione, sgomento e incredulità affiorano

dallo scritto –sempre con eleganza- e mai con rassegnazione.

Francesco Perillo, come dimostra anche il suo impegno di

docente in molteplici iniziative e programmi educativi, pensa

davvero che le imprese possano essere gestite meglio. Crede e

auspica fortemente che si rafforzino leadership capaci di

migliorare il lavoro attraverso la valorizzazione della persona e

delle sue potenzialità. A ben vedere le best practices di people

management che ci racconta, proponendocele insieme

all’involucro concreto del linguaggio, delle forme espressive e

comunicative dei contesti aziendali da dove le ha tratte, ruotano

tutte attorno a questa azione di management che troppo spesso è

carente nelle storie organizzative ma è fattore decisivo di

successo per l’impresa: la valorizzazione della persona.

L’Autore sembra dirci, e lo condividiamo totalmente, che deve

esserci sempre un “dopo” nelle practices e nel loro utilizzo per

influenzare il comportamento organizzativo. E’ il “dopo”

dettato dall’interesse più genuino per lo sviluppo della persona.

Si faccia selezione, formazione, valutazione della performance

o del potenziale, l’obiettivo reale è quello di investire

concretamente sullo sviluppo di un progetto e di un viaggio che

metta la persona, i suoi gap o i suoi talenti, al centro della

responsabilità del management e quindi dei “capi”.

Certo, qua e là affiora anche tanta tristezza, forse per le

occasioni mancate; forse per i progetti non chiusi o la delusione

per non essere riusciti a modificare la strategia di qualche CEO

Page 6: Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer

6

o Direttore Generale. Ma anche quando c’è disillusione,

Francesco Perillo mantiene il distacco proprio della maturità

che sostiene quell’ottimismo che ispira il volume anche nei suoi

“approfondimenti”: una sezione finale del volume, alimentata

da contributi di giovani ricercatori e tesisti che testimoniano

fiducia e voglia di condividere esperienze e riflessioni su teorie,

metodi e modelli, pratiche appunto.

Le cose, dunque, anche nel mondo della gestione delle risorse

umane, possono davvero cambiare. Le esperienze raccontate lo

dimostrano, così come i successi o i miglioramenti registrati

dopo che si interviene con programmi specifici a sostegno della

motivazione e del clima. Ma le imprese cambiano soprattutto

grazie alla “testimonianza” del senior management che rende

visibili e concreti, nella coerenza del comportamento

organizzativo, i “valori” cui richiedono di ispirare l’azione.

Quella della forza della testimonianza ci sembra un’altra chiave

di lettura del lavoro di Francesco Perillo che ci piace proporre.

Crediamo davvero che in una fase come l’attuale, qualificata

dall’incertezza e dalle molteplici forme con cui si presenta,

l’esempio e la testimonianza coraggiosa dei capi possano

costituire il driver più potente per accrescere quella fiducia,

anche nei luoghi di lavoro, ipotecata dalla diffusa responsabilità

su cui gli occhi del mondo si sono aperti, come quando ci si

sveglia di soprassalto a causa di un incubo.

Best practices, dunque, non sono soltanto quelle

“organizzative”, ma sono anche e soprattutto quelle che la

ritrovata responsabilità dei “capi” può alimentare tutti i giorni

producendo benessere, riconoscendo e promuovendo le

differenze e rimettendo al centro del progetto imprenditoriale e

manageriale la persona e il suo valore.

Gabriele Gabrielli

Page 7: Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer

7

Docente Università LUISS Guido Carli e Direttore Executive MBA Luiss

Business School Da: Ardito Imma Inviato: venerdì 16 gennaio 2009 12.54 A: Perillo Francesco Oggetto: lettura del tuo libro Si legge tutto d’un fiato, quasi come un romanzo. Sembra inoltre la mia Bibbia. Ci sono raccolti e razionalizzati anni di pensieri, parole scritte, trasferite nei discorsi, negli incontri, nelle riunioni, nelle aule, negli appuntamenti, nelle discussioni. Il mio discorso guida su cosa è, cosa dovrebbe essere e come sarebbe giusto fare per ottenere, che ancora –testardamente, ma coerentemente- vado ripetendo. Per me, è il libro del “io c’ero”, dell’abbiamo costruito assieme, imparato, sognato, realizzato. Che avrei potuto scrivere io. Così adiacente da far venire i brividi. Di assoluta piena soddisfazione. Che porterei subito in giro per far leggere a tutti quello che insieme ad altri ho realizzato, spiegando che “vedi qua, vedi là” c’ero anch’io, spingevo, spiegavo, tiravo, diramavo, razionalizzavo, disegnavo tabelle e rappresentazioni, costruivo, imparavo, che opportunità ho avuto, con chi stavo che facevo…..(e accanto alla felicità mi viene anche la lacrima della nostalgia, non solo per il passato andato, ma soprattutto per l’impossibilità di continuare a fare cose del genere da altre parti...). Sorrido, e passo oltre. Non sono solo colei che c’era, voglio anche essere la consulente che ascolta oggi, a contatto con una moltitudine di realtà organizzative. Che si confronta quotidianamente con “colleghi”, a tutti i livelli, dai consulenti ai senior manager, con gente che vive queste cose e pensa ed esprime giudizi e fa opinione. Cerco di immedesimarmi. Ascolto la mia lettura muta anche con loro nella mente, ma anche come normale semplice lettore: il laureando, il fresco psicologo di organizzazione, un cultore della materia. Imma. Alla fine la sensazione di trovare in un “non-manuale” la “teoria” espressa delle mie azioni randomiche, sempre accompagnate da un’organica vision non dichiarata del sogno del rendere l’impresa un posto migliore dove stare, perché è il posto in cui passiamo più ore di tutta la giornata. E perché solo così produce risultati “che fanno girare l’economia”, che tornano nuovamente come benessere personale nel rendere profittevole la mia azienda, ma anche dove vivo. Un servizio all’organizzazione gratificando la persona. Sento le mie “voci di dentro” apprezzare un libro “pieno di strumenti, tecniche” , “operativo”, che senza stare oziosamente a spiegare, senza volersi “fare maestro”, concede a chi è attento di trovare concrete “buone prassi” per rendere migliore e “gestita” la propria organizzazione: i punti di riferimento, la chiarezza del pensiero, la concatenazione di strumentazioni che da più parti vengono citate, ma difficilmente è possibile ritrovare così coraggiosamente inquadrate e descritte in modo sistemico e sistematico, senza appesantire e sfiancare il lettore attraverso la scontata tesi “di come dovrebbe essere”… Allora ti accorgi che nel libro ci sono almeno 3 anime: una tesi–discussione-denuncia, uno pseudo-manuale, la storia di un’esperienza e di un’organizzazione. Grazie Francesco!

Page 8: Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer

8

Imma Ardito

Consulente Senior e Coach PCC

I

IO TI VEDO

“Sawu bona”.

E’ il saluto che si scambiano gli indigeni ubuntu, un popolo che vive

nell’area sub-sahariana dell’Africa. Ce lo ricorda Peter Senge ad apertura

del suo straordinario testo The fifth discipline, Fieldbook (1994) col quale

egli ci offre una “arena di practice” per mettere in moto le 5 competenze

alla base di ogni effettiva learning organisation. Pratiche, appunto, come

quelle proposte in questo libro, nella convinzione che nel management il

trasferimento delle applicazioni e delle effettive esperienze siano più utili

di un manuale.

Può la cultura ubuntu trovare posto nella disciplina del management?

La risposta è affermativa se comprendiamo la natura profondamente

umanistica della gestione degli uomini e della conoscenza. Se confessiamo

a noi stessi che in definitiva il management è una scelta tra la leggerezza o

la pesantezza, la superficialità o la robustezza, nel modo in cui operiamo.

Forse esso non è neppure una “disciplina”. Senge parla di una “quinta

disciplina”, intesa come meta-competenza, la capacità di imparare ad

imparare propria degli individui come degli organismi

(“organizzazioni”?), che è per definizione negazione di ogni disciplina…

Sawu bona, dunque. Il saluto ubuntu è l’equivalente del nostro asciutto

“salve”, “ciao”, “hi” per gli inglesi.

Ho avuto un’esperienza di alcuni anni nell’HR Department di una grande

azienda transnazionale nel Regno Unito. Da meridionale portavo lì più

relazionalità che – ovviamente - disciplina. Ma ero il capo del personale e

riuscivo perciò a far lavorare gli altri, i miei collaboratori inglesi e

scozzesi, obiettivamente più competenti di me. Sì, lo confesso, all’inizio

del nuovo millennio, dopo venti anni di esperienza nel sindacale, nel costo

del lavoro e nella gestione del rapporto di lavoro, io non sapevo cosa fosse

Page 9: Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer

9

un 360° feedback, un programma di coaching o un piano di personale di

sviluppo. Mi rendevo però anche conto dell’evidente contraddizione tra

policy di gestione delle persone davvero ben strutturate e carenza di

relazione nei rapporti interpersonali e di gruppo. Certo la comunicazione

collettiva, tra announcement, roadshow e state of union, lì era molto

curata, ma restava formale e sostenuta da meticolose veline, spesso anche

corredate di domande e risposte, che impedivano di uscir fuori delle righe.

E tra le persone il silenzio.

Nell’ HR Department si lavorava immersi in un open space con le teste

scomparse dietro i display dei pc. A volte battevo le mani per sentirmi o

me ne andavo per i corridoi asettici nella speranza che qualcuno mi

fermasse per farmi una domanda. In realtà questi uomini erano assorbiti

dalla posta elettronica: selezionavano, assumevano, formalizzavano premi

e retribuzioni, erogavano e tutoravano una formazione rigorosamente e-

learning, benchmarkavano metriche e range retributivi, gestivano a

distanza i quesiti dei dipendenti o dei capi, operando in remoto dietro quei

grandi display a cristalli liquidi, novità assoluta per noi allora in Italia, che

sembravano veri e propri paraventi d’ufficio per nascondere la faccia. Un

innovativo sistema di gestione delle risorse umane, che potremmo definire

“ e- HR Management”, salvo poi scoprire che in quella sala tra colleghi di

gomito addirittura ci si parlava via mail.

Al mio arrivo in ufficio al mattino continuavo a salutare ogni collega che

incontravo e a porgere la mano a quelli più diretti. “Hi” rispondevano

affrettati e senza enfasi. Finchè un giorno uno di loro mi affrontò

domandomi: “sorry, perché tu ci saluti tutti se ci siamo appena visti ieri?”.

Poi si affrettò a precisare: “noi qui ci salutiamo solo al lunedì morning e al

venerdì afternoon”.

Fu allora, in quel preciso momento, ricordo, che le mie convinzioni

gestionali andarono in crisi: nè la gestione collettiva del personale, dalla

cui cultura io provenivo, né la gestione remota e procedurale, benché

molto attenta al customer care delle risorse umane, mi convincevano

come modello di gestione nelle imprese ad alta intensità di knowledge.

Fu allora che la lettura del testo di Peter Senge mi fornì una nuova chiave.

Sawu bona, nella lingua del popolo Ubuntu è il saluto corrente, che

letteralmente significa “io ti vedo”. Ad esso si risponde “Sikhona”, che

tradotto è: “io sono qui”.

Page 10: Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer

10

Ecco, immersi nelle organizzazioni, noi “ci siamo” solo nella misura in cui

“siamo visti”. Io sono quando sono nella relazione: è il principio di

identità alla base di ogni scambio. E’ forse proprio questo il principio alla

base di ogni effettiva creazione del valore.

Da qui deve partire ogni serio approccio alla gestione delle persone nelle

organizzazioni.

Il limite, soprattutto in Italia, della gestione del personale, ed anche il

motivo per cui la funzione HR risulta spesso “invisa” non solo ai

dipendenti ma addirittura ai capi e talvolta perfino ai capi-azienda, è tutto

qui: nella inconsapevole confortevole ignoranza della dimensione

“persona” nelle organizzazioni. In una sistemica incapacità di vedere e

riconoscere l’unicità del valore della persona e l’identità professionale del

singolo. Nell’eterna dialettica tra individuo ed organizzazione abbiamo

sempre scelto la dimensione organizzativa.

Le generazioni di Manager HR oggi tra i quaranta ed i sessant’anni

provengono dal “modello italiano” di democrazia industriale, decisamente

basato sul principio della rappresentanza e della gestione collettiva degli

interessi. La dominanza della dimensione sindacale nella gestione del

personale è espressa dai contratti collettivi di lavoro e dai livelli di

contrattazione. Quest’approccio, ancora oggi molto presente nel nostro

management, ha portato alcuni vantaggi ma anche nefaste conseguenze

nella gestione del capitale umano nelle nostre organizzazioni: la gestione

collettiva esorcizza le differenze e mortifica lo sviluppo delle potenzialità

dei singoli.

Noi, direttori del Personale e manager d’azienda, in nome di una presunta

necessità di “evitare precedenti” o “riflessi” sul personale, abbiamo

tendenzialmente preferito l’appiattimento, piuttosto che trovare soluzioni

tagliate sui problemi individuali. Ciascuno ha avuto il suo: i manager di

linea hanno delegato completamente alla Direzione del Personale la

gestione, concependone spesso la funzione come ente-spazzino, designato

a tenere il campo del business sgombro da problemi personali e sindacali;

dall’altra parte il Direttore del Personale ha legato le sue fortune al potere

demiurgico di mediatore dei conflitti sindacali, arbitro della governabilità

dell’impresa, garante dell’agibilità produttiva. Confessiamolo: abbiamo

avuto difficoltà a riconoscere nei nostri collaboratori il valore del

professionista ed a percepirli addirittura come “partner” legati all’azienda

Page 11: Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer

11

Controllo e conflitto

dal “contratto psicologico”. Non abbiamo gestito persone, ma qualifiche:

Dirigenti, Quadri, Impiegati, Operai; nella migliore delle ipotesi “i

laureati”, “gli ingegneri”, “i tecnici”, “gli amministrativi”, “i

commerciali”.

Un diffuso stile di management, che potremmo definire come “gestione

dell’indifferenza”, rischia di guidare ancora le nostre imprese nell’era del

mercato globale e della rete.

Quest’approccio “antiumanista” alla gestione comporta un’ulteriore seria

conseguenza, in quanto di per sé autorizza i capi a considerare le persone

“un affare dell’Ufficio del Personale”, una mera componente strumentale

nel processo di produzione. E l’Ufficio Personale a ritenersi l’ente gestore

delle risorse, “risorse umane”, appunto. Ciò può contribuire a spiegare,

almeno in parte, la carenza di leadership di cui soffre oggi il management:

nella misura in cui essere leader è competenza legata alla guida delle

persone, essa resta tendenzialmente estranea ai nostri manager ed al

modello di gestione delle nostre aziende.

Dove sono i singoli, con il loro potenziale di innovazione e di energie,

portatori di quelle “differenze” che, nelle imprese basate sulla conoscenza,

rappresentano l’effettiva sorgente del valore, ciò che davvero può fare la

differenza?

L’impresa di massa uscita dalle macerie della guerra, quella che fatto la

ricostruzione del Paese e realizzato il miracolo degli anni ’60 era ancorata

ad un rigoroso modello fordista, in cui all’ organizzazione gerarchica e

proceduralizzata del lavoro si contrapponeva la rappresentanza collettiva e

sindacale dei lavoratori, proponendo un modello di relazioni industriali

strutturalmente conflittuale. L’impresa guidata dal prodotto, dalla

massimizzazione e dalla serialità della produzione, sacrificava ogni

differenza al totem del lavoratore “fungibile”.

Controllo e conflitto rappresentano in un certo senso le parole-chiave nel

processo stesso di costruzione della piattaforma industriale italiana tra le

due guerre e nella successiva fase di spinta della Ricostruzione. Fatta

eccezione per il modello Olivetti che, come è noto, ha introdotto, in modo

probabilmente irripetibile, principi e prassi di humanistic management

all’interno di un modello di organizzazione produttivistica.

Ma il mondo globalizzato ed informatizzato ha finito per creare una

profonda discontinuità, rompendo lo schema, rendendo di fatto

Page 12: Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer

12

Motivazione e conoscenza

impraticabile la possibilità di competere in questo modo, a meno di voler

sfidare le economie emergenti sul terreno del costo della produzione ad

alta intensità di manodopera.

Al “lavoratore fungibile” Peter Drucker, già negli anni ’60, contrapponeva

il “knowledge worker”, la cui gestione metteva in crisi il modello teorico

del fattore-lavoro quale mezzo di produzione.

A partire dagli anni ’80 una rivoluzione copernicana, partita dal Giappone

per investire gli Stati Uniti, rovesciava il modello di gestione delle

imprese “market driven”; al controllo ed al conflitto si sostituivano la

motivazione e la conoscenza quali nuove parole-chiave della cultura

organizzativa basata sulla gestione totale della qualità.

Il processo straordinario e poderoso con cui si crea il valore sembra ora

essere racchiuso proprio in queste due decisive parole: esse si coniugano

sicuramente con il profitto e non comportano necessariamente una visione

etica dell’impresa. Si fondano invece sulla visibilità dell’individuo: un “io

ti vedo” sembra essere a fondamento del nuovo management. Esso

richiede perciò un esplicito riconoscimento di identità e di differenza.

Come dire che il talento, un talento esprimibile ad ogni livello

dell’organizzazione, si pone all’opposto del “fungibile”. La fungibilità è

una qualità non attribuibile più agli individui, essa va piuttosto riferita alle

condizioni organizzative in cui essi agiscono, si esprimono ed operano: nel

senso che le strutture organizzative nascono, muoiono e si sostituiscono -

sono appunto “fungibili”- lasciando invece alla competenza delle persone

e dei team l’unico possibile fattore di “permanenza” nella vita

dell’impresa.

In ciò forse è già un principio di spiegazione del declino industriale del

nostro Paese rispetto ai modelli del mondo anglosassone ed occidentale in

generale: abbiamo mantenuto un approccio sostanzialmente collettivista

alla gestione del personale, anche quando abbiamo implementato

organizzazioni piatte, a matrice, orientate ai processi. Un approccio

manageriale metalmeccanico, “pesante”, dietro la cui facciata si annidava

però un’insostenibile leggerezza.

Questa rappresenta probabilmente la contraddizione più visibile, ma anche

forse più legata alle specificità del tessuto della grande azienda industriale

italiana: la stessa struttura contrattuale rigida e collettiva, ad esempio,

costituisce di per sè una camicia di forza all’irrompere di un diverso

Page 13: Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer

13

Il principio d’indifferenza

approccio alle risorse umane. Un dato storico, risultato delle modalità con

cui la democrazia industriale si è affermata dal primo dopoguerra in poi in

Italia.

Ma c’è un’altra contraddizione, in parte corollario della prima, più

subdola e meno visibile, che attraversa il mondo delle organizzazioni, nel

privato come nella pubblica amministrazione, nell’industria come nel

terziario. Una visione collettiva ed indifferenziata delle risorse umane

dovrebbe in linea di principio essere basata sull’applicazione rigorosa di

standard, regole e procedure. E’ invece comune constatazione come

spesso essa si coniughi con uno stile di gestione basato sulla relazione e

l’interesse personale. Paradossale come la cultura “collettiva” riesca, a

volte in modo apparentemente efficace, a coniugarsi con la logica e la

prassi delle cordate, delle lobbies, delle irresistibili carriere basate sull’

“appartenenza”. Paradossale come il principio dell’indifferenza non neghi

in questo caso l’identità, ma la riconosca esclusivamente sul piano della

fedeltà. Un “Io ti vedo se mi sei fedele” è diffusa equazione gestionale, cui

corrisponde, come evidenzia Piero Celli, il corollario della mediocrità:

I mediocri (o finti tali) sono preziosi: non danno problemi di affidabilità,

dove li metti stanno e, soprattutto, non discutono. Il mediocre sa eseguire

con devozione (...). Per chi governa la mediocrità della truppa resta un

valore 1.

La valorizzazione della relazione personale in chiave di appartenenza

introduce il paradigma politico - nel senso deteriore della radice greca

della parola- nella gestione dell’impresa, contaminandola fino a

modificarne geneticamente la funzione: lungi dal costituire un modello di

management per la creazione del valore, esso abilita l’impresa come luogo

di scambio tra politica ed economia, tra pubblico e privato, tra interesse

personale ed interesse generale.

L’azienda è certamente uno dei luoghi privilegiati, un habitat quasi

naturale, dove l’esercizio della prevaricazione gratuita trova condizioni

ideali per esprimersi 2.

1 Pier Luigi Celli, Comandare è fottere, Mondadori 2008.

2 ibidem

Page 14: Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer

14

Nella misura in cui il tema del management si modula in quello del potere

è possibile mettere a fuoco le contraddizioni, i modelli mentali, i

comportamenti, le barriere, lo scarto che distanziano l’impresa “ideale”

dall’impresa “reale”. Ma anche l’impresa di valore da quella effimera.

Ci siamo mai chiesti perché si parla tanto di valorizzazione del capitale

umano, ma poi di fatto non si esce dai vecchi schemi?

Il passaggio da “risorse umane” a “persone” richiede un radicale

cambiamento della cultura organizzativa verso un modello di gestione

basato sulla responsabilità e sulla delega, piuttosto che sul comando e

controllo. L’aspetto fondamentale risiede perciò nel modificare i

meccanismi di funzionamento dell’organizzazione, passando da strutture

tipicamente verticali e gerarchico-funzionali a modelli orizzontali basati

sui team di progetto, di servizio, di prodotto. Nella misura in cui prevale la

cultura dei processi rispetto a quella delle procedure e della burocrazia

interna, questo passaggio diviene naturale, e la valorizzazione delle

persone da slogan diventa urgente necessità operativa.

Ma non si tratta di una scelta di tipo teorico-cognitivo. E’ invece

necessario un passaggio decisivo, un punto di svolta che spezzi il circolo

vizioso che lega mediocrità e potere. Esiste questo punto?

Il punto di svolta è la percezione da parte del top management che la

valorizzazione dei contributi e dei potenziali individuali e di team non è

slogan, né moda umanistica eticamente corretta, ma un must senza

scampo: un’ assoluta necessità operativa per stare nel mercato.

E’ in un certo senso fuorviante vedere la valorizzazione delle persone

come un obiettivo dell’impresa: essa costituisce invece una ricaduta,

probabilmente la più significativa, di un cambiamento organizzativo e

gestionale percepito come obiettivamente necessario, urgente, non più

rinviabile.

Page 15: Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer

15

Una nuova cultura manageriale per coniugare complessità ed incertezza

II

PREMESSE PER L’ HUMANISTIC MANAGEMENT

Perché chiamarla azienda? A pensarci bene essa è un luogo dove gran

parte dell’umanità spende il proprio tempo. Un luogo di soddisfazioni e

disagi, popolato di relazioni e di storie da raccontare. Non è un luogo

qualunque: da Tempi moderni alla fabbrica integrata alla knowledge

company, l’azienda è la metafora della eterna dialettica tra l’individuo e

l’organizzazione. Quanta libertà, quanta paura di cambiare, aspirazioni a

migliorare, ansie di prestazioni o di potere sugli altri ci giochiamo nel

piccolo antico mondo aziendale? Allora, per accogliere un suggerimento

di Piero Celli, chiamiamola “impresa”. Azienda è parola contabile,

impresa è parola epica. Rende meglio il senso di un luogo dove si

combatte, si svolgono azioni e si decidono destini…

Chi come me ha iniziato l’avventura manageriale alla fine degli anni ’70

è testimone di una radicale trasformazione nel modo di fare impresa

nell’era post-fordista. Un’intera generazione di manager quarantenni e

cinquantenni è cresciuta con le certezze delle teorie del management

“scientifico”, governando processi strutturati e soprattutto stabili con

sfrontato perfezionismo gestionale, applicando implacabili logiche

cartesiane e meccaniche, con l’unico credo della generazione del

profitto. Poi, globalizzazione, informatizzazione e le grandi

ristrutturazioni degli anni ’90, hanno portato il “cambiamento”. Un

cambiamento che, come ogni cambiamento, si è presentato

all’improvviso, con il suo carico di ambiguità e la doppia faccia della

minaccia e dell’opportunità.

La trasformazione dell’economia nell’ultimo decennio ha richiesto

ristrutturazioni continue, processi spesso contraddittori di fusione,

acquisizione e nello stesso tempo di scorporo, smembramento, cessione,

outsourcing. E’ veramente difficile rendere l’idea di cosa sia oggi, per

effetto di questi processi, un’azienda complessa. L’ “impresa adattiva” -

l’adaptive enterprise - è forse paragonabile una nave che solca gli

oceani in tempesta ed è soggetta a modificarsi continuamente in

Page 16: Perillo-L'Insostenibile Leggerezza Del Management_trailer

16

funzione dei venti e delle correnti: un vascello fantasma che mentre

naviga si de-materializza, perde pezzi, cambia forma ed anche

contenuto. Cosa succede sul ponte, nella stiva, sul cassero di quel

vascello? E’ facile comprendere come generare valore nella turbolenza

sia cosa diversa che governare la stabilità mediante il comando, la

pianificazione, il controllo.

Una nuova cultura manageriale si è resa così all'improvviso necessaria

per affrontare con adeguate capacità reattive il nuovo contesto e gestire

il cambiamento. Per risolvere un’equazione apparentemente impossibile:

coniugare complessità ed incertezza.

Nella knowledge economy l’impresa perciò non richiede tanto la

precisione manageriale, quanto la relazione, la capacità di connessione e

di costruire reti di continua cooperazione tra i suoi attori e tra questi ed i

fornitori ed i clienti, suoi veri e definitivi azionisti. Un’impresa che per

forza e non per moda richiede capacità di gestione del cambiamento, che

è gestione dell'incertezza. Così è andato in crisi il modello dello

“scientific management” che ininterrottamente, dal 1776, anno in cui

Adamo Smith pubblicò La ricchezza delle nazioni, al ‘900 di Taylor e di

Ford, agli anni ’80 con i principi di Total Quality Management di

Deming, aveva improntato il governo delle aziende e, soprattutto,

segnato la vita di generazioni di uomini, donne e manager che vi

lavoravano.

Se entrano in crisi i compiti prescritti e prevedibili, occorre allora

ripensare all’organizzazione come un mondo vitale, fatto di uomini più

che di strutture, di intelligenze emotive e non solo di capacità di calcolo.

La capacità di essere leader emerge oggi come necessario requisito di

sopravvivenza sia per la nave che per l’equipaggio.

Qui si gioca la partita dell’umanesimo aziendale, qui l’opportunità può

superare la minaccia del cambiamento. La funzione maieutica e sociale

del manager-coach, ispiratore di passioni, d’identità e di motivazione,

capace di “dare un’anima” all’impresa, può essere il perno di un

umanesimo aziendale fatto di persone vere ed intere, valorizzate nella

possibilità di crescita continua delle competenze e delle esperienze.

Non vi abbiamo riflettuto abbastanza. Presi forse dall’emergenza in cui

operiamo tutti i giorni, non ne abbiamo avuto il tempo.