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Rinnovamento nello Spirito Santo Zona Pastorale VI Per una Leadership del Discepolo: “pronti a dare” (1Tm 6,18b) Schema della Relazione del Coordinatore Diocesano Alessandro Mori Fraternità Pastorale - Vignate, 17 febbraio 2019 Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme è un successo. (Henry Ford) 1. Scossi da una Parola Occorre partire da quanto il Signore ci ha detto in assemblea: Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,33-35). E’ un monito che chiede accoglienza nel cuore. La veridicità del nostro discepolato non è nelle opere ma nell’amore che mettiamo gli uni per gli altri. Siamo mossi anche da un’altra parola che il Signore mi consegnava all’inizio della preparazione di questo intervento e che fonda quello che andremo a dire: A quelli che sono ricchi in questo mondo ordina di non essere orgogliosi, di non porre la speranza nell'instabilità delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà con abbondanza perché possiamo goderne. Facciano del bene, si arricchiscano di opere buone, siano pronti a dare e a condividere: così si metteranno da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera” (1Tm 6,17-19). Discepolo è colui che, una volta sperimentato l’Amore di Dio, è pronto a dare e condividere. Questo è il servizio. 2. Chiarezza del termine La parola leadership può assumere varie connotazioni. In ambito ecclesiale siamo portati a guardarla con sospetto; di fatto l’abbiamo eliminata poiché portava con sé l’idea del leader carismatico che, da solo, senza alcun legame e senza criterio di Movimento, si ergeva ad essere guida superiore sui fratelli. Non tratteremo di questo modello di leadership che risulta fallimentare e, per altro, lontana dal modello biblico. Interrogando le Scritture proveremo come la leadership che il mondo propone è ben diversa da quella che Dio indica. Per altro occorre ribadire che Gesù non abolisce la questione dei “primi”: Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,42-45). I primi servono alla Chiesa, servono alle comunità. E’ però Gesù a dare ordine e giusta valenza ai primi. 1

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Rinnovamento nello Spirito Santo Zona Pastorale VI

Per una Leadership del Discepolo: “pronti a dare” (1Tm 6,18b) Schema della Relazione del Coordinatore Diocesano Alessandro Mori

Fraternità Pastorale - Vignate, 17 febbraio 2019

Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme è un successo.

(Henry Ford)

1. Scossi da una Parola

Occorre partire da quanto il Signore ci ha detto in assemblea:

“Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,33-35).

E’ un monito che chiede accoglienza nel cuore. La veridicità del nostro discepolato non è nelle opere ma nell’amore che mettiamo gli uni per gli altri.

Siamo mossi anche da un’altra parola che il Signore mi consegnava all’inizio della preparazione di questo intervento e che fonda quello che andremo a dire:

“A quelli che sono ricchi in questo mondo ordina di non essere orgogliosi, di non porre la speranza nell'instabilità delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà con abbondanza perché possiamo goderne. Facciano del bene, si arricchiscano di opere buone, siano pronti a dare e a condividere: così si metteranno da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera” (1Tm 6,17-19).

Discepolo è colui che, una volta sperimentato l’Amore di Dio, è pronto a dare e condividere. Questo è il servizio.

2. Chiarezza del termine

La parola leadership può assumere varie connotazioni. In ambito ecclesiale siamo portati a guardarla con sospetto; di fatto l’abbiamo eliminata poiché portava con sé l’idea del leader carismatico che, da solo, senza alcun legame e senza criterio di Movimento, si ergeva ad essere guida superiore sui fratelli. Non tratteremo di questo modello di leadership che risulta fallimentare e, per altro, lontana dal modello biblico.

Interrogando le Scritture proveremo come la leadership che il mondo propone è ben diversa da quella che Dio indica. Per altro occorre ribadire che Gesù non abolisce la questione dei “primi”:

“Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,42-45).

I primi servono alla Chiesa, servono alle comunità. E’ però Gesù a dare ordine e giusta valenza ai primi. 1

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Volendo sintetizzare una definizione di leadership possiamo dire che

“la leadership consiste in un processo dinamico grazie al quale un uomo o una donna con capacità divinamente ordinate influenza il popolo di Dio in modo da fargli compiere la Sua volontà” (J. Robert Clinton).

Il leader, dunque, in ambito ecclesiale, è un vero e proprio influencer di Dio. Inoltre è evidente che un buon leader cristiano sarà anche un buon leader nel mondo. I due aspetti non vanno slegati perché indissolubilmente uniti.

Altra distinzione necessaria è la leadership riferita in termini di posizione formale - attraverso un ruolo ricevuto per elezione - e la leadership intesa come funzione. Tratteremo di questo secondo aspetto, avendo base più ampia all’interno delle nostre realtà. La leadership come funzione è il riconoscimento della libertà dello Spirito, che abilita chi vuole e come vuole. Si tratta dunque di comprendere chi tra noi svolge più influenza.

3. Principi biblici di leadership

Se il modello del mondo poggia su alcune espressioni del tipo “i leader non possono fidarsi del fatto che i loro subordinati svolgeranno il loro dovere” o “se ti fidi troppo, gli altri si approfitteranno di te”, la Bibbia ci mostra una via vincente e diversa di leadership.

OGNI AUTORITÀ PER GUIDARE VIENE DA DIO

In Lc 7,1-10, ci viene raccontato del centurione che si rivolge a Gesù perché uno dei suoi servi era ammalato e stava per morire. Il centurione era un leader formale, sotto di sé aveva cento soldati romani. Eppure rivolgendosi a Gesù egli si riconosce “nella condizione di subalterno” (Lc 7,8a). Egli sa che, pur dovendo guidare, si trova a sua volta guidato.

Dio ha stabilito delle autorità legittime in una varietà di istituzioni: civili (cfr. Rm 13,1-7), familiari (cfr. Es 20,17; Ef 5,22-23), ecclesiali (cfr. Eb 13,17). Nessun uomo, qualsiasi incarico copra, può dire di avere piena autorità.

Infatti ogni autorità proviene da Dio (cfr. Ef 3,14-15). Anche lo stesso Gesù è sottomesso al Padre (cfr. Gv 8, 28-29).

E’ dunque chiaro che i migliori leader sono, primariamente, dei buoni seguaci (cfr. Gv 15,16).

UN LEADER CRISTIANO DOVREBBE PORTARE IL MARCHIO DI UN UMILE SERVO

In primo luogo il leader sa di essere un servo. Lo spirito di servizio dovrebbe caratterizzare tutto ciò che egli dice e fa. Il leader non “regna” sugli altri come un dittatore. Cercare una posizione di comando per soddisfacimento personale, per appagare il proprio io o per esercitare la propria autorità sugli altri è in netto contrasto con il concetto biblico di leader chiamato a servire.

Il modello più chiaro lo troviamo nell’inno di Fil 2,1-8. Gesù è il servo per eccellenza. Così insegna ai suoi (cfr. Mt 20,20-28; Gv 13,1-16; 1Pt 5,1-7).

In alcuni leader, umili all’inizio del ministero, può accadere che, ottenendo successi, si sviluppi un celato orgoglio o un senso di superiorità. Paolo più cresceva nel ministero, invece, e più diventava umile. Per ben tre volte egli esplicitamente dice di sé: “io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli” (1Cor 15,9a); “a me, che sono l’ultimo fra tutti i santi” (Ef 3,8a); “primo dei peccatori” (1Tm 1,15).

LA LEADERSHIP CRISTIANA DEVE ESSERE SVILUPPATA CON RIFLESSIONE ED ESERCIZIO

La grande questione è: leader si nasce o si diventa? 2

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Leader non si nasce ne si diventa ma si rinasce (cfr. Gv 3,1-8) continuamente. Non c’è dubbio che alcuni nascano leader naturali, per indole. Ma anche questi devono sottomettere la loro abilità umana affinché possa essere utilizzata da Dio.

Il leader cristiano istruisce la comunità nella Parola di Dio, aiuta gli altri a identificare e ad usare i propri carismi, i propri talenti e le proprie abilità, motiva i fratelli a compiere opere buone, programma e organizza le attività della comunità, incoraggia gli stanchi, consiglia i deboli nella fede. E’ dunque un’abilità soprannaturale che è incapace a chi si ferma al piano naturale.

Il leader secondo il mondo: fiducia in se stessi, comprende l’uomo, decisioni autonome, ambizioso, sviluppa metodi propri, gode nel dare ordini agli altri, è motivato da considerazioni personali, indipendente.

Il leader cristiano: fiducia in Dio, comprende prima Dio e dunque l’uomo, cerca la volontà di Dio, servo, cerca e segue i metodi di Dio, si diletta nell’obbedire a Dio, è motivato dall’amore per Dio e per l’uomo, dipende da Dio.

La leadership è anche un carisma: “chi presiede, presieda con diligenza” (Rm 12,8). Si tratta del carisma di governo.

DIVERSI STILI DI LEADERSHIP

Nella Bibbia nessun leader è esattamente identico ad un altro. Paolo, ad esempio, ha più carattere apostolico rispetto a Barnaba che ha più carattere pastorale. Così come Mosè fu una guida differente da come lo fu Giosuè. Anche Saul e Davide governeranno in maniera distinta.

[*In appendice 1 troverete un decalogo del buon leader strutturato sul fallimento di Saul]

Si aggiunge il carattere, la vicenda personale, la personalità e le circostanze; tutto ciò aggiunge alle diversità di modelli di leadership.

Paolo riporta cinque modelli presenti nella Chiesa primitiva:

“Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo” (Ef 4,11-12).

Pur nella diversità, le cinque tipologie concorrono al medesimo fine: guidare per l’edificazione.

Gli apostoli avevano come campo d’azione la visione; loro funzione era di essere pionieri. I profeti avevano come campo d’azione il peccato; loro funzione il predicare. Gli evangelisti avevano come campo d’azione la salvezza; loro funzione raggiungere chi è fuori. I pastori avevano come campo d’azione la cura; loro funzione aiutare chi è dentro. I maestri avevano come campo d’azione la verità; loro funzione istruire.

Tali sono i bisogni di ogni Chiesa, in ogni tempo. Uno stile non è migliore dell’altro, ma in base al bisogno reale una comunità può avere più bisogno di uno stile piuttosto che un altro. Un buon leader dovrebbe saperli ricoprire tutti e cinque.

LA FUNZIONE PRIMARIA DELLA LEADERSHIP NELLA CHIESA È DI EQUIPAGGIARE

Ruolo principale del leader è di comunicare la visione e poi equipaggiare i fratelli in modo tale che siano loro a svolgere il ministero. Lo slogan dovrebbe essere: “meglio mettere dieci fratelli all’opera che fare il lavoro di dieci fratelli”.

Il leader, dunque, più che dirigere è uno che agevola.

Un proverbio cinese dice: “Quando il lavoro del miglior leader è fatto e il suo compito è compiuto, le persone intorno a lui diranno: lo abbiamo fatto noi”.

[*In appendice 2 troverete dei casi pilota di leadership per la riflessione] 3

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4. Profilo del leader cristiano

Ecco alcune abilità e caratteristiche personali che il leader deve far proprie.

DEVE MANTENERE UN CARATTERE CHE IMITA QUELLO DI CRISTO

Una grande verità: “la vittoria privata precede quella pubblica”. La leadership scaturisce dal carattere. Se Gesù non ha ancora vinto in me e non regna nel mio cuore come posso pensare che opererà attraverso di me? Il leader è anzitutto modellato all’immagine di Cristo e tale opera è il frutto della grazia. Per questo occorre mantenerla tramite la preghiera personale e comunitaria, lo studio e la meditazione della Parola, la frequentazione ai sacramenti. Il leader si preoccupa anzitutto della sua vita personale.

DEVE LAVORARE BENE CON UN TEAM

Non si è leader da soli. Dovrebbe essere un’impostazione naturale del ministero. Se non si è in grado di lavorare con un team, come si può guidare una comunità? Il lavoro di gruppo è il modello normativo del NT (cfr. Mc 3,13ss.), Gesù stesso lo adotterà. Paolo e Barnaba sono scelti insieme (cfr. At 13,2) come team di missionari. Anche dopo il loro dissenso (cfr. At 15,36-41), pur separandosi, non rimasero soli: Paolo prese con sé Sila, mentre Barnaba scelse Marco. Un team è un gruppo di persone unito da un comune obiettivo: è il luogo dove sperimentare la molteplicità nell’unità.

DEVE SVILUPPARE I DONI E LE CAPACITÀ DEGLI ALTRI

Il leader non costruisce il proprio ministero sulla sua persona e sul proprio lavoro. Il segreto del buon leader è quello di discepolare e addestrare altri: “le cose che hai udito da me davanti a molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali a loro volta siano in grado di insegnare agli altri” (2Tm 2,2). Il leader non è geloso e pone tra i suoi obiettivi principali la formazione e l’addestramento dei futuri leader. Per questo è attento a sviluppare i carismi e le capacità di tutti.

DEVE SAPERE DELEGARE LE RESPONSABILITÀ

Il leader sa di non poter fare tutto da solo ed è ben contento di delegare ad altri il ministero. Insieme si compie più lavoro che da soli. In Es 18 viene narrato l’incontro tra Mosè e suo suocero. Da lui riceverà un importante insegnamento: “non va bene quello che fai!” (Es 18,17b) gli dirà, vedendolo da solo gestire i numerosi diverbi tra il popolo. Mosè imparerà a delegare ad altri il ministero. Si delega perché il leader riconosce di non essere capace in ogni ambito, riconoscendo le abilita altrui. Si delega per sviluppare un maggiore senso di appartenenza. Una regola: il leader non può richiedere di più di quanto non è disposto a dare lui stesso per primo. Evitare di sovraccaricare gli altri. La delega non è la disaffezione al proprio mandato.

DEVE STABILIRE DELLE METE, PIANIFICARE E LAVORARE IN VISTA DI OBIETTIVI SPECIFICI

E’ una prassi normale ma spesso disattesa nelle nostre comunità. Spesso manchiamo di progetti nel calendario annuale e campiamo di improvvisazioni da cui non beneficia la comunità. Gesù usa un’immagine molto chiara per dirci questo: “chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo dicendo: «Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro». Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila?” (Lc 14,28-31). Il leader svolge un lavoro accurato di pianificazione, sempre però aperto alle sorprese dello Spirito, dunque flessibile. Evitare il rischio della burocratizzazione ma anche quello dell’improvvisazione. Il leader matura in preghiera e attraverso la profezia le mete, i piani, le strategie calandosi però sempre nella realtà. Il buon leader è resiliente.

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DEVE FORMULARE LA SUA VISIONE IN MODO DA ISPIRARE GLI ALTRI

Il leader non vede solo il presente ma immagina il futuro, essendo in comunione con Dio e con il suo Spirito. E’ la profezia della Pentecoste: “i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni” (Gl 3,1b). E’ Gesù stesso a dire che lo Spirito “annuncerà le cose future” (Gv 16,13b). Così il leader riconosce l’importanza di comunicare la sua visione per avere un criterio di discernimento da parte del team.

DEVE ESSERE TENACE E SAPER SUPERARE EVENTUALI BATTUTE D’ARRESTO

Satana si opporrà con forza ad ogni tentativo di ministero e di crescita della Chiesa. La Parola ci avverte: “Figlio, se ti presenti per servire il Signore, prepàrati alla tentazione” (Sir 2,1). Il leader sa di entrare in un combattimento spirituale continuo. I problemi non mancheranno, sono inevitabili. Per questo il leader deve essere disposto a lavorare a lungo e sodo, senza resa: “non concedetevi riposo” (Is 62,6f). Le sfide così sono viste come opportunità e non come problemi. L’atteggiamento non è quello passivo di vittima ma di reazione.

DEVE GUIDARE NELL’EVANGELIZZAZIONE

L’evangelizzazione è una componente intrinseca della Chiesa, è la sua natura. Se il leader non è attivo in questo campo tutta la comunità sarà inattiva. Attira con l’esempio. L’evangelizzazione è il compito fondamentale che Gesù ci ha affidato: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19-20) garantendo di accompagnarla con “segni” (Mc 16,17a). Gesù stesso addestra i Dodici a prendere il suo posto.

5. Sfere d’influenza di leadership

Una delle sfide più difficili per un leader riguarda l’amministrazione del suo tempo: “facendo buon uso del tempo” (Ef 5,16a), dato che i bisogni dei fratelli della comunità sono infiniti. La questione è annosa e non ci sono risposte banali ma uno dei parametri fondamentali è che, affinché un ministero cresca, nuovi leader devono essere addestrati. Rischio è quello che tutto ristagni e, con il tempo, muoia.

Gesù è il migliore esempio di come mantenere un sano equilibrio. Egli, invece di preoccuparsi a raggiungere il maggior numero possibile di persone, addestrò un piccolo gruppo di leader che avrebbero poi raggiunto il mondo. E’ incredibile constatare come Gesù gestiva il suo tempo. Un esempio è la “giornata-tipo” di Cafarnao (cfr. Mc 1,21-38). Gesù lavorava distintamente con quattro gruppi di persone:

- le folle: sono i grandi numeri del vangelo, non hanno nome o volto. Spesso acquistano un carattere negativo, accerchiando Gesù con la pretesa di un miracolo (cfr. Mc 1,37). Sappiamo che giungono ad essere cinquemila persona, contando solo gli uomini (cfr. Lc 9,14). Alcuni credevano, ma non tutti. La folla è varia.

- i discepoli: è il gruppo più ampio, che non viveva a stretto contatto con Gesù ma aveva comunque lasciato tutto per seguirlo (cfr. Lc 14,27). Il numero totale varia; molti di questi lasciano Gesù (cfr. Gv 6,66), un numero elevato dal quale ne designa altri settantadue da inviare (cfr. Lc 10,1). Dopo la risurrezione appare a più di cinquecento di loro (cfr. 1Cor 15,6) e un nucleo di centoventi (cfr. At 1,15) si dedicava alla preghiera con Maria in attesa dello Spirito promesso.

- i Dodici: gli apostoli godettero di un rapporto speciale con Gesù. Furono scelti tra i molti che lo seguivano (cfr. Lc 6,13). A loro, ad esempio, spiega le parabole dette alle folle (cfr. Mt 13,18-23. 36-43). Loro sono la priorità nel tempo e negli sforzi fatti da Gesù.

- i tre: Pietro, Giacomo e Giovanni. A loro Gesù sceglie di manifestarsi pienamente, non come ad altri. Esempi di questo legame forte si trovano al momento della Trasfigurazione (cfr. Mt 17,1ss.), al momento della guarigione della figlia di Giàiro (cfr. Mc 5,37), davanti al tempio (cfr, Mc 13,3-4), al

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Getsèmani (cfr. Mc 14,33). Questi tre avranno un ruolo preminente nello sviluppo della Chiesa nascente.

E’ chiaro che Gesù non avesse la stessa relazione con tutti e quattro i gruppi. Ma è da notare come l’intensità - immaginandoci una serie di cerchi concentrici - del rapporto aumenti partendo dalle folle arrivando fino ai tre. Le priorità di Gesù erano maggiori nei riguardi della formazione delle sfere centrali (i tre e i Dodici).

Così anche il leader deve seguire l’esempio di Gesù focalizzando gli sforzi per preparare nuovi leader in modo da creare una sorta di gerarchia di rapporti:

- il mondo esterno: verso il quale il leader esercita il ministero in senso generale.

- i potenziali leader: sono credenti che potrebbero avere potenzialità di leadership.

- il team: con il quale il leader lavora a stretto contatto per il bene della comunità.

- i leader apprendisti: quelle persone con le quali il leader è a stretto contatto per l’addestramento.

Per concludere, più ci si avvicina al centro (leader apprendista), più tempo ed energie è importante dedicare allo sviluppo. Occorre lavorare in qualche misura con tutti nelle varie sfere, in quanto non si può mai essere sicuri di chi diventerà un buon leader nel futuro. Idealmente, coloro che si trovano nelle sfere esterne, nel crescere e maturare, si muoveranno gradualmente verso quelle interne. Dato che il leader passerà la maggior parte del tempo lavorando con le sfere interne, le altre persone devono portare avanti il ministero verso le sfere esterne in modo da non trascurarle.

6. Come lavorare in team

Il lavoro di gruppo comporta lavorare insieme con altri su un compito preciso piuttosto che farlo da soli. Una Parola ci è da monito:

“Meglio essere in due che uno solo, perché otterranno migliore compenso per la loro fatica. Infatti, se cadono, l'uno rialza l'altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. Inoltre, se si dorme in due, si sta caldi; ma uno solo come fa a riscaldarsi? Se uno è aggredito, in due possono resistere: una corda a tre capi non si rompe tanto presto” (Qo 4,9-12).

E’ chiaro che quando parliamo di team, calato nella nostra realtà, stiamo parlando di Pastorale di Servizio o di Comitato di Servizio.

Il lavorare insieme è la norma del ministero modellato nel Nuovo Testamento. Abbiamo già detto come Gesù chiama i Dodici per lavorare con loro. Quando Gesù li fece debuttare nel ministero, moltiplicò i loro sforzi mandandoli “due a due” (cfr. Mc 6,7). Pietro andò con altri cristiani ad evangelizzare Cesarea (cfr. At 10,23). Lo Spirito sceglie Paolo e Barnaba come il primo team missionario (cfr. At 13,2). Dopo il loro primo viaggio missionario, il team si moltiplicò per formare due altri team (cfr. At 15,36-41). Nella Chiesa primitiva oltre al leader vi erano anziani (cfr. At 14,23).

La norma del lavoro comune risiede nella teologia dei carismi (cfr. 1Cor 12): condividendo ciascuno il proprio dono si ottengono grandi benefici sulla comunità.

Per la crescita del team occorre del tempo passato insieme, attraverso un incontro stabile settimanale a quattro facce:

PREGARE INSIEME

Non è scontato. Non c’è miglior collante della preghiera che lega tra loro i fratelli. Non sono le abilità personali o la simpatia. Il team è fondato sulla preghiera per i loro bisogni personali, per gli obiettivi del ministero e per i fratelli affidati.

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DISCUTERE IL MINISTERO DI CIASCUNO

E’ il luogo di verifica, ascoltando ciò che ognuno sta facendo e sta vivendo. Anche l’ascolto reciproco aiuta l’unità del gruppo, lo edifica.

PROGRAMMARE INSIEME

Il leader dovrebbe coinvolgere le persone che lavorano al suo fianco nel processo di programmazione e non arrivare all’incontro di team avendo già pianificato ogni cosa. La programmazione massimizza il potenziale del lavoro di gruppo.

EDIFICARE ED EQUIPAGGIARSI A VICENDA

Un buon leader renderà più agevole lo sviluppo delle capacità di ministero in ogni membro del team. Dedicherà del tempo se vi sono dei deficit, così come intuirà se i membri del team hanno bisogno di preghiera di intercessione per una particolare situazione.

Il fatto di trovarsi regolarmente ogni settimana educa alla disciplina. Il clima deve essere quello della famiglia, in cui vi è fiducia reciproca per aprirsi all’altro, per condividere dubbi, ansie, paure, per chiedere consiglio. I membri del team devo arrivare ad un tipo di intimità in cui non si ha paura di relazionarsi con l’altro.

Le responsabilità del leader sui membri del team sono quattro:

SVILUPPA IL RAPPORTO DEI MEMBRI DEL TEAM CON DIO

Il leader è anzitutto il pastore del team. Offre il sostegno spirituale quando ne hanno bisogno, conosce i loro bisogni e i loro silenzi. Passa del tempo con loro e non ha paura di fare domande scomode. Il leader prega per i membri del team, perché crescano e sviluppino carismi. Offre una disciplina di studio biblico e di preghiera se sono carenti.

SVILUPPA IL RAPPORTO DEI MEMBRI DEL TEAM L’UNO CON L’ALTRO

Il clima, come già detto, è quello della fiducia reciproca e non delle malelingue e dei sotterfugi. Se ci sono problemi nel team, è il ministero stesso a soffrirne. Insieme con loro occorre capire i propri temperamenti, le aree di forza e di debolezza, gli atteggiamenti positivi.

SVILUPPA NEI MEMBRI DEL TEAM LA VISIONE PER IL MINISTERO

Il leader ribadirà sempre la visione al team, per evitare scoraggiamenti, non dando mai per scontato che la comprendano. Il leader deve provocare e sfidare il team ad avere progetti sempre più ambiziosi, senza mai accontentarsi del punto di arrivo.

SVILUPPA NEI MEMBRI DEL TEAM LE CAPACITÀ DI MINISTERO

Molti fratelli evitano il ministero in quanto sentono di non avere le capacità adatte, così come molti non studiano la Bibbia perché pensano di non esserne capaci. Il buon leader deve essere disposto a prendere del tempo per migliorare le capacità di ministero di cui il team avrà bisogno. Occorre esercitarsi insieme. Importante per il leader è la capacità di fare discernimento.

[*In appendice 3 troverete una tabella di sviluppo delle fasi di un team]

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7. Essere servi: il modello del buon leader

La novità portata da Gesù nella leadership consiste fondamentalmente nel fatto che la sua modalità è esplicata nel servizio.

“Tra voi non sarà così” (Mt 20,26a).

Se la leadership descrive il “cosa”, il servizio ha a che fare con il “come”. Essere leader-servi.

• Un leader-servo mantiene e costruisce l’unità. Egli evita discussioni inutili riguardanti il possesso, il credito o il territorio.

• Un leader-servo non è minacciato dalle capacità e dai successi degli altri. Egli riconosce invece il valore di queste capacità e le usa per aiutare a raggiungere gli scopi prefissi dal gruppo.

• Un leader-servo edifica gli alti. Egli lavora per incoraggiare e per innalzare gli altri in ogni modo possibile. Celebra le vittorie degli altri, per quanto siano piccole.

• Un leader-servo è attivo nel portare avanti i propositi, ma allo stesso tempo mantiene uno spirito di mitezza e di considerazione per gli altri.

• Un leader-servo parla bene degli altri in ogni circostanza.

• Un leader-servo cerca di costruire una base ampia di altri leader con i quali guidare insieme.

• Un leader-servo sa riconoscere ed usare l’autorità in modo corretto.

• Un leader-servo non attinge il suo senso di significato, valore o reputazione dalla posizione che ha.

• Un leader-servo non prende decisioni motivate dalla voglia di emergere, progredire, trovare maggiore agio o autorità o una posizione più alta a danno di coloro che sta servendo.

• Un leader-servo è consacrato al progresso dei suoi seguaci, ai loro ministeri e alla loro crescita.

• Un leader-servo sviluppa altri leader-servi per provvedere una forte base di leadership alla comunità.

8. Stili di interazione

La leadership è un processo sociale, dato che si ha a che fare con persone. Pertanto occorre verificarci anche in base al modo in cui ci relazioniamo con gli altri.

[*In appendice 4 troverete un test per verificare gli stili di interazione]

Ci sono quattro stili di interazione, ma nessuno di questi quattro è il migliore; ciascuno infatti ha dei punti sia positivi che negativi.

FACITORE

E’ colui che prende il comando e affronta la sfida di cambiare le cose e di rendere più efficace il ministero. Sono persone molto capaci, pronte e risolvere tutto e subito. Persone d’azione, sulle quali si può contare quando vi è bisogno. Non temono rischi e a volte accettano troppo lavoro, dando poi l’apparenza di persone impazienti quando non ci sono progressi evidenti.

“Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil 4,13)

Il facitore desidera libertà, autorità, compiti difficili, individualismo. Sono coloro che danno risposte dirette, enfatizzano la logica, provvedono pressioni. Potrebbe essere visto dagli altri come duro, aggressivo, autoritario, severo.

Alcuni passi per crescere: imparare ad ascoltare ed essere paziente, controllare di meno gli altri, sviluppare un maggiore senso di premura per gli altri, essere più flessibile e sorreggere gli altri, spiegare perché le cose sono in un certo modo.

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STIMOLATORE

E’ colui che provvede agli altri la motivazione e li influenza in modo da farli lavorare insieme per ottenere risultanti importanti. Gli stimolatori sono persone ottimiste ed entusiaste che sono molto abili nel relazionarsi con gli altri. Spesso buoni comunicatori e sanno spiegare idee in modo da ispirare gli ascoltatori. La loro tendenza a entusiasmarsi per cose nuove può creare problemi quando devono portare avanti compiti lunghi nel tempo.

“Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque” (Mt 14,28).

Lo stimolatore desidera prestigio, rapporti amichevoli, libertà da controlli e dettagli, libera espressione. Sono amichevoli e democratici, provvedono al riconoscimento e all’accettazione, cercano coinvolgimento sociale. Potrebbero essere visti come facilmente entusiasmabili, egoisti, reazionari, manipolativi, chiacchieroni.

Alcuni passi per crescere: essere meno impulsivi e valutare le idee, orientarsi di più verso i risultati, controllare azioni e emozioni, focalizzarsi di più sui dettagli e sui fatti, rallentare, ascoltare e parlare di meno.

COMPAGNO DI SQUADRA

E’ colui che collabora prontamente con altri per portar avanti la visione e i piani. Sono grandi sostenitori, persone leali che hanno forte sensibilità verso gli altri. Si può contare su di loro per completare i compiti dati dai leader. In alcuni casi non lavorano bene da soli in quanto mancano di iniziativa personale.

“Barnaba voleva prendere con loro anche Giovanni, detto Marco” (At 15,37).

I compagni di squadra desiderano specializzazioni individuali, identità di gruppo, schemi di lavoro stabili, sicurezza, obiettivi e descrizioni di lavoro chiari. Servono come amici, permettono del tempo per adattarsi ai cambiamenti, permettono la libertà di lavorare al proprio ritmo, provvedono sostegno. Potrebbero essere visti come conformisti, goffi, dipendenti dagli altri, lenti, reticenti.

Alcuni passi per crescere:essere meno sensibili a ciò che gli altri pensano, essere più diretti, preoccuparsi di più al compito stesso, affrontare le situazioni ed essere più decisivi, imparare a dire dei no, fare più cose per promuovere l’azione.

PENSATORE

E’ colui che è motivato a perseguire visioni e piani con eccellenza e con attenzione ai dettagli. Sono persone coscienziose e ordinate che hanno grande percezione per i dettagli. Si può contare su di loro per portare avanti i progetti che per gli altri risultano troppo complessi. Son logorati dai cambiamenti inattesi e tendono a irrigidirsi davanti all’ambiguità.

“Anch'io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi” (Lc 1,3).

I pensatori desiderano specializzazione, precisione, progettazione, sicurezza, stabilità, rischi limitati. Provvedono rassicurazioni, mantengono un clima di sostegno, specificano metodi e standard. Potrebbero essere visti come critici, noiosi, cavillosi, indecisi, moralisti.

Alcuni passi per crescere: focalizzarsi sul fare le cose giuste e non solo sul farle nel modo giusto, reagire con maggiore prontezza, iniziare a fidarsi del proprio intuito e orientarsi di meno verso i fatti, essere disponibili a rischiare di più, essere più aperti e più flessibili, non avere paura di sviluppare rapporti.

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9. AAA cercasi Leader

Da ogni parte si avverte il bisogno di leader: in campo economico, politico, famigliare. Anche nell’ambito ecclesiale notiamo una carenza di leadership. Ogni comunità ne ha bisogno, rischio sarebbe quello di non avere una guida e di perdersi. Nella parabola dei talenti (cfr. Mt 25,14-30) è Gesù stesso a dare un criterio semplice dal quale iniziare:

“Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto” (Mt 25,21.23).

Occorre partire sempre dal poco; lì spesso si annida una buona base per una leadership. I fratelli fedeli nei ruoli minori vanno osservati perché la fedeltà nelle piccole cose è il requisito per progredire.

Quali fattori occorre tenere presenti per addestrali?

- Doni spirituali: ogni membro è portatore di (almeno) un carisma; in base a quello parte la crescita.

- Capacità: tenere presente anche le doti naturali e lavorative, anche questi possono essere utili.

- Bisogni: in base a quanto si vive - realtà - occorre costruire.

- Esperienza: il passato può influire positivamente o negativamente, fare attenzione.

- Personalità: la questione del carattere non è secondaria per una buona leadership.

Infine cinque passi per addestrare nuovi leader:

lo faccio io, lo faccio io ma tu guarda, lo facciamo insieme, lo fai tu e guardo io, fallo tu.

Mio padre era un maresciallo dei Carabinieri. Sono cresciuto con l’uniforme a bande rosse dell’Arma

e ritrovo sempre i valori con cui sono cresciuto e che sono stati alla base della mia educazione: la serietà, l’onestà, il senso del dovere, la disciplina, lo spirito di servizio.

(Sergio Marchionne, ultima apparizione pubblica 26 giugno 2018)

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Appendice 1: Il Decalogo del leader

Prendiamo come punto di riferimento l’antitesi biblica tra Saul e Davide. Due re, due uomini di responsabilità, due differenti modelli di leadership. Saul è il leader negativo, mentre Davide è modello di una leadership positiva e da questo proviamo a strutturare una sorta di decalogo di qualità umane dell’animatore. La parola leader che qui uso la intendo, in senso ampio, come guida, modello, esempio; non è da intendersi a primazia spirituale e carismatica. Il leader, pertanto, è colui che è chiamato a servire e, sul modello del Maestro, ad imitarlo.

Una premessa: Saul è presentato all’inizio come "prestante e bello: non c'era nessuno più bello di lui tra gli Israeliti; superava dalla spalla in su chiunque altro del popolo” (1Sam 9,2). L’aspetto esteriore non è il criterio divino, ribadito nella chiamata di Davide: “non conta quel che vede l'uomo: infatti l'uomo vede l'apparenza, ma il Signore vede il cuore” (1Sam 16,7b). L’entrata in scena del futuro re Saul è già un fallimento, chiaro segno di come sarà il suo governo. Egli è mandato dal padre Kis a cercare le sue asine smarrite. Compito che Saul non riuscirà a portare a termine.

1. avere fiducia: bisogna essere fiduciosi in se stessi, negli altri e, soprattuto, in Dio. Saul, quando viene chiamato dinanzi a tutto il popolo per iniziare il suo mandato regale, è scomparso: “si misero a cercarlo, ma non lo si trovò” (1Sam 10,21b) perché “nascosto in mezzo ai bagagli” (1Sam 10,23b). Saul nel momento in cui è chiamato a prendere una decisione si nasconde! Non ha fiducia di sé e nemmeno di Dio che lo ha scelto. Non dobbiamo confondere la mancanza di fiducia con l’umiltà. Non essere fiduciosi è mancare di umiltà e di sicurezza. Un buon leader ha fiducia ed è sicuro di ciò che fa perché unto da Dio. Davide, di fronte a Golia, esclama: “il Signore che mi ha liberato dalle unghie del leone e dalle unghie dell’orso, mi libererà anche dalle mani di questo Filisteo” (1Sam 17,37a). La leadership nasce dall’unzione e si rafforza nella funzione.

2. non starsene zitti: un buon leader non può tacere. Saul viene disprezzato da alcuni del popolo, i quali, probabilmente, avevano intuito che non poteva essere una buona guida ma il re “rimase in silenzio” (1Sam 10,27b). Il leader deve avere sempre una parola pronta per ogni situazione. Una parola non diffamatoria o negativa ma sempre, in ogni caso, positiva. Il leader deve motivare e mai scoraggiare, deve sempre giocare al rialzo, mai al ribasso. In definitiva, egli è servo della Parola e suo ambasciatore: “tu sei Dio, le tue parole sono verità” (2Sam 7,28a). Il leader è spinto dalla Parola e lo mostra anche quando le circostanze farebbero pensare al contrario. Il leader è anche profeta, ha una visione ispirata dalla Parola di Dio e la mostra ai suoi. Il leader vive nel futuro, non nel passato, avendo però i piedi ben piantati nel reale e nel presente.

3. dare motivazioni: Saul usa minaccia e ricerca consenso umano. “Prese un paio di buoi, li fece a pezzi e li inviò in tutto il territorio d'Israele per mezzo di messaggeri con questo proclama: «A chi non uscirà dietro Saul e dietro Samuele, così sarà fatto dei suoi buoi». Cadde il terrore” (1Sam 11,7). Il leader, invece, motiva e da motivazioni senza creare terrore trai suoi. Non usa mai la minaccia ma mostra la sua visione e il suo obiettivo. Il leader è anche un educatore che sa trovare sempre la strategia giusta per incentivare i suoi senza denigrarli. Il leader positivo non ha paura di delegare e lavora bene in squadra. Al leader non interessa il parere “degli altri” e non ricerca il consenso poiché ha una motivazione affidabile che lo anima. “Davide riusciva in tutte le sue imprese, poiché il Signore era con lui” (1Sam 18,14).

4. essere obbediente: “Il Signore gradisce forse gli olocausti e i sacrifici quanto l'obbedienza alla voce del Signore? Ecco, obbedire è meglio del sacrificio” (1Sam 15,22) rimprovererà Samuele al re. Saul ha una parvenza religiosa ma non è attaccato con il cuore a Dio. Il leader, proprio perché riconosce che il suo ministero proviene da Dio, Gli obbedisce. Obbedire è un verbo che incute sospetto. Non è il fare semplicemente le cose che vengono ordinate. Obbedire significa “ascoltare in piedi” cioè attentamente. Il leader sa farsi ascoltare perché è lui per primo attento ascoltatore di Dio: “Davide consultò di nuovo il Signore e il Signore gli rispose” (1Sam 23,4a). Un buon leader è prima di tutto un buon seguace di Gesù.

5. essere altruista: Saul è attento solo ai suoi bisogni tanto che costringe il popolo a digiunare dopo una battaglia che ha stremato l’esercito: “Maledetto chiunque toccherà cibo prima di sera, prima che io mi sia vendicato dei miei nemici” (1Sam 14,24). Saul è un incredibile egoista, ripiegato solamente sul suo ombelico. Il leader, invece, è attento primariamente ai bisogni altrui ed è in grado di sviluppare i carismi e le capacità degli altri. Davide, durante la battaglia contro gli Amaleciti, raggiunge al termine i duecento uomini che, sfiniti, erano rimasti indietro e “domandò loro come stavano” (1Sam 30,21b). Non è geloso di vedere carismi negli altri, differentemente da Saul che si ingelosisce di Davide. Un buon leader pone, tra i suoi obiettivi, la formazione di altri leader.

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6. non scendere mai a compromesso: il leader mai può scendere al compromesso. Dio ordina a Saul di votare allo stermino Amalèk senza risparmiare nessuno. Saul e il popolo però “risparmiarono Agag, re di Amalèk, e il meglio del bestiame minuto e grosso, cioè gli animali grassi e gli agnelli, tutto il meglio, e non vollero sterminarli” (1Sam 15,9a). Saul crede di scendere a compromessi con Dio mentre Davide “fece come il Signore gli aveva ordinato” (2Sam 5,25a). Il leader non può mai scendere a compromessi nello svolgere la sua missione anche quando rimane solo. Spesso, il leader, per le scelte che assume, rimane solo ma non si preoccupa. Il leader non può scendere a compromessi con la mentalità del mondo, annacquando così il suo ministero e la sua missione.

7. mettersi a servizio: Saul è un amante del potere tanto che “si è fatto costruire un trofeo” (1Sam 15,12b). Il re soffre di poca stima di sé e per tentare di curarsi si accontenta di una statua celebrativa. Il leader, invece, riconosce il potere dell’amore che vince su tutto. Si pone a servizio degli altri mediante i carismi ricevuti riconoscendo che la forma più alta di amore è donarsi: “tutto Israele e Giuda amavano Davide” (1Sam 18,16a). Il vero leader non è un dittatore che regna ma un servo. Il leader è un servitore della storia attraverso la quadruplice visione sturziana: famiglia, chiesa, cultura e lavoro.

8. stare in comunione con Dio: il leader riconosce come fondamentale lo stare in Dio attraverso il suo Spirito. Lo Spirito Santo, che abita in noi, permette la comunione con Dio. Il Signore si allontana da Saul dopo la sua disobbedienza ma il re ha fretta di fare e ordina ai suoi ministri: “cercatemi una negromante, perché voglio andare a consultarla” (1Sam 28,7). La pratica della negromanzia e della divinazione era già stata denunciata come abominevole da Dio. Saul si allontana così in modo definitivo dal Signore praticando un rito occulto. Il leader, invece, sa sempre attendere i tempi di Dio, non ha fretta e soprattuto non rompe la comunione con Dio tradendolo. Davide, dopo essere stato corretto dal profeta Natan per il peccato compiuto, riconosce la colpa: “ho peccato contro il Signore!” (2Sam 12,13a), chiedendo così di essere riammesso nella comunione con Dio.

9. avere coraggio: Saul, di fronte ai nemici, “ebbe paura e il suo cuore tremò” (1Sam 28,5b) anche di fronte a Davide, di cui “aveva timore” (1Sam 18,15b). Il re è un pauroso perché non sa amare davvero. Il leader, invece, ha coraggio di fronte ad ogni situazione, anche la più ardua, perché sa di non essere solo: “Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio” (2Sam 22,2-3a). Lo Spirito Santo dona al leader la parresia che a volte lo rende persona scomoda. Il leader non lamenta a Dio quanto sono grandi i suoi problemi ma dice ai suoi problemi quanto è grande Dio. Il leader riconosce anche la possibilità del martirio e non la rifugge.

10. essere vero: il leader è sempre vero e mosso da verità. Saul è un grande bugiardo tanto che giurò “per la vita del Signore, non morirà!”(1Sam 19,6b) riferendosi a Davide, il quale tenterà poco dopo di uccidere. Una vera leadership si fonda sulla verità, che rende davvero liberi. Saul è un uomo che usa molte maschere a seconda della situazione in cui si trova. Il leader si mostra sempre per come è veramente e non può mentire. Davide, poco prima di morire, dirà: “lo spirito del Signore parla in me, la sua parola è sulla mia lingua” (2Sam 23,2). Il leader ha fatto esperienza di Verità e ne diventa testimone verace in ogni ambito. Un buon leader deve anche saper smascherare la menzogna.

Come epilogo “Saul prese la spada e vi si gettò sopra” (1Sam 31,4b) uccidendosi. La fine di una leadership fallimentare è il fallimento definitivo di sé: il suicidio. Mentre di Davide si dirà che il Signore “innalzò la sua potenza per sempre, gli concesse un’alleanza regale” (Sir 47,11).

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Appendice 2: casi pilota di leadership per la riflessione

1. Yuri è alla guida di un’opera di fondazione di chiesa a Yekatarinburg. Misha e Marina fanno parte del team da tre mesi. Di recente Misha e Marina sono molto frustrati con il loro ministero. Hanno delle buone idee per l’evangelizzazione ma non si sentono liberi di condividere le loro idee. Il loro leader, Yuri, non ha voluto ascoltare i loro suggerimenti. Invece, gli dice sempre cosa devono fare e come devono farlo. Il risultato è che Misha e Marina stanno considerando di lasciare il ministero con Yuri per lavorare da soli. Come valuteresti la leadership di Yuri?

2. Gennadi è un noto professore universitario che è venuto a Cristo quando il suo vicino di casa Nic gli ha dato una Bibbia da leggere. Ha iniziato a frequentare la chiesa con Nic ed è rimasto molto colpito dall’incontro di studio biblico per adulti del mercoledì sera. Dopo che Gennadi frequenta il gruppo da qualche settimana, qualcuno suggerisce che Gennadi, essendo un ottimo insegnante, potrebbe guidare lo studio biblico. La leadership di Gennadi potrebbe contribuire a portare molti visitatori al gruppo in quanto, oltre ad essere un bravo insegnante, è anche molto conosciuto. E’ saggio far guidare questo studio a Gennadi?

3. Slava guida un team di tre coppie in un’opera di fondazione di chiese a Rostov. Slava predica ottimi sermoni ogni domenica mattina e guida una cellula durante la settimana che è cresciuta ad avere quasi 20 membri fedeli. Tutti amano l’abilità di Slava ad insegnare e a predicare la Parola di Dio, e anche la sua capacità di saper organizzare varie attività. Slava tuttavia, inizia a sentirsi esausto da tutto il carico di lavoro. Slava chiede al compagno di team, Anatoli, di iniziare una nuova cellula con alcuni membri del gruppo di Slava. C’è tuttavia poco interesse, e Anatoli è scoraggiato. Valuta il modo in cui Slava ha trasferito le responsabilità ad Anatoli.

4. La nuova chiesa nella regione di Smolensk sta crescendo velocemente. Molti attribuiscono questa crescita all’ottima leadership di Victor e Luba che hanno fondato la chiesa dopo che Victor era tornato da Mosca con un diploma di seminario. La maggior parte di coloro che frequentano la chiesa sono nuovi credenti senza alcuna esperienza precedente di chiesa. Victor predica quasi sempre e Luba organizza la scuola domenicale. Nel crescere, Victor ha cercato di individuare alcuni altri leader per aiutarlo nel guidare la chiesa. Nessun altro tuttavia sembra avere le qualifiche necessarie per guidare. Quando infine trova tre giovani che presentano potenziale di leadership, si sente sollevato. Victor procura a due di loro delle borse di studio e li manda al seminario a Mosca. In autunno partono per seguire un programma di 3 anni. In che modo valuteresti questo metodo per sviluppare leader?

5. Boris vive in una piccola città nel sud della Russia dove non ci sono chiese evangeliche. Di recente Boris ha incontrato alcuni altri credenti nel suo villaggio che, per andare in chiesa, viaggiano fino a 30 chilometri in varie direzioni. Con la leadership di Boris, i credenti vengono organizzati in una nuova chiesa. Nel ritrovarsi, tutti sono entusiasti all’idea di avere finalmente una chiesa locale, e ognuno condivide le proprie idee su come organizzare la nuova chiesa basandosi sulle proprie esperienze fatte nelle chiese di provenienza. Boris tuttavia rende chiaro che lui è il pastore e che le persone farebbero meglio a dimenticare le tradizioni e le pratiche che svolgevano nelle chiese di provenienza. E’ lui il pastore che guida la nuova chiesa. Cosa produrrà questo approccio di Boris?

6. Keril ha fondato tre chiese in varie città della Russia occidentale. Keril è un fondatore di chiese nato. E’ molto energetico ed estroverso e ha doni d’evangelista. Suona la chitarra e canta ed è capace di intrattenere un uditorio per ore. Ama dare il via a progetti nuovi e poi proseguire per avviarne degli altri. Le chiese che fonda in qualche modo riflettono la sua personalità. Inizialmente il livello di entusiasmo è molto alto, ma poi cala quando si presentano sull’orizzonte altre opportunità di maggiore interesse. Keril dice che lui è fatto così e che non c’è nulla che lui può fare per cambiare. Egli sa che, malgrado questa caratteristica, Dio si serve di lui. Come valuteresti la leadership di Keril?

7. Zhenya sta lavorando con impegno nel fondare una chiesa da diversi anni. La chiesa va molto bene. E’ cresciuta fino ad avere quasi 200 membri in tre anni. A volte la moglie e i figli di Zhenya non lo vedono per diversi giorni, perché lui parte presto la mattina e torna tardi la sera. A Zhenya non piace questo stile di vita, ma sembra che i bisogni delle persone intorno a lui lo esigono. Molti sono malati e hanno bisogno di essere visitati, e la mensa per i senza tetto ha bisogno di costanti attenzioni. Zhenya sa che se egli interrompe il suo impegno su questi fronti, il ministero soffrirà, le persone non saranno salvate e la chiesa smetterà di crescere. Pensi che Zhenya sia un buon leader? Perché o perché no?

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Appendice 3: sviluppo delle fasi di un team

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Appendice 4: test di verifica degli stili di interazione

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FACITORE STIMOLATORE COMPAGNO DI SQUADRA PENSATORE