PER SEMPRE NOI

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Una storia che affronta leggerezza e profondità con grande maestria

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SILVIA D’AGOSTINO – CLAUDIA PIOVANO

Per sempre noi

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I edizione: maggio 2011 II edizione: giugno 2011 III edizione: settembre 2011 © 2011 La Corte Comunication Via Paolo Regis 44, Chivasso (To) Tutti i diritti riservati La Corte Editore è un marchio La Corte Comunication Progetto Grafico: La Corte Editore Foto in copertina: CC di Alex Walcott ISBN 9788896325094 Finito di stampare nel mese di Settembre 2011 presso lo stabilimento grafico Impressioni Grafiche di Acqui Terme per conto di La Corte Comunication

www.lacorteditore.it

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"Alle nostre famiglie e alla nostra amicizia..."

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SETTEMBRE

«Ma secondo te a Michele piaccio? Almeno un po’…» chiede Cristina

all’improvviso. Alice, che si era quasi addormentata al sole, socchiude gli occhi. «No

Cristina... Lascialo stare Michele.» «Ok...» si limita a dire l’altra poco convinta. Alice chiude di nuovo gli occhi. Ma passano pochi secondi e la voce

dell’amica torna a farsi sentire. «Ma questo è il weekend del 12?» esclama, sollevandosi a sedere. «Direi di sì... dato che il 13 ricominciano le scuole!» risponde Alice. «Come abbiamo fatto a non pensarci?! Questo sabato c’è la serata di fine

stagione alla Capannina!!» dice Cristina raggiante. A vederla sembrerebbe una svedese, ma il suo inconfondibile accento toscano non lascia spazio a dubbi. Piccola e bionda, pelle dorata, due occhi azzurri che sembrano troppo grandi per quel viso delicato.

Alice fa una smorfia. «Cri... a parte che costerà un occhio della testa l’entrata... ma poi mi spieghi come ci torniamo a Grosseto alle tre del mat-tino da Castiglione?!» Il suo tono è pacato, ma non svogliato. È come se fosse abituata a smontare i piani irrealizzabili e le fantastiche imprese che Cristina le propone.

«Prendiamo il taxi! Che problema c’è?» replica Cristina, senza darsi per vinta. Non ricevendo risposta aggiunge: «Oh, dai Alice! È l’ultimo weekend prima delle lezioni! Dobbiamo chiudere l’estate in bellezza!»

Anche Alice si alza finalmente e la testa le gira un po’, per il sole troppo forte. «Cri, se dico ai miei che me ne vado in giro in piena notte in taxi, non ci arrivo nemmeno alla fine del weekend. Muoio prima.»

Alice studia la reazione dell’amica, che non si fa attendere. Lo sguardo allegro di Cristina si rabbuia improvvisamente e la ragazza sbuffa, scoc-ciata da quelle restrizioni che lei non ha mai conosciuto. Poi un’idea im-provvisa fa tornare il sereno nel suo sguardo.

«Non avremo problemi di orari… Tu e Marta potete dormire da me! E ai tuoi diciamo che siamo andate a mangiare una pizza e poi da brave fi-gliuole siamo tornate a casa a guardare un film»

«Beh, dai, ne parliamo... Vediamo cosa ne pensa Marta» taglia corto A-lice, sapendo che alla fine non ci sarà nessuna serata in discoteca. Poi pro-va a cambiare discorso: «Ma i tuoi genitori e tua sorella non ci sono nel weekend?»

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Cristina accenna un sorriso, poi si stringe nelle spalle indifferente. «Non preoccuparti, sarò sola a casa. I miei vanno a Roma, invitati dai carissimi futuri suoceri.»

Alice annuisce e si lascia sfuggire un sospiro. Il tono di Cristina è diven-tato più freddo nel pronunciare le ultime parole, come succede ogni volta che parla dei suoi familiari. E pensare che quando ha conosciuto l’amica, appena un anno prima, le sembrava che la sua fosse una famiglia assolu-tamente perfetta. Una delle famiglie più in vista di Grosseto: il padre lavo-ratore instancabile nello studio da commercialista fondato dal nonno di Cristina, la madre impegnata a dividersi fra la casa e il suo lavoro di diret-trice di banca, la sorella bellissima e sempre impeccabile. Eppure ad Alice era bastato frequentare Cristina per poche settimane per imparare quanto un bel quadretto dentro a una cornice non significhi nulla.

«E perché non vai anche tu con loro?» L’espressione di Cristina si trasforma in una smorfia. Si alza in piedi, af-

ferra la sua borsa appoggiata su una sedia e ne estrae un pacchetto di siga-rette. Tira fuori l’accendino dalla tasca dei jeans e comincia a fumare con aria scocciata, tornando a sdraiarsi sull’erba e facendo attenzione a dirige-re gli sbuffi di fumo lontano dall’amica. Sa quanto le dia fastidio quel suo vizio che non riesce proprio a levarsi.

«Devo pure spiegartelo?! Dovrei sorbirmi due giorni interi a stretto con-tatto coi miei e con Elisabetta, e tutte le chiacchiere inutili che si scambie-ranno dal mattino alla sera… senza nemmeno una misera via di fuga!»

Alice si lascia sfuggire un sorriso, poi scuote i suoi lunghi capelli scuri e guarda l’amica con aria complice. «Hai dimenticato Michele…»

Cristina, sussultando, si volta di scatto verso di lei. «Stronza» le sussurra a denti stretti, poi si tira su rimanendo seduta, la testa appoggiata sulle gi-nocchia.

Alice ritorna seria e si sporge verso di lei, spostandole una ciocca di ca-pelli biondi dal viso imbronciato. «Perdonami, non sono riuscita a tratte-nermi.»

Lo sguardo di Cristina improvvisamente si perde nel vuoto. Alice le fa una domanda, ma non ottiene risposta.

«Cri, hai capito cosa ho detto?» «Certo!» risponde Cristina, scuotendosi dai suoi pensieri e aspirando una

boccata dalla sigaretta che tiene in mano. Poi aggiunge titubante: «Cioè… non proprio.»

Alice sospirando si alza in piedi. «Niente, è che…» «Dimmi»

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«Quando la smetterai di pensare a lui?» Anche Cristina si alza in piedi, allontana per un attimo la sigaretta dalla

sua bocca e le labbra si increspano in un sorriso. «Mai.» Cristina non sa esattamente quando ha cominciato a piacerle il ragazzo

di sua sorella. Di certo a lei sembra un’eternità che spera che la storia tra Elisabetta e Michele finisca. Stanno insieme da quasi sei anni. Tanti. Troppi secondo lei. Per certi versi sembrano già una coppia sposata. Si so-no conosciuti a Roma, dove Elisabetta si era trasferita per frequentare l’università.

Cristina ricorda ancora quando la sorella aveva annunciato di voler anda-re a studiare nella Capitale. Si era sentita persa e anche un po’ tradita. An-che se era solo una ragazzina, capiva che era sbagliato odiare sua sorella solo perché voleva andare a vivere a duecento chilometri di distanza. Ma fino a quel momento lei ed Elisabetta erano state inseparabili, unite da un legame che si era fatto più forte via via che gli anni passavano e i genitori diventavano sempre più assenti, persi nelle loro importantissime faccende. Cristina aveva sempre pensato che, finché lei ed Elisabetta fossero rimaste insieme, avrebbero sconfitto la solitudine. E l’idea che lei l’abbandonasse, così all’improvviso, la lasciava senza sostegno, alla deriva.

All’inizio era stato il telefono a fare da sostituto. Interminabili conversa-zioni telefoniche, a volte fino a tarda notte, che la aiutavano a colmare i si-lenzi della sua grande casa. Ma a un certo punto quelle telefonate avevano cominciato a essere dominate da un solo argomento: la sorella, innamora-tissima, non faceva che parlarle di lui, di Michele, descrivendoglielo come la versione moderna del principe azzurro. Cristina aveva solo tredici anni e ascoltava incantata e attenta quelle confidenze, sognando a occhi aperti un amore così perfetto.

Ricorda anche la curiosità che aveva di vederlo, di conoscerlo, sicura che le sarebbe stato subito simpatico, ma per tre anni Elisabetta non aveva avuto nessuna intenzione di presentarlo ufficialmente alla famiglia. Solo con il tempo aveva cominciato a essere più sicura di quel rapporto sempre più solido e, un weekend di fine maggio, era tornata a casa insieme a lui.

Cristina ormai aveva sedici anni e tante cose erano cambiate. Anche con sua sorella. Il loro rapporto era diverso ora, le telefonate si erano diradate poco a poco, e senza rendersene conto Cristina aveva cominciato a invi-diare Elisabetta e la sua vita così perfetta: un fidanzato ideale, un apparta-mento tutto per sé, ottimi voti all’università e una bellezza straordinaria.

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Aveva cominciato a sentirsi inadeguata nei suoi confronti e lentamente le due inseparabili sorelle si erano allontanate sempre di più.

Ricorda anche come quel weekend non avesse nessun entusiasmo all’idea di rivederla e di conoscere il suo ragazzo, insopportabilmente per-fetto come lei.

Confusi, invece, sono i ricordi che ha del primo momento in cui l’ha vi-sto. Era ubriaca ed era rientrata in casa al mattino presto, dopo una notte in discoteca. Tutto ciò che ricorda è il profumo del caffè che aveva invaso la cucina, la luce timida del mattino e un bellissimo ragazzo seduto a tavola Che a un certo punto le aveva sorriso.

Il successo musicale dell’estate esce dalle casse del bar sulla spiaggia,

ma le sue note sono coperte dalle urla e dai versi dei quattro ragazzi. Lo spettacolo del sole che tramonta sul mare può interessare i pochi turisti settembrini, che si attardano sulla spiaggia, ma loro lo hanno già visto in-finite volte e non alzano nemmeno la testa, concentrati sul biliardino sotto il portico. Lunghi silenzi concentrati esplodono di tanto in tanto in escla-mazioni e insulti coloriti o in esultanze plateali.

Una ragazza li osserva annoiata, seduta su una sedia in legno, tra le dita una sigaretta quasi finita.

È bella. Anzi, bellissima. La sua è una bellezza esotica, tanto che la si potrebbe scambiare per una turista straniera in vacanza. I suoi capelli sono lunghi e biondi, perfettamente tinti e in piega, tenuti a bada dagli occhiali neri portati sulla nuca, che le liberano la fronte. A un tratto si alza e si di-rige verso il bancone: ha uno sguardo imbronciato e non presta la minima attenzione alle occhiate ammirate dei pochi uomini seduti ai tavolini sotto il portico, attratti dai suoi cortissimi shorts che scoprono gambe lunghe e affusolate.

Raggiunto il bancone, Valentina si sporge con noncuranza verso la radio e alza il volume, poi torna dai ragazzi e si appoggia al biliardino con i go-miti. Uno dei quattro, basso e grassoccio, in testa un berretto da sole, si volta verso di lei.

«Oh Vale, togliti da lì! Ci distrai! Dai, si vede tutto. È un bel panorama, ma quando si gioca si gioca!»

Il suo compagno di squadra sghignazza divertito. Valentina chiude la cerniera del giubbotto bianco, facendo una smorfia indecifrabile. In quel momento Cristian, con un colpo secco e preciso, segna il goal decisivo: la

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pallina bianca scivola infallibile dentro la porta, accompagnata da un forte rumore metallico. I due avversari rimangono a bocca aperta.

«Madonna, Cri! Che tiro! Non l’ho neanche vista» esclama Domenico, togliendosi il berretto e passandosi una mano sulla fronte.

Cristian non gli risponde ed estrae dalla tasca dei jeans un accendino e un pacchetto di sigarette: si siede a un tavolino, beve un sorso di birra dal bicchiere di plastica davanti a lui e comincia a fumare. Valentina si avvi-cina, fa per sedersi sulle sue ginocchia, ma lui la blocca.

«C’è proprio bisogno di assordarci con questa canzone? È tutta l’estate che ce la sorbiamo! Ormai è vecchia, oltre che brutta»

Lei lo guarda di traverso, ma decide di non replicare: con aria seccata torna indietro e stavolta spegne del tutto la radio, mentre il barista, impe-gnato a leggere una rivista, la lascia fare.

«Preferisci il silenzio?» chiede in tono sarcastico, quando torna da Cri-stian.

Lui stavolta decide di farle spazio sopra di sé, la lascia sedere sulle gi-nocchia, poi con un braccio le stringe la vita, la attira a sé e la bacia. Quando le loro labbra si dividono, lei si allontana un po’, gli sorride e la-scia scivolare il viso sulle sue spalle.

Valentina ha imparato a godere al massimo di quei rari momenti di tene-rezza che Cristian le concede. Ha smesso di aspettarsi da lui gesti premu-rosi, frasi dolci e sorrisi innamorati. Ha imparato, giorno per giorno, a non illudersi. Così le rare volte in cui lui se ne esce con un gesto più carino e una carezza più affettuosa arrivano come una sorpresa, un regalo inaspet-tato. Valentina ci ha messo un po’ ad abituarsi a questa situazione: a volte si chiede cosa penserebbe di lei la ragazzina che, due anni prima, si era in-namorata perdutamente di quel bellissimo ragazzo bruno. Forse sarebbe delusa di sapere che ha imparato a stare al suo posto, a non pretendere troppo e a perdonare. Già, perdonare. Due volte. Due tradimenti che lui non è riuscito a non confessarle, e che lei è riuscita ad accettare. Forse perché i brividi che lei prova quando lui la sfiora, come in questo momen-to, sono più forti di qualsiasi tradimento.

«Allora Cristian, che fate? Venite con noi a ballare più tardi?» li inter-rompe Simone, il suo compagno di squadra al biliardino, avvicinandosi a loro.

Cristian dà un ultimo tiro alla sigaretta, poi la spegne nel posacenere e lancia una rapida occhiata a Valentina. Lo sguardo della ragazza gli fa ca-pire che per quella sera lei ha altri programmi.

«No, Simone. Stasera non ho proprio testa!»

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Domenico sbuffa. «E ti pareva! Quando mai ce l’hai la testa?» Cristian si alza senza replicare, poi si avvicina a Simone e gli dà una

leggera pacca sulla spalla. «Dai, ci si vede domani. Ti chiamo quando fini-sco al ristorante.»

Simone annuisce con un gran sorriso: «Va bene, Boss! A domani!» e lo saluta allontanandosi insieme agli altri verso il parcheggio.

Pochi minuti dopo Cristian e Valentina sono in auto. Prima di partire lui si volta a guardarla: «Ti accompagno a casa?»

«Sì possiamo cenare da me. Annalisa fa il turno di sera, deve sostituire Mariangela» risponde lei, dandosi un’occhiata nello specchio dell’auto.

Cristian annuisce e parte veloce, attraversando il ponte sul Bruna e poi il centro di Castiglione della Pescaia.

Quando raggiungono la strada provinciale, Valentina si perde ancora una volta nel silenzio usuale dei loro viaggi in auto e in quel percorso che or-mai conosce a memoria. I campi coltivati e la sconfinata Maremma tosca-na scorrono rapidamente fuori dal finestrino, mentre la luce chiara della sera illumina i cipressi ai lati della strada.

Cristian intravede con la coda dell’occhio la figura di Valentina, che tamburella con le dita sul cruscotto, muovendosi al ritmo della musica: pensa alle sue labbra carnose e alla sua pelle ambrata, alle sue forme mor-bide e alle sue gambe nude fasciate da due stivali bianchi.

Improvvisamente la strada per Grosseto gli sembra infinita e vorrebbe essere già arrivato.

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OTTOBRE «Signora, ha deciso quale preferisce?» domanda in tono sbrigativo una

ragazza alta, capelli castani lisci e lunghi fino alle spalle, occhi verde sme-raldo.

Un’elegante signora sui cinquant’anni, dopo aver riflettuto ancora per dieci eterni secondi, si avvicina e posa sul bancone una gonna di lino color panna.«Ecco, prendo questa.»

Marta la piega con cura prima di riporla in una busta. «Sono 39,90» le dice porgendole il suo acquisto. La signora le allunga una banconota da 50 euro, poi aspetta il resto e, dopo aver gentilmente salutato, si allontana la-sciando dietro di sé una delicata scia di profumo e un’eco di tacchi sul pa-vimento.

Marta fa il giro del bancone e si siede sopra, poi estrae dalla tasca dei je-ans il cellulare, ultra sottile ultimo modello, e controlla se le sono arrivati messaggi: la casella lampeggiante le segnala la presenza di un nuovo sms.

“Marta, tra dieci minuti siamo lì in negozio! Tvb” Marta sorride pensando ad Alice, che deve sempre aggiungere quelle tre

lettere alla fine di qualsiasi sms, e richiude il cellulare. In quel momento sua madre entra con passo veloce e quasi nervoso. «Ciao! Scusa il ritardo, c’era un traffico infernale! Quel maledetto nuovo

centro commerciale crea solo problemi. Ma si può sapere che bisogno c’era di un altro centro commerciale? Vedrai, la gente è attirata dalla novi-tà, ma a lungo andare si stuferà di rinchiudersi in quel capannone con l’aria condizionata sparata a mille.»

Marta attende in silenzio che sua madre finisca il suo monologo. È tipico di lei piombare come un tornado in negozio e cominciare a parlare a raffi-ca. Nel frattempo comincia a piegare alcune maglie provate dall’ultima cliente, lanciando un’occhiata critica alla figlia.

«Che hai fatto ai capelli?» Marta si sta guardando allo specchio, cercando di capire se stia meglio

coi capelli dietro le orecchie o lasciando che qualche ciocca le scivoli su-gli occhi.

«Li ho stirati, mamma.» «E come li hai stirati, se non abbiamo una piastra in casa? Col ferro da

stiro?» chiede lei sarcastica.

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Marta sbuffa. Dopo aver terminato la crociata contro il centro commer-ciale, sua madre ora ha scelto come obiettivo i suoi capelli. Per fortuna tra pochi minuti avrà una scusa per scappare via. «No, sono andata da Alice stamattina dopo scuola. Me li ha fatti lei.»

Sua madre annuisce. Poi cambia discorso e Marta tira un sospiro di sol-lievo. «È venuta tanta gente oggi pomeriggio?».

«Sì abbastanza. È appena andata via una signora. Una cosa tremenda, non la sopportavo più. Ha passato mezz’ora a provare maglie e pantaloni di ogni genere, e poi sai cosa ha preso?! Una gonna di lino!»

«Marta! Non devi assolutamente perdere la pazienza per sciocchezze del genere, quante volte devo ripetertelo?! Devi essere gentile e impeccabile con ogni cliente, mostrarti sempre a loro totale disposizione. Se ti vedono sbuffare, non ti compreranno nemmeno un bottone!» poi le lancia un’altra occhiata critica e continua: «Certo che se tu sei sempre di fretta, perché devi andare a perder tempo con quelle due sbandate delle tue amiche, è i-nevitabile che ti comporti in maniera poco professionale.»

Marta alza gli occhi al cielo, mentre l’ascolta, appoggiata allo specchio, con le braccia conserte e un’espressione imbronciata: “Siamo già alla ter-za crociata in meno di cinque minuti. Complimenti mamma! Un record.”

«Ah, Marta, a volte mi chiedo cosa combinerai nella vita…» Ecco. Quella è la frase che la fa imbestialire. Ma che cavolo ne sa lei di

come andrà la sua vita? Perché deve sempre e comunque trovare da ridire sui suoi comportamenti e sui suoi commenti, anche quelli più banali? Per-ché non può dire nulla senza che lei ne approfitti per criticarla e giudicar-la, come se potesse conoscere ogni suo pensiero? Ora basta, non può con-tinuare a trattarla come una bambina, adesso glielo dirà e le dirà pure che...

«Ciao Marta!» La voce frizzante di Alice la interrompe proprio mentre sta per aprire

bocca e le fa cambiare idea: meglio rimandare il dibattito a un’altra occa-sione. Soprattutto perché conosce se stessa e conosce sua madre, e sa che sarebbe una battaglia senza esclusione di colpi. Meglio risparmiare questo spettacolo alle sue amiche.

«Scusa il ritardo, ma abbiamo avuto un piccolo problema» le spiega in-dicandole Cristina, che è rimasta fuori dal negozio, impegnata a parlare al cellulare.

«Non ti preoccupare, tanto mia madre è arrivata solo ora. Piuttosto, cos’ha avuto di nuovo?»

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Sul viso di Marta, mentre guarda attraverso la vetrina l’espressione di Cristina farsi sempre più scura e rattristata, c’è preoccupazione, ma anche una nota di risentimento.

Alice sospira: «Mi ha invitata a pranzo da lei, c’era anche sua sorella. Poi hanno avuto un piccolo battibecco, Cristina si è alzata, ha sbattuto il suo piatto per terra e si è chiusa in bagno.»

Marta annuisce in silenzio e Alice non aggiunge altro: Cristina ha finito la telefonata e si sta avvicinando a loro. Marta, dopo averla salutata, si volta verso sua madre e nota che sta guardando Cristina con aria perplessa.

«Mi raccomando Marta. A casa per cena!» Le tre amiche passeggiano per le vie lastricate del centro storico di Gros-

seto. Camminano fianco a fianco, e non serve guardarle troppo attenta-mente per notare quanto siano diverse l’una dall’altra. Cristina ha lunghi capelli biondi e ondulati, che scivolano su un vestito azzurro e leggero. Marta ha un passo deciso, un look pratico e femminile, a partire dalla bor-setta, bianca e di piccole dimensioni, che come per magia riesce a conte-nere tutto ciò che può servire. Alice ha un’espressione costantemente spensierata e in testa un cappellino bianco da sole: quel semplice accesso-rio la fa sembrare una turista a caccia di monumenti e contrasta con i suoi lunghi capelli castano scuro, che scivolano in mille onde fino a metà schiena.

Si perdono fra le vie attorno a Piazza Dante, fermandosi a sbirciare con occhi sognanti le vetrine più esclusive piene di gioielli, entrano in un ne-gozio di scarpe solo per provare quei sandali dal tacco alto così belli ed e-leganti che non compreranno mai perché sono troppo scomodi e costosi. Tornano bambine davanti a una vetrina di giocattoli, poi ritornano grandi quando vedono passare un bellissimo ragazzo e dentro di loro pensano a quanto sarebbe bello essere la sua fidanzata. Dopo un’ora di chiacchiere e risate, decidono di fermarsi a bere qualcosa.

«Che ne dite di quel bar davanti al convento che abbiamo sempre snob-bato?» propone Cristina.

Marta storce il naso. «Sì... così ci ritroviamo a dover censurare i nostri discorsi perché al tavolo vicino ci sono i frati.»

Alice ride e le dà un leggero spintone: «Ah allora è per quello che non ci sei mai voluta andare!» Poi aggiunge: «Vuol dire che hai la coda di paglia, perché sai già che farai discorsi impuri!»

«E va bene. Andiamo lì. Ma non dite che non vi avevo avvertite.»

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Un giovane cameriere le fa accomodare a un tavolino nel dehor. «Voi cosa prendete, ragazze?» domanda Marta, sfogliando il menù. «Uhm io ho una voglia incredibile di frutta! Penso prenderò una mace-

donia» risponde Alice. «È un’ottima idea! Ti seguo a ruota!» esclama Marta decisa. Poi si volta verso l’altra amica, che le ascolta in silenzio. «Tu che prendi,

Cri?» Cristina, accasciata sullo schienale della sedia, giocherella nervosamente

coi suoi boccoli biondi. «Io niente. Già credo che salterò cena...» «E dai! Hai mangiato poco o niente a pranzo!» insiste Alice con tono

dolce. Cristina sbuffa scocciata: «No, davvero. Non ho fame, non me la sento.» Alice sta per aprire la bocca per ribattere, ma Marta si intromette: «Dai,

Alice, lascia stare. Se non vuole mangiare mica possiamo obbligarla!» Alice alza le spalle con un sospiro rassegnato. In quel momento ritorna il

cameriere. Dopo che Marta e Alice hanno ordinato, il suo sguardo si posa su Cristina: è immediatamente attratto da quel viso delicato, vagamente corrucciato, da quegli occhi azzurrissimi e così malinconici. «Lei non prende niente?» le chiede.

Cristina alza lo sguardo su di lui: occhi neri, capelli cortissimi, quasi ra-sati, bel fisico, labbra carnose. «No, grazie» gli risponde con un filo di vo-ce, imbarazzata. Lui le sorride e si allontana.

Non passano molti secondi prima che Alice esclami: «Cavolo Cristina! Ma lo hai visto quello come ti guardava?»

Marta non esita a dire la sua: «Sì, l’ho notato anch’io! Seguilo nel bar, chiedigli il numero, saltagli addosso!!» poi si guarda attorno con aria cir-cospetta: «Nessun frate in vista, noi ti copriamo le spalle.»

Alice, tra le risate, rincara la dose: «E poi ha una voce così sensuale…» «Solo la voce?!» aggiunge Marta, con uno sguardo malizioso. Cristina

vorrebbe scoppiare a ridere, ma si finge infastidita dai loro commenti. «Ehi, avete finito? Siete due menti perverse! Io non ho notato proprio

nulla! Curatevi!» «No, no, sei tu da curare se entro tre secondi non ti alzi e non vai a ordi-

nare qualcosa», la punzecchia Marta. Le labbra di Cristina tentennano sempre di più su quello che sta per di-

ventare un sorriso. Qualche attimo di silenzio che lascia le amiche sulle

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spine e poi: «E va bene. Quasi quasi è venuta voglia anche a me di mace-donia!»

Marta e Alice sorridono scambiandosi uno sguardo complice, mentre Cristina si dirige verso l’interno del bar col suo passo rapido. Poi ripren-dono a chiacchierare fra loro, così spensierate e leggere da attirare gli sguardi incuriositi dei ragazzi che passano lì davanti. Ma loro, impegnate nel discorso del momento, nemmeno se ne rendono conto.

Cristian è seduto in macchina, i finestrini completamente abbassati. Si

lascia accarezzare le braccia nude dagli ultimi raggi di sole di un pomerig-gio troppo caldo per essere a metà settembre. Mentre aspetta Simone, fu-ma l’ennesima sigaretta della giornata, guardandosi intorno e pensando a quanto tutto sia sempre uguale in quel posto.

La piazza è tranquilla, ormai svuotata dai turisti che d’estate affollano le strade di Grosseto. Li riconosci perché sono rossi come pomodori e si tro-vano lì a visitare la città solo perché un'altra giornata in spiaggia sarebbe stata devastante per le loro pelli bruciate: si guardano intorno spaesati, fermandosi a leggere i cartelli che raccontano la storia delle mura antiche che circondano la città o fotografando qualsiasi cosa possa essere fotogra-fata.

Però quando ci sono loro almeno quei luoghi sembrano quasi vivi. Ora invece la piazza è animata solo da un gruppetto di uomini anziani seduti ai tavolini di un bar, che discutono su quale sia stato il miglior goal della domenica e già pensano al derby del sabato successivo. Di tanto in tanto passa qualcuno in bicicletta.

A un certo punto, il rumore di un motorino che si avvicina e poi inchioda proprio di fianco alla sua auto, gli annuncia che l’amico è arrivato all’appuntamento, con i suoi soliti venti minuti di ritardo. Simone scende e con un sorriso allegro lo saluta.

«Ehi! Ciao Cri! Come va?» Cristian esce dall’auto e si appoggia alla portiera. «Uguale a come anda-

va ieri». Simone annuisce, abituato a quella risposta di Cristian, che ormai è come un rito tra loro due.

«Allora vieni con me che saluto Vale e poi andiamo a farci una giratina in centro?» aggiunge Cristian, avviandosi verso il bar. Mentre attraversano la piazza, una voce alle loro spalle li fa voltare.

«Ehi belli!»

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In lontananza vedono un ragazzo che, appena arrivato in motorino, sta posando il casco e sembra intenzionato a raggiungerli.

«Hai sentito Cri? Siamo belli...» commenta Simone sarcastico, alzando svogliatamente il braccio in un gesto di saluto poco convinto.

«È un’eternità che non vi vedo in giro! Che fine avete fatto?! Aspettate lì che vi saluto!»

Cristian sbuffa. «Senti, Simo. Io non ho nessuna voglia di parlare con quello spaccone. Veditela tu. Io vado da Vale.»

«Va bene, ma è solo perché a tre anni mi hai fatto fare un giro sul tuo triciclo, che ti perdono che mi lasci solo con quello» commenta Simone, in tono scherzoso.

Cristian sorride e poi, senza rivolgere nemmeno un cenno di saluto all’altro che si sta avvicinando, si volta ed entra nel locale.

Valentina è seduta su uno sgabello dietro al bancone e sta chiacchieran-do con un uomo sui quarant’anni. Entrambi sorridono e lei sembra tran-quilla, per nulla a disagio. Forse per colpa della musica eccessivamente al-ta, forse troppo presa da ciò che quel cliente le sta raccontando, non si è accorta dell’arrivo del suo ragazzo nel locale.

Cristian vede la scena dal fondo del locale e si dirige con passo deciso verso il bancone, poi prende uno sgabello e lo sbatte con forza sul pavi-mento, accanto a Valentina e al suo amico. Lei si volta di scatto.

«Cristian! Che ci fai qui?» «Secondo te che ci faccio?» le risponde estraendo dalla tasca dei jeans

un pacchetto di sigarette ormai quasi finito. Ne sfila una e la accende, poi si volta per la prima volta verso l’uomo e lo squadra da testa a piedi: ana-lizza il suo fisico asciutto, la barbetta appositamente incolta, gli occhialini dalla montatura rettangolare, la giacca grigia ed elegante, portata sopra a una maglia nera.

«Guarda che qui dentro non puoi fumare, amore!» lo riprende Valentina. Cristian le sorride scuotendo la testa. «Oh, capirai, Ci sono tante cose che non si dovrebbero fare ma si fanno

lo stesso.» L’uomo accanto a lui si intromette: «Ehi è saggio il ragazzo...» dice in

tono ironico, sorridendo a Valentina. Non fa in tempo a posare sul bancone il suo boccale di birra bionda, che

Cristian, con un colpo secco, glielo rovescia addosso, tra gli sguardi diver-titi degli altri clienti, che osservano i costosi pantaloni diventati fradici e le schegge di vetro sparse qua e là.

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Valentina prende subito un panno, fa il giro del bancone e lo aiuta a scuotersi di dosso i resti del boccale, tamponando allo stesso tempo i suoi pantaloni.

«Scusalo Pietro... Davvero, mi spiace» gli sussurra un po’ agitata, tiran-do indietro i lunghi capelli biondi.

Pietro invece vorrebbe ringraziarlo: grazie a lui ora si trova una bellissi-ma bionda chinata in quel modo così provocante sulle sue gambe. Lo sguardo va immediatamente alla sua abbondante scollatura e un sorriso compiaciuto gli si disegna istintivamente sulle labbra.

Cristian lo nota. Spegne la sigaretta, la getta nel posacenere e prima di andarsene si volta ancora una volta verso la sua ragazza.

«Per esempio, tu dovresti fare la cameriera, non la troia, ma la fai lo stesso. O sbaglio?»

Valentina, imbarazzata, borbotta qualcosa fra sé, poi riprende a pulire mentre Cristian se ne va.

«Allora Cristina» inizia Marta all’improvviso, in tono quasi solenne.

«Adesso ci vuoi spiegare cosa gli fai agli uomini?!» Alice interviene allegra. «Davvero! Quel cameriere spettacolare si è già

innamorare di te!» Cristina sospira e le sorride. «Non ti sembra di esagerare? Mi ha solo

chiesto il numero.» «Devi ammettere che l’idea di scriverti la richiesta sullo scontrino è stata

geniale!» esclama Marta sorridendo, attenta a non farsi sentire dal ragaz-zo, che sta servendo agli altri tavolini.

Cristina si rigira tra le mani il biglietto e sorride tra sé: per un attimo si chiede cosa di lei possa averlo colpito così tanto. Lei che si vede così insi-gnificante e si sente così brutta... Osserva le sue due amiche che parlano allegramente del compito di matematica fatto il giorno prima, che Alice non è riuscita a copiare neanche un po’, per colpa della supplente troppo attenta ai movimenti della classe. Le vede così belle, così serene nei loro fisici perfetti, su cui starebbe bene qualsiasi tipo di vestito, e si sente sem-pre più inadeguata.

Una forte sensazione di nausea la pervade, insieme ai sensi di colpa cau-sati da quella coppetta di frutta appena entrata nel suo stomaco. Si scusa con le amiche e corre in bagno, senza neanche accorgersi di aver urtato quel cameriere così carino, che ha già capito che qualcosa in lei non va.

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Marta si accascia sulla sedia. «Basta. Com’è possibile che quella ragazza non riesca a godersi una giornata intera serenamente? Non la capisco più. Anzi, in realtà non sono mai riuscita a capirla!»

Alice è stupita dal tono freddo dell’amica e le risponde un po’ seccata: «Senti, noi non possiamo sapere come si sente lei, cosa le passa per la te-sta. Non credo che si diverta a comportarsi così!»

Marta scuote la testa e con tono un po’ alterato dice: «Ma scusa. Cosa le manca?! Potrebbe avere tutto quello che vuole, e non gliene frega niente. A volte penso che sia solo viziata ed egoista!»

Alice si alza e ribatte: «Parlare con te di questo argomento è inutile, ab-biamo una visione della cosa troppo diversa. Tu resta pure qua, io vado a vedere come sta.»

Marta la guarda allontanarsi: una parte di lei vorrebbe essere come Ali-ce, più morbida e indulgente, e soprattutto più paziente, ma l’altra parte sa che ogni sforzo per aiutare Cristina è inutile.

«Cristina! Dai, apri!» urla Alice battendo i pugni contro la porta del ba-

gno del bar. Dall’altra parte Cristina è accovacciata per terra e piange. Alice sente i

suoi singhiozzi, la sente tirare su con il naso e piangere ancora disperata. «Ti prego, apri! Non farmi stare qui a urlare!» insiste Alice accostando

l’orecchio alla porta. «Basta, vattene Alice! Lasciami in pace!» grida in risposta Cristina, con

la voce rotta dai singhiozzi. «No, non me ne vado finché non esci di qua! E poi… metti il caso che

devo andare in bagno?! Stai occupando un luogo pubblico!» A Cristina scappa un sorriso, tra le lacrime. «Allora?! Guarda che se non ti muovi e entro trenta secondi non esci, io

prendo e me ne vado!» esclama Alice con la voce più risoluta che riesce ad avere.

«Ecco, brava. Vai. Così me ne sto un po’ in pace.» «Ah sì? Allora non solo ti lascio sola, ma vado da quel bel cameriere

dallo sguardo sexy e tenebroso che ti piace tanto, lo seduco, lo porto nel bagno dei maschi qui a fianco e ci scateniamo! E tu, presa dalla rabbia, butterai giù la porta e ci troverai lì e…»

Proprio mentre sta per scendere nei particolari, una mano leggera le sfio-ra la spalla. «Scusi, il bagno è libero?»

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È una signora anziana dallo sguardo sveglio. Alice arrossisce improvvi-samente, immaginando che la donna abbiamo sentito tutto. Poi borbotta qualcosa che si avvicina a un sì, mentre la signora le sorride. In quel mo-mento la porta del bagno si apre. Cristina, trovandosi davanti quella scena imbarazzante, sta per scoppiare a ridere: Alice si sta mordicchiando le pic-cole unghie ostentando indifferenza e cercando di ignorare la signora, che si guarda intorno spaesata. Cristina allora prende l’amica delicatamente per un braccio e la trascina via.

Alice la guarda un po’ imbronciata: Cristina e le sue crisi, Cristina con quegli occhi gonfi e ancora lucidi, Cristina e il suo sorriso tenero ora ritro-vato… Vorrebbe chiederle tante cose: “Ma perché lo fai?!”... “Cosa ti passa nella mente quando ti comporti così?!”, ma non le chiede niente, e quando Cristina si blocca in mezzo al locale e la abbraccia forte, risponde al suo abbraccio. Prima di dividersi, Cristina le schiocca un bacio sulla guancia, proprio mentre il cameriere entra nel locale e le osserva perplesso e incuriosito.

Le due amiche si dirigono verso l’uscita, ridendo come pazze per la figu-raccia di poco prima.

«Ragazze, ecco tenete, vi ho preso già le borsette. Andiamo che è tardis-simo!» dice Marta quando le due amiche la raggiungono al tavolo. Poi si volta verso Cristina con uno sguardo critico, ma al tempo stesso affettuo-so. «Ah, e il tuo numero gliel’ho scritto io al cameriere sexy...»

Cristina sbuffa. «E dai, Marta! Io mica volevo lasciarglielo!» Marta inarca le sopracciglia assumendo un’espressione buffa. «Cri... vat-

ti a confessare dai frati! Hai appena detto una bugia grande come una ca-sa.»

Alice osserva l’amica che si allontana, diretta verso la fermata del pul-

lman: così piccola e fragile, con quella borsa a tracolla sempre stracolma che sembra più grande di lei. Vedendola camminare col suo passo svelto ed elegante, Alice prova un moto di affetto nei suoi confronti e capisce come mai, nonostante tutti i suoi difetti, sia impossibile non voler bene a Cristina. Quella sera, ad esempio, dopo essere uscite dal bar, Cristina ha insistito per prendere il pullman insieme ad Alice, solo per tenerle compa-gnia e non lasciarla sola nel tragitto fino alla casa dei nonni.

Una volta chiusa la portina che dà sulla strada, Alice torna indietro verso il porticato, percorrendo il vialetto di ingresso lastricato di pietre. Il nonno e la nonna paterni sono seduti davanti al tavolino in vimini, immersi in

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una delle loro interminabili partite di scacchi. È incredibile come possano restare ore intere in silenzio, così concentrati sulla partita, senza nemmeno scambiarsi qualche battuta. Eppure vederli lì, ancora insieme dopo qua-rant’anni di matrimonio, trasmette ad Alice un gran senso di serenità e di fiducia. Così si siede sul dondolo accanto a loro, facendo attenzione a non disturbarli. L’aria fresca della sera le spettina i lunghi capelli scuri e lei chiude gli occhi, dondolandosi lentamente e ripensando al suo primo anno in Toscana.

Se pensa a quanto odiava questi posti appena ci si era trasferita, le sem-bra incredibile che le cose siano cambiate così tanto e in così poco tempo. Lei, nata e cresciuta a Torino, era abituata al traffico incessante, agli spazi verdi che emergevano qua e là in mezzo al cemento, all’appartamento moderno e funzionale in cui viveva coi suoi genitori, e la vita di città le piaceva. Amava il suo liceo in collina, lo shopping in Via Roma il sabato pomeriggio, le passeggiate romantiche nel parco del Colle della Maddale-na, da cui la vista spaziava su tutta la città e si poteva giocare a ricordare dove era avvenuto un determinato episodio, indicando il punto esatto con il dito. “Lì ci siamo dati il nostro primo bacio”. “Lì invece abbiamo liti-gato per la prima volta, ma tu mi hai comprato una rosa e ti sei fatto per-donare.” Amava il profilo della Mole Antonelliana, incorniciato dalle montagne innevate in lontananza. E amava la sua vita sociale: E le umidi notti estive passate a passeggiare con le sue amiche per le vie del centro, per poi sedersi a un tavolo all’aperto in Piazza Vittorio, tra risate e confi-denze, con un occhio all’orologio per rispettare il coprifuoco dei genitori. Le gelide serate invernali, quando si rifugiavano in un bar e combattevano il freddo con una cioccolata calda densa e fumante. E poi i picnic improv-visati al Parco del Valentino in primavera, quando bastavano una coperta e un mazzo di carte per riempire un pomeriggio. E le prime feste in discote-ca, dove speravano di dimostrare più dei loro sedici anni, per fare colpo sugli studenti universitari, così carini e così irraggiungibili.

Amava anche i luoghi in cui era cresciuto suo padre, la Maremma tosca-na sconfinata e selvaggia, ma per lei rappresentavano solamente la meta delle vacanze estive, o dei weekend lunghi che faceva coi genitori per an-dare a trovare i nonni. Almeno una volta ogni tre mesi lei e i suoi genitori si mettevano in viaggio, e percorrevano i cinquecento chilometri che sepa-rano Torino da Grosseto, per raggiungere l’azienda vinicola gestita dal nonno. Spesso, attraversando in auto le strade rettilinee circondate da in-terminabili pianure coltivate interrotte qua e là dai boschi, Alice si era chiesta come facessero i ragazzi e le ragazze della sua età a vivere in un

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posto del genere: si chiedeva se a loro bastassero quei paesaggi meravi-gliosi o se non fosse angosciante sapere che il centro del mondo e tutto ciò che conta si svolge altrove, mentre lì tutto rimane sempre immutato.

Poi, nel giro di poche settimane, la sua esistenza era stata stravolta. Il nonno aveva avuto un leggero infarto e, anche se si era ripreso nel giro di poco tempo e sosteneva di stare benissimo, quell’episodio aveva fatto ca-pire ai genitori di Alice che non avrebbe più potuto gestire da solo l’azienda e il ristorante. Suo padre, intanto, aveva ricevuto una proposta di pensionamento anticipato dall’azienda in cui lavorava. Così una sera sua madre era venuta a dirle che di lì a un mese si sarebbero trasferiti a Gros-seto, forse definitivamente.

Quanto li aveva odiati… Forse ciò che l’aveva fatta stare peggio era sta-to non aver voce in capitolo: la decisione era già stata presa e la sua opi-nione in merito non valeva nulla. Del resto si trattava semplicemente di la-sciare la città che adorava, la sua migliore amica, il suo ragazzo... Per an-dare dove? In mezzo al nulla.

Ilaria e Lorenzo. Erano stati i due saluti più dolorosi. Quella che per lei era come una sorella e quello che era stato il suo primo vero amore. L’ultimo mese a Torino era stato un incubo: notti passate a piangere, gior-ni interi senza rivolgere parola ai suoi genitori, silenzi che poi esplodeva-no alla sera in sfuriate interminabili con sua madre, e terminavano con inutili rassicurazioni sul fatto che sarebbe stato un trasferimento tempora-neo.

Le prime settimane erano state le più difficili. Si sentiva persa e sola. I genitori erano indaffarati a dividersi tra la nuova casa poco distante dal centro di Grosseto e la tenuta del nonno, immersa nella campagna fra la città e la costa. Passava la metà delle sue giornate al telefono con Ilaria, e l’altra metà chiusa in camera sua al computer, cercando di non rompere il filo sottile che ancora la legava alla sua vecchia vita a Torino. Non le inte-ressava guardare fuori dalla finestra, non le interessava conoscere la sua nuova città, non le interessava nulla di quei posti e pensava che mai li a-vrebbe sentiti suoi. Aveva già deciso che sarebbe tornata a Torino dopo la maturità per gli studi universitari e che quei due anni sarebbero stati una piccola parentesi infelice della sua vita.

Poi era iniziata la scuola e le cose sembravano destinate a peggiorare. Si sentiva un’estranea, guardata dai ragazzi come fosse un’aliena e dalle ra-gazze come una snob, ogni volta che chiedeva loro di ripetere una frase o una parola che non capiva.

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Ma Cristina e Marta non l’avevano mai guardata così. Fin dal primo giorno, quando le avevano proposto di sedersi nel banco accanto al loro, sembrava che la loro missione fosse quella di farle respirare aria di casa.

«Non sei mai stata al Giglio?! Si va la prossima estate! Vedrai che spet-tacolo!» le diceva Marta con il suo entusiasmo contagioso.

«E il tramonto dalle Rocchette l’hai mai visto?» si intrometteva Cristina. Alice scuoteva timida la testa e l’altra sgranava i suoi enormi occhi azzur-ri. «No?! Allora il prossimo sabato tieniti libera! Col pullman ci si impiega una mezz’ora.»

Alice apre gli occhi e si alza dirigendosi verso la scala esterna, dipinta di bianco. Sale i gradini disposti a chiocciola per andare ad affacciarsi al da-vanzale in pietra del terrazzo sul tetto della casa. Socchiude gli occhi la-sciandosi trasportare dal profumo di ginepro e dal borbottio di un trattore in lontananza. Li riapre e si perde con lo sguardo oltre i vigneti, verso i campi di girasoli.

«Alice! Vieni dentro che comincia a far freddo!» La voce della nonna rovina la magia del momento. Sorride pensando che

l’entusiasmo con cui l’ha chiamata significa che ha vinto lei la partita. Sono le otto passate quando Cristina rientra a casa. Suona il campanello

e le apre Elisabetta. È raggiante, bella e perfetta come sempre. Indossa una gonna chiara che sfiora appena le ginocchia e una maglia bianca molto at-tillata, i capelli biondi raccolti in alto, un trucco leggero e il suo solito, in-confondibile profumo.

«Ciao Cristina! Finalmente! Aspettavamo solo te!» Cristina le dà un bacio sulla guancia, posa la borsetta all’ingresso e sente

una voce familiare provenire dalla sala da pranzo. Riconoscerebbe quella voce tra mille: così allegra, potente, ma anche dolce, cortese. È lui. Miche-le. Con il cuore che le batte all’impazzata, corre in camera sua e si dà un’occhiata nel lungo specchio dietro l’anta dell’armadio in noce: quel ve-stito azzurro, anche se le riesce difficile ammetterlo, le scivola bene ad-dosso. Sorride vedendo la sua immagine riflessa. È uno dei rari momenti in cui riesce a vedere se stessa con gli occhi di tutti e non con i suoi, critici e malati. Il suo seno è pieno e sodo, la sua pancia piatta e i fianchi morbidi e appena accennati. Le sue gambe non sono grosse e pesanti come le im-magina di solito, ma lisce e affusolate. Si dà una rapida spazzolata ai ca-pelli, un tocco leggero di rossetto sulle labbra, un po’ di matita nera per evidenziare gli occhi azzurri, ed è pronta.

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Quando entra in sala sua madre le va incontro avvolgendola in una dolce scia di profumo, lo stesso che usa fin da quando Cristina era piccola. Bacia affettuosamente la figlia su una guancia, poi torna in cucina. Cristina cerca con lo sguardo Michele, e lo trova. È seduto sul divano in pelle e gioca con Lady. Mentre lo vede lì, così tenero mentre la gatta cerca di afferrare il suo dito che lui ritrae all’ultimo momento, Cristina sente che potrebbe stare a contemplarlo per ore. Vorrebbe che lui non sollevasse mai lo sguardo. Invece si accorge della sua presenza e alza i suoi occhi verdi su di lei, che gli si avvicina.

«Ciao Michele…» «Ehi, Cristina! Come stai?» «Bene, grazie…» poi si china su Lady e la prende tra le braccia. È bian-

ca e soffice. Ricorda ancora la sera di qualche anno prima, quando suo pa-dre era rientrato a casa con quel batuffolo appena nato. Cristina era tornata da pochi giorni, dopo un mese da incubo trascorso in ospedale, dove per miracolo erano riusciti a salvarla dalla sua magrezza esasperata. I suoi l’avevano portata all’ospedale dopo un altro improvviso svenimento du-rante una partita di tennis, stavolta più grave del solito, dato che non ac-cennava a risvegliarsi. Quando i medici le avevano misurato il polso, era-no rimasti esterrefatti e avevano predisposto il ricovero d’urgenza. Il suo battito cardiaco era così debole da risultare quasi impercettibile anche ai loro strumenti.

Cristina cerca di non pensare al passato che ritorna, mentre accarezza quello che era stato il regalo di bentornata a casa. Quando Lady fa le fusa, le sfugge un sorriso intenerito e una ciocca di capelli dorati le scivola sul viso. Michele la osserva senza parlare.

D’un tratto Lady sfugge dalle braccia di Cristina e con un balzo salta di nuovo tra quelle di Michele. “Come darle torto” pensa lei.

«Allora, come stai? Sempre super impegnato?» Michele sbuffa un po’. «Sì lascia stare. Tu non immagini... L’avvocato

mi riempie di cose da fare. E ovviamente passa a me tutti i lavori più noio-si, che lui non ha voglia di sbrigare. Ho appena il tempo di pranzare e alla sera arrivo a casa stanco morto. Tutto questo per una paga misera.»

Cristina annuisce, poi, sempre con lo stesso sorriso, chiede: «Allora ti sei già pentito di essere venuto qua a Grosseto?»

Lui si affretta a scuotere la testa. «No no, non mi fraintendere. Tuo padre è stato gentilissimo a trovarmi un posto qua. È normale che mi sfruttino, sono solo un praticante. E poi mi sto innamorando di questa città! Non è Roma, ovvio. Mi manca uscire dalla metropolitana tutte le mattine e tro-

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varmi davanti il Colosseo. Però ci sono anche i lati positivi. Qua si sta tranquilli, niente stress e niente smog.» Una breve pausa. «E poi ci siete voi. Insomma, siete una seconda famiglia per me!»

“Io non voglio essere la tua famiglia, voglio essere la tua donna” pensa Cristina ascoltandolo parlare con quel suo tono così calmo e chiaro.

In quel momento arriva Elisabetta a interromperli, e si siede sulle ginoc-chia di lui, tenendo in mano un tramezzino appena preparato. Glielo porge per farglielo assaggiare, imboccandolo. Lui sembra gradire. «Uhm, squisi-to. Burro e salmone?»

Elisabetta annuisce soddisfatta e lui si rivolge a Cristina, stringendo la sua ragazza tra le braccia: «…e finalmente posso stare sempre vicino al mio amore!»

Cristina gli sorride, cercando abilmente di mascherare l’immenso fasti-dio che sta provando. Elisabetta, incurante della presenza della sorella, gli butta le braccia attorno al collo e lo bacia con passione.