Per il Rilancio dei Parchi

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Per il rilancio dei parchi Edizioni ETS Gruppo di San Rossore

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I parchi italiani sono in crisi. Molte e diverse le idee per cambiarli, gestirli, rilanciarli. Sconfortanti, troppo spesso, gli interventi della politica. Qualcuno, però, non si rassegna. E fa delle proposte. Concrete. Informale lo è già dal nome. Il “Gruppo di San Rossore” è semplicemente il risultato di un incontro tra volenterosi che, all’interno di un parco toscano, hanno voluto confrontarsi, reagire, proporre. Da lì, il primo balzo nazionale, a Firenze, nel 2011, con risultati di partecipazione sorprendenti e incoraggianti.

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Per il rilanciodei parchi Edizioni ETS

Gruppo di San Rossore

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Per il rilanciodei parchi

Edizioni ETS

Gruppo di San Rossore

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DistribuzionePDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]

ISBN 978-884673041-1

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PER IL RILANCIO DEI PARCHI

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L’assemblea nazionale del «Gruppo di SanRossore» svoltasi a Firenze,PalazzoBastogi, nel febbraio 2011.

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PRESENTAZIONE

Quando abbiamo deciso di costituirci in gruppo di SanRossore almeno su un punto avevamo le idee molto chiare;non intendevamo aggiungere una voce alle tante che legit-timamente protestano, denunciano e si lamentano delletantissime cose di cui soffrono oggi i parchi.

Non abbiamo dubbi che quelle denunce sono più chefondate e servono.

Ma quello che a nostro giudizio oggi urge è appunto il ri-lancio di una politica dei parchi di cui sono andate via via –e negli ultimi tempi a ritmi sempre più allarmanti – smar-rendosi o opacizzandosi le coordinate, il senso, le finalità.Va ripresa e rilanciata la sfida della legge quadro con laquale 20 anni fa anche il nostro paese entrò nel novero diquelli che affidavano ai parchi e alle aree protette la gestio-ne i beni pubblici ambientali, naturalistici e paesaggisticipresenti nell’art. 9 della Costituzione.

Questo fu il senso di quella scelta a cui arrivammo con-cordemente dopo un travagliato percorso non solo parla-mentare.

Oggi è quella scelta che è entrata in crisi, è stata messa incrisi nonostante i risultati importanti conseguiti, conferma-ti dall’alto numero delle aree protette istituite e la percen-tuale di territorio protetto.

Abbiamo recuperato gravi ritardi e ci siamo significati-vamente allineati ai paesi più avanzati. Poi prima senzacolpi di scena clamorosi ma con inadempienze, rinvii, ritar-di e successivamente anche con sortite e decisioni che han-no paralizzato e screditato specialmente i parchi nazionali

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pur considerati assurdamente i soli ‘veri’ parchi come già asuo tempo affermò unministro, con una raffica di commis-sariamenti prolungati e ingiustificati che si sono estesi ne-gli ultimi tempi – quasi per contagio – in alcune regioni an-che a quelli regionali.

I tagli finanziari sono perciò solo l’ultimo anello di que-sta lunga catena che ha messo in crisi i parchi e una leggeche anziché essere attuata è stata via via elusa, ignorata ebistrattata e che ora si vorrebbe persino modificare per po-ter fare meglio i propri comodi a partire dal comparto piùmalmesso e cioè le areemarine protette.

Ecco, noi del gruppo di San Rossore siamo partiti da quie dalla convinzione che alla caduta culturale prima ancorache politico-istituzionale bisogna reagire chiamando incausa in primo luogo le istituzioni; governo, parlamento,regioni, enti locali che sono i titolari costituzionali e politi-co-istituzionali dei parchi e delle aree protette oggi più diieri raccordate al contesto comunitario e internazionaledove in effetti non brilliamo per presenza e iniziativa co-me testimoniano le numerose sanzioni a carico del nostropaese.

E siccome fin dalle prime battute del nostro lavoro e spe-cialmente nella assemblea nazionale di Firenze a fine feb-braio abbiamo registrato interventi, contributi, proposte esollecitazioni oltre che un alto numero di adesioni abbiamopensato che valesse la pena a ‘caldo’ di raccoglierne alcune.Lo abbiamo fatto in questo libretto per stimolare ulterioriapprofondimenti ma anche iniziative e appuntamenti cheintendiamo promuovere nel paese. Non si tratta di un lavo-ro organico ma di una scelta deliberatamente volta a ri-prendere e riproporre in maniera anche un po’ provocato-riamente stimolante aspetti e spunti che ormai è bene di-scutere senza peli sulla lingua.

Che questa iniziativa del gruppo di San Rossore libro in-cluso coincida con una fase particolarmente confusa del di-battito sul federalismo lo colloca peraltro su uno sfondo

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niente affatto ‘sindacale’ ma al contrario in grado di fornireapprocci finora rimasti in ombra.

I parchi come abbiamo detto anche in più d’un docu-mento e che torniamo a discutere e a approfondire in que-sto testo occupano o dovrebbero occupare nel governo delterritorio quale è delineato nel titolo V della Costituzioneun ruolo particolarmente importante vuoi perché operanosu una scala e dimensione non amministrativa vuoi perchéa quel livello pianificatorio e ‘sovraordinato’ gestiscono inmaniera integrata competenze che nel settorialismo si di-sperderebbero e frantumerebbero perdendo in efficacia.Aspetto questo di particolare rilevanza per quanto riguardala gestione integrata delle coste.

E sorprendente, ad esempio, che dal dibattito in corsosui parchi che in più d’una regione ha portato o sta portan-do a modifiche spesso discutibili di vecchie normative cheavevano consentito di costruire se non dei veri e propri si-stemi sicuramente dei complessi di aree protette cheavrebbero avuto bisogno di raccordarsi a politiche nazio-nali ormai da tempo latitanti, non emerga una riflessionesu cosa i parchi abbiano rappresentato per la collaborazio-ne intercomunale. È noto che la prima fase della istituzio-ne dei parchi regionali anche successivamente alla entratain vigore della legge quadro fu segnata anche da resistenzecomunali che in più d’un caso approdarono alla non inclu-sione di qualche comune che non volle saperne di entrarenel parco. Questa stagione è stata pazientemente ed effica-cemente superata tanto che oggi come ha ricordato a Fi-renze l’assessore ai parchi della regione Liguria RenataBriano ci sono comuni che chiedono di far parte del parco.È un aspetto sul quale bisogna oggi soffermarsi perchéquella della collaborazione intercomunale dato l’alto nu-mero dei comuni specialmente in alcune regioni è dai tem-pi del rapporto Giannini che ipotizzava la riduzione a1000 degli oltre 8000 comuni – metà dei quali in un paiodi regioni – che assilla il nostro assetto istituzionale. Negli

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anni si sono tentate varie strade tutte però – talvolta in unbattibaleno – rivelatesi impraticabili; dai comprensori alleassociazioni intercomunali tanto che anche le esperienzepiù positive e interessanti – vedi le comunità montane –sono state di fatto smantellate.

Gli enti parco specialmente regionali e le comunità delparco hanno invece arricchito e consolidato la collaborazio-ne tra comuni in particolari piccoli e quindi più emarginatie di questi con le province interessate e l’hanno conseguitosu un terreno di pianificazione ossia di gestione non riguar-dante unicamente un aspetto del governo locale. Insommaanche ai piccoli comuni per la prima volta è stato permessodi mettere incisivamente becco in faccende dalle quali sa-rebbero stati per legge esclusi.

È chiaro che i commissariamenti a tappeto e per tempiillegittimamente prolungati vanificano, mortificano que-sto ruolo screditando con il parco quel sistema istituziona-le che può operare efficacemente solo in ‘leale collabora-zione’. Una collaborazione messa a rischio non solo dai ta-gli con il machete alle risorse finanziarie ma anche e so-prattutto da un recupero neocentralistico che in tempi difederalismo chiacchierato appare tanto più grottesco eprovocatorio.

Dovrebbe apparire abbastanza chiaro in sostanza chequell’orizzonte nazionale che vogliamo ridelineare comeabbiamo detto a Firenze non è qualcosa che dipende unica-mente da un impegno di Roma ma di tutte le istituzioni re-gioni ed enti locali compresi.

Anzi va detto che oggi il rischio di non riuscire in questaimpresa estremamente impegnativa è dato non soltantodalle sordità di un centro che appare in tutt’altre faccendeaffaccendato ma anche da regioni ed enti locali in più d’unacaso dotate di una propria rete di parchi e aree protette – èil caso della Lombardia, del Lazio, del Piemonte, del Venetoe di altre che sembrano operare per ridimensionarne so-stanziale il ruolo. E anche regioni che non hanno imboccato

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questo percorso mostrano più di una incertezza nel rimette-re a punto la propria gestione.

In definitiva un nuovo orizzonte nazionale per i parchi ele aree protette terrestri e marine sarà tale se coinvolgeràstato, regioni ed enti locali.

Renzo Moschini

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NON È LA LEGGE CHE VA CAMBIATAMA LA POLITICA

Gianluigi Ceruti

Esprimo schietto compiacimento a Renzo Moschini perl’iniziativa di costituire il Gruppo di San Rossore che conti-nuerà a raccogliere adesioni e non annullerà la sua funzio-ne se saprà aprirsi sempre alla comprensione e all’accetta-zione di tutti superando differenziazioni culturali e ideolo-giche purché nella comune adesione ai principii di rigorosatutela dei valori ambientali.

Come ho già avuto occasione di dichiarare in un’intervi-sta, quando il Parlamento approvò la legge 394/1991 avevopiena consapevolezza che la normativa era molto in antici-po sui tempi rispetto ai livelli culturali ed etico-politici del-le rappresentanze politiche (che in alcune sue componentine hanno osteggiato l’iter approvativo, incessantemente eripetutamente, in tutti i modi) e rispetto a larghi strati dellasocietà civile, non ancora raggiunta da una adeguata prepa-razione e sensibilità inmateria.

Il liberismo selvaggio – che non ha ancora esaurito lasua ondata devastante – ha determinato in Italia, anchenella tutela degli ecosistemi, un vuoto culturale cosìprofondo che occorreranno almeno vent’anni per colmarlo.

Occorre ricominciare daccapo, ossia promuovere con pa-zienza, convinzione e umiltà una vera e propria palingenesidopo il passaggio di orde barbariche che, al contrario diquelle che hanno percorso il nostro Paese in un passato re-moto, non lascieranno sedimenti fecondi.

Bisogna rivolgersi al territorio, ai mezzi di informazione,alla Scuola, all’Università, al volontariato giovanile: conazioni elementari e capillari di informazione e di educazione

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alla conservazione della biodiversità.Il Gruppo di San Rossore ha tutti i requisiti e le compe-

tenze per dare il proprio contributo al rilancio e alla rinasci-ta dei Parchi in Italia tenendo gli opportuni contatti con leorganizzazioni internazionali di conservazione della naturae delle sue risorse non solo europee.

I Parchi hanno bisogno del sostegno pubblico, come ac-cade in tutti gli Stati del mondo indipendentemente dal si-stema di governo.

Si prospettano modifiche alla legge 394/1991 solo persvuotarla dei contenuti essenziali o perché si attribuisce er-roneamente alle norme responsabilità che sono riferibili in-vece a carenze di gestione o amancanza di volontà politica.

Prima di tutto si cerchi di attuare compiutamente unanormativa tuttora valida.

E poi, solo ipotizzare di por mano in questo momento al-la legge 394/1991 è un atteggiamento non responsabile conquesto Parlamento che offre ogni giorno gli spettacoli cuiassistiamo sgomenti e con un Governo il cui ministro del-l’ambiente sostiene l’energia nucleare e vorrebbe privatiz-zare i Parchi quando, nei Paesi più liberistici e con sistemafederale collaudato da decenni di consolidate esperienze,come gli Stati Uniti d’America e il Canada, le aree naturaliprotette fanno capo ai poteri pubblici.

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STRADE NUOVE PER PERCORSI CONSOLIDATIFUORI DALLA CRISI PER RILANCIARE UN FUTURO

SOSTENIBILE

Valter Giuliano

Un nuovo movimento pro parchi è non solo necessario,ma indispensabile.Per questo la chiamata del gruppo di San Rossore appare

del tutto opportuna e non certo estemporanea.Se nell’immediato dopoguerra una figura importante del-

la storia ambientalista italiana, come Renzo Videsott, sentìla necessità di costruire unmovimento per la protezione del-la natura chiamato prima di tutto a difendere l’integrità deiparchi alpini a cominciare dal «suo» Gran Paradiso, altret-tanto va messo oggi in campo per difendere dagli attacchidell’ignoranza, prima ancora che delle risorse economichelesinate, l’intero sistema delle aree protette del Paese.Nel primo caso come nel nostro c’è bisogno di ravvivare

una sensibilità, che pare sopita, dell’intera comunità nazio-nale a difesa delle sue bellezze ambientali e culturali mi-nacciate dall’ignavia e dall’indifferenza contro cui si levanoancora troppo poche e isolate, sia pure autorevoli, voci.C’è bisogno, più che mai, di una rinnovata attenzione e

tensione dell’opinione pubblica che reagisca alla situazio-ne in atto. Che registra reazioni troppo blande a episodi co-me quello del Parco Nazionale dello Stelvio, la cui condan-na a morte è rinviata solo grazie al Presidente Napolitano. Enon sappiamo per quanto. Una decisione governativa ne hafatto carne da macello istituzionale i cui brandelli si inten-de distribuire a tre soggetti gestori diversi.Questo risultato che può costituire un pericoloso prece-

dente di rinuncia dello Stato a governare i parchi nazionali,è stato raggiunto con un atto di barbarie politica, con il ver-

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gognoso mercato dei voti parlamentari da parte dei rappre-sentati sudtirolesi/altoatesini.Ma il disastroso collasso economico del bilancio del Mi-

nistero dell’Ambiente (tra i più segnati dalla scure dei tagli)rischia di trascinare nel baratro anche gli altri parchi nazio-nali. E, rimanendo a quelli alpini, preoccupa che, nell’insi-piente rinuncia dello Stato, possano essere le autonomie lo-cali, là dove la permanenza dei principi dell’autonomiacontinua ad assicurare i conseguenti privilegi, a sostituirsinella gestione di territori che per definizione sono e debbo-no rimanere di interesse e responsabilità nazionale e, inprospettiva, europei e internazionali.Il paese rischia il suo futuro con la crisi dell’Università

che coinvolge in maniera seria i corsi in scienze naturali ebiologiche e che preclude al crollo della ricerca e alla conse-guente mancanza di ricambio tra gli specialisti che per con-tro saranno sempre più necessari nella costruzione dellestrategie di futuro sostenibile. La pressoché totale scompar-sa dei tassonomi che paradossalmente si verifica proprionel momento in cui la crescita di attenzione sulla biodiver-sità richiederebbe, semmai, una implementazione di que-sta figura professionale, non è che la punta di un icebergche deve suonare come campanello di allarme nei confrontidi una situazione di crisi generale.Ma anche gli effetti della crisi rovesciati addosso al Mini-

stero della Pubblica Istruzione, rassegnato esecutore di unariforma dettata più da esigenze economiche che da una effet-tiva riorganizzazione razionale del sistema dell’educazione edelle formazione scolastica, nonmanca di portare con sé lacancellazione di tutte quelle esperienze di «scuola fuori dallascuola» indispensabili a costruire cittadini di domani con unsufficiente bagaglio esperienziale utile ad affrontare l’etàadulta; inutile dire che la ridotta possibilità del contatto diret-to con le istituzioni culturali (musei, paesaggi, monumenti,biblioteche…) e con quelle naturali (parchi e aree protette inprimis) che rappresentano il valore aggiunto del nostro Paese

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e potenzialità ancora insufficientemente esplorate per la suaeconomia, restringono i percorsi formativi e le possibilità diaccesso a professionalità innovative. Ma hanno anche una ri-caduta negativa su tutte le opportunità, di alta qualità e quali-ficazione, che il sistema delle aree protette è in grado dimet-tere a disposizione dei ragazzi per guidarli verso scelte chepongano al centro dei loro interessi e delle future collocazionilavorative quell’etica di responsabilità senza la quale la so-stenibilità rimane solo una nuova parola, fuori da ogni conte-sto praticabile e da qualsivoglia contatto con la realtà.Questo è il quadro in cui siamo oggi chiamati ad agire e

che richiede un impegno rinnovato e diverso rispetto alpassato.Sia Federparchi, sia le sue articolazioni regionali posso-

no svolgere, sicuramente, un buon lavoro di coordinamen-to, di scambio di esperienze, di sperimentazione e ricerca,ma non certo quel ruolo di autorevoli interlocutori delle Re-gioni o del Governo dai quali, a livello locale quanto nazio-nale dipendono, tanto più in una situazione nella qualePresidenti e a volte direttori sono, di fatto, di nomina politi-ca; peggio ancora nel caso, non infrequente, in cui le areeprotette sono affidate a gestioni commissariali.È del tutto evidente, inoltre, che in una fase congiuntu-

rale come quella che stiamo vivendo, non proprio favorevo-le alle tesi ambientaliste, la situazione si aggrava ed occor-rono forze fresche, con un’onda d’urto forte sia nei confron-ti della politica che della comunicazione.Il gruppo di San Rossore rappresenta, potenzialmente,

un soggetto nuovo svincolato dal potere politico e ammini-strativo, capace di affermare un’idea e un progetto di futurosostenibile in cui l’esperienza dei parchi e delle aree protet-te costituisce un esempio concreto, un catalogo di buonepratiche.Chi dava per scontato che la fase culturale fosse supera-

ta e ci si dovesse concentrare sulla fase politica è statosmentito.

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La cultura della pianificazione sostenibile del territorio,dell’attenzione al recupero e al riuso del patrimonio ediliziostorico, della progettazione attenta ai valori paesistici e na-turalistici si è quasi del tutto dileguata sotto i colpi di unarisposta alla crisi economica di corto respiro, fatta unica-mente di nuovo asfalto e cemento armato, da spalmare nel-le città, nelle campagne e sulle montagne di ciò che restadel Belpaese.Il percorso virtuoso verso la sostenibilità dello sviluppo

ha oggi le false sembianze della green economy dove l’ag-gettivo è del tutto casuale e secondario, assunto solo perchéalla moda e perché fornisce facili alibi per investimenti chepoco hanno di ambientalmente sostenibile.Non lo sono quelli che stanno assoggettando le campa-

gne e spesso suoli agricoli di alta fertilità all’invasione degliimpianti fotovoltaici; non sono ambientalmente compatibi-li le pale eoliche che deturpano paesaggi collinari tra i piùcaratteristici; non lo sono i mini impianti idroelettrici inva-sivi che rischiano di massacrare i delicati reticoli idrogeolo-gici e che stanno compromettendo anche le aree protette…Di per sé ognuna di queste azioni avrebbe potuto esserlo.

Ma nella giungla dell’iper liberismo che si apre a ogni sfre-nato appetito di massimizzazione dei profitti – in barba aqualsivoglia normativa di impatto ambientale, senza alcu-na programmazione e, meno che mai di oculata gestione –anche interventi potenzialmente virtuosi si trasformano inefferati attentati all’equilibrio del sistema ambientale e per-sino sociale.La devastazione culturale di questi anni in cui ogni pul-

sione diventa possibile e ogni tentativo di regolarla attenta-to alla libertà, avrà riflessi di imbarbarimento destinati adurare nel tempo, perché le giovani generazioni ne sono leprime vittime.Non educate né al possibile né al bello, tantomeno all’e-

tica e alla responsabilità, ma solo all’obiettivo della ricchez-za materiale immediata rischiano di essere portatori di un

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imbarbarimento devastante dei comportamenti individualie sociali che non potrà che riflettersi negativamente sul-l’ambiente culturale, sociale e naturale di domani.Si stanno ponendo ancora una volta le condizioni, come

per l’Italia del boom economico distolto, di uno sviluppo in-capace di tenere in debito conto le bellezze paesistiche estoriche che possono risultare strategiche negli scenari difuturo.Sembra ripetersi quell’infausto atteggiamento che as-

sunse il termine di «rapallizzazione», neologismo che anco-ra oggi, riassumendo ed esemplificando un fenomeno, con-danna la località ligure ergendola a simbolo ed emblema diuna stagione nefasta delle politiche territoriali che non so-no certo rimaste confinate in quel territorio.I tempi che viviamo, nonostante strumenti di consape-

volezza nel frattempo indicati all’intera comunità interna-zionale, sembrano riportare indietro le lancette degli orolo-gi della società.Allora si innescò una reazione vigorosa che in opposizio-

ne al modello dei «vandali in casa» e della «distruzione del-la bellezza in Italia», per citare Antonio Cederna, aprì il pe-riodo dell’urbanistica ragionata, dell’attenzione ai centristorici e al loro recupero, Nella mia regione, il Piemonte,quella stagione è ben rappresentata dalla legge urbanistican. 56/77 «Tutela e uso del suolo» fortemente voluta dall’as-sessore Giovanni Astengo, architetto urbanista, docente aVenezia, impegnato nell’Istituto Nazionale di Urbanistica.Qualifiche e professionalità che oggi, purtroppo non ritro-viamo neppure nei Ministri di Governo. Subito dopo, non acaso, questa attenzione alla pianificazione e programma-zione territoriale portò alla legge sui parchi regionali.Se rispetto a quei tempi di profonda sensibilizzazione e

consapevolezza siamo vistosamente tornati indietro nellastoria, la responsabilità è di tutti.Ma prima di tutto ricade sulle istituzioni e su quel siste-

ma dei partiti che ne dovrebbe garantire la qualità con la se-

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lezione di una classe politica e dirigente all’altezza dei pro-blemi che lamodernità ci impone di affrontare.E se alcuni temi come la giustizia, la libertà, l’eguaglian-

za, la solidarietà restano patrimonio almeno apparentemen-te condivisi, sia pure nella diversità radicale di ricette e so-prattutto di comportamenti, le tematiche ambientali sonovia via scivolate fuori dall’agenda politica nella quale pureoccuparono – per circa un ventennio – uno dei punti cardi-nali e che suggerirono e segnarono la nascita dei Verdi.Ma se questa centralità si è persa, la responsabilità non è

solo della fallimentare esperienza di quella formazione po-litica che ha dissolto un patrimonio ideale e culturale mes-so a frutto in altri Paesi d’Europa, o più in generale di unmovimento ambientalista che pure ha mutato genetica-mente la sua ragion d’essere adagiandosi su un ruolo di«progettificio» a servizio di un Ministero piuttosto che diqualche Assessorato regionale o locale.La ragione della completa disattenzione della politica nei

confronti dell’emergenza ambientale, che pure è oggi benpiù stringente e sotto gli occhi di tutti rispetto a decenni orsono, sta nell’insufficiente azione di sensibilizzazione neiconfronti dei cittadini che favorisce la naturale predisposi-zione ad affidarsi fideisticamente a qualche improbabile so-luzione scientifico-tecnologica che verrà, piuttosto che ade-guare i propri comportamenti alla gravità della situazione. Ècome se unmalato non si curasse in attesa che, prima o poi,arrivi la pillolamiracolosa della salute perenne.Tra le azioni da mettere in atto, riprendendo un percorso

interrotto, ci sono certamente quelle volte a diffondere nuo-vamente una cultura ambientalista che, in un mutato qua-dro della comunicazione, necessitano di nuove forme estrumenti.Non possiamo, infatti, non annotare come la crisi delle

sensibilità e dell’impegno nei confronti delle questioni am-bientali sia segnalata da una parallela crisi di strumenti diinformazione, già molto diffusi, che o sono scomparsi o

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hanno subito profonde mutazioni; valga per tutti l’esempiodi Airone. E non è sufficiente affidare la presa di coscienzasulla necessità di realizzare un futuro sostenibile affidan-doci unicamente a una comunicazione che pone al centro laspettacolarizzazione delle questioni, sia che si tratti di esa-cerbare gli aspetti di denuncia che di evocare improbabili,rassicuranti scenari di idillio naturalistico.Ma soprattutto, una volta di più, non dobbiamo derogare

all’esigenza di una informazione seria e qualificata che ciraggiunga ogni giorno nei momenti di maggior ascolto ra-diotelevisivo e con continuità sulle pagine a stampa. Anco-ra una volta non possiamo accettare che la natura venga«messa in barattolo» e confinata in contenitori e spazi spe-cializzati destinati a fruitori già sensibilizzati. Questo tipodi strumenti è necessario e serve a integrare la funzione diinformazione e documentazione oggi in gran parte svoltadalla Rete, ma va affiancato da una informazione snella econvincente che induca a comportamenti consapevoli neiconfronti delle strategie da porre in atto per modelli di so-stenibilità dello sviluppo.Non vanno trascurati, in questa direzione, i fenomeni di

diffusione e affermazione dell’ecocritica, della scrittura am-bientale, della letteratura ecologica.Tutto parte dalla constatazione del fatto che la crisi am-

bientale non riguarda solo gli equilibri naturali ma coinvol-ge aspetti sociali e culturali spesso acuendo diseguaglianzee conflitti; è dunque necessario ridisegnare un nuovo uma-nesimo che ci aiuti a rivedere in termini più complessi lanostra relazione con l’ambiente, che sostituisca alla con-trapposizione natura-cultura la relazione di reciprocità bio-culturale. La letteratura, come elemento essenziale dellanostra evoluzione non può essere separata dalla natura edalla rete ecologica che ne segna la nostra appartenenza.Un’egregia esemplificazione del fenomeno la si trova

nelle ultime opere – La Creazione e Anthil – di EdwardOsborneWilson, padre della moderna sociobiologia.

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Questo innovativo filone di intervento può certamenteessere sostenuto e promosso proprio dal sistema dei par-chi, affiancando alle più tradizionali forme di educazioneambientale.A questo punto ripercorrere la vicenda della politica dei

parchi e delle aree protette rischia di diventare, ahimé, unametafora del progressivo disgregarsi del senso di comunitàe di bene comune dell’Italia.In questo quadro generale, purtroppo a tinte fosche, si

rispecchia inevitabilmente anche la sensibilità collettiva, lacultura condivisa nella quale sono destinate ad emergeregli egoismi e le esclusioni nei confronti degli altri, che con-sentano a questi di affermarsi.Cavalcare l’impossibile abbassamento delle tasse man-

tenendo garanzia di accesso a diritti fondamentali (assi-stenza sanitaria, istruzione…) piuttosto che propagandaretutele verso chi viola le leggi (provvedimenti di sanatorianei confronti di chi ha consumato delitti in tema finanziariopiuttosto che edilizio) contribuiscono prima a ingannare lacomunità poi a minare il senso di appartenenza a una so-cietà democratica che ha tra i suoi pilastri la solidarietà.Come si può pensare che in questa atmosfera generale il

zterritorio, la natura, l’ambiente, i parchi, possano sottrarsia un destino di totale dissolvimento?Un destino inevitabile? No.Se dal Gruppo di San Rossore e da tanti altri che si for-

meranno con la nostra azione di sensibilizzazione, nasceràuna nuova, condivisa sensibilità collettiva decisa ad agire,come negli anni Settanta dello scorso secolo, a difesa delpatrimonio culturale, artistico, ambientale, naturalisticoche appartiene a ognuno di noi e che ognuno di noi devemobilitarsi a difendere.Ma quel lavoro culturale, svolto con paziente abnegazio-

ne per anni e che abbiamo forse troppo presto dato perscontato, immaginando fosse patrimonio ormai comunedell’intera collettività, va ripreso, riproposto, rilanciato.

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E, forse, ci vuole un soggetto nuovo per farlo.Un soggetto che sia completamente al di fuori dei riti cui

sembrano in gran parte appartenere quelli che furono i pro-tagonisti dei trascorsi decenni e che, piano piano, si sonointegrati nelle dinamiche di un sistema che ne ha depoten-ziato l’efficacia.

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IL RUOLO STRATEGICO DEI PARCHI

Carlo Alberto Graziani

I parchi naturali – sia nazionali che regionali – devonoessere annoverati tra le istituzioni più interessanti e dina-miche degli ultimi decenni. Lo prova la loro esplosione chenon è solo quantitativa, ma anche qualitativa: essi infattisono riusciti a recuperare i ritardi dovuti alla mancanza dipolitiche pubbliche durata dagli anni trenta agli anni ottan-ta del secolo scorso e a superare enormi difficoltà e in parti-colare gli ostacoli frapposti da equivoche interpretazionidel loro ruolo, spesso artificiosamente diffuse. La funzionepositiva svolta dai parchi italiani negli ultimi due decenniviene oggi riconosciuta a livello internazionale.Questa constatazione però non può e non deve nasconde-

re la situazione attuale che è sempre più drammatica: in Ita-lia i parchi, insieme alle altre aree naturali protette, stannosoffocando. Non si tratta soltanto delle recenti restrizioni fi-nanziarie,ma di unamorsa più sottile e per questo più grave.Certo, gli ultimi gravissimi tagli operati sia dal governo

che da molte regioni stanno conducendo sotto il limite disopravvivenza i parchi e le altre aree protette che finora,pur operando con risorse finanziarie sempre inferiori allenecessità, erano riusciti a resistere e a progredire grazie al-l’abnegazione, all’entusiasmo, alla professionalità di opera-tori e di volontari. Ma oggi è subentrata una questione an-cor più pericolosa che consiste nel travisamento e nella ba-nalizzazione del ruolo di queste aree e che rischia di cancel-lare una delle più belle pagine della storia della conserva-zione della natura in Italia.Da un lato l’ideologia maschilista dell’«antropizzazione»

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– l’uomo maschio che domina la natura femmina – ignorala riflessione sul complesso rapporto tra la persona umanae la natura che si è sviluppata in questi anni e risospinge ildibattito ai livelli di quella demagogia («prima gli uomini epoi gli animali») che aveva rappresentato uno degli ostacolipiù insidiosi nel difficile e lungo cammino verso la leggequadro del 1991. Dall’altro lato tende a prevalere una con-cezione genericamente turistico-gastronomica che finisceper appiattire perfino quelle specificità che si vorrebberoesaltare. Questi due fattori oscurano completamente quelloche oggi deve considerarsi il vero ruolo delle aree protette eche è un ruolo di grandissimo valore strategico perché aprenuove prospettive all’intera società.Soprattutto i parchi, che delle aree protette rappresenta-

no il modello più complesso, sono attualmente in grado dioffrire indicazioni – e in certa misura già hanno cominciatoa farlo – per contrastare il rischio della catastrofe causatodall’attuale processo di sviluppo. Sotto questo aspetto vera-mente i parchi hanno una missione da compiere ed è unagrandemissione.Su questo punto occorre, con lucidità e coraggio, chiarire

un equivoco che finora un po’ tutti abbiamo contribuito adalimentare. Abbiamo affermato che i parchi rappresentanonon solo importantissimi serbatoi di biodiversità, ma anchelaboratori in grado di sperimentare come sia possibile co-niugare rigorosa conservazione ed effettivo sviluppo nel se-gno dello sviluppo sostenibile. Questa idea, per la quale ab-biamo lavorato anche con grande passione e con non pochirisultati, contiene però un equivoco di fondo. Lo svilupposostenibile, sorto come obiettivo di alta politica nell’azionegenerale delle moderne società, si è tramutato nell’attua-zione pratica in politica di compromesso dove a perdere èquasi sempre la natura: tutti – istituzioni, organizzazioni,studiosi, operatori – predicano la sostenibilità, ma il piane-ta continua drammaticamente a progredire verso l’insoste-nibilità. Pertanto continuare ad affermare che nei parchi è

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possibile sperimentare lo sviluppo sostenibile rischia direnderli soltanto un alibi: foglie di fico che nascondono lavergogna di coloro che non sanno o non vogliono arrestarela folle corsa dell’umanità verso la catastrofe.Oggi allora l’imperativo categorico non può essere altro

che quello di invertire questa perversa spirale distruttiva eperciò di interrogarsi – a livello sia teorico che operativo –sul significato e sulla portata dello sviluppo. In questa ope-ra i parchi possono assumere una funzione straordinaria:nei parchi si conserva la natura e insieme si guarda allepersone e proprio per questo è possibile interrogarsi suigrandi temi dello sviluppo, dei limiti della crescita e del Pil,del benessere e della felicità, del rapporto persona-natura,della salvezza della terra e nello stesso tempo legare l’ap-profondimento teorico alla sperimentazione operativa.Cer-to, i parchi e le altre aree protette non possono da soli rag-giungere un risultato salvifico perché tutelano solo porzio-ni limitate di territorio, sia pure non trascurabili (secondoalcune stime si tratterebbe del dieci per cento delle terreemerse dell’intero pianeta); ma essi, oltre a essere serbatoidi biodiversità di importanza fondamentale, costituisconolaboratori di eccezionale rilevanza per sperimentare nuovemodalità di gestione territoriale non più nel segno ideologi-co dello «sviluppo sostenibile», ma in quello della respon-sabilità nei confronti delle future generazioni.Piccole sperimentazioni, ma diverse e diffuse e proprio

per questo più significative.Ed è anche attraverso queste sperimentazioni che è pos-

sibile accogliere nel vocabolario dei parchi e poi trasferirlocon la forza dei fatti concreti in quello della politica genera-le il termine «decrescita» così come provocatoriamente vie-ne usato da Serge Latouche.La grande missione dei parchi, il cui numero è in forte

crescita in tutto il pianeta, è dunque di contribuire ad arre-stare la folle corsa dell’umanità verso la catastrofe, di con-tribuire cioè a salvare la terra. È una missione che esalta lo

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stesso loro ruolo tradizionale che è quello di conservare ter-ritori di particolare rilevanza ambientale e nello stesso tem-po di fare scoprire, o riscoprire, l’importanza del rapportotra le persone e la natura. È una missione comune ai parchidi tutto il mondo e perciò è in grado di avvicinare i popoli,offrendo così uno straordinario contributo alla pace. Per fa-re un solo esempio, il progetto di un’associazione dei parchidel Mediterraneo promosso qualche anno fa da Federpar-chi, se ripreso e rilanciato, potrebbe essere particolarmenteprezioso in questo momento così decisivo per il futuro del-l’areamediterranea.Per superare la parentesi buia che stiamo attraversando

– sono convinto che da questa parentesi avremo la forza diuscire – occorre allora rilanciare il ruolo dei parchi, innal-zando il livello del confronto e dell’iniziativa in due direzio-ni: a livello europeo e internazionale, contribuendo alla co-struzione di reti anche molteplici e complesse, ma indi-spensabili perché sempre di più si avverte la consapevolez-za dei limiti di un approccio esclusivamente nazionale e so-prattutto perché l’obiettivo comune è quello della salvezzadella terra; a livello delle singole aree protette, indirizzandola gestione verso la soddisfazione di bisogni profondi, nonepidermici, delle persone che vi abitano e le frequentano ein particolare quel bisogno di un legame intimo e profondocon la natura e con le culture tradizionali (le «radici») nellaconsapevolezza che i bisogni ideali non si pongono in con-trasto con i veri bisogni materiali, ma anzi sono strettamen-te interrelati e la soddisfazione degli uni può aversi solo conla soddisfazione degli altri.

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* Presidente del Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano.

RECUPERO DI COMPETITIVITÀ,NUOVO ‘MADE IN ITALY’: CON LE POLITICHEDI SISTEMA PER I PARCHI È POSSIBILE

Fausto Giovanelli*

I parchi devono dimostrare di essere utili al paese! Moltopiù utili di quanto non costino. E lo devono dimostrare nona se stessi, non al «popolo» dei parchi, ma a tutti gli altri: aidecisori politici, agli imprenditori, all’opinione pubblica.Ma come, si dirà: «I parchi sono un valore in sé, un valore

aggiunto per l’economia di tante aree, abbiamo i numeri deimilioni di visitatori/anno…Cosa si deve dimostrare ancora?»Tuttavia oggi scuola e sanità, pensioni e province, regio-

ni e parlamento; lirica, teatro, cinema, cultura… tutto ciòche ha «sapore» di pubblico, «deve» continuamente dareprove di questo genere. Non dobbiamo perciò adontarci, nésolo protestare le ragioni, che ben conosciamo.Dobbiamo dare risposte nuove. Possibilmente migliori

di quelle che abbiamo dato finora. Dobbiamo calcolare e farcalcolare nei conti dello Stato, delle Regioni, delle Provincee dei Comuni il valore dei servizi della natura e dei beni co-muni che i parchi rappresentano. E dobbiamo inserire ilruolo dei parchi dentro sistemi di interessi, di convenienze,di valori, più vasti di quelli dei parchi in sé.Dobbiamo dimostrare che non siamo «isole protette»

ma, piuttosto, luoghi di ricerca e sviluppo per un migliorrapporto con la natura e anche un miglior modo di vivere.Dobbiamo dimostrare che – nel bel Paese, il paese del viag-gio in Italia di Goethe, nel secolo dello sviluppo sostenibile(nella crisi che dà un segno meno a tutte le produzioni del

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mondoma non al turismo) i parchi non solo sono «giusti edeticamente indispensabili», ma sono preziosi. Non solo enon tanto in se stessi, ma perché sanno a volte impreziosi-re, o rimotivare, o costituire ex novo, valori essenziali enuova competitività del territorio italiano. Perché sono dav-vero laboratori e capitale fisso di nuovi ‘Made in Italy’, ma-teriali e immateriali, su cui l’Italia può ricostruire quel re-cupero di competitività di cui ha assoluto bisogno, se vuoledifendere la sua qualità sociale e misurarsi con le sfide del-la globalizzazione.Non c’è dubbio che un tale ruolo dei parchi andrebbe co-

stituito e interpretato in primis dal governo e dalle Regioni.Dal Ministero dell’Ambiente, da quello del Turismo, daquello dell’Agricoltura e da quello dei Beni Culturali!A volte, anziché una maggiore spesa, basta una sinergia,

un sostegno vero nella politica o nella comunicazione, unafacilitazione burocratica o una promozione di alleanze conaltri soggetti: forze private, categorie produttive, imprendi-torialità diffusa.Nulla di tutto questo purtroppo si intravede E se gravi

sono i tagli ai bilanci ormai al lumicino, non meno grave eprivo di ogni giustificazione è lasciare lettera morta tanteparti delle Leggi 394 e 426, che non hanno certo disegnato iParchi come tante monadi, ma hanno espressamente previ-sto politiche di sistema e accordi di programmaministerialie interministeriali, tra soggetti politici e anche con soggettiprivati, perché il valore aggiunto – ambientale e culturale –che i parchi rappresentano sia messo in circuito, nell’eco-nomia, nella società e nei territori.Per esempio: l’Expo di Milano saprà proporre al Mondo i

nostri mille valori? In primis quelli sconosciuti e meno co-nosciuti, quelli che possono essere un valore in più? Le die-cimila bellezze sconosciute dell’Italia potranno essere mes-se in evidenza e in valore, o si proporrà (e celebrerà) ciò cheè già noto e ri-noto?Stringere veri e propri patti di sistema dà senso e impri-

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Recupero di competitività, nuovo ‘Made in Italy’ 31

me forza contrattuale. Dà prospettiva e conferisce autorevo-lezza. Dà progetto e disegna futuro. Un nuovo dinamismoper ripensare le strategie di ciascun parco alla luce dell’in-teresse generale, oltre che del territorio di competenza.È sulla scorta di queste considerazioni – che ora, nella

crisi e nella stagnazione dell’Italia, assumono una valenzamolte volte più grande e di assoluta attualità – che abbiamoelaborato la proposta e la strategia di sistema che va sotto ilnome di Parchi di Mare e d’Appennino.Due Parchi nazionali, quattro regionali contigui, così

contigui da essere ricompresi in un raggio di 70 km, daun’ideale centro nell’alta Lunigiana. Cinque Terre, Appen-nino tosco-emiliano, Apuane e Frignano, Alta Val Parma,Porto Venere, Monte Marcello Magra e, a poca distanza, Mi-gliarino San Rossore.L’area è estremamente differenziata, separata da confi-

ni climatici, storici e culturali e gastronomici, oltre cheamministrativi.Ma quante ricchezze ed eccellenze – di biodiversità, arti-

stiche, ambientali, paesistiche, produttive – si raccoglie incosì poco spazio. Il Golfo dei Poeti su fino a Portofino, i Ma-laspina e i Canossa, scogliere e spiagge, montagne e laghi,torbiere e torrenti, pascoli, boschi e castagneti, le CinqueTerre, San Pellegrino e Bismantova, la Garfagnana e la Lu-nigiana. E poi prosciutto di Parma e lardo di Colonnata, Par-migiano reggiano e oli di Lunigiana, cave di marmo e Mu-seo della Ferrari,. Città, aeroporti, cattedrali. Attorno le ter-re di Verdi e di Puccini, il gotico nelle città e il romaniconelle pievi. La sapienza del territorio, rappresentata ancheda decine e decine di prodotti tipici Dop e igp (64 nelle soleprovince del Parco dell’Appennino tosco-emiliano).Per iniziativa dei Parchi è nata qui la prospettiva – che

ha però già fatto passi concreti, fino a divenire protocollod’intesa delle Regioni Liguria, Emilia Romagna e Toscana –di un distretto della soft e della green economy: un nuovotipo di distretto delle qualità italiane, dove tanti operatori e

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settori di piccola industria, artigianato, commercio, servizialla persona, possono sinergicamente rafforzarsi, lancian-do decisamente nuovi prodotti e nuovi turismi di vicinato einternazionali.‘Biodiversià di crinale’, per il monitoraggio e la gestione

delle popolazioni faunistiche e degli ecosistemi; ‘Le alte viedei Parchi dell’Appennino settentrionale’, finalizzato ad orga-nizzare e promuovere la rete escursionistica, le antiche viedi connessione tra i due mari e a valorizzare le direttrici sto-riche transappenniniche; ‘L’uomo ed il territorio’ per stimo-lare e incentivare gli interventi degli abitanti delle monta-gne liguri-tosco-emiliane per la gestione dei versanti e tra-sferire anche alla difesa del suolo ed alla conservazione de-gli habitat il principio della sussidiarietà dell’interventopubblico; ‘Parchi di energia’ per interventi che applichino letecniche della bioarchitettura e dell’efficienza energetica eprivilegino impianti per l’utilizzo di risorse energetiche rin-novabili; ‘Il legno dei Parchi’ per integrare la riqualificazioneforestale con l’impiego in sede locale del legname. Questisono alcuni dei tanti programmi contenuti nell’intesa di cui‘Parchi di mare e d’Appennino’ è il punto principale. Sono lapiù diretta ed efficace dimostrazione delle potenzialità che iparchi hanno per essere stimolo ad unire conservazione ecompetizione – a fare della conservazione un elemento es-senziale della competizione. E confermano che ciò che cia-scun parco, da solo, trova sempre più difficoltà ad elaborare,proporre, sostenere e attuare, in una alleanza che uniscasoggetti pubblici e privati di un’area vasta, può trovare lecondizioni per camminare nell’interesse generale.

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* Presidente Parco Adda nord.

SU LA TESTA

Agostino Agostinelli*

Sulla scena alle nostre spalle, come un fondale di teatro,vanno scritte alcune cose da tenere fisse, perché da quellediscendono tante delle ragioni chemettiamo in campo.Prima cosa: quando Pasolini parlava del Palazzo, volen-

do indicare con quel termine la politica, il suo potere, e so-prattutto la sua distanza dal mondo reale, non immaginava(o forse sì?) che quella distanza si sarebbe dilatata sino acreare un vuoto vero, e pericoloso. Basti pensare, per stareal tema oggetto del nostro incontro, a come in tutte le in-chieste di massa sui valori ritenuti più importanti il valore«ambiente» – generico, forse, ma significativo – è regolar-mente fra le tre-cinque posizioni di testa. Ma la politicasembra non accorgersene, anzi…Seconda cosa: i tratti forti della storia del nostro paese –

e forse di tutti i paesi – è fondato su valori immateriali, dif-ficilmente quantificabili, parte di quei «valori senza merca-to» su cui non puà non fondarsi una cultura contempora-nea. Si tratta di cultura, paesaggio, formazione, ambiente…,che con un impegno degno di ben altri risultati la Politica –quella del punto prima accennato – bellamente tenta di uc-cidere, cumulando scelte solo penalizzanti.Terza cosa: intendiamoci bene. Se c’è crisi (e perdio se

c’è…) anche la finanza pubblica è in tremenda difficoltà, e,per dirla con una battuta, si ha la sensazione che nel nostropaese siano finiti i soldi. Omeglio: che siano finiti – appunto

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– i soldi pubblici, e che la schizofrenia tipica della nostrarealtà, quella tremenda differenza avvertibile subito nel no-stro paese fra povertà pubblica e ricchezza privata, sia sem-pre più evidente.Ecco, di tutto questo occorre tener conto, e ci serve luci-

dità per guardare alle scelte necessarie, anche per farnemagari di dolorose. Ma che servano a qualcosa! Mentre lescelte dominanti, fra una finanziaria e l’altra, mi sembranomediocri, l’esatto opposto di una sfida alta, il mero atto ra-gionieristico di chi è privo di visione lunga, e rabbercia co-me può il presente. E rabbercia male, ovviamente. Mentrepotrebbe essere possibile, sia a livello nazionale che locale,reimpostare con dignità un lavoro capace di segnare unpercorso originale e innovativo, modificando anche, alme-no in parte, il paradigma originario. E allora – sempre te-nendo conto di quelle tre cose scritte sullo scenario di fon-do – pochezza della politica, avversione per l’immateriale,crisi finanziaria dello stato: non si possono dimenticare nérimuovere – proviamo ad immaginare una «rivoluzione»(dolce e cauta, ma pur sempre rivoluzione…), attorno a trepassaggi:

– Inventare un’idea di gestione.– Dare valore dell’immaterialità.– Superare gli attimi per creare il sistema.

Detto così sembra una pessima riedizione di un manife-sto tardo-futurista (siamo pur sempre a Firenze), in realtàdeclinando quei tre temi si può intravedere una realtà più«quotidiana e normale».Vediamo un pò…

1) un’idea di gestione

In questi anni siamo riusciti, con luci e ombre, certo, masiamo riusciti a ottenere una tutela dei territori nelle areeprotette: nella mia regione vi sono realtà urbane (penso al

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parco dei colli di Bergamo, ai parchi Nord e Sud di Milano),o realtà montane (penso alle Orobie, oppure all’Adamello)o corsi di fiumi (tutti quelli importanti, tranne il Po, pur-troppo!) che se non avessero avuto la protezione di un par-co sarebbe stato «terra da cannone», scempio ambientaleper appetiti immobiliari. Dentro questa realtà molti parchi– nazionali e regionali e perfino i piccoli parchi locali – sisono addirittura inventati modalità originali per dinamiciz-zare il territorio stesso. Produzione agricola, circuito del ci-bo, tutela dei beni culturali, fruizione turistica dolce… sonotutti segmenti innovativi che hanno dato il segno di ciò chesi può fare. Ecco, ora è il momento di uno scatto, se mi èconsentito. Tenendo ferma la tutela, anzi, facendo della tu-tela la precondizione per inventare, letteralmente inventa-re, una modalità di sistema che rappresenti «la gestione».Intendo dire che tutti «i segmenti» prima descritti – agricol-tura, cibo, cultura, beni ambientali, beni culturali…. – nonpossono più essere fiore all’occhiello, buoni per il giorno difesta, ma quotidianità nell’azione dei parchi, parte di unagire collettivo e continuo che faccia della gestione la trac-cia forte, percepibile, inattaccabile. Si, inattaccabile, in unmomento in cui tutti pensano ad altro, a partire da chi ci go-verna, perché non più semplice tutela (!), ma lavoro, reddi-to, occupazione, sviluppo sostenibile …Questo mi pare poter rappresentare il salto necessario:

dentro la rete dei parchi un vero e proprio «modello produt-tivo», che dica come si può fare – perché lo si fa – a fare red-dito e lavoro, senza abbruttire e devastare.

2) il valore dell’immaterialità

La passione ha governato per molti anni il lavoro dei enei parchi. Passione per il proprio territorio, per il valoremisconosciuto della biodiversità (valore in sé, diciamolosempre), dell’ambiente, passione per una storia che hacreato paesaggio, mantenuto la natura…. Insomma, la pas-

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sione di chi sta in un luogo, lo ama e lo vuole ogni giorno unpo’ più bello. Ma non basta. E non tanto – o forse no? – perl’affievolirsi di questa passione, ma perché siamo in un pe-riodo, in un momento, non si può non dirlo, in cui tutto ciòche per comodità ascrivo al settore «immateriale» non sem-bra essere di moda, anzi. Siamo in un momento in cui am-biente, cultura, formazione – li chiamo impropriamente va-lori immateriali – sono nel mirino di quella politica miope einconsistente che presume di riformare togliendo i soldi,che si illude (?) di riformare riducendo, sminuzzando, com-primento…. Dimenticando che è proprio su queste immate-rialità che, invece, si fonda il presente e si rafforza il futuro.Ecco perchè occorere rinverdire la passione; perché questa,diceva qualcuno, è come la lava: lontano dalla bocca delvulcano, si raffredda e solidifica. Ecco perché, con rinnova-ta passione, dobbiamo mettere in campo una dichiaratastrategia di «esaltazione» dell’immaterialità, che per la par-te che ci riguarda è soprattutto il valore della biodiversità,ma anche dei beni culturali, avendo noi la fortuna di esserein un paese ove lavoro dell’uomo e natura tante volte han-no preceduto insieme (che altro ci che diceva Giovannellisul paesaggio se non questo?).

3) superare gli attimi, fare sistema

Dal mio angolo visuale – che è quello lombardo – ho duepunti di riferimento: la 394, legge nazionale, e la 86/83, sto-rica e consolidata legge regionale. Sono le due leggi «fon-danti», che –in modi e forme e tempi diversi fra loro – han-no segnato in modo forte la traccia istituzionale per l’azioneambientale attraverso i parchi. Le classifico tuttavia, con vo-luta forzatura e un pizzico di provocazione, nella categoriadegli «attimi», di quei momenti che riescono – vale nella po-litica, vale nell’amministrazione ma in genere per tutte leazioni umane – a dare un segno, a disegnare un percorso.Senza per questo essere perfette, intendiamoci. Anzi, pro-

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prio perché non perfette sarebbe ora di iniziare a lavorarci, arinnovarle, a modernizzarle (uso con fatica il termine mo-derno, ma a volte aiuta…). Anche se, ne sono convinto, forsenon è questo il momento migliore per fare questa operazio-ne, mettere mano ad un sistema legislativo per averne unomigliore, vista la qualità non eccelsa e la passione civile re-lativa che la politica esprime in questi tempi. E tuttavia …tuttavia prepariamo unmomento diverso, aiutandolo a ve-nire la mondo un po’ velocemente. Nella mia personale vi-sione delle cose «fare sistema» vuole significare prendereslancio dagli attimi, intrecciarli – anche cambiando le leggi– con la gestione e l’immaterialità e ridisegnare integral-mente un paradigma nuovo e originale. Iniziamo, direbberogli scienziati, a fare in laboratorio, senza rischi per nessuno,quello che poi si può fare nella realtà: a ripensare il sistema,non difendendolo soltantoma trasformandolo.

La sfida nuova, in conclusione, comporta la capacità diconnettere atti ormai consolidati (li chiamo per comoditàtutela, rapporto coi territori, pianificazione) con azioni in-novativa (valorizzazione dell’immateriale, creazione di si-stema, capacità di gestione), per creare una vera e propria«primavera» dei parchi. La storia lunga e interessante cheabbiamo alle spalle (ancorchè tutt’altro che perfetta), devequindi prendere una piega innovativa. Sfuggendo alla «fa-cile» lamentazione cronica (pochi soldi,come stavamo beneprima, come eravamo bravi …), per riaprire un percorso, ri-schioso come tutte le volte che si cerca un nuovo passaggioa nord-ovest, ma indispensabile. Sono convinto sia l’unicomodo per sperare di cavarsela: alzare la testa.

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STRUMENTI DI PIANIFICAZIONE PER I PARCHI:UNA SPINTA E UNNUOVO RUOLO

AI PIANI SOCIOECONOMICIVERSO PIANI DI VALORE STRATEGICO

Ippolito Ostellino

LLaa ccooppppiiaa EEccoonnoommiiaa ee PPaarrcchhii

Oggi parlare di ambiente vuol dire farlo in un contestodove l’ambiente è divenuta una delle categorie di significa-to economico. Un contesto nuovo. Ambiente e economia, lanew/green economy, non sono più solo parole abbinate fradi loro dagli esperti, ma sono diventate pratiche di un nuo-vo binomio economico. Come poter tenere fuori i parchi daltema ambiente ed economia? Impossibile, anche perché inreltà si tratta di un tema filo d’arianna che da sempre incro-cia la politica dei parchi, anche se con interne contraddizio-ni, che hanno generato il più delle volte fratture e spaccatu-re interne al dibattito su parchi ed conomia, impedendo difar evolvere il dibattito e di giungere a progetti e proposte inmerito, relegando questo tema ad un angolo del dibattitointorno ai parchi.

Ciò nonostante anche le esperienze dei parchi hannodimostrato la loro diretta capacità di produrre ricadute, co-me testimoniano gli esempi dell’Abruzzo, quelli delle Cin-que Terre (anche se venate dai fatti recenti che non metto-no però in discussione il modello) e da tanti altri esempiminori ma molto significativi. Una ricaduta che tuttavia hasempre solo saputo dare le sue risposte in termini di diret-te attività generate, mentre non sono state ancora sistema-tizzate le contabilità interne, o esternalità, che le aree pro-tette, come tutti i sistemi di tutela, realizzano e fornisconoal bilancio economico di una nazione. Un lato della que-stione, quest’ultimo che ci si deve affrettare ad affrontare e

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tradurre in numeri e metodi di rendicontazione.I parchi non possono essere visti, e non sono già nei fat-

ti, come sola questione d’ambiente. La loro mission gestio-nale ha come obiettivo la conservazione della natura, perraggiungere la quale devono lavorare nel dialogo con le po-litiche territoriali e quindi al loro interno si sviluppano an-che le diverse azioni nei campi della fruizione, del rapportocon i beni culturali, del turismo, dello sviluppo delle econo-mie connesse all’utilizzo delle risorse naturali dei temi piùdirettamente sociali ed urbanistici. Nel caso euroepo è poiquesto un fatto particolarmente evidente per la natura for-temente antropizzata, anche in senso storicizzato, che i ter-ritori d’Europa presentano come elemento di particolareevidenza e densità. Di conseguenza e quindi i parchi dialo-gano ed operano anche con i temi dell’economia e del ruolosociale.

TTaappppee ppeerr uunn rraaggiioonnaammeennttoo

Tanti sono gli aspetti che potrebbero far intrecciare lepolitiche di sviluppo locale ed economiche con quelle dellearee protette: dai temi di carattere fiscale, a quelli legati alleproblematiche di sviluppo come tutela dei beni comuni equindi dei parchi come motori locali di innesco di politiche,ai temni già prima accennati delle economie di esternalità oindiritte per rendicontare gli effetti su scala economica del-le politiche di tutela. Diversi aspetti che hanno anche a ve-dere con le tecniche e i modelli di governance locale e cheavvicinano il tela dei parchi a quello delle politiche di sup-porto all’economia di un territorio.

Ma in questa occasione intendo meterre l’indice su unaspetto ulteriore, legato al comparto della programmazionee di strategie operative dell’area protetta: quello dello stru-mento del piano per programmare un ruolo economico del-l’area protetta.

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Strumenti di pianificazione per i parchi 41

Come per l’uso del suolo e il controllo della qualità am-bientale del parco esiste uno strumento dedicato, il Pianodel Parco – che attiene allo strumento di orientamento del-la politica del suolo – analogamente per gli aspetti di carat-tere economico e di connessione fra politica del parco e tes-suto territoriale, è destinato un altro strumento: il Piano so-cioeconomico. Ma si tratta di un piano che pare essere a ciòdestinato, ma con debolezze e una certa carenza di finaliz-zazione. Perché?

Spesso nel senso comune, ma anche per il senso che lalegge quadro 394/91 in parte gli conferisce, questo stru-mento viene visto come il piano per indirizzare le attivitàeconomiche che possano coesistere con l’area protetta (oche l’area possa sopportare…), mentre l’altro piano apparequindi, e per sottrazione, dedicato alla tutela: una visionedel territorio dualistica che non sembra proprio dare contodi come stiano le cose nella realtà.

Una visione questa errata perché questi due aspetti sonoin realtà due faccie di una stessa medaglia, anzi sono dueimmagini che stanno dalla stessa parte della medaglia epartecipano a darne una unica immagine.

CCoossaa èè iill PPiiaannoo ssoocciiooeeccoonnoommiiccoo??

Stabilito che esiste, almeno in via generale, uno strumen-to programmatorio per occuparsi dei rapporti fra area protet-ta e fatti economici e sociali, occorre comprenderne i conte-nuti e i modelli per la sua organizzazione, ovvero porci la do-manda se siano definiti e condivisi i propri contenuti.

Il piano pluriennale economico e sociale è come stabilitodall’art. 14 della legge quadro che recita «Iniziative per lapromozione economica e sociale» lo strumento che:

nel rispetto delle finalità del parco, dei vincoli stabilitidal piano e dal regolamento del parco, la Comunità del par-co redige per promuovere le iniziative atte a favorire lo

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sviluppo economico e sociale delle collettività eventualmen-te residenti all’interno del parco e nei territori adiacenti;

– promuove le attività compatibili, individuando i soggettichiamati alla realizzazione degli interventi previstieventualmente anche attraverso accordi di programma;

– prevede in particolare: la concessione di sovvenzioni aprivati ed enti locali; la predisposizione di attrezzature,impianti di depurazione e per il risparmio energetico,servizi ed impianti di carattere turistico-naturalistico dagestire in proprio o da concedere in gestione a terzi sullabase di atti di concessioni alla stregua di specifiche con-venzioni, l’agevolazione o la promozione, anche in for-ma cooperativa, di attività tradizionali artigianali, agrosilvo-pastorali culturali, servizi sociali e biblioteche, re-stauro, anche di beni naturali, e ogni altra iniziativa attaa favorire, nel rispetto delle esigenze di conservazionedel parco, lo sviluppo del turismo e delle attività localiconnesse. Una quota parte di tali attività deve consisterein interventi diretti a favorire l’occupazione giovanile edil volontariato, nonché l’accessibilità e la fruizione, inparticolare per i portatori di handicap.

Se facciamo caso il piano rappresenta una sorta di pianoMarshall per il territorio che, incidendo sulle sue dinami-che economiche e quindi sociali, le affronta in qualche mi-sura più con politiche di sussidio e supporto, senza partiredalle dinamiche locali ed escludendo dalla politica territo-riale tutte quelle attività esistenti perché scarsamente meri-tevoli di attenzione ma radicate localmente e con potenzialieffetti negativi sulla tutela del territorio. Un piano in partestrabico o che tende a guardare solo un pezzo del territorio,senza incidere sull’altro.

Questa lettura di una certa insufficenza di analisi dellostrumento del PPES rispetto a quelle finalità e necessità ge-nerali che ho prima ricordato in apertura, più generaliste emeno di nicchia, spingono a porci una domanda sulla sua

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adeguatezza proprio rispetto alla sfida aree protette e econo-mia, ovvero alla sfida territorio e sviluppo economico soste-nibile. In parte anche lo stato delle elaborazioni oggi recupe-rabili nel panorama italiano degli stessi PPES testimoniauna forte disomogeneità e diversa interpretazione, con ela-borati e progetti che guardano sia a un piano di indirizzostrategico dell’ente che a quello più legato alla visione tradi-zionalista che la 394/91 gli affida. Intendiamoci: le finalitàdella legge quadro erano e sono più che condivisibili e com-prensibili, osservando solo che queste rischiano di gestirecon uno strumento parziale un problema di più vasta scala,che corrisponde al binomio programmazione e pianificazio-ne, che deve essere recuperato nell’approccio alla politicaterritoriale che una area protetta è chiamata a compiere. Unruolo questo che si potrebbe forse ravvisare nello strumentodella Carta della Natura, che tuttavia, al di là della sua ampiae riconosciuta non compiuta attuazione, ha un valore più dicarattere anch’essa pianificatorio che programmatorio.

DDaall PPiiaannoo ssoocciiooeeccoonnoommiiccoo aall PPiiaannoo ssttrraatteeggiiccoo??

I piani socioeconomici fanno riferimento in senso gene-rale al bisogno dell’area protetta di raccordarsi con il territo-rio, ma in tutte le sue componenti, sia quelle da valorizzareche quelle da riorientare e compatibilizzare, rendendo ne-cessaria allora una operazione per rimettere i termini dellaquestione al loro posto, e per evitare che si generi una visio-ne per la quale esista, da un lato, il piano per la natura e, dal-l’altro, quello per le attività economiche. Esiste quindi la ne-cessità di rifarsi ad una scala che va dalla costruzione di unpiano di strategie dove il parco colloca i suoi obiettivi rispet-to alle politiche locali: un piano che oggi, rispetto alle espe-rienze presenti anche a scala nazionale e che sono più di ori-gine urbana, può essere ricondotto al «piano strategico» eindividua nella sua parte «attuativa» le azioni e filoni pro-

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gettuali comprese anche quelle immateriale ed aventi rica-duta su quelle attività economiche per nulla coerenti con ilterritorio, ma per le quali proprio questo piano individua leazioni per rendere la loro presenza meno impattante con ilterritorio di protezione. Vi è su questo fronte anche la neces-sità di pensare alle discipline ed ai saperi ai quali guardareper costruire strumenti di tale natura: una analisi sociologi-ca, culturale ed antropologica adeguata deve essere alla ba-se di ogni ragionamento che si sposti poi sul piano economi-co, per comprendere bene le dinamiche dello sviluppo di unterritorio, che si radicano nei saperi locali e da questi devonoessere comprese. Dal piano strategico possono derivarequindi e con maggiore capacità interpretativa anche le azio-ni immateriali con tali finalità di indirizzo, come ad esempiole azioni di certificazione territoriale e delle imprese del ter-ritorio. Una visione come quella di Valerio Giacomini, doveperò le attività non sono introiettate dal parco, come in quel-la visione egli sembrava prefigurare, ma sono stimolate daquesto per ricadere al suo esterno sul territorio dove le atti-vità private possono giovarsi di questo meccanismo.

Giacomini scriveva: «… Dovrebbe infine sancire l’iden-tità fra pianificazione territoriale, economica e urbanisticadell’area e attuazione del parco. A questo proposito è beneperò specificare che tale principio non deve semplicistica-mente esaurirsi nell’obbligo di redigere un piano territoria-le del parco il quale preveda nei dettagli ogni destinazione eogni funzione territoriale. Intanto occorre osservare che unsimile strumento necessiterebbe, per la sua definizione, dimolto tempo e di molti sforzi politici per una composizionecostruttiva (si pensi alle difficoltà che incontrano i piani ur-banistici comprensoriali), ma soprattutto si deve tener pre-sente quanto sottolineato in precedenza e cioè che la piani-ficazione, e quindi lo stesso parco, deve intendersi comeprocesso, sia conoscitivo che normativo. Pertanto il pianodi un parco, così come estratto da una eventuale legge isti-tutiva, dovrà consistere più che altro in un convincente avvio

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di processi pianificativi ed eventualmente essere precedutoda un piano di sviluppo socioeconomico che contenga si-gnificativi riferimenti alla protezione dell’ambiente. Inol-tre, a fianco se non a monte di un intervento di pianificazio-ne urbanistica, potrebbe utilmente prevedersi la redazionedi un piano paesistico, redatto ai sensi della legge del 1939,che contempli però tutte le valenze che attualmente si con-feriscono al termine ‘paesaggio’ ed alle sue implicazioniterritoriali e culturali…».

Parole che davvero, alla luce dei diversi fatti che hannointeressato le questioni dei piani dei parchi, ci dicono del-l’attualità del suo pensiero.

Quindi, in sintesi, pensare di dotare la politica del parcodi un piano che sia: «… eventualmente preceduto da un pia-no di sviluppo socioeconomico che contenga significativiriferimenti alla protezione dell’ambiente» … ovvero lo stru-mento di indirizzo generale che collochi le azioni dell’areaprotetta nei tessuti sociali ed economici del territorio dovesorge, ne individui le azioni di raccordo ed orientamentocon esse, radicando la sua realtà profondamente nel territo-rio, ed attuando quindi una sostanziale messa in valoreeconomico dei beni comuni, con una forte azione di analisisociale ed antropologica-culturale che spesso sono spostatein secondo piano rispetto a quelle più classicamente econo-micistiche. È forse la strada per costruire economie del ter-ritorio ed una «green/land/economy» attraverso le areeprotette, per dimostrare la costruzione e produzione di va-lore non tanto nelle opere da farsi, ma nelle attività da sti-molare e reindirizzare, nel dialogo con i cittadini da costrui-re e rafforzare, anche per meglio orientare le opere da fare,come opere pensate per un uso ed una necessità effettive, enon individuate sull’onda di qualche moda di sviluppo im-maginata sulla spinta del bando europeo o della tale leggedi finanziamento. Un piano strategico per pensare a ciò cheil territorio vuole, e per essere capaci quindi di scegliere enon di essere scelti.

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1 Chiedo venia, ma preferisco riportare, qui e nel testo, la versioneoriginale inglese, linguisticamente molto più efficace della pur disponibileedizione in italiano: «Beyond the long-standing protection efforts targetedat scenic and sensitive areas and at animal species protection, the Fra-mework Law on Protected Areas, in 1991, and the Law on Hunting, in1992, have given fresh impetus to nature conservation. Together, these twolaws provide Italy with a very modern concept of nature protection» (OECD,Environmental Performance Reviews: Italy 1994, Paris 1994).

TRE-NOVE-QUATTROUN FIORE DI CARTA SBOCCIATO NEL DESERTO?

Giampiero Di Plinio

11.. SSpplleennddiiddaa ee ddiimmeennttiiccaattaa

La legge quadro sulle aree protette, la ‘394’ del 1991, èstata, ed è ancora malgrado i brutti ritocchi successivi, unalegge tecnicamente eccellente che ha introdotto nell’ordi-namento italiano la più avanzata normazione di tutela na-turalistica in tutto il pianeta.

Se ne accorse subito anche l’OCSE1, che raccomandò al-l’Italia di dare immediatamente rigorosa attuazione allalegge, con priorità per alcuni imperativi: a) implement stric-tly the 1991 Framework Law on Protected Areas, with the al-location of sufficient personnel and financial resources,and a clear timetable for creating and establishing protec-ted areas; b) strengthen the management of parks and natu-ral reserves, through … strict enforcement of the rules ap-plying within protected areas; c) strengthen the manage-ment of fauna and flora species by: making the «Nature Cen-sus» operational and carrying out wildlife inventories; d) de-veloping a national strategy for wildlife management; e) fully

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2 OECD Environmental Performance Reviews: Italy 2002, Paris 2003.

implementing European Community directive 79/409/EECon the conservation of wild birds; f) taking measures to pro-tect wild plants; g) better protect landscapes through the re-activation of the implementation and enforcement of theGalasso law, including setting new timetables for the for-mulation of landscape plans by the regions, and action bycentral government in cases where the regions fail to act; h)strictly enforce environmental and physical planning rules inrespect of new building and construction projects».

Ma già una decina di anni dopo, l’OCSE, dopo essersi chie-sta dove fosse andata a finire «the Nature Census», la Cartadella Natura, affermava che in Italia «much remains to be do-ne in view of the high pressures on natural assets from eco-nomic activities», autorevolmente evidenziando la sostan-ziale inattuazione dei meccanismi protezionistici della leggequadro, oltre alla assoluta insufficienza della spesa pubblicaper la conservazione della natura e della biodiversità2.

A distanza di venti anni dalla approvazione della 394, ilquadro è ulteriormente e forse irreversibilmente peggiora-to. Paradossalmente, a fronte della esponenziale crescitanumerica e di superficie delle aree protette, si è avuta unacaduta verticale di tutela e di finanziamento, al punto cheviene da chiedersi, maliziosamente, se le due cose non sia-no deliberatamente correlate. Honni soit qui mal y pense.

Ma ci vuole poco comunque a capire che se la neoplasiadei parchi è direttamente connessa alla caduta del grado ditutelabilità, essa costituisce la più vistosa forma di inattua-zione della legge quadro, a sua volta dipendente da un’altraassordante ‘dimenticanza’, incomprensibilmente passatasotto il silenzio e l’indifferenza generale: alludo alla Cartadella Natura, che, scientificamente compilata e resa vinco-lante, doveva costituire il kernel nel sistema operativo dellaprotezione integrale mediante aree territorialmente delimi-

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3 Aree naturali protette e governo dell’ambiente, in www.dirittopub-blico.unisi.it/file _download/68/aree_protette.pdf, in cui sviluppa unaacuta e garbata critica del mio libro Diritto pubblico dell’ambiente e aree na-turali protette, Giuffrè, Milano 1994.

tate, e contemporaneamente limite invalicabile all’uso po-litico della creazione di parchi e riserve.

22.. DDaallllaa pprrootteezziioonnee ‘‘iinntteeggrraallee’’ aallll’’oollttrraaggggiioo ddeellllee iinnaattttuuaazziioonnii

Il modello protezionistico immaginato e trasformato nel-la legge 394 da Ceruti e gli altri eroi di quel tempo era tecni-camente perfetto e giuridicamente potente, ma solo a pattoche fossero applicate subito, insieme e fino in fondo tutte lesue componenti, in modo da tenere le stanze dei bottonitutte all’interno di scelte tecnico/naturalistiche e tutte al difuori della portata della discrezionalità della politica e dellevoglie dell’economia. Una descrizione dettagliata di quelletecniche giuridiche è in molti miei precedenti lavori fin dal-l’inizio degli anni novanta, con i quali ho tentato di svilup-pare una teoria completa della protezione integrale dellanatura, della quale non sono mai riuscito a dare una sintesicosì lucida quanto quella che mi ha fatto l’onore di stilareCarlo Alberto Graziani qualche anno fa3.

Il supremo giudice amministrativo italiano ha scritto, inuna recente sentenza: «… è stato notato in dottrina, con effi-cacia, che la protezione della natura mediante il parco è laforma più alta ed efficace tra i vari possibili modelli di tute-la dell’ambiente, il cui peggior nemico è senza dubbio laproduzione economica moderna. […] Non può in sostanzaporsi in dubbio che la ragione d’essere della delimitazionedell’area protetta risieda nell’esigenza di protezione integra-le del territorio e dell’eco-sistema e che, conseguentemente,ogni attività umana di trasformazione dell’ambiente all’in-terno di un’area protetta, vada valutata in relazione alla pri-

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4 V. anche, più recentemente, Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 1269 del15/03/2007.

5 Non c’è diritto se non vi sono conflitti, e non c’è diritto se non vi è ungiudice il quale, leggendo le regole intorno alle quali è costruita una società,enuclea la norma giuridica, individua la gerarchia dei valori e degli interes-si e attribuisce la ragione e il torto ai contendenti. Da questo punto di vista,la prova scientifica del diritto è la decisione giurisprudenziale: se una teoriagiuridica è il teorema, una sentenza che la utilizza ne è la dimostrazione.Non solo. La sentenza è anche la misura scientifica, in termini di scienzagiuridica, della scala dei valori e degli interessi che promanano dalla so-cietà e dalle istituzioni, così che la sentenza è anche un elemento costituti-vo della teoria giuridica che cataloga e ordina quei valori e quegli interessi.

maria esigenza di tutelare l’interesse naturalistico, da inten-dersi preminente su qualsiasi indirizzo di politica economicao ambientale di diverso tipo, sicché in relazione all’utilizza-zione economica delle aree protette non dovrebbe parlarsidi sviluppo sostenibile ossia di sfruttamento economicodell’eco-sistema compatibile con esigenza di protezione,ma, con prospettiva rovesciata, di protezione sostenibile…».

Con queste e altre motivazioni, tratte letteralmente dalla«dottrina», il Consiglio di Stato (Sez. VI, sentenza 16 no-vembre 2004, n. 7472)4, ha potuto concludere che un inte-resse pubblico di intensità e forza senza precedenti, comel’emergenza rifiuti a Napoli, deve piegarsi alla tutela di unaltro valore, la protezione integrale della natura, ancora piùformidabile, più forte di tutti gli altri valori espressi dall’e-conomia e dalla politica. Senza il consenso dell’Autorità cuiè demandata la tutela di questo valore, nessun’altra Auto-rità, per quanto forte e dotata di poteri eccezionali di emer-genza, può ordinare che i rifiuti siano scaricati dentro i con-fini di un’area naturale protetta.

Il giudice amministrativo, nel 2004, ha così fornito unadimostrazione ‘scientifica’5 della validità del teorema fon-damentale espresso da quella dottrina, che in una mono-grafia di dieci anni prima poneva supremazia dell’interessepubblico naturalistico e integralità della protezione al cen-

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6 Si tratta del mio volume, già citato, Diritto pubblico dell’ambiente earee naturali protette.

7 V. variamente, Cass. pen. Sez. III, sent. n. 10407 del 19/10/1995, DiFelice; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 12917 del 11/12/1998, Adorno; Sez. III,sent. n. 83 del 11/01/2000, De Rosa; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 20738 del12/05/2003, Fechino; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 26863 del 20/06/2003,Pasca ed altri; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 47706 del 15/12/2003, Messere;Sez. III, sent. n. 33966 del 12/07/2006, Salvemini.

8 Riporto i passaggi chiave: «La modifica del Titolo V della Parte se-conda della Costituzione, introducendo, all’art. 117, secondo comma, lettera

tro della ricostruzione del diritto delle aree protette6. Den-tro un singolare paradosso temporale, la sentenza citata co-stituisce la prova scientifica della teoria espressa in quel li-bro, il quale costituisce a sua volta un commento adesivo,anticipato dal passato, alla sentenza.

Ma in realtà la giurisprudenza sulla legge quadro avevafin dall’inizio percepito con estrema lucidità la novità, la sin-golarità e la specialità del diritto della protezione naturalisti-ca, e la sua netta separazione da altre ‘materie’ e da altri po-teri incidenti sul territorio, quali ad esempio l’agricoltura,l’urbanistica e la disciplina paesistica ma anche l’evane-scente ‘tutela dell’ambiente’. E da separazione e specialità lagiurisprudenza ha fatto derivare, quasi sempre, la prevalen-za dell’interesse naturalistico su tutti gli altri interessi, pub-blici e privati, insistenti sul territorio, così che la sentenzaprima citata del Consiglio di Stato che privilegia la protezio-ne della natura rispetto alla tutela ambientale costituisce, al-tro che una isolata eccezione, la conferma di un trend giudi-ziale che viene da lontano7. E che potrebbe andare lontano,se si considera che solo pochi mesi fa la Corte Costituzionaleha rafforzato, dal punto di vista della ripartizione costituzio-nale di competenze Stato/Regioni, la centralità del principiodi protezione come regola da un lato non disponibile ai livel-li locali e dall’altro dotata di supremazia formale nei con-fronti degli altri interessi presenti sul territorio dell’area pro-tetta (Corte Cost., 26 maggio 2010, n. 193)8.

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s), la competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela» dell’ambien-te, dell’ecosistema e dei beni culturali (sentenza n. 272 del 2009), ha mu-tato il quadro di riferimento in cui si inseriva la legge n. 394 del 1991, pre-vedendo che le competenze legislative in materia di «tutela» spettanoesclusivamente allo Stato, mentre le Regioni possono esercitare soltantofunzioni amministrative di «tutela» se ed in quanto ad esse conferite dalloStato, in attuazione del principio di sussidiarietà, di cui all’art. 118, primocomma, Cost.

Nel mutato contesto dell’ordinamento, la legge quadro n. 394 del 1991deve essere interpretata come una legge di conferimento alle Regioni difunzioni amministrative di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beniculturali, da esercitare secondo il principio di cooperazione tra Stato e Re-gioni, come, d’altronde, precisa l’art. 1, comma 5, della legge medesima, ilquale statuisce che «nella tutela e nella gestione delle aree naturali protet-te, lo Stato, le Regioni e gli enti locali attuano forme di cooperazione e diintesa, ai sensi dell’art. 81 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e dell’art. 27della legge 8 giugno 1990, n. 142».

È, dunque, attribuito alle Regioni l’esercizio delle funzioni ammini-strative indispensabili per il perseguimento dei fini propri delle aree pro-tette: la funzione di tutela e quella di valorizzazione.

Dette funzioni amministrative, che sono tra loro nettamente distinte,devono peraltro essere esercitate in modo che siano comunque soddisfatte leesigenze della tutela, come si desume dagli artt. 3 e 6 del d.lgs. 42 del2004, nonché dall’art. 131 dello stesso decreto. In questo quadro, pertan-to, le Regioni, se da un lato non possono invadere le competenze legislati-ve esclusive dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistemae dei beni culturali, dall’altro sono tenute a rispettare la disciplina dettatadalle leggi statali, le quali, per quanto riguarda la «tutela», prevedono ilconferimento alle Regioni di precise funzioni amministrative, imponendoper il loro esercizio il rispetto del principio di cooperazione tra Stato e Re-gioni, e, per quanto riguarda le funzioni di «valorizzazione», dettano iprincipi fondamentali che le Regioni stesse sono tenute ad osservare».

9 Una efficace sintesi in P. Fimiani, Il diritto vivente della natura, in G.di Plinio, P. Fimiani, Aree naturali protette. Diritto ed economia, Giuffrè, Mi-lano 2008.

Il ‘diritto vivente’ della giurisprudenza9, complessiva-mente, ha dunque ampiamente dimostrato di aver compre-so fino in fondo la meccanica e la dinamica della protezionedella natura nate dall’analisi scientifica e da quel che restadella ragione umana, sviluppate nel movimento internazio-

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nale e mirabilmente racchiuse nella legge quadro sulle areeprotette.

Ma nel frattempo politica, democrazia rappresentativa, epoteri del territorio hanno scientificamente smantellato,pezzo dopo pezzo, quei meccanismi e quelle dinamiche, so-stituendoli con qualcosa di mostruosamente diverso. Mal-grado la forza dell’apparato giuridico di strumentazioni etecniche di protezione, sul piano concreto la legge quadro èstata abbandonata agli sbagli e alle omissioni, o ai calcolideliberati, o peggio alla stupidità, delle varie istituzioni eorganismi che avrebbero dovuto attuarla rapidamente edefficientemente, ma si sono ben guardati dal farlo, con laconseguenza che errori e orrori dei poteri che hanno ma-neggiato le aree protette in questi vent’anni l’hanno scarni-ficata, e, un pezzo alla volta, hanno lavorato allo smantella-mento del modello di protezione, al punto che mi chiedo sela legge quadro abbia ormai fatalmente incontrato lo stessodestino che Paolo Alatri descrisse per la Repubblica di Wei-mar nella Germania del 1919, quello di rivelarsi un bellissi-mo fiore di carta sbocciato nel deserto.

33.. LLaa CCaarrttaa ddeellllaa NNaattuurraa

Partiamo da ciò che si protegge: il patrimonio naturale.Bisogna preliminarmente definirlo, e non è necessario ave-re un PhD in scienze naturali per capire che i parchi nonpossono essere troppo estesi e troppo antropizzati, perchéper proteggere troppo alla fine non si protegge nulla.

Comunque è fin troppo ovvio che la proiezione territo-riale della natura si definisce, giuridicamente, ritagliandoaree, e la legge quadro ne offre gli strumenti: in primo luo-go, la Carta della Natura, che avrebbe dovuto definire, stati-camente e dinamicamente, la distribuzione sul territoriodel patrimonio naturale italiano.

È un problema politico? Biotopi ed ecosistemi debbono

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10 Anch’essa ampiamente disattesa e stravolta (v. ad es. P. Urbani,Recepimento della Direttiva comunitaria sulle acque (2000/60): profili isti-tuzionali di un nuovo governo delle acque, in www.astrid-online.it; M.C. Al-berton, L’attività post-mortem delle autorità di bacino: un cold case italianonel settore idrico alla luce dei recenti sviluppi in tema di federalismo dema-niale, www.pausania.it/files/Articolo.pdf).

11 In base all’art. 3 comma 2 «Il Comitato (per le aree naturali protet-te) identifica, sulla base della Carta della natura di cui al comma 3, le lineefondamentali dell’assetto del territorio con riferimento ai valori naturalied ambientali, che sono adottate con decreto del Presidente del Consigliodei ministri, su proposta del Ministro del l’ambiente, previa deliberazione

essere individuati a colpi di democrazia rappresentativa? IComuni possono scegliere se stare o meno dentro un parcosemplicemente alzando la manina?

Niente di tutto questo: è un problema scientifico, dunqueragionevolmente sottratto alla discrezionalità politica, sal-vo che in termini negativi qualora, sempre ragionevolmen-te, politica ed economia di fronte a una Carta della Natura‘troppo’ ambiziosa decidano (e grazie alla democrazia rap-presentativa possono farlo) che bisogna tagliare, ridurre al-l’essenziale, che i territori servono allo sviluppo economi-co, che non ci possiamo permettere troppa protezione. Nul-la di male in questo, perché i popoli fanno ciò che credonoconveniente e si suicidano come meglio credono. Ma si trat-ta in fondo di una posizione leale e sincera se si ragiona co-sì: guardate, ragazzi, che non si può sottrarre al mercato ealla produzione più di tanto, ma una volta messi i paletti, siproteggerà davvero, e non faremo né Paper Parks né LunaParks, ma parchi veri.

In effetti, la legge quadro immaginava per la Carta undoppio percorso: una elaborazione tecnico scientifica (mu-tuata in base a ciò che c’era all’epoca, cioè al sistema dellapianificazione di bacino10, con Servizi Tecnici e quant’al-tro) e una approvazione governativa, che, verificata la «so-stenibilità economica» del design, avrebbe conferito allaCarta valore giuridico vincolante a tutti i livelli11. La Carta

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del Comitato». Il successivo comma 3 dispone che «La Carta della natura èpredisposta dai servizi tecnici nazionali di cui alla legge 18 maggio 1989,n. 183, in attuazione degli indirizzi del Comitato. Essa integrando, coordi-nando ed utilizzando i dati disponibili relativi al complesso delle finalitàdi cui all’articolo 1, comma 1, della presente legge, ivi compresi quelli dellacarta della montagna di cui all’articolo 14 della legge 3 dicembre 1971, n.1102, individua lo stato dell’ambiente naturale in Italia, evidenziando i va-lori naturali e i profili di vulnerabilità territoriale. La Carta della natura èadottata dal Comitato su proposta del Ministro dell’ambiente. Per l’attua-zione del presente comma è autorizzata la spesa di lire 5 miliardi nel 1992,lire 5 miliardi nel 1993 e lire 10 miliardi nel 1994». Dieci miliardi all’epo-ca non erano certo pochi, ma la somma forse travolta dalla crisi finanziariaglobale (ma anche politica e ’criminale’), si dissolse nel nulla.

della natura, insomma, non era certamente un debole ‘stru-mento conoscitivo’ - come si affannano oggi a dichiarare leRegioni che si sono appropriate, se non della sostanza, dellinguaggio - ma la base scientifica e la fonte giuridica pri-maria della pianificazione naturalistica. E questo spiegaperché i comandi della legge quadro al riguardo sono stativistosamente sotterrati da un circuito che non sopporta lariduzione scientifica della sua discrezionalità, o più preci-samente del suo arbitrio.

Il Comitato per le Aree protette, a dire il vero, aveva giàindividuato con la deliberazione del 21 dicembre 1993 unapur grezza scansione delle fasi per l’attuazione dell’art. 3commi 2 e 3 della legge quadro, ma poi, prendendosela vi-stosamente comoda, con la deliberazione del 2 dicembre1996 adottò un fumoso ‘Piano operativo’ per la realizzazio-ne della Carta della Natura, che prevedeva ulteriori trac-cheggiamenti. Ma era già l’epoca delle ‘Bassanini’ e il finto‘federalismo amministrativo’ soppresse il Comitato e ricon-dusse la concertazione dentro la Conferenza Stato-Regioni eda quel momento la Carta della Natura fu definitivamentesotterrata.

È anche colpa del ‘movimento’. Quante (vere) battaglieper l’attuazione (vera) della Carta della Natura sono state

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fatte? Non me ne ricordo neppure una. Ma la politica, annodopo anno, regalava parchi, tanti grossi parchi, con relativiEnti, e tutto il resto, e forse il grosso del movimento italianodelle aree protette ha mangiato senza pensarci due volte lapolpetta avvelenata, il fiore di loto dell’oblio.

44.. LL’’EElleennccoo UUffffiicciiaallee ddeellllee AArreeee PPrrootteettttee

Quello che è successo alla Carta è successo anche allestrumentazioni per così dire ‘discendenti’. In particolare,l’Elenco Ufficiale delle Aree Protette. Pochi (tra cui devo direil Servizio Conservazione della Natura del Ministero del-l’Ambiente) capirono che si trattava di uno snodo fonda-mentale, da utilizzare con le molle, perché nel sistema dellalegge quadro costituiva il tester per separare il grano dal lo-glio, ciò che va protetto da ciò che non è patrimonio natura-le. Infatti, la dottrina si accorse subito che l’iscrizione nel-l’elenco non poteva che avere natura di accertamento costi-tutivo, essendo vincolata alle prescrizioni della Carta dellaNatura da un lato, e attribuendo all’area iscritta la doppiaprotezione della legge quadro: la copertura costituzionale ela garanzia finanziaria. Ma la Carta non c’era, e la Corte co-stituzionale, in una brutta sentenza (n. 389/1999), a frontedella forte pressione delle Regioni, introdusse un modellointerpretativo con effetti fortemente riduttivi dei poteriistruttori del Servizio Conservazione della Natura e di quellidecisori del Comitato. Da quel momento in poi un vero con-trollo c’è stato solo in casi estremi, come la caccia nei par-chi lombardi, ma nulla più ha impedito che dentro l’Elencosi riversasse di tutto, con l’effetto di rendere sempre menoproteggibili e sempre meno finanziabili non solo i paperparksma anche quelli veri.

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12 Una autorità che non solo ha il compito di assicurare il persegui-mento dei fini stabiliti dalla legge ma «incorpora» il valore primario dellatutela del patrimonio naturale facendosene garante (R. Moschini, La leggesulle aree naturali protette dieci anni dopo, in www.parks.it.).

13 D. Amirante, Diritto ambientale italiano e comparato. Principi, Na-poli 2003.

55.. LL’’EEnnttee PPaarrccoo

Lasciando perdere qui la variegata moltitudine di formedi gestione, è appena il caso di sottolineare che l’Ente Par-co, anche quello ‘regionale’, fosse pensato dalla legge qua-dro come una Authority tecnica e indipendente finalizzataalla pianificazione naturalistica e alla gestione del patrimo-nio naturale12.

Ma era pur sempre un Ente pubblico, e nessuno è statocapace di impedire che fosse contagiato dall’ineluttabilemalattia tipica di tutti gli enti pubblici italiani: l’aggressio-ne della politica, i primi tempi con cautela, e poi senza piùalcun ritegno. D’altra parte, come arginare la corsa dei poli-tici in parchi con dentro venti, trenta, ottanta comuni?

Ulteriore anello nel processo di smantellamento del va-lore scientifico da parte della discrezionalità politica, dopol’annientamento di Carta della Natura, Elenco Ufficiale, Co-mitato e Consulta Tecnica, l’Ente Parco è andato progressi-vamente perdendo la sua unica vera corazza, la legittima-zione tecnico-scientifica, con la conseguenza che è sempremeno comprensibile la sua stessa esistenza. L’abbracciodella società e della politica è stato mortale, e non ha con-sentito un autonomo sviluppo della «capacità di contempe-rare le esigenze di rafforzamento istituzionale e di radica-mento sociale (quindi anche di identità) degli enti e degliorganismi di gestione, da una parte, con la necessità dimantenere la centralità dell’approccio tecnico-scientificonell’elaborazione delle decisioni fondamentali riguardantile politiche di conservazione della natura»13.

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14 P. Diman, Gli strumenti della protezione, in G. di Plinio, P. Fimiani(a cura di), Aree Naturali Protette, cit.

66.. IIll PPiiaannoo

All’interno dell’area protetta la legge quadro inserisceuna ricca e potente strumentazione protezionistica e gestio-nale (piano, regolamento, nullaosta, controlli, sanzioni) do-tata di una forza speciale e di una peculiare intensità: rego-lamento e piano (entrambi con l’obbligo di pubblicazionesulla Gazzetta ufficiale) hanno portata generale, diretta ap-plicabilità ed efficacia erga omnes14.

Il piano è vincolante nei confronti delle amministrazioni edei privati e si sostituisce ad ogni altro strumento di pianifica-zione; il regolamento deroga alle disposizioni regolamentari,anche successive, dei Comuni, che sono tenuti alla sua appli-cazione, e può derogare anche a divieti di rango legislativo. Ilpiano e il regolamento sono pertanto fonti normative sui ge-neris, speciali rispetto alla fonte e all’oggetto, la cui chiave dilettura è data dall’articolo 11 della legge quadro, il qualeesordisce affermando che «il regolamento del parco discipli-na l’esercizio delle attività consentite entro il territorio delparco», combinato e disposto con l’art. 12, che dispone laprogressione zonizzata delle intensità della protezione.

Dato che il concetto di attività è evidentemente espres-sione/attuazione o di diritti costituzionalmente garantiti odi interessi pubblici incardinati in funzioni amministrative,entrambi coperti dal vincolo costituzionale della riserva dilegge, la 394 ha intelligentemente offerto questa copertura,vietando tutto, salvo le eccezioni previste dalla stessa legge,lasciando all’area protetta il compito, mediante piano e re-golamento, eventualmente di allargare l’elenco, dilatandodiritti e interessi pubblici, e sottraendo quindi tali strumen-ti da controlli giurisprudenziali sull’uso ‘vincolistico’ delpotere discrezionale.

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In altre parole, la legge quadro vieta l’esercizio di qual-siasi attività non espressamente consentita (articolo 11, pri-mo comma, in combinato disposto con il terzo comma ed ilquinto comma dello stesso articolo). In tal modo la leggequadro introduce una tecnica di valutazione dell’interessenaturalistico che va fatta caso per caso, parco per parco,perché ogni area protetta costituisce un sistema unico e ir-ripetibile, e contiene una frazione di patrimonio naturalediversa da ogni altra.

Il rapporto tra piano e regolamento assume a questopunto una importante e delicata funzione proprio in ordinealla metodologia indicata dalla legge per eliminare ognipossibile «impatto» delle attività umane sullo specifico ter-ritorio considerato; attraverso il rapporto tra legge, piano eregolamento il meccanismo di imposizione di vincoli e limi-ti viene rovesciato: il sistema dei divieti essendo posto in viagenerale dalla legge, gli atti fondamentali del parco hannola funzione di selezionare non le attività vietate, ma le atti-vità consentite/permesse, dilatando diritti soggettivi e libertàcompressi dalla legge quadro; dette attività dovranno poiessere regolamentate, al fine di armonizzarne l’eserciziocon le finalità naturalistiche. Il regolamento del parco, perdi più, può stabilire eventuali deroghe ai divieti espressa-mente disposti dalla legge (articolo 11, comma quarto), ov-viamente in funzione di una migliore tutela degli ecosistemidel parco. In un contesto del genere, il corpus normativo ri-sultante da piano e regolamento risulta intangibile da partedelle normazioni generali e di settore, rispetto alle qualiopera in funzione ostativa la specialità della disciplina ne-gativa di rango legislativo, cioè il generale divieto di qualsia-si compromissione dell’ambiente naturale, posto della leggequadro, la quale in tal modo sottraeva concettualmente ilpiano per il parco, piano naturalistico e non di vincoli alleattività umane, dalla categoria della ‘pianificazione urbani-stica’, che è un piano di vincoli alle attività umane.

Mentre i responsabili della pianificazione si affannarono

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15 V. ad esempio, Cass. pen. Sez. III, sent. n. 10407 del 19/10/1995, DiFelice ed altri, cit.

16 G. Cartei, Tutela dei parchi naturali e nozione costituzionale di pae-saggio, in «Riv. trim. dir. pubbl.», 1993, pp. 601 ss.

17 S. Civitarese Matteucci, La pianificazione paesaggistica: il coordina-mento con gli altri strumenti di pianificazione, in «Aedon. Rivista di arti e di-ritto on line», 3/2005, il Mulino; Id., Governo del territorio e ambiente, in G.Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, Giappichelli, Torino 2008, pp. 199ss.; S. Amorosino, I rapporti tra i piani dei parchi e i piani paesaggistici allaluce del Codice Urbani, in «Aedon», 3/2006.

a ritardare oltre ogni limite l’approvazione dei piani e deiregolamenti, e mentre al contrario la giurisprudenza indivi-duava correttamente e precisamente la funzione peculiaredi tali strumenti15, un attacco frontale alla legge quadropartì, in dottrina, con tempismo bruciante, e proprio sotto ilprofilo del confronto e della riconduzione del piano del par-co a quel particolare piano urbanistico che è il piano pae-saggistico, inteso come piano di vincoli, avanzando il «so-spetto che l’area protetta costituisca prevalentemente unasintesi verbale di altre nozioni», e concludendo con l’assi-milazione tra la materia delle bellezze naturali e quella deiparchi, e trasferendo su questi ultimi i principi e i modellidi tutela elaborati in sede legislativa e dottrinale per le pri-me16 (Cartei).

Un errore madornale, ridimensionato recentemente dal-la dottrina amministrativistica più attenta17. La tutela delpaesaggio non deve servire a sfondare l’ordinamento delparco, ma semmai a rafforzarlo, come si percepisce senzaproblemi considerando che si tratta di due regimi di tutelaradicalmente differenziati, che tecnicamente raddoppianola tutela ‘negativa’, così che, se una determinata attività èvietata dagli ordinamenti interni di un parco naturale inrapporto alla tutela naturalistica e degli ecosistemi, essanon potrà essere legittimamente realizzata, anche qualoranon fosse vietata dal piano paesaggistico vigente nella stes-sa zona; se al contrario l’attività è consentita dagli ordina-

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18 «Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei pia-ni paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute ne-gli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative disettore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette».

19 Con molta chiarezza: Corte cost., n. 193 del 26/5/2010.20 La soluzione più razionale sarebbe quella di riunificare in capo al-

l’autorità del parco i poteri di assenso naturalistico e paesistico (CivitareseMatteucci, La pianificazione paesaggistica, cit.), ma le Regioni, a partequalche notevole eccezione, sembrano tutt’altro che ben disposte.

21 V. Graziani, Aree naturali protette e governo dell’ambiente, cit., p. 6,che richiama gli scritti in argomento di Renzo Moschini, in particolare Leistituzioni e la gestione delle aree protette, Quad. Centro Studi Valerio Giaco-mini, Tagete, Pontedera s.d., pp. 53 ss.

22 In senso critico v. P. Rago, Valutazione di Impatto Ambientale - Sitidi Interesse Comunitario e Infrastrutture, in AmbienteDiritto 2004(www.ambientediritto.it/dottrina).

menti naturalistici, ma vietata dal piano paesaggistico, essanon potrà egualmente essere realizzata (art. 145, comma 3,d.lgs. 42/2004, come modificato dal d.lgs. 157/2006)18 da-to che quanto a tutela negativa la pianificazione del paesag-gio prevale sul piano del parco19. Ma è di tutta evidenza cheoccorre un coordinamento ‘a monte’, in particolare per evi-tare che il piano paesistico blocchi opere necessarie allapianificazione naturalistica20.

Un altro esempio di straordinaria esibizione di ignoran-za è stata la pretesa, purtroppo avallata dalle assordanti ca-renze del diritto comunitario in materia di habitat21, di in-trodurre allegramente la valutazione di impatto ambientale(o di incidenza) anche all’interno dei territori protetti, afronte di un principio di negoziabilità compensativa dieventuali compromissioni dell’ecosistema22. Ci vuole pocoper rendersi conto che una VIA positiva potrebbe aprire larotta per serissime compromissioni del territorio protetto; ilsolo impianto teorico che consente di contrastare questa as-surdità istituzionale è quello che si fonda su protezione in-tegrale e supremazia della pianificazione naturalistica, conla conseguenza che una valutazione d’impatto favorevole

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23 Una indagine INU (www.rapportodalterritorioinu.it/2005/Pagi-ne%20separate/ Aree_protette.pdf) conclude che «non sono presenti casidi piano di parco che abbiano accolto l’interpretazione più letterale delruolo «sostitutivo» rispetto ad ogni altro strumento urbanistico (vedi art.12 della L. 394/91)». In pratica, i piani hanno rinunciato già in via prelimi-nare alla loro forza.

sarà utilizzabile nel territorio protetto solo a condizione chel’opera da realizzare sia consentita dal piano e l’Ente parcorilasci un nulla osta favorevole al progetto.

Ma siamo sicuri che questi semplici principi sarannosempre rispettati, di fronte alla pressione di acuminati inte-ressi che accanto alla legittimazione politica e a quella eco-nomica brandiscono una VIA favorevole?

Qual è sul piano pratico la forza reale del piano del parco?Nell’universo della legge quadro, sopra descritto, il siste-

ma di protezione è dotato di forza giuridica speciale. Par-tendo dal principio che nel territorio protetto qualsiasi atti-vità umana è generalmente esclusa dalla legge stessa, unpiano naturalistico che elenca le attività ‘consentite’ e nerinvia la disciplina tecnica di avvio ed esercizio al regola-mento, è un piano grandemente efficace, non solo comebarriera all’esterno, ma anche perché limita drasticamentela stessa discrezionalità autorizzatoria dell’Ente parco, sco-raggiando avventure e compiacenze.

Ma nell’assurdo universo reale i piani hanno fatto estanno facendo ancora un inspiegabile viaggio di cui non sivede ancora la fine, e i progetti che sono venuti alla lucehanno talora caratteri e fisionomie sorprendentemente di-versi da quelli immaginati dalla legge quadro23.

L’assenza dei piani ha lentamente macerato la parte piùimportante del tessuto connettivo della protezione e haprodotto problemi a non finire, dalle difficoltà di contra-stare sul terreno giudiziale gli attacchi dei ‘poteri forti’ aglieccessi di discrezionalità degli stessi Enti parco, dalle sen-tenze che hanno dichiarato l’inapplicabilità degli art. 13 e

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24 V. la già citata Cass. pen. Sez. III, sent. n. 10407 del 19/10/1995, DiFelice e altri e per la giurisprudenza amministrativa TAR Toscana, sent. n.288/2002.

25 «Rispetto a questo quadro normativo generale, riferito cioè a tuttii Parchi nazionali, il PNCVD propone una situazione particolare, per lasua dimensione (occupa quasi la metà della grande Provincia di Saler-no) e soprattutto la dimensione degli abitati e delle attività che ospitastoricamente, fattori che lo collocano in una posizione anomala rispettoad una normativa specificamente orientata alla difesa di territori preva-lentemente naturali. Questa anomalia del Parco cilentano si ripercuotesulle condizioni al contorno, che non possono non incidere sul Piano: ilterritorio del Parco coinvolge 80 comuni, raccolti in 8 comunità monta-ne, con quasi tutti i centri insediati ai margini o addirittura dentro i con-fini dell’area protetta, ed ha oltre il 24% dell’area coltivata e abitata sta-bilmente, con i relativi piani urbanistici, di sviluppo agricolo e di inse-diamenti produttivi. D’altra parte il Parco ha ottenuto il riconoscimentoUnesco di Patrimonio mondiale dell’umanità (avvenuto a Kyoto nel

30 della 39424, ai tentativi di recupero ‘politico’ del poteredi regolazione e di piano, come quello della Regione Basili-cata di trasferire, in attesa dell’approvazione dei piani edei regolamenti, al Consiglio regionale le funzioni regola-mentari di deroga ai divieti di opere, con un comma intro-dotto dell’art. 1 l.r. 29 gennaio 2010, n. 4, nell’art. 19 dellaL.R. 28 giugno 1994, n. 28, tentativo appena bloccato dallaCorte costituzionale (sent. N. 70 del 2011).

Ma anche quando ci sono o ci saranno, non sempre i pia-ni corrispondono al modello della legge quadro, e spessomantengono tutte le criticità della loro assenza, o peggio, lestabilizzano, come ad esempio è avvenuto per il Piano delCilento, il quale, pure presentando aspetti di notevole qua-lità e progettisti di prim’ordine, inverte la tecnica protezio-nistica, e, invece di elencare le attività consentite e le lorolocation, si limita a snocciolare un decalogo di vincoli, cioèdi attività vietate, praticando in tal modo una deleteria in-versione della residualità. Ma d’altra parte, come candida-mente si dichiara nello stesso documento di piano25, che fa-re davanti a un parco con ottanta Comuni dentro?

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1998), fondata sui caratteri del paesaggio culturale e dell’eccezionale si-stema di testimonianze storiche. Per questi motivi il Piano assume comeriferimento non solo quanto stabilito dalla legge 394/91 ma anche altricriteri di gestione del patrimonio, soprattutto attenti agli aspetti di «pae-saggio vivente» quali sono delineati nella Convenzione Europea per ilPaesaggio, in una prospettiva di sintesi delle esigenze di tutela e valoriz-zazione degli aspetti naturali e culturali, con le esigenze di qualità dellavita e di sviluppo locale delle comunità insediate» (pagina 5 della Rela-zione illustrativa).

26 Tra cui, a titolo d’esempio, la tipologia e le modalità di costruzionedi opere e di manufatti; lo svolgimento delle attività artigiane, commercia-li, di servizio ed agro-silvo-pastorali; il soggiorno e la circolazione del pub-blico con qualsiasi mezzo di trasporto; lo svolgimento di attività sportive,ricreative ed educative, e di ricerca scientifica; l’accessibilità nel territoriodel parco attraverso percorsi e strutture idonee per disabili, portatori dihandicap e anziani, e così via.

27 V. diffusamente G. Bellomo, «Conservazione» vs. «Valorizzazione»:il modello italiano, in G. di Plinio, P. Fimiani (a cura di), Aree Naturali Pro-tette. Diritto ed economia, Giuffrè, Milano 2008.

77.. IIll RReeggoollaammeennttoo

La legge quadro affidava al regolamento, tra l’altro, la de-licata funzione di disciplinare l’esercizio delle attività consen-tite entro il territorio del parco (articolo 11, comma primo);l’elencazione prevista dalla norma (articolo 11, comma se-condo) non è tassativa, indicando una tipologia di interventi,esemplificativa ma anche in un certo senso prioritaria26. Nonoccorre un grande sforzo esegetico per capire che la discipli-na risultante dal piano e dal regolamento può prevedere an-che obblighi positivi per chiunque eserciti le attività consen-tite, così che queste sono funzionalizzabili all’interesse pub-blico naturalistico, e non si può non vedere come questo sco-nosciuto potere di conformazione delle attività avrebbe potu-to essere un luogo geometrico di environmental mediation perprevenire e risolvere conflitti, in termini di garanzia giuridi-ca e di efficienza economica, collegandosi anche alla mitolo-gia della valorizzazione27, come diremo più oltre.

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28 Per non parlare di avventure come quella lucana, già segnalata, incui l’obiettivo ‘capovolto’ è quello di funzionalizzare il regolamento alle at-tività economiche, piuttosto che queste ultime al primo.

29 Rinvio a G. di Plinio, Il nullaosta dell’Ente Parco, in Scritti in memo-ria di M. Buoncristiano, Iovene, Napoli 2001; pubblicato anche in «Revistade Direitos Difusos», Instituto Brasileiro de Advocacia Pública, São Paulo(SP), 12/2002, e in «Rivistambiente», 1/2002.

Non mi risulta che i redattori dei regolamenti dei parchi,a volte tesi più a disegnare la traccia burocratica di sé stessiche un modello efficiente di regolazione per la tutela dellanatura, si siano mai posti il problema in questi termini, ecosì i regolamenti che girano, salvo poche lodevoli eccezio-ni, sono al massimo un arido elenco di divieti, spesso senzaenforcement nel diritto vivente28.

88.. IIll NNuullllaaoossttaa

Devil is in the details, la parte più difficile è nel momentoapplicativo, nella quotidianità della gestione e degli inter-venti. Per questo, lo dico da giurista, il nullaosta disegnatodalla legge quadro era di mirabile acume e ineguagliabilefurbizia, proprio perché ‘stupido’ e ‘automatico’, a zeropower of discretion. Un TAR può facilmente sbaragliare uncattivo uso del potere discrezionale, ma quando questo nonc’è proprio, quando l’atto di diniego discende automatica-mente da fonti ‘superiori’, allora siamo di fronte a un atto‘tecnico’, endo-procedimentale, essenzialmente ‘dovuto’,che può essere annullato solo se contemporaneamente sitravolge il suo ‘atto presupposto’, la sua fonte29. E quandola fonte è il piano o il regolamento del parco, normazioni suigeneris legittimate direttamente dalla legge, allora la vitto-ria giudiziale contro un nullaosta negativo diventa una im-possible mission. In più, la traslazione della ponderazionedegli interessi dal nullaosta al regolamento e al piano alza-

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30 Cass. pen., Sez. III, sent. n. 10407 del 19/10/1995, Di Felice ed altri,cit.

31 In mancanza dell’approvazione del piano e del regolamento del

no esponenzialmente la trasparenza e l’imparzialità dellagestione amministrativa puntuale, alzando drasticamenteil livello di ‘legittimazione tecnica’ dell’Ente parco. E non èaffatto poco.

Natura giuridica endo-procedimentale e livello zero didiscrezionalità del nullaosta furono correttamente e rapida-mente compresi dalla giurisprudenza: «all’interno dei par-chi nazionali, per le modificazioni urbanistiche ed edilizie,viene previsto un triplice controllo: del Sindaco (ai sensidelle leggi 10/77 e 47/85), dell’autorità regionale o di quel-la delegata (ai sensi della l. 431/85), dell’autorità del parco(ai sensi della l. 394/91). E tale pluralità di controlli si spie-ga e si giustifica soltanto in virtù della loro finalizzazionealla salvaguardia di valori ed interessi diversi: la concessio-ne edilizia, invero, tutela lo sviluppo ordinato del territorio,l’autorizzazione paesaggistica inerisce alla forma del terri-torio stesso; il nulla osta dell’Ente Parco ad interessi piùspiccatamente naturalistici concretamente perseguiti. Traquesti provvedimenti è l’autorizzazione paesaggistica adassumere connotazioni più ampiamente discrezionali, lad-dove ben più limitata è la discrezionalità nella concessioneedilizia (ove si riduce, previo riscontro di conformità allapianificazione urbanistica, alla determinazione delle con-crete modalità di esercizio dello ius aedificandi) ed ancorpiù ridotta nel nulla osta dell’Ente-parco, che presuppone sol-tanto un accertamento di conformità al regolamento ed allostrumento di pianificazione del parco»30.

Ma zero discretion è un fardello estremamente difficileda sopportare per chi amerebbe un pochino ‘personalizza-re’ la gestione di un’area protetta. E allora conviene non fa-re piani e regolamenti, e giocare con le autorizzazioni31, o,

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parco, la valutazione spettante all’Ente Parco deve fare riferimento agli attiistitutivi del parco, alle deliberazioni e altri provvedimenti emanati dagliorgani di gestione dell’ente, alle misure di salvaguardia, ai piani paesisticiterritoriali o urbanistici, i quali hanno valenza fino al momento della ap-provazione del piano del parco (Fimiani, il diritto vivente, cit.).

32 Specificamente per l’autorizzazione dell’ente parco Cons. Stato,Sez. VI, sent. n. 637 del 14/05/1999. V. anche Cass. pen., Sez. III, sent. n.11537 del 11/10/1999, Caratante; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 5863 del13/02/2004, Farina; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 2645 del 04/11/2005, For-cina; TAR Toscana, Sent. n. 288/2002; TAR Abruzzo, sent. n. 590 del18/08/2003.

se proprio le regole si debbono fare, farle a maglie larghe, aforma di manovrabili elenchi di divieti piuttosto che di mi-nuziosa e oggettiva regolazione tecnico-naturalistica di atti-vità consentite. Lo stile di gestione dei nullaosta nella granparte delle aree protette italiane, specie regionali, si è svi-luppato in questa direzione, configurando la più rovinosatra le forme di inattuazione e violazione della legge quadro.

Anche quando è accompagnata dalle migliori intenzioni,ed è posta in essere dalle migliori e più oneste persone almondo, si tratta infatti di una soluzione fallimentare e deva-stante per il sistema di protezione, perché sposta sulla deci-sione del caso singolo la valutazione giurisprudenziale. Men-tre il nullaosta, tecnicamente, non può incorrere nel vizio dieccesso di potere, perché trae motivazione, per relationem,dalle fonti superiori e, se entra in collisione col regolamento(e può succedere), si tratta di semplice violazione di legge,un atto di assenso discrezionale, comunque lo si denomini,viaggia sul filo del rasoio, perché deve motivare l’uso del po-tere nel momento in cui lo esercita32. E tutte le sentenze disconfitta dei parchi, specie davanti a poteri forti, sono la pro-va più evidente di questo semplice teorema, che non solo leistituzioni politiche ma anche gli stessi Enti di gestione dellearee protette hanno sorprendentemente trascurato.

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33 Aree naturali protette e governo dell’ambiente, cit., pp. 5 ss.34 Cfr. le Dichiarazioni finali delle Conferenze decennali (Seattle 1962;

Grand Teton 1972; Bali 1982; Caracas 1992; Durban 2002) promosse dal-l’IUCN.

99.. II mmiittii ddeellllaa VVaalloorriizzzzaazziioonnee

Scrive Carlo Alberto Graziani nel saggio precedentemen-te richiamato33: «a oltre quindici anni dall’entrata in vigoredella legge quadro occorre chiedersi se il risultato di un’e-sperienza, che pure ha posto le basi per un vero e proprio si-stema italiano delle aree protette, non abbia finito per an-nullare la specificità di tali aree e in particolare dei parchi;se sul piano operativo l’impostazione metodologica che ve-de il parco come luogo di mediazione alta tra un massimolivello di protezione della natura e un livello effettivo di svi-luppo e che pertanto vede il parco come luogo paradigmati-co dello sviluppo sostenibile non rischi un alto costo e cioèla perdita della specificità: i parchi sono parchi naturali, learee protette sono aree protette naturali».

È vero. Non c’è nulla che abbia prodotto tanti ostacoli al-l’attuazione della legge quadro quanti ne ha prodotti la pre-tesa di caricare i parchi con la weltanschauung dello ‘svilup-po sostenibile’. Se a monte di un parco c’è la Carta della Na-tura e non la programmazione economica, se l’oggetto dellatutela, superando l’antropocentrismo, è il patrimonio natu-rale e non l’economia reale, se ciò che vogliamo proteggereè il pino mugo, il falco pellegrino, la foresta e la falesia, inbase a quale contorta assurda logica si pretende che le areeprotette risolvano problemi di sviluppo e occupazione chegli stessi governi, le regioni, il Cipe, la stessa Unione euro-pea non riescono a risolvere?

È un caso che leggendo l’evoluzione della filosofia natu-ralistica internazionale dell’UICN34, vi è un salto radicaletra il linguaggio del Piano d’azione di Bali (1982), che colle-ga il sistema mondiale dei parchi con lo «sviluppo sosteni-

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35 Come sottolinea Graziani (op. loc. cit.). «Se d’altra parte osserviamol’immagine che i parchi danno di se stessi – mi riferisco tanto ai parchi na-zionali quanto ai parchi regionali – e quella che i mass media danno deiparchi, ci rendiamo conto che si tratta di un’immagine legata soprattuttoalla qualità dei prodotti derivanti da attività economiche compatibili: fon-damentalmente alla qualità dei prodotti enogastronomici e dei prodotti tu-ristici (per lo più tra loro collegati). A tale aspetto gli operatori dei parchidedicano la massima parte della loro iniziativa e delle loro energie. In que-sto contesto la natura resta al margine o diventa mero strumento per av-viare e garantire operazioni di qualità».

36 Illuminante al riguardo la lettura ragionata di G. Bacceli, Analisieconomica del diritto delle aree protette, in Di Plinio, Fimiani, Aree naturaliprotette, cit.

bile», e, a distanza di dieci anni, il linguaggio della dichia-razione di Caracas (1992) che parla di conservazione delladiversità biologica in toni perentori e, senza più alcun riferi-mento allo sviluppo sostenibile, pone l’accento sulla prote-zione sostenibile, che ne è l’esatto opposto?

Allora, se una valorizzazione economica delle aree pro-tette è possibile, lo è solo da dentro un ottica preliminar-mente protezionistica, mentre i dogmi dello sviluppo ‘pri-ma di tutto’ hanno prodotto una serie infinita di errori e or-rori, allargando all’estremo i confini dell’area protetta, met-tendo l’Ente parco in un vortice di disperata ricerca di legit-timazione economica al punto di proporsi come outlet pergilet di pecora o come ufficio di collocamento o peggio an-cora fare da cassiere per il rimborso dei (presunti) danni dafauna selvatica, lasciando in un limbo sbiadito la missionnaturalistica per la quale era nato35. I costi di questa folliasono stati immensi, non solo per la natura, ma per la stessarazionalità economica e finanziaria36.

Eppure, non era difficile, davanti alla cristallina chiarez-za della legge quadro, capire che l’unica accezione ‘consen-tita’ di ‘economia’, quando si manipola la natura e la biodi-versità, è quella secondo cui la protezione è la condizionepreliminare della valorizzazione, e questa è il risultato della

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37 V. ampiamente Bellomo, Conservazione vs. Valorizzazione, cit.,passim.

38 «Mit der Dummheit kämpfen Götter selbst vergebens» (di fronte al-la stupidità umana, gli stessi dei combattono invano: Johann ChristophFriedrich von Schiller, Die Jungfrau von Orleans; sviluppi, anche divertenti,in G. di Plinio, L’insostenibile leggerezza del diritto dell’ambiente e la fragileforza della protezione integrale della natura, in P. Malizia (a cura di), Le for-me dell’ambiente, CRESEC, Polimata, Roma 2009).

prima, tale che la sua intensità cresce in proporzione allaintensità di questa37.

1100.. DDiieeccii mmoossssee,, ppeerr nnoonn ccoonncclluuddeerree

Esistono davvero i ‘nemici dei parchi’? Non ci crederòmai. Non può esistere al mondo qualcuno capace di odiarela natura in quanto tale. Semmai esistono per egoismo o perinteresse i nemici dei vincoli che proteggono la natura, masono abbastanza visibili e non è impossibile tenerli sottocontrollo. Esistono mercanti, affaristi e saccheggiatori divario tipo, ma anche contro di essi si può combattere.

Invece, non c’è difesa dal «fuoco amico»38. Contro l’ignoranza, l’inerzia, il disinteresse, l’ignavia, l’i-

pocrisia dei decisori pubblici e delle istituzioni, non c’è lot-ta, ma se lo stesso ‘movimento’ di difesa dei parchi – pro-prio nella misura in cui si affanna a sovrapporre alla ricettaprotezionistica della legge quadro altri pericolosi ingre-dienti, dallo sviluppo sostenibile alla regionalizzazione –paradossalmente lavora per il loro declino, allora ogni spe-ranza è irrimediabilmente perduta.

Risalire la china è una ‘missione impossibile’? Forse no,ma a patto che chi si impegna in questa avventura sappiaesattamente cosa vuole (la protezione come portata princi-pale e il resto come contorni eventuali) e sia dotato deglianticorpi e delle endorfine necessarie per resistere alla ‘do-lorosa’ scalata.

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Provo a stilare un decalogo minimalista (e per forza dicose incompleto, da sviluppare con calma) per una ipoteti-ca agenda/via crucis verso la resurrezione.

Primo. Ridurre i territori protetti, e drasticamente, ridu-cendo al minimo il ruolo del parco nella fascia più antropiz-zata e delegittimando le compensazioni economico-sociali.Le poche risorse debbono servire per la conservazione e lagestione naturalistica, e per nient’altro.

Secondo. Differenziare i parchi e le riserve nazionali con-centrando su essi protezione e risorse.

Terzo. Costruire la Carta della Natura.Quarto. Dare un giro di vite alle procedure e ai criteri di

inserimento nell’Elenco Ufficiale, compresa la revisione deirequisiti per tutte le aree protette già iscritte.

Quinto. Rivedere i Piani, anche aggiornando il linguag-gio ormai obsoleto della 394, eliminando ogni scimmiotta-mento delle pianificazioni urbanistiche e concentrandosisulla programmazione naturalistica dinamica.

Sesto. Riformulare i regolamenti, funzionalizzando le at-tività consentite e dettagliando tecnicamente, all’estremopossibile, standard, requisiti, procedure, modelli di avvio egestione delle medesime.

Settimo. Riformulare le procedure di istruttoria e rilasciodei nullaosta, con modulistiche non discrezionali e rinvioper standard e motivazioni agli atti fondamentali. Concen-trare nei parchi anche autorizzazione paesistica e valuta-zioni di incidenza.

Ottavo. Riabilitare l’immagine dell’Ente parco qualeauthority tecnico-scientifica, pienamente indipendente daigoverni di ogni livello.

Nono. Ricondurre la valorizzazione dentro i confini dellaprotezione, tenendo fuori dal core naturalistico lo svilupposostenibile e i suoi ‘derivati’ più o meno tossici.

Decimo. Finanziare la natura, e nient’altro, e non per ra-gioni di immaginari ritorni economici, ma per sé stessa, co-me segno di civiltà non antropocentrica.

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* Professore emerito di Ecologia, Università di Roma «La Sapienza».

LE AREE PROTETTE IN UNANUOVA VISIONEDEL SISTEMA-ITALIA

Sandro Pignatti*

IInnttrroodduuzziioonnee

Nel giro di 20 giorni, tre fatti del tutto differenti avven-gono in paesi molto lontani l’uno dall’altro: il primo è notosolo ai pochi partecipanti, gli altri fanno notizia.

a) 28 febbraio 2011 - Situazione di crisi nei parchi nazionali- Riunione a Firenze del gruppo di lavoro.

b) 11 marzo 2011 - Terremoto in Giappone e tsunami.c) 18 marzo 2011 - Inizio delle ostilità in Libia.

Ci si può chiedere, per quale motivo riteniamo utile col-legare tra loro questi 3 avvenimenti. Questo avviene perchéessi ci mettono di fronte in maniera drammatica ad unacondizione generale del mondo moderno: la necessità dicercare un’alternativa all’intrinseca fragilità del sistemacommerciale e industriale, che è stato sviluppato durantegli ultimi decenni. La nostra tesi è che questa alternativapossa passare attraverso una politica che dà un nuovo sen-so all’esistenza dei parchi. Cerchiamo di avviare una rifles-sione su questi problemi e di discutere quale sia il filo che licollega e quale possa essere la posizione dell’Italia rispettoad essi. Presentazione dei tre avvenimenti:

a) La riunione di Firenze è motivata dalla necessità di im-postare una politica adeguata per i parchi nazionali e

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regionali nel nostro paese. Questa politica è prevista perla realizzazione della legge 394 che dà le direttive per laconservazione della natura e dell’ambiente: una politicache è stata avviata nei decenni passati, ma che ora sem-bra ormai in declino e sostituita da un generale abban-dono delle azioni finora avviate.

b) Il terremoto in Giappone è stata una gigantesca catastro-fe naturale: a distanza di un mese ancora non si conosceil numero complessivo delle vittime, valutate ormai a27.000 almeno. Il terremoto ha avuto un’intensità mairegistrata in precedenza ed è stato seguito da un’ondaanomala di proporzioni gigantesche. Le città costiere so-no state devastate, però la situazione è stata ulterior-mente aggravata dall’esistenza di una centrale nuclearenella zona colpita: i reattori sono andati in crisi ed anco-ra oggi permane il pericolo di una massiccia fuoriuscitadi materiale radioattivo.

c) La crisi in diverse nazioni del mondo arabo sulla spondameridionale del Mediterraneo inizia con la protesta po-polare in Tunisia a causa della grave situazione econo-mica, ed in seguito si allarga all’Egitto. In entrambi i pae-si vengono abbattuti regimi dittatoriali che erano al po-tere da decenni e sono poste le basi per la formazione digoverni democratici. Questa evoluzione è stata seguitacon simpatia nei paesi occidentali ed il timore che venis-sero a formarsi aree per l’espansione del fondamentali-smo islamico si sono rivelati infondati. In pochi giorni larivolta popolare si è allargata anche alla Libia: all’inizio irivoltosi hanno avuto grandi successi, quindi il dittatorelocale ha avviato una reazione sanguinosa alla quale ipaesi occidentali si sono opposti così da ottenere unmandato dell’Onu per ristabilire l’ordine (no fly zone).Questo obiettivo ha imposto l’uso delle armi, che ha por-tato a nuove vittime tra gli abitanti della Libia senzaperò ristabilire la pace, almeno fino ad oggi.

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Il tentativo di una diagnosi ci fa capire che gli eventi delGiappone e della Libia hanno un importante elemento incomune: il ruolo essenziale delle fonti energetiche nella vi-ta moderna. Però, se vogliamo trarne delle conclusioni perl’Italia, si vedrà come anche l’azione per i parchi nazionalipossa divenire un’importante base di discussione in una vi-sione alternativa. Rispetto al ruolo delle fonti energetiche,possiamo partire da alcuni dati di fatto: in Giappone la crisidell’impianto nucleare ha provocato limitazioni della di-sponibilità di energia elettrica, con gravissime conseguenzeper il sistema industriale e per la vita di Tokyo, come mega-lopoli super-organizzata. Nel panorama Mediterraneo, lanaturale esigenza di democrazia è stata accolta con favoreper la Tunisia e l’Egitto, ma ha provocato una guerra nel ca-so della Libia, e questo sembra chiaramente causato dal fat-to che la Libia è paese produttore di petrolio e gas naturale,risorse energetiche di importanza vitale per molti paesi eu-ropei. Anche qui c’è la preoccupazione per i rifornimentienergetici, e siamo di fronte ad una guerra per il petrolio: laterza in venti anni.

Per queste cause, il sistema industriale e commerciale èentrato in crisi a livello globale, e questo ci fa capire chequesto sistema ha ormai un assetto unitario, così da reagirenello stesso modo anche quando si trova di fronte ad avve-nimenti lontani. Limitazioni nella disponibilità di energiamettono in pericolo l’attività produttiva dei paesi industria-lizzati, e per questo in Giappone si teme che la produzionenelle centrali nucleari venga messa in discussione, in Euro-pa si teme che i rifornimenti di petrolio dalla Libia si possa-no interrompere. Ancora una volta, siamo messi di frontealla fragilità del sistema economico globalizzato, causatadal fatto che esso dipende da flussi energetici e di materieprime e dal funzionamento di impianti colossali per la pro-duzione ed il trasporto dell’energia o per la produzione dibeni commerciabili.

Cercheremo di approfondire l’analisi del sistema globa-

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lizzato e quindi di discutere la posizione dell’Italia di frontea questi avvenimenti. A questo scopo dobbiamo prenderein considerazione il sistema Italia nel suo complesso, inparticolare per quanto riguarda l’assetto ambientale. È ne-cessario collegare quanto è successo in Giappone ed in Li-bia alla situazione nel nostro paese, e pensare ad una politi-ca che ci permetta di affrontare, nel futuro, avvenimenti diquesto tipo. In altre parole: la necessità di mettere il paesein sicurezza rispetto ai disastri naturali ed alla dipendenzada sorgenti energetiche, poche e circoscritte, impone di ri-prendere in considerazione il ruolo che i parchi nazionali eregionali devono svolgere nella politica del territorio.

IIll ssiisstteemmaa gglloobbaalliizzzzaattoo iinn ccrreesscciittaa ccoonnttiinnuuaa

Il sistema globale si mantiene in funzione mediantestrutture e processi di grande complessità. Prima della rivo-luzione industriale la vita era regolata a livello locale oppu-re regionale. Le merci si spostavano soltanto entro ambiti li-mitati ed i bisogni essenziali erano coperti mediante la pro-duzione agricola locale. Le singole unità territoriali erano otendevano ad essere autosufficienti. Questo ovviamenteesponeva la popolazione ai rischi di siccità e carestia. Oggiil commercio si sviluppa su scala mondiale e le merci ven-gono spostate anche a grandissima distanza, semplicemen-te in base al profitto che ci si attende dalla loro vendita. Perrealizzare questi scambi è necessario un complesso sistemadi infrastrutture e mezzi di trasporto. Le merci successiva-mente vengono lavorate ed anche questo richiede infra-strutture di tipo industriale. Per mantenere in funzione ilsistema è necessaria energia che viene prodotta in impianticentralizzati situati in pochi punti del territorio dove le con-dizioni sono più favorevoli. Anche in questo caso la sceltaavviene in base all’analisi costi-benefici.

La costruzione di infrastrutture e di impianti energetici

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ed industriali rappresenta una straordinaria realizzazionedell’intelletto umano. Si tratta di una serie continua di in-venzioni e realizzazioni di carattere ingegneristico, che, ge-neralizzando, possono ritenersi un accumulo di ordine peril sistema. Usiamo il termine di «ordine» nel senso dellateoria dell’informazione cioè come ad esempio il passaggioda una condizione più probabile (la coltivazione dei campivicino a casa) ad una condizione improbabile, come il tra-sporto di derrate alimentari dai paesi lontani. Lo sviluppotecnologico può considerarsi un processo di continuo au-mento di ordine nel sistema. Nei sistemi termodinamicil’accumulo di ordine va pagato mediante consumo di ener-gia. L’accumulo di ordine sposta il sistema dall’iniziale con-dizione di equilibrio verso un punto sempre più lontanodall’equilibrio. In questa situazione il sistema deve conti-nuamente accrescersi come componenti, come attività e co-me dimensioni. Nel caso del sistema economico gli scambie le dimensioni vengono in generale stimati in termini diprofitto, cioè mediante il denaro. Il sistema globalizzato èvincolato dal ciclo economico ad una continua crescita. Cisi rende conto di questo nella maniera più ovvia, esaminan-do quanto avviene nell’occasione di crisi economiche, or-mai ricorrenti. Fino al 2007 l’economia era in espansione,aumentava il benessere, ed una singola famiglia italiana,nella media, poteva ritenersi soddisfatta. Nel 2008 la crisiha imposto una riduzione del reddito pari a circa il 5%: senell’anno precedente si stava bene, una riduzione del 5%sembra molto tollerabile, almeno per quanto riguarda i bi-sogni essenziali. Invece si è trattato di una crisi che ha pro-vocato milioni di disoccupati, paesi ridotti alla fame e con-seguenze sociali gravissime.

Come più sopra brevemente accennato, il sistema si reg-ge su un continuo accumulo di ordine <processi neg-entro-pici> ed in questo modo viene sempre più ad allontanarsidal punto di equilibrio. La base per lo sviluppo del sistema,viene fornita sostanzialmente dall’energia, ottenuta attra-

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verso impianti centralizzati (centrali termiche e nucleari) eflussi intercontinentali di risorse, altre attività che richie-dono un ulteriore sforzo in senso neg-entropico. Si è svilup-pata una tecnologia adatta a produrre e gestire i giganteschiflussi energetici con impianti di dimensioni anch’esse gi-gantesche (hard technology). Questo apparato che ormaifunziona nella dimensione globale dipende tuttavia da unaserie di connessioni strategiche, veri e propri esempi di col-lo di bottiglia, come le linee ad alta tensione, gli snodi auto-stradali, i passaggi obbligati ad esempio il Canale di Suez, legrandi centrali termiche e nucleari, le zone petrolifere, e so-prattutto i centri direzionali.

La presenza di connessioni strategiche e centri produtti-vi e direzionali è la causa principale dell’intrinseca fragilitàdi questo sistema. L’interruzione di una connessione puòprovocare conseguenze a catena molto grandi, rispetto alledimensioni del flusso che viene interrotto. Basti ricordarealcuni esempi. Il 28 settembre 2003, alle tre del mattinouna linea elettrica per il trasferimento di energia dalla Sviz-zera all’Italia ha subito una banale interruzione che in con-dizioni normali sarebbe stata priva di conseguenze. Unareazione sbagliata (errore umano) combinata alle condizio-ni della rete in quell’orario notturno, quando i consumi siriducono al minimo, ha provocato il generale blackout, du-rato gran parte della giornata in tutta Italia, nonostante lecentrali elettriche fossero tutte rimaste in condizioni di pie-na efficienza. Ben più drammatiche le conseguenze dell’11settembre 2001, provocate dalla caduta di due aerei di li-nea. La caduta di un aereo è un fatto doloroso ma comun-que con conseguenze limitate, tuttavia in questo caso, un’a-zione terroristica mirata alla distruzione delle Torri Gemel-le, ha prodotto migliaia di vittime e lo sconvolgimento di at-tività industriali ed economiche, con conseguenze durateper un lungo periodo, sull’economia americana ed anche inpaesi lontani.

L’insostenibilità di questo sistema è descritta chiaramente

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in http://www.benecomune.net/ «L’impressionante quantitàdi energia, per lo più di origine fossile e nucleare, incorpora-ta nelle strutture (edifici, strade, impianti di vario tipo, mac-chine, ecc.) delle città del pianeta, sommata a quella consu-mata per il funzionamento di «mostri metabolici» comeTokyo o New York o Milano, ha prodotto quantità altrettantoimpressionanti di rifiuti costituiti da energia e materia discarto che vengono trasferiti quotidianamente all’ambientenaturale, spesso a centinaia o migliaia di chilometri di di-stanza; ma l’ambiente naturale è il principale fornitore di be-ni e servizi che devono continuamente fluire in misura mas-siccia verso quelle metropoli per sostenere, appunto, il lorometabolismo mostruoso (si pensi solo all’acqua potabile), edè su questa incongruenza che prima o poi rischia di innescar-si un corto-circuito globale pericolosissimo».

La dinamica intrinseca al sistema porta quindi ad uncontinuo aumento della complessità, e dei consumi energe-tici, ma il sistema diventa sempre più fragile ed esposto acatastrofi impreviste, per cause umane oppure naturali. Ilsistema ha la necessità di mantenere una crescita continua,però esso non può accrescersi in maniera illimitata, vistoche la superficie disponibile sul pianeta e le risorse di que-sto (energetiche ed altre) sono limitate (Pignatti e Trezza,2000). Dunque, la dinamica del sistema rende necessariauna crescita continua, però sappiamo che questo a lungotermine è impossibile, per il prevedibile esaurimento dellerisorse. Non sappiamo per quanto tempo ancora l’attualemodello di sviluppo potrà essere mantenuto, però sappiamoche stiamo avviandoci verso condizioni di insostenibilità.

Per quanto riguarda l’energia, si stanno ricercando pro-cedimenti per la fusione nucleare, ma anche se questi po-tessero venire realizzati, resterebbe il vincolo della limitatacapacità portante del pianeta. Ciò significa, che la crescitadel sistema non può durare all’infinito. Tuttavia essa nonpuò nemmeno arrestarsi, perché il sistema funziona se (esolo se) si ha una crescita continua: una pausa di arresto,

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come è avvenuta nel 2008 per cause limitate (i mutui sub-prime), ha provocato una crisi globale disastrosa.

Una casistica molto varia (terremoto, insurrezione popo-lare, blackout, attentato terroristico, speculazione sui mer-cati) dove però si nota un elemento comune: il fattore scate-nante è un fatto imprevedibile. I sistemi colpiti in tutti que-sti casi erano largamente protetti rispetto ad ogni eventoprevedibile, ma ovviamente, gli eventi imprevedibili, inquanto tali, sono al di fuori di ogni possibilità di previsione.

…… ee ccoonnsseegguueennttee ssqquuiilliibbrriioo ddeellllaa bbiioossffeerraa

Il livello di squilibrio globale causato dallo sviluppoorientato in senso neg-entropico si rende evidente attraver-so alcune tesi:

– La specie umana potrebbe ormai avere la biomassa piùelevata tra tutti gli animali a sangue caldo, o forse in asso-luto nella scala zoologica. Siamo ormai arrivati a 7 mi-liardi di esseri umani. Esistono specie biologiche soprat-tutto tra gli insetti, oppure i pesci, che sono costituite si-curamente da un numero di individui molto superiore,però si tratta di organismi di massa molto ridotta. Perquanto riguarda gli animali domestici, bovini ed ovinihanno una biomassa totale molto elevata però oggi ci so-no statistiche affidabili sui numeri dei capi esistenti esembra che nessuno di questi animali possa avvicinarsialla biomassa totale della specie umana.

– Il flusso energetico da combustibili fossili o nucleari, gesti-to dall’uomo, si avvicina per intensità a quello di tutti i ci-cli biologici che avvengono nella biosfera e forse lo supera.Si conosce la intensità della radiazione solare che giun-ge sulla terra: solo una parte molto ridotta di questa, almassimo il 2%, viene convertita mediante processi di fo-tosintesi. È molto difficile valutare l’entità complessivadei flussi energetici generati dall’attività umana, però

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secondo alcuni calcoli (Pignatti e Trezza, 2000) dovreb-be trattarsi di un totale superiore a quello dei cicli biolo-gici, e se questo oggi non fosse vero, lo sarà tra poco per-ché i cicli energetici attivati dall’uomo sono in continuoaumento con un incremento annuo in generale attornoal 2-3%, invece i cicli energetici della biosfera sono sta-bili, anzi tendono a rallentare per effetto della distruzio-ne del patrimonio forestale e dal consumo di territorio.

– Il patrimonio forestale (garanzia per la stabilità dei flussidi gas di serra) è in continua erosione. Le stime variano tra6 milioni e 13 milioni di ettari di foresta abbattuti ognianno: il quadro offerto dalle statistiche sull’erosione del-le risorse forestali è estremamente preoccupante. Si trat-ta di un processo che dura da cinquant’anni e non cono-sce pause, anzi tende ad aggravarsi nei periodi di reces-sione economica e dove il riscaldamento climatico è piùintenso. È possibile calcolare che nel giro di pochi decen-ni le foreste tropicali, che sono l’ecosistema più produtti-vo del pianeta, saranno completamente distrutte.

– Innumerevoli specie sono estinte o in via di estinzione. Sulnumero di specie estinte non si hanno valutazioni preci-se soprattutto perché in molti casi si tratta di specie chescompaiono prima ancora di essere state scoperte, comead esempio gli insetti delle faune tropicali oppure mi-crorganismi dei quali fino a poco tempo fa non si imma-ginava l’esistenza. Il processo è parallelo all’erosionedelle foreste, però c’è una differenza: le foreste, almenoin linea teorica potrebbero venire ricostruite, invece unaspecie estinta, lo è per sempre, non ritornerà mai più edanzi la sua scomparsa provocherà l’estinzione di altrespecie appartenenti ai cicli ecologici del medesimo eco-sistema.

– La produzione agricola è sempre più in deficit energetico.L’agricoltura per millenni ha permesso il prelievo di unaparte dell’energia solare, rendendola disponibile per ibisogni umani: adesso le pratiche agricole devono assor-

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bire energia (da fonti non sostenibili) in misura maggio-re dell’energia fornita al sistema.

– Una parte cospicua dei prodotti agricoli viene utilizzatacome mangime per l’allevamento di animali da macello,richiesti per la dieta carnea dei popoli ricchi. Il trasferi-mento di materia ed energia dal vegetale all’erbivoro equindi all’uomo è un processo gravemente dissipativo(ad ogni passaggio fino al 90 % dell’energia è perduta).Anche in questo caso, l’utilizzazione del prodotto non èregolata dalle necessità dei consumatori, ma dal prezzoche esso può spuntare sul mercato: una bistecca per unacena in un ristorante di un paese occidentale vale moltopiù di 10 kg di mais, che potrebbero alimentare per moltigiorni una famiglia di contadini nei paesi equatoriali.

– Lo squilibrio nord / sud rimane: un miliardo di umani so-no denutriti, e questa condizione si mantiene da decenninonostante gli sforzi dell’Onu per incrementare la pro-duzione di alimenti per i paesi del terzo mondo. L’azionedegli enti internazionali ha effettivamente abbassato lapercentuale della popolazione denutrita tuttavia, a cau-sa della crescita demografica nei paesi poveri, in cifre as-solute il numero dei sotto-alimentati si mantiene attornoal miliardo, cioè ad un livello intollerabile.

– l’uso dei combustibili fossili come carbone, petrolio e gasnaturale, dura ormai da oltre 200 anni con intensità sem-pre crescente. Come residuo delle combustioni viene ge-nerata anidride carbonica che si mantiene nell’atmosfe-ra ed assieme ad altri gas di serra, anch’essi prodotti dal-l’attività industriale e dall’allevamento dei bovini, ha av-viato il fenomeno progressivo del cambio climatico.L’aumento della temperatura globale ormai sta superan-do 1°: sembra un valore molto modesto però sappiamoche questo valore è in continuo aumento. Si può preve-dere che, se si arrivasse ai 3° di aumento rispetto alla si-tuazione precedente gli anni ’80, le condizioni di vita sulpianeta cambierebbero in maniera drammatica. Tutti gli

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sforzi per arrestare l’aumento dei gas di serra, indicatinel protocollo di Kyoto, sono stati finora vani.

L’esigenza della crescita continua ha portato a conside-rare primario lo sviluppo della società tecnologica, sacrifi-cando a questo scopo la qualità della vita e l’equilibrio delterritorio.

SSiisstteemmii iinn ccoonnddiizziioonnee ssttaazziioonnaarriiaa

Le tesi enunciate nella sezione precedente non sono unanovità: se ne discute da decenni nelle numerose conferenzemondiali riguardanti l’ambiente. Su questo problema, neglianni ’90 ha lavorato la commissione Bruntland: essa ègiunta alla conclusione che sia ormai necessario avviare unperiodo di «sviluppo sostenibile». Una formula basata suuna insuperabile contraddizione interna: infatti lo svilup-po, come viene concepito nella società capitalista, è per de-finizione insostenibile. L’abbiamo visto prima: è impossibi-le realizzare una crescita illimitata in un pianeta nel qualespazio e risorse sono limitati, dunque, se vogliamo vivere inun mondo sostenibile, dobbiamo rinunciare allo sviluppo,oppure cercare un modello di sviluppo diverso da quellobasato esclusivamente sul profitto. Questo è il punto essen-ziale: ricercare un modello differente da quello attuale;sembra un compito immane, tuttavia l’esempio di un siste-ma in condizioni di sostenibilità è sotto i nostri occhi: labiosfera.

Cerchiamo di approfondire le caratteristiche del funzio-namento della biosfera. Questa è l’unica realtà che ha di-mostrato di essere veramente sostenibile nel lungo termineper il nostro pianeta. La vita esiste sulla terra da 3 miliardi emezzo di anni. Per un lungo periodo era un fenomeno limi-tato ai microrganismi di ambienti acquatici e si svolgeva inmaniera molto differente dalla vita attuale sul pianeta. L’at-mosfera priva di ossigeno impediva la sopravvivenza di

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forme di vita simili a quelle attuali. Con la comparsa di or-ganismi in grado di compiere fotosintesi secondo le moda-lità che conosciamo oggi nei vegetali, si è avviato un pro-cesso che libera ossigeno, e si è formata di conseguenzaun’atmosfera simile a quella che oggi respiriamo. Anche inquesto caso, all’inizio la vita era limitata agli ambienti ac-quatici. Le prime piante terrestri sono comparse circa mez-zo miliardo di anni or sono: la vegetazione primordiale, cheera probabilmente limitata a poche zone umide con climatropicale e di cui sono rimasti i resti fossili negli attuali de-positi di carbone. Soltanto alla fine del Mesozoico si arrivaad una condizione paragonabile a quella del tempo presen-te e questo avviene circa 100 milioni di anni fa. Se un uomoforse vissuto nell’era geologica immediatamente successi-va (Eocene), avrebbe trovato una fauna di mammiferi e unavegetazione di piante con fiore: piante ed animali diversi daquelli attuali, ma probabilmente avrebbe potuto sopravvi-vere in maniera non molto differente da come fecero i popo-li aborigeni fino a pochi secoli orsono. Durante questo lun-go periodo la superficie della Terra è stata trasformata daeventi geologici come spostamenti delle placche continen-tali e orogenesi; il clima ha subito variazioni importanti conperiodi freddi e glaciazioni, ed anche il tenore in ossigenodell’atmosfera ha subito variazioni, però tutto questo si èmantenuto entro limiti abbastanza ristretti.

La biosfera, nella forma che si è stabilizzata nelle ultimeere geologiche, utilizza come fonte energetica l’energia so-lare che arriva continuamente sulla Terra senza produrrefenomeni di inquinamento. L’energia solare attraverso lafotosintesi viene fissata nelle molecole di composti chimicisintetizzati nei vegetali. Essa viene quindi trasferita al mon-do animale che in questo dipende dai vegetali, però gli ani-mali a loro volta cooperano ai cicli dell’ecosistema attraver-so le attività di demolizione della materia organica oppurecon legami più stretti come l’impollinazione dei fiori e lesimbiosi. La biosfera è pertanto un sistema in condizione

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stazionaria: questo vuol dire che, in un dato periodo di tem-po, i componenti della biosfera non hanno la tendenza acrescere oppure a diminuire, perché il bilancio finale tra lamateria organica prodotta mediante la fotosintesi e quellache viene consumata oppure trasferita nel suolo sotto for-ma di humus, è in generale pari a zero.

Dunque, la biosfera non ha la tendenza a svilupparsi co-me massa totale dei viventi o come numero di individui;però anch’essa ha uno sviluppo. Per effetto della competi-zione, come già Darwin aveva intuito, esiste un continuo ri-cambio di specie, vegetali e animali, con aumento e specia-lizzazione delle relazioni tra queste. L’evoluzione del grup-po degli insetti ha subito un forte impulso dalle relazionicon le piante a fiore: gli insetti infatti sono gli agenti attividei processi di impollinazione, ed in questo modo sono arri-vati ad essere oggi la classe di viventi nella quale si conosceil numero più elevato di specie. Lo sviluppo della biosfera siesprime come biodiversità, cioè nel gran numero di formeviventi e nella rete complessa delle relazioni tra questi.

In sostanza, la biosfera si sviluppa come informazioneaccumulata nella complessità del sistema, mentre mantie-ne costante nel tempo la sua consistenza fisica, sia comemateria (la massa vivente) che come energia (il flusso ener-getico che l’attraversa). La biosfera, attraverso l’evoluzionebiologica, ha trovato la via dello «sviluppo sostenibile». L’e-sempio della biosfera insegna che, perché il sistema simantenga in attività, cioè perché ci sia vita, una crescita mi-surabile come materia ed energia non è necessaria: i pro-cessi vitali si mantengono anche quando la dinamica del si-stema non tende verso l’aumento delle dimensioni.

IIll ssiisstteemmaa--IIttaalliiaa

Dopo avere discusso le differenze che intercorrono traun sistema in continua crescita come l’economia globaliz-

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zata ed un sistema stazionario come la biosfera, consideria-mo ora quali siano le conseguenze che se ne possono trarreper il nostro paese.

L’Italia ha avuto un periodo di forte sviluppo economicodurante il cosiddetto «miracolo» degli anni ’50 e ’60. A que-sto è seguito un lungo periodo di stagnazione, che tuttaviaha permesso di raggiungere un relativo grado di benessere.Per un decennio l’Italia è stata tra i sette paesi con le più fortieconomie del mondo; poi i paesi sono diventati otto, poi 20,e l’Italia è ora in discesa verso un livello sempre più basso. Siparla ormai chiaramente di declino. In effetti, le dimensionidel sistema economico italiano sono troppo ridotte perché laproduzione ed il mercato possano concorrere con i paesi piùsviluppati. In questo, neanche la formazione dell’UnioneEuropea ha cambiato la situazione. Nella grande arena delcommercio mondiale, l’Italia è svantaggiata dalla posizionemarginale rispetto alle grandi correnti di traffico, e dal fattodi non possedere riserve importanti di materie prime oppurerisorse energetiche. Un significativo fattore di sviluppo po-trebbe essere il cosiddetto capitale umano, che però rimanein gran parte inutilizzato: al contrario, una politica economi-ca sbagliata, negli ultimi decenni ha fatto crescere la disoc-cupazione giovanile. Essa, almeno in parte, è collegata allascarsa efficienza del sistema scolastico, soprattutto universi-tario. Quindi, i giovani più dotati spesso sono costretti ademigrare perché in Italia non trovano condizioni sufficientiper realizzare le loro capacità. Non è un caso che gli studiosiitaliani che negli ultimi cinquant’anni sono stati insignitidel premio Nobel, fossero tutti attivi al di fuori dell’Italia (ingenerale negli Stati Uniti d’America). Nessun paese al mon-do può sperare di crescere, esportando i cervelli migliori.

La situazione ha qualche analogia con quella del nostropaese attorno al 1500. Anche in quel periodo l’Italia, paesetrainante della cultura del Rinascimento, in pochi decenniha perduto il primato scientifico, il benessere economico ela libertà politica.

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Si può prendere atto di questo, e cercare una strategiaper avviare nuovamente lo sviluppo. Ricordiamo che neglianni ’60-’70 l’Italia è stata all’avanguardia nella progetta-zione e realizzazione delle prime centrali nucleari, ma que-sto sviluppo è stato interrotto dopo Chernobyl. Recente-mente è stato proposto di sviluppare un ambizioso pro-gramma nucleare, ma oggi questa opzione sembra meno in-teressante, perché anche qui (come per il petrolio) ci sonodifficoltà per il rifornimento di combustibile, ed il problemadelle scorie rimane irrisolto. Tuttavia, tenendo conto dei ri-schi insiti in uno sviluppo basato sulla hard technology, haun senso voler tornare ad essere tra i primi, su una stradache conduce alla rovina di tutti ? Si pone dunque il proble-ma se esista una via alternativa, se sia pensabile proporreun modello di sviluppo diverso, basato sulla riduzione deiconsumi energetici e produzione di energia con impiantidiffusi, in equilibrio con il territorio. La politica attualesembra destinata a fallire: vediamo se sia possibile andareverso un modello diverso.

L’alternativa potrebbe essere basata sulle reali eccellen-ze qualitative del nostro territorio: clima favorevole, varietàdell’ambiente naturale, patrimonio artistico unico al mon-do. Bisogna immaginare la conversione del sistema produt-tivo verso lo sviluppo di energie sostenibili, fino ad affran-care il paese dalla dipendenza dal petrolio. Fino a pochi an-ni fa si pensava che una possibilità di sostituire le energieottenute dalla combustione di carbone e petrolio e con lecentrali nucleari non esistesse: impossibile ritornare allavita al lume di candela. Oggi invece sappiamo che l’energiasolare ed eolica sono realtà importanti, però esistono anco-ra altre vie come l’energia geotermica oppure quella che sipotrebbe ricavare dal mare, che richiedono ancora uno stu-dio adeguato, ma che potrebbero essere un importante ar-gomento da sviluppare come ricerca applicata nel futuro.Va anche ricordato che esiste un’altra possibilità: il rispar-mio energetico, che nel nostro paese è ancora agli inizi.

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Dunque la possibilità di mantenere un tenore di vita accet-tabile anche con una drastica riduzione, nel giro di qualchedecennio, del consumo di combustibili, oggi è diventatauna meta possibile (Armaroli e Balzani 2008, 2011; Tozzi,2006). In questo panorama va anche ricordato che il movi-mento naturale della popolazione in Italia tende verso unadiminuzione, che in questo periodo è soltanto mascheratadall’immigrazione di manodopera non specializzata, quin-di dal punto di vista demografico siamo già in condizionestazionaria.

La nuova politica economica potrebbe essere diretta aconcentrare gli sforzi verso il riassetto del territorio me-diante una nuova forma di appropriate technology da con-centrare su obbiettivi prioritari:

– messa a norma delle costruzioni e infrastrutture in tuttol’arco ad elevata sismicità, dalla Liguria alla Sicilia ed inalcuni distretti subalpini – in tot. quasi 6 milioni di abi-tanti esposti al rischio sismico;

– messa in sicurezza dell’immenso patrimonio artistico eculturale diffuso nel paese;

– realizzazione della rete di parchi nazionali ed aree pro-tette, come struttura per la salvaguardia della biodiver-sità e per la stabilità dei bacini idrici.

La dorsale degli Appennini, che si continua nella Siciliasettentrionale (dalla Lunigiana al Belice), è l’area di mag-giore sismicità in Europa, tuttavia in quest’area si addensa-no giacimenti archeologici, un ingente patrimonio storico-artistico, assieme a centri storici e sistemi ambientali tal-mente rilevanti, da poter essere considerati in toto un patri-monio dell’umanità. La popolazione, che supera i 6 milioni,è dispersa tra un gran numero di centri, spesso in condizio-ni di marginalità. Il reddito medio è inferiore a quello delleregioni settentrionali e delle grandi città costiere. Il ripeter-si di gravi terremoti, ai quali si aggiungono frequenti franeed un generale dissesto ambientale, impone di avviare un

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piano per la messa in sicurezza di quest’area, per prevenireulteriori, dolorosi tributi di vite umane e danni materiali. Sipuò pensare ad un intervento coordinato che faccia levasulle grandi potenzialità locali, e venga attuato attraversol’impegno caratterizzante di tecnologie sostenibili, in modoche quest’area possa raggiungere uno sviluppo comparabi-le a quello di altre zone d’Europa e possa anche assumere ilcarattere di un grande laboratorio dell’innovazione.

Queste motivazioni vanno integrate in una visione terri-toriale ad ampio respiro. Infatti, con la realizzazione dell’al-ta velocità Milano-Napoli e Salerno), si sta di fatto delinean-do in Italia una sorta di megalopoli lineare con 15-20 milio-ni di abitanti nella quale si concentra l’attività produttivaed economica del paese. Qualcosa di simile esiste già, ad es.in Giappone lungo la linea Tokyo-Osaka. Questa situazionepuò ridurre le aree esterne (come ad es. nel caso nostro:Umbria, Molise, Basilicata), in condizioni di marginalità. Ènecessario pertanto dare a queste aree esterne una forte ca-ratterizzazione, per evitare che vengano usate soltanto co-me riserve di manodopera periferica e per seconde case.

Esiste un riferimento storico illustre: la Tennessee Val-ley Authority (TVA): un organo federale con competenza suun’area di oltre 200.000 km2 (2/3 dell’Italia), pertinente a6 stati degli USA. Durante la depressione degli anni ’30 erauna sacca di disoccupazione ed il reddito era sceso a livellida terzo mondo; attraverso un piano di sviluppo territorialebasato sulla regolazione dei fiumi, prevenzione di inonda-zioni devastanti e sviluppo della produzione idroelettrica,la crisi è stata risolta ed in seguito questa è diventata un’a-rea trainante per l’economia degli stati circostanti. Ricordoche nel dopoguerra se n’era parlato molto come modello disviluppo per l’Italia meridionale ed Isole, ma poi la cosa èfinita con la Cassa del Mezzogiorno …

L’elevata qualità ambientale della dorsale appenninica esiciliana va approfondita nelle sue componenti naturali ene va assicurato uno sviluppo sostenibile, per la salvaguar-

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dia dell’identità regionale. Le numerose aree protette esi-stenti possono dare un contributo fondamentale in questadirezione.

È essenziale arrivare a regolare i flussi energetici e leemissioni, in modo che l’area, nel suo complesso, si avvici-ni per quanto possibile alla condizione di impatto-zero ri-spetto al problema dei gas con effetto serra. Questo compor-ta di:

– realizzare l’autosufficienza dell’area dal punto di vistaenergetico, attraverso lo sviluppo di fonti energetiche al-ternative, in modo da ottenere la possibilità della copertu-ra del fabbisogno dell’intera area (escluse le necessità perle fasce di attraversamento ferroviario ed autostradale);

– controllare le emissioni dei gas di serra, in modo chequeste non superino la fissazione di anidride carbonicaad opera della vegetazione;

– incrementare la naturale fissazione del carbonio attra-verso rimboschimenti con carattere di restauro ambien-tale;

– incrementare il patrimonio floristico e faunistico, in par-ticolare avifauna e patrimonio ittico.

È necessario passare ad un’economia in condizione sta-zionaria, nella quale le risorse locali possano agire comefattore trainante, in modo da realizzare un tenore di vitaadeguato per una popolazione in equilibrio demografico.Infatti, cercando di immaginare l’ipotesi alternativa, e cioèil mantenimento delle condizioni attuali, è prevedibile chequesto porterà a generalizzare e rinforzare tendenze già og-gi constatabili in molte aree: abbandono del territorio, spo-stamento della popolazione in new towns, proliferare di«seconde case» abitate per pochi giorni all’anno, deperi-mento ed a volte perdita del patrimonio artistico ed urbani-stico, ed una sorta di monocoltura turistica: due mesi dispiagge affollate in estate + 1 settimana bianca in inverno,ed impianti chiusi per il resto dell’anno.

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IIll rruuoolloo ddeeii ppaarrcchhii iinn uunnaa eeccoonnoommiiaa ssttaazziioonnaarriiaa

Nella impostazione originaria, i parchi nazionali e regio-nali secondo la legge 394 potevano essere considerati unasorta di fiore all’occhiello per un paese ormai entrato nellafascia del benessere. In sostanza, un lusso, però giustificatodall’importanza di queste aree per la salvaguardia dell’i-dentità culturale del nostro paese ed anche dalla possibilitàdi divenire il centro di attività didattiche e ricreative mirateall’educazione ambientale.

In una prospettiva produttivistica, è stato anche pensatoche i parchi possono divenire una importante fonte di gua-dagni, per strutture turistiche, vendita di prodotti tipici, ealtre attività economiche. Tutto questo significa ignorare lavera funzione dei parchi ed il loro significato ecologico.

Nel quadro di un’economia stazionaria il significato deiparchi cambia completamente. Infatti lo sfruttamento dienergie alternative costringe a un ampio uso di superficiedel territorio. Questo deve accompagnarsi al superamentodella dipendenza alimentare del nostro paese dalle impor-tazioni di generi alimentari, ed anche questo richiede svi-luppo e razionalizzazione delle attività agricole. Teniamopresente che fino alla prima metà del ’900 l’Italia era unpaese esportatore di prodotti agricoli, mentre oggi importaoltre la metà del fabbisogno alimentare. Esiste dunque unanecessità di utilizzare meglio la superficie disponibile. Eli-minando lo spreco di territorio dovuto alle incontrollate ce-mentificazioni delle zone suburbane, deve essere possibilerecuperare aree dove sistemare impianti per la produzionedi energia solare e eolica, mantenendo per l’agricoltura iterreni più produttivi.

Il sistema di parchi nazionali e regionali diventa unastruttura di regolazione e governo ambientale di primariaimportanza. I parchi vanno gestiti dallo stato e dagli entilocali in un paese nel quale la superficie deve essere accu-ratamente pianificata a scopi produttivi non inquinanti.

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Non si deve dunque pensare ai parchi nazionali come en-tità autofinanziantisi ma piuttosto come l’elemento di sta-bilità che permette la compatibilità ambientale dell’interosistema.

La definizione di un sistema di aree protette o comunquesottoposte a vincoli di salvaguardia è essenziale per poterdefinire in base a criteri razionali le aree da destinare agliimpianti per le energie alternative, evitando ogni impattocon il patrimonio naturale e culturale.

L’esistenza di aree mantenute in condizioni naturali di-venta così la condizione necessaria per bilanciare un usodel territorio adeguato ai bisogni del paese. Durante la pri-ma applicazione della legge 394 il vincolo naturalistico èstato esteso ad oltre il 10% della superficie nazionale, conl’obiettivo, non raggiunto finora, di arrivare al 15%. In unanuova visione di un paese in equilibrio con i fattori ambien-tali, queste percentuali vanno sicuramente aumentate.

CCoonncclluussiioonnii

Gli avvenimenti recenti mettono in evidenza la fragilitàdel sistema tecnologico di fronte a fatti imprevisti ed ob-biettivamente imprevedibili. Lo sviluppo degli ultimi de-cenni, orientato verso il gigantismo delle strutture indu-striali e urbane, dei flussi energetici e degli scambi inter-continentali, a lungo termine non è sostenibile. È necessa-rio passare ad un modello differente.

Il nostro paese in questo periodo è strettamente inseritonell’economia capitalista e su scala mondiale nel commer-cio e scambio di materie prime e di merci lavorate. In que-sto senso esso è esposto alla possibilità di disastri naturali eper questo verrà a trovarsi sempre in una condizione preca-ria dal punto di vista economico, e della possibilità di even-ti imprevisti. Sembra ormai necessario pensare ad una poli-tica concordata con le comunità locali ed accettabile per

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queste, che preveda il passaggio ad un’economia basatasulle energie rinnovabili: questo renderà necessario un am-pio programma di riorganizzazione del territorio.

La comunità scientifica del nostro paese viene messa difronte alla necessità di avviare una ricerca multidiscipli-nare sulla fattibilità della realizzazione di una gestione instato stazionario basata sulle energie sostenibili per il si-stema-Italia. Esiste poi un’ulteriore esigenza: sviluppareattività economiche differenti da quelle attuali, mirate alrecupero dei centri abitati tradizionali ed allo sviluppo incondizioni di sostenibilità delle attività agricole artigianalied industriali a questo connesse. È quindi necessario stu-diare e sviluppare nuove tecnologie seguendo l’esempio diquanto proposto per l’India da Gandhi come «appropriatetechnology».

Il passaggio ad una economia in condizione stazionariarichiede un nuovo assetto del territorio ed in questo i parchinazionali e regionali dovranno svolgere un compito di par-ticolare importanza in quanto essi si estendono sulle areepiù elevate e gli spartiacque, oppure in altri casi conserva-no l’ambiente costiero e i pochi esempi rimanenti di pae-saggi naturali nelle zone di bassa quota. Nei parchi è con-centrata la biodiversità del nostro paese.

I tragici avvenimenti degli ultimi giorni devono farcipensare seriamente all’impostazione di una nuova politicaeconomica e di gestione del territorio per il nostro paese, edal fondamentale ruolo che i parchi devono assumere inquesta prospettiva. Anche la discussione che si è sviluppatanel gruppo costituito a S. Rossore in febbraio può essere unserio contributo.

SSiittii iinntteerrnneett

http://www.benecomune.net/news2010.php?notizia=1308

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BBiibblliiooggrraaffiiaa

Armaroli N., Balzani V. (2008), Energia per l’astronave Terra, Zan-nichelli, Bologna, 234 pp.

Armaroli N., Balzani V. (2011), Energy for a Sustainable World,Wiley-VCH, Weinheim, 368 pp.

Pignatti S., Trezza B. (2000), Assalto al pianeta. Attività produttivae crollo della biosfera, Bollati Boringhieri, Torino, 304 pp.

Tozzi M. (2006), L’Italia a secco, Rizzoli, Milano, 396 pp.

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1 Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio-Direzione Ge-nerale per la Protezione della Natura, CED-PPN-Politecnico di Torino (a cu-ra di), AP. Il sistema nazionale delle aree protette nel quadro europeo: classi-ficazione, pianificazione e gestione, Alinea, Firenze 2003. R. Gambino, D.Talamo, F. Thomasset (a cura di), Parchi d’Europa. Verso una politica euro-pea per le Aree Protette, Edizioni ETS, Pisa 2008.

GRUPPO DI SAN ROSSOREINSTANT BOOK POSTMEETING DI FIRENZE

Nota di Roberto Gambinosul dibattito e il manifesto

11.. LLee aarreeee pprrootteettttee iinn pprroossppeettttiivvaa iinntteerrnnaazziioonnaallee

Si avverte oggi in Italia l’esigenza di ripensare il ruolo eil significato dei parchi e delle aree naturali protette. Se daun lato l’asprezza della crisi economica sembra relegare insecondo piano le istanze di conservazione della natura –quasi un lusso che in questi tempi non ci possiamo permet-tere – dall’altro l’azione politica a tutti i livelli sembra, agliocchi di molti, configurare concretamente il rischio di unaffossamento delle posizioni conquistate, su quel terreno,negli ultimi decenni. La crescita impressionante del nume-ro e dell’estensione delle aree naturali protette, anche senon sempre accompagnata da coerenti politiche di gestione(molti parchi sono rimasti sulla carta), crescita che ha con-sentito al nostro paese di riallinearsi con gli altri paesi eu-ropei (Ced-Ppn 2003, 20081) riguadagnando le posizioniperdute nei decenni precedenti, rischia ora di essere smen-tita da scelte politiche avventurose e immotivate. Sembrapercepibile una sindrome involutiva che caratterizza nega-tivamente la situazione italiana e che trova riscontro in unapiù generale deriva politica e culturale, eloquentemente

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segnalata dal degrado paesistico, dallo sfacelo del patrimo-nio archeologico, artistico e storico-culturale, e dall’inces-sante aggravamento delle condizioni e dei rischi ambienta-li. Esiste quindi una specificità del caso italiano, che confe-risce particolare rilievo all’urgenza di un esame critico dellepolitiche in atto e di riproposizione delle ragioni, economi-che e sociali prima ancora che ecologiche e culturali, chehanno sostenuto con relativo successo le politiche positivedegli anni precedenti.

Ma, nonostante questa innegabile specificità, non sem-bra oggi pensabile un rilancio delle politiche dei parchi edelle aree protette che non si collochi esplicitamente in unaprospettiva internazionale. La principale ragione risiedenel fatto che è proprio a quel livello che si ribadisce attual-mente la loro missione storica e il loro contributo insostitui-bile alle politiche di conservazione della natura e del pae-saggio, come è stato eloquentemente dimostrato nelle di-chiarazioni e negli orientamenti propugnati dall’UnioneMondiale della Natura (IVth IUCN World Conservation Con-gress, Barcellona, 2008). Ma una seconda ragione non me-no importante sta nel fatto che l’Italia non può sfuggire allesue responsabilità nei confronti di un patrimonio naturalee culturale che appartiene all’intera umanità, responsabi-lità drammaticamente aggravate dai cambiamenti globali,dai rischi e dalle minacce che ne conseguono. È a quel livel-lo che si profilano le nuove frontiere della conservazionedella natura, ben al di là delle battaglie di retroguardia incui si è immiserito il dibattito nel nostro paese.

22.. NNuuoovvee ffrroonnttiieerree ddeellllaa ccoonnsseerrvvaazziioonnee ddeellllaa nnaattuurraa

A questo proposito, qualche indicazione interessante èofferta da un sondaggio, tuttora aperto; operato con riferi-mento ad un panel di esperti autorevoli e ben noti a livellointernazionale, l’anno scorso dal Ced-Ppn (vedi allegato). Il

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sondaggio si è basato su 5 domande chiave, con risposta li-bera. Alla luce delle risposte ricevute, emergono alcuni te-mi dominanti.

Un primo tema è quello del cambiamento climatico, argo-mento che, come prevedibile, si ramifica in una pluralità didirezioni. Molti esperti sottolineano la necessità di integra-re politiche di gestione e di pianificazione ambientale (eco-management and planning) nella pianificazione settoriale(forestale, agricola, infrastrutturale, energetica, ecc.), senzasottovalutare, tuttavia, il rischio di sottomettere scelte dinatura ecologica/ambientale a scelte, appunto, settoriali.Ma l’aspetto forse più rilevante riguarda la constatazioneche le misure necessarie per contrastare gli effetti indeside-rabili del cambiamento climatico vanno in larga misuranella direzione di favorire, più in generale, la sostenibilitàdello sviluppo (smart growth). In questo senso il globalchange cessa d’essere visto come un problema d’emergenzaper calarsi piuttosto nelle politiche di gestione ordinaria edi lungo termine del territorio. Inoltre esso richiama impe-riosamente l’attenzione sulla necessità di forme di gover-nance basate sulla cooperazione e la collaborazione inter-istituzionale, che possano favorire la diffusione dello svi-luppo equo e solidale «al di là di ogni frontiera» (Vth IUCNWorld Parks Congress,Durban, 2003).

Un secondo tema, di persistente attualità soprattutto inEuropa, riguarda la questione della frammentazione degliecosistemi e la relativa «insularizzazione» di habitat e areeprotette. Molte delle riposte sottolineano come, per contra-stare tali processi, siano necessarie politiche di conserva-zione della natura estese al di là dei confini delle aree pro-tette. Una gestione e pianificazione a livello bioregionale o«a scala di paesaggio», costituiscono i diversi e comple-mentari strumenti che vengono generalmente indicati perassicurare una protezione più ampia, estesa a tutto il terri-torio, e un adeguato livello di connettività ecologica a scalaterritoriale.

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Un terzo tema concerne il paesaggio e il ruolo che questopuò svolgere nell’ambito delle politiche per la conservazio-ne della natura. Al riguardo, si rileva un diffuso consenso,tra gli esperti, rispetto all’idea che il paesaggio costituiscala prospettiva operativa principale attraverso cui potersiprendere cura dell’intero territorio, sia in termini spazialiche culturali. È un’idea, questa, coerente con il concetto dipaesaggio proposto dalla Convenzione Europea, che superaquello, invero ancora ampiamente diffuso, di «bellezza na-turale» e porta l’attenzione sui bisogni e sulle percezionidelle popolazioni. Rafforzare le responsabilità e riaffermarei valori identitari dei soggetti più vicini alle risorse costitui-sce infatti la via principale per contrastare le pressioni chegravano oggi sul patrimonio naturale e culturale (connessea commercio, turismo, attività estrattive, processi urbani,ecc.). A tal fine, le politiche per il paesaggio devono esseresviluppate come parte della pianificazione regionale e dellepolitiche settoriali, mentre i Paesaggi Protetti (cat. V IUCN,Protected Landscape/Seascape), che già coprono oltre lametà della superficie protetta in Europa, potrebbero esserepiù equilibratamente presenti nei diversi paesi.

Infine, un quarto tema riguarda più specificamente lagovernance. Molte risposte sottolineano il ruolo di primopiano che le comunità locali dovrebbero assumere nelle po-litiche di conservazione della natura, ma allo stesso tempoevidenziano il bisogno di una governance multilaterale, fi-nalizzata a proteggere valori sovralocali, attraverso un ap-proccio inclusivo e comprensivo Mentre alcuni esperti por-tano l’attenzione sulle «lezioni» che le comunità locali e lepopolazioni indigene possono impartire alla società moder-na (ad esempio, ai fini di un uso sostenibile delle risorsenaturali), altri ricordano che molto deve essere ancora fattoper sostenere le comunità locali nel mantenere, e in alcunicasi recuperare, i legami tradizionalmente instaurati con lapropria terra. La complessità degli attuali sistemi territoria-li richiede allo stesso tempo politiche strategiche e flessibili

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2 IUCN, Guidelines for Protected Area Management Categories, IUCNand the World Conservation Monitoring Centre, Gland, Switzerland-Cam-bridge, UK 1994.

(dentro e fuori le aree protette), che diano spazio alla creati-vità locale, e una efficace regolazione pubblica dei processilocali.

33.. VVeerrssoo llee rreettii ddii aarreeee pprrootteettttee iinn EEuurrooppaa

Nel quadro della campagna internazionale contro la per-dita di biodiversità, le aree protette sono ritenute – come siè in varie sedi dichiarato nell’Anno della Biodiversià – attea svolgere un ruolo centrale, soprattutto per la conservazio-ne «in situ». Questo vale in particolare per l’Europa, dove learee protette hanno conosciuto negli ultimi 50 anni unacrescita spettacolare, che le ha portate a coprire il 19% delterritorio complessivo (Ced-Ppn, 2008), con un crescenteimpatto sociale, culturale ed economico sui sistemi regio-nali e locali. Tale impatto è ancora più alto se si considera-no, oltre alle aree istituite dalle autorità nazionali e regio-nali con riferimento alle definizioni internazionali (qui edin seguito denominate AP, con riferimento alle classifica-zioni IUCN 19942), altre aree di interesse internazionale(come le Aree Ramsar o i Siti Unesco del Patrimonio Mon-diale) e naturalmente, un gran numero di aree minori di in-teresse locale.

Ma, come gli esami critici anche in ambito IUCN hannospesso rilevato, le politiche basate sulle aree protette (AP)sono spesso scarsamente efficaci, sia in termini di conser-vazione della natura che in termini di benefici per le comu-nità locali, a causa della mancanza di coordinamento tra lediverse istituzioni coinvolte e tra i diversi strumenti di ge-stione. In effetti, la diffusione spaziale delle aree protette

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(AP) ha incrociato negli ultimi decenni una forte diffusionedegli sviluppi insediativi e delle infrastrutture, che ha de-terminato perdite rilevanti di habitat, danni e distruzionidelle connessioni ecologiche. La questione della connetti-vità, dentro e fuori delle AP, è diventata rilevante.

La Direttiva Europea 92/43 rappresenta il tentativo piùimportante per fronteggiare tale questione, prevedendouna rete di siti («Natura 2000») identificati sulla base dicriteri condivisi e diramati su tutti i paesi dell’Unione Euro-pea (27 al momento delle presenti osservazioni): siti, di persé, del tutto distinti dalle AP sopra menzionate. Tale tenta-tivo è tanto più significativo in quanto i siti già individuaticoprono una quota importante del territorio complessivo:precisamente l’11,1% con le ZPS, Zone di Protezione Specia-le e il 13,6% con i SIC, Siti di Interesse Comunitario. Benin-teso, queste quote di territorio sono ampiamente sovrappo-ste sia tra loro, sia nei confronti di quelle sopra riferite alleAP. Ovviamente, la rilevanza spaziale dei Siti Natura 2000e i criteri comuni di identificazione conferiscono a tale reteil ruolo potenziale di un sistema pan-europeo per la conser-vazione della natura. Nonostante la differenza nel campod’attenzione e negli obiettivi di Natura 2000, la protezionedei Siti può aiutare ad allargare le politiche di conservazio-ne all’esterno delle AP e ridurne quindi i rischi di «insula-rizzazione», quanto meno nell’ambito dei paesi del’UE.

Partendo dalla constatazione (IUCN, 2003) che nessunparco è grande abbastanza per poter essere efficacementeprotetto soltanto dall’interno, si può immaginare una poli-tica più integrata, in cui i Siti d’interesse europeo, le AP diinteresse regionale o nazionale, e le altre aree di interesseinternazionale possano svolgere ruoli complementari. Que-sto potrebbe favorire l’adozione di strategie più robuste percontrastare la globalizzazione dei rischi e i suoi effetti inde-siderabili sui sistemi locali. Nel contempo, l’integrazionedella Rete Natura 2000 con le AP è coerente con i «nuoviparadigmi» lanciati dal’IUCN nel 2003, particolarmente

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Instant Book post meeting di Firenze 101

3 L. Maffi, E. Woodley (eds.), Biocultural Diversity Conservation. A Glo-bal Sourcebook, Earthscan, with IUCN sponsorship, London-WashingtonDC 2010.

per quel che concerne il ruolo delle comunità locali, la ge-stione cooperativa, la concezione reticolare, la pianificazio-ne coordinata della pluralità delle istituzioni alle diversescale; nonché il ruolo del paesaggio. Va notato che i nuoviparadigmi danno anche crescente spazio ad un concettopiù ampio della biodiversità (IUCN 20103), da intendersicome parte della diversità bio-culturale.

È in questa prospettiva che Natura 2000 può offrire unvantaggio sostanziale al sistema europeo delle AP e vicever-sa. Ma questa considerazione deve essere parzialmente cor-retta se la si confronta con la situazione effettiva delle rela-zioni tra le politiche concernenti rispettivamente le AP na-zionali e regionali, e i Siti di Natura 2000. A questo riguardo,occorre osservare che non solo il coordinamento, ma anchela conoscenza e la interpretazione dei diversi sistemi sonodel tutto inadeguate. Il rapporto tra i Siti e le AP richiedeinformazioni di base, tuttora mancanti, circa la loro estensio-ne spaziale, le loro sovrapposizioni e le relative motivazioni.C’è quindi una forte necessità di sviluppare ricerche che con-sentano di valutare l’effettiva copertura del territorio com-plessivo (al netto delle sovrapposizioni), la distribuzione del-le misure di protezione rispetto alle strutture territoriali, alledinamiche e alle politiche in atto, la loro efficacia nel contra-stare i processi di frammentazione e di insularizzazione.

44.. TTeerrrriittoorriiaalliizzzzaarree llee ppoolliittiicchhee nnaazziioonnaallii ppeerr llee aarreeee pprrootteettttee

Se il rilancio dei parchi e delle aree protette nel nostropaese richiede visioni, strategie e conoscenze di rilievo in-ternazionale, come si è sopra proposto, non sono peraltro

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da sottovalutare le prospettive nazionali. Per dare piena at-tuazione all’art.9 della Costituzione occorrono politiche na-zionali che considerino congiuntamente i sistemi di valorida difendere, gli interessi economici, sociali e culturali dacomporre e gli apparati istituzionali su cui far leva. Il coor-dinamento delle politiche della natura e del paesaggio e laloro integrazione nelle politiche complessive del territorio,per essere efficaci devono muoversi alla scala appropriata eavere carattere sistemico. Ciò vale prima di tutto nei con-fronti di alcune realtà sovra-regionali complesse, come il si-stema alpino, il sistema appenninico, il bacino padano o lefasce costiere.

Al centro dell’attenzione si colloca il rapporto tra naturae paesaggio, di vibrante attualità in tutta Europa in ragionedel consolidamento di nuove concezioni ed elaborazioniteoriche che negano la possibilità di separare i due terminiin gioco e che dilatano e complessificano il senso del pae-saggio (sempre più pensato come cultura nella natura e na-tura nella cultura). L’incrocio dei due termini è emblemati-camente espresso nella definizione dei «Paesaggi culturali»ormai recepita anche dall’Unesco ed applicata ad un nume-ro crescente di Siti di rilevanza mondiale, nonché in quelladei Paesaggi Protetti, ricompresi tra le classi di aree protettepreviste dall’IUCN nel 1994 e come tali riconosciuti in oltrela metà delle AP europee. Ma prevale ormai l’orientamentoa riconoscere la rilevanza dell’incrocio natura/cultura intutte le AP (seppure in termini diversi per le diverse classi),mentre, simmetricamente, la Convenzione Europea delPaesaggio spinge ad attuare politiche del paesaggio in tuttoil territorio. È appunto nel «territorio storico»che si manife-sta l’incrocio dei valori naturali coi valori culturali; ed è nelterritorio, con tutti i suoi conflitti e le sue contraddizioni,che può prendere forma il confronto e, possibilmente, l’al-leanza tra politiche del paesaggio e politiche della natura.Tale confronto, com’è noto, è reso particolarmente proble-matico in Italia dalla contrapposizione sostanzialmente ir-

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risolta e assai discussa, tra le determinazioni della leggequadro (art.12) che attribuiscono ai Piani dei Parchi un ruo-lo potenzialmente sostitutivo nei confronti di ogni altro pia-no, e quelle del Codice dei beni culturali e del paesaggio del2004 e delle successive modificazioni (art. 145) che attri-buiscono invece ai Piani Paesaggistici formati dalle Regioniuna sorta di primato che neppure i primi possono scalfire.Sembra quindi che soltanto in un processo di effettiva «ter-ritorializzazione» le politiche del paesaggio e quelle dellanatura possano fecondarsi a vicenda e dar luogo a quell’al-leanza auspicata a livello internazionale.

L’esigenza di politiche nazionali e regionali, peraltro,non deve indurre a sottovalutare il ruolo imprescindibiledei sistemi locali (istituzioni, comunità, operatori economi-ci e sociali, culture locali) nelle politiche della natura, delpaesaggio e del patrimonio culturale e nel loro raccordo conla governance e la pianificazione urbanistica e territoriale,al fine di diffondere sull’intero territorio i benefici dellaconservazione e della valorizzazione, come auspicato dal-l’Unione Mondiale della Natura. Tale ruolo, che emerge contutta evidenza nell’esperienza internazionale e nella Con-venzione Europea del Paesaggio, non può che fondarsi suforme e strumenti appropriati di cooperazione trans-scalaree di leale collaborazione inter-istituzionale, che consentanoalle azioni e alle iniziative locali di trovare adeguato riscon-tro nelle strategie sovra-locali, in primo luogo in quelle pro-mosse o governate dalle autorità di gestione dei parchi edelle aree protette.

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NUOVE FRONTIERE PER LE POLITICIHE DI CONSERVAZIONE

UN SONDAGGIO A LIVELLO INTERNAZIONALE

a cura di CED PPN - Politecnico e Università di Torino (Diter)

La presente nota, che trova riscontro nel programma diricerca «Parchi e paesaggi d’Europa: un programma di ri-cerca territoriale» (lanciato dal CED PPN sulla base di unaprecedente ricerca sulle Aree Protette in Europa presentataal IUCN World Conservation Congress, Barcellona, 2008),rende conto dei primi risultati emersi da un’indagine avvia-ta dal Centro al fine di stimolare il dibattito sulle «Nuovefrontiere per la conservazione», che ha coinvolto alcuni no-ti esperti internazionali. Nella direzione di diffondere il di-battito ed in un’ottica interdisciplinare, confermata dallestesse risposte finora pervenute alle cinque domande chia-ve proposte, è in corso l’attivazione di un «forum» aperto aun’ampia gamma di esperti con competenze ed esperienzedifferenti.

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La globalizzazione rilancia l’importanza cruciale dellaterritorializzazione delle politiche di conservazione dellanatura, che devono oggi misurarsi con le nuove frontieredei rapporti tra natura e società: impegnate ad affrontare glieffetti del cambiamento climatico attraverso politiche dimitigazione e adattamento, a difendere la biodiversità evi-tando danni irreversibili agli ecosistemi, le politiche di con-servazione della natura sono sempre più collegate a temiquali la diversità culturale, la sicurezza politica e sociale elo sviluppo economico sostenibile.

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È in questo contesto che il concetto di paesaggio assumeun ruolo cardine per la conservazione della natura e vengonoproposte nuove alleanze tra politiche per la natura e per ilpaesaggio, ad esempio nell’ambito delle politiche sui paesag-gi culturali (IUCN Protected Landscapes, World HeritageUNESCO Sites) o in quello delle politiche promosse dalla Con-venzione Europea del Paesaggio (CoE, 2000). Ai fini di mi-gliorare la comprensione delle relazioni esistenti tra natura epaesaggio, si ritiene siano tuttavia necessari nuovi approcciin termini culturali e scientifici. In particolare, è importanteanzitutto riflettere su alcune questioni generali emergenti.

1. Su quali nuove frontiere deve impegnarsi la riflessione ela proposta della comunità scientifica internazionale alfine di mettere in campo politiche più efficaci di conser-vazione, tutela e valorizzazione dell’eredità naturale eculturale?

2. Quale ruolo possono svolgere a tal fine le politiche delpaesaggio, nell’ampio significato loro attribuito dallaConvenzione Europea del Paesaggio?

3. Che spazio va riconosciuto all’iniziativa e al controllo del-le comunità e degli attori locali, in presenza di sistemi divalori e di fattori di rischio di rilevanza sovra-locale?

4. Che ruolo possono svolgere gli approcci normativi (inparticolare l’istituzione e la protezione di aree di specifi-co valore) nei confronti delle strategie di governancemultilaterale?

5. Quali missioni possono essere assegnate alla pianifica-zione ai fini della più efficace integrazione della politi-che di conservazione nelle politiche complessive delterritorio?

Cinque domande che sono già state sottoposte ad un pri-mo gruppo di esperti internazionali in tema di politiche perla conservazione della natura e del paesaggio 2.

1. In corso di pubblicazione sulla rivista PARKS Magazine,WCPA-IUCN, IUCN, Gland, Switzerland.

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Nuove frontiere per le politicihe di conservazione 107

2. Paul Bray, Jessica Brown, Roger Croft, Joe DiBello, NigelDudley, Jack P. Manno, Adrian Phillips, Larry Hamilton,Richard Partington, Pedro Regato, Aurelia Ullrich, AstridWallner. Si tratta di esperti (non solo europei, ma anche,ad esempio, americani) provenienti da contesti culturalie ambiti professionali differenti. Le risposte ricevute ri-flettono dunque una grande varietà di punti di vista.

UUnnoo ssgguuaarrddoo aallllee rriissppoossttee

Alla luce delle risposte ricevute, emergono alcuni temidominanti.

Un primo tema è quello del cambiamento climatico, ar-gomento che, come prevedibile, è assai presente: moltiesperti sottolineano, a tal proposito, la necessità di integra-re politiche di gestione e di pianificazione ambientale (eco-management and planning) nella pianificazione settoriale(forestale, agricola, infrastrutturale, energetica, ecc.), senzasottovalutare, tuttavia, il rischio di sottomettere scelte dinatura ecologica/ambientale a scelte settoriali.

Un secondo tema, di grande attualità soprattutto in Eu-ropa, riguarda la questione della frammentazione degli eco-sistemi e la relativa «insularizzazione» di habitat e areeprotette. Molte delle riposte sottolineano come, per contra-stare tali processi, siano necessarie politiche di conserva-zione della natura estese al di là dei confini delle aree pro-tette. Una gestione e pianificazione a livello bioregionale o«a scala di paesaggio», costituiscono i diversi e comple-mentari strumenti che vengono generalmente indicati perassicurare una protezione più ampia, estesa a tutto il terri-torio, e un adeguato livello di connettività ecologica a scalaterritoriale.

Un terzo tema concerne il paesaggio e il ruolo che questopuò svolgere nell’ambito delle politiche per la conservazionedella natura. Al riguardo, si rileva un diffuso consenso, tra gli

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esperti, rispetto all’idea che il paesaggio costituisca la pro-spettiva operativa principale attraverso cui potersi prenderecura dell’intero territorio, sia in termini spaziali che culturali.È un’idea, questa, coerente con il concetto di paesaggio pro-posto dalla Convenzione Europea, che supera quello, inveroancora ampiamente diffuso, di «bellezza naturale» e portal’attenzione sui bisogni e sulle percezioni delle popolazioni.Rafforzare le responsabilità e riaffermare i valori identitaridei soggetti più vicini alle risorse costituisce infatti la viaprincipale per contrastare le pressioni che gravano oggi sulpatrimonio naturale e culturale (connesse a commercio, turi-smo, attività estrattive, processi urbani, ecc.). A tal fine, le po-litiche per il paesaggio devono essere sviluppate come partedella pianificazione regionale e delle politiche settoriali,mentre i Paesaggi Protetti (cat. V, IUCN) dovrebbero esseremaggiormente presenti sul territorio europeo.

Infine, un quarto tema riguarda la governance. Molte ri-sposte sottolineano il ruolo di primo piano che le comunitàlocali dovrebbero assumere nelle politiche di conservazio-ne della natura, ma allo stesso tempo evidenziano il biso-gno di una governance multilaterale, finalizzata a protegge-re valori sovralocali, attraverso un approccio inclusivo ecomprensivo. Mentre alcuni esperti portano l’attenzionesulle «lezioni» che le comunità locali e le popolazioni indi-gene possono impartire alla società moderna (ad esempio,ai fini di un uso sostenibile delle risorse naturali), altri ri-cordano che molto deve essere ancora fatto per sostenere lecomunità locali nel mantenere, e in alcuni casi recuperare,i legami tradizionalmente instaurati con la propria terra. Lacomplessità degli attuali sistemi territoriali richiede allostesso tempo politiche strategiche e flessibili (dentro e fuorile aree protette), che diano spazio alla creatività locale, euna efficace regolazione pubblica dei processi locali.

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AREE PROTETTE D’EUROPA

Domenico Nicoletti

Il Consiglio dell’Unione europea ha definito quale obiet-tivo primario «arrestare la perdita di biodiversità e il degra-do dei servizi ecosistemici nella UE entro il 2020, e di re-staurarli per quanto possibile…», riaffermando che «Areeprotette e reti ecologiche sono una pietra angolare deglisforzi per preservare la biodiversità» e rimarcando «la ne-cessità di dare piena attuazione alle Direttive Uccelli e Ha-bitat, per accelerare il completamento della rete Natura2000, sia in terra che in mare, e di garantire un adeguato fi-nanziamento».

A questi intenti, della comunità politica d’Europa si èunita la comunità dei parchi d’Europa che riunita a Pescas-seroli (PNALM) lo scorso anno in occasione di Europarc2010 ha sostenuto la necessità di:

– riconoscere e riflettere nelle politiche, programmi e allo-cazioni di risorse adeguate per le Aree Protette, per ga-rantire la conservazione della biodiversità e dei serviziecosistemici, per la salute dell’ambiente futuro e la ric-chezza economica dell’Europa;

– utilizzare le competenze e le esperienze maturate nelleAree Protette per guidare approcci innovativi ad un usointegrato del suolo e allo sviluppo rurale;

– integrare le politiche pubbliche in modo tale che con-sentano alle aree protette di svolgere con successo il lororuolo di modelli di gestione territoriale, con il coinvolgi-mento permanente delle comunità locali.

Già nel 2008 la Comunità europea aveva adottato una ri-

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soluzione del Parlamento sulle aree naturali in Europa inte-grando le specifiche competenze su rete natura 2000 conprogrammi e progetti innovativi come la rete delle aree pro-tette del progetto PAN sperimentato nei parchi di varie na-zioni europee tra cui per l’italia, il parco nazionali dellamajella.

L’approvazione in Italia della Convenzione Europea delPaesaggio con legge n° 14 del 9 gennaio 2006 ha aperto unfronte di integrazione sulle politiche di gestione del territo-rio orientate alla «qualità paesaggistica» intesa nell’acce-zione «del valore che le popolazioni locali interessate aspi-rano a veder riconosciuto per il loro ambiente di vita».

Recentemente l’Unione Europea ha deciso di sottoscri-vere il protocollo di Nagoya sulla convenzione sulla diver-sità biologica relativo all’accesso alle risorse genetiche e al-la giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dal lorouso.

La portata e le conseguenze di questi scenari europeievidenziano la necessità di integrare e rilanciare un approc-cio che ricomponga un nuovo quadro di esigenze che ri-spondono all’ansia di innovazione e rilancio delle aree pro-tette che nel contesto nazionale si perdono nelle nebbie dirivendicazioni e imbrigliamenti politico-istituzionali volutie determinati da anni di rilassamento e rinuncia a conte-stualizzare l’evoluzione della gestione delle politiche per learee protette europee.

La riflessione del Gruppo di San Rossore ha mobilitato lemigliori energie nazionali per riflettere sui limiti e le que-stioni che attanagliano le aree protette italiane tra conteni-menti ambientalisti e spinte all’autoconsumazione.

La presa di coscienza è già un primo passo importante, ilsuperamento delle logiche difensive è un altro grande passoin avanti, la ricerca delle soluzioni è davanti a noi e alla no-stra capacità di aprire un dialogo franco, raccordato al cam-biamento in atto, inquadrato in uno scenario internazionaleche và affrontato con determinazione e convinzione.

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Se le premesse del GdL di San Rossore sono chiaramentequelle di non unirsi al coro delle proteste e legittime aspira-zioni dei parchi italiani, se è evidente che la strada del ri-lancio delle sfide della legge 394/91 sono ardue e comples-se nel panorama politico italiano, allora bisogna percorrepiù strade per arrivare all’obiettivo e far convergere gli sfor-zi di tutti in un progetto chiaro di innovazione e crescitaconsapevole, inquadrato in uno scenario più ampio chenon soltanto quello italiano.

Le aree protette, rappresentano le ultime ricchezze natu-rali d’Europa. Ricoprono circa il 25% del territorio UE epressoché metà di tutti i siti Natura 2000 sono ricompresiall’interno di aree protette designate a livello nazionale elocale. Le aree protette giocano un ruolo significativo nellagestione dei siti Natura 2000, nella mitigazione del cam-biamento climatico, custodiscono ingenti riserve d’acqua,proteggono il suolo, promuovono l’agricoltura sostenibile econtribuiscono alla conservazione degli ecosistemi. Inoltrecontribuiscono al sostegno alle economie locali, offrono ri-sorse ricreative per il benessere e la salute, sono fonte di or-goglio per la coscienza nazionale e locale. Circa 1/3 dellapopolazione Europea, ossia oltre 125 milioni di cittadini,sono direttamente interessati dalle aree protette, e tutta lapopolazione dipende dai servizi ecosistemici che esse pro-ducono. Senza le aree protette, ed i loro servizi ecosistemi-ci, l’Europa sarebbe notevolmente più povera.

Natura 2000 è la rete europea che riunisce siti di inte-resse comunitario al fine di proteggere e conservare gli ha-bitat e le specie, animali e vegetali del territorio. Le zoneprotette sono istituite nel quadro della «direttiva Habitat»,che riveste un ruolo chiave nella protezione della biodiver-sità. La gestione dei siti avviene con la partecipazione degliattori locali. L’introduzione della direttiva, infatti, stabilisceche: «[la direttiva habitat], il cui scopo principale è pro-muovere il mantenimento della biodiversità, tenendo contoallo stesso tempo delle esigenze economiche, sociali, cultu-

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rali e regionali, contribuisce all’obiettivo generale di unosviluppo durevole; che il mantenimento di detta biodiver-sità può in taluni casi richiedere il mantenimento e la pro-mozione di attività umane. Con l’estensione al 18% del ter-ritorio comunitario della rete Natura 2000 può dirsi rag-giunto il tanto atteso «Obiettivo 2010». Le tappe per arriva-re a questo traguardo sono state elencate nel corso degli an-ni, ma sono state ufficializzare solo nel Piano di Attuazioneelaborato nel corso del summit di Johannesburg sullo svi-luppo sostenibile, del 2002. «Allargare la rete europea dicooperazione in campo ambientale al fine di ridurre signifi-cativamente il tasso di perdita della biodiversità», così ve-niva riassunto genericamente l’Obiettivo 2010.

In questo contesto si aprono nuovi scenari, ruoli e stru-menti per affrontare i temi della conservazione della naturacon nuove e vitali alleanze tra le politiche dell’identità e peril paesaggio come quelle promosse dalla Convenzione Euro-pea del Paesaggio, così come i nuovi approcci sui paesaggiculturali (IUCN Protected Landscapes,World Heritage UNE-SCO Sites).

Nel mentre si aprono nuove prospettive in continua evo-luzione, il governo italiano è ancora alla ricerca di un mo-dello gestionale legato alla legge quadro sulle aree protettedel 1991 (compresa l’aspirazione di alcune aree protette diconsolidare un modello gestionale ormai superato) e ritie-ne di voler approfittare di questa debolezza per innescarevecchie e annose questioni (caccia, speculazioni edilizie,occupazione di suoli) anch’esse superate dalla storia dellatutela dei paesaggi protetti europei che dinamizzano il loromodello gestionale al quadro scientifico e culturale e alleaspettative ed esigenze delle popolazioni in termini di con-sapevolezza e servizi (modello tedesco e francese).

Il Parlamento Europeo in data 2.12.2008 ha adottato unrisoluzione sulle aree naturali d’Europa (allegata) nellaquale definisce «zone a natura protetta», le aree «vergini»,vale a dire gli ambienti naturali che non sono stati modifi-

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cati in modo sostanziale dall’attività umana. Si tratta diaree essenziali per la natura, all’interno delle quali prospe-rano i processi naturali nonché la flora e la fauna selvati-che. Sono ampie aree di terra o di mare che, insieme alle lo-ro comunità indigene di piante e di animali e agli ecosiste-mi di cui fanno parte, si trovano in uno stato naturale e incui occorre evitare qualsiasi interferenza umana. Secondola risoluzione circa il 46% della massa terrestre del mondoè zona a natura protetta.

La stessa risoluzione ribadisce che

le zone a natura protetta vengono percepite in due modi tra lo-ro contrapposti. Da un lato, vengono considerate come luoghi datemere e da evitare, caratterizzati dalla presenza di mostri e di pe-ricoli sconosciuti. Dall’altro lato, invece, appaiono come luoghi dacui trarre diletto e da contemplare, fonte di rifugio temporaneodallo stress della civiltà urbano-industriale. I vantaggi e gli svan-taggi del nostro culto delle zone a natura protetta formano oggettodi numerose discussioni; secondo alcuni, ad esempio, tale culto ciautorizza a fuggire dalle responsabilità dei luoghi in cui viviamo.Viene operata anche una distinzione tra il concetto di conserva-zione (uso corretto della natura) e di preservazione (non utilizzodella natura). Anche se questi dibattiti filosofici esulano dal livel-lo di una relazione di questo tipo.

È evidente nell’approccio culturale una visione ormai lar-gamente superata dalle dinamiche evolutive e dal modellodi gestione di queste aree che oggi sono delle vere e proprierisorse che erogano servizi gratuiti ad alto valore aggiunto edel quale nemmeno ci accorgiamo, dall’acqua all’aria, al ci-bo o alla protezione da eventi catastrofici: se c’è, per esem-pio, un argine alla desertificazione nel Sud d’Italia, questo losi deve alle riserve naturali che conservano foresta e zoneumide. Un parcomigliora la qualità delle esistenze degli uo-mini e, spesso, reca il valore aggiunto di uno sviluppo eco-nomico qualitativo e basato su pratiche eco-sostenibili.

Se la risoluzione del 2008 affronta in maniera ancoradubbiosa il rapporto uomo-natura laddovemotiva:

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Dobbiamo proteggere la natura, ma attraverso l’utilizzo uma-no. Il territorio europeo è troppo piccolo per vietarne alcune areeai suoi cittadini. Attualmente le foreste coprono il 33% della su-perficie totale dei paesi facenti parte della regione dello spazioeconomico europeo (SEE), vale a dire 185milioni di ettari (ha). So-lo circa 9 milioni di ettari di foreste (il 5% della superficie boschi-va totale) sono considerati «a natura protetta». Queste aree, insie-me alle loro comunità indigene di piante e di animali e agli ecosi-stemi di cui fanno parte, si trovano in uno stato essenzialmentenaturale. Le zone a natura protetta dovrebbero beneficiare di unostatus di protezione efficace e speciale», ne riconosce il valore bio-genetico e prouttivo per il genere umano, «Esistono varie ragioniper cui l’Europa dovrebbe interessarsi maggiormente alle zone anatura protetta. In primo luogo, in quanto fungono da rifugio e dariserva genetica per molte specie che non riescono a sopravviverein condizioni anche solo leggermente alterate, in particolare igrossi mammiferi quali l’orso bruno, il lupo e la lince. Vi sono an-chemolte specie che non sono ancora state scoperte e descritte. Lamaggior parte di esse vive nel suolo o nel legno fradicio ed è moltosensibile ai cambiamenti. Queste aree incontaminate sono idealiper esaminare i cambiamenti naturali, l’evoluzione della natura.La consapevolezza, inoltre, che esse sono governate dalla naturagenera una tensione unica e speciale, che può essere utilizzataeconomicamente sviluppando nuovi prodotti turistici. Al tempostesso, tali aree sono estremamente vulnerabili agi impatti deicambiamenti climatici provocati dall’uomo all’infuori dei propriconfini (si pensi, ad esempio, al cambiamento climatico, all’inse-rimento di specie aliene invasive e ai cambiamenti apportati allereti idrografiche a monte delle aree in questione). Vi sono poi mol-te ragioni meramente etiche per preservare le zone a natura pro-tetta in Europa. Abbiamo l’obbligo morale di garantire che le gene-razioni future possano trarre diletto e vantaggio dalle zone a natu-ra protetta esistenti in Europa. Lo sviluppo del turismo sostenibileviene usato quale mezzo per attribuire un valore economico allezone a natura protetta e per promuoverne la conservazione.

Difatto la crescita di una cultura del turismo responsabi-le unita ad un nuovo approccio alla qualità della vita legataal benessere oltre che la nuova ed incoraggiante visione

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olistica della cultura del paesaggio diventano strumenti diconsapevolezza fondamentali per le Comunità d’Europa estrumenti da approfondire ed implementare nell’ottica diun rilancio delle aree naturali protette europee.

Lo sviluppo sostenibile rappresenta un elemento importantedell’utilizzo delle zone a natura protetta in Europa. Il turismo so-stenibile incoraggia i cittadini a scoprire i valori nascosti della na-tura senza danneggiarla. Contribuisce inoltre a fare accettare aicittadini la politica della conservazione, in quanto capiscono l’esi-genza della protezione attraverso l’esperienza personale. Il turi-smo sostenibile contribuisce inoltre a sostenere economicamentele zone a natura protetta e offre opportunità di lavoro agli espertidi conservazione.

La Risoluzione superando la questione delle competen-ze ed in ottica integrata ma soprattutto di politica ambien-tale non strettamente legata alle questioni di responsabilitàterritoriale ma di più alta responsabilità sociale e culturaleaffronta anche il tema specifico della rete delle aree protet-te europee attraverso il programma PAN di seguito intera-mente riportata.

Esiste un’interessante iniziativa intesa a combinare i program-mi in materia di zone a natura protetta e lo sviluppo sostenibile inEuropa: si tratta della cosiddetta PAN (rete delle aree protette)Parks Foundation (PPF). La PPF gestisce una rete di aree protettein Europa non ancora intaccate dal passaggio dell’uomo. Tale fon-dazione, ormai decennale, persegue l’obiettivo del turismo soste-nibile nelle aree protette. In Europa vi sono già dieci zone parcoPAN, che si estendono dall’Artico al Mar Mediterraneo. La PPFpromuove il turismo con l’obiettivo di trovare nuovi sostenitoridella conservazione. Per essere definita «a natura protetta», unazona deve soddisfare criteri estremamente severi, che prevedonoche almeno 10.000 ettari del proprio territorio si trovino ancoraallo stato naturale, il che esclude l’utilizzo umano a scopi di estra-zione. Una zona parco protetta PAN standard può essere definitanel seguentemodo:

zona priva di frammentazione ecologica che presenta almeno

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10.000 ettari di terreno in cui è vietato l’utilizzo a scopi di estra-zione e in cui gli unici interventi concessi sono quelli finalizzati amantenere o a ripristinare i processi ecologici naturali. La sua su-perficie non è stata ridotta in passato.

ZZoonnee ppaarrccoo pprrootteettttee ((PPAANN))

La conservazione delle zone a natura protetta rappresenta il ri-sultato più significativo del concetto e della politica PAN. Qui di se-guito vengono elencati brevemente i principali risultati raggiunti:– Parco nazionale Archipelago (FI): 10.600 ha– Parco nazionale Bieszczady (PL): 18.425 ha– Parco nazionale Borjomi-Kharagauli (GE): 50.325 ha (non UE)– Parco nazionale Fulufjället (SE): 22.140 ha– Parco nazionale di Oulanka (FI): 12.924 ha– Parco nazionale dei Balcani centrali (BG): 21.019 ha– Parco nazionale della Majella (IT): 25.500 ha – Parco nazionale Paanajärvi (RU): 30.000 ha (non UE)– Parco nazionale Retezat (RO): 14.215 ha– Parco nazionale Rila (BG): 16.350 ha– Totale delle zone a natura protetta certificate: 226.498 ha – Stati membri dell’Unione europea: 146.173 ha

Un simile approccio crea un’opportunità unica per risolvere al-meno una parte dei problemi di un numero crescente di zone eu-ropee e per creare una rete piccola ma efficace di zone a naturaprotetta.

Un gruppo di ONG europee quali la PAN Parks Foundation, laFederazione Europarc, Eurosite, Wild Europe, Birdlife Internatio-nal e il WWF sostengono il miglioramento della protezione dell’e-redità delle zone a natura protetta in Europa.

La Risoluzione del 2008 ritiene che non è necessariauna nuova legislazione in materia di zone a natura protetta,ma è fortemente auspicabile garantire un ruolo speciale euna maggiore protezione nei confronti delle zone facentiparte di Natura 2000. La Commissione europea dovrebbepertanto formulare raccomandazioni appropriate che aiuti-no gli Stati membri dell’UE a trovare il modo migliore per

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garantire la salvaguardia della zone a natura protetta pre-senti e potenziali nonché delle aree selvatiche e dei loroprocessi naturali nel quadro di Natura 2000.

Tale approccio dovrebbe includere la definizione del concettodi zone a natura protetta per il Parlamento europeo, la mappaturadelle nuove zone a natura protetta europee in modo da conoscerela distribuzione e l’attuale superficie delle zone ancora intatte(suddivise in base alle principali tipologie di habitat: foresta, ac-qua dolce e mare), l’elaborazione di uno studio sul valore/beneficidella protezione delle zone in esame, lo sviluppo di linee guidasulle zone a natura protetta per la rete Natura 2000 e l’elaborazio-ne di una strategia europea. Sono necessari finanziamenti checonsentano di ridurre la frammentazione, di gestire con cura learee selvatiche, di sviluppare meccanismi e programmi di com-pensazione, di accrescere la consapevolezza, di mettere a puntopacchetti turistici e di valutare e migliorare l’efficacia gestionale.

A questo punto è evidente che i processi di avanzamentoculturale, le nuove dinamiche di integrazione uomo-naturain un equilibrato rapporto di beni e servizi esplicitati nel-l’ottica del diritto dei cittadini al proprio «paesaggio», aprealla necessità che la Commissione Europea affronti in ma-niera organica un processo di accompagnamento per gliStati membri dell’UE a trovare il modo migliore per garanti-re la salvaguardia della zone a natura protetta presenti epotenziali nella esplicitazione concreta dei principi e fina-lità operative e gestionali indicati nella Convenzione Euro-pea del Paesaggio e della nuova classificazione IUCN dellearee protette europee. Anche in questa direzione il Gruppodi San Rossore ha aperto dei canali di azione che potrebbe-ro contribuire a diradare le nebbie e trovare la strada euro-pea alla gestione innovativa del patrimonio ambientale del-la nostra nazione.

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RRiissoolluuzziioonnee ddeell PPaarrllaammeennttoo eeuurrooppeeoo ssuullllee aarreeee nnaattuurraallii iinn EEuurrooppaa (2008/2210(INI))

Il Parlamento europeo,– vista la direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile

1979, riguardante la conservazione degli uccelli selvatici(direttiva ‘Uccelli’)(1),

– vista la direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio1992, relative alla conservazione degli habitat naturali edella flora e della fauna selvatiche (direttiva Habitat)(2),

– vista la rete ecologica dell’Unione europea di zone specialidi conservazione, creata dalla direttiva di cui sopra, deno-minata rete «Natura 2000»,

– visto il risultato della nona riunione della Conferenza dei fir-matari della Convenzione sulla diversità biologica (COP 9),

– vista la relazione n. 3/2008 dell’Agenzia europea per l’am-biente (AEA) dal titolo «Foreste europee - condizioni dell’e-cosistema e uso sostenibile»,

– visto l’articolo 45 del suo regolamento,– vista la relazione della commissione per l’ambiente, la sa-

nità pubblica e la sicurezza alimentare (A6-0478/2008),A. considerando che la protezione efficace e, ove necessario, il

ripristino delle ultime riserve naturali in Europa sono vitalial fine di arrestare entro il 2010 la perdita di biodiversità,

B. considerando che l’obiettivo di arrestare la perdita di biodi-versità entro il 2010 non sarà raggiunto e che già si avverto-no gli effetti negativi sul piano sociale ed economico dellaperdita di biodiversità e del degrado dei servizi ecosistemici,

C. considerando la necessità che l’Unione europea costruiscasugli attuali risultati quali Natura 2000 e sviluppi un nuo-vo quadro politico notevolmente rafforzato ed ambizioso infavore della biodiversità, dopo il 2010,

D. considerando che le direttive ‘Uccelli’ e Habitat fornisconoun quadro robusto e valido per la protezione della natura,comprese le riserve naturali, da sviluppi dannosi,

(1) GU L 103 del 25.4.1979, p. 1.(2) GU L 206 del 22.7.1992, p. 7.

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E. considerando che gli obiettivi della politica di biodiversitàdell’Unione e delle direttive Uccelli e Habitat sono ancora daintegrare opportunamente nelle politiche settoriali, quali l’a-gricoltura, lo sviluppo regionale, l’energia o i trasporti,

F. considerando che molte riserve naturali forniscono impor-tanti stock di carbone, la cui protezione è importante siaper la biodiversità che ai fini della protezione del clima,

G. considerando che l’impatto di specie aliene invasive sullabiodiversità costituisce una minaccia particolarmente seriaalle riserve naturali, dove l’individuazione precoce di spe-cie invasive potrebbe non essere possibile, e dove potrebbeverificarsi un rilevante danno ecologico ed economico, pri-ma che si possa agire,

Definizione e rappresentazione cartografica1. invita la Commissione a definire le aree naturali; ritiene

che la definizione dovrebbe contemplare aspetti quali i ser-vizi ecosistemici, il valore della conservazione, il cambia-mento climatico e l’utilizzo sostenibile;

2. invita la Commissione a incaricare l’Agenzia europea del-l’ambiente e altri organismi europei competenti di recensi-re le ultime riserve naturali in Europa, per verificarne l’at-tuale distribuzione e il livello di biodiversità ed includerele aree incontaminate nonché le aree in cui le attività uma-ne sono minime (suddivise nei più importanti tipi di habi-tat: foresta, riserve lacustri e di ambiente marino);

3. invita la Commissione a intraprendere uno studio sul valo-re e i benefici della protezione delle aree naturali; indicache lo studio dovrebbe vertere in particolare su questionirelative ai servizi ecosistemici, il livello di biodiversità del-le aree naturali, l’adattamento ai cambiamenti climatici e ilturismo naturalistico sostenibile;

Sviluppo di riserve naturali 4. invita la Commissione a sviluppare una strategia UE per le

aree naturali, che sia coerente con le direttive Uccelli e Ha-bitat, ricorrendo a un approccio ecosistemico, identifican-do le specie e i biotopi minacciati e stabilendo priorità;

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5. invita la Commissione e gli Stati membri a sviluppare riser-ve naturali; sottolinea la necessità di rendere disponibilifondi speciali per ridurre la frammentazione, gestire con at-tenzione aree da devolvere alla natura, sviluppare meccani-smi e programmi di compensazione, sensibilizzare e pro-muoverne la comprensione nonché introdurre concetti con-nessi alle aree naturali, quali il ruolo dei processi naturali li-beri e gli elementi strutturali risultanti da tali processi nelmonitoraggio e nella misurazione di uno stato di conserva-zione favorevole; ritiene che l’attività vada svolta in collabo-razione con la popolazione locale e le altre parti interessate;

Promozione6. invita la Commissione e gli Stati membri a cooperare con le

organizzazioni locali non governative, le parti interessate ela popolazione locale per promuovere il valore delle areenaturali;

7. invita gli Stati membri ad avviare e sostenere campagne diinformazione al fine di accrescere la sensibilizzazione tra ilpubblico in generale sulle aree naturali e la loro importan-za e a diffondere la percezione che la biodiversità può esse-re compatibile con la crescita economica e l’occupazione;

8. invita gli Stati membri a scambiare le loro esperienze di mi-gliori pratiche ed esempi sulle riserve naturali riunendo iprincipali esperti europei affinché esaminino il concetto diaree naturali nell’Unione europea e inseriscano le aree na-turali tra le tematiche all’ordine del giorno a livello europeo;

9. invita la Commissione e gli Stati membri, alla luce dei dan-ni ben documentati che il turismo ha inflitto e continua ainfliggere a gran parte del più prezioso patrimonio naturaled’Europa, ad assicurare che il turismo, anche se incentratosull’introduzione dei visitatori agli habitat e alla flora e fau-na selvatiche in una zona naturale, sia gestito con estremacautela, mettendo pienamente a frutto l’esperienza acqui-sita in Europa e al di fuori per quanto riguarda le modalitàatte a ridurne al minimo l’impatto, e con riferimento, se delcaso, all’articolo 6 della direttiva Habitat; ritiene che an-

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drebbero presi in considerazione i modelli in cui le aree na-turali sono per la maggior parte chiuse all’accesso (tranneche per ricerca scientifica autorizzata) ma in cui una partelimitata è aperta al turismo sostenibile di alta qualità basa-to sull’esperienza naturalistica e sul beneficio economicoper le comunità locali;

Miglioramento della protezione10.invita la Commissione e gli Stati membri a dedicare specia-

le attenzione alla protezione efficace delle riserve naturali;11. invita la Commissione a individuare le minacce immediate

che incombono sulle aree naturali;12. invita la Commissione a elaborare raccomandazioni ade-

guate che forniscano orientamenti agli Stati membri suimigliori approcci volti ad assicurare la protezione degli ha-bitat naturali;

13. invita la Commissione e gli Stati membri a meglio proteggeretali riserve applicando le direttive ‘Uccelli’ e Habitat, la diret-tiva-quadro sulle acque(3) e la direttiva quadro sulla strategiaper l’ambiente marino(4) in maniera più efficace e coerente,con maggiori finanziamenti, al fine di evitare la distruzionedi tali riserve mediante sviluppi dannosi e non sostenibili;

14.accoglie con favore la revisione delle direttive Uccelli e Ha-bitat, che preveda, ove necessario, modifiche intese ad unamaggiore protezione delle specie e dei biotopi minacciati;

15. invita la Commissione ad accettare la «Wild Europe Initia-tive», un partenariato composto da diverse organizzazioniper la conservazione della natura, tra cui IUCN, IUCN-WC-PA, WWF, Birdlife International e PAN Parks, aventi parti-colarmente a cuore le zone selvatiche e semiselvatiche;

(3) Direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comunitariain materia di acque (GU L 327 del 22.12.2000, p. 1).

(4) Direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l’azione comunitarianel campo della politica per l’ambiente marino (direttiva quadro sullastrategia per l’ambiente marino) (GU L 164 del 25.6.2008, p. 19).

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Aree naturali e Natura 200016. invita la Commissione a sviluppare in collaborazione con

le parti interessate orientamenti sulla protezione, la gestio-ne, l’utilizzo sostenibile, il monitoraggio e il finanziamentodelle riserve naturali nell’ambito della rete Natura 2000,in particolare per quanto riguarda le sfide attuali, quali icambiamenti climatici, i disboscamenti illegali e l’aumentodella domanda di beni;

17. esprime profonda preoccupazione per la politica europeain materia di biodiversità a causa della mancanza di finan-ziamenti per la gestione della rete Natura 2000; invita a talriguardo la Commissione a predisporre, come previsto nel-la direttiva Habitat, il cofinanziamento comunitario per lagestione dei siti negli Stati membri;

18. invita la Commissione ad attribuire uno statuto speciale euna protezione rafforzata alle zone naturali nell’ambitodella rete Natura 2000;

19. ritiene che la politica di sviluppo rurale e l’integrazionedella protezione ambientale nel settore agricolo dell’UEdebbano essere rafforzate; reputa tuttavia che il Fondo perlo sviluppo rurale sia insufficiente a finanziare la conserva-zione della biodiversità e delle aree naturali in termini dirisorse, programmazione e competenza in materia;

20.invita la Commissione a garantire che la rete Natura 2000sia ulteriormente rafforzata per diventare una rete ecologi-ca coerente e funzionale in cui le riserve naturali abbianoun ruolo centrale; sottolinea la necessità di politiche coe-renti specie nella politica agricola comune, i trasporti, l’e-nergia e il bilancio al fine di non minare gli obiettivi di con-servazione di Natura 2000;

Specie aliene invasive21. invita la Commissione e gli Stati membri a collaborare al fi-

ne di sviluppare un quadro legislativo valido sulle speciealiene invasive che affronti le conseguenze ecologiche edeconomiche derivanti da tali specie e la vulnerabilità parti-colare delle riserve naturali a tale minaccia;

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Aree naturali e cambiamenti climatici22. invita la Commissione a monitorare e valutare l’impatto

dei cambiamenti climatici sulle aree naturali;23. invita la Commissione e gli Stati membri ad attribuire prio-

rità alla conservazione delle aree naturali nella loro strate-gia in risposta ai cambiamenti climatici;

24.invita la Commissione, nel contesto del cambiamento cli-matico, a intraprendere studi e a fornire orientamenti ri-guardo a quando e come l’intervento umano può gestire learee naturali al fine di preservarle;

25.esprime il proprio forte sostegno al rafforzamento di politi-che ed azioni connesse alle aree naturali;

26.incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risolu-zione al Consiglio e alla Commissione, nonché ai governi eai parlamenti degli Stati membri.

EEssiittoo ddeellllaa vvoottaazziioonnee ffiinnaallee iinn ccoommmmiissssiioonnee

Approvazione2.12.2008

Esito della votazione finale+: 33–: 10: 0

Membri titolari presenti al momento della votazione finaleAdamos Adamou, Georgs Andrejevs, Margrete Auken, IrenaBelohorská, Johannes Blokland, John Bowis, Martin Callanan,Dorette Corbey, Magor Imre Csibi, Chris Davies, Avril Doyle,Mojca Drèar Murko, Jill Evans, Matthias Groote, FrançoiseGrossetête, Satu Hassi, Gyula Hegyi, Jens Holm, Marie AnneIsler Béguin, Holger Krahmer, Linda McAvan, Riitta Myller, Mi-roslav Ouzký, Vladko Todorov Panayotov, Vittorio Prodi,Frédérique Ries, Dagmar Roth-Behrendt, Guido Sacconi, Ri-chard Seeber, Kathy Sinnott, Glenis Willmott.

Supplenti presenti al momento della votazione finaleIles Braghetto, Christofer Fjellner, Johannes Lebech.

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RETE NATURA 2000 E AREE PROTETTELE CONVERGENZE PARALLELE

Paolo Pigliacelli

11.. IInnttrroodduuzziioonnee

Rete Natura 2000 e la legge quadro italiana sulle areeprotette iniziano il loro percorso nei primi anni Novanta delsecolo scorso. Mentre in Italia dopo un faticoso dibattito piùche decennale si approvava la L. 394/91, la Comunità Euro-pea si accingeva ad avviare un ambizioso progetto di armo-nizzazione degli ordinamenti nazionali sulla biodiversità de-cidendo di dotarsi di una propria «Rete» di aree protette de-nominata «Natura» 2000. A distanza di vent’anni i parchidella 394 e i siti di RN 2000 hanno percorso strade parallele,praticamente senza incrociarsi mai e, quando ciò è accadutoè avvenuto in maniera conflittuale, con rispettive diffidenzee sottrazioni di ruolo e risorse. In realtà per un lungo periodola RN 2000 ha operato in clandestinità, tanto che si è dovutopronunciare un Tribunale per obbligare il Ministero a pubbli-care la collocazione e l’estensione dei siti. Parallelamente,dopo l’istituzione degli enti di gestione dei nuovi Parchi Na-zionali che potevano contare su consistenti risorse derivantidal vecchio piano triennale per le aree protette, si registravaun forte protagonismo dei parchi italiani al quale hanno con-tribuito in maniera consistente le Regioni con i loro sistemilocali. Si andava accentuando così una forte divergenza di vi-sibilità tra le due reti di aree protette che però negli ultimitempi si è andata progressivamente riducendo, sia a causa diun calo di protagonismo dei parchi, sia perché i siti RN 2000si sono giovati dei numerosi finanziamenti dei quali sono di-ventati oggetto, quasi esclusivo, in tema di biodiversità.

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Ora si può dire che siamo alla «resa dei conti», diversi sitidi RN 2000 si stanno dotando di piani di gestione e in alcu-ne Regioni cresce una strutturazione molto simile alle areeprotette, tanto che appaiono sempre più frequenti attivitàche si promuovono valorizzando la loro presenza in un «sitonaturalistico di valore europeo». In sede di revisione delleleggi quadro regionali c’è addirittura chi ipotizza di converti-re gli enti di gestione dei parchi al modello di RN 2000 ac-corpando ruoli e competenze, mentre a livello centrale learee protette hanno fatto fatica a essere considerate nellaStrategia Nazionale per la Biodiversità. In questa fase apparequindi urgente una riflessione sui due livelli di gestione del-la conservazione e dello sviluppo sostenibile e, nel contem-po, appare indispensabile individuare ambiti e strumentiper l’integrazione tra i due modelli. In caso contrario vedre-mo accentuarsi il rischio di schizofrenia tra due reti, anzi trauna rete strutturata RN 2000 e un’altra sfilacciata e in fortecrisi le aree protette, che non gioverebbe sicuramente allepolitiche per la biodiversità e lo sviluppo sostenibile.

22.. IIll mmooddeelllloo RReettee NNaattuurraa 22000000

La Rete Natura 2000 è basata su due testi normativi: la Di-rettiva Uccelli Selvatici del 1979 (Direttiva 79/409/CEE)e laDirettiva Habitat del 1992 (Direttiva 92/43/CEE). L’approccioparte dal presupposto che la protezione della biodiversitànon è diffusa uniformemente e che alcuni habitat e specie so-no più a rischio di altri. Perciò l’Unione Europea attribuisceparticolare importanza alla creazione di una rete di valore na-turalistico (che copre circa il 18% del territorio dell’UE-15mentre l’ampliamento agli Stati dell’UE-10 è in fase avanza-ta). Da un punto di vista strettamente giuridico è importantesottolineare che, in base al principio di sussidiarietà, le dueDirettive in esame non hanno dato vita a una «nuova» cate-goria di aree protette comunitarie, ma a una cornice che gli

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Rete natura 2000 e aree protette 127

Stati membri sono chiamati a riempire di contenuti. Nel mo-dello RN 2000 l’attenzione si sposta dalle aree protette inquanto tali ad un sistema integrato e coerente, capace di rag-giungere gli obiettivi di conservazione previsti. Non si trattadi un elenco di siti protetti ma di un sistema equilibrato di sitisul territorio, comprensivo di quegli elementi che – per la lo-ro struttura lineare e continua o per il loro ruolo di collega-mento – sono essenziali per la migrazione, la distribuzionegeografica e lo scambio genetico di specie. In materia di conservazione, la realizzazione di una rete

è un’esigenza scientifica, una sorta di condizione ambienta-le per il successo della tutela. Preservare la biodiversità nonsignifica unicamente proteggere alcune bellezze ecceziona-li. Buona parte della biodiversità si trova – infatti – in am-bienti normali, trasformati ed utilizzati dall’uomo. Il prezzodi questo nuovo approccio è l’integrazione nelle altre politi-che e dunque un maggior grado di complessità della gestio-ne, che obbliga i soggetti pubblici e privati ad individuareun nuovo modo di governare.L’articolo 6 della Direttiva Habitat rappresenta un punto

chiave della disciplina dei siti Natura 2000, in quanto sta-bilisce il quadro generale per la conservazione e la protezio-ne dei siti e comprende disposizioni propositive, preventivee procedurali. Si tratta di una disposizione centrale per larealizzazione del principio dell’integrazione ambientale, e– in ultima analisi – dello sviluppo sostenibile. Le misure diconservazione previste dal primo paragrafo hanno caratte-re positivo, mentre il secondo contiene disposizioni atte adevitare il degrado degli habitat e la perturbazione delle spe-cie significative, con una impostazione di tipo preventivo.Esse rappresentano disposizioni a carattere generale. Il ter-zo ed il quarto paragrafo stabiliscono, invece, una serie disalvaguardie procedurali e concrete che disciplinano i pia-ni ed i progetti atti ad avere incidenze significative sui sitiNatura 2000; configurando una procedura applicabile acircostanze specifiche.

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128 Paolo Pigliacelli

Per la UE i piani di gestione rappresentano strumentinon necessari e diretti a trattare le attività previste, essendole nuove attività impreviste trattate dalle disposizioni suc-cessive, in particolare con la valutazione di incidenza o leeventuali misure di compensazione. I piani di gestione,che, – ricordiamolo – sono facoltativi, devono prevederemisure gestionali appropriate alle particolarità di ciascunosito ed alle attività ivi svolte. Essi possono essere strumentiisolati, oppure possono, in conformità al principio di inte-grazione, venire inseriti in altri piani di sviluppo. La normativa prevede poi alcune deroghe, che si posso-

no considerare criteri guida per realizzare un contempera-mento tra esigenze economico-sociali e quelle di integritàecosistemica, in una prospettiva di sviluppo sostenibile. Ilparagrafo 4 dell’articolo 6 dispone infatti che, anche in pre-senza di conclusioni negative della valutazione dell’inci-denza sul sito, e qualora non vi siano soluzioni alternative,un piano o progetto possa essere comunque realizzato, ad-ducendo motivi imperativi di rilevante interesse pubblico(inclusi motivi di natura sociale o economica). In tal casosaranno adottate quelle misure compensative necessarie agarantire che la coerenza globale di Natura 2000 (lo Statomembro è quindi tenuto ad informare la Commissione dellemisure compensative adottate). In sostanza il modello RN 2000 punta essenzialmente

su una impostazione tecnico-scientifica, dove le istanze so-cio-economiche vengono valutate in forma compensativarispetto alle esigenze di specie e habitat, per di più su unpiano biogeografico di appartenenza: alpina, continentale emediterranea che, di fatto, mette fuori scala ogni elementodi valore localistico. Il fatto stesso che non sia necessarioun piano di gestione implica una cieca fiducia in una ge-stione tecnicistica dove la partecipazione e il coinvolgimen-to del territorio è solo enunciata senza alcuna indicazionesugli strumenti e i metodi.

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33.. IIll mmooddeelllloo AArreeee PPrrootteettttee

La legge quadro sulle aree protette e le successive inte-grazioni, e il complesso dalle leggi quadro regionali, ci resti-tuiscono un variegato panorama costituito da diversi mo-delli e soggetti gestori. Numerose le tipologie e diversificatii ruoli e le competenze tra i vari livelli di parchi nazionali,regionali, aree marine e altri parchi locali. Per tutte le areeprotette italiane è possibile però individuare tre distinte fa-si di governance: l’istituzione, la ricerca del consenso e lacostruzione di un processo identitario. Queste ultime duefasi racchiudono una notevole carica di innovazione per laPubblica Amministrazione in generale e nel campo dellatutela ambientale in particolare. Si tratta di un valore ag-giunto spesso non opportunamente valorizzato come meri-terebbe, specie alla luce di altri modelli di gestione comequello tecnicistico di RN 2000 descritto nel precedente ca-pitolo, anche perché non di rado le potenzialità di questi in-novativi processi vengono vanificate da una non correttagestione dei processi per i quali sono richieste competenzemultidisciplinari, non sempre disponibili nelle risorseumane a disposizione dei parchi italiani. Il lavoro di «accreditamento» dell’area protetta verso il

territorio, passaggio per nulla contemplato nel caso di RN2000, è particolarmente delicato, non pochi sono stati inpassato i processi di «rigetto» del parco percepito dalle po-polazioni locali esclusivamente come «vincolo», mentre laparte favorevole spesso è motivata da una forte aspettativain termini di benefici economici. La ricerca di un equilibriotra le diverse istanze ha trovato nei parchi una chiave disvolta nella valorizzazione dei processi tradizionali dei luo-ghi, riscoperti non solo da un punto di vista culturale, maanche e soprattutto, in veste di modelli di conservazione dihabitat e specie. «Favorire la coltivazione della lenticchiaper mantenere l’habitat di caccia dell’aquila» giusto per ci-tare un esempio tra i più efficaci, ha permesso alle aree

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130 Paolo Pigliacelli

protette di aprire un dialogo con il territorio e di costruiresinergie e alleanze una volta impensabili. Non sempre peròquesta chiave di approccio condiviso per la protezione dispecie e habitat ha prodotto risultati virtuosi, in alcuni casile istanze locali hanno prevalso in modo irreversibile sulleesigenze di mantenimento delle risorse naturali, è capitatoche tra le priorità del parco «la caciotta abbia prevalso sullupo» per citare un altro esempio altrettanto efficace. Nelcomplesso si può affermare con facoltà di prova che le areeprotette hanno comunque mantenuto centrale la salva-guardia ambientale nelle loro politiche, d’altra parte lastessa legge quadro, pur prevedendo organismi e strumentidi partecipazione per le istanze locali, indica chiaramenteuna prevalenza dei rappresentanti del mondo tecnico-scientifico rispetto a quelli politico-locali nel consiglio di-rettivo, e prescrive la stessa prevalenza negli strumenti digestione: piano e regolamento. La presenza riconosciuta delle istanze socio-economiche

non passa quindi esternamente attraverso meccanismi dicompensazione calcolati su scale diverse come accade perRN 2000, ma è integrata nella gestione attraverso incentivie sostegni per pratiche «sostenibili» che, come detto in pre-cedenza, non di rado coincidono con pratiche tradizionalilocali. Quindi valorizzazione del territorio, identità cultura-le, interventi indiretti, agevolazioni, incentivi, educazione,formazione, partecipazione. Un enorme sforzo di linguaggie di culture che ha permesso di sviluppare strumenti e me-todi altamente specializzati, unici. I parchi naturali sono di-ventati – in alcuni casi – laboratori dove sperimentare pro-cedure innovative, articolate e sinergiche dirette a uno svi-luppo socio-economico compatibile con la conservazione ela valorizzazione delle risorse naturali. Molte delle espe-rienze di turismo nelle aree protette sono state prese adesempio come modelli di sostenibilità anche al di fuori deiparchi, in quanto sono state riconosciute come valide solu-zioni che riescono a conciliare le esigenze di fruizione con

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la salvaguardia del bene fruito. Anche le esperienze di inte-grazione tra natura e cultura hanno contribuito allo svilup-po di politiche di valorizzazione territoriale, all’insegna del-la qualità e delle specificità culturali locali. L’esperienzamaturata dagli enti gestori delle aree naturali protette nel-l’ambito della cultura materiale e immateriale testimonial’importante ruolo svolto dai parchi, soprattutto alla lucedei nuovi scenari globali, in prospettiva di politiche semprepiù attente alle tematiche culturali tradizionali e alla soste-nibilità in molti processi produttivi e gestionali. Un modello quello dei parchi che si è plasmato nel tem-

po, confrontandosi e dialogando in funzione del contesto,ma che ha funzionato soprattutto quando ha mantenutoferme le finalità istituzionali di conservazione di habitat especie per il raggiungimento delle quali ha stretto alleanzee sinergie. Ciò è stato possibile solo grazie alla presenza sulterritorio di un interlocutore con un ruolo chiaro e definitocome l’ente gestore, dotato di risorse sufficienti, di consiglidirettivi, di comunità del parco, di tavoli, di accordi am-bientali, di piani, tutti strumenti oggi paradossalmentemessi in discussione per inseguire non meglio precisati ri-sparmi e semplificazioni.

44.. UUnn ccaassoo ssttuuddiioo:: ll’’iinnddeennnniittàà NNaattuurraa 22000000

Una delle misure che ci permette di valutare l’efficaciadel modello delle aree protette rispetto a RN 2000, ovverola conservazione della biodiversità con o senza ente gestore,è sicuramente l’indennità Natura 2000 prevista nel Regola-mento Comunitario n. 1698/2005 sul Fondo Europeo Agri-colo per lo Sviluppo Rurale (FEASR) che trova applicazionein Italia a livello regionale nei Programmi di Sviluppo Rura-le (PSR) 2007-2013. La misura «Indennità Natura 2000» èfinalizzata a compensare i costi e la perdita di reddito per gliagricoltori collegati all’attivazione dei vincoli, obblighi e di-

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vieti, derivanti dalle direttive della Rete Natura 2000 e ap-plicate dalle Regioni con le Misure di Conservazione per leZone di Protezione Speciale (ZPS) e per le Zone Speciale diConservazione (ZSC), e dei relativi piani di gestione. Alcune Regioni italiane hanno previsto all’interno del

PSR l’attivazione di una misura specifica, in molti casi an-che semplificando le procedure per ottenere l’indennità econ obblighi e divieti praticamente ininfluenti per la mag-gior parte delle attività agricole. La LIPU (Lega Italiana Pro-tezione Uccelli) ha analizzato e confrontato le misure adot-tate nei PSR realizzati dalle 21 regioni italiane rilevandoche habitat e specie di grande importanza europea non ven-gono praticamente tutelati dai piani regionali nel nostroPaese. In compenso sono molte le misure generiche che oc-cupano gran parte del bilancio senza portare vantaggi signi-ficativi all’ambiente. Tra gli elementi negativi che emergo-no dal rapporto della LIPU, i fondi destinati a misure conte-nenti interventi (oggettivamente certi) favorevoli alla biodi-versità agricola e forestale, pari a circa 1 miliardo di euro,rappresentano solo il 5% delle risorse nazionali. Mentre ifondi attribuiti a misure potenzialmente dannose per labiodiversità rappresentano oltre il 16% del budget (2,9 mi-liardi di euro). Ebbene, nonostante la scarsa rigidità – e se-rietà – di tali misure, gran parte di queste risorse sono rima-ste inutilizzate, eppure la crisi economica avrebbe fatto ipo-tizzare una corsa alle indennità Natura 2000, anche da par-te delle organizzazioni professionali agricole che, sollecita-te, hanno preferito non promuovere indennità Natura2000 presso i propri assistiti per paura di imprecisati vin-coli e obblighi futuri. L’esperienza del sostanziale fallimento di indennità Na-

tura 2000 dovrebbe far riflettere Regioni e Ministero impe-gnati a ridimensionare il ruolo dei parchi che, proprio nellepolitiche di sostenibilità confermano l’insostituibilità delruolo di un soggetto preposto a ricercare sinergie e dialogarecon il territorio. Quando si arriva a rifiutare risorse economi-

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che significa che il dialogo, l’informazione, il confronto, lacondivisione non esistono; gli agricoltori e le organizzazioniprofessionali non hanno avuto un consiglio direttivo o un ta-volo presso un parco per discutere, proporre, comprenderele opportunità e le modalità applicative. Così si è creato spa-zio per la diffidenza, e nel dubbio si è preferito non rischiare,ottenendo lo straordinario doppio risultato di impoverirecontemporaneamente gli agricoltori e la biodiversità.

55.. UUnnaa ccoonnvveerrggeennzzaa nneecceessssaarriiaa

Per la parte di RN 2000 che ricade in aree protette – at-tualmente circa il 50% – è previsto un regime particolareche in sostanza vede assorbire nell’area protetta le misurepreviste per il sito. Una sorta di indiretto riconoscimentodella maggiore efficacia dello strumento parco rispetto aRN 2000. Proprio per valorizzare uno degli elementi a ca-rattere maggiormente innovativo della Direttiva Habitat,ossia l’attenzione per la funzionalità degli habitat e dei si-stemi naturali, le indicazioni offerte dal Manuale per la ge-stione dei siti Natura 2000 pongono l’accento sulla centra-lità dell’allocazione nel quadro del sistema delle aree pro-tette. Ciò testimonia che la RN 2000 non può sostituirsi allarete dei parchi, ma con questa integrarsi per garantire lapiena funzionalità di un certo numero di habitat e l’esisten-za di un determinato insieme di specie animali e vegetali.Pertanto, una gestione dei siti della RN 2000 coerente congli obiettivi che si prefigge la Direttiva Habitat è legata, oltreche alle azioni indirizzate sul singolo sito, ad una gestioneintegrata dell’intero sistema dei parchi la cui capacità di ri-sposta può attenuare o ampliare gli effetti di tali azioni.Il quadro giuridico e di governo che si è andato a deli-

neare vede un livello centrale che da un lato determina lemisure di conservazione fondamentali per i siti, e dall’altroincoraggia gli enti locali coinvolti a trattare nel modo più

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organico possibile la materia, integrando le esigenze dellabiodiversità nella pianificazione e nella programmazionedel territorio e dello sviluppo. In tal senso i piani di gestio-ne possono rappresentare un momento di riflessione globa-le sulle modalità idonee per l’attuazione delle misure ne-cessarie a garantire agli habitat e alla specie indicate unostato di conservazione soddisfacente. Misure che si devonorapportare alle esigenze economiche, sociali e culturali deiterritori interessati, ed alle particolarità locali in un’otticadi conservazione e sviluppo sostenibile del territorio.Ma come si è visto nel caso di indennità Natura 2000,

queste misure necessitano di un interlocutore istituzionalespecializzato che interpreti e dialoghi con le istanze econo-miche e sociali. Un soggetto che abbia già sviluppato com-petenze ed esperienze nella gestione di specie e habitat co-me oggi sono solo i parchi. Esemplificativo in questo sensoil caso dell’Emilia Romagna, che – con la Legge Regionale6/2005, come modificata dalla L.R. 10/2005 e dalla L.R.4/2007 – ha disposto, una disciplina unitaria della forma-zione e gestione del sistema regionale della aree naturaliprotette e dei siti appartenenti alla RN 2000, anche con l’o-biettivo di integrarli nelle strategie unitarie di pianificazio-ne della qualità ambientale, territoriale e paesaggistica, chepromuovono lo sviluppo sostenibile della Regione. Tale di-sciplina riconosce proprio nel sistema regionale delle areeprotette il luogo più adatto all’integrazione funzionale dellepolitiche ambientali e di paesaggio con quelle riferite allapianificazione e gestione dei siti Natura 2000; mentre allaRegione spetta lo sviluppo dell’azione di indirizzo e coordi-namento tra di essi – parchi e RN 2000 – e con quelli inter-regionali e nazionali. Si tratta di un modello auspicabile peruna materia tanto ricca e articolata, in un’ottica di semplifi-cazione e integrazione, capace di cogliere la portata innova-tiva della normativa comunitaria in esame, e di andare ol-tre, contribuendo in maniera originale alla protezione dellabiodiversità locale, all’interno di una rete più grande, capa-

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ce di moltiplicarne, potenziandoli, gli effetti grazie all’espe-rienze sviluppate dalle aree protette.

66.. CCoonncclluussiioonnii

A vent’anni dalla legge quadro e dalla creazione di RN2000 ci troviamo in una situazione nella quale il 12% diterritorio protetto dai parchi sta per raddoppiare con l’avviodella gestione dei siti di Natura 2000. La logica e il buon-senso vorrebbero che si facesse tesoro delle esperienze edelle professionalità sviluppate nel governo della protezio-ne in Italia, come d’altra parte sta accadendo in tutti gli altriStati membri dove i parchi hanno assunto naturalmente ilruolo di nodi di tutta la rete ecologica, RN 2000 compresa.Da noi invece, anche quando le Regioni hanno affidato levalutazioni d’incidenza e i piani di gestione ai parchi, nonl’hanno fatto nell’ambito di un quadro strategico di gestio-ne integrata, anzi, in alcuni casi gli uffici dei parchi sonostati considerati quasi come dei consulenti a cottimo. È veroche permangono oggettive difficoltà nel far convergere ruo-li, competenze e professionalità nelle politiche di conserva-zione e sviluppo sostenibile che le Regioni e il Ministerostanno attuando, ma non sembra che si stiano facendo mol-ti sforzi in questo senso tranne forse che in alcune realtàspecifiche come Emilia Romagna. In generale le criticità principali, che si possono desu-

mere sia dall’esperienze sviluppate che dalla giurispruden-za comunitaria e da quella nazionale, riguardano proprio ladifficoltà di diffondere una cultura di valutazione delle esi-genze ambientali e della biodiversità nella pianificazione enello sviluppo dei territori. La parziale convergenza delladisciplina tra RN 2000 e aree protette rappresenta una cri-ticità che va affrontata sia per evitare sovrapposizioni, siaper ottimizzare competenze e soluzioni. Perciò, nonostante i progressi evidenziati in Italia nella

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costituzione e gestione di RN 2000, è necessario focalizzarsisulla necessità – ed opportunità – di accogliere una nuovamodalità di governance, che richiede, in perfetta aderenzacon il principio dell’integrazione ambientale, di considerarele esigenze della biodiversità nella pianificazione (di cui lavalutazione di incidenza nei siti RN 2000 rappresenta sol-tanto una modalità di misura dell’efficacia) dello sviluppo enella amministrazione della res publica, in un’ottica di svi-luppo sostenibile. L’urgenza di una sistematizzazione orga-nica della materia delle aree protette nasce proprio dall’esi-genza di fare chiarezza e di fornire agli enti coinvolti il sup-porto, non soltanto finanziario, necessario a gestire, proteg-gere e valorizzare i diversi siti individuati sul territorio. Anche a tal fine sarebbe importante avviare le attività di

monitoraggio degli habitat e delle specie, in quanto passag-gio fondamentale per l’innescarsi di un circolo virtuoso difeedback e misure correttive, che a sua volta potrebbe avereeffetti positivi sulle modalità di governo dell’ambiente. Atal proposito non si deve trascurare il fatto che, essendo tra-scorso del tempo dal momento dell’individuazione dei sitiche compongono la RN 2000, in alcuni di questi, in partico-lare quelli ricadenti all’esterno di aree protette, potrebberonon essere state approntate sufficienti misure di conserva-zione. Perciò sarebbe importante avere uno scenario ag-giornato sulla funzionalità della rete italiana, per poter in-tervenire in maniera mirata soltanto su alcuni aspetti. Traquesti risultano certamente prioritari quelli attinenti l’orga-nizzazione della partecipazione delle istanze locali allescelte di conservazione, la valorizzazione degli elementi dicollegamento tra i siti appartenenti alla rete (come i corri-doi ecologici), una precisa definizione degli strumenti digestione che eviti sovrapposizioni, e il miglioramento delsupporto tecnico necessario allo svolgimento di una corret-ta gestione che faccia tesoro delle professionalità sviluppa-te nelle aree protette italiane.

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LA PROTEZIONE DELL’AMBIENTE NATURALENEL TERRITORIO ALPINO

Cesare Lasen

PPrreemmeessssee

Le Alpi rappresentano un patrimonio di biodiversità chenel continente europeo svolge un ruolo decisivo, anche pa-ragonandolo ad altri sistemi montuosi. Esse includono, in-fatti, una parte molto consistente dell’intero patrimoniobiologico del continente europeo. L’articolazione orografi-ca, le differenze dei substrati, dei climi e, soprattutto, la sto-ria e la tradizione delle popolazioni che vi si sono insediatespiegano in massima parte tale eccezionale ricchezza. Se daqualche decennio si parla di protezione, significa che sononecessarie misure strategiche per contenere minacce che,come tutti possono osservare, anche i più distratti e i soste-nitori di uno sviluppo privo di vincoli, hanno già causatodanni rilevanti. L’esigenza di «protezione» non dovrebbeapparire come il frutto di una moda temporanea né, tantomeno, va relegata al ruolo di un afflato bucolico, da ritener-si superato, per quanto encomiabile, ma che non ha inciso,come si poteva sperare, nelle politiche di educazione am-bientale che si sono moltiplicate, anche lodevolmente, ne-gli anni ’60-’70 del secolo scorso. A livello di politiche del-l’UE, il sistema di Rete Natura 2000 rappresenta, pur con isuoi limiti tecnici (misteriose assenze di habitat importantiquali pinete e magnocariceti o discutibili priorità), la rispo-sta e l’iniziativa più significativa finora costruita. Il meritofondamentale di questo ambizioso programma (a volte poidisatteso, nella sostanza più che nella forma, da alcuni pae-si o da loro Regioni) è quello di aver posto al centro del-

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l’attenzione le politiche di conservazione degli habitat enon solo delle singole specie.

AAllccuunnii ffoonnddaammeennttii ddeell ccoonncceettttoo ddii ««nnaattuurraalliittàà»»

Le Alpi sono state oggetto di secolari utilizzazioni alpunto che parlare di ambienti «vergini» e «incontaminati»appare spesso prosaico, con eccezioni ovvie, ma abbastan-za puntiformi e scarsamente rilevanti sul paesaggio, perambienti estremi (pareti rocciose, creste e aree dirupatequasi inaccessibili) in cui la biodiversità, pur di rilevanteinflusso emotivo e apprezzabile, localmente, per la presen-za di endemismi, risulta necessariamente ridotta, a livelloquantitativo. A prescindere dall’espansione urbanistica edalla rilevante quota di biodiversità introdotta nei sistemisinantropici (assai diffusi e ben riconoscibili anche a quoteelevate), le attività tradizionali di natura agrosilvopastora-le sono state quelle che maggiormente hanno inciso sugliattuali assetti paesaggistici e che, ancor oggi, rivestono ilmaggiore interesse gestionale, trattando di politiche ispi-rate al concetto di sostenibilità (termine spesso abusato,almeno in politica, e utilizzato strumentalmente, con ec-cessiva flessibilità; esso dovrebbe significare, anzitutto,durevolezza). La tendenza a interpretare ogni scelta inchiave puramente economica (spesso gli aspetti relativi al-la durevolezza di un bene non risultano adeguatamentevalutati) appare fuorviante. Al fine di evitare che tutti i va-lori vengano messi nel calderone e soggetti a indicizzazio-ne (moda che in termini pianificatori ha fatto il suo tem-po), va fatto valere un principio fondamentale. La NATU-RALITÀ di un ecosistema è un valore «intrinseco», non«monetizzabile».

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AAllccuunnii sstteerreeoottiippii nneellll’’iiddeeaa,, ssppeessssoo ccoonnffuussaa,, ddii nnaattuurraalliittàà

I mezzi di comunicazione di massa ci prospettano soven-te un’idea di naturalità superficiale, se non spesso anchefalsata. Si richiamano immaginari costruiti dall’uomo, adesempio i prati o certi boschi coltivati. In generale ci vienespesso prospettata come reale un’idea di natura che corri-sponde a situazioni ordinate, pulite. In realtà ci si dovrebbeavvicinare di più a situazioni di «wilderness», che implica-no disordine, consapevoli che esse, a volte, potrebbero ap-parire paesaggisticamente meno gradevoli, soprattutto indifetto di una sensibilità che manca a intere generazionicresciute in ambienti in cui il concetto di «Natura» vieneequiparato a quello di «verde», pur se del tutto artificiale.Questo ormai vale non solo per le generazioni cresciute incittà. Altre volte si tende a confondere l’idea di naturalitàcon quella di biodiversità. Si tratta di valori e componentientrambe fondamentali, ma non sempre associabili. Spes-so, anzi, aree con elevata biodiversità sono il frutto di ge-stioni meritorie, apprezzabilissime, ma «orientate», deri-vanti da attività umane. Il caso dei prati regolarmente fal-ciati, soprattutto di quelli magri e non concimati, semprepiù una rarità, è esemplificativo.

GGllii eelleemmeennttii cchhee ccaarraatttteerriizzzzaannoo llaa ffaassee aattttuuaallee ddii eevvoolluuzziioonneeddeell ppaaeessaaggggiioo aallppiinnoo

L’abbandono dell’agricoltura cosiddetta tradizionale èalla base di cambiamenti epocali, che sono sotto i nostri oc-chi. Raramente essi vengono interpretati e recepiti positiva-mente. Ad esempio l’aumento della superficie boschiva e ildegrado dei prati rappresentano l’apice di una fase di tran-sizione che sta sottoponendo gli ecosistemi prossimo-natu-rali a pressioni molto rilevanti che si sommano a quelle de-rivanti da processi naturali, fisiologici sì, ma di regola

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graduali nel tempo. La tradizionale gestione sapiente e «or-dinata» (fondata sulla durevolezza del bene, in ottica dilungo termine) viene sostituita da due tendenze estreme,entrambe, in misura certo differente, deleterie per la con-servazione della biodiversità. Da un lato l’abbandono chesta favorendo stadi di incespugliamento di scarso pregio,ma favorevoli ad alcune specie animali, ad esempio. Dal-l’altro l’intensificazione delle colture e dello sfruttamentoche rappresenta, in ogni caso, un impoverimento delle ri-sorse del suolo. L’aumento dell’azoto e dei nutrienti, inmontagna, è destinato ad avere effetti negativi, secondo re-centi ricerche svizzere, per secoli. A tal proposito, semplice-mente leggendo i notiziari della Cipra, si evince che propriole aree montane sono quelle maggiormente interessate epenalizzate dal «global change». Inoltre, fatto che franca-mente appare sorprendente e in controtendenza, alcuni ap-petiti speculativi stanno interessando proprio aree di eleva-ta naturalità e protette, al fine di realizzare impianti (sportinvernali soprattutto, ma anche nuove captazioni idriche,dighe, ecc.) che per quanto ben mascherati o progettati se-condo tecniche innovative, rappresentano in ogni caso unulteriore indebolimento della naturalità degli ecosistemi edella rete ecologica.

SSttrruummeennttii ddii lleettttuurraa ddeellll’’aattttuuaallee sscceennaarriioo eevvoolluuttiivvoo ddeell ppaaeessaaggggiioo aallppiinnoo

I progressi scientifici e l’introduzione di tecnologie evolu-te hanno illuso circa la possibilità di controllare i fenomeni adistanza. Certo ci sono nuove opportunità (da leggere sem-pre positivamente), ma oltre ad essere spesso costose, sap-piamo che esse non risolvono il problema e spesso rilevanomodificazioni ovvie, con l’unico pregio di un avallo stru-mentale e quantitativo. La lettura diretta dei cambiamentiche interessano il territorio (si stanno verificando anche pro-

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cessi epocali che comportano perdita di identità e penalizza-no la già scarsa attrazione verso le nuove generazioni, chesentono assai marginale il legame con il «terreno») resta ilpresupposto essenziale. L’analisi vegetazionale, comunqueessa venga condotta, è lo strumento più completo e di sintesicapace di rivelare il risultato delle diverse interazioni tra fat-tori climatici, edafici e storico-antropici. Oltretutto essa sifonda su metodologie standardizzate e replicabili che hannocirca un secolo di storia e che forniscono, quindi, dati com-parabili. Non si dovrebbe mai rinunciare ad investire in co-noscenze di base riguardanti i singoli gruppi di organismi,vegetali ed animali. Le check-list sono sempre più essenzialiper consentire di governare qualsiasi cambiamento ed assu-mere le conseguenti decisioni gestionali. Se è vero che alcu-ni errori del passato sono imputabili a forme di egoismo spe-culativo, risulta altrettanto evidente che alcuni scempi ederrori derivano da scarsa conoscenza e sottovalutazione (co-me dire: trattasi di fatti colposi, non dolosi).

AAllllaa rriicceerrccaa ddeeggllii iinnddiiccaattoorrii

Premesso che senza conoscenze di base e dati aggiornati,qualsiasi soluzione appare inadeguata, è comprensibile chesi cerchi di individuare, a livello ecosistemico, degli indica-tori che possano essere assunti quali riferimenti per valuta-re lo stato del sistema, anche se si è consapevoli che sosti-tuire completamente una «valutazione esperta», fondatasul rilievo diretto del terreno, appare aleatorio. Quello degliindicatori ecologici è uno dei filoni di ricerca più gettonatiin questi ultimi tempi. Esistono esperienze già consolidate,ma si tratta in generale di approcci parziali, essendo ancoraall’inizio e sono certamente necessari ed auspicabili nuoviapporti. In buona approssimazione, sempre a titolo esem-plificativo, ricercatori tedeschi hanno messo a fuoco un in-dice di eutrofizzazione per i laghi e gli stagni fondato su

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valori da 1 a 5 attribuiti a specie «ombrello». Per i sistemi er-bacei sono spesso le orchidee al centro dell’attenzione, maesse sono sì molto utili, ma raramente decisive, constatatoche prediligono spesso situazioni ecotonali, risultando,quindi, più indicatori di gestione che di naturalità. Il valoreecologico delle singole specie, almeno di quelle notoria-mente più «stenoecie» (particolarmente legate a singoli fat-tori ecologici, quindi assai selettive) è in sé un valido indica-tore. Più significativo, spesso, è il valore fornito dalle comu-nità vegetali, alle quali, secondo l’area e la regione in cui in-sistono, si possono attribuire valori diversi. Rarità, natura-lità, valore fitogeografico, sono solo alcuni parametri, che sipotrebbero sintetizzare in un indice complessivo, che puòessere chiamato di «Qualità naturalistica», e che ha trovatoalcune valide applicazioni. Gli habitat, intesi e concepiti se-condo la classificazione di Natura 2000, rappresentano unpasso avanti, ma non sono esaustivi, sia per la già segnalatamancanza di alcuni di essi, sia per l’assenza di classi di ve-getazione con significato ecotonale (es. orli e mantelli). Soloin parte il problema è superabile ricorrendo ai «mosaici»,soluzione tecnico-cartografica che lascia più margini allescelte gestionali. Un approccio del tutto simile potrebbe es-sere sviluppato per le specie animali, con l’ovvia constata-zione che, spesso, essi risultano più sensibili alla strutturadella vegetazione che non alla sua composizione floristica.

RReeggoollee ee pprriinncciippii ddaa rriitteenneerree bbaassiillaarrii

La priorità resta l’individuazione di aree aventi elevataqualità naturalistica, i cosiddetti biotopi e gli hot spot. Essidovrebbero essere i nodi di eccellenza della «Rete». Le areeprotette, parchi soprattutto, dovrebbero essere già i ganglieccellenti del sistema, ma si rileva facilmente come ciò nonsia affatto scontato e non manchino situazioni confuse cherichiamerebbero l’urgenza di un sistema di classificazione

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mai affrontato seriamente e che potrebbe contribuire a dif-ferenziare aree con qualità naturalistiche molto distanti,oggi soggette a normative uniformi spesso inadeguate. At-tualmente i rischi maggiori sono legati alla continua fram-mentazione degli areali, derivante da eccessiva pressionein alcune aree, in cui le amministrazioni locali, senza soldi,risultano facilmente ammaliate da prospettive di guada-gno, sia pure minime e limitate, e a nuovi progetti infra-strutturali che interessano aree rimaste abbastanza integre.Per esperienza maturata si appalesa che l’interpretazionesolo burocratica (che serve da copertura) dei principi dellarete natura 2000 potrebbe essere insufficiente a contrasta-re il fenomeno. Per superare tale «impasse» risulta neces-sario pensare non solo in termini puntuali, o di cartografiestatiche, ma con un approccio fondato sull’intero ecosiste-ma e sulla Rete. A volte, sempre per esperienza diretta, siverifica che una singola azione o intervento che potrebbeavere un impatto in sé sopportabile, è seguita, con procedu-ra diversa, da interventi analoghi, anch’essi limitati, ma lacui somma risulta potenzialmente assai incisiva e contri-buisce ad erodere il capitale naturalistico, frammentandosempre di più gli areali, indebolendo la rete e compromet-tendo la capacità di resilienza dell’intero ecosistema. Perquanto concerne ecosistemi prossimo-naturali, soggetti agestione limitata ma comunque attiva, l’indicazione di ba-se, maturata sull’esperienza di 40 anni di osservazioni di-rette, è quella di favorire, in ogni caso, forme gestionali fles-sibili e differenziate, evitando semplificazioni e razionaliz-zazioni che penalizzano la biodiversità. In altri termini lespecie sono in grado di migrare, e di trovare da sole la loronicchia, se trovano condizioni intermedie che l’eccesso disemplificazione (tendenza attuale), al contrario, impedisce.Un esempio può chiarire meglio di ogni altro tale concetto.Rilevando prati in Comelico (ma il fenomeno è diffuso an-che altrove), per effetto delle liquamazioni, le aree a narde-to (habitat prioritario 6230*) sono sempre più rare e tendono

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a scomparire. Le specie che caratterizzano il nardeto, pratomagro e di suolo acido, si rifugiano all’orlo del bosco e suipendii più acclivi dove non si arriva con la fertilizzazione.Naturalmente esistono habitat potenzialmente più fragiliche esigono maggiore rispetto ed attenzione anche quandola loro qualità è ridotta e sono in parte (non irreversibil-mente) degradati. Tra questi vi sono le zone umide, torbieree sorgenti in particolare, i prati arido-steppici e, più in ge-nerale, le situazioni meno mesofile.

AA pprrooppoossiittoo ddii iinnddiiccaattoorrii ggeessttiioonnaallii

In alcune regioni alpine, per il mantenimento di situa-zioni valutate positivamente, sono stati messi a fuoco siste-mi di incentivazione economica. Si dovrebbe riuscire a tra-sformare tali iniziative, senza dubbio lungimiranti, in stru-menti per valutare la buona gestione piuttosto che premia-re la qualità in origine del sito, classificato a livello tipologi-co (esempio prato magro, piuttosto che di montagna).

Per quanto concerne i sistemi erbacei, si osserva che intermini generali dovrebbe essere avviato un programma se-rio e realistico per favorire i veri prati falciati, piuttosto cheforme di pascolo o prato-pascolo raramente migliorativedelle condizioni degli habitat. In aree sufficientementeestese, sarebbe interessante introdurre misure di differen-ziazione gestionale, ad esempio, evitando di concimare inmodo univoco tutta la superficie, alternando negli anni ecomunque privilegiando le vocazionalità espresse dalla si-tuazione orografica locale. Nel caso delle foreste, nessundubbio che, pur nel rispetto di tradizioni secolari, la prioritàdebba essere attribuita all’esigenza di promuovere la for-mazione, nel medio-lungo periodo, di boschi prossimo-ve-tusti, con alberi di notevole taglia, abbondante legno morto,disturbo ridotto. Alcuni licheni, notoriamente, funzionanoda indicatori di continuità ecologica. Il progetto, veramente

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interessante, del censimento dei boschi vetusti, promossodal MATTM, e coordinato dall’Univ. di Roma si è purtroppoarenato, per carenza di fondi e, forse, anche per insufficien-te cultura e determinazione. Esso meriterebbe, al contrario,di essere esteso ai parchi regionali e all’intero territorio.Non sarebbe certo un delitto pensare che almeno l’1 o il 2%dei boschi italiani fossero destinati a riserva forestale e la-sciati quali campione in bianco per valutare gli effetti deicambiamenti climatici sugli ecosistemi più naturaliformi.

IIll rruuoolloo ddeellllee aarreeee pprrootteettttee

Prima ancora che in Europa si sviluppasse la rete natura2000, le migliori iniziative di conservazione erano quellederivanti dall’istituzione di parchi e riserve naturali. Alcunidi essi, o quasi tutti, infatti, sono sorti per tutelare speciesingole o ecosistemi di particolare pregio. Inutile negareche il loro ruolo si sia un po’ annacquato negli ultimi tempied essi siano stati utilizzati spesso quali strumenti di pro-mozione turistica (fattore certo apprezzabile in sé) relegan-do a margine, molto a margine, il ruolo di difesa dell’ecosi-stema e dei valori naturalistici (nei fatti, almeno), al puntoche in alcuni di essi sono stati autorizzati interventi certa-mente discutibili. Alcune buone pratiche e sperimentazioniavviate nelle aree protette possono risultare trasferibili an-che ai territori limitrofi, in particolare nei siti della rete na-tura 2000. Gli sforzi di un ventennio hanno visto luci edombre, certo, ma almeno le luci, con preziose indicazioni,dovrebbero essere oggetto di adeguate politiche di valoriz-zazione. L’attuale involuzione del sistema «parchi e areeprotette» nel nostro paese, è palese e preoccupante, in as-senza di un qualsiasi tipo di politica. Molti di essi sono inuna situazione preagonica e privi di prospettiva anche nelbreve termine. Ciò è in controtendenza con la situazione alivello europeo e planetario.

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146 Cesare Lasen

LLee mmiinnaaccccee iinnccoommbbeennttii

Inutile sottolineare il quadro, fosco certamente, in cui sidibatte la politica di conservazione e tutela delle risorse na-turali (che sono per l’uomo, non contro, e soprattutto unagaranzia per il futuro). Tuttavia può essere opportuno ri-chiamare alcune minacce, tra quelle che maggiormentegravano sugli equilibri ecologici del sistema alpino. Anzi-tutto la ulteriore frammentazione di aree sub-integre. Incre-dibilmente, anziché razionalizzare le infrastrutture esisten-ti, si continua a puntare su lembi di territorio che finora so-no stati complessivamente risparmiati. Ciò che sorprende èche si interessino anche are protette quali siti natura 2000,biotopi e territori inseriti nel patrimonio mondiale Unesco.Di particolare importanza, per le conseguenze a lunga sca-denza, sottovalutate, è la diffusione di sistemi di agricolturae di allevamento intensivi. Lo smaltimento dei liquami, aseguito della direttiva europea sull’azoto, invita i proprieta-ri di aziende di pianura a prendere in affitto terreni monta-ni da utilizzare per liberarsi dei residui organici. Le conse-guenze sulla vegetazione e sull’assetto naturalistico sonofacilmente intuibili con peggioramento anche della qualitàpaesaggistica, oltre che della biodiversità. Sui cambiamenticlimatici ci sarebbe molto da discutere, ma è prematurotrarre conclusioni, anche se i dati sperimentali raccolti inquesti ultimi anni confermano l’innalzamento termico me-dio e la diffusione di eventi estremi. Localmente si hannodati significativi su alcune specie e sull’innalzamento dellimite del bosco. Preoccupa molto la gente e gli amministra-tori locali il fenomeno dell’abbandono (mancata cura); essopuò essere considerato deleterio per la biodiversità a breve-medio termine, e può anche indurre a valutazioni negativesul paesaggio. Ma non va demonizzato in termini di recupe-ro di naturalità, proiettato su tempi medio-lunghi. Già bennoto è il fenomeno della diffusione di specie aliene, sotto-valutato inizialmente ed ora esploso nei fondovalle, al punto

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La protezione dell’ambiente naturale nel territorio alpino 147

da poter essere considerato un indicatore di «disturbo an-tropico». I danni, diretti e indiretti, non sono ancora stativalutati adeguatamente.

NNuuoovvee iiddeeee ee pprroossppeettttiivvee

Si concorda con l’importanza di sostenere forme di tute-la attiva, fondamentali per garantire apprezzabili livelli dibiodiversità e per non perdere caratteri identitari del pae-saggio. Ma ciò non basta e, indubbiamente, occorre investi-re nell’individuazione di spazi prossimo-naturali, per favo-rire il recupero della wilderness, dimensione essenziale an-che per lo spirito umano oltre che per gli organismi viventi.In particolare il problema si pone, come accennato, per learee a vocazione forestale. Le formazioni erbacee, peraltro(basti pensare al fascino inimitabile dei pascoli in fiore), so-no essenziali e connaturate nel paesaggio alpino. Esse sonostate fortemente penalizzate dall’evoluzione dei sistemicolturali e di allevamento (ad esempio scarsa turnazione,greggi lasciati senza custodia). Le zone umide (sorgenti, tor-biere, laghetti) restano habitat di fondamentale importanzabiogeografica e meritano ancora priorità di conservazione eanche interventi di ripristino, ove possibile. Ancorché de-gradati e ridotti, infatti, restano essenziali per molte comu-nità animali. Un fenomeno da seguire con sempre maggioreattenzione è quello relativo al ritorno dei grandi predatori,ciò che sta suscitando più problemi di carattere sociale chenon a livello ecologico. Sul ritorno e sulle reintroduzioni,più o meno mirate, non è questa la sede adatta, ma vi sonoindizi assai interessanti (pur se ancora deboli per ritenereche si sia sulla buona strada). Al contrario, va pur rilevato,certe densità di ungulati, o di cinghiali, favoriscono la de-gradazione di alcuni tipi di vegetazione e ciò crea problemigestionali e di controllo numerico che non dovrebbero esse-re strumentalizzati a fini venatori. Le aree protette dovreb-

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148 Cesare Lasen

bero essere un vero laboratorio nel quale le ricerche di basemeritano di essere incrementate. Errata è la convinzioneche il livello di conoscenze abbia raggiunto livelli soddisfa-centi (valido solo per alcune aree geografiche e per alcunigruppi tassonomici). Una corretta gestione degli ecosistemiè possibile solo con adeguati livelli di conoscenza e delle di-namiche evolutive di specie singole e biocenosi. Compitoprimario di ogni area protetta deve restare quello di cono-scere il territorio di competenza, al miglior livello possibile,e le sue interrelazioni con le aree limitrofe. Negli ultimi de-cenni si sono moltiplicati i convegni e le pubblicazioni sulpaesaggio e sulle reti ecologiche. Necessita un cambio dipasso e di prospettiva per evitare che le nobili intenzioni re-stino ancorate alla fase degli auspici o nella mente dei pia-nificatori. Interventi di riqualificazione seri richiedono, in-fatti, adeguate risorse e devono entrare nella dinamica eco-nomica (esistono anche strumenti urbanistici per poterli fa-vorire) e nelle scelte di fondo allo stesso livello delle opereinfrastrutturali, anzi, ne devono essere parte integrante ecostituente. La Rete Ecologica va ritenuta la più fragile, equindi la più importante, fra tutte le reti «infrastrutturali».

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INTEGRAZIONE E LEALE COLLABORAZIONEDELLE AREE PROTETTE DEL TRENTINO

Claudio Ferrari

PPrreemmeessssaa

In questo momento di profonda crisi del sistema deiparchi italiani, oltre a denunciare la miopia, l’ipocrisia, lairresponsabilità di chi lo sta conducendo allo sfacelo, cre-do sia doveroso analizzare anche i nostri errori e quali pos-sano essere le correzioni di rotta che ci spetta intraprende-re urgentemente. Da tempo sono convinto, per esempio, che una delle tare

del nostro sistema, causa di enormi disastri, sia l’autorefe-renzialità, derivante probabilmente da un presunto «prima-to etico» di cui ci sentiamo testimoni. Da qui il nostro par-larci (e piangerci) addosso, la nostra aristocratica certezzadi avere sempre ragione, una sorta di autismo che ha resoraro l’ascolto e difficile il confronto e l’integrazione dellenostre politiche con quelle degli altri – dall’agricoltura, alturismo, dal mondo venatorio alle infrastrutture – che,guarda caso, contano molto più di noi.A conti fatti abbiamo scarso seguito popolare e scarso

peso politico. Per uscire dal nostro ghetto abbiamo assolutobisogno di alleanze e per riuscirci dobbiamo prima di tuttocambiare linguaggio, farci capire più facilmente, cercandouna nuova maniera di comunicare il valore straordinario ele straordinarie potenzialità, anche in termini sociali edeconomici, della tutela della Natura. Non è possibile che a vent’anni dalla legge quadro non si

sia ancora riusciti a veicolare nella società italiana la nuovaimmagine dei Parchi, il nuovo ruolo che vogliono giocare

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nei processi di sviluppo locale, e si debba ancora giocare indifesa rispetto ai più beceri luoghi comuni. Occorre davvero cambiare passo e sperimentare nuove

vie.Sono convinto che l’approccio etico alla conservazione

vada accompagnato da un approccio più utilitaristico, mi-surando in Euro i servizi ecosistemici erogati dalle aree pro-tette e dalla biodiversità e facendo marketing sul fatto che latutela della natura non è fine a se stessa, ma è rivolta in fon-do a migliorare la qualità della vita del consorzio umano. Anche per queste ragioni non me la sento di aggiungere

le mie preoccupazioni al lamento generale del mondo deiParchi italiani, benché non manchino gli spunti: per «com-petenza territoriale» avrei potuto affrontare come minimodue importanti criticità di oggi riguardanti la vicenda delnuovo assetto organizzativo del Parco Nazionale dello Stel-vio e il difficile decollo gestionale delle Dolomiti Patrimo-nio dell’Unesco. Preferisco invece affrontare un altro tema, di pari attua-

lità, che aiuta a guardare al futuro con maggiore fiducia. Non tanto per contrapporre l’ottimismo della volontà al

pessimismo della ragione, quanto piuttosto per dare il miocontributo propositivo nell’impegno di immaginare scenarinuovi in cui collocare le politiche delle aree protette, credosia interessante presentare la nuova sfida di cambiamentoin cui è proiettato il sistema delle aree protette della Provin-cia Autonoma di Trento. Do la precedenza, insomma, alla concretezza dei progetti

e alla visione di prospettiva.

LLaa RReettee ddii RRiisseerrvvee

Il sistema delle aree protette della Provincia di Trento,accanto ai due parchi naturali provinciali e al settore trenti-no del Parco Nazionale dello Stelvio, che interessano da soli

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Integrazione e leale collaborazione delle aree protette 151

1 La L.P. 23 maggio 2007, n. 11 è la nuova legge di riordino comples-sivo e coordinato dell’intera normativa riguardante la gestione delle fore-ste, delle aree protette e delle sistemazioni idraulico-forestali La novità diquesta legge consiste nel riconoscere l’importanza della gestione attiva delterritorio, per scongiurare il rischio dell’abbandono, al fine di coniugare losviluppo sociale ed economico con la tutela delle risorse naturali, median-te la partecipazione attiva e responsabile delle Comunità locali.

il 16,1% del territorio provinciale, è articolato in una miria-de di altre aree protette che riguarda un altro 13,6% del ter-ritorio. Parliamo di 293 aree protette di diverso tipo, checoinvolgono più del 90% dei Comuni trentini. Anche esclu-dendo le 158 riserve locali, costituite da territori di limitataestensione, rimangono 135 aree tra SIC/ZSC, ZPS, RiserveNaturali provinciali (gli ex Biotopi), aree di protezione flu-viale. Nel loro insieme costituiscono un sistema molto pol-verizzato, poco conosciuto, poco valorizzato e gestito cen-tralmente, con oggettive difficoltà, dalla Provincia, che fati-ca di fatto ad attuare quella politica di tutela attiva che lestesse misure di conservazione generali per le ZSC – appro-vate di recente dalla Giunta provinciale – individuano co-me indispensabili per una corretta gestione. Oggi è un sistema di cui ci si accorge solo quando nei vari

processi autorizzativi spuntano i vincoli, convalidando inqualche modo la vecchia equazione area protetta = ostacolo.Per superare questa situazione la Legge Provinciale 23

maggio 2007, n. 11 «Governo del territorio forestale e mon-tano, dei corsi d’acqua e delle aree protette»1 ha tradotto intermini istituzionali il concetto di rete ecologica e di «coe-renza» di cui parla la Direttiva Habitat, ideando un nuovosoggetto cui può essere affidata la gestione delle aree pro-tette: la «Rete di Riserve» sul cui decollo gravano ancorapesanti incertezze, ma che, potenzialmente, può aprire sce-nari di grande interesse gestionale e sociale.La Rete di riserve va a configurare sistemi territoriali

che, per valori naturali, scientifici, storico-culturali e pae-

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saggistici di particolare interesse, o per le interconnessionifunzionali esistenti tra i suoi nodi, si prestano a una «ge-stione unitaria, con preminente riguardo alle esigenze divalorizzazione e di riqualificazione degli ambienti naturalie seminaturali e delle loro risorse, nonché allo sviluppodelle attività umane ed economiche compatibili con le esi-genze di conservazione».La coerenza della rete delle aree protette provinciali «è as-

sicurata dall’individuazione di corridoi ecologici, intesi comearee di collegamento funzionale tra le diverse aree protetteche, per la loro struttura lineare o per il loro ruolo di raccordo,favoriscono i processi di migrazione, di distribuzione geogra-fica e di scambio genetico delle specie selvatiche».Non sono state definite forme precostituite o formule per

l’attivazione di reti, lasciando in questa prima fase piena li-bertà ai Comuni interessati di formare le reti più confacenti,benché le aggregazioni delle aree protette dovrebbero se-guire logiche di tipo eco-funzionale oltre che di tipo politi-co/amministrativo. La rete di riserve viene attivata su base volontaria dai Co-

muni interessati attraverso un accordo di programma con laProvincia. Attraverso questo accordo si individua nei comu-ni o loro forme associative o nella comunità di valle il sog-getto responsabile per la conservazione delle riserve in essacomprese e per la predisposizione del piano di gestione.La «volontarietà» della loro attivazione da una parte ras-

sicura le parti sociali storicamente più diffidenti nei con-fronti delle aree protette, mettendole al riparo da presunti«colpi di mano», ma dall’altra «obbliga» i proponenti a cer-care, attraverso un processo partecipativo reale, quelle al-leanze che alla lunga si riveleranno essenziali per la riusci-ta di un progetto di area protetta.Con il medesimo approccio partecipativo viene predi-

sposto il piano di gestione della rete, approvato e monitora-to dalla Provincia, che contempla sia la conservazione e latutela attiva, in coerenza con le misure di conservazione

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Integrazione e leale collaborazione delle aree protette 153

generali, sia la parte della valorizzazione compatibile, ai fi-ni dello sviluppo locale. Questo disegno corrisponde pienamente a due principi

di fondo del nuovo Piano Urbanistico provinciale:

– il principio di sostenibilità, che si traduce nella ricerca enella costruzione delle sinergie tra il sistema ambienta-le, quello socio-culturale e quello economico-produttivoe si concretizza nella ricerca e nell’integrazione delleesternalità positive tra tali sistemi;

– il principio di sussidiarietà responsabile, secondo il qualela pianificazione e gestione del territorio si colloca al li-vello istituzionale più efficiente rispetto alla responsabi-lità e ai problemi nonché a più diretto contatto con leesigenze locali.

Si badi che sui medesimi principi di fondo, benché all’epo-ca diversamente formulati, sono nati anche i due Enti Parcoprovinciali. Anche in quel caso, infatti, la L.P. 18/88 introdu-ceva, per la prima volta in Italia, la scelta di affidare alle co-munità locali la piena responsabilità politica e gestionale deiParchi come precondizione per la loro stessa operatività. Sappiamo ora che si è trattato di una sfida faticosa, ma

vincente: su questa piattaforma politico-culturale i Parchisono stati strumento per una saggia autoregolamentazionedel territorio e hanno contribuito davvero alla crescita dellecomunità coinvolte, più di altre oggi consapevoli del valorestrategico della conservazione dell’ambiente nello sviluppodei propri territori. La positiva esperienza dei parchi trentini sta a conferma-

re che anche nella protezione della natura è necessario unapproccio democratico, oggi riproposto anche per le Reti diriserve. Ancora una volta, insomma, la Provincia di Trento,si candida ad essere laboratorio istituzionale per la conser-vazione della natura.Finora sono due le Reti di riserve attivate, e altrettante so-

no in corso di definizione. Per esse, a seguito di processi par-

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2 La L.P. 16 giugno 2006, n. 3 Norme in materia di governo dell’auto-nomia del Trentino, ha previsto l’istituzione di un nuovo ente pubblico laComunità di Valle, costituito dai comuni appartenenti al medesimo «terri-torio» per l’esercizio di funzioni, compiti, attività e servizi nonché, in for-ma associata obbligatoria, delle funzioni amministrative trasferite dallaProvincia ai comuni.

tecipativi reali, è prevista la stipula dell’accordo di program-ma entro la fine dell’anno in corso. Ma numerosi altri territorisi stanno incamminando su questo percorso, anche in coinci-denza con l’avvio di una nuova stagione pianificatoria a livel-lo di Comunità di Valle2, conseguente alla profonda riformaistituzionale avviata dalla Provincia Autonoma di Trento.Una volta costituite, le reti di riserve entrano di diritto nel

«Coordinamento provinciale delle aree protette del Trentino»insediatosi di recente, che rappresenta il tavolo di confronto edi scambio tra aree protette in cui i Parchi storici sarannochiamati a trasferire ai nuovi soggetti le buone pratiche speri-mentate negli anni, contribuendo così a «fare sistema».Ma c’è di più. Le reti di riserve rappresentano di fatto lo scheletro isti-

tuzionale per dar corpo ad un progetto di «rete ecologicaprovinciale». Collocare il sistema delle aree protette nell’ambito di

una rete ecologica provinciale comporta una revisione radi-cale della politica della conservazione in Provincia di Tren-to, con importanti ricadute gestionali e strategiche. In questo progetto la Provincia, cui rimane la piena re-

sponsabilità nei confronti dell’Unione Europea sulla gestio-ne della rete Natura 2000, si riserverà un ruolo forte di in-dirizzo strategico e propulsione del sistema, attraverso undisegno a scala regionale che, a partire da una banca datiaggiornata e condivisa, vada a definire:

– le priorità tutelari della provincia, nell’ambito della reteNatura 2000, verso cui indirizzare gli sforzi della gestio-ne e del monitoraggio;

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3 Questo approccio, peraltro, corrisponde a quello stabilito dal re-cente Piano Territoriale Regionale della Lombardia, che riconosce alla rete

– la connettività ecologica – anche fuori dalle aree protet-te, per analizzare in particolare la «permeabilità» degliagroecosistemi e dei fondovalle urbanizzati – e sullaframmentazione, per avviare un dialogo con la pianifica-zione infrastrutturale;

– e, infine, la programmazione, in una visione generale eintegrata, della tutela attiva a livello provinciale cheterrà conto anche delle numerose connessioni con le zo-ne Natura 2000 limitrofe alla provincia.

Sotto la maglia di questi indirizzi generali opereranno leReti di riserve, tramite le quali le azioni in favore della na-turalità diffusa, la gestione della connettività ecologica, lapianificazione della tutela attiva andranno ad informareanche i piani territoriali di livello locale, traducendo cosìun preciso indirizzo contenuto nel PUP, che affida «alla pia-nificazione della Comunità di Valle il compito di approfon-dire le indicazioni del PUP sulle reti ecologiche e ambientaliattivando ad esempio le reti di riserve», in azioni concrete.Si tratta, certo, di una scelta molto pragmatica che tiene

conto dell’impraticabilità della gestione centralizzata di unpatrimonio tanto frammentato quanto bisognoso di cure ca-pillari quale è il sistema delle Riserve naturali e Natura2000 in Trentino. L’obiettivo, però, è quello di andare oltre alle reti ecolo-

giche tradizionali, che focalizzano la loro attenzione esclu-sivamente sugli aspetti bioecologici, per abbracciare il con-cetto di «rete ecologica polivalente», un modello di gestio-ne sostenibile del territorio in cui le politiche ambientali ri-volte alla conservazione e alla valorizzazione della biodi-versità si integrano organicamente in quelle economiche esociali, diventando un’infrastruttura base per lo svilupposostenibile locale3.

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ecologica un ruolo strategico per lo sviluppo regionale, inserendola tra leinfrastrutture prioritarie.

In altre parole, si tratta di un approccio multilivello emultisettoriale in cui si definiscono le responsabilità traProvincia e Comuni/Comunità di valle e si mira all’integra-zione della conservazione nelle politiche agricole e foresta-li, in quella turistica, nella gestione delle acque e delle ope-re infrastrutturali. Nel laboratorio delle aree protette, in-somma, ci si va a «sporcare le mani» operando con gli altriattori dello sviluppo, per applicare in modo creativo unacombinazione di saperi tradizionali, identità e scienza, po-nendosi in una prospettiva di lungo respiro che si proponedi conquistare il consenso delle comunità locali e della piùvasta opinione pubblica.Particolarmente strategica sarà l’alleanza con l’agricol-

tura che, nel contesto alpino, può diventare la miglior allea-ta delle aree protette, traendone pari vantaggi e, attraversoil PSR, mettere in campo le risorse necessarie alla politicadi conservazione attiva e di naturalità diffusa.E quanto al turismo, è evidente il vantaggio reciproco di

entrare in sinergia, piuttosto che in conflitto. Il connubiotra un sistema capillare di aree protette di grande valorescenico e naturalistico e, nei parchi, anche già ben organiz-zato, e un’organizzazione di promozione turistica che vantaottime carte in termini di professionalità e di risorse econo-miche come Trentino Marketing, può sostenere l’immaginedi un Trentino di qualità, naturale, bello, ben gestito e fardecollare un progetto di turismo sostenibile basato sull’i-dea del Trentino come «Terra dei parchi», allo stesso modoin cui è la Terra degli sport invernali. Con quel che conse-guirebbe, in termini di disponibilità finanziarie alla conser-vazione, per sostenere l’autenticità di questa immagine.Questa strategia di sussidiarietà verticale e orizzontale

richiederà necessariamente l’attivazione di processi parte-

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cipativi reali, per forum territoriali in tutti gli angoli dellaProvincia di Trento, con il fondamentale coinvolgimentodelle istituzioni, delle categorie, delle associazioni e deisemplici cittadini, costruendo relazioni con quelle parti del-la società finora rimaste estranee alla cultura ambientale. Potrà scattare così un doppio click culturale in grado di

sdoganare le aree protette: in orizzontale, per quanti inten-deranno partecipare con propri investimenti ad un progettodi crescita senza degrado, una radicata comprensione delvalore economico della tutela della natura e dei servizi eco-sistemici; mentre, in verticale, sarà l’occasione per renderedavvero popolare il tema della conservazione, facendo levasulla tradizione di buon governo e sull’orgoglio di sentirsicustodi di un territorio, così che i principi della tutela dellanatura riemergano come un patrimonio culturale condivisodella nostra comunità e come una nuova «Regola» di ge-stione territoriale.

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PARCHI E BIODIVERSITÀ,NELLE POLITICHE DELL’UE

Massimo Sargolini

Le questioni dei parchi, nel nostro paese, si sono pre-sentate, per troppo tempo, in modo asfitticamente separa-to rispetto alle questioni territoriali. Da questa concezioneè discesa una legge quadro sulle aree protette (1991) cheha preferito parlare di sostitutività del piano per il parco ri-spetto ad ogni altro strumento urbanistico piuttosto che diraccordo tra i diversi livelli della pianificazione. Sullosfondo, purtroppo, c’è una paura ancestrale che l’ambien-talismo nostrano ha nutrito, per tanto tempo, per tuttoquello che può essere riconducibile all’azione «diabolica»del progetto.

Avanzamenti europei (Convenzione europea per il pae-saggio, numerosi appuntamenti guidati dall’IUCN, a partiredal decalogo di Adrian Phillips) hanno mosso acque sta-gnanti sebbene non siano mancate le consuete opposizioni,… Malgrado tutto, il cambiamento è in atto e, finalmenteanche in Italia, si scopre che non è possibile intervenire su-gli ambienti di pregio solamente conmere azioni difensive.

Il paesaggio potrebbe avere un ruolo straordinario nelraccordare le politiche ambientali con quelle territoriali male frange più retrograde dell’urbanistica (che imperversa-no) ancora sembrano non comprendere che è necessariomettere in conto un rapporto proattivo con queste temati-che e non considerarle altra cosa rispetto all’Urbanistica.Peraltro, se c’è una vera novità che la Convenzione europeaper il paesaggio introduce è proprio quella di invitare il pae-saggio a fare i conti con la questione territoriale nelle suemolteplici espressioni.

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160 Massimo Sargolini

L’ampiezza e l’intensità del rapporto tra città e natura èstata fino ad ora utilizzata, e soprattutto intesa, come un’ar-gomentazione condivisa ma di ordine superiore che riman-dava ad una complessità estranea al disegno urbano, pocopertinente rispetto ai problemi contingenti locali, ammini-strativi e produttivi, priva di ricadute sulle scelte operativelocalizzative, attuative e di dettaglio.

Se provassimo a monitorare le ricadute che piani per ilpaesaggio o piani di grandi parchi hanno avuto nel disegnodel territorio, alla scala comunale, ne discenderebbe un ri-sultato piuttosto avvilente. Principi e nuovi paradigmi chela questione ambientale solleva, privi delle necessarie im-plicazioni pratiche e operative, di disegno e di gestione, erelegati ad un’altra temporalità, non incidono sulle trasfor-mazioni relativamente rapide dell’urbanizzazione diffusa ediventano una giaculatoria di buone intenzioni.

Le aree protette toccando, in modo diretto e indiretto,più di un terzo del territorio italiano potrebbero invece di-venire (insieme alla rete delle infrastrutture ambientali, alsistema delle aree residuali e di quelle dismesse) i nuoviancoraggi spaziali nella riorganizzazione territoriale. Pur-ché questi elementi si considerino componenti della strut-tura del territorio e non paramenti di pura cosmesi per ladefinizione di equilibri formalmente ed esteticamente de-gni di nota.

La pervasività di queste tematiche dovrebbe far rifletterechiunque si interessi di governo del territorio, ma questasembra una via difficile da percorrere in Italia e la UE nonha titolo per intervenire sulle questioni del governo del ter-ritorio dei singoli paesi.

Però la UE potrebbe vigilare affinché l’accesso ai finan-ziamenti europei che interessano la gestione del territoriorisponda a logiche di sistema, con particolare attenzione airapporti tra:

1) le politiche per la biodiversità e quelle per il paesaggio;

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Parchi e biodiversità, nelle politiche dell’UE 161

2) le politiche per la biodiversità e quelle per l’infrastruttu-razione ambientale;

3) le politiche per la biodiversità e quelle per l’agricoltura;4) le politiche per la biodiversità e quelle per il fabbisogno

abitativo;5) le politiche per la biodiversità e quelle per i trasporti.

Riguardo ad ognuno di questi punti, qualcosa si sta, ti-midamente e parzialmente, muovendo, nei recenti provve-dimenti della UE. Potrebbe prodursi, tuttavia, una più strut-turata e argomentata valutazione sistemica che andrebbe aincidere, finalmente, sul governo del territorio.

E i parchi?Essi potrebbero considerarsi i campi privilegiati di appli-

cazione delle succitate, feconde, interazioni. Insomma, lanuova stagione dei parchi potrebbe essere stimolata da im-pulsi che toccano, finalmente, la sfera delle opzioni nelcampo del governo del territorio alle diverse scale e nei di-versi settori di intervento.

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I PARCHI DELLA LIGURIACRESCIUTI CON IL CONSENSO

Dario Franchello

Il documento di San Rossore inizia con queste parole: «Iparchi naturali e le altre aree protette rappresentano oggiun baluardo contro le dilaganti aggressioni nei confrontidel territorio e della biodiversità e costituiscono una spe-ranza per il futuro perché sono straordinari laboratori dovesi realizzano modelli di gestione che dimostrano come siapossibile coniugare conservazione e sviluppo e porre alcentro il rapporto persona-natura».

Lo condivido in pieno e ho chiesto di intervenire oggi per-ché oggi è importante lasciare una testimonianza, è impor-tante dire che l’impegno, il lavoro le buone pratiche di chinei parchi crede ed ha creduto non deve andare disperso.

Lamia è la testimonianza di un’esperienza personale maanche collettiva, di un gruppo di presidenti, di direttori, diconsiglieri, e di tanti operatori che in 15 anni di intenso la-voro hanno dato vita in Liguria, ad un sistema di parchi e diaree protette complesso ed articolato a protezione della bio-diversità dei monti, delle valli e del mare.

Noi siamo stati i protagonisti e nello stesso tempo i testi-moni di un cambiamento culturale: le popolazioni localiche fino a dieci anni fa temevano i parchi, ora li richiedonoe li vogliono a protezione e valorizzazione dei loro territoridi maggiore pregio.

Il sistema dei parchi e delle aree protette ha contribuitoa modificare la percezione nell’immaginario collettivo dellaLiguria un tempo posizionata sull’industria costiera pesan-te, sulla portualità e sul turismo di spiaggia, oggi propositi-va anche di un territorio interno ricco di suggestioni am-

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bientali, naturalistiche, storico-culturali e paesaggistiche.La stessa rete sentieristica del sistema dei parchi liguri

sta assurgendo ad infrastruttura per un nuovo modello diturismo sostenibile tutt’altro che secondario.

I parchi hanno cessato di rappresentare, nell’immagina-rio collettivo, i luoghi dei divieti e in questi ultimi annistanno andando mano a mano a configurarsi come i luoghidella consapevolezza, della conoscenza, della cultura.

Oggi è ampiamente diffusa la consapevolezza che il pa-trimonio di biodiversità, di geodiversità, di paesaggi, esisto-no sì di per sé, ma non possono prescindere dalla consape-volezza umana: la protezione e la valorizzazione si muovo-no sui passi della conoscenza e dalla consapevolezza, sulmodello di approccio al territorio promosso, diffuso e prati-cato nei parchi e nelle aree protette.

Io credo che i momenti di grande scambio culturale comequello odierno debbano avere la capacità di proporre sugge-stioni in grado di influenzare il sentire profondo di ampistrati della popolazione. Oggi il sistema dei parchi può farlo,deve trovare i linguaggi e le immagini appropriate.

Penso che siamo tutti concordi nell’affermare che la po-tenza dell’immagine dell’Italia nel mondo, anche nell’im-maginario delle popolazioni più distanti da noi, sia quelladell’Italia delle città d’arte e degli antichi borghi comunali.È un patrimonio che l’Italia ha ereditato e che la rende uni-ca tra le nazioni della terra. È l’occasione di affiancare aquesta anche l’immagine dell’Italia dei parchi e delle areeprotette, le città e i comuni come i luoghi della storia e del-l’arte, del paesaggio costruito.

I parchi e le aree protette come i luoghi della cultura edei saperi della biodiversità marina e terrestre, della geodi-versità, dell’infinita varietà dei paesaggi.

Io che faccio serate di racconti e diapositive alla scopertadel parco reginale naturale del Beigua, ogni volta ho comel’impressione di far aprire ai presenti una nuova finestra alsalotto di casa loro: una finestra da cui possono vedere ciò

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I parchi della Liguria cresciuti con il consenso 165

che già conoscevano ma che non avevano mai visto in quelmodo e con quella consapevolezza.

Quando un biancone cessa di essere un comune rapace ediventa l’aquila dei serpenti che ha percorso 10.000 kmper giungere sul tetto di casa tua vuol semplicemente direche il Parco ha fatto bene il suomestiere.

Quando una pietraia diventa Block Field, campo di pie-tre, riconosciuto un bene dell’umanità dall’Unesco, il parcoha fatto bene il suomestiere.

Quando un sasso poroso posizionato in giardino acqui-sta la dignità di un corallo, di una antica barriera corallinache sta nel terreno di casa tua, anche allora il parco ha fattobene il proprio mestiere.

È in quel momento e solo in quel momento che diventasignificativo essere cittadino di un parco e da quel momen-to ne puoi andare fiero.

Il tuo territorio vale di più, il sapere lo ha arricchito divalore.

Non aggiungo altro, non voglio trarre conclusioni, ho in-teso inserirmi in un momento di grande cultura collettivacon la mia personale esperienza, con la speranza che ancheuna piccola tessera in un puzzle assi complesso ed articola-to come quello che andiamo delineando oggi possa avere ilsuo significato e la sua importanza.

Dopo avere ascoltato attentamente il dibattito di Firenzee, incoraggiato dalle accorate raccomandazioni di GianluigiCerruti a non avventurarci ora, nell’attuale situazione par-lamentare, in rischiose ipotesi di modifiche alla legge 394,rafforzerei ancor più il mio pensiero aggiungendo che i par-chi oggi ci sono, nazionali e regionali, a volte anche comu-nali e in molte regioni sanno fare sistema. Che la legge pre-veda uno o due piani poco importa purché quelli che nonne hanno se ne dotino e tutti li attuino al meglio. Tutti ab-biamo la consapevolezza che i parchi di oggi sono comun-que i principali portatori di buone pratiche per la protezio-ne della natura: più di quante se ne conoscano. Ed allora si

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sospenda per un po’, in attesa di tempi migliori, ogni arro-vellamento per migliorare la legislazione vigente o sensibi-lizzare governi e ministri insensibili. Si prenda tempo, si la-vori con chi c’è e con chi ci sta e, sostenuti da Federparchi,dalle Regioni amiche, dagli amici di San Rossore e dall’as-sociazionismo, si trovi il modo giusto di fare notizia con lebuone pratiche dei parchi. Si usi la collana ETS diretta ma-gistralmente da Renzo Moschini per scrivere e si faccia inmodo che ogni reintroduzione, ogni specie salvata dall’e-stinzione, ogni habitat rimodellato, diventi la Notizia delparco che ha realizzato il progetto e nello stesso tempo ilvanto e l’orgoglio dell’intero sistema nazionale dei parchiitaliani. Si valorizzino le connessioni nazionali ed interna-zionali che oggi sono attive: intese, Convenzioni, progettiInterreg, reti internazionali come quella dei Geoparchi e sicompia un grande sforzo collettivo e collaborativo perdiffondere la conoscenza dell’enormemassa di attività che iparchi, con poca spesa per la collettività, quotidianamenterealizzano. Si faccia di ogni sistema territoriale gestito daun parco, una cartolina di unica bellezza da spedire al mon-do intero. I parchi e gli addetti ai parchi rinuncino al rac-conto delle loro quotidiane difficoltà, che pure sanno supe-rare benissimo, perché sulla strada delle lamentazioni tro-veranno sempre compagnie agguerrite e poco indulgenti. Siconvertano piuttosto alla narrazione convinta dei loro pro-getti, dei loro obiettivi e dei loro numerosi successi: nessunaltro lo può fare e nessun altro lo farà. Se vogliamo rilancia-re i parchi dobbiamo incominciare a descriverli e narrarli inmodo innovativo, diverso, convincente e convinto, ma so-prattutto solidale e corale. Dobbiamo saper comunicare al-l’opinione pubblica che nei parchi italiani, nazionali, regio-nali provinciali e comunali, agisce una comunità con unacultura variegata ma omogenea, con un progetto complessi-vo per l’Italia intera, con l’obiettivo primo della protezionedella natura ma con il fine sovrano e dominante della tuteladella salute umana.

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IN TOSCANA DOPO SAN ROSSORE: AREE PROTETTE ED ALTRO ANCORA

Antonello Nuzzo

Gli esiti del documento di San Rossore dell’ottobre 2010e dell’assemblea del gruppo nel febbraio 2011, oltre ad of-frire i necessari riferimenti al quadro nazionale ed interna-zionale nel merito di un rilancio della questione complessi-va delle aree protette e della loro legge quadro, aprono an-che la via ad una riflessione applicativa sulle singole realtàregionali e sul «che fare» relativo alle problematiche ri-scontrabili in tale ambito.

Al riguardo, venendo al caso toscano, questo è abbastan-za indicativo dello stato avanzato di una involuzione nellapolitica complessiva delle aree protette: caso rilevante nelquadro nazionale per età dell’esperienza maturata a partiredalla prima legislatura regionale, per quantità e caratteriz-zazione dei casi nelle varie tipologie e responsabilità istitu-zionali implicate, per diffusione territoriale dell’impegnogestionale attivato anche con il coinvolgimento di rapportiinterregionali.

L’esperienza toscana, dunque, negli aspetti significativi,sia positivi che negativi, richiama l’attenzione sulla neces-sità di considerare soprattutto le aree protette nel loro com-plesso non parzializzando le questioni in discussione ai soliparchi; infatti qui, nei soli termini quantitativi risultanti da-gli elenchi ufficiali, ai 3 parchi nazionali ed ai tre parchi re-gionali si accompagnano a tuttoggi 3 parchi provinciali, 35riserve statali, 45 riserve provinciali, 59 aree naturali pro-tette di interesse locale: tutte aree istituite a termini di leg-ge la cui superficie, aggiunta a quella dei siti di biodiversitàdella Rete Natura 2000, supera il 10% del territorio regio-

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nale, ma, quel che più conta, interessando oltre la metà deicomuni e tutte le province.

In una sintesi schematica si può dire che in Toscana learee protette ci sono, costituiscono una presenza avvertitae, salvo casi irrilevanti, non sono restate sulla carta; quelloche sempre più sta venendo a mancare, invece, è una politi-ca adeguata alla situazione, non solo quantitativa, venutasia creare, nel bene e nel male, attraverso i consuntivi offertidai cinque programmi triennali per le aree naturali protettesuccedutisi dal 1995 ad oggi: e tale condizione trova evi-dente riscontro non solo nella crisi della politica nazionaleevidenziata dal documento di San Rossore, ma anche inquella locale oltre che in ambito complessivo regionale.

Nella passata legislatura regionale ogni aspettativa edimpegno si è orientato, per quanto senza esiti conclusivi,verso il rinnovo della prima legge sulle aree naturali protet-te del 1995, applicativa della legge quadro, avvertendosenepiù che altro l’età avanzata; oggi alla questione ancoraaperta si aggiunge con ben maggiore drammaticità l’evane-scenza sempre più accentuata di un disegno complessivo disistema a cui sembrava tendere sin dall’inizio, almeno nel-le intenzioni, la politica regionale in materia: il rapido suc-cedersi e l’estendersi degli impegni istitutivi nelle varie ti-pologie apriva l’aspettativa, ben oltre la elementare som-matoria delle singole situazioni, di un rapporto consapevo-le di integrazione di tutte le aree protette tra loro e con la re-te delle biodiversità, e soprattutto tra loro ed un contestoambientale, territoriale e paesaggistico ma anche economi-co e sociale della regione, non limitato al ristretto ambitodelle aree contigue prevedibili per i parchi.

Nonostante il ricorrente riferimento al sistema, finorarestato ad ogni scala sempre nominale, la mancanza di in-dicazioni e fatti concreti nella sua definizione e l’aggravarsidelle conseguenze operative costituiscono oggi una derivaverso la settorializzazione e marginalizzazione di tuttoquanto riguarda le aree protette in Toscana: il contrasto a

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In Toscana dopo San Rossore: aree protette ed altro ancora 169

tale tendenza richiede ormai priorità assoluta rispetto alrinnovo promesso della legge regionale ed è necessaria-mente destinato a condizionarne inevitabilmente contenutied obiettivi.

Nel frattempo, come primo risultato della situazione, learee protette si chiudono sempre più nel loro isolamento: ef-fetto di un condizionamento conseguente a mancati o falsatirapporti con l’esterno, ma anche, spesso, come scelta versouna sopravvivenza apparentemente meno problematica; al-la straordinarietà e specificità propria della missione istituti-va, restata potenziale, si sostituisce il ripiegamento nella ba-nalità e nell’ovvietà di un ruolo secondario di pro-loco osemplice agenzia di marketing territoriale e turistico; ripiegoaccettato autonomamente o, in molti casi, appena consenti-to dai condizionamenti in cui si è costretti ad operare.

Ad evidenziare questo graduale tramonto dell’idea di si-stema ed a riprova dell’aggravarsi delle concrete conse-guenze, è significativo il caso offerto dall’avvio del nuovocorso regionale di governo del territorio, con l’applicazionedi specifiche leggi all’inizio del secolo, attraverso la forma-zione del PIT – il piano di indirizzo territoriale della Tosca-na – nella formulazione oggi vigente e nell’adeguamento incorso d’opera della sua valenza paesaggistica secondo il Co-dice dei Beni Culturali e del Paesaggio.

Ebbene: salvo riferimenti parziali ed episodici si può di-re che nell’attuale piano regionale non vi sia traccia dellearee protette; questo sia come riconoscimento della presen-za di specifici valori che come situazioni di fatto ed espe-rienze di gestione in alcuni casi non trascurabili proprio nelmerito paesaggistico; tale scelta, peraltro immotivata, è de-stinata ad evidenti ripercussioni altrettanto arbitrarie tantonella definizione e perimetrazione, tramite apposita sche-datura, dei vari ambiti paesaggistici in cui è suddiviso il ter-ritorio regionale, che nelle conseguenti misure per gli asset-ti da perseguire e per gli indirizzi e prescrizioni da trasferireai sottordinati livelli di pianificazione provinciale e comu-

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nale: disciplina che prescinde quindi da previsioni e normeintrodotte dal regime speciale vigente, proprio delle areeprotette.

C’è dunque nel PIT più memoria e sensibilità nell’assu-mere integralmente i singoli episodi dei beni paesaggisticidel vincolo statale a partire dal 1939 – spesso irrimediabil-mente datati e nella realtà di oggi pesantemente trasforma-ti con la scomparsa dei valori originari – piuttosto che regi-strare, magari anche criticamente, scelte istitutive semprestatali insieme a quelle più recentemente intervenute diiniziativa della stessa regione: oggi concrete esperienze ge-stionali in atto nelle varie tipologie di aree protette che insede di pianificazione regionale avrebbero potuto costituirefinalmente nel loro complesso la prima traduzione attuati-va di una adeguata ed organica prefigurazione di sistema.

Ad aggravare il significato di questa situazione occorreevidenziare che le contraddizioni nella definizione del PIT,per la mancata coerenza tra le politiche regionali di settoree trasversali, non hanno trovato minimamente riscontronel dibattito durante il procedimento formativo del pianodeterminando possibili correttivi: anche i soggetti istituzio-nali responsabili della gestione delle aree protette – parchi,riserve, aree naturali protette di interesse locale – hannoscelto la via del silenzio, rinunciando sostanzialmente a farvalere il loro ruolo di responsabili dell’eccezionalità dei va-lori in gioco, accettando di scomparire sulla scena della pia-nificazione regionale, defilandosi dalle problematiche indiscussione.

In attesa che il PIT trovi una configurazione definitivaufficializzando la sua valenza di piano paesaggistico, afronte dell’insostenibilità delle contraddizioni evidenziate,resta oggi comunque ancora impregiudicato un ripensa-mento sulla presenza e collocazione delle aree protette; unariflessione al proposito oltre ad essere ragionevole in sestessa può costituire, precedendolo, il migliore avvio per laripresa del lavoro sulla disciplina regionale in materia; me-

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In Toscana dopo San Rossore: aree protette ed altro ancora 171

glio se gli Enti Parco e le Province si renderanno protagoni-ste di un rinnovato interesse in tal senso: è infatti una occa-sione non solo per rompere il silenzio e l’isolamento e ma-terializzare l’esistenza delle aree protette ma anche qualepresupposto per proporsi come sistema complessivo da in-tegrare al contesto offrendo nel contempo al governo delterritorio e del paesaggio in Toscana l’opportunità di quali-ficare la sua azione attraverso la straordinarietà di risorsenaturalistiche, culturali e storiche, peraltro già riconosciu-te, utilizzando potenzialità consolidate ed esperienze ge-stionali ancora significative.

Al proposito, di fatto, le province di Siena, Grosseto, Pisapossono vantare interessanti risultati nella gestione unita-ria delle loro riserve; da tempo si sono positivamente speri-mentate forme progettuali coordinate tra più aree per l’uti-lizzo di finanziamenti comunitari; inoltre non va dimenti-cato come la Toscana, insieme alla Liguria ed all’Emilia Ro-magna, ha contribuito da protagonista a dar seguito, casounico in Italia, ai progetti di sistema delineati dalla l. n. 426/ 1998 e poi abbandonati dall’iniziativa governativa: comeprosecuzione del progetto APE – Appennino Parco d’Europa– il progetto «Parchi di Mare e d’Appennino» costituisce in-fatti un indirizzo unitario di attività tramite l’intesa tra leregioni e vari parchi nazionali e regionali; qui, come neglialtri casi ricordati, oltre a concretizzarsi finalmente l’idea disistema, si pone in atto di fatto un ambito di leale collabora-zione interistituzionale non trascurabile anche per le suepotenzialità di generalizzazione ad altre situazioni.

Al momento attuale, dunque, solo dopo aver risolto insede di PIT le questioni relative al riconoscimento dellearee protette e del loro ruolo, individualmente e come siste-ma, si potrà passare ad una revisione della legge regionalen. 49 / 1995 che vada oltre il suo semplice svecchiamento,come le attuali circostanze richiedono, affidando a tale se-de, secondo gli esiti del necessario chiarimento, la defini-zione di strumenti e procedure utili ad attivare il concorso

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dei vari livelli di competenza, questa volta in ambito inte-grato ed unitario, quale espressione dell’impegno alla lealecollaborazione tra istituzioni diverse.

Nel merito dei contenuti di legge, per un ripensamentosull’evoluzione più che trentennale dell’esperienza in ma-teria e sulla disciplina che l’ha resa possibile, il documentodi San Rossore ed il dibattito conseguente possono dare in-dicazioni utili, anche in Toscana, ad affrontare finalmente itemi d’attualità quali – tra l’altro – la riclassificazione dellearee protette in base a criteri di scopo, la semplificazionedelle procedure e della strumentazione previsionale e nor-mativa, l’adeguamento della rappresentatività negli organi-smi direttivi, il monitoraggio della pianificazione e gestionesecondo criteri e parametri di valutazione predefiniti, le mi-sure d’incentivazione.

Il rilancio dell’identità delle aree protette, nella prospet-tiva aperta dal documento di San Rossore, deve partire dalriconoscimento della straordinarietà dei valori in gioco edalla conferma del loro regime speciale sanciti dalla leggequadro insieme al principio della priorità da assegnare alsostegno finanziario della loro azione; quindi, solo nella lo-gica di sistema può garantirsi l’integrazione delle aree pro-tette tra loro e con la rete delle biodiversità, insieme al con-corso delle politiche ambientali e di quelle territoriali e pae-saggistiche, economiche e sociali quale campo d’azione daparte della leale collaborazione interistituzionale attraver-so forme di copianificazione: leale collaborazione indispen-sabile per un corretto approccio interscalare alle problema-tiche complessive che oggi minacciano i risultati consegui-ti, ma anche occasione non secondaria per realizzare, negliaspetti dell’operatività del sistema, importanti economie discala utili ad affrontare le progettualità nelle ristrettezze fi-nanziarie del momento.

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* Responsabile del Servizio pianificazione territorio dell’Ente Parcoregionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli.

RIFLESSIONI INMARGINE AL PRIMO INCONTRODEL GRUPPO DI SAN ROSSORESPUNTI PER UNA VALUTAZIONEDELLA SITUAZIONE TOSCANA

Andrea Porchera*

L’incontro del 28 febbraio a Firenze, positivissimo in ter-mini di partecipazione sia per qualità che per numeri (questiultimi nonme li sarei davvero aspettati), mi ha lasciato qual-che strascico di perplessità ed una certa sensazione di statoconfusionale. Soprattutto per quel che ame parrebbe emer-gere in termini di politiche generali di tutela del territorio enello specifico di salvaguardia dell’ambiente e degli ecosiste-mi naturali. Provo così a tracciare gli spunti che le illustrazio-ni e la discussionemi hanno richiamato. Dapprima: inmolterelazioni sono riemerse definizioni come valorizzazioni, con-certazioni degli enti locali, ignoranza o scarsa sensibilità del-le popolazioni, necessità di azione diretta dei comuni e delleamministrazioni elettive e via di seguito. Ora, trenta più omeno anni di storia della materia (parchi, ambiente, ecc.),hanno stra-lastricato le vie dell’inferno con questi concetti equeste intenzioni. Non è il caso di rammentare, ad esempio,quali scempi e disastri si siano perpetrati in tutto il suolo pe-ninsulare sotto il termine «valorizzazioni».In questo quadro (purtroppo) non ho invece sentito no-

minare una parolina che ritengo sia la chiave di volta perserie e concrete politiche di tutela del territorio e di salva-guardia della natura, che è: «vincolo». La qual cosa, congrande rammarico, mi fa intendere che, nonostante i tantianni passati, possa essere ancora un tabù: un concetto edun azione di cui discutere forse solo nelle segrete stanze di

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qualche carboneria ambientalista? L’accezione pervasiva-mente negativa del concetto di vincolo ho sempre ritenutofosse addirittura uno contro senso in termini. Siamo infatticostantemente circondati da vincoli, forse senza neancheaccorgersene, che ci permettono di vivere, sopravvivere edoperare; ad esempio tutte le nostre articolazioni sono deivincoli e senza di esse non saremmo in grado di muovereun solo passo o di fare alcunché, o ancora ad esempio la tra-ve che probabilmente regge il pavimento su cui ora sedia-mo davanti al nostro computer sta lì e ci può reggere graziead un vincolo (strutturale, senza i quali qualsiasi costruzio-ne rovinerebbe miseramente al suolo), e via di seguito gliesempi potrebbero essere centinaia. Dunque vincolo non èassolutamente qualcosa di negativo, ma qualcosa che, mipare, fondamentale per vivere. Che vincolo voglia ancorasignificare il non potere fare nulla, e chi si occupa di am-biente assecondi ancora questa idea, è sconfortante di fron-te allo scenario ambientale mondiale contemporaneo. Vin-colo, lo ri-sottolineo con la via del paragone, è piuttosto lapossibilità di camminare, correre, saltare con gambe chefunzionano correttamente e non la condanna di vagare congambe disarticolate come unamarionetta rotta. Questo con-cetto, anche e soprattutto dopo l’incontro del 28, nonmi pa-re ancora chiaro ai più, e tra i più metto (conmolta preoccu-pazione) per primi operatori ed amministratori di parchi odei settori che si occupano di ambiente.Così magari si afferma che è colpa della gente: poco sen-

sibile o ignorante o scarsamente interessata sul tema,quando invece giusto qualche domenica fa mi sono ri-ritro-vato nel bel mezzo di centinaia di persone, fatte di nomalifamiglie con bambini, di gitanti, di studenti e di qualche ap-passionato della vita all’aria aperta, i quali, con il solo pas-saparola ed un po’ di tam-tam su internet, armati delle solemani ripulivano le dune del Parco a Migliarino dall’immon-dizia presente e godevano con gran gioia una giornata diprimo sole primaverile sulla costa toscana (protetta!).

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Riflessioni in margine al primo incontro 175

Una seconda valutazione, comunque strettamente con-nessa alla prima, la riservo al ruolo assunto, o che deve es-sere assunto, dai parchi. Premetto soltanto che ne rifletteuno, il quale ritiene che i parchi in un mondo ideale e per-fetto non dovrebbero esistere, tanto per estremizzare il con-cetto: ossia che i parchi dovrebbero essere un modello, unviatico, di corretta, equa e sostenibile gestione territoriale(soprattutto in una realtà come quella italiana), al qualetutti dovrebbero tendere e che pertanto allorquando talemodello si sia diffuso, la forma parco avrebbe assolto il suocompito e dovrebbe essere automaticamente assorbita nel-la normale gestione del territorio.È proprio da qui che potrebbe/dovrebbe partire il ruolo

dei parchi, chiarendo, e chiarendosi, il concetto di vincolo:proprio in quanto ad oggi gestori (spesso più potenziali chereali) del vincolo ambientale rivolto alla salvaguardia diecosistemi, biodiversità, aspetti legati alla vita in genere(bio), e dunque di uno dei più importanti vincoli per salva-re il nostro paesema forse il pianeta intero.Ancora però non ho capito (e l’incontro del 28 nonmi ha

aiutato a capire) se le politiche di gestione del territorio (inItalia ma anche e soprattutto in Toscana) riconoscano taleruolo ai parchi. Ripeto che non sono affezionato al modelloparco in quanto tale, ma a reali e concrete politiche di tuteladel territorio e di salvaguardia dell’ambiente: si! Pertanto seil modello parco non lo si ritenesse adeguato, si dica chiara-mente chi si deve occupare di seria tutela del territorio e diefficace salvaguardia ambientale, stante che in giro, tra leamministrazioni attuali, dalla mia esperienza, vedo pochideputati e conmezzi adeguati per occuparsene veramente.Resta difficile capire cosa ancora oggi ci sia da concerta-

re, e con chi; ovvero se ancora non sia chiaro che, quandoragioniamo di tutela del territorio e di salvaguardia del-l’ambiente, stiamo ragionando del ramo su cui siamo sedu-ti, dunque delle prospettive di vita su questo pianeta. Vo-glio dire se è ormai convinzione a livello strategico (forse

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neanche tanto solo a livello nazionale e regionale ma globa-le e planetario) che siano necessarie politiche di salvaguar-dia ambientale, si devono fare, per obbligo, per necessità disopravvivenza, punto e stop.Se allora si evidenziassero oggettivi motivi per cui i par-

chi risultassero strumento non idoneo, magari superato oinadatto ad attuare serie e vere politiche di tutela e salva-guardia, lo si dica chiaramente, senza sotterfugi, senza per-corsi tortuosi, e si propongano nuovi, diversi e più efficacistrumenti (magari anche il dibattito si fa più ricco) per por-tare avanti serie politiche di tutela. Personalmente (ribadi-sco) ritengo i Parchi un mezzo, dunque uno strumento, perraggiungere determinati (ed inderogabili) obiettivi di tute-la, e non un fine (a se stessi); pertanto, come tutti i mezzi,possono anche essere cambiati in funzione di migliori risul-tati da ottenere; senza fare che con una mano si fa finta didare ai parchi, se ne parla, si promuovono rilanci, e con l’al-tra invece, quella più sostanziosa, si sottrae (come talorasembrerebbe negli ultimi anni).Un ultimo breve spunto di riflessione mi sovviene pro-

prio quando si parla di gente, di popolazione, di sensibilità(diffuse o no) nelle opinioni pubbliche. Sottolineo solo que-sto aspetto (anche a precisazione): un conto è la «partecipa-zione» un altro conto e la «concertazione» o tanto peggiol’acquisizione di consenso! La prima coinvolge la gente, ladeve coinvolgere direttamente nei processi decisionali e dipianificazione/programmazione e talora la deve rendereconsapevole e ben informata (e difatti mi pare spesso mar-ginale), la seconda mi sembra coinvolgere ed attirare piùinteressi e lobby (e difatti mi pare sempre più spesso priori-taria o quantomeno tenuta in considerazione).Ecco dunque delineato un personalissimo «stato confu-

sionale», per la poca chiarezza percepita, perché nonmi pa-re sia ancora chiaro se anzitutto si ritengano, da parte ditutti, veramente prioritarie, e necessarie di urgente attua-zione, serie, efficaci ed incisive politiche di tutela del terri-

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Riflessioni in margine al primo incontro 177

torio e di salvaguardia dell’ambiente. Se veramente si riten-ga lo strumento dei parchi (perché alla fine ritengo che talisono e devono essere, i parchi) necessario, utile, proficuo alraggiungimento di tali esigenze di tutela e salvaguardia, op-pure quale ne possano essere concrete alternative.Ed infine una annotazione sulla capacità di uscire all’e-

sterno, di farsi conoscere, di arrivare al grande pubblico daparte dei parchi e dei temi ambientali più in generale (anchequesto tema sollevato inmargine al dibattito di Firenze).Credo, anche qui, che sia solo un banale (banalissimo)

problema di strumenti. Provo a spiegarmi in poche parole. Inostri fini (nel senso di parchi e tutela dell’ambiente), lanostra mission, sono stra-condivisi, stra-apprezzati, stra-ri-conosciuti dalla stra-stragrande maggioranza della gente(lo afferma uno che, per ragioni di ufficio, ha un contatto di-retto quasi quotidiano con la gente che opera, vive, ha pro-blemi, ha a che fare con e in un area naturale protetta).Dunque forse sono solo le modalità con cui comunichiamoche probabilmente non tornano o non funzionano più. An-che qui un esempio sempliciotto: se sto in una stanza dovetutti urlano (e magari dicono cose poco interessanti) e ioparlo sotto voce, anche se dico cose interessantissime, ècerto che non mi ascolterà nessuno (forse una delle primeleggi della pubblicità). Allora credo sia necessario ricorrerea più raffinate e moderne tecniche di comunicazione, so-prattutto di comunicazione di massa. Cosa ne sarebbe se inItalia (ma anche si potrebbe cominciare in Toscana) si pro-muovessero per esempio campagne di sensibilizzazione suitemi ambientali e delle tutela della natura rivolte al grandepubblico, tipo le note pubblicità-progresso ? Si potrebbe co-minciare a ragionare tutti su questi temi?Tutto qui, grazie a chi ha avuto la voglia di avermi letto,

spero di contribuire un poco al dibattito per il rilancio deiparchi, ma soprattutto per il rilancio, ed ancor più per l’at-tuazione, di serie ed efficaci politiche di tutela del territorioe di salvaguardia dell’ambiente.

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* Direttore Parco Nazionale Arcipelago Toscano

IL CORAGGIO DELLA SINCERITÀPER UNANUOVA CULTURA DI TUTELA

DEL TERRITORIO

Franca Zanichelli*

Stritolati dalla verbosità eccessiva dei pro e contro, succu-bi del bisogno di legittimazione, ansiosi di poter far capire co-me riparare un territorio ferito dalla scarsa consapevolezza,isolati e ridotti dal silenzio da un clima politico poco edifican-te, i parchi e soprattutto tutte le persone che operano nellearee protette e per le aree protette, sentono un bisogno fisicodi stare uniti. Finalmente dalla stessa parte. Il coraggio dellasincerità è l’arma più potente se, prima di tutto, ci si crede.

Partiamo da un assunto evidente: molto spesso la conve-nienza individuale non è la convenienza sociale. La scenapubblica risente di questo problema e la tecnica della per-suasione è una via inevitabile per esortare gli individui e,soprattutto la pluralità civica delle comunità locali, a com-portamenti tesi al perseguimento di interessi collettivi.

I parchi, più di altri Enti, affrontano nel quotidiano lacritica mancanza di attenzione ai temi di tutela del territo-rio. È una questione vitale comunicare adeguatamente ilconcreto lavoro gestionale dell’Area protetta per potere es-sere riconosciuti quali attori significativi nell’arena delledecisioni. Per questo, i parchi devono funzionare ed esserefunzionali. È fondamentale conquistarsi un ruolo interatti-vo a livello territoriale per manifestare la specificità opera-tiva in un quadro di domande-risposte, bisogni-soluzioni,aspettative-risultati che permea lo sfondo relazionale pro-prio di ciascun ambito locale.

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La difficoltà si accentua perché i parchi trattano dimoti-vazioni etiche e valori immateriali in contesti fortemente de-privati di competenze tecniche sul funzionamento degli ecosi-stemi che finiscono per trascurare le conseguenze economi-che. Può essere anche largamente condivisa la convinzionedei valori della tutela ambientale ma la finalità di salva-guardia delle risorse naturali, che comporta necessaria-mente azioni di rimozione delle cause di depauperamento,non viene percepita come intento pratico positivo ma comeeccessivo controllo, limitazione vincolistica e accanimentopoliziesco.

Il lavoro fondante della gestione fatica ad emergere poi-ché il cittadino non chiede di guarire la malattia (affrontarelogicamente il problema) ma di non fare apparire i sintomi(eliminare gli effetti indotti). La distanza di visione tra chiopera per affrontare le cause di vulnerabilità (il mondo deiparchi) e chi si aspetta una rapida soluzione di «riqualifica-zione» certificata dalla presenza del vincolo di area protetta(comunità locale, amministrazioni locali e generali delloStato) si allarga fino a diventare pregiudizio e peccato origi-nale. I parchi vengono dipinti come «soggetti autoreferen-ziali», che decidono ed operano senza coinvolgere la comu-nità. Secondo questa visione distorta sarebbero imposti co-me le tasse, calati dall’alto, carrozzoni burocratici distantidal cuore della gente, finti custodi del sapere locale. Granderumore di fondo mai volutamente arginato anche da chi iparchi li ha sostenuti perché troppa impopolarità non giova.

Quale può essere il rimedio? In modo crudo: intrapren-dere un percorso di persuasione dei portatori di interessi. Lacomunicazione persuasiva è una competenza, richiede ta-lento e applicazione, poiché si tratta di «trasmettere» infor-mazioni comprensibili e contenuti immaginabili a chi li de-ve ricevere. Codici di categorie: giusto/sbagliato, vero/falso,sono i marcatori dell’opinabilità sui quali è lecito giocare lapartita della condivisione di un senso possibile. Perché lodobbiamo fare? Perché abbiamo davvero bisogno del rico-

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noscimento e dobbiamo constatare che non ne possiamo fa-re ameno se vogliamo difendere l’identità dei parchi.

Come accrescere il valore dell’identità? Come si conqui-sta la benevolenza? Cosa si può mettere in gioco? Quale op-portunità si vuole conseguire? Capitalizzare nel fare o inve-stire maggiormente nel dire quello che si fa o si farà? Maquil-lage o sostanza? Il processo di produzione di senso per lapersuasione è fondamentale ma è opportuna la confezioneseduttiva del messaggio.

Ci dobbiamo porre apertamente queste domande e di-scuterne. Le tecniche della pubblicità fanno miracoli, comepossiamo constatare oggi nella scena politica nazionale. Unmix di ingredienti di volta in volta utili possono corroborarel’affermazione di linguaggi più idonei a comunicare corret-tamente anche elaborazioni più complesse. È evidente cheil tornaconto personale ha più fascino di una valutazioneetica, soprattutto di questi tempi. I beni immateriali posso-no raggiungere l’immaginario individuale e collettivo se sievocano le emozioni.

I parchi hanno attraversato ormai diverse stagioni: daEden della natura della fase primordiale, sono diventati uffi-ci di collocamento, agenzie di promozione turistica, agenziedi sviluppo locale. Lo hanno fatto per volontà e per neces-sità. In un certo senso hanno investito meno sul valore posi-tivo dell’essere «luoghi autorevoli di pregio». Per molti learee protette sono strane enclave: non devono esistere per-ché tutto deve essere parco (visione teorica della conserva-zione agitata spesso in ambienti scientifici e politici progres-sisti), oppure all’opposto perché tutto deve essere libero (vi-sione comune nei contesti inneggianti all’identità populistalocalistica). Se un parco c’è, allora deve risolvere e guariretutti i problemi emergenti. Nella ridda delle competenzepubbliche non c’è verso di far comprendere i confini operati-vi propri dei parchi. Questi rumori disturbano e fiaccanol’immagine positiva che viene percepita a distanza e alimen-ta il paradosso: i parchi ci voglionoma non a casa nostra.

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Cosa deve garantire allora un parco?La connotazione di soggetti pubblici, quali Enti o co-

munque istituzioni di vario tipo, animate da poche persone(presidente e direttore) che ci mettono la faccia è lo spec-chio sul quale dirottare tutte le aspettative e infrangere igiudizi. Tutto ciò perché si devono spesso applicare normedi rango nazionale alla scala territoriale riducendo la tem-peratura e l’interlocuzione quotidiana alla dicotomia piùbrutale: si può/non si può per fare rispettare le regole daicontinui assalti. Si ritorna allora alla persuasione e al tem-po necessario per comunicare e per ascoltare. Comprenderee avere la possibilità di regolamentare localmente in modopreciso ed efficace, sviluppando idonee pianificazioni stra-tegiche, programmazioni coordinate con altri soggetti pub-blici e privati è una carta ancora da giocare con forza. Perquesto occorre il coraggio di intraprendere un patto chenon è corporativismo. Un sodalizio rispettoso delle diver-sità istituzionali ma intenso nella cooperazione e nell’al-leanza per sbrogliare gli impedimenti normativi antagoni-sti e per rafforzare la cultura del valore della custodia delpatrimonio naturale.

Una persuasione che deve circolare prima di tutto den-tro il mondo dei parchi per riaccendere una prospettiva disenso e di realismo democratico, confidando nell’energiache scaturisce dalla forza delle emozioni, dalla solidità del-le motivazioni, dalla consapevolezza della competenza tec-nica. Prerogative che non indicano autoreferenzialità madignità e fierezza di assumere responsabilmente i compitiistituzionali e gestionali attribuiti. Respingere la banalizza-zione e rafforzare il progetto culturale di apprendere, facen-do con forza il proprio mestiere.

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PRIMA ASSEMBLEANAZIONALE DEL GRUPPODI SAN ROSSORE PER IL RILANCIO DEI PARCHI

Claudia Fachinetti

«I tagli stanno uccidendo i parchi!»; «Giù le mani dallalegge 394!»; «più coinvolgimento di amministrazioni e cit-tadini!»; «inquadramento dei parchi in un’ottica interna-zionale!»; «Ridateci il «paesaggio»!»; «i parchi come benecomune, anche in termini economici!». Queste ed altre an-cora sono le considerazioni fatte dai numerosi protagonistidei parchi italiani intervenuti a Firenze, presso la sede dellaRegione, lo scorso 28 Febbraio, richiamati all’appello, inquesto momento di crisi profonda delle istituzioni e non so-lo, da Renzo Moschini, promotore del Gruppo di San Rosso-re per il rilancio delle aree protette.Ad aprire e coordinare i lavori Carlo Alberto Graziani,

professore dell’Università di Siena, che si è complimentato,a nome di tutti i presenti – e di molti assenti – con l’intui-zione di Moschini che ha saputo interpretare in modo varie-gato e complesso la questione «parchi» e le difficoltà attualiavviando una riflessione a livello nazionale che interessitutti quelli che in modo diretto o indiretto sono coinvoltinel sistema delle aree protette, anche a livello culturale, acominciare dagli amministratori dei parchi ma anche uni-versità, istituti, associazioni e naturalmente istituzioni sututti i livelli, fino ai comuni cittadini.«In sole poche settimane – ha detto poi Moschini – dal-

l’avvio del blog sul Gruppo su park.it e dalla diffusione dellebozze dei documenti che oggi presentiamo, le adesioni allanostra causa hanno superato le 750 firme a testimonianzadell’ampia e crescente volontà di «salvare» i parchi italiani.Sì, proprio salvare perché mentre in tutto il mondo i parchi

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sono considerati prioritari e vengono dotati di idonei stru-menti di governance in Italia si è messa in discussione ad-dirittura la loro esistenza, accusandoli di poltronifici e diessere enti inutili quando, al contrario, le aree protette sonoun punto di snodo cruciale per le politiche dei territori dicui sono fonte di aggregazione di enti e di interessi. Così,oggi – ha aggiunto – non ci troviamo solo a dovere rimedia-re ai danni fatti con gli ultimi emendamenti, come quelloche ha levato ai parchi il piano paesaggistico ma dobbiamolottare per la sopravvivenza stessa dei parchi».A portare la loro preziosa testimonianza sono intervenu-

ti al dibattito alcuni presidenti di parco, professori universi-tari, dirigenti e amministratori.Tra questi Dario Franchello, del Parco del Beigua.«L’im-

pegno, il lavoro e le buone pratiche di chi crede e ha credu-to nei parchi – ha detto Franchello che è anche coordinato-re dei parchi della Liguria – non deve andare disperso! Perquesto porto la mia testimonianza che è personale ma an-che collettiva, di un gruppo di presidente, direttori, consi-glieri e di tanti operatori che in 15 anni di intenso lavorohanno dato vita al complesso e articolato sistema di parchie aree protette a protezione della biodiversità, dei monti,delle valli e dei fiumi della Liguria. È grazie ai parchi che ècambiata percezione nell’immaginario collettivo della Ligu-ria, del turismo e dell’approccio al territorio. Per questo og-gi i Comuni non temono più i parchi ma li richiedono, li vo-gliono a protezione e valorizzazione dei loro territori. E iparchi devono continuare a lavorare su questa strada permodificare il sentire profondo della popolazione».Concorde anche Fausto Giovannelli presidente dell’Ap-

pennino tosco-emiliano. «I parchi – ha detto – sono e devo-no essere rappresentativi e protagonisti delle politiche lo-cali, della gestione del territorio e della pianificazione pae-sistica. Per questo occorre che essi sappiano accompagnarela crescita del loro ‘valore’ con la creatività e la capacità d’i-niziativa, per incrementare la buona competitività dei ri-

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spettivi territori. Per rispondere alla crisi i parchi devonoessere propositivi».«I parchi – ha aggiunto Giuseppe Nardini presidente del

Parco delle Alpi Apuane e coordinatore regionale Federpar-chi – hanno già dimostrato tutto il dimostrabile per far capi-re il loro importante ruolo ma oggi sono, siamo, chiamati afare uno sforzo in più per avvicinarci ai luoghi della politicache conta. Così, se vogliamo organizzare un grande evento– come proposto da Moschini e altri – per richiamare l’opi-nione pubblica e le amministrazioni di ogni ordine e grado,dobbiamo pensare a Roma senza aver paura di urlare forte,altrimenti rischiamo di rimanere nell’ambito di un’iniziati-va toscanilizzata quando, invece, il nostro interlocutorenon è la Regione Toscana bensì il governo centrale».All’incontro hanno partecipato anche Annarita Brameri-

ni e Renata Briano, rispettivamente assessore all’Ambientedella Regione Toscana e della Regione Liguria, che vantanotra le loro aree protette molti casi di eccellenze ed esempi dibuone pratichema che si sono subito dovute scontrare con itagli della finanziaria e la crisi culturale che ha messo indubbio il ruolo stesso dei parchi.«Non abbiamo affrontato questa situazione piangendoci

addosso – ha detto Briano – ma come una sfida per trovarenuove modalità di gestione, puntando sul ruolo dei parchicome rappresentanti e interpreti di territori, coloro che pos-sono mettere a sistema Comuni, Province e Regione. Cosìcome oggi sanciamo questa sinergia con la Toscana, allostesso modo è importante coordinarci con le altre Regioni efare rete e azioni congiunte per ottimizzare le risorse ed es-sere politicamente più forti».«Da parte della Regione Toscana – ha detto Bramerini –

c’è una forte volontà di stare a questo tavolo, partecipandoe discutendo con un approccio costruttivo ma è importanteche non si corra il rischio dell’autoreferenzialità. Bisogna,invece, fare massa critica, individuare i punti su cui lavora-re per un coinvolgimento più ampio, fare una riflessione

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con le altre Regioni, con l’ANCI e tutti gli Enti locali e una ri-visitazione delle politiche e delle questioni legate ai parchie al paesaggio, il tutto con una doppia attenzione, nazionalee internazionale».Enzo Valbonesi, dirigente dell’Ufficio Parchi della Regio-

ne Emilia Romagna, è intervenuto in rappresentanza del-l’assessore all’ambiente Sabrina Freda. Ancora una volta letre regioni si sono dimostrate in sinergia e in prima lineaper la tutela dei parchi.«Bisogna riposizionare i parchi – ha detto Valbonesi – in

uno schema più ampio, in un contesto e panorama europeoe non dimenticare strumenti importanti quali la Rete Natu-ra 2000, la Carta della Natura e la Strategia nazionale per labiodiversità. Per raggiungere questo obiettivo servono datioggettivi, obiettivi, indicatori e interlocutori precisi, inqua-drati in un’idea di sistema. È necessario trovare qualcosache parta dal centro, dal cuore dei parchi, ma cresca dalbasso, coinvolgendo i cittadini, come le «associazioni degliamici dei parchi», perché se i cittadini non lo chiederannole istituzioni non faranno niente per rilanciare i parchi».Anche Federparchi, nelle vesti del suo presidente Giam-

piero Sammuri, non ha voluto mancare l’appuntamento el’occasione di discutere possibili «vie di salvezza» per learee protette. Sammuri, più ottimista, non ha dipinto la si-tuazione drammatica come appare ad altri. «Per i parchinazionali – ha sostenuto il presidente di Federparchi – la si-tuazione è migliorata, mentre per quelli regionali dipendeda regione a regione. Per questo è il caso di discuterne sin-golarmente con le amministrazioni competenti rivedendo,dove necessario, anche il numero delle aree protette e stu-diando possibilità di autofinanziamento (non privatizzazio-ne come proposto in altre sede) come del resto prevedevaanche la legge 394 in forme che non sono però mai stateeseguite». Sammuri si interroga sulla necessità e possibilitào meno di portare modifiche legislative ma la maggior partedei partecipanti al tavolo non è d’accordo.

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«Sarebbe un grave errore oggi – ha detto Gianluigi Cerutirelatore sulla legge quadro dei parchi – mettere mano alla394, anzi, sarebbe proprio irresponsabile perché questo Go-verno è «in altre faccende affaccendato» e non è realmenteinteressato a migliorare la situazione delle aree protette,quindi meglio non rischiare di peggiorare le cose. Comun-que, alcuni adattamenti si possono fare a livello ammini-strativo e regolamentare ma non legislativo. Non perché la394 sia un totemma perché arrivare a quel risultato è statauna grande fatica. Alcuni strumenti sono già previsti dallalegge ma non so omai stati attuati, basterebbe farlo. Venen-do al Gruppo qui riunito oggi – ha aggiunto – concordo sul-l’importanza di rimanere aperti andando nei territori deiparchi, coinvolgendo i mas media che non conosco real-mente la gravità della situazione. Il parco è un patrimoniopubblico che va inserito ne piano finanziario perché unbuon valore ambientale è anche un valore economico».Tutti d’accordo su questo aspetto. Per poter incidere bi-

sogna allargare la base del consenso alla conservazione ealla valorizzazione dei parchi. Sensibilizzare l’opinionepubblica su questi temi affinché li sentano come importan-ti, facciano sistema e partecipino al rilancio delle aree pro-tette. Come hanno sottolineato i presenti, le persone devo-no capire che la tutela ambientale è un valore in sé a pre-scindere da ciò che verrà dopo e ha valore economico edestetico. Se anche la 394 non si può toccare è possibile apri-re un percorso innovativo di cambiamento e adeguamentoalle leggi europee considerando poi che i parchi non sonosolo ambientema anche attività umana.«Sarebbe un grave errore ignorare il contesto europeo! –

ha ribadito anche Roberto Gambino professore del politec-nico di Torino che ha riportato i primi risultati emersi daun’indagine avviata dal Centro al fine di stimolare il dibatti-to sulle nuove frontiere per la conservazione.«Cultura, formazione e ambiente – ha aggiunto poi Ago-

stino Agostinelli, presidente del parco dell’Adda nord – so-

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no valori non misurabili ma fondamentali. E i parchi sonouna parte non secondaria del sistema di gestione e tuteladell’ambiente».E il paesaggio lo è dei parchi, o almeno lo era prima

che il codice dei beni culturali lo estirpasse alle aree pro-tette. «Non si può scindere tutela del parco e del paesag-gio – ha detto anche Roberto Saini commissario del Parcopiemontese di Stupinigi ricordando come nel 2009 la leg-ge quadro della Regione Piemonte sia stata impugnata perquesta contraddizione.Altre preziose testimonianze sono arrivate da Giuseppe

Rossi presidente del Parco Nazionale d’Abruzzo, Bernardi-no Romano professore Università dell’Aquila, Franca Zani-chelli direttore del Parco nazionale dell’Arcipelago Toscanoe Ippolito Ostellino direttore del Parco del Po Torinese.Infine, un contributo importante anche dall’Associazio-

ne 394, l’unica associazione ambientalista ad avere uffi-cialmente aderito e partecipato al Gruppo convinta nellavalidità dell’iniziativa e spinta dalla volontà di fare gioco disquadra nella salvezza delle aree protette, con la partecipa-zione del presidente Elio Tompetrini e del vicepresidenteRoberta Emili.«La scarsità di finanziamenti è solo uno dei problemi at-

tuali dei parchi – ha sottolineato Emili –. Tra gli altri c’è peresempio il fatto che gli Enti parco sono costretti a muoversiall’interno di modelli rigidi di gestione amministrativo – fi-nanziaria, di tipoministeriale-tradizionale, non adeguati al-la loro struttura e alla loro missione. Modelli di gestione chenon sono corrispondenti alle aspettative dei cittadini/porta-tori di interessi».«L’incontro di oggi – ha concluso Renzo Moschini – è

stato solo un punto di partenza per discutere della neces-sità di un vero rilancio delle aree protette in questo momen-to di grave crisi internazionale, con l’impegno di tutte leistituzioni, a cominciare da Governo e Parlamento, perché iparchi rappresentano il nodo cruciale per le politiche dei

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territori e l’aggregazione di enti e interessi locali. L’essereriusciti – ha aggiunto – a coinvolgere quanto di meglio neglianni ha prodotto il mondo dei parchi e della ricerca piùqualificata su questi temi ambientali, è un risultato moltoimportante perché lo libera da ogni connotazione politicama anche associativa di parte legittima ma anche limitati-va. Ora qualsiasi iniziativa futura che promuoveremo dovràmantenere una connotazione nazionale e gli impegni as-sunti dagli assessori Bramerini e Briano non potranno cherisultare di aiuto e di stimolo in altri ambiti interregionali,al nord come al sud».

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INDICE

Presentazione [RenzoMoschini] 11

Gianluigi CerutiNon è la legge che va cambiatama la politica 13

Valter GiulianoStrade nuove per percorsi consolidatiFuori dalla crisi per rilanciare un futuro sostenibile 15

Carlo Alberto GrazianiIl ruolo strategico dei parchi 25

Fausto GiovanelliRecupero di competitività, nuovo ‘Made in Italy’:con le politiche di sistema per i Parchi è possibile 29

Agostino AgostinelliSu la testa 33

Ippolito OstellinoStrumenti di pianificazione per i parchi:una spinta e un nuovo ruolo ai piani socioeconomiciVerso piani di valore strategico 39

Giampiero Di PlinioTre-nove-quattroUn fiore di carta sbocciato nel deserto? 47

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192 Indice

Sandro PignattiLe aree protette in una nuova visione del sistema-Italia 73

Nota di Roberto Gambino sul dibattito e il manifestoGruppo di San RossoreInstant Book post meeting di Firenze 95

Nuove frontiere per le politicihe di conservazioneUn sondaggio a livello internazionalea cura diCED PPN - Politecnico e Università di Torino (Diter) 105

Domenico NicolettiAree Protette d’Europa 109

Paolo PigliacelliRete natura 2000 e aree protetteLe convergenze parallele 125

Cesare LasenLa protezione dell’ambiente naturalenel territorio alpino 137

Claudio FerrariIntegrazione e leale collaborazione delle areeprotette del trentino 149

Massimo SargoliniParchi e biodiversità, nelle politiche dell’UE 159

Dario FranchelloI parchi della Liguria cresciuti con il consenso 163

Antonello NuzzoIn Toscana dopo San Rossore: aree protetteed altro ancora 167

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Indice 193

Andrea PorcheraRiflessioni inmargine al primo incontrodel Gruppo di San RossoreSpunti per una valutazione della situazione toscana 173

Franca ZanichelliIl coraggio della sincerità per una nuova culturadi tutela del territorio 179

Claudia FachinettiPrima assemblea nazionale del Gruppodi San Rossore per il rilancio dei parchi 183

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Edizioni ETSPiazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa

[email protected] - www.edizioniets.comFinito di stampare nel mese di giugno 2011

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