PENSIERO INTENZIONALE, SPIEGAZIONI TELEOLOGICHE E ... · Introduzione La teoria dell’evoluzione...

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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA CAMPUS DI CESENA SCUOLA DI PSICOLOGIA E SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DEL COMPORTAMENTO E DELLE RELAZIONI SOCIALI PENSIERO INTENZIONALE, SPIEGAZIONI TELEOLOGICHE E MISCONCEZIONI DELLA TEORIA DELL'EVOLUZIONE. Relazione della Prova Finale in Psicologia Evoluzionistica Relatore Presentata da Marco Costa Alessandro Norfo Sessione II Anno Accademico 2012/2013

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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

CAMPUS DI CESENA

SCUOLA DI PSICOLOGIA E SCIENZE DELLA FORMAZIONE

CORSO DI LAUREA INSCIENZE DEL COMPORTAMENTO E DELLE RELAZIONI SOCIALI

PENSIERO INTENZIONALE, SPIEGAZIONI TELEOLOGICHE EMISCONCEZIONI DELLA TEORIA DELL'EVOLUZIONE.

Relazione della Prova Finale in

Psicologia Evoluzionistica

RelatorePresentata da

Marco Costa Alessandro Norfo

Sessione II

Anno Accademico 2012/2013

A tutti coloro che, con perseveranza, onestà e mente aperta,

cercano di comprendere i fenomeni del nostro mondo.

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Indice

Introduzione 5

1 L’accettazione della teoria dell’evoluzione 61.1 La teoria dell’evoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6

1.1.1 L’intuizione di Darwin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61.1.2 La sintesi moderna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71.1.3 Le prove . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

1.2 Le misconcezioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131.2.1 Validità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131.2.2 Contenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

1.3 L’accettazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171.3.1 Alcuni dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171.3.2 I fattori che influenzano l’accettazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201.3.3 I movimenti anti-evoluzionisti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

2 Teoria dell’evoluzione e psicologia della credenza 252.1 Etologia e psicologia evoluzionistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

2.1.1 Fisica intuitiva e psicologia intuitiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 262.2 L’attribuzione di intenzionalità e scopi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

2.2.1 Spiegazioni teleologiche-funzionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 302.2.2 Le spiegazioni teleologiche nei bambini e negli adulti . . . . . . . . . . 322.2.3 L’origine delle spiegazioni teleologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . 322.2.4 Inferenza di progetto e progettista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 382.2.5 Adattività del pensiero intenzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 412.2.6 Panoramica sulle misconcezioni della teoria dell’evoluzione . . . . . . 432.2.7 Interazione natura-cultura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44

2.3 L’intuitività del tempo e delle probabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 442.4 Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46

3 Possibilità per il futuro 483.1 Insegnamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

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3.1.1 Terminologia ed espressione dei significati . . . . . . . . . . . . . . . 483.1.2 Proposte didattiche nel mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 493.1.3 Proposte didattiche in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 503.1.4 Libri di testo e corsi di biologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 523.1.5 Credenze e teorie scientifiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53

3.2 Approcci nei confronti del creazionismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

Bibliografia 57

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Introduzione

La teoria dell’evoluzione ha ricevuto nell’ultimo secolo un’enorme quantità di conferme empi-riche, al punto da essere ormai considerata dalla comunità scientifica un dato di fatto. Moltevolte è stata sottolineata la sua importanza interdisciplinare e attualmente costituisce un saldopunto di riferimento per tante altre teorie. Nonostante ciò la sua accettazione tra il pubblicogenerale trova ancora molta resistenza e ogni giorno movimenti anti-evoluzionisti si battonoper screditarla e per compromettere il suo insegnamento.

Questo lavoro prende in esame le diffuse difficoltà nell’accettazione della teoria dell’evolu-zione e l’ipotesi che queste siano in parte dovute a meccanismi innati, costitutivi della menteumana.

• Nel primo capitolo presento la teoria dell’evoluzione, le prove che la sostengono, descrivole più comuni misconcezioni diffuse nella popolazione e esamino la situazione attualeriguardo l’accettazione dell’evoluzione, i fattori che la influenzano e i movimenti anti-evoluzionisti.

• Nel secondo capitolo descrivo i meccanismi psicologici che si sono evoluti come adat-tamenti per risolvere specifici problemi posti dall’ambiente e che però al tempo stes-so, come effetto collaterale, contribuiscono alla difficoltà nel comprendere e accettarel’evoluzione.

• Nel terzo capitolo presento alcune iniziative finalizzate a migliorare l’insegnamento dellateoria dell’evoluzione e alcune proposte per facilitarne la comprensione e l’accettazione.Infine discuto gli approcci nei confronti del creazionismo.

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Capitolo 1

L’accettazione della teoria dell’evoluzione

In considering the Origin of Species, it is quite conceivable that a naturalist, reflecting on the mutual affinities of

organic beings, on their embryological relations, their geographical distribution, geological succession, and other such

facts, might come to the conclusion that each species had not been independently created, but had descended, like varieties,

from other species (Darwin, 1859).

1.1 La teoria dell’evoluzione

1.1.1 L’intuizione di Darwin

Il 24 Novembre 1859 viene pubblicata l’opera che avrebbe cambiato il corso della biologia edinfluenzato il pensiero scientifico per i secoli seguenti: On The Origin Of Species, di CharlesDarwin.

Nella natura sono presenti organismi viventi estremamente complessi e adattati all’ambienteche li circonda e fin dall’antichità è prevalsa quella concezione secondo cui ogni specie sarebbestata creata separatamente, progettata per essere adatta alla sopravvivenza in un determinatoambiente. Così gli occhi sarebbero stati progettati per vedere, i denti per masticare.

Questa posizione si trova esposta in maniera esemplare dall’arcidiacono William Paley(1802).

Nell’attraversare una brughiera, supponi io sbattessi il piede contro una pietra,

e mi venisse chiesto come essa fosse venuta ad essere proprio lì; potrei con tutta

probabilità rispondere che, fino a prova contraria, fosse lì da sempre: né sarebbe

forse molto facile dimostrare l’assurdità di questa risposta. Ma supponi anche

che trovassi per terra un orologio, e mi venisse riposta la stessa domanda; dovrei

praticamente riprendere in considerazione la risposta appena fornita per la pietra,

allo stesso modo, fino a prova contraria, l’orologio avrebbe potuto essere lì anche

da sempre. (...) Dev’essere esistito, in qualche tempo, ed in questo o quel posto, un

artefice, o più, a mettere assieme i pezzi dell’orologio comunque, a fabbricarlo, per

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lo scopo al quale effettivamente vogliamo risponda; egli, od essi, hanno compreso

la sua costruzione, e progettato il suo uso. (...) Ogni indicazione di ingegnosità,

ogni manifestazione di design che esistessero nell’orologio, esistono nelle opere

della natura; con la differenza, da parte della natura, di essere più grandi e migliori

ancora, ed in numero incalcolabile.

Solo in pochi prima di Darwin avevano sfidato l’argomento del progetto proponendo una vi-sione differente da quella creazionista. Nessuno come lui però era riuscito a penetrare abba-stanza a fondo nei meccanismi dell’evoluzione, a formulare la teoria in maniera sistematica e araccogliere sufficienti prove.

Nell’opera “Sul Principio di Popolazione” Thomas Malthus (1826) sosteneva che la popola-zione umana, se non avesse regolato la propria crescita, si sarebbe prima o poi trovata a lottareper la sopravvivenza, in quanto l’ambiente non poteva garantire le risorse necessarie per tutti.Darwin si rese conto che tale restrizione doveva valere anche per ogni altro essere vivente sulpianeta Terra. Comprese inoltre che, dal momento che esiste una naturale variabilità tra gliindividui di una stessa specie, e dato che questa è ereditaria (tramite meccanismi a lui ancoraoscuri), allora quegli individui in possesso di caratteristiche vantaggiose alla sopravvivenze ealla riproduzione avrebbero generato una quantità maggiore di prole, portante le loro stesse ca-ratteristiche. Di conseguenza, sarebbe cambiata la proporzione di individui portanti determinatitratti, all’interno di una popolazione.

Darwin introduceva così un’idea tanto semplice quanto innovativa: gli stessi cambiamentiche possono essere fatti dall’uomo tramite la selezione artificiale su piante, cani o piccioni,avvengono anche in natura. In quel caso però è la morte del meno adatto, nella lotta per lasopravvivenza, a costituire il filtro selezionante. Chiamò questo processo “selezione naturale”.

Egli capì quindi che l’accumulo di questi piccoli cambiamenti, di generazione in generazio-ne, protratto per un periodo di tempo sufficientemente lungo poteva dar luogo a grandi muta-menti. Sul lungo termine, la selezione naturale avrebbe potuto far diventare due popolazioni,originariamente identiche, talmente differenti da non essere più in grado di riprodursi tra loro.Questa è l’origine delle specie.

1.1.2 La sintesi moderna

La formulazione originale di Darwin è stata ripresa ed unita alle scoperte della genetica, for-mando la cosiddetta sintesi moderna (o Neodarwinismo), a cui fanno riferimento gli studiosicontemporanei.

Le caratteristiche di ogni organismo sono prevalentemente determinate dalla sua costituzio-ne genetica ereditaria (la cui espressione è anche modulata dalle influenze ambientali) e da essedipendono gran parte delle sue possibilità di sopravvivenza e riproduzione. La variabilità ditali caratteristiche tra individui della stessa specie fa sì che in certi casi alcuni siano più avvan-taggiati di altri. I geni contenuti in questi individui, in particolare quelli responsabili dei tratti

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vantaggiosi, tenderanno così a diffondersi maggiormente nel pool genico della popolazione. La“gara” è quindi tra gli alleli, ovvero ciascuna delle varianti di un gene che occupano la stessaposizione su cromosomi omologhi e che controllano variazioni dello stesso carattere. Quelliche in un determinato ambiente corrispondono ai fenotipi più vantaggiosi permarranno in per-centuale maggiore, mentre gli altri lentamente scompariranno. L’evoluzione può così esserevista come “sopravvivenza non casuale di istruzioni ereditarie, che variano casualmente, percostruire embrioni” (Dawkins, 1986).

Tre componenti costituiscono le fondamenta del processo dell’evoluzione: variabilità, se-lezione ed ereditarietà. Da un punto di vista più astratto (darwinismo universale) possiamoconsiderare l’esistenza di un’entità in grado di creare copie imperfette (variabilità) di sé stessausando le risorse dell’ambiente che, essendo limitate, non possono garantire la sopravvivenza ditutte (selezione). Ammettendo che la sopravvivenza di ogni unità dipenda dalle sue caratteristi-che ereditate (ereditarietà), possiamo affermare che non può non esserci evoluzione (Dawkins,1983).

1.1.3 Le prove

Età della Terra

Affinché possa esserci stata l’evoluzione, la Terra deve essere abbastanza “vecchia”. Deveesserci stato il tempo necessario alle prime forme di vita per nascere e raggiungere lo statoattuale. Essa non può essere “giovane” come sostengono alcuni creazionisti, che ne stimanol’età tra i 6.000 e i 10.000 anni.

Dal 1945 è stato possibile misurare l’età delle rocce usando gli isotopi radioattivi, elementiche vengono incorporati nelle rocce ignee quando queste si cristallizzano fuori dalla roccia fusaal di sotto della superficie terrestre (Coyne, 2009). La datazione radiometrica dei meteoritici può dire che la Terra e il sistema solare hanno circa 4,6 miliardi di anni. Questo tempo èstato ampiamente sufficiente all’evoluzione per fare il suo corso, soprattutto se si considera chementre le prime forme di vita sono nate 3,7 miliardi di anni fa, i primi vertebrati hanno vistola luce solamente 500 milioni di anni fa (Buss, 2012). Nel primo 80% della storia della vitatutte le specie avevano corpi molli, senza scheletro, e questo rendeva estremamente difficile laformazione di fossili. Di conseguenza non si sa molto sui primi stadi dell’evoluzione e quasitutto quello che conosciamo corrisponde in realtà al solo 20% rimanente.

Una conferma ulteriore a questi risultati viene da studi effettuati su fossili di coralli vissutinel periodo Devoniano, circa 380 milioni di anni fa (Wells, 1963). I coralli producono nei lorocorpi, crescendo, sia anelli giornalieri che anelli annuali, ed è possibili stimare così di quantigiorni era composto un anno al tempo della formazione dei fossili. Calcolando la differenzarispetto al numero di giorni che attualmente compongono un anno e tenendo conto che la rota-zione della Terra su sé stessa rallenta di 2 secondi ogni 100.000 anni, è possibile determinarel’età di quei fossili. Il nostro pianeta ha ben più di 10.000 anni e questi coralli ci testimoniano

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di essere vissuti molti milioni di anni fa, quando ogni giorno durava circa 22 ore. Naturalmentequesto risultato combacia con quello che si trova usando le tecniche radiometriche.

Fossili

I fossili sono conosciuti fin dall’antichità, tuttavia il loro reale significato fu compreso solomolto tempo dopo. Per un biologo i fossili valgono come oro poiché senza di essi si potrebberosolamente studiare le specie viventi ed inferire relazioni evolutionistiche grazie alle similitudinidi forme, sviluppo e sequenza di DNA (Coyne, 2009). Si potrebbe avere solo una bozza appros-simativa dell’evoluzione, non si potrebbe conoscere l’aspetto dei primi anfibi, dei dinosauri odegli australopitechi.

Le condizioni necessarie alla formazione di fossili sono abbastanza rare e in particolare ilcorpo deve essersi trovato sul fondo di un lago o di un oceano, il che rende ancora più rarala formazione di fossili di animali terrestri. Una volta formato, il fossile deve resistere agliagenti della natura e, infine, deve essere trovato dai ricercatori. È stato stimato che i fossilifinora ritrovati, appartenenti a circa 250.000 specie, corrispondono al massimo all’1% di tuttele specie mai vissute sul pianeta, un numero che oscilla da 17 milioni a 4 miliardi.

Innanzitutto i fossili ci forniscono una immagine a livello macroscopico dell’evoluzione.Gli strati di roccia sono disposti in ordine cronologico, quelli più antichi sono più profondi, estrati adiacenti rappresentano periodi vicini nella linea temporale. Ricercando attraverso stratidi roccia di età differente si può notare che gli strati più antichi contengono fossili di formedi vita più semplici, che aumentano progressivamente di complessità negli strati più recenti.Inoltre, i fossili trovati in strati adiacenti sono maggiormente simili tra loro rispetto a fossilitrovati in strati distanti e i fossili trovati in strati più recenti sono anche quelli più simili allespecie viventi.

Utilizzando la teoria dell’evoluzione si possono fare efficaci predizioni su quale tipo di fos-sili, verranno trovati in un determinato luogo e ad una determinata profondità. Si può prevedereche in un certo strato di roccia si troveranno fossili di specie aventi certe caratteristiche, comenel caso degli antenati comuni tra diversi gruppi di animali o delle forme transizionali. Unesempio è l’archaeopteryx lithographica, considerato una forma di transizione tra i rettili e gliuccelli, dato che i secondi discendono dai primi. Questa specie infatti, vissuta 145 milioni dianni fa, possiede prevalentemente tratti da dinosauro, avendo però alcuni tratti tipici degli uc-celli: l’archaeopteryx era ricoperto di penne. L’età dei fossili ritrovati si colloca esattamentetra 200 milioni di anni fa, epoca in cui le tracce fossili mostrano solo specie di dinosauri similiall’archaeopteryx ma privi di tratti da uccello, e 70 milioni di anni fa, in cui sono presenti fossilidi uccelli dall’aspetto moderno.

Nessuna teoria diversa da quella dell’evoluzione è in grado di spiegare dati come questi.

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Vestigia e imperfezioni

Si definiscono vestigia quei tratti di un organismo che costituivano un adattamento nei suoiantenati ma che hanno perso del tutto (o quasi) la propria utilità oppure sono divenuti utili peraltri scopi, diversi da quelli originali per i quali si erano evoluti (Coyne, 2009). Per esempio,seppure gli antenati dello struzzo volassero, e questo è certo sia grazie a studi sul DNA chegrazie alle tracce fossili, le sue ali non servono per quello. Esse sono state cooptate per nuoviutilizzi, come il mantenimento dell’equilibrio nella corsa o l’invio di segnali di minaccia o diaccoppiamento.

Nel kiwi invece le ali sembrano non avere alcuna funzione. Pur essendo composte dallestesse ossa che compongono le ali di uccelli che possono volare, le ali del kiwi sono piccolis-sime, sepolte sotto le penne. Tratti come questo sono esclusivamente residui evoluzionistici diquelli che in passato erano adattamenti per specie antenate e non avrebbero senso come fruttodi una deliberata creazione.

Le vestigia costituiscono una prova dell’evoluzione in quanto non rispecchiano tratti de-rivanti da un progetto specifico per una data specie quanto piuttosto il lavoro di un processomeccanico ed inesorabile che può solo modificare ciò che già esiste e non può mai ricominciareda zero. Accanto alle vestigia ci sono molti altri esempi di organi e strutture lontane da quelloche sarebbe stato l’ideale funzionale, come l’inutilmente tortuoso percorso che segue il nervolaringeo nei mammiferi. Mentre il progetto perfetto sarebbe stato il marchio di un abile edintenzionato progettista, seguendo la teoria dell’evoluzione ci si aspetta di trovare segni di un“progetto imperfetto”. Non solo, ci si aspetta anche che la precisa natura di queste imperfezioniabbia senso solo in quanto risultato dell’evoluzione di tratti ancestrali, e questo è proprio ciòche accade.

Atavismi ed embrioni

Un’altra prova dell’evoluzione è data dagli atavismi, anomalie che compaiono di tanto in tantonegli individui e che costituiscono la ricomparsa di tratti ancestrali. Esempi comuni sono legambe in alcune balene o la coda in alcuni bambini umani, detta “proiezione coccigea”. Diffe-riscono dalle semplici malformazioni in quanto sono tratti che erano presenti negli antenati diquell’individuo e derivano dalla accidentale re-espressione di geni che erano un tempo adattivima che poi sono stati “spenti” dalla selezione naturale quando non servivano più (Coyne, 2009).

Altri fatti peculiari che hanno senso solo alla luce dell’evoluzione riguardano lo sviluppoembrionale. Dal momento che molte strutture durante lo sviluppo richiedono “cues” biochi-mici da altre strutture che compaiono precedentemente, è meglio che quelle parti che si sonoevolute filogeneticamente dopo siano programmate per svilupparsi ontogeneticamente più tar-di. Sempre a causa del fatto che l’evoluzione può solo modificare il vecchio e mai ricominciareda zero, succede che la sequenza dello sviluppo ontogenetico dell’organismo ricorda la storiafilogenetica della specie. Infatti, tutti gli embrioni di pesci, anfibi, rettili e mammiferi assomi-

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gliano inizialmente ad embrioni di pesce. In seguito, procedendo nello sviluppo, l’embrionedelle specie filogeneticamente più recenti subisce drastici cambiamenti, apparentemente prividi senso, che comportano anche la formazione di strutture non presenti nell’animale adulto e illoro riassorbimento prima della nascita.

Un embrione di mammifero assomiglia inizialmente ad un embrione di pesce, poi ad un em-brione di anfibio, poi ad uno di rettile ed infine acquisirà i tratti tipici dei mammiferi. Tuttavianon si trova mai la sequenza opposta. Un embrione di pesce non assomiglia mai inizialmentead un embrione di mammifero o di rettile, ed infatti i pesci sono filogeneticamente più antichi.Questo ha senso solo come effetto dell’evoluzione: un pesce non ha alcun antenato anfibio, ret-tile o mammifero, mentre un mammifero ha come antenati pesci, anfibi e rettili e di conseguenzail programma di sviluppo embrionale ha conservato tracce di questa discendenza.

Distribuzione geografica delle specie

La teoria dell’evoluzione è necessaria non solo per spiegare l’origine e le caratteristiche degliorganismi viventi ma anche la loro distribuzione geografica sul pianeta, la quale costituiva unvero rompicapo per gli studiosi creazionisti precedenti o contemporanei a Darwin.

Senza la teoria dell’evoluzione molti fatti risulterebbero bizzarri e inspiegabili, come ladifferenza di flora e fauna tra le isole continentali e quelle oceaniche (Coyne, 2009). In tutte leisole oceaniche infatti sono assenti importanti gruppi di animali, tra cui pesci di acqua dolce,anfibi, rettili e mammiferi terrestri che invece sono molto diffusi sia nelle isole continentaliche nel continente. La chiave della spiegazione sta nella diversa origine dei due tipi di isole.Mentre quelle continentali si sono staccate da un continente di cui precedentemente erano parte,e al momento della loro formazione erano già popolate dalle stesse specie che vivevano sulcontinente, le isole oceaniche sono sorte dal mare, per esempio in seguito ad eruzioni vulcanichee di conseguenza in principio non ospitavano alcuna specie animale.

Piante e animali possono disperdersi per grandi distanze e alcune popolazioni possono evol-versi in nuove specie una volta incontrata una diversa pressione ambientale. I gruppi di animaliassenti nelle isole oceaniche sono proprio quelli ai quali sarebbe impossibile attraversare il mareper raggiungerle. Le specie che vivono in esse si sono evolute partendo da poche specie ance-strali che riuscirono a raggiungere l’isola attraversando il mare. Per questo motivo gli uccellidelle isole oceaniche si dividono in tantissime specie uniche e strettamente imparentate tra loro,assenti nei continenti e peculiari delle singole isole o arcipelaghi. Lo stesso vale per insetti,tartarughe, e così via. Con una logica creazionista non è possibile rendere conto di questi fatti.

Inoltre, ora si sa che la Terra ha subito nel corso delle centinaia di milioni di anni drasticimutamenti, ben oltre ciò che Darwin stesso aveva immaginato. Questo spiega perchè spessosi trovino fossili in aree del tutto diverse da quelle in cui l’organismo avrebbe dovuto vivere,come pesci fossili in montagna, e contribuisce anche a spiegare la distribuzione e la parenteladelle specie. Da circa 40 anni è possibile, analizzando il DNA, conoscere non solo la relazioneevoluzionistica tra due specie ma anche il periodo approssimativo in cui queste si sono divise

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Figura 1.1: Convergenza evoluzionistica in due specie di mammiferi.Fonte: Coyne, J. A. (2009). Why evolution is true. Oxford: Oxford University Press.

dall’antenato comune. Usando queste informazioni in combinazione con la conoscenza delmovimento e trasformazione dei continenti è possibile stabilire se l’origine di nuove speciecoincide con la formazione di nuovi habitat. Anche in questo caso le prove supportano la teoria.

Convergenza evoluzionistica

In molti casi si può notare che aree distanti aventi medesime condizioni ambientali ospita-no specie superficialmente simili ma aventi altre differenze più profonde (Coyne, 2009), co-me i mammiferi marsupiali che vivono quasi solo in Australia e i mammiferi placentati chesono molto diffusi nel resto del mondo. Nonostante differenze fondamentali, la più notevo-le delle quali riguarda il sistema riproduttivo, questi due gruppi di animali possiedono formestraordinariamente simili (Figura 1.1).

Sono casi di “convergenza evoluzionistica”, fenomeno per cui specie differenti possiedonotratti simili in quanto si sono evolute facendo fronte alle stesse caratteristiche ambientali e nona causa della discendenza da un antenato comune avente tali tratti.

Esami del DNA possono confermare la distanza evoluzionistica di queste specie. Prendendoad esempio il petauro dello zucchero, un marsupiale che vive sugli alberi in Australia, e il glau-comio (detto anche scoiattolo volante) del Nord America, entrambi possiedono una membranache unisce gli arti anteriori con quelli posteriori, consentendo di planare tra gli alberi. Tuttaviail loro antenato comune è vissuto circa 162 milioni di anni fa. Seppure dalle sembianze non sidirebbe, lo scoiattolo volante è imparentato più strettamente con l’orso grizzly, in quanto il loroantenato comune è vissuto circa 94 milioni di anni fa.

La convergenza evoluzionistica è una grande prova a favore dell’evoluzione e nessuna teoriaalternativa può spiegare in maniera soddisfacente questi fatti.

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1.2 Le misconcezioni

La misconcezione è definita dall’Oxford English Dictionary:

A view or opinion that is incorrect because based on faulty thinking or under-

standing.

Le misconcezioni sono rappresentazioni scorrette dal punto di vista del sapere disciplinare con-solidato, costituenti però un aspetto fondamentale e inevitabile dell’apprendimento (Alexander,1998; Mason, 2006). Come sottolineano gli studiosi dell’educazione, è molto importante pre-stare attenzione alle conoscenze già presenti nella mente degli studenti affinchè l’insegnamentoabbia successo (Mason, 2006).

Anche nel caso della teoria evoluzionistica, esitono molteplici misconcezioni che influenza-no il grado in cui uno studente può comprendere o interpretare le nuove informazioni.

Può essere distinto un tipo di misconcezioni che riguarda la validità della teoria da un altroche riguarda i contenuti.

1.2.1 Validità

Le misconceazioni di questo tipo hanno principalmente a che fare con le credenze epistemolo-giche degli individui e la familiarità con i ragionamenti scientifici.

Evoluzione come dottrina

Pensare alla teoria dell’evoluzione come ad una dottrina o filosofia alla quale sia possibilecredere o non credere.

Un discorso molto lungo e complesso potrebbe essere fatto circa la distinzione tra cono-scenza e credenza (Smith, Siegel, & McInerney, 1995; Cobern, 1994; Quine & Ullian, 1978).Alcuni autori vedono la conoscenza e la credenza come cose nettamente diverse mentre per altrila conoscenza è una particolare forma di credenza, fondata razionalmente su prove empiriche.Una terza possibilità è pensare che la relazione che un individuo sente con una certa afferma-zione possa essere di credenza, insicurezza o non credenza, ognuna delle quali può derivare omeno da prove empiriche.

In ogni caso è da considerare una misconcezione il porre la teoria evoluzionistica allo stes-so livello di qualsiasi altra spiegazione mitica o religiosa dell’origine della vita, generate inenorme quantità da tutte le culture (Dawkins, 2011). L’evoluzione è invece da considerarsi laspiegazione scientifica dei processi di trasformazione degli esseri viventi.

Mancanza di prove

Nel pensiero comune l’evoluzione è spesso pensata come “solo una teoria”, in quanto il comunesignificato di teoria fa riferimento a qualcosa che è privo di sufficiente evidenza empirica. Di

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conseguenza molti si sentono facilmente autorizzati a rifiutare qualsiasi parte della teoria sia incontrasto con le proprie credenze.

Nel linguaggio scientifico invece tutto è “teoria” ed è dalle teorie che derivano le ipotesi, lequali vengono poi testate tramite esperimenti. Una teoria è detta scientifica solo se falsificabile,ovvero se dalle sue premesse possono essere dedotte le condizioni per almeno un esperimentoin grado di dimostrarla falsa (Popper, 1970). Come affermò John Haldane, per falsificare lateoria dell’evoluzione è sufficiente trovare “conigli fossili nel Precambriano”.

Una teoria scientifica può in seguito ricevere più o meno supporto empirico ma resterà pursempre una teoria. Differentemente da quello che si poteva credere al tempo del Positivismo, èora concordato che non esistano “fatti assolutamenti veri” nella scienza.

Misconcezioni come questa ed altre portano a confusione e rendono molto più facile illavoro a chi voglia persuadere della falsità di un teoria scientifica già di per sè controintuitiva.Lombrozo, Thanukos e Weisberg (2008) hanno infatti dimostrato che la comprensione dellanatura della scienza è significativamente correlata all’accettazione della teoria evoluzionistica.

Per rendere correttamente al pubblico generale l’idea del grado di verità che la l’evoluzioneha nella mente di si occupa di scienza, bisognerebbe dire il “fatto” dell’evoluzione piuttosto chela “teoria”. Intendendo ovviamente con fatto, una teoria supportata da una quantità di provetalmente vasta da poter essere, oltre ogni ragionevole dubbio, considerata vera: è sicuramenteil caso dell’evoluzione.

“Teach the controversy”

Nelle altre misconcezioni riguardanti la validità della teoria possono essere ritrovate entrambe letematiche descritte. Una posizione molto diffusa in questo periodo vede la teoria dell’evoluzio-ne alla pari di una sola proposta alternativa (non scientifica), l’Intelligent Design. Le campagneche sostengono questa posizione mirano a convincere gli insegnanti di biologia ad insegnareuna inesistente controversia.

Intervento superiore sugli uomini

Spesso l’evoluzione è considerata una spiegazione soddisfacente per quanto riguarda tutti orga-nismi viventi, fatta eccezione per gli esseri umani. In queste misconcezioni infatti, per la nostraspecie è ipotizzato un intervento divino o di altre civiltà intelligenti extraterrestri.

La prima spiegazione è di tipo religioso e non scientifico, dato che chiama in causa unadivinità la cui esistenza non può essere falsificata. Per quanto riguarda la seconda, sarebbelecito chiedersi come queste civiltà extraterrestri abbiano raggiunto tale livello di intelligenza.Avrebbero infatti dovuto evolversi autonomamente nel loro pianeta di origine, a meno che nonsi ipotizzi l’intervento di una terza civiltà aliena, per la quale comunque è valido il medesimoragionamento. Prima o poi bisognerebbe ammettere l’evoluzione spontanea di una forma di vitadefinibile “intelligente”.

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1.2.2 Contenuti

Intenzionalità e finalismo

Le concezioni creazioniste sostengono esplicitamente che la vita sulla Terra sia frutto di un pro-getto intenzionale. Tuttavia, anche nelle concezioni di molte persone che affermano la veridicitàdell’evoluzione sono presenti componenti di intenzionalità e finalismo.

Più che ad una misconcezione questo si riferisce a una classe di misconcezioni, una tematicatrasversale a molte. Alla loro base c’è la credenza teleologica profondamente radicata che tuttii tratti posseduti dagli organismi siano tali in quanto svolgono una funzione che aiuta la soprav-vivenza (Kelemen, 2012). Al contrario, sappiamo che gli organismi possono possedere trattivestigiali oppure determinati dalla selezione sessuale o dalla deriva genetica. Spesso i mecca-nismi causali che sottendono il cambiamento evoluzionistico non sono conosciuti e vengonolasciati indefiniti (“la giraffa ha il collo lungo per mangiare le foglie alte degli alberi”). Questatendenza può poi portare a misconcezioni più gravi e profonde riguardanti quei meccanismi checostituiscono il processo evoluzionistico.

Esempi di questo insieme di misconcezioni sono:

• la credenza che gli esseri umani costituiscano la meta ed esito finale dell’evoluzione. Inquesto caso il termine stesso di evoluzione contribuisce a trarre in inganno perchè è usatonel linguaggio comune per intendere un miglioramento;

• vedere l’evoluzione come un meccanismo al servizio della specie, che serve alle specieper sopravvivere. La credenza che le mutazioni occorrano nei momenti e nella formanecessari affinchè la specie perduri;

• l’idea che una specie possa nascere per colmare un gap nell’ecosistema;

• l’idea che la pressione ambientale causi le mutazioni adeguate;

• la concezione di una entità indefinita chiamata “Natura” o “Evoluzione” che operi finali-sticamente dei mutamenti negli organismi, per adattarli all’ambiente in cui vivono.

In realtà l’evoluzione per selezione naturale conduce ad un lento ed inevitabile cambiamentoche non ha una direzione o una meta. Le specie, tra cui anche gli uomini, non sono perfette.I meccanismi dell’evoluzione operano infatti su ciò che già esiste, ovvero su quelle “istruzioniper costruire embrioni” che sono scritte nel corredo genetico di ogni individuo.

L’evoluzione è un processo inevitabile e cieco, guidato solo dai vantaggi a breve termine.

Casualità e tempo

Una delle maggiori fonti di incomprensione, dubbi o rifiuto della teoria dell’evoluzione concer-ne il ruolo della casualità. È proprio su questa difficoltà che fanno leva molti degli attacchi allateoria da parte di movimenti anti-evoluzionisti.

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Come spiega eloquentemente Richard Dawkins (1986) in una delle sue opere più famose, laselezione naturale, che è proprio la parte della teoria accusata maggiormente, non ha nulla a chefare con il caso. Le mutazioni genetiche avvengono in maniera casuale durante la formazionedei gameti. Successivamente sono le condizioni dell’ambiente a determinare le probabilità cheun determinato organismo ha, in base alla sue caratteristiche, di restare in vita fino a riprodursi.Questo secondo processo non è per nulla casuale e si basa sul vantaggio differenziale di variantigeniche alternative.

Non si potrà mai ragionevolmente essere a favore dell’evoluzionismo se si crede che af-fermi che la straordinaria complessità degli organismi viventi derivi da uno scontro casuale dimolecole.

Un altro principale argomento usato dai detrattori dell’evoluzione riguarda il tempo. So-stengono che non ci sarebbe stato tempo sufficiente per raggiungere tanta complessità a partireda forme di vita primordiali, tramite piccole graduali mutazioni, agenti tra l’altro su mutazionicausali del codice genetico.

Questa obiezione alla teoria si basa sul fatto che gli individui non sono abituati a ragionarecon grandi numeri, su archi di tempo estremamente ampi, come sarebbe necessario invece perpoter comprendere appieno l’evoluzione. Abbiamo generalmente a che fare con al massimo 4 o5 generazioni, mentre l’evoluzione agisce su centinaia, migliaia di generazioni, in centinaia dimigliaia, milioni e miliardi di anni.

Inoltre l’evoluzione non è un processo continuo, dato da minuziosi aggiustamenti progressi-vi e costanti. L’evoluzione ha invece un andamento a gradini. Vi sono momenti di grande stasie momenti di forte cambiamento.

Questi due tasti controintuitivi della teoria possono anche essere premuti contemporanea-mente dagli anti-evoluzionisti. Una volta fatta confusione sul ruolo del caso nell’evoluzione èfacile portare a credere che non possa esserci stato abbastanza tempo.

Variabilità

Un’altra misconcezione affermata è causata dalla scarsa importanza conferita alla variabilitàindividuale nel processo dell’evoluzione. Una ricerca (Bishop & Anderson, 1990) ha infattimostrato come un campione di studenti ritenesse che il processo evoluzionistico trasformas-se gradualmente tutti gli individui di una popolazione, alterando contemporaneamente l’inten-sità di un tratto presente in ognuno di essi. L’evoluzione deve invece esser pensata come ilcambiamento della proporzione di individui aventi un tratto discreto vantaggioso.

Il cambiamento era inoltre visto da quegli studenti come guidato dalla necessità, al fine dellasopravvivenza della specie, e non come frutto di mutazioni genetiche casuali.

Margaret Brumby (1984) condusse uno studio su studenti di medicina australiani, in cuiquesti venivano sottoposti ad una serie di problemi. Nonostante quegli studenti possedesseroconoscenze scientifiche superiori a quelle dei coetanei, in quanto accedere a quella facoltà era

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molto difficile, i risultati mostrarono come gli studenti avessero una concezione dell’evoluzionelamarckiana piuttosto che darwiniana.

Le loro risposte mettevano infatti in risalto il ruolo dell’uso e disuso dei caratteri piuttostoche la sopravvivenza o la morte degli individui. Essi parevano ragionare sui cambiamenti chepossono avvenire durante la vita di un singolo, piuttosto che il cambiamento nella proporzionedi individui aventi un certo tratto, in base al suo valore di adattività.

1.3 L’accettazione

1.3.1 Alcuni dati

La teoria dell’evoluzione è una delle più solide, empiricamente confermate e diffusamente ac-cettate nel panorama scientifico ed è anche la base di innumerevoli altre teorie, riguardanti mol-teplici discipline oltre alla biologia, come la medicina, le neuroscienze, la psicologia: “nulla inbiologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione” (Dobzhansky, 1973).

È talmente importante affinchè le conoscenze della biologia possano assumere un sensoall’interno di una cornice coerente che la National Academy of Science (US) (1998) ha dedicatoun’intera opera per fornire ai professori informazioni e risorse utili per un corretto insegnamentodella teoria dell’evoluzione. Tante altre opere sono state scritte sullo stesso tema e riviste peer-reviewed come “The American Biology Teacher” pubblicano ormai sempre più spesso articolifinalizzati a chiarire l’importanza di una comprensione della teoria dell’evoluzione e alla criticadei movimenti crezionisti intenzionati a ostacolarla e a confondere studenti e pubblico generale.

Con Richard Dawkins (1976) si potrebbe sostenere che se un’ipotetica civiltà aliena supe-riore raggiungesse un pianeta abitato, come la Terra, per stabilire il livello di civilizzazione deisuoi abitanti si chiederebbe, tra le altre cose, se abbiano già scoperto l’evoluzione e in che gra-do venga accettata dalla popolazione. La consapevolezza del processo evoluzionistico è infattiparte fondamentale della coscienza che una specie ha di sè e del proprio passato e futuro.

La teoria dell’evoluzione spiega tantissimi fenomeni, come la resistenza ai pesticidi, e costi-tuisce il fondamento scientifico di numerose pratiche. Un esempio è l’utilizzo degli antibiotici,per cui è necessario tenere conto dell’evoluzione dei batteri.

Nonostante ciò, spesso ha fama di essere un argomento controverso, nel quale gli scienziatinon hanno ancora raggiunto un accordo o per cui non vi siano in realtà prove empiriche.

La situazione è preoccupante soprattutto negli Stati Uniti, dove solo un 40% della popola-zione ritiene vera la teoria dell’evoluzione (Miller, Scott & Okamoto, 2006). Ancora peggio, trail 1982 e il 2006 la percentuale del pubblico generale che dichiarava di credere in una evoluzionenon guidata dalla divinità non ha mai superato il 17% (Plutzer & Berkman, 2008). Questo deno-ta una scarsissima comprensione, tra il pubblico generale, dei reali meccanismi evoluzionistici,che agiscono in maniera cieca, non guidati da alcun agente intenzionale.

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Figura 1.2: Percentuale di accettazione dell’evoluzione tra il pubblico generale.Fonte: Miller, J. D., Scott, E. C., & Okamoto, S. (2006). Public acceptance of evolution. Science, 313(5788),

765-766.

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Ancora più preoccupante è il fatto che queste proporzioni si ripetono molto similmente trastudenti di biologia e persino nei loro insegnanti, la cui posizione nei confronti della teoriaevoluzionista influenzerà ovviamente il modo in cui la insegneranno (Aguillard, 1999; Eve &Dunn, 1990; Shankar & Skoog, 1993).

L’insegnamento dell’evoluzionismo nelle classi, in particolare negli USA, incontra parec-chie difficoltà. La Planning Committee on Thinking Evolutionarily, Making Biology EducationMake Sense, Board on Life Sciences, & Division on Life Sciences (2012), nell’opera “Thin-king Evolutionarily: Evolution Education Across the Life Sciences: Summary of a Convoca-tion” riporta le emblematiche dichiarazioni di alcuni insegnanti. Sembra che molti professori dibiologia non siano sufficientemente preparati sui meccanismi dell’evoluzione e questo è sicu-ramente una concausa del timore e della diffidenza che provano verso l’insegnamento di quel-l’argomento. La scarsa preparazione in materia di evoluzione spesso si affianca ad una mancatacomprensione del pensiero scientifico e dei suoi procedimenti: il pensiero evoluzionistico puòsorgere infatti solo su una solida base di pensiero scientifico.

La National Survey of High School Biology teachers, basata su un campione di 926 inse-gnanti di biologia nelle scuole pubbliche superiori statunitensi, rivela una diffusa riluttanza adinsegnare senza mezzi termini la teoria dell’evoluzione (Berkman & Plutzer, 2011). Solo il 28%degli insegnanti di biologia rispetta le raccomandazioni del National Research Council (1996).Nelle scuole più conservatrici quasi 4 insegnanti su 10 rifiutano l’evoluzione umana ed in ge-nerale il 13% degli insegnanti sostiene esplicitamente le posizioni creazioniste (o del DisegnoIntelligente).

Berkman & Plutzer (2011) tuttavia sospettano che i maggiori danni siano portati da quel60% di insegnanti che non sono schierati né dalla parte della scienza e dell’evoluzione, né daquella delle alternative creazioniste. Per evitare di mettersi in gioco essi infatti utilizzerebberostrategie controproduttive al fine della comprensione della teoria evoluzionistica. Le più comunisono

• insegnare l’evoluzione come se si applicasse solo alla biologia molecolare,

• insegnarla come se fosse un “male necessario” poichè parte del curriculum,

• esporre la teoria dell’evoluzione e il creazionismo come se fossero punti di vista alla pari.

Quest’ultima strategia in particolare va a rafforzare le misconcezioni del primo tipo, per cuil’evoluzionismo è visto come una dottrina in cui si possa credere o meno, e non come un insiemedi affermazioni scientifiche supportate da prove empiriche.

Anche in Europa il creazionismo permane e si fa sentire. Nel 2007 un ministro dell’e-ducazione in Germania propose che il creazionismo fosse insegnato nelle scuole al fiancodell’evoluzionismo (Curry, 2009).

Non di meno, campanelli d’allarme dovrebbero suonare in Italia dove nel 2004, durante ilsecondo governo Berlusconi, il decreto legislativo n.59 del 19 Febbraio eliminò dai programmi

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di studio delle scuole medie l’insegnamento della teoria dell’evoluzione (Nosengo & Cipolloni,2009). Le motivazioni dietro a questo gesto non sono chiare.

1.3.2 I fattori che influenzano l’accettazione

Sono stati fatti molti studi sui fattori che influenzano l’accettazione dell’evoluzione. Sinatra,Southerland, McConaughy e Demastes (2003) usando un campione di studenti universitarinon hanno trovato alcuna relazione statisticamente significativa tra conoscenza e accetazionedei meccanismi dell’evoluzione. Risultava invece significativa la stessa relazione nel caso deimeccanismi della fotosintesi.

Nella stessa ricerca sono risultate come fattori in grado di influenzare positivamente l’accet-tazione dell’evoluzione, sia la sofisticatezza delle credenze epistemologiche che la disposizioneverso l’apertura mentale. La sofisticatezza epistemologica è stata misurata selezionando dall’E-pistemological Belief Scale (Kardash e Scholes, 1996), solo le sottoscale ipotizzate rilevanti:cercare risposte singole, non criticare l’autorità, informazione ambigua, dipendenza dall’auto-rità, e conoscenze indubbie. La misura delle disposizioni si basa invece sul lavoro di Stanovich(1999), con punteggio composito ottenuto sottraendo la somme dei punteggi delle scale riflet-tenti chiusura mentale (assolutismo, dogmatismo, pensiero categoriale ed identificazione conle credenze) alla somma dei punteggi delle scale riflettenti apertura mentale (pensiero aperto eattivo, bisogno di cognizione, valori).

Un’analisi separata delle sottoscale sulle credenze epistemologiche e sulle disposizioni harivelato tre ulteriori relazioni significative con le conoscenze sull’evoluzione: gli studenti cheriportavano un cattivo atteggiamento verso le informazioni ambigue o una forte identificazio-ne con le proprie credenze avevano meno conoscenze, mentre il pensiero aperto e attivo eracorrelato con una maggiore conoscenza dell’evoluzione.

Deniz, Donnelly e Yilmaz (2008) hanno condotto uno studio simile su un campione diinsegnanti di biologia turchi non ancora in servizio (preservice teachers). Hanno trovato chel’accettazione della teoria dell’evoluzione correlava significativamente sia con la conoscenzasulla teoria che con le disposizioni a pensare/apprendere. La combinazione di questi due fattoriera però capace di spiegare solo un 8,3% di variabilità. Un’altra correlazione è stata trovatatra accettazione e educazione dei genitori (anche se non generalizzabile). A differenza dellostudio precedentemente descritto però non fu trovata alcuna correlazione significativa con lasofisticatezza epistemologica.

In questi e in altri studi comunque il grado di conoscenza/comprensione sull’evoluzione ele altre variabili considerate spiegano solo una piccola parte della variabilità nell’accettazio-ne e coerentemente gli interventi educazionali non sembrano efficaci (Chinsamy & Plagànyi,2007). Anche per quanto riguarda il comportamento degli insegnanti di biologia, aumentarele loro conoscenze sia sull’evoluzione che sulla natura del sapere e del procedimento scientifi-

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ci non cambia i loro atteggiamenti verso l’insegnamento della teoria evoluzionistica (Nehm &Schonfeld, 2007).

Differentemente, altre ricerche hanno trovato relazioni più solide tra conoscenza e accetta-zione dell’evoluzione (Paz-y-Minõ & Espinosa, 2009). Alcuni (Catley, 2006) sostengono che lerelazioni potrebbero cambiare a seconda che si parli di microevoluzione o di macroevoluzionee che in generale sia stata data troppa enfasi alla prima a discapito della seconda. Su questascia, lo studio di Nadelson e Southerland (2010) mostra, in un campione di circa 700 studenti dibiologia, una relazione significativa sia tra accettazione e comprensione della macroevoluzioneche tra numero di corsi di biologia, accettazione e conoscenza della macroevoluzione. Inoltre,all’aumentare della conoscenza la correlazione positiva tra conoscenza e accettazione aumenta.

Una recente ricerca (Ha, Haury & Nehm, 2012) propone un nuovo fattore come “anellomancante” tra la conoscenza e l’accettazione. Questo è la sensazione di certezza (feeling ofcertainty, FOC), ovvero uno stato mentale primario, un’emozione, indipendente da qualsiasiconoscenza sottostante. Esso emerge involontarieamente e senza alcuna precedente cognizione.Secondo J. Evans (2003) il processo cosciente di conoscere e la sensazione di certezza dipen-dono da due diversi sistemi cognitivi aventi separate storie evoluzionistiche. Il primo forniscerisposte rapide e automatiche ed opera prevalentemente al di sotto del livello di coscienza. Ilsecondo è più lento e sequenziale e da esso derivano il pensiero conscio, astratto, logico. Questidue sistemi possono essere chiamati rispettivamente mente intuitiva, di cui fa parte il FOC, emente riflessiva (Evans, 2010).

La proposta degli autori (Ha, Haury & Nehm, 2012) è che l’accettazione della teoria dell’e-voluzione sia ostacolata da sensazioni di certezza risultanti da idee intuitive di tipo creazionistache, come vedremo in seguito, sono presenti fin dall’infanzia. Il FOC a livello inconscio po-trebbe spiegare l’accettazione meglio del livello conscio di conoscenze sulla teoria e i risultatihanno supportato questa predizione.

1.3.3 I movimenti anti-evoluzionisti

Creazionismo e Disegno Intelligente

Il creazionismo esiste in percentuali più o meno grandi in praticamente tutti i gruppi umani,classi sociali, culture e quasi tutti i miti e le religioni propongono una visione creazionista dellanascita della vita sulla Terra: frutto di un progetto, di azioni compiute da un agente intenzionale.

Il Disegno Intelligente (Intelligent Design, ID), una dottrina nata negli anni ’80, sostieneche il Neodarwinismo non possa spiegare l’origine e l’evoluzione del mondo e degli organismiviventi che lo abitano, nella loro straordinaria complessità (Forrest & Gross 2004, 2007; Young& Taner 2004; Miller 2007, 2008). Negli USA, nel 2005, è stata combattuta la famosa causalegale Kitzmiller v. Dover (Berkman & Plutzer, 2011; Lee, 2006): la prima in cui fu portatadavanti alle corti federali degli Stati Uniti una politica di un distretto scolastico che richiedeval’insegnamento della dottrina del Disegno Intelligente accanto alla teoria dell’evoluzione. Dopo

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che importanti figure testimoniarono a favore del consenso scientifico circa la teoria dell’evolu-zione, la corte stabilì che la politica del consiglio scolastico era di una “inenità mozzafiato” e chela difesa aveva mentito nel sostenere che non vi fosse alcuna motivazione religiosa sottostante(Coyne, 2009). Il giudice Jones dichiarò inoltre che il Disegno Intelligente era “creazionismoriciclato” e che di conseguenza il suo insegnamento avrebbe costituito una violazione del primoemendamento della Costituzione (Berkman & Plutzer, 2011):

“Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una

religione (...)”

Questo famoso episodio è solamente uno di una lunga serie che vede i movimenti creazionistiperdere tutte le maggiori cause degli ultimi 40 anni. Per questo motivo Jerry Coyne (2009)paragona il crezionismo a quel pagliaccio gonfiabile sempre-in-piedi con cui spesso gioca-no i bambini: indipendentemente da quante volte venga colpito ritorna sempre nella stessaposizione.

La critica ad una teoria scientifica, di per sé, non è una cosa negativa. La scienza si fondainfatti sulla continua proposizione di ipotesi e sui tentativi di falsificarle (Popper, 1970).

La situazione in questo caso è però molto diversa. Il movimento del Disegno Intelligentetenta di confutare una teoria scientifica ben consolidata non tramite prove empiriche bensì sfrut-tando tendenze mentali (culturalmente e naturalmente determinate) che rendono controintuitivatale teoria. L’ID si basa solamente su argomenti al negativo, ovvero attacchi a quelle parti dellateoria evoluzionistica che sono più facili da far apparire come scricchiolanti ad occhi inesperti.Non avanza davvero prove a favore delle sue ipotesi, ma si limita a porsi come unica alternativaobbligatoria per chi non sia convinto della veridicità dell’evoluzione.

In ogni caso non potrebbe nemmeno portare prove a suo favore dato che la spiegazionealternativa proposta dall’ID chiama in causa costrutti non falsificabili e pertanto non scientifici,come quello di “progettista”.

La teoria evoluzionistica è invece, come abbiamo visto, facilmente falsificabile.La strategia dei movimenti creazionisti si basa sull’ironia e sull’emotività ed assomiglia di

più ad una campagna elettorale che ad un comportamento di ricerca scientifica. I sostenitoridel Disegno Intelligente si fanno spesso beffa della teoria dell’evoluzione, esagerandone certeparti, sminuendone altre e cercando il più possibile di accentuare le misconcezioni, purtroppogià molto diffuse.

I movimenti creazionisti fanno leva sulla psicologia intuitiva, che sembra naturalmente pre-disposta a dar loro ragione. Ciò è analogo a quel che successe con Galileo Galilei. Al tempoinfatti l’opposizione alla sua teoria faceva leva sulla fisica intuitiva (Brecht, 1994):

PRELATO GRASSO Macché! Crederebbero anche a questo. Solo a ciò che è

ragionevole, non credono. Dubitano dell’esistenza del diavolo; ma ammannitegli

un po’ la storiella della terra che rotola nel cielo come un sassolino in un tubo di

scarico, e a quella ci credono. Sancta simplicitas!

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UN MONACO (facendo il buffone) Uh, come gira in fretta! Mi sento le ver-

tigini. Permettete, messere, che mi aggrappi a voi? (Si aggrappa, traballando

buffamente, a uno scienziato).

Il creazionismo “scientifico”

Molti argomenti a favore dell’inclusione dell’insegnamento del creazionismo accanto alla teo-ria dell’evoluzione nelle classi di scienze delle scuole pubbliche ruotano attorno alla questionese il creazionismo costituisca o meno un’alternativa scientifica (Smith, Siegel & McInerney,1995). Viene infatti chiamato “creazionismo scientifico” per sottolinearne l’indipendenza dallefedi religiose, come se fosse effettivamente una teoria alternativa da contrapporre al darwini-smo. Naturalmente la definizione di creazionismo scientifico è solo un espediente ed infatti isuoi promotori sono credenti in una religione che sostiene la creazione e sono mossi da moti-vazioni religiose. Negli Stati Uniti, i creazionisti non sono d’accordo con l’insegnamento delcreazionismo nelle classi di studi sociali o di religioni comparate ed insistono che venga in-segnato nelle classi di scienze e che gli vengano dedicate le medesime ore dell’insegnamentodell’ evoluzionismo. Questo comportamento è comprensibile in quanto altrimenti il loro puntodi vista fondamentalista cristiano sarebbe posto alla pari delle visioni del mondo di tutte le altrereligioni o culture (Scott & Cole, 1985).

Una teoria è scientifica se

• indaga sul mondo naturale;

• è basata su dati empirici (osservabili), può correggersi autonomamente;

• le sue ipotesi sono falsificabili e testabili con esperimenti ripetibili;

• se ha un potere predittivo e se mostra una certa coerenza con altre conoscenze.

Un ricercatore si comporta un maniera scientifica se

• cerca risposte e spiegazioni che abbiano tali caratteristiche di scientificità;

• ha la mente aperta e basa le proprie conclusioni sui risultati delle ricerche e non suposizioni assunte a priori e convinzioni personali;

• è scettico circa il suo lavoro e quello degli altri ricercatori, analizzando i dati in manieraimparziale.

Ovviamente vi sono teorie che soddisfano completamente i requisiti di scientificità, altre chenon li soddisfano per niente e altre ancora che stanno nel mezzo, soddisfando solo alcuni punti.Allo stesso modo è difficile che un ricercatore sia completamente obiettivo e mai minimamenteinfluenzato dalle sue credenze personali, speranze, esperienze precedenti, e così via. Ciò che

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conta però è che la scienza cerca il più possibile di soddisfare queste condizioni ideando strata-gemmi per evitare queste distorsioni soggettive, come i disegni sperimentali a “doppio cieco”,ed essendo consapevole dei limiti all’oggettività raggiungibile.

Una obiezione che i sostenitori del creazionismo scientifico spesso muovono verso la teoriadell’evoluzione è che i fatti a cui si riferisce non possono essere osservati e, di conseguenza,non può essere davvero considerata una teoria scientifica. In effetti, come detto sopra, un requi-sito di scientificità per una teoria è di essere basata su dati empirici, osservabili. Tuttavia anchein questo caso siamo di fronte ad un inganno. Infatti, i canoni della metodologia scientificanon richiedono che un dato fenomeno sia “direttamente” osservabile per accertarne l’esistenza,quanto che la teoria sia “fondata su dati empirici”: gli scienziati possono anche lavorare sul-le conseguenze, queste sì empiriche e osservabili, di quel fenomeno. Ci sono molti esempi diteorie scientifiche basate sull’osservazione delle conseguenze che emanano da un fenomeno im-possibile da osservare direttamente. Nessuno può vedere un elettrone ruotare attorno al nucleodi un atomo ma questo non mette in dubbio la scientificità delle teorie della fisica nucleare.

Il cosiddetto creazionismo scientifico invece non si basa su dati osservabili (Scott & Co-le, 1985), le sue affermazioni sono in parte non testabili con esperimenti e quelle che possonoessere testate prevalentemente si scontrano con le evidenze empiriche. Per questi motivi ilcreazionismo potrebbe al massimo essere definito “pseudoscienza”. La posizione creazionistarisulta enormemente incoerente con tantissimi altri fatti, come i tratti vestigiali o la distribu-zione geografica delle popolazioni e delle specie. Infine, il creazionismo ha uno scarso valorepredittivo e le predizioni che potrebbero essere fatte risultano ai fatti false.

Il creazionismo non costituisce per nulla un’alternativa scientifica alla teoria dell’evoluzio-ne, tuttavia per poterlo capire insegnanti e studenti devono essere in grado di distinguere ciò cheè scienza da ciò che non lo è. Purtroppo gli insegnamenti riguardanti la natura della scienza eil metodo scientifico sono spesso limitati. Moltissime persone non hanno idea di cosa significhidefinire una teoria “scientifica” e pertanto cadono facilmente in errori, finendo per concordarecon le pretese di scientificità delle teorie creazioniste.

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Capitolo 2

Teoria dell’evoluzione e psicologia dellacredenza

We humans have purpose on the brain... Show us almost any object or process, and it is hard for us to resist the

“Why” question—the “What is it for?” question (Dawkins, 1995).

È stato visto come la teoria dell’evoluzione, a differenza di molte altre teorie risulti difficileda fare comprendere e accettare al pubblico generale. Questa difficoltà può derivare dalla suaincompatibiltà con le concezioni e i valori di varie culture e religioni o con una spinta emoti-va e motivazionale a credere in altri tipi di spiegazioni. La specie umana possiede un’adattivatendenza egocentrica e pone sé stessa al centro dell’universo. È una fase attraverso cui passaogni individuo e ogni cultura. È spontaneo che l’uomo ponga sé stesso come metro di misuradi tutte le cose e che accentui la differenza con gli altri animali. Accettare la teoria dell’evolu-zione significa anche mettersi alla pari con gli altri animali, il che costituisce un’offesa a questospontaneo egocentrismo.

I dati tuttavia suggeriscono qualcosa di più. Sembra che il nostro cervello sia “specificamen-te progettato per fraintenderla” (Dawkins, 1986). In questo capitolo sarà esaminata l’ipotesi chel’origine della controintuitività della teoria dell’evoluzione sia da ricercare nella folk psycholo-gy e, in particolare, che sia legata ai meccanismi psicologici per l’attribuzione di intenzionalitàe scopi (Girotto, Pievani & Vallortigara, 2008). Queste tendenze innate della mente umana sa-rebbero state così plasmate dallo stesso processo dell’evoluzione poichè adattive per l’ambientein cui l’essere umano si è evoluto.

2.1 Etologia e psicologia evoluzionistica

L’etologia è lo studio del comportamento animale, con lo scopo primario di descriverlo, inter-pretarlo dal punto di vista funzionale, causale, ontogenetico e filogenetico. La scuola etologicaeuropea, fondata da Konrad Lorenz, studia gli animali principalmente nel loro ambiente natu-rale, pone in evidenza il carattere adattativo dei comportamenti animali e tramite comparazioni

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con organismi affini ricostruisce le modificazioni comportamentali prodottesi durante l’evolu-zione per mezzo della selezione naturale. L’etologia infatti assume che ciascuna specie siacaratterizzata, oltre che da caratteri morfologici, da specifici moduli comportamentali (Alleva& Carere, 1999).

L’uomo come le altre specie ha alle spalle una storia di evoluzione e le sue caratteristiche so-no state modellate dal processo di selezione naturale divenendo sempre più adatte ad affrontarei problemi adattativi presenti nell’ambiente. La psicologia evoluzionistica fa proprie le cono-scenze della psicologia e della biologia evoluzionistica e si propone di studiare la mente umanain quanto prodotto della selezione naturale. I meccanismi psicologici si sono evoluti come adat-tamenti e costituiscono il punto di congiunzione tra le basi biologiche del comportamento e lecondizioni ecologiche in cui si manifesta (Buss, 2012).

Per introdurre questo argomento è necessario comprendere un altro “fatto scientifico” (percome è stato sopra definito) che spesso risulta controintuitivo e difficile da accettare: le caratte-ristiche della mente, la cognizione, le emozioni e i comportamenti sono il risultato di processifisici e chimici che hanno luogo all’interno del cervello. Di conseguenza non solo le caratteristi-che puramente fisiche, come artigli, pelliccia, occhi e altri organi sono soggette ai meccanismidell’evoluzione, ai filtri della selezione naturale, sessuale e agli effetti della deriva genetica.Le caratteristiche di comportamenti, emozioni e processi cognitivi sono plasmabili esattamenteallo stesso modo e secondo la stessa logica.

La selezione dei comportamenti degli organismi viventi agisce sulle istruzioni fornite dalcodice genetico per la costruzione del sistema nervoso. I geni portanti istruzioni per la costru-zione di reti neurali causanti comportamenti più adattivi tenderanno a diffondersi maggiormentenel pool genico della popolazione.

La nostra mente non è costruita per essere perfettamente logica o oggettiva. Al contrario,l’evoluzione ha fatto sì che venisse programmata con dei bias tali da distorcere i processi cogni-tivi nella maniera più adattiva possibile, al fine della sopravvivenza e riproduzione. Per esempio,le persone tendono ad essere più ottimisti rispetto ai dati di realtà ed un perfetto realismo è ingenere correlato ad una lieve depressione (Haaga & Beck, 1995). Questi bias possono esserespiegati solo considerando la storia evoluzionistica della nostra specie, avvenuta in un ambienteben diverso da quello moderno: la vita da cacciatori-raccoglitori nelle savane africane, duranteil Pleistocene, tra 2,5 milioni e 10.000 anni fa.

2.1.1 Fisica intuitiva e psicologia intuitiva

Una conoscenza intuitiva e innata delle proprietà che caratterizzano il mondo fisico è un trattoadattivo. Quindi si sarà stabilita in molte specie animali, tramite l’evoluzione, un sistema di co-noscenze relativo agli oggetti del mondo fisico già presente alla nascita e che quindi si sviluppacon poca o nessuna esperienza (Girotto, Pievani & Vallortigara, 2008). Per esempio, sia gliscimpanzè che le scimmie rhesus guardano incuriositi più a lungo eventi fisicamente impossi-

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bili rispetto ad eventi possibili (Cacchione & Krist, 2004; Hauser & Spaulding, 2006). Prove diquella che possiamo chiamare “fisica intuitiva” ci sono anche per i corvi (Seed, Tebbich, Emery& Clayton, 2006).

Baillargeon, Needham e DeVos (1992) hanno dimostrato che bambini di soli 6 mesi si aspet-tano che un oggetto privo di un adeguato supporto fisico cada e rimangono sorpresi quando ciònon avviene. I ricercatori hanno usato un paradigma di abituazione visiva, la cui logica derivadal fatto che i bambini guardano più a lungo eventi che gli sembrano nuovi o inattesi. I bambiniosservavano più a lungo l’evento di contatto parziale rispetto a quello di contatto totale nel casoin cui il contatto parziale era inadeguato a supportare fisicamente l’oggetto (Figura 2.1), men-tre non vi era differenza nei tempi di osservazione tra i due eventi nella condizione di contattoparziale adeguato (Figura 2.2).

Figura 2.1: Condizione di contatto parziale inadeguato al supporto fisico dell’oggetto.Fonte: Baillargeon, R., Needham, A., & DeVos, J. (1992). The development of young infants’ intuitions about

support. Early development and parenting, 1(2), 69-78.

Figura 2.2: Condizione di contatto parziale adeguato al supporto fisico dell’oggetto.Fonte: Baillargeon, R., Needham, A., & DeVos, J. (1992). The development of young infants’ intuitions about

support. Early development and parenting, 1(2), 69-78.

Negli esseri umani la fisica intuitiva sembra implicare la nozione di “solidità” degli oggettie di “gravità”. Ovviamente ciò non significa che i bambini nascano con specifiche nozioni dimeccanica, simili a quelle che si studiano sui libri di scuola, ma che ci siano intuizioni primitivesul comportamento degli oggetti fisici in determinate situazioni, come nel caso del supporto

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fisico. Come i bambini dell’esperimento, anche gli adulti sanno che un oggetto deve avereun supporto fisico adeguato per non cadere a causa della forza di gravità. È una conoscenzaimplicita, intuizioni che ciascuno di noi dà per scontate anche senza aver mai appreso unateoria formale esplicita e siamo spontaneamente meravigliati alla vista di eventi che infrangonoqueste nostre aspettative.

Tanto quanto siamo dotati di conoscenze implicite innate relative al mondo fisico, lo siamoanche per il mondo psicologico, che nella nostra specie in particolare riveste un ruolo fon-damentale, data la quantità e l’importanza delle relazioni sociali nell’esistenza di ogni essereumano. Se la forza è il principio che sottende le intuizioni meccaniche, l’intenzione è quelloche sottende le intuizioni psicologiche.

Gli esseri umani quindi possiedono sia una fisica intuitiva (folk physics) che una psicologiaintuitiva (folk psychology) e infatti numerosi esperimenti dimostrano come i bambini sin dapochi mesi di vita trattino differentemente oggetti inanimati, esclusivamente fisici, e oggettianimati, intenzionali. Inoltre i bambini sono precocemente molto sensibili a tutti gli indizi diagenticità, come gli occhi e la bocca o l’autopropulsione, cosa che li aiuta a distinguere fin dasubito questi due tipi di oggetti e a comportarsi di conseguenza.

In un esperimento di Hamlin, Wynn e Bloom (2007) viene mostrata a bambini di 10 mesiuna scena in cui una pallina dotata di occhi cerca, senza successo, di scalare una collina. Suc-cessivamente vengono mostrate altre due scene, una in cui un triangolo aiuta la pallina a salire eun’altra in cui un quadrato la ostacola respingendola verso il basso (Figura 2.3). Sia il triangoloche il quadrato sono dotati di occhi, i quali costituiscono un indizio rudimentale di agenticità, equesto porta i bambini a considerare le figure come oggetti animati e intenzionali piuttosto chemeramente fisici. A prova di quanto detto, quando i bambini vengono spinti a scegliere uno trai due oggetti, triangolo o quadrato, essi scelgono prevalentemente il triangolo, mostrando cosìdi aver effettivamente percepito le figure come agenti intenzionali e di averne anche codificatole intenzioni, buone o cattive, preferendo poi la figura “buona”.

Se in un’altra condizione vengono tolti gli occhi dalla pallina, il comportamento dei bambi-ni cambia radicalmente: non mostrano alcuna preferenza per il triangolo. In questo caso infatti,seppur i movimenti delle figure geometriche fossero gli stessi, i bambini non li hanno interpre-tati come interazioni sociali, in cui erano in gioco delle intenzioni, ma come interazioni fisiche.Il triangolo e il quadrato sono visti come agenti animati che “muovono” una pallina (Figura2.4).

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Figura 2.3: Il triangolo “aiuta” la pallina e il quadrato la “ostacola”.Fonte: Hamlin, J. K., Wynn, K., & Bloom, P. (2007). Social evaluation by preverbal infants. Nature, 450(7169),

557-559.

Figura 2.4: Il triangolo e il quadrato spingono una pallina.Fonte: Hamlin, J. K., Wynn, K., & Bloom, P. (2007). Social evaluation by preverbal infants. Nature, 450(7169),

557-559.

2.2 L’attribuzione di intenzionalità e scopi

I primi indizi del fenomeno oggetto di questo capitolo risalgono allo studio ormai classico diFritz Heider e Marianne Simmel (1944). Ai soggetti era richiesto di interpretare un breve filmato(Figura 2.5) in cui 3 figure geometriche, un triangolo grande, un triangolo piccolo e un cerchio,si muovevano in varie direzioni e a diverse velocità. Vi era poi un altra figura: un rettangoloimmobile del quale una piccola sezione poteva essere aperta e chiusa come una porta.

Figura 2.5: Fotogramma del filmato utilizzato nell’esperimento di Heider e Simmel.Fonte: Heider, F., & Simmel, M. (1944). An experimental study of apparent behavior. The American Journal of

Psychology, 243-259.

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Le istruzioni del primo esperimento erano, in generale, di scrivere ciò che accadeva nelfilmato. I risultati mostrarono come la maggior parte dei soggetti spontaneamente interpretavala scena in termini di entità animate intenzionali. Per esempio, “un uomo ha pianificato diincontrare una ragazza che però è già assieme ad un altro uomo, i due uomini combattono”, ecosì via. Nel secondo esperimento i soggetti sono specificamente istruiti a descrivere la scenainterpretando gli eventi come azioni umane, rispondendo in seguito a specifiche domande sullapersonalità delle figure geometriche e sulle motivazioni sottostanti ai loro movimenti.

Dai risultati si capisce che i soggetti non hanno avuto alcun problema a descrivere il trian-golo grande come aggressivo e dominante, quello piccolo come eroico e combattivo, il cerchiocome spaventato e timido, e via dicendo. Oltre a questo i soggetti hanno anche facilmenteindividuato le motivazioni sottostanti alle azioni delle figure geometriche, questo a dimostra-zione del fatto che i loro movimenti venivano codificati come diretti a scopi e non come casualio semplicemente meccanici. Naturalmente le interpretazioni dei diversi soggetti potevano va-riare, tuttavia quasi tutte le descrizioni avevano in comune riferimenti ad azioni intenzionali evedevano le figure geometriche come agenti animati, umanizzandoli come se la scena fosse unarappresentazione stilizzata di una vicenda umana.

Descrivere una sequenza di movimenti in funzione di uno scopo fornisce dei vantaggi inquanto possono essere raggruppati in insiemi logici e coerenti e non rimangono come movimen-ti sconnessi e arbitrari. Inoltre, essendo gli osservatori esseri umani, è comprensibile la spon-taneità nell’interpretare la scena come un’interazione sociale. Le persone infatti sono immerseper gran parte della loro vita in dinamiche di interazione sociale. Dato il ruolo fondamentale chequeste hanno avuto nel corso dell’evoluzione della nostra specie, è inoltre plausibile che la men-te umana sia stata plasmata in un modo che le garantisce un’estrema sensibilità alle intenzioni,rendendo questi tipi di ragionamenti rapidi, automatici, naturali. Numerose prove supportanol’ipotesi che questa sensibilità alle intenzioni sia innata, sorgendo molto precocemente nel corsodello sviluppo, e che quindi sia geneticamente determinata e propria della natura umana.

Girotto, Pievani e Vallortigara (2008) spiegano come Darwin, nelle sue opere, appaia benconscio della spontaneità delle obiezioni fatte alla sua spiegazione evoluzionistica. Queste obie-zioni sono strettamente legate alla tendenza umana a ragionare in termini di intenzioni e scopie risulta quindi arduo comprendere ed accettare l’esistenza di un meccanismo che, in manieracieca, abbia dato luogo ad oggetti complessi e che appaiono in tutte le loro parti come se fosserostati appositamente progettati per svolgere la funzione che effettivamente svolgono.

2.2.1 Spiegazioni teleologiche-funzionali

In generale una spiegazione di un oggetto o di un evento si definisce teleologica quando affermache la ragione per cui esistono sia il loro fine, assumendo che ne abbiano uno. Possiamo anche

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chiamare queste spiegazioni “teleologiche-funzionali” in quanto fanno riferimento alla funzionesvolta.

Come ricorda Konrad Lorenz (1974; 1982), un biologo che si trovi a studiare un organomai visto prima deve giustamente dare sia una spiegazione meccanica che una teleologica. Laspiegazione meccanica riguarda i meccanismi di funzionamento dell’organo, ovvero i processifisici e chimici che lo caratterizzano. La spiegazione teleologica si riferisce invece alla funzioneche svolge in relazione all’organismo. “A cosa serve” quell’organo?

È corretto dire che un determinato tratto (ciò vale anche per i comportamenti) è stato pla-smato dalla selezione naturale in una determinata maniera, proprio perchè svolge un funzionein grado di aumentare il successo riproduttivo dell’organismo. Un passaggio successivo è affer-mare che un oggetto la cui esistenza può essere spiegata in ragione della sua funzione sia statoappositamente e coscientemente creato da un artefice dotato di intenzionalità. Ciò è sicuramentevero per gli artefatti, a cui noi siamo abitutati fin dalla nascita.

Questa inferenza risulta però falsa per quanto riguarda le proprietà biologiche, gli organi o icomportamenti. Gli occhi, sì, trovano la ragione della loro esistenza nella funzione che svolgo-no, di conferire all’individuo la capacità di orientarsi nello spazio elaborando onde elettroma-gnetiche, tuttavia non c’è nessun artefice ad averli intenzionalmente progettati. Questo rappre-senta il nucleo fondamentale della scoperta di Charles Darwin: un meccanismo che riesce, inun tempo sufficientemente lungo, a produrre oggetti complessi e aventi una funzione, proprio"come se" fossero stati progettati a tavolino da un ingegnere: un orologiaio cieco (Dawkins,1986).

La domanda “a che cosa serve?” è ricorrente nel pensiero di adulti e bambini, soprattuttoquando ci si trova davanti ad un oggetto sconosciuto, sia esso biologico o artefatto. Questedomande sono di fondamentale importanza in quanto interrogarsi sulla funzione di un oggettoaiuta a formulare ipotesi sulle sue proprietà, sul suo comportamento futuro. La definizione datedi “organo”, in accezione anatomica, è proprio una parte di un animale o di una pianta chesvolge una specifica funzione.

Le persone abitualmente ricorrono al concetto di funzione per razionalizzare non solo glioggetti ma anche le azioni proprie e degli altri. È difficile anche resistere al domandarsi lafunzione di certi eventi, soprattutto quelli negativi, anche quando questi sono con tutta evidenzacausati da circostanze scarsamente prevedibili e controllabili, come prendersi un’infezione davirus influenzale poco prima di un esame importante. Dopo tutto, si sente spesso dire che “lafortuna è cieca ma la sfortuna ci vede benissimo”, lasciando sottinteso che certi eventi negativiaccadano con lo scopo di danneggiare la persona che ne è oggetto. Il senso comune è pienodi questi pensieri finalistici che attribuiscono indebitamente a certi eventi una funzione, spessoderivante da una indefinita “forza” o “volontà”, come la sorte o il destino. In molti racconti ilsaggio afferma che “le coincidenze non esistono”.

Inoltre vi è un legame molto forte tra la comprensione della funzione (o delle funzioni) diun oggetto e le inferenze circa il motivo della sua esistenza: Kelemen (1999b) mostra infatti

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che sia i bambini che gli adulti tendono a vedere la funzione dell’oggetto come il motivo per cuiesso è stato progettato. Così, le forbici esistono per tagliare la carta, quello è il motivo per cuisono state progettate. Secondo questa studiosa bisogna porsi due domande (Kelemen 1999c):

1. Qual è la relazione tra la tendenza teleologica funzionale degli adulti e quella dei bambini?

2. Che origini ha questa tendenza?

2.2.2 Le spiegazioni teleologiche nei bambini e negli adulti

Le ricerche indicano che i bambini in età prescolare, a differenza degli adulti, tendono ad at-tribuire funzioni indiscriminatamente a qualsiasi tipo di oggetto, dagli orologi alle tigri, allenuvole (Kelemen, 1999b). Sembra quindi che sia i bambini che gli adulti possiedano questatendenza alle spiegazioni teleologiche-funzionali, un “bias teleologico”, tuttavia i bambini laapplicano ad un insieme più ampio di oggetti ed eventi.

Bisogna però ricordare che tuttora molti adulti, soprattutto al di fuori della moderna culturaoccidentale, usano spiegazioni sovrannaturali teleologiche anche per entità naturali non viventi.Inoltre, prima della diffusione delle idee evoluzionistiche e prima che la scienza spiegasse nu-merosi fenomeni naturali, la spiegazione teleologica di molti fenomeni naturali non biologici,in particolare quelli necessari per la vita, era accettata dalla maggior parte delle persone.

Kelemen e Rosset (2009), utilizzando procedure più sottili rispetto ad altri studi, hannodimostrato che persino adulti che hanno seguito molti corsi di scienza all’università tendonoad utilizzare spiegazioni teleologiche ingiustificate per fenomeni naturali non viventi. Nell’e-sperimento i partecipanti venivano esposti ad una serie di spiegazioni di “perchè certe cosesuccedono” che dovevano poi contrassegnare come buone (corrette) o cattive (errate). È inte-ressante notare che questo bias teleologico era maggiore se aumentava la velocità a cui le frasistimolo venivano presentate, mentre le risposte ad item di controllo non mostravano un calodi accuratezza. Questi risultati suggeriscono che la tendenza a vedere la natura in termini fi-nalistici perdura nell’età adulta e non è sostituita dalle spiegazioni scientificamente giustificateacquisite con l’esperienza, che possono solo sistematicamente inibirla. Se il controllo inibitorioè ostacolato però la tendenza riemerge come risposta automatica.

Bisogna anche considerare che non solo è un errore estendere la spiegazione teleologica-funzionale alle cose non viventi della natura ma anche estenderla all’intero essere vivente. Ov-vero, è giusto dire che il cuore serve per pompare sangue attraverso le vene, ma è sbagliatoaffermare che il leone serva per mangiare le gazzelle.

2.2.3 L’origine delle spiegazioni teleologiche

Quasi tutte le diverse culture, filosofie e religioni propongono spiegazioni teleologiche dei feno-meni della natura. In particolare le religioni fanno della visione finalistica del mondo il proprionucleo: tutto è stato progettato coscientemente da una divinità, in vista di un fine. Tuttavia

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nello studio di Kelemen e Rosset (2009), sopra descritto, non è stato trovato alcun legame tracredenze religiose e bias teleologico ed anche altri studi (e.g. Evans, 2001) mostrano una certaindipendenza tra credenze religiose e spiegazioni teleologiche. Il bias teleologico deve quindiessere considerato un fenomeno più ampio, non semplicemente dovuto all’influenza di credenzereligiose.

Ci sono molti motivi per dubitare che tale bias sia un fenomeno interamente culturale e chedebba la sua diffusione e persistenza alla trasmissione culturale. Infatti è stato dimostrato che igenitori, parlando con i figli, preferiscono di solito le spiegazioni causali a quelle teleologiche,anche in risposta a domande ambigue circa il tipo di spiegazione richiesta (Kelemen, Callanan,Casler & Pérez-Granados, 2005). Inoltre il bias teleologico, pur con diversa intensità, puòessere ritrovato in tutte le culture e durante tutta la storia dell’umanità, fatto che suggerisce dicercare le radici di questo fenomeno nella natura umana.

Si può ipotizzare che le spiegazioni teleologiche derivino da una proprietà intrinseca dellamente umana, evolutasi in un ambiente in cui ragionare in termini di scopi ed intenzioni risultavaaltamente adattivo.

Jean Piaget è stato il primo ad ipotizzare la presenza di un innato bias a ragionare in terminiteleologici (Kelemen, 1999d). Dai suoi studi basati su interviste fatte ai bambini, egli concluseche essi sono “artificialisti intuitivi”. Secondo Piaget, i bambini istintivamente interpretanola natura come diretta a scopi, giungendo poi a credere spontaneamente che tutti gli oggetti oeventi siano causati dalle azioni di agenti umani. Vi sarebbe di conseguenza anche una tendenzaanimistica ad attribuire vita agli oggetti inanimati.

Queste misconcezioni artificialiste sono, per Piaget, dovute ad un pensiero indifferenziatoe ancora non maturo, per cui i bambini non riescono a concepire la possibilità che certi eventisiano regolati da una causalità puramente meccanica, priva di intenzioni e obiettivi. Di con-seguenza trovano difficile pensare che gli eventi possano accadere per caso e distinguere traoggetti naturali e artefatti (ibidem).

Seppure ricerche successive alle teorie di Piaget hanno dimostrato che sottostimò le abilitàprecoci dei bambini, su due punti pare aver avuto ragione:

• i bambini piccoli tendono a credere che tutti gli eventi abbiano una causa specifica etrovano difficile pensarli come avvenimenti casuali;

• i bambini tendono a compensare la mancanza di conoscenze su un certo fenomeno tramitespiegazioni intenzionali.

Secondo Kelemen (1999d) queste caratteristiche permangono anche negli adulti.

Ipotesi della teleologia selettiva

Più recentemente, Keil (1995) ha suggerito che la tendenza a vedere gli oggetti come progettatiper uno scopo sia in sé innata (Kelemen, 1999d), una specifica modalità esplicativa, tra le prime

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che consentono di interpretare del mondo. Secondo Keil questo “atteggiamento teleologico”fornisce ai bambini in età prescolare, insieme all’atteggiamento essenzialista, una rudimentaleteoria biologica (Kelemen 1999d).

Per Keil bambini e adulti applicano l’atteggiamento teleologico in maniera selettiva. Ov-vero, questo tipo di pensiero sarebbe attivato maggiormente da certi oggetti rispetto ad altri ele persone non troverebbero appropriato ragionare teleologicamente circa entità naturali nonviventi (ibidem).

Un’altra ipotesi è quella di Atran (1994), secondo cui i bambini elaborano gradualmenteintuizioni teleologiche ed essenzialiste, strettamente legate, grazie ad un modulo mentale fina-lizzato al ragionamento sugli oggetti biologici. Questo si sarebbe evoluto come adattamentospecifico per la categorizzazione dei cibi, tossici o meno, e degli animali, tra cui prede e pre-datori. Così, i bambini interpreterebbero automaticamente la forma fisica caratteristica di unaspecie biologica come il risultato di un’essenza sottostante (Kelemen, 1999d).

Nell’ipotesi di Atran, durante l’evoluzione umana ha costituito un vantaggio adattativo mag-giore saper categorizzare spontaneamente le specie viventi piuttosto che gli artefatti, ed ogniragionamento funzionale su questi ultimi avviene tramite analogie con le strutture biologiche.

Per Atran, come per Keil, la portata del ragionamento teleologico è ristretta a quegli oggettiche, in maniera ovvia, esistono per svolgere determinate funzioni. Per questo motivo entrambele ipotesi possono essere categorizzate come “teleologia selettiva”. In entrambe inoltre l’atteg-giamento teleologico è innato e indipendente da altre teorie intuitive, come quelle legate allacomprensione dell’intenzionalità o della fisica (Kelemen, 1999b).

Tuttavia, come precedentemente detto, vari studi (Kelemen, 1999b; Kelemen & DiYanni,2005) hanno ottenuto risultati contrari a questa selettività, mostrando una tendenza dei bambini,e talvolta anche degli adulti, ad estendere le spiegazioni teleologiche ad entità come orsi omontagne.

Ipotesi della teleologia promiscua

Alle ipotesi di Keil e Atran si contrappone l’ipotesi della “teleologia promiscua” di DeborahKelemen (1999d), che sostiene due punti principali:

• l’atteggiamento teleologico deriva dalla precoce comprensione del comportamento inten-zionale diretto a scopi;

• quali animali sociali, agli esseri umani viene spontaneo pensare in termini di scopi eintenzioni e questo porterà le persone, soprattutto i bambini, ad utilizzare il ragionamentoteleologico anche quando inappropriato, a meno che non abbiano imparato a non farlo.

Durante lo sviluppo quindi le spiegazioni teleologiche saranno adottate tutt’altro che selettiva-mente nei riguardi di entità naturali viventi e non viventi, vedendo scopi dietro l’esistenza di unorologio, di un cuore, di un fiume, di un albero o di un leone.

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Secondo la Kelemen esiste un forte legame tra le intuizioni sull’intenzionalità e il ragiona-mento teleologico. Spiegare l’esistenza di un oggetto con la sua funzione deriva dall’intuizioneche tale oggetto esista per uno scopo che è perseguito da un agente intenzionale.

In particolare, Kelemen (1999b; 1999c) suggerisce che la sensibilità dei bambini piccoli almodo in cui gli agenti usano oggetti come mezzi per raggiungere scopi potrebbe provocare unarudimentale visione teleologica-funzionale delle entità qualora quegli scopi vengano interpre-tati come proprietà intrinseche agli stessi oggetti invece che come proprietà della mente degliagenti. In seguito a questo cambiamento di interpretazione, l’esistenza, le proprietà e l’identitàdi quegli oggetti saranno razionalizzate nei termini della loro funzione (Kelemen, 1999c, 2004;Kelemen & Carey, 2003). Dal momento che i bambini vivono in un ambiente pieno di artefatti,e poichè gli artefatti e le loro proprietà sono prontamente spiegabili dagli usi a cui sono adibiti,l’interpretazione teleologica-funzionale degli artefatti sarà privilegiata.

Spesso gli artefatti possono svolgere varie funzioni, tuttavia solo alcune di esse rendonoragione della loro esistenza, ovvero le funzioni per le quali tali artefatti sono stati intenzional-mente progettati. Per esempio, un libro può servire anche per schiacciare una mosca fastidiosa,ma la funzione con la quale si può spiegare teleologicamente la sua esistenza è quella di essereletto.

Codifica di scopi e intenzioni

Numerosi studi dimostrano che la sensibilità a scopi e intenzioni sorge precocemente. Wood-ward (1998), come Kelemen, sostiene che la tendenza a vedere un’entità come "per uno scopo"derivi dalla precoce abilità dei bambini a interpretare le azioni degli agenti come "dirette a unoscopo". Nei suoi studi ha utilizzato un paradigma di abituazione visiva per verificare se deibambini di età inferiore ad un anno prestano attenzione a quegli aspetti di un’azione che hannoa che fare con gli scopi dell’attore.

Il metodo usato consiste generalmente nell’abituare il bambino ad un evento contenente duedimensioni. Successivamente i bambini sono esposti a due eventi test, ognuno dei quali preservauna dimensione variando quell’altra. Se il bambino presta attenzione più a lungo ad un eventotest rispetto all’altro, ciò significa che ha codificato la dimensione variata in quell’evento e chequella era per lui la più saliente. In questo caso i bambini vedono il braccio di un persona rag-giungere ed afferrare uno dei due giochi esposti. Dopo l’abituazione la posizione dei due giochiviene invertita e ai bambini sono proposti due eventi test in cui è stata cambiata o la direzionedel movimento (aspetto superficiale) o l’oggetto afferrato (aspetto rilevante). Naturalmente ladimensione dell’oggetto afferrato (l’obiettivo dell’azione dell’attore) è quella che ha a che farecon la comprensione dell’intenzionalità.

Nel primo studio i soggetti sperimentali erano bambini di età compresa tra gli 8 e i 10mesi. Essi mostrarono di guardare significativamente più a lungo quando la persona afferravaun gioco nuovo, rispetto che quando questi afferrava lo stesso gioco cambiando il percorsodel movimento (Figura 2.6). Tuttavia, se al posto di un braccio umano veniva utilizzato uno

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Figura 2.6: Un braccio umano afferra gli oggetti.Fonte: Woodward, A. L. (1998). Infants selectively encode the goal object of an actor’s reach. Cognition, 69(1),

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strumento meccanico dalla forma simile, la differenza tra gli eventi test scompariva (Figura 2.7).Si può quindi dedurre che quei bambini erano in grado di codificare l’intenzionalità dell’azionemostrata loro, rimanendo “sorpresi” quando l’attore cambiava il suo obiettivo e non quandoeffettuava un movimento differente.

Il secondo studio ha replicato i risultati del primo con bambini tra i 4 e i 6 mesi, seppurecon pattern più deboli, dimostrando che già a quell’età vi è una significativa sensibilità a scopie intenzioni.

Ovviamente questa sensibilità è presente negli adulti in forma più complessa ed amplificata.Quando si vede una persona afferrare un oggetto viene spontaneo attribuire a quell’azione unaprecisa intenzione e ci si aspetta che, se l’oggetto cambierà posizione, anche il movimentodel braccio sarà diverso al fine di raggiungere comunque lo scopo. Un discorso analogo puòessere fatto circa le attribuzioni causali: le persone sono estremamente propense ad ipotizzareun agente intenzionale come causa di un evento, qualora tale causa sia ambigua.

Pare che già bambini molto piccoli, come gli adulti, spontaneamente ipotizzino che la causainiziale del movimento di un oggetto inanimato, quindi non dotato di autopropulsione, debba perforza essere un agente animato. Carey, Tenenbaum e Saxe (2005) hanno mostrato a dei bambinidi 12 mesi un filmato (Figure 2.8) in cui un sacchetto era lanciato al di là di un muro. La causainiziale dell’evento era però nascosta e il sacchetto appariva già in movimento all’inizio delfilmato. Dopo una fase di abituazione, viene mostrata ai bambini una mano o sul lato da cui il

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Figura 2.7: Un braccio meccanico afferra gli oggetti.Fonte: Woodward, A. L. (1998). Infants selectively encode the goal object of an actor’s reach. Cognition, 69(1),

1-34.

sacchetto è stato lanciato (lato giusto) o sul lato in cui è atterrato (lato sbagliato). Naturalmentela mano rappresenta l’agente animato causale e l’ipotesi dei ricercatori è che, sempre all’internodi un paradigma di abituazione, i bambini siano “sorpresi” da un evento inaspettato, ovvero lamano che compare sul lato sbagliato, e lo fissino più a lungo. I dati danno loro ragione: ibambini fissano significativamente più a lungo la mano quando compare sul lato sbagliato.

Inoltre, se al posto di una mano viene mostrato un oggetto inanimato incapace di essereplausibilmente la causa del lancio del sacchetto, come un trenino giocattolo, non si osservaalcuna differenza nei tempi di fissazione, sia che compaia dal lato giusto o da quello sbagliato.Questo falsifica anche l’ipotesi alternativa che la differenza nei tempi di fissazione fosse dovutaalla presenza di due oggetti (sacchetto e mano) sullo stesso lato.

In un secondo esperimento i ricercatori hanno utilizzato, al posto del sacchetto, un bam-bolotto capace di saltellare autonomamente. Anche in questo caso non si osservava alcunadifferenza nei tempi di osservazione della mano, sul lato giusto o sbagliato, in quanto il bambo-lotto veniva percepito come un agente animato autonomo, dotato di autopropulsione. Per questomotivo i bambini non avevano inferito la presenza di un agente causale nascosto e risultavanoindifferenti alla presentazione della mano.

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Figura 2.8: Fotogrammi del filmato utilizzato nell’esperimento di Carey et al.Fonte: Saxe, R., Tenenbaum, J. B., & Carey, S. (2005). Secret agents inferences about hidden causes by 10-and

12-month-old infants. Psychological Science, 16(12), 995-1001.

La precocità dell’età in cui possono essere visti questi pattern lascia pensare che tali pre-disposizioni siano geneticamente determinate. Risultati con implicazioni concordanti possonoessere trovati in uno studio su pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer (Kelemen et al., 2007).Dal momento che questa malattia produce un danno progressivo al sistema di conoscenze ac-quisite, i pazienti, a differenza dei soggetti sani, preferivano sistematicamente le spiegazioniteleologiche, rispecchiando il fenomeno della teleologia promiscua nei bambini. Questo dimo-stra ancora una volta come l’innata preferenza per queste spiegazioni perduri tutta la vita e nonpossa essere sostituita.

2.2.4 Inferenza di progetto e progettista

Secondo la Kelemen (1999a, 1999b, 1999c, 1999d) l’iniziale interpretazione teleologica deibambini, che razionalizza gli oggetti nei termini del loro uso funzionale, si sviluppa in seguitoin una interpretazione di "funzione intenzionalmente progettata". In pratica, prima i bambini sispiegano l’esistenza di un oggetto (e.g. spada) con la sua funzione (e.g. combattere), poi questavisione si amplifica e tale oggetto è visto come intenzionalmente progettato da qualcuno (e.g.fabbro) per svolgere quella funzione. Ciò è anche dovuto alle tante opportunità che hanno ibambini di osservare e partecipare ad attività dirette ad uno scopo e alla creazione di artefatti.

Kelemen e DiYanni (2005) hanno cercato di collegare ed estendere due filoni di ricerca,quello fin qui discusso relativo alla propensione dei bambini a pensare in termini di intenzioni ea fornire spiegazioni teleologiche, e un altro che ha documentato un loro orientamento a favoredi spiegazioni creazioniste dell’origine di entità naturali, indipendentemente dal fondamentali-smo del contesto religioso di provenienza (Evans, 2001). Lo studio di Kelemen e DiYanni haesplorato anche il ragionamento dei bambini sulle intere entità viventi (e.g. i cavalli) piuttostoche sulle sole parti (e.g. gli zoccoli) e ha evitato metodi implicanti risposte forzate, così da in-dagare proprio le spiegazioni che i bambini generavano autonomamente. Le domande sono poi

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state formulate con il “perchè”, in modo da essere ambigue e interpretabili sia come richieste dispiegazioni causali che teleologiche.

I risultati mostrano una sistematica connessione tra i due tipi di intuizione: i bambini cheadottano le spiegazioni teleologiche-funzionali avallano anche l’esistenza di un agente creatore,ovvero hanno intuizioni sul disegno intelligente (non umano) della natura. Kelemen (2004)si chiede allora se i bambini possano essere considerati “teisti intuitivi”, ovvero predisposti aconsiderare i fenomeni naturali come risultanti da un progetto non umano.

Una questione da chiarire è se i bambini generino spontaneamente credenze su un dise-gno intelligente oppure siano solo dotati di una struttura cognitiva che li rende suscettibili allerappresentazioni religiose presenti nella loro cultura, alle quali sono esposti fin dalla nascita.Questa ultima posizione è sostenuta da Paul Bloom. In “Il bambino di Cartesio” (Bloom, 2005)egli sostiene che le radici delle credenze nel sovrannaturale siano da ricercare nella distinzioneche viene fatta nella nostra mente tra le entità di natura fisica, non animate, prive di intenzioni,e quelle di natura psicologica, animate e dotate di intenzioni (Girotto, Pievani & Vallortigara,2008). Questa distinzione, come abbiamo visto, pare sorgere precocemente ed essere biologica-mente fondata (Woodward, 1998; Saxe, Tenenbaum & Carey, 2005). Le differenze tra la fisicaintuitiva e la psicologia intuitiva avrebbero due conseguenze:

• la possibilità di trattare gli oggetti fisici come entità separate dagli oggetti mentali;

• la possibilità di una “ipertrofia” del sistema che tratta gli oggetti animati.

Dalla prima deriva la possibilità di concepire corpi privi di mente (e.g. zombie) e menti prive dicorpo (e.g. spiriti), ed è questa che costituisce il fondamento delle credenze in dèi, spiriti e vitadopo la morte presenti in tutte le culture. Inoltre è proprio per questo motivo che risulta diffi-cile accettare che i fenomeni mentali derivino dagli eventi fisici e chimici che hanno luogo nelcervello. Dalla seconda invece deriva quel fenomeno di cui abbiamo parlato finora, ovvero l’in-clinazione ad inferire e attribuire desideri e obiettivi laddove questi non esistono. Inclinazioneche, come vedremo, ha un forte valore adattativo.

In uno studio, Paul Bloom e colleghi dimostrano che vi sono differenze nel modo in cuii bambini considerano gli esseri umani e gli oggetti (Kuhlmeier, Bloom & Wynn, 2004). Inaltri studi oltre all’innata discriminazione tra esseri umani e oggetti sembra esservi anche unadifferente concezione di Dio, rispetto agli esseri umani.

Secondo Dennet (1978) la possibilità di attribuire ad un’altra entità una falsa credenza sa-rebbe condizione necessaria per una piena capacità di attribuzione di credenze e stati mentaliagli altri. Seguendo questo ragionamento alcuni ricercatori hanno separatamente testato questacapacità su un campione di bambini americani cattolici (Barrett, Richert & Driesenga, 2001) euno di bambini maya dello Yucatan cattolici (Knight, Sousa, Barrett & Atran, 2004). Il compitoconsiste in una versione modificata del classico “Sally-Anne test”, in cui ad ogni bambino vieneaccuratamente mostrato che in una scatola di biscotti, avente una raffigurazione esterna di quel-lo che dovrebbe essere il suo contenuto, sono invece state messe delle pietre. Successivamente

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si domanda loro cosa una terza entità penserebbe che ci fosse nella scatola, non avendo assistitoalla sua apertura.

Nel caso la terza entità sia una bambola oppure la mamma tanto i bambini americani quantoquelli maya rispondono scorrettamente al di sotto di una età limite, attribuendo la propria cre-denza, ovvero che ci sono delle pietre. Dopo quell’età però sono in grado di fornire la rispostacorretta, ovvero che la bambola/mamma penserà ci siano dei biscotti (falsa credenza). Se questaterza entità è invece rappresentata da Dio, i bambini non gli attribuiscono mai la falsa credenza.Questo risultato è molto importante poichè significa che la concezione di Dio dei bambini nonderiva dalla concezione di essere umano, in quanto non compare una fase intermedia in cui Dioè trattato alla pari della mamma o della bambola (Girotto, Pievani & Vallortigara, 2008).

Girotto, Pievani e Vallortigara (2008), alla luce di questi dati, concludono che le concezionidi essere umano, di divinità o di altri agenti nascono tutte da una primigenia, probabilmenteinnata, concezione di “agente intenzionale”. Questa concezione primigenia può essere applicata“troppo” e a qualsiasi oggetto, anche ad una pallina, come è mostrato nell’esperimento di Csibrae colleghi (1999). Nello studio, bambini di 10 mesi vengono abituati a vedere una pallinapiccola che vola sopra ad un muro, fermandosi poi vicino ad una pallina grande (Figura 2.9). Inseguito, nei due eventi test, il muro non c’è più e la pallina piccola in un caso segue la medesimatraiettoria (azione vecchia), nell’altro rotola secondo una linea retta, la traiettoria più brevepossibile (azione nuova), sempre fermandosi vicino alla pallina grande. I bambini mostranosorpresa nel vedere il primo evento test. Ciò significa che avevano attribuito la qualità di agenteintenzionale alla pallina piccola e, in assenza dell’ostacolo, vedevano l’azione vecchia comeirrazionale. Se la pallina piccola “vuole” raggiungere quella grande, perchè dovrebbe fare unsalto quando non c’è alcun ostacolo? E tutto questo avviene senza alcun indizio dell’agenticitàdella pallina.

Figura 2.9: Evento di abituazione (A) ed eventi test in cui la pallina segue la medesimatraiettoria (B) o una traiettoria nuova (C).

Fonte: Csibra, G., Gergely, G., Bı́ró, S., Koos, O., & Brockbank, M. (1999). Goal attribution without agencycues: the perception of ‘pure reason’in infancy. Cognition, 72(3), 237-267.

Non si sta sostenendo che il pensiero sovrannaturalistico (magico, spirituale, religioso, ecc.)sia un pensiero infantile ed immaturo ma, al contrario, che le credenze nel sovrannaturale af-

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fondino le radici nei normali processi cognitivi delle mente umana. Questi sono stati forgiati intal modo con tutti i loro bias dal processo cieco dell’evoluzione, in quanto adattamento ad unospecifico ambiente di vita.

In conclusione, ci sono prove schiaccianti sulla propensione precoce degli esseri umani adistinguere tra oggetti animati e inanimati e a pensare in termini di intenzioni, tuttavia non èchiaro se le credenze in un progettista intelligente della natura debbano considerarsi inevitabili.

Paul Bloom (2013) sostiene che inferire dalla facilità dei bambini a pensare ad anime, dèi ealdilà che i bambini siano "credenti nati" sia un’inferenza troppo forte: non ci sono prove chequeste credenze possano sorgere spontaneamente senza supporto culturale. La facilità a pensareall’aldilà o ad un disegno intelligente della natura è spiegata dall’intuitivo dualismo mente-corpo. Per ora possiamo solamente dire che i bambini sono “dualisti intuitivi” e non anche“teisti intuitivi” come ha proposto la Kelemen. Secondo Bloom i moduli di psicologia intuitivapossono spiegare il motivo per cui un’idea religiosa sia facile da accettare e comprendere eperchè si possa diffondere tanto. Per spiegare come tale idea nasca in primo luogo però sononecessari altri approcci, riguardanti motivazioni, emozioni e creatività.

2.2.5 Adattività del pensiero intenzionale

Fino ad ora abbiamo descritto le caratteristiche di questo modulo mentale per l’intenzionalità ele ricerche che documentano la sua esistenza e le sue origini. Ora però è necessario davvero dareanche una spiegazione teleologica, ovvero spiegare i motivi per cui la mente umana si sarebbeevoluta, tramite selezione naturale, in maniera specializzata per pensare in termini di scopi eintenzioni.

La precocità della sensibiltà alle intenzioni non è la sola prova a favore di un determinismogenetico. Infatti, vi sono ottime ragioni per ipotizzare che la capacità a ragionare in terminidi scopi e intenzioni abbia avuto un forte valore adattativo nella nostra storia evoluzionistica.Quindi, da dove deriva questa “ipertrofia” del sistema che si occupa degli oggetti animati?

Anzitutto la stessa capacità innata di distinguere tra oggetti animati e inanimati che è statatrovata nei bambini può essere vista anche in altre specie animali (e.g. Hauser, 1998). Inoltre,pensare che un evento sia segno di un imminente attacco intenzionale da parte di uno o più pre-datori, e scappare di conseguenza, ha un indubbio valore positivo nel bilancio della selezionenaturale. È meglio essere cauti ma vivi piuttosto che sereni ma morti. È adattivo uno sbilancia-mento a favore dei falsi positivi (i falsi allarmi) piuttosto che dei falsi negativi (scambiare unpredatore per un oggetto inanimato), e questo vale per tutti gli animali.

Tuttavia nell’uomo il pensiero intenzionale risulta molto più importante, e per un altro mo-tivo. Noi siamo animali sociali e in quanto tali viviamo in un ambiente composto in larga parteda altre persone che, come noi, agiscono in base ad intenzioni, desideri, motivazioni, creden-ze. Avere una spiccata sensibilità per gli stati mentali degli altri, saper utilizzare il minimoindizio per comprenderli, è quindi indispensabile per muoversi nell’ambiente sociale. Creare le

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Figura 2.10: Illustrazione schematica del test di Sally-Anne.Fonte: Baron-Cohen, S., Leslie, A. M., & Frith, U. (1985). Does the autistic child have a “theory of mind”?.

Cognition, 21(1), 37-46.

giuste alleanze, rispettare le gerarchie, identificare potenziali antagonisti, sono tutte operazionialtamente adattive ed è logico ipotizzare che la selezione naturale abbia favorito coloro che ciriuscivano meglio. Così, quei geni codificanti per le caratteristiche cognitive sopra descrittehanno potuto diffondersi maggiormente nel pool genico.

Una triste prova dell’indispensabilità dei moduli della psicologia intuitiva è data dall’auti-smo. Questa sindrome può essere concettualizzata come mancanza di empatia, assenza di quellacapacità di attribuire stati mentali agli altri e di interpretare il mondo in termini di intenzioni escopi.

Baron-Cohen, Leslie e Frith (1985) hanno usato il Sally-Anne test (Figura 2.10) per con-frontare la teoria della mente dei bambini autistici sia con bambini normali che con bambini consindrome di Down. Ad ogni bambino vengono mostrate le due bambole, Sally e Anne, in unastanza con un cestino e una scatola. Sally mette una biglia nel cestino, poi esce dalla stanza.Anne sposta la biglia dal cestino alla scatola. Quando Sally ritorna, si chiede al bambino dovecercherà la biglia.

Mentre i bambini normali e quelli con sindrome di Down riescono a rispondere corretta-mente, i bambini autistici, anche quelli ad alto funzionamento, falliscono nell’attribuzione dellafalsa credenza. Il confronto con i bambini con sindrome di Down è molto importante in quan-to indica che questo deficit è specifico della sindrome autistica e non è dovuto ad un generaleritardo mentale.

La capacità di attribuzione di stati mentali può essere osservata anche in specie filogeneti-camente molto distanti, aventi tutte in comune una grande socialità. Una vera e propria conver-

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genza evoluzionistica che costituisce un’ulteriore conferma del valore adattivo di questi modulimentali. Un esempio è dato dai corvidi (Emery & Clayton, 2004).

2.2.6 Panoramica sulle misconcezioni della teoria dell’evoluzione

Nel primo capitolo sono state descritte le misconcezioni più comuni della teoria dell’evoluzionee si è accennato al fatto che molte di esse hanno a che fare con l’intenzionalità. Questo puòessere meglio compreso ora, alla luce delle ricerche sopra presentate.

Tabella 2.1: Spiegazioni scientificamente corrette.

spiegazione teleologica inferenza di progetto e progettistaartefatti si si

proprietà o parti di esseri viventi si no

esseri viventi no no

entità naturali non viventi no no

Kelemen (2012) ha classificato dettagliatamente i vari tipi di misconcezione della teoriadell’evoluzione causate dalla nostra propensione al pensiero intenzionale e teleologico.

Naive Adaptationist Tutto è spiegato dalla funzione del tratto.

Basic Function-based Questo tipo di spiegazioni menzionano solo la funzione, lasciandoindefiniti i meccanismi che sottendono il cambiamento. La funzione che ha un determinatotratto, attualmente, di aumentare la possiblità di sopravvivenza è l’unico fattore necessario aspiegare perchè tale tratto si sia sviluppato. Questa posizione implica una logica inversa: leconseguenze attuali di un certo tratto sono usate per spiegarne l’origine storica. Per esempio “legiraffe hanno un collo lungo perchè così possono raggiungere il cibo”.

Basic Need-based Queste spiegazioni vanno un passo indietro rispetto a quelle precedenti.Esse infatti si rifanno ad un bisogno fisiologico antecedente allo sviluppo del tratto in questio-ne. Per esempio “le giraffe hanno il collo lungo perchè gli serviva per raggiungere il cibo alto”.Questa posizione implica già un processo di cambiamento evoluzionistico, seppure comunquei suoi meccanismi non vengano esplicitati. Lasciando indefiniti i meccanismi evoluzionistici,questo tipo di spiegazione sembra implicare che il bisogno biologico di un animale abbia l’in-trinseco potere di trasformare direttamente i geni dell’individuo, dando vita ad un tratto adattivoereditabile.

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Elaborated Need-based “Le giraffe hanno evoluto un collo lungo per raggiungere il ciboalto”. È molto facile dire le cose in questo modo, molto intuitivo, e in questo modo si esprimonoanche gli scienziati. Questa frase è giustificata però dalla sottointesa consapevolezza che i collilunghi delle giraffe dei giorni nostri sono tali grazie al vantaggio riproduttivo che colli più lunghidella media (carattere eredtabile) davano ai loro progenitori. Tuttavia questa consapevolezzaviene spesso a mancare negli studenti e nel pubblico generale.

Un esempio di questo tipo di errate spiegazioni è quello “effort-based”. Gli animali avreb-bero agito in maniera diretta a scopi per soddisfare i loro bisogni e con i loro sforzi i loro corpisi sarebbero geneticamente trasformati, generando il tratto funzionale (Lamarckismo). Un altrotipo è la concezione che una entità personificata e indefinita (“Madre Natura” o “Evoluzio-ne”) rispose ai bisogni degli animali generando in loro la parte funzionale, al fine di preservarel’esistenza della specie.

2.2.7 Interazione natura-cultura

Il lunghissimo dibattito tra natura e cultura ha generalmente visto contrapporsi due spiegazioni,una che interpreta un fenomeno attribuendolo alla natura umana, geneticamente determinata, eun’altra che invece lo spiega come una conseguenza dell’influenza culturale e della sua trasmis-sione intra- e inter- generazionale. Sarebbe un errore assumere nettamente in questa sede unadelle due posizioni in quanto, in questo caso come in molti altri, per comprendere appieno ilfenomeno bisogna considerare contemporaneamente la natura umana, la trasmissione culturalee l’interazione tra di esse.

La tendenza innata e le influenze culturali e religiose sono strettamente connesse, in quantola prima rafforza e fa diffondere rapidamente le seconde. Kelemen (2003) ha messo a confrontobambini americani e inglesi, due culture molto diverse dal punto di vista religioso ma per ilresto abbastanza simili. I risultati mostrano che posseggono entrambi una teleologia promiscua,differenziandosi però nelle tipologie di scopi che propongono nelle loro spiegazioni. Perciò sipuò affermare che la tendenza ad effettuare un certo tipo di ragionamento sia innata, mentre isuoi contenuti specifici sono determinati culturalmente.

2.3 L’intuitività del tempo e delle probabilità

Altri meccanismi psicologici contribuiscono alle difficoltà nella comprensione e nell’accettazio-ne della teoria dell’evoluzione. Svariate ricerche suggeriscono che la capacità di rappresentarsii numeri e di ragionarci è parte di una struttura innata della mente umana (Wynn, 1998). Ciò èperfettamente comprensibile proprio alla luce dell’evoluzione: la capacità di contare ed eseguiresemplici calcoli risulta adattiva in numerose situazioni, e soprattutto nelle interazioni sociali.

Vi è differenza tra un’intuizione e una conoscenza più teorica ed astratta. Certe dimensionidi tempo o spazio possono essere percepite intuitivamente mentre altre possono solo essere

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pensate ad un livello astratto e teorico. Ognuno di noi ha ben chiara nella propria mente ladifferenza tra un secondo e un minuto, proprio come quella tra un minuto e un’ora, un giorno,un mese o un anno. Tuttavia se si aumentasse la scala temporale considerata le cose sarebberomolto diverse. Infatti, nessuno riesce ad intuire vividamente la differenza tra mille anni e unmilione di anni, tra un milione e un miliardo di anni, e così via. Lo stesso può dirsi dellospazio. Le persone riescono con facilità a pensare alla differenza tra pochi metri e un chilometro.Questa distanza può essere rappresentata nella propria mente, percepita in maniera realistica esi può stimare abbastanza accuratamente il tempo necessario a percorrerla. Tuttavia sarebbedifficile comprendere a livello intuitivo la differenza tra un milione e un miliardo di chilometri:entrambi nella nostra mente sono rappresentati come una quantità “enorme” di spazio e unastima accurata del tempo necessario a percorrere tali distanze può essere ottenuta solo tramitecalcoli matematici.

La teoria dell’evoluzione può spiegare elegantemente perchè questo accade. La nostra men-te, come quella degli altri animali, si è evoluta in un determinato ambiente in cui doveva svolgeredeterminati compiti. Come gli organi del nostro corpo, le strutture e i processi cognitivi dellanostra mente hanno generalmente una funzione specifica, in quanto la selezione naturale ten-de ad “economizzare”, togliendo ciò che è inutile. I nostri occhi infatti percepiscono solo unagamma ristretta di onde elettromagnetiche, entro uno specifico intervallo di lunghezza d’onda.Evidentemente percepire i raggi ultravioletti non conferiva alcun vantaggio di sopravvivenza oriproduttivo e pertanto non vi era alcuna pressione selettiva a favore di tale capacità. Similmen-te, la vita di un individuo rientra nell’ordine delle decine di anni, quando tutto va bene, e i ritmidella giornata possono essere scanditi in secondi, minuti od ore. La mente umana pertanto èadattata a pensare nei termini di queste grandezze, né più né meno. Non vi è mai stata una pres-sione evoluzionistica per ragionare a livello di milionesimi di secondo o di metro. In assenza diaerei o automobili, le distanze che potevano essere percorse erano sicuramente dell’ordine deichilometri, non vi era certo il bisogno di preoccuparsi di distanze come gli anni luce.

In particolare, per quello che riguarda la comprensione della teoria dell’evoluzione, ha moltopeso la questione della percezione del tempo. Come spiega Dawkins (1986), il nostro cervelloè costruito per far fronte a eventi su scale temporali radicalmente diverse da quelle che carat-terizzano il mutamento evoluzionistico. Per ragionare su queste ultime è infatti necessario ungrande sforzo immaginativo e, comunque, non potranno mai essere apprezzate completamentea livello intuitivo.

La teoria di Lamarck risulta più intuitiva da comprendere e più facile da accettare sicura-mente anche perchè prevede un meccanismo evoluzionistico che agisce in tempi molto brevi.Se un organismo svolge durante la vita un’attività che potenzia i suoi muscoli, e se questamodificazione può essere tramandata alla prole, allora si avrà un cambiamento evoluzionisticoosservabile in appena due o tre generazioni. L’evoluzione darwiniana invece richiede spesso untempo molto più lungo, di centinaia o migliaia di generazioni, affinchè un cambiamento possaessere osservato e nessun essere umano è in grado di vivere abbastanza per osservarlo intera-

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mente con i propri occhi. Non a caso le prove più suggestive a favore del darwinismo derivanoda quegli studi su specie (come insetti o batteri) aventi periodi di riproduzione estremamentebrevi, tanto per cui un mutamento evoluzionistico può essere osservato nell’arco di una vitaumana.

(...) La causa principale della nostra naturale riluttanza ad ammettere che una

specie abbia dato origine ad altre e distinte specie, dipende dal fatto che siamo

sempre lenti ad ammettere grandi cambiamenti di cui non vediamo i gradi (Darwin,

1872).

Lo stesso discorso può essere fatto per le probabilità. Le persone stimano intuitivamente la pro-babilità, alta o bassa, di un evento rispetto alla scala temporale a loro familiare. Ciò significache se un evento dovesse verificarsi una volta ogni cento anni, dovrebbe essere ritenuto abba-stanza improbabile. Tuttavia nel tempo evoluzionistico un secolo equivale ad un battito di cigliae tale evento può essere considerato molto probabile. Di conseguenza, anche con una giusta co-noscenza dei processi di mutazione genetica e di ereditarietà risulta arduo sfuggire alla naturaletendenza a vedere come altamente improbabile la formazione di una struttura complessa, comel’occhio, a causa di un graduale processo di filtro selettivo di piccole mutazioni casuali. In ef-fetti la mutazione genetica, in particolare una che abbia un valore adattivo, è un evento che lanostra mente valuta come molto improbabile, in quanto è raro se lo si considera sullo sfondodella scala temporale umana. Tuttavia posto sullo sfondo della scala temporale dell’evoluzionediventa un evento molto probabile e che, in effetti, è accaduto ormai innumerevoli volte.

2.4 Conclusione

Seppure la trasmissione culturale giochi un ruolo importante nell’assunzione di spiegazioniteleologiche, essa non ha prodotto in primo luogo tale bias. È piuttosto vero il contrario. Sela tendenza a fare uso di spiegazioni teleologiche dipende da meccanismi psicologici dominio-specifici innati nella specie umana, ciò rende conto del fatto che nelle credenze di tutte le culturesi possano trovare questo tipo di spiegazioni dei fenomeni naturali. A causa dei bias costitutividella mente umana le culture hanno sviluppato credenze antropocentriche intrise di spiegazioniteleologiche e di entità intenzionali non umane, come spiriti e dèi.

La tendenza alle spiegazioni teleologiche è sempre presente nella nostra vita e nonostantel’educazione scientifica essa permane e deve costantemente essere soppressa. Non c’è da stupir-si che, come discusso in precedenza, molte persone fraintendano la teoria dell’evoluzione conuna sua versione “teleologica”. Tramite il processo evoluzionistico la mente umana ha svilup-pato specifici moduli per il ragionamento teleologico-funzionale, che diventa perciò semplicee automatico, e questo rende più difficile comprendere un processo che è per sua natura cieco,privo di finalità e intenzionalità. È il caso della teoria dell’evoluzione. Nonostante sia suppor-tata da una quantità incalcolabile di prove e sia largamente accettata come vera dalla comunità

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scientifica, essa viene spesso percepita dal pubblico generale come una mera speculazione, un’i-potesi infondata e poco realistica in cui solo alcuni credono o un argomento controverso. Nonsolo, dal momento che le implicazioni dell’evoluzione toccano temi sensibili, come l’originedella specie umana, essa è vista da molti come un affronto ai valori morali o una blasfemia.

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Capitolo 3

Possibilità per il futuro

Education is the most powerful weapon which you can use to change the world (Nelson Mandela).

3.1 Insegnamento

3.1.1 Terminologia ed espressione dei significati

Gli insegnanti tendono continuamente, durante le spiegazioni, a fare riferimento ad intenzioni escopi. Così la specie si è adattata al mutamento ambientale "scegliendo" un certa via piuttostoche un’altra. Parlano dell’evoluzione in prima persona, dicendo per esempio che “l’evoluzioneha portato un certa specie a sviluppare determinate caratteristiche”. Questa terminologia, anchequando usata da chi conosce correttamente la teoria, lascia maggiore spazio ad una possibileconfusione. È proprio per la nostra innata predisposizione a ragionare in termini di agentiintenzionali, progetti e scopi, che risulta più facile sia agli insegnanti spiegare in quel modo cheagli studenti comprendere una tale spiegazione.

Dire che la giraffa ha un collo lungo per poter mangiare le foglie degli alberi è solo approssi-mativamente corretto (e anche in parte sbagliato). Ciò che la teoria dell’evoluzione dice in realtàè che dal momento che le giraffe con il collo un pò più lungo della media riuscivano ad accederead una maggiore quantità di risorse alimentari (le foglie), la loro probabilità di sopravvivenzae riproduzione aumentava. Tra le giraffe che morivano vi erano quindi in maggior proporzionequelle con il collo più corto della media. Di conseguenza su un lungo periodo la lunghezzamedia del collo della popolazione delle giraffe crebbe fino a raggiungere la lunghezza attuale.In alternativa, dal punto di vista del gene, si può dire che geni codificanti per un collo più lungoriuscivano a diffondersi maggiormente nel pool genico di quella popolazione.

È giusto usare certe analogie per creare una comprensione più intuitiva, tuttavia esse an-drebbero accompagnate da altrettanti riferimenti alla reale cecità dei meccanismi evoluzionisti-ci. Andrebbe continuamente ribadito che il cambiamento spiegato dalla teoria dell’evoluzionenon ha uno scopo, non ha una meta finale, non è stato progettato da nessuno. È perciò moltoimportante che gli insegnanti prestino attenzione alla terminologia usata e che siano consapevoli

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del modo in cui stanno esponendo gli argomenti e delle possibili misconcezioni a cui potreb-be condurre. Forse sarebbe opportuno che l’insegnante periodicamente portasse all’attenzionedegli studenti le possibili misconcezioni, per discuterne collettivamente e chiarire ogni dubbio,senza mai dare per scontato il loro superamento.

3.1.2 Proposte didattiche nel mondo

Explore Evolution

Nel 2003, un gruppo di musei di storia naturale negli Stati Uniti creò Explore Evolution, un pro-getto ideato al fine di accrescere le conoscenze del pubblico generale sull’evoluzione (Diamond& Evans, 2007). Explore Evolution rappresenta un grande sforzo per far vivere esperienze diapprendimento sull’evoluzione e sulla natura della scienza, mostrando la ricerca scientifica percome è davvero, con reali ricercatori, esperimenti, dati. L’intento è di spingere le persone apensare come studiosi dell’evoluzione, mostrando loro tanti progetti di ricerca su una moltitu-dine di organismi anche molto diversi tra loro. “Virus and the Whale: Exploring Evolution inCreatures Small and Large” è infatti il titolo del libro scritto da Judy Diamond (2005), l’orga-nizzatrice del progetto. Quest’opera si rivolge sia agli studenti, descrivendo alcune delle piùentusiasmanti tematiche della ricerca sull’evoluzione, sia agli insegnanti, con suggerimenti edindicazioni per trattare al meglio l’argomento.

Project 2061

Il Project 2061 (http://www.project2061.org/) è una iniziativa dell’American Association for theAdvancement of Science (AAAS). Esso conduce ricerche con lo scopo di fornire informazioni,strumenti e servizi che ricercatori, educatori e politici possono usare per apportare migliora-menti nel sistema educativo della nazione. Le sue pubblicazioni sono ampiamente utilizzatenei corsi di educazione per gli insegnanti e come indicazioni sul modo in cui dovrebbero esserescritti i libri di testo e svolte le lezioni.

The Brights

Generalmente sono coloro che possiedono credenze religiose ad impegnarsi in attività di propa-ganda della loro dottrina, mentre le persone prive di credenze sovrannaturali tendono a restarenell’ombra. “The Brights” (http://www.the-brights.net/) è un movimento finalizzato a promuo-vere una visione naturalistica del mondo, ovvero priva di elementi mistici e sovrannaturali.Coloro che ne fanno parte si impegnano a diffondere la comprensione di questa visione natura-listica in quanto può giovare alla società, per esempio nelle decisioni politiche, con lo scopo diraggiungere una giustizia civica per tutti.

Tra i suoi progetti, alcuni riguardano l’insegnamento della teoria dell’evoluzione: il poster(Figura 3.1) dal titolo “Earth and Life: changes over time”, creato per essere usato dagli inse-

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Figura 3.1: Esempio del poster “Earth and Life: changes over time”.Fonte: http://www.the-brights.net/action/activities/poster.html

gnanti di scienze; la diffusione via internet di materiali che riassumono i principali fatti relativiall’evoluzione con un linguaggio adatto ad un pubblico senza preparazione scientifica; alcunisuggerimenti bibliografici per approfondire l’argomento.

Siti internet

Oltre ai musei, vi sono anche molti siti internet dedicati all’evoluzione e pensati come databasedi informazioni teoriche, contenenti testi, immagini e video. Un esempio è quello dell’univer-sità di Berkeley in California (http://www.ucmp.berkeley.edu/). Questi possono essere moltoutili in quanto ogni persona interessata può accedere ad informazioni attendibili e a spiegazio-ni accurate riguardanti l’evoluzione. Spesso infatti le misconcezioni e le argomentazioni deglianti-evoluzionisti si radicano su una mancanza di informazioni, come l’idea che la teoria del-l’evoluzione non sia supportata da prove empiriche oppure che affermi che la complessità dellavita biologica è originata esclusivamente da un processo casuale. In questi casi ogni personadal proprio computer potrebbe leggere dell’enorme mole di prove a supporto dell’evoluzione ocapire i reali meccanismi attraverso cui opera la selezione naturale, tutto l’opposto del caso.

Inoltre, delle fonti di informazioni affidabili e facilmente raggiungibili gratuitamente sonoutili ad ogni studente che per qualsiasi motivo sia interessato all’evoluzione, in modo da nonriservare questi insegnamenti ai soli studenti di biologia.

3.1.3 Proposte didattiche in Italia

In Italia spesso già alle elementari i bambini sentono parlare di evoluzione, anche se questo av-viene prevalentemente all’interno degli insegnamenti di storia piuttosto che di scienze. Questoè vero in particolare successivamente all’introduzione delle Indicazioni Nazionali per i Piani diStudio Personalizzati nella Scuola Primaria, a partire dall’anno scolastico 2004-2005, le qua-li esplicitamente prescrivono che vengano trattati “la Terra prima dell’uomo” e “le esperienzeumane preistoriche”.

Toneatti (2008) ha condotto un’analisi dei libri di testo utilizzati nelle scuole elementari,trovando che le informazioni fornite rispecchiano un linguaggio finalistico ed antropomorfico

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in grado di preparare il terreno alle misconcezioni precedentemente descritte. Per esempio,vengono utilizzate le parole evoluzione ed adattamento senza precisarne la definizione, il cheporta i bambini ad utilizzare le conoscenze che già possiedono per interptetare questi termini. Inparticolare con il termine adattamento si fa riferimento nel linguaggio quotidiano ad un processoche interessa il singolo individuo in un arco di tempo piuttosto breve (e.g. Adattamento ad unanuova dieta), significato ben diverso da quello inteso parlando di adattamento di una specienel corso dell’evoluzione. Questo è probabilmente un altro motivo per cui la concezioni dievoluzione lamarckiana è più diffusa rispetto a quella di evoluzione darwiniana.

Toneatti studia le concezioni sull’origine delle specie nei bambini di seconda e terza ele-mentare, anno in cui avviene l’insegnamento, e nei bambini di terza elementare, prima e dopol’insegnamento. I risultati mostrano che, come i loro coetanei di altri Paesi (Evans, 2001), moltibambini di 8-9 anni prima di studiare l’origine degli animali credono nella loro creazione. Leloro concezioni sembrano però cambiare in direzione dell’evoluzionismo dopo aver affrontatoquesto argomento a scuola.

Successivamente la studiosa ha messo a punto un curricolo di biologia per la scuola ele-mentare finalizzato a fornire ai bambini una comprensione limitata ma corretta della teoria del-l’evoluzione, prevenendo così la formazione delle misconcezioni. Questo curricolo ha duratadi due anni e prevede di costruire in seconda elementare le basi per poter parlare di evoluzio-ne nell’anno successivo. Nella creazione sono stati tenuti in considerazione vari principi cheprovengono da ricerche di psicologia cognitiva, dello sviluppo e dell’educazione (Bransford eDonovan, 2005), ovvero:

1. Partire dalle preconcezioni. Dal momento che spesso le esperienze quotidiane rinforzanomolte idee scientificamente sbagliate, per superare le misconcezioni è necessario gettareun ponte che porti dalle preconcezioni fino ai concetti corretti.

2. Sapere cosa vuol dire “fare scienza”. È bene che gli studenti comprendano la natura dellascienza come processo d’indagine.

3. Metacognizione. Far riflettere gli studenti sui proprio ragionamenti, in particolare suquelli scientifici, sembra avere effetti positivi sull’apprendimento. È importante spingerei ragazzi a formulare “buone domande” e a trovare modi per esplorarle.

Il curricolo è pensato per essere semplice, fornendo al tempo stesso una conoscenza precisae corretta dei punti principali della teoria dell’evoluzione. La scelta degli argomenti è stataguidata dal criterio della propedeuticità, in modo che ad ogni tappa fossero raggiunte le capacitàper comprendere le nozioni introdotte nelle tappe successive. Un obiettivo importante inoltreè evitare che il tema dell’evoluzione sia presentato ai bambini come un susseguirsi di eventiprivi di spiegazione e di relazioni reciproche. A tal scopo è stata data molta importanza allacomprensione dei seguenti aspetti:

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• l’attuale esistenza di una grandissima quantità di gruppi (o taxa) di animali, i quali pre-sentano vari gradi di somiglianze e differenze e che sono adatti a vivere in particolariambienti;

• piante e animali attuali sono il risultato di una storia lunghissima, iniziata miliardi di annifa, con la comparsa dei primi esseri viventi;

• la moltiplicazione delle forme di vita è avvenuta grazie ai processi descritti dalla teoriadell’evoluzione, man mano che le specie viventi si confrontavano con nuovi ambienti.

I risultati dello studio condotto sulla seconda elementare indicano un miglioramento significa-tivamente superiore dei bambini che hanno seguito il curricolo sperimentale, rispetto al gruppodi controllo, riguardo le conoscenze di biologia. Le capacità di quei bambini superavano quelleindicate dai programmi ministeriali ed essi erano in grado di comprendere la variazione di untratto di popolazione come effetto di cambiamenti ambientali, nozione molto importante perl’apprendimento della teoria dell’evoluzione. Infine, da genitori ed insegnanti è stato riportatoun grande interesse da parte dei bambini per l’ora di biologia, che per alcuni era diventata unappuntamento atteso con gioia durante la settimana.

3.1.4 Libri di testo e corsi di biologia

A contribuire alla mancata comprensione dell’importanza della teoria dell’evoluzione e del suoruolo unificante per la biologia moderna può anche essere l’organizzazione dei libri di testo.Nehm e colleghi (2009) hanno notato che il tema dell’evoluzione è spesso relegato in capitoliisolati. Nonostante quasi tutti i biologi considerino l’evoluzione come il concetto che unificatutte le parti della loro disciplina, molti corsi introduttivi di biologia non la usano come “impal-catura cognitiva” per organizzare gli altri argomenti, come genetica, biologia cellulare, biologiadello sviluppo, ecologia.

Questa segregazione è solitamente rispecchiata nei libri di testo, dove l’ecologia, i meccani-smi dell’ereditarietà, la biochimica della vita e la teoria dell’evoluzione sono trattati come unitàisolate. Tale organizzazione può addirittura favorire le preesistenti misconcezioni, in quantorinforza i modelli mentali per cui l’evoluzione avrebbe poco a che fare con il resto della biolo-gia, quasi come una teoria opzionale alla quale un biologo possa credere o meno. Così, studentidi biologia possono ricevere buoni voti, laurearsi e divenire a loro volta insegnanti, pur con-servando misconcezioni sulla teoria dell’evoluzione e persino attitudini anti-evoluzionistiche.Questo avrebbe poi implicazioni più ampie, in quanto il rifiuto della visione evoluzionistica ri-chiede come conseguenza logica anche il rifiuto di molti aspetti di biologia cellulare, genetica,biologia animale e delle piante ed ecologia.

Dopo tutto, se agli studenti una teoria viene presentata come marginale e sconnessa dal restodelle conoscenze che vogliono acquisire, risulterà anche più facile cadere nella trappole delle

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argomentazioni dei movimenti anti-evoluzionisti. Al contrario, se per ogni nuova conoscen-za viene sottolineata la sua inseparabilità dall’evoluzione, una sua confutazione desterà moltipiù sospetti e resistenze. Magari spingerà quegli studenti a cercare risposte, dati per smen-tire quelle accuse che andrebbero a minare un intero corpo coerente di conoscenze. Questerisposte sarebbero poi trovate con relativa facilità dal momento che tutte le accuse rivolte daimovimenti creazionisti o del disegno intelligente verso la teoria dell’evoluzione possono esserefacilmente confutate da chiunque possieda una conoscenza completa e corretta dei meccanismidell’evoluzione.

È quindi opportuno che i libri di testo e i curricoli di biologia vengano ristrutturati in mododa usare la teoria dell’evoluzione come organizzatore concettuale. Gli insegnanti dovrebberofungere da modelli per gli studenti mostrando loro come l’evoluzione venga usata dai biologicome “collante” per la comprensione di campi molto diversi quali la genetica e l’ecologia,cosa che faciliterebbe anche gli studenti nel loro lavoro. Studi dimostrano infatti che il migliorapprendimento in ambito scientifico si verifica quando gli studenti riescono a costruire unasolida rete cognitiva di base, alla quale successivamente aggiugono fatti specifici (NationalResearch Council, 2000).

3.1.5 Credenze e teorie scientifiche

Un argomento usato dai detrattori dell’evoluzione, speculare alle pretese di scientificità delcreazionismo discusse in precedenza, equipara l’evoluzione ad una religione. Essi sostengono,contro ogni evidenza, che non ci siano prove a favore della teoria dell’evoluzione e che, pertanto,gli scienziati “credano” in essa tanto quanto loro credono nel creazionismo (Smith, Siegel &McInerney, 1995). Questo argomento chiama in causa il concetto di credenza, che può averemolti significati tra i quali spesso si genera confusione. Con il termine credenza si può intendereuna “fede”, e avere fede significa considerare un’affermazione o un evento come totalmente verisenza bisogno di alcuna prova a favore e nonostante qualsiasi prova contraria. Tuttavia nell’usocomune questa parola assume anche altri significati, connotando per esempio una incertezza.Se si sente una persona dire “credo di avere chiuso il gas” non si pensa certo che questi abbiauna fede incondizionata nell’aver chiuso il gas, cosa che implicherebbe una certezza al 100%.Si pensa piuttosto che l’individuo non è sicuro di averlo chiuso o meno e che però, se dovessescommettere, punterebbe sul fatto di averlo chiuso. È interessante notare che alcune personedichiarano di credere in Dio proprio con questo ultimo significato, ovvero di non essere sicuridella sua esistenza ma, in fondo, di considerarla più probabile della sua non esistenza. Tuttaviaquesto non è il significato vero e profondo di credenza religiosa, che originariamente indica unafede incondizionata, una certezza totale dell’esistenza della propria divinità.

Di sicuro sentire scienziati che dicono di credere nella teoria dell’evoluzione può provocareconfusione e dubbi sulla sua validità in persone aventi una scarsa cognizione sulla natura dellascienza. Purtroppo vi sono anche stati casi in cui gli insegnati cercavano di imporre la credenza

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nella teoria dell’evoluzione tramite la loro autorità anzichè fornire agli studenti gli strumentiper giudicare autonomamente tramite un ragionamento scientifico.

Nelle scienze psicologiche la definizione di credenza è oggetto di dibattito. Alcuni autoridistinguono tra conoscenza, che deriva da un ragionamento logico basato su dati empirici, ecredenza, che invece non dipende da dati osservabili e può esistere anche in presenza di provecontrarie. Una teoria scientifica non è qualcosa a cui si debba credere o meno ma qualcosa daaccettare o rifiutare logicamente. La propria posizione deve essere motivata in maniera oggettivae non si può ricorrere ad impressioni o preferenze soggettive. Da questo punto di vista quindisarebbe sbagliato parlare di “credenze” degli studenti sull’origine delle specie, in quanto ciòdavvero importa sono le loro conoscenze. Un bravo scienziato non deve quindi dire di crederenella teoria dell’evoluzione ma di considerarla vera sulla base delle prove di cui disponiamo.

Spesso però gli insegnanti, soprattutto negli Stati Uniti, sentono studenti affermare che han-no capito la teoria dell’evoluzione ma che non ci credono (Smith & Siegel, 2004). Questo fapensare che in realtà la distinzione netta tra conoscenza e credenza sia piuttosto teorica, astratta,artificiale. Ad un livello più pratico, in seguito ad un ragionamento logico o alla contemplazionedi prove, una persona che percepisce una cosa come vera, falsa o incerta ha sempre e comun-que una credenza, intendendo così ogni convinzione riguardo il grado di verità di una certaaffermazione.

In questo caso tutto è da considerare come una credenza. Così ognuno di noi crede che laTerra giri attorno al Sole, che la temperatura di ebollizione dell’acqua sia cento gradi Celsius,che un determinato partito politico abbia ragione e l’altro torto, che solo una certa religione dicail vero, e così via. Ci sono però diversi tipi di credenze, alcune derivano da prove empirichee altre no. Quando uno scienziato afferma di credere in una teoria non intende di avere unafede incondizionata verso quella teoria. Un vero scienziato non crede nella verità di un’ipotesia dispetto di evidenze che la falsificano. La credenza, per come è intesa dalla scienza, è semprequalcosa che si rafforza in seguito a prove favorevoli e che si allenta a causa di prove contrarie.

Per migliorare la comprensione e l’accettazione della teoria dell’evoluzione nei corsi dibiologia sono possibili due strade:

• rendere la teoria dell’evoluzione “credibile” agli occhi degli studenti;

• convincere gli studenti che non bisogna “credere” ad una teoria ma accettarla razional-mente a seconda delle prove empiriche a suo supporto.

Che si differenzi nettamente tra conoscenza e credenza o che si parli di tante credenze di diversanatura, ciò che di importante va insegnato a tutti gli studenti è un tipo di ragionamento, una viaper costruire la propria visione del mondo, la quale influenzerà azioni e decisioni future. In ogniclasse di scienze dovrebbe essere trasmesso un atteggiamento critico, di valutazione oggettivadei dati e di apertura mentale al cambiamento. Gli studenti vanno incoraggiati a ragionareautonomamente e a giustificare le proprie convinzioni tramite ragionamenti logici.

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Come sostengono Lombrozo, Thanukos e Weisberg (2008), in base ai risultati della lororicerca, l’accettazione della teoria dell’evoluzione è strettamente legata alla comprensione chehanno gli studenti della natura della scienza.

3.2 Approcci nei confronti del creazionismo

La lotta per la difesa della teoria dell’evoluzione dagli attacchi del creazionismo vede princi-palmente due approcci verso le credenze religiose. Uno, sostenuto in maniera emblematica daRichard Dawkins, si inserisce in una più ampia critica a tutte le credenze sovrannaturali e puòessere riassunto nella frase “senza creazionismo ci può essere religione ma senza religione nonci può essere creazionismo”. Questo approccio critica duramente non solo il creazionismo matutte le credenze religiose e sostiene che la comprensione e l’accettazione della teoria dell’e-voluzione, con tutte le sue implicazioni, dovrebbe naturalmente portare all’ateismo. È curiosoil fatto che spesso i fondamentalisti anti-evoluzionisti utilizzino a proprio favore gli argomentidi Dawkins, sostenendo che se la teoria dell’evoluzione porta all’ateismo, allora deve esserecombattuta, screditata e non è ammissibile che venga insegnata nelle scuole.

In realtà gli studi analizzati nel capitolo precedente mettono in difficoltà queste affermazio-ni. Dire che l’assenza di religione implichi l’assenza di creazionismo può essere azzardato einfatti, come abbiamo visto, le persone tendono spontaneamente fin dalla tenera età ad interpre-tare gli oggetti del mondo naturale nei termini della loro funzione e a pensare che dietro la loroesistenza non solo ci sia un progetto ma anche un progettista.

Un altro approccio sostiene invece la compatibilità tra la teoria dell’evoluzione e le credenzereligiose. È vero che senza creazionismo può esserci religione e ne sono la prova tutte quellepersone che riescono ad accettare la teoria dell’evoluzione, in quanto fatto scientifico, senzaper questo mettere in discussione la propria fede. Una corretta educazione fin dalla scuola ele-mentare potrebbe fornire ai bambini da subito una comprensione della storia dell’universo, delpianeta Terra e delle specie che lo abitano, prevenendo il radicamento di misconcezioni e i ri-fiuti della teoria dell’evoluzione. Un precoce passaggio da parte dei bambini dalle idee intuitivesull’origine degli oggetti del mondo naturale alle teorie scientifiche non andrebbe ad interfe-rire con la possibilità di una fede religiosa, a meno che ovviamente questa non implichi unainterpretazione letterale dei testi sacri. Generalmente questa coesistenza si fonda su una inter-pretazione non letterale dei testi sacri, in cui si considerano le parti che parlano della creazionecome metaforiche.

Se da un lato risulta difficile sostenere che in assenza di religione non sorgerebbero ideecreazioniste, dall’altro l’assidua resistenza verso la teoria dell’evoluzione e i tentativi di sabo-taggio del suo insegnamento trovano sicuramente la loro spinta motivazionale nelle credenzereligiose, soprattutto quando assumono la forma del fondamentalismo.

La teoria dell’evoluzione rappresenta uno dei più importanti traguardi della scienza nel ten-tativo di comprendere le origini della nostra specie e di ciò che ci circonda. È fondamentale che

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venga compresa e accettata dalla popolazione e che le persone si costruiscano una visione delmondo che tiene conto di questa realtà.

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Ringraziamenti

Ringrazio i miei genitori e i miei nonni, che mi hanno cresciuto con pazienza e impegno; Au-rora, che mi è sempre vicina, anche quando è lontana; il mio amico Michael, con il quale hosempre potuto discutere tante idee; Lillo Birillo, l’affettuoso pappagallo con il quale sono cre-sciuto; tutti gli amici, vecchi e nuovi, con cui ho passato tante ore divertenti che mi hannorisollevato ogni volta che ero esausto; il gruppo della palestra di Karate, poiché senza quegliallenamenti non avrei avuto la tenacia per arrivare fin qui; la mia amica e collega Alina, pertutte le ore di studio intenso passate insieme, e tutti i compagni di scuola e università che hannoreso più leggere tante giornate faticose; tutte le persone che, in un modo o in un altro, mi hannotrasmesso la loro conoscenza fin da quando ho memoria.

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Autore: Alessandro Norfo

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