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PARTITO DEMOCRATICO ZONA ADDA - MARTESANA Scadenze, materiale, proposte da approfondire nelle riunioni dei Circoli della prossima settimana 25 settembre 2017 Per pubblicare le notizie che riguardano il tuo circolo scrivi a [email protected]

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Celebrazione in suffragio dei volontari

e loro familiari

• Martedì 26 settembre alle ore 20.30

presso il Santuario della Madonna di Rezzano a Trucazzano si terrà la S. Messa in suffragio dei volontari e loro familiari.

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Referendum e federalismo differenziato. L’impegno del

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“Forse non è così facile, ma è possibile: l’Italia si può cambiare e se non la

cambiamo noi, non la cambierà nessuno” Guarda il video dell’intervento del Segretario nazionale Matteo Renzi a Imola, nella giornata conclusiva della Festa nazionale del Partito Democratico.

https://youtu.be/FUWAFNoETDU È il discorso della speranza e della realtà, il discorso che guarda al presente ma che è capace di disegnare il futuro. Il discorso del segretario di un partito che ha portato “due milioni di votanti alle primarie, loro 37mila”. Matteo Renzi, a Imola, nell’intervento conclusivo della decima Festa nazionale del Pd, scopre il bluff del M5Stelle, un bluff che non regge più neanche sul web, e sottolinea come “Noi abbiamo creato “900mila posti di lavoro”, mentre “loro puntano a zero posti di lavoro, alla mancanza di centralità del lavoro e al sussidio per tutti”. L’attacco ai 5Stelle, però, non è un modo per cercare applausi facili, perché Renzi ha la forza e la capacità di uscire dai confini -pur ampi, in questi tempi dove tutto è adoperato come propaganda- del classico discorso da ‘campagna elettorale’, per trovare quelle suggestioni e quell’analisi che davvero possono servire alla comunità. “Abbiamo fatto uscire il Paese dalla crisi -ribadisce- ma è solo il primo tempo. Il secondo è portare l’Italia in Europa a guidarla”. Davanti a un pubblico così numeroso che basta un semplice colpo d’occhio per smentire chi aveva scritto e parlato di ‘festa deserta’, il segretario PD mette i paletti fra la politica e l’avanspettacolo: “Di barzellettieri e comici questo paese ne ha avuto abbastanza. È il tempo della competenza“. Ed è su questo sostantivo, “competenza”, che a sua volta richiama altre parole fondamentali per chi intende assumersi l’onere del governo della cosa pubblica, come responsabilità e affidabilità, che Renzi punta: è la competenza che può battere il populismo: “O vincono loro, i populisti, quelli che urlano, o vinciamo noi. E per vincere noi dobbiamo evitare di rispondere alle provocazioni, che saranno tante. Urleranno, dai talk-show, e noi dovremo studiare di più. Ci insulteranno, e dovremo sorridere. Cercheranno di nascondere i risultati e noi dovremo aggrapparci alla realtà. Questo

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paese ha bisogno di persone perbene, solide, che non gridano onestà nelle piazze, perché l’onestà ce l’hanno nel loro cuore, perché l’onestà la vivono quotidianamente. Ma sanno che la vera politica onesta è la politica capace di fare le cose e di accettare le sfide. Questa politica è la politica del Pd”. In questa battaglia della realtà e della speranza contro la demagogia e le fakenews, il leader democratico lancia un appello e un monito ai più giovani, alla generazione dei “millennials”: “Nativi del Pd, per voi non ci sono più alibi. Vi voglio vedere alla stanga, rimettetevi in moto. Non scimmiottate i litigi dei grandi. Vogliamo che non ci sia nessuna scuola in cui non ci sia la presenza di un giovane del Pd e un esponente della nostra comunità. Oscar Wilde ha detto: ‘La nuova generazione è terribile, mi piacerebbe tanto farne parte‘. Non potete cullarvi nella lamentazione, nel disimpegno, nel dire che non funziona niente. State nei social e portateci il Pd ma state anche nella comunità reale”.

Essere nella realtà, agire con la testa e con le mani, lavorare insieme per un progetto comune, è questo il senso dell’appartenenza al PD. Spiega Renzi: “Siamo orgogliosi della presenza di una squadra su questo palco. Ci sono i ministri, cui va la nostra gratitudine, il nostro affetto. Ma c’è qualcosa di più, ci sono i maestri, come Vittorio, 71 feste dell’Unità, che insegna a tutti noi cos’è il servizio, la

generosità”.

Sì, perché Vittorio, ex partigiano e decine di feste de l’Unità come volontario, è lì in maglietta rossa, accanto a Renzi, e con lui tanti giovani. È in questa immagine, bellissima e vera, che sta tutta la forza di una rivoluzione: quella di persone

perbene, umili e forti, normali e capaci di grandi gesti, capaci di soffrire, sacrificarsi ma anche vincere. Sudore e cicatrici, come con coraggio riconosce Renzi: “Ho nascosto sudore e qualche cicatrice. Qualche volta l’ho fatta troppo facile, si correva per fare una riforma dietro l’altra. Ma una cosa anche ho capito: l’Italia si può cambiare e, se non la cambiamo noi, non la cambierà nessuno“.

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Veltroni: la lezione del voto tedesco all’Italia? Serve l’alternanza non le grandi coalizioni “In Germania sarà complicato fare il governo. Il peso dei liberali rischia di spingere i tedeschi su posizioni ancora più dure in difesa del rigore” Intervista a Walter Veltroni di Aldo Cazzullo – Corriere della Sera

Walter Veltroni, non doveva essere l’anno della sconfitta del populismo e del riscatto dell’Europa? L’avanzata dell’estrema destra e la frammentazione del voto tedesco va nella direzione opposta.

«Non ho mai partecipato a questo entusiasmo successivo alle elezioni francesi. Certo, anch’io ho visto la vittoria di Macron come un fatto positivo. Ma credo che chiunque abbia il senso della storia non consideri ovvio che un elettore francese su tre abbia votato per la signora Le Pen. Ancora meno ovvio è oggi che, in un Paese come la Germania, arrivi al Bundestag con oltre go parlamentari un partito il cui leader ha detto che non c’è da vergognarsi di quello che i soldati tedeschi hanno fatto nelle due guerre mondiali. Il populismo non è dietro le nostre spalle. Anche se questo non è solo populismo, ma qualcosa di diverso e di più».

Cosa?

«Una soluzione semplificatoria e discriminatoria. Una reazione alla globalizzazione e alla crisi lunghissima dell’Occidente, che sta determinando uno scarto sia sul terreno democratico sia su quello culturale e antropologico: l’accettazione dell’altro in qualsiasi forma, il colore della pelle, la religione, le opinioni politiche. Il voto a AfD, come quello per Le Pen, porta questo segno». Cosa cambia ora per l’Europa e per l’Italia, secondo lei? «In Germania sarà complicato fare il governo, considerata la differenza proprio sul tema europeo tra liberali e verdi. Il peso dei liberali rischia, insieme con l’esito elettorale della Merkel, di spingere la Germania su posizioni ancora più dure in difesa del rigore e dei propri interessi».

Come valuta il risultato della Cancelliera?

«Brillante, se si pensa che in un tempo in cui chi governa viene sempre messo da parte Angela Merkel conferma per la quarta volta il suo mandato: una dimostrazione di forza e autorevolezza per il più grande leader europeo. Ma ha pur sempre perso l’8%. Sia la

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spinta interna al suo partito, sia la sostituzione dell’Spd con i liberali inasprirà le posizione tedesche».

Quindi l’Europa e l’Italia sono attese da una stagione difficile?

«Temo di sì. Anche la Francia di Macron è molto proiettata sulla difesa dei propri interessi. Il paradosso della globalizzazione per me è racchiuso nel discorso all’Onu di Trump, che va a dire alle Nazioni Unite “America first”. Questo paradosso, in modo più elegante, si va diffondendo. E la colpa è dell’Europa: un aereo costruito per metà, cui si sono scordati di mettere il motore e la cloche; ma senza il motore e la cloche l’aereo non parte. Finché l’Europa non apparirà come quella che doveva essere, la grande speranza di un mercato ampio e l’occasione di ricchezza diffusa, si determineranno nuovi localismi, come conferma la gravissima crisi della Catalogna, dove il separatismo incrocia la crisi delle istituzioni democratiche. Ci attende una fase di grande difficoltà. Mi auguro solo, come chi guarda la politica dalla giusta distanza, che l’Italia non vi arrivi in condizioni di fragilità politica. Che dopo le elezioni ci sia un governo, spero un governo di centrosinistra, ma un governo. La cosa peggiore in questa Europa è l’instabilità. Non credo ci verrà perdonata».

Quale lezione dovrebbe trarre la sinistra italiana?

«La Germania dimostra come la democrazia moderna abbia bisogno di alternanza, non di grandi coalizioni. La crisi del sistema democratico aumenta il bisogno di chiarezza, di velocità: e le grandi coalizioni non hanno queste caratteristiche. Il primo consiglio che darei alla sinistra italiana è favorire il più possibile la democrazia bipolare, la nettezza dell’identità, l’alternanza: chi vince governa, chi perde si prepara a sostituirlo».

E il secondo consiglio?

«Il secondo e più importante è dare una risposta alla condizione più drammatica e ansiogena dell’esistenza umana: la precarietà. La sinistra ci sta mettendo troppo tempo a dare una risposta. E rimasta affascinata dal totem della globalizzazione, senza capire che bisogna armonizzare le nuove condizioni di lavoro con il bisogno di stabilità insito nella stessa esistenza umana».

I socialdemocratici sono al minimo storico. L’ennesimo segno di una crisi generalizzata.

«Purtroppo anche questa non è una sorpresa. Francia, Spagna, Germania confermano la grande difficoltà del socialismo europeo. Per fortuna l’Italia dieci anni fa ha fatto la scelta coraggiosa del Partito democratico. Ma la difficoltà riguarda tutta la sinistra, non solo in Europa: ricordiamoci di Trump».

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Perché la sinistra cede terreno ovunque, proprio mentre si affermano temi sociali?

«Perché fatica a portare i suoi valori dentro una società organizzata e strutturata come la nostra. L’Spd ha pagato un prezzo molto alto alla grande coalizione. Ora si prepara a una stagione di opposizione che ne rigenererà idee ed energie. Più in generale, quando la paura ha prevalso sulla speranza, il mondo è sempre andato a destra. Oggi il mix tra stagnazione interminabile, crisi istituzionali, mutamento radicale delle forme produttive, delle classi sociali, dei meccanismi antropologici della relazioni tra gli uomini ha aperto un’epoca totalmente nuova. Come quando la rivoluzione industriale produsse le metropoli, le fabbriche, i partiti. Ora la civiltà che abbiamo conosciuto si sta scomponendo. Quella rivoluzione unificava; questa parcellizza. La sinistra non riesce a trovare le chiavi: oscilla tra nostalgia novecentesca, che ogni elezione si incarica di giustiziare visto che partiti come la Linke non vanno mai sopra 1110%, e cancellazione della propria identità. Resto convinto che il tentativo più alto di interpretare la modernità in coerenza con il nostro sistema di valori sia stato quello di Obama».

In un’intervista al Corriere un anno fa lei disse di vedere rischi per la democrazia rappresentativa. Il voto tedesco rappresenta un ulteriore segnale?

«La democrazia nel corso della storia umana è stata un’esperienza brevissima. Nel 900 per arrivar ci abbiamo attraversato bagni di sangue. Pensavamo dopo l’89 che fosse la condizione naturale di governo della collettività umana dopo la riconquista della libertà. Ora, dopo la più lunga recessione degli ultimi due secoli, è tale il bisogno di risposta e di decisione, sono tali le minace che un cittadino moderno sente nella sua esistenza, che il rischio che si crei una disponibilità di massa a barattare la libertà con la decisione è molto elevato. Questo è il segno comune alle diverse forme di populismo».

In Germania si afferma un partito non anti-nazista. In Italia le manifestazioni neofasciste sono un pericolo o sono folklore?

«Non sono folklore. Questo sentimento non ha trovato una leadership, ma è molto diffuso, molto più di quanto la politica sia in grado di percepire. Si esprime sia in forme nostalgiche, che esistono, sia in forme presentate come nuove: il contrasto all’immigrato, il “facciamo da noi”, il “basta con l’Europa”. Tutto questo alimenta le basi per una possibile sollecitazione di destra estrema, che bisogna tenere d’occhio. Tutte le forze, anche il centro destra e i 5 Stelle, dovrebbero avere un’attenzione a questo rischio».

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De Vincenti: “Referendum autonomisti in Lombardia e Veneto? Inutili e costosi: sarebbe bastata una lettera” Intervista al ministro per la Coesione territoriale Claudio De Vincenti: “Ricordo ai presidenti di Lombardia e Veneto, schierati per il no al referendum costituzionale, che la riforma prevedeva per le Regioni un’autonomia ancor più ampia di quella che loro chiedono oggi”, di Diodato Pirone, Il Messaggero

I riflessi dello scontro in atto in Catalogna rendono in qualche modo più viva l’attenzione verso i referendum “autonomisti” in programma in Lombardia e Veneto. Vede anche lei qualche correlazione, ministro De Vincenti?

«Non vedo alcun collegamento. I referendum in Lombardia e Veneto in realtà sfondano una porta aperta: per attivare, come chiedono i due quesiti referendari, la procedura dell’articolo 116 della Costituzione in materia di “ulteriori forme di autonomia” basta, come recita appunto la Costituzione, una richiesta della Regione al governo, sentiti gli enti locali. In sintesi, basta una lettera del presidente della Regione. E su questo il governo è del tutto aperto al confronto con le Regioni. Aggiungo che, comunque

vadano i due referendum, da parte nostra c’è totale disponibilità al confronto».

Alcuni sindaci del Pd hanno aderito ai referendum autonomisti. Dove sbagliano? «Rispetto le scelte che si fanno sul territorio, non c’è problema. Magari potevano più semplicemente ricordare ai presidenti di Regione che c’era la strada più rapida e meno costosa già indicata dalla Costituzione, quella della lettera».

Quanto costano questi referendum? In Spagna la Corte dei Conti vuole addebitare a singoli amministratori il costo del referendum catalano del 2014. E’ ipotizzabile una analoga iniziativa in Italia? «Come ho appena detto, io credo sia giusto rispettare le scelte che fanno gli enti decentrati. Comunque, i costi sui bilanci delle due regioni ci saranno, eccome. Dalle

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prime stime delle regioni stesse, circa 50 milioni per la Lombardia, una ventina per il Veneto. Seguendo la procedura indicata dalla Costituzione, che in ogni caso andrà seguita comunque vadano i referendum, quelle risorse potevano essere utilizzate per interventi sul territorio».

Il centrosinistra ha modificato la Costituzione in senso federalista nel 2001. Fu una buona idea?

«Nell’insieme è stato un passaggio positivo perché ha conferito maggiore autonomia ma anche maggiore responsabilità a Regioni e Comuni. Il punto che andrebbe corretto, ed è quanto abbiamo cercato di fare con la riforma costituzionale ma, come sappiamo, senza successo, era la sovrapposizione di competenze in alcuni campi importanti per la vita dei cittadini che richiedevano invece una più chiara e netta attribuzione di responsabilità tra Stato e Regioni. Ricordo comunque ai presidenti di Lombardia e Veneto, che si sono schierati per il no al referendum costituzionale, che la riforma che hanno contribuito a bloccare prevedeva la possibilità per le Regioni di chiedere forme di autonomia ancor più ampie di quelle che loro chiedono oggi».

Cosa risponde a chi dice che il governo Gentiloni è accentratore? Avete attenzione ai territori e alle energie locali (se esistono)?

«Il governo Gentiloni non è accentratore, piuttosto è un governo che, come il precedente governo Renzi, non ha paura di assumersi di fronte ai cittadini le responsabilità che spettano a un governo centrale, senza cercare alibi di sorta. La nostra attenzione ai territori è fortissima. Cito un solo esempio, i Patti con le Regioni e le Città metropolitane per gestire al meglio insieme i fondi di coesione nazionali ed europei. Lo abbiamo fatto anche con la Lombardia e non mi sembra che Roberto Maroni abbia avuto qualcosa da ridire, anzi!»

Lei si occupa di Mezzogiorno e di aree svantaggiate. Dica due o tre iniziative che stanno accorciando il divario Nord-Sud in particolare in riferimento alla fuga di giovani qualificati dal Sud.

«Ne dico tre. Il credito d’imposta per gli investimenti delle imprese nel Mezzogiorno ha già attivato da quando è entrato pienamente in vigore, cioè da aprile scorso, 2 miliardi e 900 milioni di nuovi investimenti al Sud. La decontribuzione per i nuovi assunti nel Mezzogiorno tra gennaio e agosto ha portato a 74 mila nuove assunzioni a tempo indeterminato. Con il decreto legge Mezzogiorno varato dal governo a giugno e approvato dal Parlamento ai primi di agosto abbiamo introdotto la misura “Resto al Sud”: capitale che lo Stato mette a disposizione dei giovani che vogliono fare impresa nel Mezzogiorno; si tratta di un investimento di 1 miliardo e 300 milioni che il governo fa sul protagonismo dei giovani meridionali».

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Quotidiano gratuito, digitale e multimediale del PD sarà la voce della più grande comunità politica italiana, lo strumento di informazione e discussione per le centinaia di migliaia di iscritti, militanti, amministratori e rappresentanti politici del PD

Oggi nasce #DEMOCRATICA, il nuovo quotidiano digitale del Partito Democratico. Scaricalo ora su bit.ly/democratica

Democratica sarà la voce della più grande comunità politica italiana, lo strumento di informazione e discussione per le centinaia di migliaia di iscritti, militanti, amministratori e rappresentanti politici del #PD.

Un quotidiano digitale e multimediale diffuso ogni giorno e gratuitamente. Democratica è scaricabile, dal lunedì al venerdì, a partire dalle ore 13.30, sulla app #Bob del Partito Democratico (disponibile per Android e iOs su app.partitodemocratico.it),su bit.ly/democratica (o www.partitodemocratico.it/democratica per i numeri precedenti) e sul messenger Facebook

all’indirizzo m.me/partitodemocratico.it, seguendo le istruzioni del bot risponditore automatico.

Il quotidiano, diretto da Andrea Romano, sarà anche strumento di intervento nella discussione pubblica e mezzo di informazione. Si tratta del primo caso in Italia di un quotidiano politico, digitale e multimediale che viene diffuso gratuitamente.

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Buona settimana a tutti Voi

Alessandro Iobbi

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