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PARTITO DEMOCRATICO ZONA ADDA - MARTESANA Scadenze, materiale, proposte da approfondire nelle riunioni dei Circoli della prossima settimana 09 ottobre 2017 Per pubblicare le notizie che riguardano il tuo circolo scrivi a [email protected]

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"Gruppo Scuola Pd Adda-Martesana "

La riunione programmatica del Gruppo Scuola Pd Adda Martesana e' convocata Mercoledì 18 ottobre alle ore 21.00 presso la sede Pd di Gorgonzola Ordine del giorno: - programmazione delle nostre attività per i prossimi mesi. - varie ed eventuali

Vi aspettiamo con proposte idee per le prossime iniziative sul territorio.

Un affettuoso saluto I coordinatori

Mina Facchi Paolo Acquati

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Carissime, carissimi, come sapete, sul referendum del 22 ottobre su maggiore autonomia la Direzione del PD lombardo ha deciso di lasciare libertà di voto. E' però evidente che la propaganda di Maroni e della maggioranza, arrivata ormai anche sugli organi istituzionali di Regione Lombardia, sta creando confusione e si moltiplicano le informazioni non veritiere sul percorso fatto e sulle reali conseguenze del voto e dell'eventuale confronto con il Governo. Per questo vogliamo fare un po' di chiarezza tanto sui contenuti quanto sui costi di questa consultazione. Qui trovate alcuni materiali utili in questi ultimi giorni prima del voto per fare corretta informazione: SLIDE: Le fake news sul referendum: facciamo chiarezza COSTI: Quanto costa davvero il referendum in Lombardia? (trovate i materiali anche sulla pagina Facebook del Gruppo PD Lombardia)

A questo link trovate un'analisi più dettagliata del percorso che ha portato al referendum e delle proposte del PD in tema di federalismo differenziato. Ringraziandovi per l'attenzione, un caro saluto. Alessandro Alfieri Segretario regionale PD lombardo

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Referendum, un sondaggio agita la Lega: «Spesa inutile» per oltre il 50% Un focus realizzato per conto della Lega a fine settembre mostra che una larga maggioranza ritiene mal spesi i soldi necessari a far svolgere la consultazione di Marco Cremonesi

La «spesa inutile» fa correre un brivido tra i leghisti. I referendum autonomisti indetti da Lombardia

e Veneto rischiano infatti di non essere, proprio per la Lega che li ha voluti, una passeggiata. Lo

spettro è quello della bassa affluenza: in Veneto, dove il referendum ha addirittura un quorum. Ma

anche in Lombardia dove non è necessario raggiungere un tetto minimo. Indetti per il 22 ottobre dai

governatori Roberto Maroni e Luca Zaia, non sono stati aiutati dalle vicende catalane. La vicenda

ingenera preoccupazione, si ammette in Lega. Non una buona compagna di strada: «Molti — osserva

un leghista di prima fila — hanno appreso dei nostri referendum dopo i fatti di Barcellona. Questo, di

certo, non ci aiuta». Qualcuno già lo chiama il referendum «intempestivo», maturato quando la Lega

salviniana ha compiuto la svolta nazionale e il grande momento delle tematiche autonomiste

potrebbe essera tramontato.

Soprattutto, a non tranquillizzare è il sondaggio svolto per la Lega il 27 settembre da Swg. La

prima domanda è se si ritiene «giusto» l’aver indetto il voto. E fin qui, siamo in zona di (relativa)

tranquillità. Nel nord est l’aver indetto il referendum è molto o abbastanza giusto per il 56% (contrari

il 36%) e nel nord ovest è 51% a 37%, a fronte di una media nazionale di 41 favorevoli contro 44

sfavorevoli. Sull’utilità del referendum già ci si muove in campo negativo: la consultazione sarà

«utile» soltanto per il 45% degli intervistati (di opinione opposta il 48%) nel nord est. Nel nord ovest,

meno ancora: utile per il 41%, di parere diverso il 51%. Ma le peggiori sono le risposte successive. La

prima riguarda la spesa. La domanda è se l’intervistato sia d’accordo con chi sostiene che il voto sarà

una spesa inutile. Condivide tale punto di vista il 56% degli intervistati nel nord ovest e il 52% nel

nord est. Infine, una questione di opportunità: dato che la Costituzione prevede già la possibilità di

una trattativa tra Regioni e Stato per ottenere ulteriori competenze, non era forse meglio impegnarsi

subito in tale trattativa? La risposta è sì per il 49% nel nord ovest e, sorpresa, il nord est è ancora più

scettico: meglio la trattativa diretta per il 53% degli intervistati.

Di qui, i tentativi di sostenere il referendum lasciando un po’ da parte il fairplay. Per esempio,

le lettere fatte spedire da parecchi Comuni leghisti. In cui si afferma che il Sì renderà la Lombardia

«simile» alle Regioni a statuto speciale. Il 22 ottobre preoccupa anche i salviniani di stretta

osservanza. Il ragionamento è più o meno il seguente: «Con una buona affluenza, gli avversari interni

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avrebbero buon gioco a tornare alla carica in nome del nordismo. Con un’affluenza scarsa, sarebbe

una sconfitta della Lega. E dunque di Salvini». Per giunta, la vicenda ha incendiato le polveri in casa

sovranista. Un editoriale di Giorgia Meloni dal titolo «Un oltraggio alla Patria inutile e pericoloso»

apparso sul Tempo ha causato la veemente reazione dell’assessore leghista Gianni Fava. Che è

tornato a parlare di Roma come di «capitale nordafricana». E così, lo stato maggiore di Fratelli d’Italia

in Lombardia ieri ha chiesto a Maroni: «Siamo curiosi di sapere che cosa ne pensi».

Comunicazione da parte del Segretario Metropolitano P. Bussolati: Care Democratiche, Cari Democratici, abbiamo pubblicato sul nostro sito alcune slide di approfondimento relative al referendum del 22 ottobre e alle posizioni del Partito Democratico sul tema. Il materiale è disponibile all’indirizzo: http://www.pdmilano.eu/files/documento/2017/referendum_lombardia_22_ottobre.pdf Un caro saluto Pietro Bussolati, Segretario

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Referendum e federalismo differenziato. L’impegno del

Un partito capace di dialogare con le Istituzioni e di aprirsi ai mondi vitali è un partito vivo e vivace.

È il Partito Democratico di Milano Metropolitana.

Ti segnaliamo la pagina dedicata al tesseramento sul sito della Federazione: www.pdmilano.eu/tesseramento.

Per informazioni e iscrizioni, inoltre, è attivo anche il numero di telefono 334.7768993 ed è possibile

scrivere all'indirizzo [email protected].

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“Il Pd e i nostri valori fondativi disegneranno le mappe del futuro” Dieci anni di Partito Democratico: al teatro Eliseo di Roma una grande festa per dare forza e unità al più grande partito riformista italiano ed europeo. Gli

interventi di Walter Veltroni, Paolo Gentiloni e Matteo Renzi

ROMA – “Dobbiamo superare questa stagione di discussione con la voglia di costruire il futuro. I prossimi dieci anni saranno meravigliosi”: questo l’augurio di Matteo Renzi al teatro Eliseo di Roma, dove il Pd ha festeggiato dieci anni di vita politica. Ecco, dieci anni alle spalle -difficili ma entusiasmanti e positivi- e dieci davanti con la consapevolezza, come ha detto Walter Veltroni, che “Il passato è passato. Non ci

resta che il futuro”. E’ proprio Veltroni, primo segretario del Partito Democratico, ad aprire gli interventi dei festeggiamenti per il decennale democratico, seguito da Paolo Gentiloni e Matteo Renzi. Tre brevi discorsi fatti con la testa e col cuore, dove il leit-motiv non è tanto celebrare il decennale del più grande partito italiano, quanto ragionare sulle parole chiave del futuro prossimo. Veltroni ne ha subito tirata fuori uno, centrale: sinistra. “Non abbiate mai paura della parola sinistra. Non camuffatela. Non è solo una collocazione parlamentare ma un’idea di giustizia e libertà”, anche se, ammette Veltroni, “la sinistra ci ha messo troppo a capire che libertà e giustizia non sono separabili. Per me sinistra è quel ragazzo con le buste della spesa in mano e non il carrarmato del regime cinese”, ha proseguito Veltroni, riferendosi alla famosa immagine di piazza Tien-An-Men.

Una parola guida, insomma, ma non dogmatica, al contrario aperta e inclusiva, flessibile e capace di leggere il presente in modo non superficiale. “Siamo in una fase della storia difficile -ha affermato l’ex segretario Pd- non mi sono mai spiegato la Shoah. Ma è successo. E quando si leggono i libri di storia ci si chiede come abbiano fatto i contemporanei a non capire. Noi siamo di nuovo in una cruna dell’ago della storia”.

Il Pd appartiene al popolo che lo ha creato e chi se ne va sta tradendo se stesso

Matteo Renzi

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E questa idea della storia non come inesorabile cammino verso “le magnifiche sorti e progressive” ma come faticoso e necessario lavoro di responsabilità individuale, è ripresa da Gentiloni. Un tempo difficile, dove le coordinate del mondo sono di nuovo cambiate: prima la guerra fredda, poi la caduta del muro di Berlino e ora l’incertezza di una storia senza mappa: “Il futuro è una terra incognita le cui mappe sono ancora da scrivere -ha sostenuto Gentiloni- e dobbiamo muoverci forti dei nostri valori sapendo che devono adattarsi alle nuove realtà: apertura contro chiusura, Europa contro sovranismo, fiducia contro paura, equità contro privilegio, ambiente contro spreco egoista. Chi dice non abbiamo valori dimentica queste semplici antitesi che caratterizzano i democratici in tutto il mondo. e questi valori devono essere in grado di resistere alla prova governo”.

E aggiunge: “Ricordo l’epoca bella degli anni Novanta, del mondo piatto, della fine della Storia, della terza via. Andava di modo dire che le distanze tra destra e sinistra si erano accorciate di molto. Dimentichiamoci quel tempo, cari amici e cari compagni. Oggi le linee di faglia sono più chiare ed evidenti che mai”. Ecco il ruolo del Pd, ribadito da Matteo Renzi: aiutare ciascuno di noi, insieme, a disegnare nuove mappe e nuove rotte. E il Pd è l’unico partito che può farlo, perché è nato con una missione: portare al governo la sinistra. “Se non ci fosse stato il Pd 10 anni fa – ricorda Renzi – oggi la sinistra in Italia sarebbe semplicemente irrilevante. Bisogna avere il coraggio di riconoscerlo mentre diciamo grazie a chi ci ha portato fino a qui”.

Il progetto è riuscito, è vivo, siamo noi quel progetto e ora la sfida è sul senso di una sinistra di governo.

Paolo Gentiloni

“Il Pd è la possibile grande risorsa di questa Paese” insiste Veltroni, ammonendo che “La notizia che un elettore sinistra vorrebbe sentire è: un giorno, anche solo 24 ore, senza una scissione o un litigio”. E Matteo Renzi torna sull’analisi di pregi e difetti del Pd: “Abbiamo un nemico è l’autoreferenzialità, il parlarsi addosso, le nostre divisioni” e aggiunge “Chi farà il premier? Non mi interessa ‘chi’, mi interessa ‘come’, per esempio come farà la battaglia in Europa“.

A differenza delle finte primarie di altri, il PD ha primarie vere ed è proprio “il popolo delle primarie a portare in salvo quello che serve” e in ciò che serve ci sono anche le ricette del Pd per il Paese: ricette riformiste, non ideologiche, concrete. “L’austerità ha fallito, ha creato disoccupati” spiega Renzi, che aggiunge : “Il lavoro non si tutela mettendosi sulle barricate a difendere un totem ideologico, ma creando posti di lavoro e evitando le dimissioni in bianco”. Niente ideologia anche sul resto: basta

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riforme calate dall’alto sulla scuola, più attenzione ai giovani anche progettando un mese di servizio civile obbligatorio.

Non abbiate mai paura della parola ‘sinistra’. Walter Veltroni

Davanti al Pd, spiega Renzi, c’è “una destra populista del Movimento 5 stelle e una destra che è ancora più forte e più mi preoccupa che tiene insieme Berlusconi e Salvini. Se il Rosatellum, come spero, sarà approvato a breve al Senato, abbiamo di fronte a noi un corpo a corpo in tutti i collegi con il centrodestra”.

E’ dunque necessario un Pd unito, libero, forte. “Il M5s – aggiunge il segretario PD – appartiene al fondatore, al figlio del fondatore e al commercialista e si avvale di una esperienza privata. Forza Italia appartiene a un leader. Il Pd è tutta un’altra storia. Il PD non appartiene al fondatore Walter Veltroni, al premier Paolo Gentiloni e tanto meno al segretario pro-tempre. Appartiene al popolo che lo ha creato e chi se ne va sta tradendo se stesso“. Ecco perché, oltre agli auguri per i dieci anni di vita, le altre parole di Renzi che strappano nuovi applausi sono quelle che guardano all’impegno elettorale: “Ho la presunzione di dire che solo il Pd ha le carte in regola per affrontare gli elettori e vincere con la politica”. Auguri PD!

Giovanni Belfiori

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Conferenza programmatica del PD Pietrarsa 27-29 ottobre

Si terrà a Napoli, presso il Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa, da venerdì 27 a domenica 29 ottobre, la Conferenza programmatica nazionale del Partito democratico”. Lo annuncia il vicesegretario del Pd Maurizio Martina.

“Abbiamo scelto – spiega – un luogo che racconta in modo straordinario il passato e il futuro del nostro Paese, in una città e in una terra essenziali per l’Italia. Saranno giorni intensi di dialogo e confronto con tante realtà vive della società italiana pronte a dare una mano. Ascolteremo associazioni, ospiti, esperti e testimonianze. Coinvolgeremo sindaci, circoli e giovani democratici. Presenteremo i risultati del nostro sforzo di governo negli anni durissimi della crisi e soprattutto la nostra prospettiva per l’Italia del 2020.

Avanzeremo impegni concreti per unire crescita e uguaglianza a partire dal lavoro. La nostra parola d’ordine sarà Futuro”, conclude.

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Renzi: “La sinistra è futuro, o non è. Innovazione, inclusione, investimenti” Intervista a Matteo Renzi: “Il Pd ha l’idea dell’Italia come comunità: non solo Pil che cresce ma diritti, cultura, educazione”, Tommaso Ciriaco, La Repubblica

Matteo Renzi, partiamo dalla stretta attualità. Come valuta il Rosatellum? «Un passo avanti. Non sono entusiasta, naturalmente, perché il 14 dicembre è stato sconfitto il nostro modello istituzionale e il ballottaggio, che garantiva la governabilità. Con la legge Rosato almeno ci sono i collegi. A me piacciono, anzi ne avrei voluto di più».

Il collegio è un passo avanti, ma perché non prevedere il voto disgiunto? Nasconde la voglia di blindare le candidature?

«No, il voto disgiunto lo fa al massimo 1’1% degli elettori. È solo un tecnicismo».

Un tecnicismo? In realtà affida all’elettore una scelta più ampia. «Per me è un tecnicismo, tanto è vero che avevo dato la mia disponibilità a introdurlo. Ma avremmo portato la guerra in casa del centrodestra. E dunque non c’era l’accordo. Poi c’è un altro dato».

Quale? «Siamo in una fase in cui qualcuno organizza marce su Roma. In cui Di Battista dice che il padre ha dato “una carezza a uno che ha il vitalizio”: vi rendete conto che è un principio violento in una piazza verbalmente violenta? Nel momento in cui la cultura politica della destra scommette sulla paura, noi siamo l’unico argine, l’unica forza di centrosinistra ancora in campo in Europa. In Francia i socialisti sono al 5%, in Olanda al 6%, in Germania c’è stato il risultato peggiore della storia dell’Spd. Se salta il Pd, salta il sistema. Crolla l’argine contro estremisti e populisti. E il problema è il tecnicismo sul voto disgiunto? Siamo seri».

Il Rosatellum apre la strada alle coalizioni. Il centrodestra la farà. E il Pd che vantaggio ha?

«A me lo domandate? Io avevo un’altra idea, e cioè un’unica lista dove invitare Pisapia – che ha sempre detto di no, e gli altri. Ma con la sconfitta al referendum la mia idea diventa secondaria rispetto alla necessità del Pd di costruire una coalizione con la quale difendere l’Italia dal populismo dei grillini e dall’estremismo di Salvini e Berlusconi».

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Avete messo la fiducia alla Camera. Non è una forzatura democratica? «Dissento radicalmente. Parlare di forzatura democratica è inaccettabile. La fiducia è uno strumento democratico che permette di fare le leggi. L’ha messa De Gasperi, non Di Battista. E poi sentirsi dire per due giorni che ho paura delle primarie da un partito azienda, dove fanno le cliccarie – o come diavolo si chiamano – che poi annullano quando vince quello sbagliato, e dove Di Maio prende 59 preferenze a Pomigliano d’Arco, ecco, penso sia un annebbiamento collettivo».

Ma proprio per questo, perché mettere la fiducia?

«Con 120 voti su norme di dettaglio, a tre mesi dal voto, era dura approvare la legge. È senso di responsabilità averla messa. Volete parlarne ancora? Guardate il dito, io penso la luna. Per me è un atteggiamento elitario, da presunto bon ton di galateo politico che non avrebbe prodotto una legge elettorale».

Il caso di De Gasperi è diverso. Allora fu messa al Senato, dopo aver almeno consentito il dibattito alla Camera.

«Conosco la storia, cercai i precedenti per mettere la fiducia sull’Italicum. Sono mesi che si discute, il problema è che si è discusso sin troppo, non troppo poco».

Stavolta non c’era l’ostruzionismo.

«Ma di cosa discutiamo? È mancato dibattito in Parlamento sulla legge elettorale?».

Sul Rosatellum sì. Anche Napolitano dice che è stato strozzato il dibattito. «Con tutto il rispetto per il Presidente emerito, ho un’opinione radicalmente diversa. Non è la prima volta, ma la stima e il rispetto non vengono certo meno».

Con il Rosatellum le segreterie potranno indicare i tre quarti dei parlamentari? «Tre quarti no. Certo, erano meglio le preferenze. Io mi volevo candidare al Senato. Ma è una legge imparagonabile rispetto al Porcellum: hai la lista, i tre nomi scritti e un collegio. I candidati gireranno come trottole. A Marradi, sopra Firenze, non ci andava più nessuno col Porcellum. Adesso ci andranno, eccome».

Chi deve favorire la norma ribattezzata “salva Verdini” nel Rosatellum? «Verdini ormai viene citato in ballo per tutto. E se abbiamo le unioni civili, è grazie a lui. Io non ce lo vedo candidato nel Sud Est asiatico o in Nigeria. Ma il principio di consentire la candidabilità ovunque di tutti i cittadini italiani mi sembra giusto. Anche se francamente secondario».

Con chi costruirà una coalizione?

«Abbiamo quattro margini di azione. Primo: il mondo centrista, dall’ex Scelta civica ad Ap, cattolici e moderati. Secondo: Forza Europa, i radicali, magari coinvolgendo anche personalità dell’attuale governo. Terzo: la galassia ambientalista, a cominciare dai Verdi e dall’associazionismo. Quarto: un mondo di sinistra che, senza voler tirare la giacchetta a qualcuno, credo ci sarà. E in più la rete di alcuni sindaci. Naturalmente con un baricentro forte: il Pd».

Che obiettivo vi date?

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«Penso che questa coalizione sia in tutti i collegi sopra il 30% e possa puntare altrove al 40%. Vedremo cosa farà il mondo di Campo progressista, per il quale le porte sono totalmente spalancate».

In questo ragionamento c’è anche Mdp?

«Hanno rotto loro e i loro leader non vogliono ricucire. La loro rottura si spiega solo con il risentimento. Però sottovalutano un dato: la seconda Repubblica era caratterizzata dall’idea che un leader fa un partito, poi se ne va e quel partito finisce. La vera novità del Pd è che non appartiene a un leader. Ci sarà anche tra dieci anni, ovunque saranno Renzi, Veltroni o Gentiloni. Questa comunità esiste, comunque. È quello che non hanno capito Bersani e D’Alema. E che, prima di loro, non aveva capito Rutelli. Loro se ne sono andati, il Pd c’è ancora. Ed è più forte di prima».

Più o meno dieci anni fa il Pd si presentò con un’ampia alleanza, dopo primarie di coalizione. Ci saranno anche questa volta?

«Con questa legge elettorale, il leader del Pd è per statuto candidato premier del Pd. Questo punto non lo mettiamo in discussione. Quello che deciderà la coalizione, purtroppo lo vedremo dopo. Non credo che ci saranno primarie di coalizione».

Pisapia ha detto che Gentiloni è un profilo altissimo. Non basterebbe schierare l’attuale premier per riunire il centrosinistra? Lei segretario, lui candidato a Chigi. «La coalizione si fa sulle idee comuni, non sulla sistemazione di posti. Quanto a Paolo, condivido: è un profilo altissimo. E con buona pace di chi sperava che litigassimo lavoriamo insieme e bene. Continueremo così».

E farete quel governo con Berlusconi dopo le elezioni, di cui parlano in molti? «Se con la coalizione facciamo il 40% governiamo da soli. Mica facile, eh, ma ci proviamo. Berlusconi vuole governare con Salvini, io voglio governare con il centrosinistra».

Sempre parlando di fiducia: l’avete messa sul Rosatellum, perché non sullo ius soli? «Per me lo ius culturae arriverà. È scritto. Non so se in questa legislatura o nella prossima, questo non so dirlo. Però so una cosa: fame l’unica battaglia di principio paradossalmente non fa l’interesse dei soggetti a cui è rivolta. È un problema tattico, direi. Lo dice uno che ha ottenuto una legge sulle unioni civili tenendola bassa, e oggi si commuove quando incontra in aereo due ragazzi che, mano nella mano, mi dicono: “Stiamo partendo in viaggio di nozze”».

Delrio fa lo sciopero della fame mentre Boschi parla di rinvio della legge. Il governo non dovrebbe mostrarsi unito?

«Parliamo di due amici del cosiddetto Giglio magico, che hanno lavorato in tandem alla legge. Graziano è stato l’ispiratore da sindaco, Maria Elena ha siglato l’accordo di merito quando era ai rapporti col Parlamento. Graziano, che soffre per la legge – che la vive come battaglia di vita o di morte – a domanda risponde che è disposto a fare lo sciopero, gesto che rispetto ma che non farei. Maria Elena ha detto che se non ci dovessero essere i numeri in questo giro, si farà nel prossimo. Dov’è la differenza?».

Che il prossimo giro non è nella vostra disponibilità.

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«Sveliamo un segreto: se fosse stata nella nostra disponibilità anche adesso, sarebbe già passata. Ma non lo è, non ancora almeno».

Con la fiducia passerebbe, ma il Pd non la chiederà? «Deciderà Gentiloni. E qualsiasi cosa deciderà avrà il mio totale supporto e appoggio. Siamo una squadra, ve ne siete accorti?».

Nel decennale del Pd, può elencare tre cose incarnate oggi da questo partito? «Primo: capacità di innovazione. La sinistra è futuro, o non è. Bisogna studiare nuove forme di protezione, scommettere sull’ambiente, seminare speranza. Secondo: se il M5S con il reddito di cittadinanza è il partito dell’assistenzialismo, se FI e la Lega sono quello della rendita, il Pd è il partito del lavoro. Abbiamo creato 978 mila posti di lavoro in tre anni grazie al JobsAct, i161% a tempo indeterminato. Abbiamo un compito storico: archiviare la filosofia del fiscal compact. E dobbiamo tornare ai parametri di Maastricht, con il deficit sotto il 3%, avremmo 40 miliardi di euro di riduzione delle tasse e di investimenti».

Si ferma, disegna cifre.«Un milione di posti di lavoro…Ora direte che sono come Berlusconi, solo che il mio milione è vero!».

Il terzo punto?

«Il Pd ha l’idea dell’Italia come comunità. Non solo il Pil che cresce, ma diritti, cultura, educazione. Abbiamo riaperto musei a Reggio Calabria e Taranto, fatto ripartire Pompei, scommesso su Matera o Bagnoli, stanziato 1,7 miliardi sulla povertà».

A proposito del decennale: ci saranno assenti illustri, come Bersani e Prodi. «Nessuno poteva certo aspettarsi che venisse Bersani. Quanto a Prodi, continuo a pensare che tenda o non tenda, il Pd sia la casa di Romano. Il mio augurio è che lui si senta sempre a casa. E se anche una singola scelta non è andata giù, il discorso dell’argine ai populisti vale per tutti noi, specie per chi come Prodi volle l’Ulivo come prima casa dei riformisti. Domani (oggi) festeggiamo con Walter Veltroni: a lui si deve l’intuizione originaria e sono felice che in teatro ci saranno vecchi dirigenti della nostra storia e nativi democratici».

Renzi, non pensa di aver perso la connessione sentimentale con la sinistra? «Non credo. Ho perso il consenso di alcuni ex leader, ma i dati nei circoli più rossi delle primarie dicono che la base ex comunista del Pd nutre un affetto impressionante, persino immeritato, per il segretario. Le famiglie di origine del Pd, ormai, non si distinguono. Sull’immigrazione quello più di sinistra è stato Delrio, che viene dalla Margherita, mentre quello più di destra Minniti, che proviene dal Pci».

Le amministrative siciliane incombono: teme che destabilizzino la sua segreteria? «No. Per scegliere il segretario del Pd ci vogliono le primarie nazionali, non le regionali siciliane. Le abbiamo fatte cinque mesi fa, sarebbe curioso se qualcuno volesse rifarle».

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LA NUOVA LEGGE ELETTORALE

Candidati indicati con chiarezza sulle schede, sia nei collegi uninominali che per quelli plurinominali con liste cortissime; rapporto più stretto tra eletto ed elettore; sistema elettorale

misto identico per le due Camere; possibilità di dare vita a coalizioni nazionali. Questi gli aspetti principali della nuova legge elettorale, approvata alla Camera con il consenso della maggior parte delle forze presenti in Parlamento, di maggioranza e di opposizione.

232 deputati alla Camera e 116 senatori sono eletti in collegi uninominali con formula maggioritaria, in cui vince il candidato più votato, mentre l'assegnazione dei restanti seggi avviene con metodo proporzionale, nell'ambito di collegi plurinominali.

Le soglie di sbarramento nazionali sono del 10% per le coalizioni e del 3% per le liste.

I partiti possono presentarsi da soli o in coalizione. La coalizione è unica a livello nazionale e i partiti coalizzati presentano candidati unitari nei collegi uninominali.

L’elettore esprime un unico voto che vale per una lista proporzionale bloccata corta ( da due al massimo 4 nomi di candidati sulla scheda e, quindi, conoscibili) in una circoscrizione plurinominale e per il candidato nel collegio uninominale.

CAMERA

Come si eleggono i 630 deputati

232 con sistema maggioritario dove vince chi ottiene più voti nei collegi uninominali (231 collegi uninominali - che comprendono 6 del Trentino Alto Adige/Sud Tirolo, 2 del Molise – cui si aggiunge 1 collegio uninominale in Valle D’Aosta).

386 con sistema proporzionale tra le coalizioni di liste e le liste che abbiano superato le soglie di sbarramento .

12 eletti nella circoscrizione estera.

SENATO

Come si eleggono i 315 senatori

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09 ottobre 2017

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116 con sistema maggioritario dove vince chi ottiene più voti nei collegi uninominali (che comprendono 6 collegi uninominali del Trentino Alto Adige/Sud Tirolo, 1 collegio uninominale in Valle D’Aosta).

193 con sistema proporzionale tra le coalizioni di liste e le liste che abbiano superato le soglie di sbarramento.

6 eletti nella circoscrizione estera

EQUILIBRIO DI GENERE

Specifiche disposizioni sono dettate ai fini del rispetto del principio dell’equilibrio di genere.

Innanzitutto, sia alla Camera, sia al Senato, a pena di inammissibilità, nella successione interna delle liste nei collegi plurinominali i candidati devono essere collocati secondo un ordine alternato di genere.

Alla Camera:

- nel complesso delle candidature presentate da ogni lista o coalizione nei collegi uninominali a livello nazionale, nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all’unità più prossima;

- nel complesso delle liste nei collegi plurinominali presentate da ciascuna lista a livello nazionale, nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all'unità più prossima, nella posizione di capolista;

Al Senato

Le stesse previsioni sono stabilite a livello regionale ed è compito dell’ufficio elettorale regionale assicurarne il rispetto

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Quotidiano gratuito, digitale e multimediale del PD sarà la voce della più grande comunità politica italiana, lo strumento di informazione e discussione per le centinaia di migliaia di iscritti, militanti, amministratori e rappresentanti politici del PD

Oggi nasce #DEMOCRATICA, il nuovo quotidiano digitale del Partito Democratico. Scaricalo ora su bit.ly/democratica

Democratica sarà la voce della più grande comunità politica italiana, lo strumento di informazione e discussione per le centinaia di migliaia di iscritti, militanti, amministratori e rappresentanti politici del #PD.

Un quotidiano digitale e multimediale diffuso ogni giorno e gratuitamente. Democratica è scaricabile, dal lunedì al venerdì, a partire dalle ore 13.30, sulla app #Bob del Partito Democratico (disponibile per Android e iOs su app.partitodemocratico.it),su bit.ly/democratica (o www.partitodemocratico.it/democratica per i numeri precedenti) e sul messenger Facebook

all’indirizzo m.me/partitodemocratico.it, seguendo le istruzioni del bot risponditore automatico.

Il quotidiano, diretto da Andrea Romano, sarà anche strumento di intervento nella discussione pubblica e mezzo di informazione. Si tratta del primo caso in Italia di un quotidiano politico, digitale e multimediale che viene diffuso gratuitamente.

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Buona settimana a tutti Voi

Alessandro Iobbi

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